La pupilla

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LA PUPILLA di Carlo Goldoni

LA PUPILLA

di Carlo Goldoni

Intermezzo di due parti per musica

rappresentato per la prima volta in Venezia

nel dicembre dell'anno 1734.

Personaggi

TRITICONE tutore. ROSALBA pupilla.

GIACINTO  amante  di  Rosalba,  finto  astrologo,  poi  finto medico.


PARTE PRIMA

SCENA PRIMA

Rosalba sola.

Misera condizion del nostro sesso!

In ogni stato, in ogni età le donne

Sono sempre soggette, e sempre schiave.

Fin che siamo ragazze,

Del padre e della madre

La catena ci lega, e fino quando

Orfanelle restiamo,

Col laccio del tutor legate siamo.

Se passiam a marito,

Ecco un nodo più forte,

Che non si scioglie più sino alla morte;

Ma nodo tal (per quello

Che sento a raccontar da tante e tante)

D'ogn'altro assai più duro e più pesante.

Se poi questo si scioglie, e vedovella

Resta l'afflitta donna,

In loco d'acquistar sua libertade,

In un laccio peggior, misera, cade;

Laccio che dal maligno

Mondo le vien tessuto;

Ognun guarda i suoi passi,

Ognun pesa i suoi detti, ed un veniale

Peccato in lei può divenir mortale.

Lo diceva mia madre,

Che vedova rimasta e giovinetta,

Spesse volte costretta

Di pianger si trovò, benché innocente,

Per satirica lingua e maldicente.

Ma fra tanti malanni

Credo che sia il peggiore

Quello d'esser soggetta ad un tutore

Indiscreto, noioso.

Cattivo, fastidioso.

Questo, meschina, è il laccio mio crudele.

Ma saprò liberarmi

Da tanta soggezion col maritarmi.

Verrà quel dì, ma intanto

Ch'io mi trovo soletta, alle mie noie

Rimedierò col canto.

Cantar vuò quell'arietta:

«Bella, se ti me lassi...» Ma no, ch'è troppo vecchia. È meglio questa:


«Come sul far del dì...» Questa è vecchissima:

«Mia cara paronzina...» È troppo vile, oibò. Affé, che l'ho trovata. Io questa canterò

Sopra d'un augellin tutto amoroso, Composta in venezian stile curioso:

Quell'oselin desmestego Che passarin gh'à nome, Oh se vedessi come L'ama la passarella; Sempre el se vede a quella D'intorno a svolazzar.

Cussì anca mi desidero, Passera abbandonada, D'esser accompagnada Da un passerin che sappia Cossa vol dir amar.

SCENA SECONDA Triticone e detta.

TRIT.                 Rosalba, io già non dico

Che il cantar sia indecente;

Pur talvolta è cagion di qualche male.

Per esempio talun passa per strada,

Sente a cantar, si ferma; esso dimanda

Chi abita quivi, e chi è colei che canta.

Gli risponde un vicino:

«Questa è una giovinetta

Bizzarra, graziosetta », e che so io;

Tosto in quel passaggiero entra il desio

Di vedervi e parlarvi, onde vedete

Se il cantar fa più mal che non credete.

ROS.                  Permettete, signor, ch'io vi risponda

Col dovuto rispetto. Supposto tutto quel che avete detto, Se un giovin si fermasse, Mi sentisse cantar, di me cercasse, Mi volesse veder, parlarmi ancora, Che mal sarebbe mai?

TRIT.                                                      Zitto! che dite?

Che mal sarebbe mai? Tutto quel male Che immaginar si può. Se voi sapeste Cosa sono, figliuola,


I giovin d'oggidì! Altro non cercano
Che ingannar le fanciulle.

ROS.                  Sì buona non sarei

Di lasciarmi ingannar.
TRIT.                                                      Eh semplicetta,

È tanta l'arte loro e il loro ingegno,

Che donna già matura

Fuggir non sa il periglio.

Pensate voi che siete

Giovin di prima età senza consiglio.
ROS.                  Gli uomini dunque son tanto cattivi?

TRIT.                 Non tutti, figlia mia, ma per lo più

II peggior mal sta nella gioventù.
ROS.                 E dovrò dunque sempre

Star ritirata in casa,

Non cantar, non parlar? Con questa vita

Voi volete ch'io mora intisichita.
TRIT.                 Un poco di pazienza;

Io saprò consolarvi.
ROS.                                                   In qual maniera?

TRIT.                 Dirvela ancor non deggio.

ROS.                 Deh non mi tormentate;

Sapete che le donne son curiose;

Ditelo adesso dunque, se mi amate.
TRIT.                 (A un sì forte scongiuro io non resisto:

L'amo pur troppo!) Udite,

Vi voglio maritar.
ROS.                                                Ma come mai?

Se tanto mal degli uomini diceste?
TRIT.                 Dei giovani parlai, ma non dei vecchi.

ROS.                 Che? forse...?

TRIT.                                        Sì, mia cara;

Io voglio maritarvi,

Ed un vecchio prudente io voglio darvi.
ROS.                 Un vecchio? Un vecchio a me?

(Il mio signor tutor s'inganna affé).

TRIT.                            Che gran fortuna

Se vi toccasse Un vecchiarello Robusto e bello, Come son io! I giovani d'oggi, Credetemi, o figlia, Non serbano fede; Ben pazza è chi crede Al loro desio.


SCENA TERZA Giacinto e detti.

GIAC.

Oh per amor del cielo,

Perdonate l'ardire!

TRIT.

Come sarebbe a dire?

Chi è lei? Cosa comanda in casa mia?

GIAC.

Dirò la verità. Io da un balcone

Fui chiamato per nome; e mi fu detto

Ch'entrassi in questa porta.

Entrai, non vidi alcun, qui m'avanzai,

Ove trovar chi mi chiamò pensai.

(Ecco l'idolo mio!)

ROS.

(Che bel sembiante!)

TRIT.

Voi vi siete ingannato, e certamente

Qui nessun vi chiamò.

GIAC.

Dunque ritorno,

E all'innocente error chieggo perdono.

(Potessi almen dir a colei chi sono).

ROS.

(Più ch'io guardo quel volto, ei più mi piace).

TRIT.

Signor, andate in pace.

Ma ditemi di grazia,

Che cos'è quell'imbroglio?

GIAC.

La canna con cui soglio

La gente astrologar.

TRIT.

Voi siete astrologo?

GIAC.

Sì signor, per servirla.

TRIT.

Che è lo stesso che dire un vagabondo,

Che ruba li denari e gabba il mondo.

GIAC.

Se voi mi conosceste,

Non direste così.

TRIT.

Non siete astrologo?

