La quarta parete

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LA QUARTA PARETE

Commedia in un atto

DI LUIGI BONELLI

PERSONAGGI

ABELE

AMINTA

ANATOLIO

CLOTILDE

EUDOSSIA

IRINA

IL CUSTODE

 (Un palcoscenico, su cui sono monta­te, alla meglio, delle strane scene di stile estremamente moder­no. Nell'insieme, es­se vorrebbero rap­presentare una spe­cie di salotto, con una terrazza, nel fon­do, a cui si accede per mezzo di due ampie aperture irregolari. Porte a destra e a sinistra. C'è una tavola, nel mezzo, analoga alla scena; intorno ad essa e vicino alle pareti, alcune sedie e alcuni mobiletti. Di questi ultimi, uno o due sono disposti sul proscenio, come appoggiati alla quarta parete, invisibile, che completa la stanza. An­che qualche quadro e un orologio pendono come appesi a questo muro inesistente e lo spettatore della platea ne vede la parte di dietro).

All'alzarsi della téla, il palcoscenico, illuminato debol­mente, è vuoto. Si ode il rumore confuso di un litigio in cui si mescolano una voce femminile aggressiva artico­lante rapidissima parole incomprensibili e una voce d'uomo che emette dei rochi brontolìi indistinti.

Abele entra da destra, come appena venuto di fuori; ha cappello ed ombrello ed è carico di pacchetti. Subito allarmato, ascolta il rumore dell'alterco e si precipita verso le porte di sinistra.

Abele                          -  (traversando la scena) Che c'è?... Che suc­cede?... Ma che cosa è successo?... (Esce da sinistra e la sua voce risuona dietro le quinte) ...Beh?! Irina, che vi piglia?...

Irina                            - (strillando da dietro le scene) Che mi piglia? Mi piglia che le sue belle idee, caro signorino...

Abele                          - (dietro le scene) Piano!... Piano!... Il Custode (dietro le scene) Non sente ragioni... (Entrano in scena Abele, Irina e il custode. Irina, una tipica serva di casa borghese, sta rabbiosamente toglien­dosi il grembiule, e, intanto, strilla, rivolta ad Abele. Il custode segue i due, dinoccolato, scotendo la testa; egli indossa ancora la sua vecchia divisa).

Irina                            - Non sento ragioni?!... Lei dice: «piano! »...? Ma per chi mi prendono? Per una povera mentecatta? Io dovrei far da mangiare in una cucina di cartone, con una lampadina rossa al posto del fornello?...

Abele                          - Ma no!... Non dico questo!... Soltanto... ci vuole un po' di spirito d'adattamento... Ci vuole...

Irina                            - Ci vuole un bel coraggio a proporre a una famiglia rispettabile un alloggio come questo...! Io non ho mai visto niente di simile!... Neanche nelle case più moderne... quelle che si pagano a rate!... Se è uno scher­zo, non tollero scherzi!... Oggigiorno gli scherzi non li tollera più nessuno... neanche la povera gente!

Abele                          - Ma no! Ma no!.... Non è uno scherzo...: è un ripiego

Irina                            - Altro che ripiego!... Una cucina di carta­pesta!...

Il Custode                   - Via! Via!... Non disprezzatela tanto, quella cucina! Se ne sono servite le nostre più grandi attrici, fino all'anno scorso...: la Kralinka in «Salsa pic­cante » e la Balkaina in « Amor tra i fornelli »...

Irina                            - Se serviva loro per farci all'amore!... Ma il lesso no! Non è possibile! E siccome io all'amore lo faccio a tempo e luogo e non tra i fornelli, così... (ad Abele) ... sa che cosa faccio?...

Abele                          - Avete poco da fare, Irina... Calmatevi: ho portato qui della roba con la quale si può mettere in­sieme un pranzetto freddo...

Irina                            - . Sì... lo so: pasticcini... panini ripieni... Ci vuol altro!

Abele                          - Ma no...

Irina                            - Ma sì. Vuole insegnarlo a me? E, poi, non c'è soltanto la cucina...: e la camera dove la mette? Ho chiesto della mia stanza... Ma qui stanze non ce ne sono: ci sono dei paraventi. E mi hanno condotta dietro un paravento che rappresenta degli alberi pieni di neve -Si figuri che gelo!