GIAC.

Lo son, ma non di quelli da dozzina.

Son uno che indovina

Il presente, il passato ed il futuro.

Non già con senso oscuro,

Ambiguo, amfibologico, imbrogliato,

Ma in un modo assai schietto e non usato.

TRIT.

Vera o falsa che sia,

È sempre un'illusion l'astrologia.

ROS.

(Oh che voglia mi sento

Di farmi astrologar!)

GIAC.

Io mi contento,

Se lasciarvi servir da me degnate,

Che se non dico il ver, non mi paghiate.

E datemi la prova:

Se il passato indovino, io so che allora

Dell'avvenir mi crederete ancora.

ROS.

(Ha proprio un volto amabile.


È grazioso e gentil; egli è adorabile).

TRIT.

Orsù, voglio provarvi.

GIAC.

Tiriamoci in disparte.

TRIT.

Sì, sì, non istà ben che la ragazza

Della mia gioventù senta gli errori.

Rosalba, ritiratevi.

ROS.

V'obbedisco, signor, ma ricordatevi

Che dopo voglio anch'io

Farmi certo predire il destin mio. (si ritira)

GIAC.

Mostratemi la mano. Ella è imbrogliata.

TRIT.

Come sarebbe a dir?

GIAC.

Tutto vi spiego.

TRIT.

Ma parlatemi chiaro, io ve ne priego.

GIAC.

Comincio dal passato.

TRIT.

Bene, bene;

Dite pur, che v'ascolto.

GIAC.

(Potessi astrologar quel vago volto!)

Nell'età giovine

Cupido e Venere

Vi dominò;

Ed una femmina

Di spirto nobile

V'incatenò.

TRIT.                     Basta, basta così. (Se più s'avanza,

Ei scoprirà di peggio). Il passato in narrar siete eccellente; Dite pure il presente.

GIAC.                                    Ed ora che le ceneri

Sul vostro crin si spargono, Da un vago volto amabile Siete ferito ancor.

TRIT.                     Pur troppo è ver, pur troppo

Grand'astrologo siete in fede mia; Deh proseguite pur l'astrologia.

GIAC.                                   Ma questa femmina

Di cuor volubile Vi burlerà. Perch'ella è giovine, Con queste ceneri Non si confà.

TRIT.                     (Quest'è quel che mi pesa,

Ma saprò ben con arti buone e belle Vincer gl'influssi delle avverse stelle). Un gran concetto io formo


Della vostra virtù.
ROS.                                                 Che diavol fate? (torna)

Non è finita ancor questa faccenda?

Avvertite, signor, che voglio anch'io...
TRIT.                     Sì, sì, ma ancor per poco

Ritiratevi in grazia.
GIAC.                    (Oh che volto gentil!)

ROS.                                                         (Che bella grazia!) (si ritira)

TRIT.                     Voi, signor indovino,

Del passato e presente

M'indovinaste affé tutto a puntino;

Ma perché del futuro

Non vorrei s'avverasse il vostro detto,

Mi ritrovo costretto

Supplicarvi di cosa che alla fine

Non è per voi disonorata e vile,

E a me giovar potria più se un tesoro

Mi donaste ripien di gemme ed oro.
GIAC.                   Comandatemi pur, ch'io vi prometto

Obbedienza e fede.
TRIT.                     Ed io prometto a voi buona mercede.

Quella figlia che meco

Ritrovaste, signore, è mia pupilla;

Io sono il suo tutor, ma il suo sembiante

D'essa mi rese sviscerato amante;

Sempre temei, ed or più che mai temo,

Ch'ella alle nevi mie non si riscaldi.
GIAC.                   Ma che far vi poss'io?

TRIT.                                                          Molto potete.

Fingendo astrologarla,

Mostrate di predir che il suo destino

La vuole per suo ben moglie d'un vecchio;

Che un giovine potrebbe

Esser la sua rovina, e cose tali,

Sicché avendo desio di maritarsi,

La giovine di me possa invogliarsi.
GIAC.                   Lasciate fare a me, state sicuro,

Persuaderla saprò, io ve lo giuro.
TRIT.                     Caro fratello, intanto

Ch'io vo a prender per voi un regalone,

Fate, ma come va, l'operazione.

Rosalba, uscite pure, io mi contento

Che quest'uomo da bene

Vi dica la ventura,

E state pur sicura

Che tutti i detti suoi son verità;

Badate a lui, che non v'ingannerà. (si ritira)
ROS.                      Ecco pronta la mano. (Oh me felice!)

GIAC.                   Bella, poiché la sorte

Seconda il desir mio,


Permettetemi ormai ch'a voi palese

Faccia il mio nome e il grado mio discopra;

Astrologo non son, ma cavaliere:

Io Giacinto m'appello, ed in fortune

E in nobiltade alcun non mi sorpassa;

V'amo, v'adoro e vi desio per sposa.

Se mi siete pietosa,

Sarete fortunata, ed io felice;

Non temete il tutor; fuor d'ogni intrico

Io levarvi saprò, so quel che dico.

ROS.

Signor, mi sorprendete...

GIAC.

Non v'è tempo da perdere:

Triticone ritorna.

Dite pur se aggradite l'amor mio.

ROS.

Gradisco l'amor vostro, e v'amo anch'io.

Ma Triticon...

GIAC.

Tacete.

Leggete questo foglio,

Fate quel ch'ei vi dice, e non temete.

TRIT.

Ebben, Rosalba mia, siete contenta?

ROS.

Sì signor, contentissima.

TRIT.

Vi ha detto cose buone l'indovino?

ROS.

Non mi potea predir miglior destino.

TRIT.

(Il negozio va bene;

L'astrologo eccellente

Certo che all'amor mio la persuase).

Amico.

GIAC.

Mio signor.

TRIT.

Quest'è una doppia:

Se pagato non siete,

Della mia protezion sempre godrete.

GIAC.

Pagato, pagatissimo.

Servitor, mio padron, servo umilissimo.

TRIT.

Che bella scienza l'astrologia!

ROS.    } a tre

In essa spero la pace mia,

GIAC.

E il mio contento tutto trovar.

TRIT.

Signor astrologo,

Vi son tenuto.

ROS.

Che siate pure

Il ben venuto.

GIAC.

Voi siete, signore,

Signora, voi siete

Padroni di me.

TRIT.

Oh che uomo cortese!

ROS.

Che grazia! Che brio!

GIAC.

Bell'idolo mio,

Languisco per te.

TRIT.

} a tre ROS.

Oh che contento!

Che gioia ch'io sento!


GIAC. GIAC.

TRIT.

ROS.

GIAC.

TRIT.

GIAC.

ROS.

TRIT.

ROS.

GIAC.


} a tre


Mi giubila il cor!

Signor Triticone, Gli fo riverenza.

(Che giovin garbato!) (Che bella presenza!)

E voi, mia signora, Serbate in memoria Che per vostra gloria Voi sceglier dovete...

Un vecchio...

Sicuro. (Voi solo, vel giuro).

Felice già sono.

Più dubbio non v'è.



PARTE SECONDA

SCENA PRIMA

Rosalba sola con un foglio in mano.

Oh benedetto foglio!

Ti bacio, ti ribacio, e in te ritrovo

Il mio vero diletto;

Ma Giacinto non viene, ed io l'aspetto.

Questo foglio m'avvisa

Che ammalata mi finga, e ch'egli in breve

Da medico verrà per involarmi.

Con il tutor che mi ama,

Devo fingere ancor genio ed affetto.

Già il finger nella donna

È usanza, e non difetto.

Ma già vien Triticone;

Or del foglio ritorno alla lezione. (siede)

SCENA SECONDA

Triticone e detta.

TRIT.

Rosalba dilettissima,

Ditemi, come state?

ROS.

Oimè che male!

TRIT.

Credetemi, figliola,

Che tutte sono mie le vostre pene.

ROS.

E il medico non viene.

TRIT.

Egli verrà a momenti. Allo speziale

Un ordine lasciai,

Che il medico più bravo a me spedisca,

Acciocché in breve tempo ei vi guarisca.

Ma intanto state allegra,

Pensate a quel che l'indovin vi ha detto.

ROS.

Al certo vi prometto

Che vi penso assai più che non credete.

TRIT.

(Si è di me innamorata,

Ed è per la passion resa ammalata).

ROS.

(E Giacinto non viene, o me meschina!)

TRIT.

Orsù, non è più tempo

Di simular, Rosalba, il vostro foco,

Che il silenzio potria darvi la morte.

Confessatelo pur: voi siete amante.

ROS.

Aimè!


TRIT.                            Vi compatisco, anzi destino

Di rendervi contenta in questo giorno.
ROS.                 Questa speranza mi mantiene in vita.

TRIT.                 Adunque il vostro mal provien d'amore.

ROS.                 So che tutto il mio mal chiuso ho nel core.

TRIT.                 (Che astrologo dabbene!

In breve tempo a me la rese amante).

Voi sarete la sposa.
ROS.                                                  Oh che bel nome!

Un sì dolce pensier già mi risana. (s'alza)
TRIT.                 Se vi fui buon tutore,

Sarò miglior marito.

ROS.

Oimè che male! (siede)

TRIT.

(Essa per il contento è già svenuta).

ROS.

(Se Giacinto non viene, io son perduta).

TRIT.

Ma la figlia davvero è in accidente,

Ed ha il naso ghiacciato.

Se il medico non vien, son disperato.

Rosalba mia bellissima,

Consorte dilettissima,

Mirate il vostro sposo,

Che il mal vi passerà.

Prendete l'assa fetida,

Ch'al male delle femmine

Sovente si confà.

ROS.

Temo che già per me la sia finita.

TRIT.

Ecco il medico, o figlia.

ROS.

Io torno in vita. (s'alza)

TRIT.

Gran forza al certo ha l'opinione umana,

Se sol col nome il medico risana.

SCENA TERZA

Giacinto da medico, e detti.

GIAC.

Riverente m'inchino, o mio signore.

TRIT.

(Che medico gentil!)

ROS.

(Che bel dottore!)

TRIT.

Signor eccellentissimo,

Alla di lei virtù mi raccomando.

GIAC.

Ha forse lei qualche malanno adosso?

Già la vecchiezza sua...

TRIT.

Basta, fermate,

Né mai di cosa tal non mi parlate.

ROS.

Signor tutore.


Signor dottore, Il mal crescendo va. Voi già lo sapete, (a Triticone) Voi già m'intendete, (a Giacinto) Abbiate pietà.

GIAC.               Non temete, signora, in breve tempo

Risanata sarete.
TRIT.                 Prima, signor, che v'accostiate a lei,

10  vi dirò il suo male.
La semplice fanciulla,

Che mai provato ha l'amoroso ardore,

Sentendosi nel core

Nascer per me la fiamma prodigiosa

Per l'alta brama d'essere mia sposa,

Ammalata si rese, onde desio

Che voi pur secondiate il genio mio.

GIAC.               Ben bene, io vi prometto

La fiamma secondar del di lei petto. Ma se vi contentate, Lasciate ch'io l'interroghi in disparte Per poter adoprar l'ingegno e l'arte.

TRIT.                 Fate il vostro mestier, io mi contento.

(Che medico garbato!

11 ciel me l'ha mandato). (si ritira)
GIAC.               Adorata Rosalba, eccomi lesto:

Se volete venire, il punto è questo

Destinato alla fuga.
ROS.                 Io con voi venirò sino alla morte.

TRIT.                 (Oggi Rosalba sarà mia consorte).

GIAC.               Appiedi delle scale

Quattro de' servi miei vi sono armati;

Onde alla casa mia sarem scortati.
ROS.                 Purché voi siate meco, altro non curo.

TRIT.                 (Dell'amore di lei già son sicuro).

GIAC.               Signor Triticon mio, lei è servita.

TRIT.                 Rosalba, come va?

ROS.                                                 Già son guarita.

TRIT.                 Come? sì presto? E come mai faceste? (a Giacinto)

GIAC.               Ma voi non mi diceste

Ch'era tutto d'amor il di lei male?
TRIT.                 E ch'ella era di me, dissi, invaghita.

GIAC.               Consolandola dunque io l'ho guarita.

A una donna che patisca

Qualche mal di gioventù,

Non vi vuol cassia,

Non vi vuol manna,

E la teriaca buona non è. Vi vuol un medico


TRIT.

GIAC.

TRIT.

GIAC.

TRIT. ROS.

TRIT.

GIAC.

ROS. TRIT.

ROS.

TRIT.

GIAC.

TRIT.

GIAC.

TRIT.

GIAC.

ROS.

TRIT.

ROS.

TRIT.

GIAC.

ROS.

TRIT.

GIAC.

ROS.

TRIT.

ROS.

GIAC. TRIT. GIAC. ROS.


Che sia buon pratico, Che trovi subito Il come e il che.

(Gran fortuna è la mia! Sempre ritrovo

Gente di buona mente e di buon core.

L'astrologo fu buono,

Ma il medico è migliore).

Quando meco sarete, (a Rosalba)

Penseremo alla dote.

Che le dite, signore?

Anch'io sentir vorrei.

Tutti li detti miei

Tendono a stabilire il matrimonio.