Il Custode                   - Ma se c'è il riscaldamento!...

Irina                            - lo parlo dell'impressione...

Il Custode                   - Quale impressione...? Nell'ultimo spet­tacolo, le ballerine di Varsavia danzavano in mezzo a quegli alberi completamente nude!

Irina                            - Io, per sua regola, vado in camera da letto per dormire e non per danzare completamente nuda!... (Ad Abele) Il letto, poi... Non le dico altro: non appena mi ci sono messa a sedere, si è spezzato in due! Non esagero mica: mezzo di qua, mezzo di là... ed io per terra!

Il Custode                   - (ridendo) Sfido!... (Ad Abele) E' il letto fabbricato dall'attrezzista per «Le disavventure del signor Fortunato ». E' una farsa molto divertente...: quando il grosso Poposky, che faceva Fortunato, si met­teva in letto e il letto si divideva in due, il pubblico si sganasciava dalle risa...

Irina                            - Ecco: invece, io non voglio far ridere nes­suno... e non ci dormo. Vado dai padroni e li faccio scegliere: o me o questa baracca inabitabile (ad Abele) inventata da lei!

Abele                          - Inventata da me? Cara mia...: in mancanza d'altro!... E' già molto che sia riuscito a...

Irina                            - Son cose che non mi riguardano! Qui non ci sto. E i padroni sceglieranno: o me...

Abele                          - (arrabbiandosi) I padroni vi metteranno alla porta!

Irina                            - Vedremo...

Abele                          - Tanto più che di voi ne hanno fin sopra i capelli!...

Irina                            - Di me?

Abele                          - Di voi, di voi! Me lo dicevano anche poco fa... Vi sopportano perchè, in questo paese, come non si trovano più abitazioni, non si trovano neanche donne di servizio...; altrimenti vi avrebbero già fatta filare da un pezzo...

Irina                            - Ah! Non sono più soddisfatti di me?

Abele                          - No davvero! Trovano detestabile il vostro carattere e pessimo il vostro modo di servire... In quanto alla cucina, li disgusta, semplicemente... Insomma, non vedono l'ora di liberarsi di voi.

Irina                            - Quand'è così, sappiano che io ho cento fa­miglie che mi richiedono... Da un momento all'altro, posso accomodarmi, se voglio, in un posto molto ma molto migliore!

Abele                          - E, allora, accomodatevi!

Irina                            - Sicuro che mi accomodo! E senza indugio, anche!... La mia roba, per fortuna, è ancora in casa della zìa Marta... Posso andarmene senza neppure aspettarli... Regalo loro perfino il mese di buonuscita! Arrivederla, caro signor Abele! E mi saluti i cari genitori della sua cara fiamma! E, soprattutto, mi saluti il suo bell'apparta­mento di cartapesta! (esce furiosa).

Abele                          - Era tempo! La famiglia della mia fidanzata è qui che arriva e, se quella pazza si metteva subito a spifferare la storia del letto... e quella della cucina... arri­vederci ai miei meriti per l'alloggio finalmente trovato in modo così brillante e straordinario! Se ci sono dei difetti, scapperanno fuori in seguito, ma, a prima vista... (si guarda intorno) ...dovrebbero ricevere una gradevole impressione... Questo salotto è carino... La terrazza...

Il Custode                   - Che cosa vuole che ci mettiamo, come fondale, nella terrazza? Una scena di bosco, oppure...?

Abele                          - (colpito da un'idea) Perbacco!... (si libera precipitosamente dei suoi pacchetti) Altro che fondale!... Ora che ci penso: bisogna rimpiazzare la serva... Irina mi avrebbe rovinato con la sua petulante presenza, ma anche la sua assenza li metterà terribilmente di cattivo umore!... Non sono ne così poveri ne così ricchi da sa­persi adattare... Come facciamo? (Al custode) Voi, amico mio, non avete un'idea?

Il Custode                   - Mah!... Non so... Non ho mai cercato serve... Conosco un'attricetta che faceva le « cameriere », quando le compagnie di passaggio ne avevan bisogno...

Abele                          - E non potrebbe...?

Il Custode                   - Ah! Ma, intendiamoci!, nulla più d'una filodrammatica! Però, ha il fuoco sacro...