Che siate benedetto!

Orsù, già tutto intesi. Altro non manca;

D'aspettar son già stanca.

Guardate s'ella mi ama;

Ogni breve dimora è a lei di pena.

Concludiamo l'affare or tra di noi.

Voi ardete d'amor. (a Rosalba)

Ma sol per voi. (a Giacinto) Adunque è giunto il giorno Fortunato per me.

Fortunatissimo. Voglio darle la man. (a Giacinto)

Fate benissimo.

Mia cara pupilletta,

Dammi la man di sposa. Non siate sì ritrosa.

} a tre

Oh che consolazion!

Guarda lo sposo. Io già lo miro.

} a due

L'ami costante?

Per lui sospiro.

} a tre

Contento maggiore Di questo non v'è.

Dammi la mano,

Sposa diletta. Prima del medico

Vuò la ricetta. Lasciate fare a me. (va in mezzo) Che medico gentile!

} a due            Che pazzo da legar!



TRIT.

ROS.

GIAC.

Figliuola, se volete...

Non posso più aspettar.

Così, miei signori, Se pur vi degnate, Io nel vostro matrimonio Servirò per testimonio.

TRIT.

ROS.

TRIT.

ROS.

GIAC.

TRIT. GIAC. ROS.

Fate pur come volete.

Il mio genio già sapete.

} a due

A voi tocca il comandar.

Favoritemi le destre, Io vi voglio consolar.

Maggior fortuna non posso sperar.

} a tre

(Giacinto prende la mano a Triticone e Rosalba, fingendo unirle; poi dà una spinta a Triticone, e

conduce via Rosalba


TRIT.

ROS.

GIAC.

TRIT.

GIAC.

ROS.

TRIT.

GIAC.

ROS.

TRIT.

GIAC.

ROS.

TRIT.

GIAC.

ROS.


} a due

} a due } a tre


Oimè, che fate? Quest'è mio sposo. Quest'è mia sposa. Come?

Tacete, non fate rumor.

Sono tradito. Mia cara moglie... Dolce marito... Di rabbia...

Di gioia... Ripieno ho il mio cor.


Fine dell'Intermezzo.


APPENDICE

PARTE SECONDA

Triticone e Rosalba, poi Giacinto da medico.

TRIT.                 Cara Rosalba mia, ch'è mai sta cosa?

Sempre ammalata siete.

Or la testa vi duole,

Or lo stomaco avete rivoltato;

Voi mi volete far diventar matto.
ROS.                 Oh che bella finzione! Ei già lo crede;

La lezione del foglio or fa l'effetto.
TRIT.                 Sentite, figlia mia, parlate schietto,

Già nessuno ci ascolta;

Sono il vostro tutor, e come padre,

V'amo più che se foste una mia figlia;

Dite con libertade,

Avete voi qualche passione al cuore?

Siete voi forse amante?

Confessatelo a me. Rosalba, io giuro

Il rimedio trovar presto e sicuro.
ROS.                 Io passione d'amore?

Io amante? ma di chi, se in questa casa

Sempre sto chiusa, e mai non entra alcuno?

Cos'è mai quest'amor? Dunque l'amore

Può far doler il cuore?

Certo, che quest'amore io non provai,

E prego il ciel di non provarlo mai.
TRIT.                 (Bella semplicità!) Ma sempre amore

Non è doglia o tormento;

Sovente al nostro cor reca contento.
ROS.                 Costui dunque è stregone,

Ch'or fa bene, or fa male. Io non v'intendo.
TRIT.                 Appunto lo diceste.

Egli è un mago l'amor, diletta figlia.
ROS.                 Mi stia dunque lontan trecento miglia.

TRIT.                 E pur, se voi provaste

Delle dolcezze sue qualche pochino,

Lo vorreste tener sempre vicino.
ROS.                 Quando la sia così, fate ch'io provi,

Caro signor tutore,

Un bocconcin di questo dolce amore.
TRIT.                 Volentier, volentieri,

Ma ciò non si può fare

Senza del matrimonio.


ROS.

Eh mi contento,

Ma però con un patto:

Che se poi quest'amor non mi piacesse,

Voglio che il matrimonio sia disfatto.

TRIT.

(Che innocenza!) Figliola,

Udite: il matrimonio

Accordato che sia, più non si scioglie,

Se non muore il marito over la moglie.

ROS.

Questo poi non mi piace.

TRIT.

Eh non temete,

Vi troverò un marito

Con cui sempre vivrete in buona pace.

ROS.

Lo troverete poi?

TRIT.

Già l'ho trovato.

ROS.

Senza nemen che 'l veda?

TRIT.

Lo vedeste, e gli avete ancor parlato.

ROS.

Come, signor?...

TRIT.

(Ah più tacer non posso;

Mi sento il core, il sangue ed il polmone

Che mi dicon: Coraggio, Triticone).

ROS.

(Forse Giacinto a Triticon palese

Fatto avrà l'amor suo).

TRIT.

Figlia, sediamo, (siedono)

Poiché di grave affar parlar dobbiamo.

ROS.

Eccomi, dite pur.

TRIT.

V'arricordate

Dell'astrologo d'ieri?

ROS.

(È Giacinto senz'altro. Oh me felice!)

TRIT.

Egli è un uomo dabben, sa quel che dice;

Benché sia giovinetto,

Ha del gran sale in zucca;

È un indovin sincero

Che mentire non sa, ma dice il vero.

ROS.

Non ne dite di più; già son per lui...

TRIT.

Bene, bene, pensate

Dunque a quel ch'ei v'ha detto, e rissolvete.

ROS.

Per me son contentissima;

Il partito mi piace, è da par mio.

TRIT.

Se voi vi contentate...

ROS.

Io son pronta anche adesso.

TRIT.

(Ahi, che la gioia

Mi fa tutto sudar, e già dagli occhi

Per l'allegrezza mi distilla il pianto).

ROS.

Ma che avete, signor? perché piangete?

TRIT.

Piango per il contento.

ROS.

Oh benedetto

Siate pur mille volte! oh quanto v'amo!

Oh quanto v'amerò fino alla morte!

TRIT.

Anch'io, figlia, v'adoro, or non più figlia,

Ma sposa.


ROS.

Oh che bel nome!

Oh quanto mi consola!

Ma quando si conclude?

TRIT.

(Questa sua fretta

È ben segno d'amor). Dammi la mano;

Vuò consolarti, o bella, in questo punto.

ROS.

Ma lo sposo dov'è?

TRIT.

Dov'è lo sposo?

Tu mi burli, Rosalba;

Eccomi, non mi vedi? È forse amore,

Ch'ora cieca ti rese?

ROS.

Voi?

TRIT.

Io, sì, ma perché?

ROS.

Ah ah ah ah, meco scherzate affé.

TRIT.

Come scherzar? Voi stessa

Non diceste d'amarmi,

E che d'esser mia sposa ancor bramate?

Non abbiate rossor, siam qui tra noi.

ROS.

Dell'astrologo intesi, e non di voi.

TRIT.

Ma l'astrologo appunto

Non vi parlò di me? Non vi predisse

Che sol per vostro bene

D'un vecchiarel consorte il ciel vi vuole,

E che la gioventù tradir vi puole?

ROS.

Nulla di ciò mi disse;

Ben di lui mi parlò, dice che m'ama,

Ch'è un cavaliero, e che mi vuol per sposa.

TRIT.

Oh ciel! oh che gran cosa!

Ingannato son io. Figlia, colui

È un mendace, è un briccon, non gli abbadate.

ROS.

Prima voi mel lodaste, or lo sprezzate?

TRIT.

(Giacché scoperto io sono,

Vuò tentar persuaderla all'amor mio;

Simular quest'ardor più non poss'io).

ROS.

(Mie tradite speranze!)

TRIT.

Ah gentilissima

Rosalba mia bellissima,

Se obbediente finor stata mi siete.

Siatelo in questo punto. Io già v'adoro.

ROS.

So ben che voi m'amate

Come padre e tutor.

TRIT.

Eh un altro amore

È questo, idolo mio; v'amai finora

Come padre, egli è vero, or come sposo.

ROS.

Eh signor Triticone,

Guardate nello specchio:

Io son giovine assai, voi troppo vecchio.

TRIT.

Son vecchio, è vero, ma non ho difetti.

ROS.

Questo è buono per voi, ma non per me.

TRIT.

Io sempre v'amerò.


ROS.

Amor senza costrutto.

TRIT.

Voi sarete il mio fior.

ROS.

Ma senza frutto.

TRIT.

Sono vecchio, ma non cedo

Ad un giovine in fortezza.

ROS.

Ve lo credo, ve lo credo,

Ma cos'è questa bianchezza?

TRIT.

Calore di fegato.

ROS.

E quegli occhi lacrimanti?

TRIT.

Niente, niente, una flussione.

ROS.

Ma quel bastone?

Perché tremate?

TRIT.

Voi, crudel, tremar mi fate.

Per altro sto saldo,

Son forte, son caldo,

Provate, sentite,

Sentite il mio cor,

Che gran batticor.

ROS.

La barba è candida,

La faccia è pallida,

Voi già perdeste

Tutto il calor.

Son vecchio etc.

GIAC.

Servo di lor signori. Se non fallo,

È il signor Triticon vussignoria?

TRIT.

Sì signor, per servirla.

GIAC.

In speciaria

Un ordine trovai

Per venir in sua casa, ed io volai.

TRIT.

Lei è il medico dunque?

GIAC.

Appunto quello.

TRIT.

La ragazza si sente un po' di male,

Ma spero anderà in nulla.

GIAC.

Sarà il solito mal d'una fanciulla.

Dove si trova? è questa?

TRIT.

Signor sì.

GIAC.

(Quest'è appunto colei che mi ferì).

Riverente m'inchino.

ROS.

Io gli son serva.

GIAC.

(Ella tien gli occhi bassi, e non m'osserva).

TRIT.

Sentite il polso suo. Sembra alterato?

GIAC.

Signor, se non vi è grave,

Ritiratevi un poco, e date campo

Ch'io possa interrogar con libertà

La fanciulla. Sapete come va.

TRIT.

Dite ben, mi ritiro.

GIAC.

Signora mia, mi favorisca il braccio.

(Ahi, ch'ha un braccio di neve; ardo ed agghiaccio).


Cara mano, mano vaga,

Che risana allor ch'impiaga,

Io vi miro,

E poi sospiro;

Vi potessi almen baciar! Se la sorte non m'inganna,

Da voi spero la mia pace;

D'Imeneo la bella face

Già comincia a sfavillar. Cara mano etc.

ROS.                 Ma voi troppo stringete.

GIAC.               Ancor non conoscete

Di Giacinto la voce?
ROS.                                                    Ah mio tesoro!

TRIT.                 Signor eccellentissimo,

Ma che maniera è quella

D'interrogar?
GIAC.                                      Tacete,

Fu un trasporto del core;

Già scopersi l'arcano, e presto presto,

Se mi lasciate far, scoprirò il resto.
TRIT.                 Seguite pur, che mai sarà?

GIAC.                                                          Signora,

Quietatevi per poco.
ROS.                 Più resister non posso a tanto foco.

Sappiate che il tutore

Mi si scoperse amante, e vuol ch'io sia

Sua sposa; io non lo voglio.

Liberatemi voi da quest'imbroglio.
TRIT.                 Rilevaste l'intiero?

GIAC.                                            Io tutto intesi,

Manca solo ch'a lei per il suo male

Or insegni il rimedio,

E poi sono con voi. Non dubitate, (a Rosalba)

Liberarvi destino in questo giorno.

Poiché la soggezion non mi permette

Di dirvi tutto, fingerò, scrivendo,

Un recipe formar; a voi la carta

Consegnerò; già in essa

Una nuova invenzion voi leggerete.

Secondate l'idea; poi non temete.
ROS.                 Tutto farò per voi.

TRIT.                                               E ben, che nuova,

Signor eccellentissimo, mi date?
GIAC.               Gran cose io vi dirò. Prima aspettate

Che un recipe gli formi.
TRIT.                                                        Oh che impazienza!

(Giacinto va al tavolino a scrivere; intanto Triticone e Rosalba parlano sempre da sé)


TRIT.               Certo Rosalba è amante.

ROS.                Giacinto non m'inganna.

TRIT.               Fosse almeno di me!

ROS.                                                    Facesse presto!

TRIT.               Di quel briccon d'astrologo io temo.

ROS.                Ma del vecchio tutor pavento e tremo.

TRIT.               Oh che soave aspetto!

ROS.                Che vecchio maledetto!

TRIT.               Lei mi guarda sottocchio: ah furbacchiona!

ROS.                Fa pur quanto tu vuoi, non son sì buona!

TRIT.                               Ch'io lasci Rosalba!...

ROS.                               Pigliar Triticone!...

TRIT.

} a due               Uh questo poi no, oh questo poi no.

ROS.

GIAC.               Signora mia, coraggio aver conviene;

Faccia come sta scritto, e anderà bene.
ROS.                  (Prende la carta, e legge, e leggendo ride piano)

TRIT.                 Caro signor dottor, ditemi tosto

La cagion del suo male!
GIAC.               Tutto il suo mal, signor, provien d'amore.

TRIT.                 D'amore? Ma per chi?

GIAC.                                                    Certo vi giuro,

Dacché del medicar l'arte professo,

Non mi toccò sentir cosa sì strana.
TRIT.                 Forse d'un vil astrologo

Vive amante Rosalba?
GIAC.                                                    Eh eh pensate.

Vive amante di voi passionatissima;

Ridete, signor mio, ch'ella è bellissima.
TRIT.                 E ben, s'ella mi amasse,

Saria cosa da ridere?
GIAC.               Ma tutto, Triticone,

10      non vi dissi ancor. V'ama, egli è vero,
Ma si cacciò in pensiero

Che non vi vuol, perché dall'altre donne
Teme d'esser burlata.
L'esser voi vecchio a lei molto non cale,
Ma questa barba bianca,
Quel crin canuto e gli occhi lacrimanti,
Quelle rughe, il tremare, e che so io,
Come dicea, gli fan cangiar desio.
Che ne dite, signora? (a Rosalba)
Eh, confessate pure
Senz'altra soggezione.
(Già in carta le ho insegnata la lezione).
ROS.                  Pur troppo è ver, pur troppo

11 signor Triticone amo et adoro,

Ma quell'aspetto, oimè, schiffo et aborro.


TRIT.

Eh quando voi m'amate,

Che v'importa?...

ROS.

No no, non mi parlate,

Io così non vi voglio.

GIAC.

Oh che bizzarro amor!

TRIT.

Che bell'imbroglio!

Che far dunque poss'io? (a Giacinto)

GIAC.

Signor, quando vogliate,

Io tengo un gran segreto

Con cui non dico già che l'età torni

Nel suo verde primiero, ma ben vale

Per far nera la barba e nero il crine,

Render liscie le guancie e porporine.

Fortifica li denti,

Rende chiara la vista e l'occhio bello;

Fa l'uom robusto e forte,

E l'abilita a far da buon consorte.

ROS.

Che secreto divino!

TRIT.

Eh mi burlate.

GIAC.

Signor, mi meraviglio, ad un mio pari

Non si dice così; la riverisco.

ROS.

E voi dite d'amarmi, e ricusate

Quel ch'io tanto desio?

L'amor vostro non è simile al mio.

TRIT.

Ehi, sentite, signor... (se fosse vero

Gran segreto saria!) come s'adopra?

GIAC.

Facilissimamente. In quest'ampolla

Vi è l'acqua prodigiosa;

Adattarvi bisogna

In un sito ristretto,

Ed in mezz'ora si vedrà l'effetto.

ROS.

Questa prova chied'io dell'amor vostro.

TRIT.

Soddisfarvi saprò. Già finalmente

Mezz'ora è breve tempo.

Dite, quanto si spende?

GIAC.

Sei zecchini, e non più.

ROS.

Poca moneta.

TRIT.

Son rissolto provarlo.

GIAC.

Ed io vi servo,

E se non opra ben, non mi pagate.

Una botte vi vuol, ma vuota e nuova.

Fatela portar quivi, e facciam presto.

TRIT.

Una botte, perché?

GIAC.

Più non cercate.

TRIT.

Ancor questo farò. Non m'ingannate.

Chi è di là? (viene un Servo) Guarda abbasso,

Che vi è una botte nuova.

Falla portar di sopra in questa stanza.

ROS.

(Oimè, che dalle risa il cuor mi crepa).

GIAC.

Signor, quest'è un licore


Che facilmente esala;

Voi nella botte entrar dunque dovrete,

E farvi chiuder bene; indi la faccia

Bagnandovi e le mani,

Nel corso di mezz'ora

Forte, robusto e bel verrete fuora.
TRIT.                 Io nella botte entrar? Voi v'ingannate.

ROS.                 Se non fate così, voi non mi amate.

TRIT.                 Ah Rosalba, pavento

Di qualche tradimento.
ROS.                 Tradimento? perché? dove son io

Non temete di mal, dolce amor mio. (viene la botte)
TRIT.                 Pur entrar mi convien. Che sarà mai?

Cara, già vinto m'han le tue parole.

Ecco Diogene, o bella, in faccia al sole. (mettono Triticon nella botte)
ROS.                 Entrato è il pazzo. Oh questa è bella assai!

GIAC.               Zitta, Rosalba, ed il più bel vedrai.

TRIT.                 Orsù via dunque, datemi l'ampolla.

GIAC.               Signor, v'arricordate

Cosa ieri vi disse l'indovino?
TRIT.                 Che ne sapete voi?

GIAC.                                              Tutto mi disse:

So ben ch'ei vi predisse

Che la donna ch'amate

Alfin v'avria burlato;

Ecco il presagio suo verificato.
TRIT.                 Ma che discorso è questo?

GIAC.               E per farvi veder che 'l ver ragiono,

Io l'astrologo sono;

Con vostra buona grazia, signor mio,

Prendo Rosalba: arrivederci, addio.
TRIT.                 Ah traditor, briccon, Rosalba oimè,

Soccorso, aita, carità di me!
ROS.                 Per ora io me ne vo;

Quando giovin sarete, io tornerò.

TRIT.                            Sia maledetto

Chi a donna crede.

ROS.                             Che sei pazzo

} a due
GIAC.                             Ben si vede.

TRIT.                            Senza fede.

ROS.                             Ben si vede,

} a due
GIAC.                             Che sei pazzo da legar.

TRIT.                           Tiranna! Spietato!

ROS.                            Che brami?

GIAC.                         Che vuoi?

ROS.

GIAC.

TRIT.                            Se uscir ne potessi,

} a due            Pietade non v'è.

TRIT.                           Pietade. Mercé.


Vorrei vendicarmi;

Oimè, che son fiacco,

Non posso aiutarmi,

Rimedio non c'è.

GIAC.

Eh via, vergognatevi,

Prudente mostratevi.

ROS.

Tacete, soffrite,

Soffrite per me.

TRIT.

Con questo bastone...

GIAC.

Oh che pazzo!

ROS.

Oh che buffone!

TRIT.

Ma non ci arrivo.

ROS.

} a due GIAC.

Tu sei già di senno privo.

TRIT.

Spietata! Crudele!

GIAC.

Che dici?

ROS.

Che parli?

TRIT.

Pietade per me!

ROS.

} a due GIAC.

Pietade non v'è.


PARTE TERZA

Sala da giudice.

Giacinto da giudice, Rosalba da avvocato, poi Triticone con carte e libri.

GIAC.               Che ne dite, Rosalba,

Vi piace l'invenzion?
ROS.                                                     Bella bellissima.

GIAC.               Badate a non fallare.

Per un finto ministro, a nome vostro,

Io tutto a Triticon fei sequestrare

Ad effetto d'aver la vostra dote.

Egli citò, come si suol nel Foro,

Per la revocazion di quel sequestro.

La causa fu accettata.

Si contestò, si deputò, stamane

Già si deve trattar. Voi vi fingete

Di Rosalba avvocato;

Io giudice mi fingo;

Triticon deve primo

Parlar. Voi rispondete

Come che v'insegnai, né fallerete.
ROS.                  Farò come volete,

Ma temo che alla voce

Triticon mi conosca.
GIAC.               Vi son degli avvocati

Giovini come voi, ch'hanno la voce

Assai più femmina.

Pensate se quel vecchio,

Che ancor poco vi sente,

Conoscer vi saprà. Non v'è alcun dubbio.
ROS.                  Vada ben, vada male, in voi confido.

GIAC.               Ma intanto, o bella,

Che qui soli restiamo...
ROS.                  Cosa vorreste far?

GIAC.                                            D'amor parliamo.

Lasciate ch'io vi miri,

Luci vezzose e belle.

Voi siete vaghe stelle,

Che con soavi giri

Beate questo cor. In voi sta la mia vita,

Se per voi sole io vivo,

Voi sol prestate aita

Al mio cocente ardor. Lasciate etc.


ROS.                 Ma già vien Triticone.

GIAC.               Passeggiate la sala, ed io mi siedo.

TRIT.                 Siete voi di Rosalba l'avvocato?

ROS.                 Sì signor, quel son io.

TRIT.                                                     Siete dannato.

ROS.                 Perché, signor, perché?

TRIT.                 Avete torto marcio, e non si ponno

In coscienza difender cause tali.
ROS.                 Eretti i tribunali

Sono per far giustizia; ora vedremo

Chi avrà di noi ragion.
TRIT.                                                     Senz'alcun dubbio

La causa vincerò, ma questo struscio

Si potea risparmiare.
ROS.                                                    Eh cominciate

A parlar della causa; il tempo passa.
TRIT.                 Permette l'illustrissimo

Giudice sapientissimo

Ch'io cominci a parlar?
GIAC.                                                      Incominciate.

TRIT.                 Un tal signor Sempronio,

Di casa Frangiador quondam Fabrizi,

Nell'anno mille settecento e sedici,

Di gennaro morì nel giorno tredici.

Restò la moglie allora,

E con essa una figlia

Che Rosalba si chiama,

Unica prole e erede

Di tutto il patrimonio

Del sudetto signor quondam Sempronio.
ROS.                 Ben bene, qui ti voglio.

TRIT.                                                        A piano, a piano,

Che veniremo al punto.
GIAC.               Andate per le corte,

10  non voglio sentir cose superflue.
TRIT.                Presto presto mi spiccio. Eccomi al fatto.

11 sudetto signor quondam Sempronio
Lasciò me Triticone,

Di casa Ballonar quondam Anchise,
Per tutor della figlia, unitamente
Alla moglie sudetta ch'avea nome...
Più non me l'arricordo.
Ma con questo che, morta
La moglie, io sol restassi
Tutor e curator della fanciulla.
Verificato è il caso.
È già morta la madre, io solo resto,
Come diceva...
ROS.                                           Eh non è il punto questo

Che abbiamo da trattar; presto alla dote.


TRIT.                 Ma voi m'interrompete

Troppo fuori di tempo;

Si vede ben che principiante siete.

Così, signor, per accostarmi al fine,

S'introdusse in mia casa un bricconaccio,

Un furbo, un ladro.
GIAC.                                               Basta, basta, usate

Un poco di rispetto al tribunale.
TRIT.                 Astrologo si finse, e poscia medico.

Colle sue falsitadi

M'offuscò la ragione,

E mi ridusse entrar dentro una botte.

GIAC.

} a due Ah ah, questa è da ridere! ROS.

TRIT.                 Ridete pur, ma io non rido al certo.

Vedendomi ridotto

Ch'io non potea più movermi,

Quel briccon, quel guidon...
GIAC.               Pian, vi dico, signor, parlate in causa.

TRIT.                 Rosalba prese per la mano, e in questa

Guisa me la rapì.

Or pretende la dote, e per averla

Tutto mi sequestrò. Già voi sapete,

Giudice sapientissimo,

Che il trattato de Nuptiis parla chiaro:

Se la moglie è rapita,

Il matrimonio è nullo.

Non vale il matrimonio;

Dargli non si convien dunque la dote.

Della vostra sentenza sia l'effetto

Di liberarmi quel sequestro. Ho detto.
GIAC.               Che rispondete voi? (a Rosalba)

ROS.                                                   Signor, accordo

I primi fatti. È vero

Che Rosalba restò l'unica erede

Di quel signor Sempronio:

Ergo si deve a lei quel patrimonio.

È vero, accordo ancora,

Che il signor Triticone

Restò solo tutor di quella figlia;

Ma del cuore di lei non è padrone.

II buon vecchio credeva

Buscar quel bocconcin, ma s'ingannò.

Nella fossa ch'ei fece, egli cascò.

È ver ch'un giovinetto

Di lei se n'invaghì;

Ch'ei se la prese è ver, ma non rapì.
TRIT.                 Che differenza fate

Da prendere a rapir? Son ragazzate.
ROS.                  Oh oh, non mi scappate.


Questo è il punto, signor; quando vi provo

Ch'ella non fu rapita,

Volete che la causa sia finita?
TRIT.                 Ben bene, io mi contento.

ROS.                                                            A me, v'incontro.

Il ratto è allor quando il voler resista

Della donna rapita.

Che cos'è il matrimonio?

Consensum, già si sa, facit virum.

Ella consente, per marito il vuole,

E rapita sarà? Ma vi è di peggio.

Il trattato de Nuptiis, che allegaste,

Raptave sit mulier dice, è vero;

Ma soggiunge dappoi, se lo sapete,

Nec parti mulier sit reddita tutae;

Ei la conduce in casa sua, la sposa,

Coi suoi parenti è unita,

E direte così ch'ella è rapita?
TRIT.                 Più risponder non so.

ROS.                 No, rapita non fu. Ergo la dote

Negar non se gli può:

Giudice, che sedete

Per giudicar la verità, vi priego.

Alla mia insufficienza

Supplisca il vostro ingegno;

Fia di giustizia impegno

Confirmar il sequestro, al solo effetto

Di conseguir la dote. Io pure ho detto.
TRIT.                 Dica pur quel vuole, io già l'ho vinta.

GIAC.               La mia sentenza udite:

Ascoltate le parti,

Giudicando a tenor della dimanda

Dell'eccellente domino Propizio,

Condanno Triticone

A Rosalba pagar tutta la dote,

E per la resistenza

Ch'egli mostrò di darla, ingiustamente,

In doppio lo condanno e nelle spese,

Confirmando il sequestro.
TRIT.                                                            A piano, a piano:

Mi condannate in doppio, e nelle spese?
GIAC.               Tal è la mia sentenza.

TRIT.                 Rovinar mi volete.

GIAC.               Prendete, ed eseguir voi la farete. (s'alza e dà la carta a Rosalba)

TRIT.                 Ah per pietà, signori,

Non siate sì crudeli.

Quest'è il mio precipizio.
ROS.                 Io non so cosa dir, quest'è il giudizio.

GIAC.               Mi fate compassione. (a Triticone)

Signor Propizio: vi saria maniera


D'aggiustar sta faccenda?
ROS.                                                           Io non la veggo.

TRIT.                 Amico, siam tra noi.

Qui non v'è la cliente,

E m'impegno che lei non saprà niente.

Dieci doppie vi dono

Se aggiustar la volete in confidenza.

ROS.                 Io trovar il ripiego non saprei.

GIAC.               Rimettevi in me, signori miei.

ROS.

} a due Io mi contento. TRIT.

GIAC.                                        Udite:

Ma no, voglio pensarvi.

ROS.

} a due                                       È di ragione.

TRIT.

TRIT.                 Misero Triticone,

A qual passo ti guida

Un amoroso incanto?

Ahi, più non posso trattenere il pianto.

Mi cadon le lacrime

Dal duolo terribile.

Oibò, che vergogna!

Mi vedono,

M'osservano;

Tenersi bisogna.

Oimè, il singhiozzo,

La tosse, la tosse.

Non posso fiatar. La lara, la lara,

La lara, là là.

Io finger vorrei,

Ma il pianto negli occhi

Non posso fermar. Mi cadon etc.

ROS.                 Signor, che avete mai?

TRIT.                                                      Eh niente, niente.

M'andò un po' di tabacco dentro gli occhi.
GIAC.               Io l'ho trovata al fine.

Straccierem la sentenza:

Faremo una scrittura in cui si dica

Che il signor Triticone

Dà Rosalba per moglie

A Giacinto Verbani, e che gli assegna

Per dote tutto quello

Che dal padre di lei gli fu lasciato.

Non va bene così?
ROS.                                                Io mi contento.

TRIT.                 Ma per me non va bene.


ROS.

Valerà la sentenza

Col doppio, e nelle spese.

TRIT.

E questo è peggio.

GIAC.

Convien che rissolviate.

ROS.

O la scrittura, o la sentenza.

TRIT.

Or via,

Mi rissolvo segnar questa scrittura;

Ma saran poi contenti

Gli avversari di questo aggiustamento?

GIAC.

Per Giacinto m'impegno.

ROS.

Io per Rosalba.

TRIT.

La scrittura si faccia.

GIAC.

Ora la stendo.

ROS.

Signor, ben lo sapete,

Promissio boni viri est obligatio.

TRIT.

Prendete pur le doppie.

ROS.

Io vi ringrazio.

Se poi dir lo voleste

Alla cliente mia, poco mi preme,

Mentre con lei le goderemo assieme.

TRIT.

Siete un di que' avvocati...

ROS.

Olà tacete,

E la mia profession non offendete.

L'avvocato è necessario

Per la robba,

Per la vita,

Per la fama,

Per chi regge.

Senza lui, che val la legge?

Lui l'espone al Tribunal.

Le menzogne pone in chiaro

E discopre i tradimenti.

Gl'innocenti

Esso difende,

Perché intende

Qual è il bene, e qual è il mal.

L'avvocato etc.

GIAC.

Eccovi la scrittura.

Via, signor Triticon, sottoscrivete.

TRIT.

Triticon Ballonar, come di sopra.

GIAC.

Per Giacinto Verbani io la confermo.

ROS.

Io per Rosalba Frangiador l'affermo.

TRIT.

Ma non basta così.

GIAC.

Cosa vi vuole?

TRIT.

Dev'esser sottoscritta

Di propria man dai due consorti ancora,

E valerà questa scrittura allora.

GIAC.

Desiate ancor questo?


TRIT.

Certo, per mia cauzione.

ROS.

Sarete soddisfatto.

GIAC.

Leggete questa firma, il tutto è fatto.

TRIT.

Ma qui già non rimiro

Altra sottoscrizion che le due vostre.

GIAC. ROS.

} a due Appunto, Triticon, sono le nostre. (si scoprono)

TRIT.

Oh ciel, che vedo mai?

ROS.

Rosalba in me vedete.

GIAC.

In me Giacinto.

TRIT.

Traditori, così... Ma nulla vale

La sentenza, il giudizio; e la scrittura

Perché carpita fu, non ha valore.

ROS.

Questa è la vostra man, signor tutore.

GIAC.

Se voi di vostra mano

La dote promettete,

Ritirarvi già più voi non potrete.

TRIT.

Voi m'avete ingannato.

ROS.

Ben io, s'a voi credevo,

Ingannata sarei. Con tante belle

Paroline melate

Acciecar mi volevi, e avermi in moglie.

La semplice così l'astuto coglie.

GIAC.

Io già colla scrittura

Dal giudice non finto ora mi porto;

E pensateci voi.

TRIT.

No no, fermate.

Senza moltiplicar tant'altre spese

E litigar ancora,

Tutta la dote vi darò in mal'ora.

GIAC.

Così dunque in allegria } a due

Goderemo i giorni nostri.

ROS.

TRIT.

Ladronaccio, brutta arpia,

Di Cocito orrendi mostri.

GIAC.

Così irato, ma perché?

ROS.

Siete in collera con me?

TRIT.

Lasciatemi star, lasciatemi star.

ROS.

Bel vecchietto,

Mio caro, caretto.

TRIT.

Ancora burlar? ancora burlar?

GIAC.

Carta canta, e villan dorme,

La scrittura parla chiaro.

Triticon, che si puol far?

TRIT.

Queste qui non son le forme

Di venirmi a trappolar.

ROS.

Signor mio, vi vuol pazienza,

Siete vecchio, siete buono

Solamente d'abbruciar.

TRIT.

Quest'è troppa impertinenza,


GIAC. ROS.

TRIT. GIAC. ROS.


} a due

} a due


Non si puol più sopportar. Caro vecchietto.

Carino, caretto,

Tutta la barba

Vi voglio pelar. Lasciatemi star.

Lasciamolo star.

Fine della commedia