Abele                          - Niente meglio! Deve fare anche da cucina!

Il Custode                   - E, poi, c'è un gran vantaggio: almeno, lei è abituata al palcoscenico!

Abele                          - E questo è ciò che più importa! Bisogna chia­marla subito...

Il Custode                   - Si telefona... (Abele corre verso un appa­recchio telefonico che fa bella mostra di se su di un mobiletto) No. Non con quello che è da scena... (dirigendosi verso una porta di destra e indicando fuori di essa) Con questo dei pompieri... (Esce. Si ode squillare il campanello del telefono e, subito dopo, la voce del custode che brontola qualche cosa).

Abele                          - Ebbene?

Il Custode                   - (di fuori) E' in casa...

Abele -                        - Ma che pretese avrà?

Il Custode                   - (c. s.) Oh! Non ha pretese. Lo fa per passione... (s'ode ancora il suo borbottio al telefono).

Abele                          - Allora?

Il Custode                   - (rientrando) Viene. Tra due minuti è qui. Sta di faccia.

Abele                          - Meno male! Come si presenta?

Il Custode                   - Ottimamente. Vedrà. E' graziosa. Sapesse recitare per quanto è graziosa! Invece, non ha saputo mai togliersi i difetti dei vecchi filodrammatici : il « birignao », la « carrettella »... Ma, per il servizio che deve fare, son bazzecole!

Abele                          - Appunto: bazzecole! Pensiamo, piuttosto, al fondalino della terrazza... Avete detto che ci sarebbe un bosco... Non avete dei monti?

Il Custode                   - Sì, sì: ci sono anche quelli...

Abele                          - La madre della gioia del mio cuore ama la montagna perchè vuol dimagrire...

Il Custode                   - E, allora...

Abele                          - Un momento. Il padre, invece, ama il mare perchè ha bisogno d'iodio. Ci sono due porte, su quella terrazza: perchè non mettere il mare da una parte e il monte da quell'altra?

Il Custode                   - Niente di più facile. I registi d'oggi­giorno fanno questo e altro. (Va a manovrare i fondalini che calano, ciascuno dinanzi alla corrispondente apertura. Durante la manovra il custode seguita a parlare) E per le luci? Ho diversi riflettori: in basso, in alto... Ve ne sono anche dei laterali. Si possono accehdere e spegnere usufruendo del piccolo quadro a leve che è nella cuffia del suggeritore... Vede?

Abele                          - Vedo, sì (esamina la cuffia).

Il Custode                   - C'è anche la leva che accende la platea e quella che comanda il sipario.

Abele                          - Ho visto. E' molto comodo...

Il Custode                   - Comodissimo. Si risparmia un elettri­cista e i passaggi di luce vengono meglio. Che carattere ha la madre della gioia del suo cuore? Vivace?

Abele                          - Sì. Vivace.

Il Custode                   - Vuole attenuarlo? Lei sa che la luce azzurra calma i nervi: la inondi di luce azzurra.

Abele                          - E' un'idea.

Il Custode                   - Il padre?

Abele                          - E' un uomo freddo: non si commuove mai. Calcolatore, materialista, « positivo », come dice lui...

Il Custode                   - Per accenderlo, luce rossa dal basso. E, in quanto alla ragazza: raggio color di rosa...

Abele                          - Dall'alto?

Il Custode                   - Dall'alto: come una pioggia di fiori di pesco... (Vedendo entrare Eudossia, che porta un fagot-tino sotto al braccio) Oh! Signorina...

Eudossia                     - (indicando Abele che s'indugia ancora intorno al quadro delle luci) Il regista o l'elettricista?

Il Custode                   - Il regista. Guardi: ce per lei, come le ho accennato, una buona parte di cameriera-cuoca...

Eudossia                     - In un dramma?

Abele                          - (avvicinandosi) No, no: in una famiglia bor­ghese, abbastanza agiata, che si trova momentaneamente senza persona di servizio...

Eudossia                     - E quando si recita?

Abele                          - Fra cinque minuti.

Eudossia                     - Fra cinque minuti? Senza prove?

Abele                          - Senza prove.

Eudossia                     - E dov'è la mia parte?

Abele                          - Non c'è, signorina...

Il Custode                   - Si tratta di recitare all'improvviso...

Eudossia                     - Senza suggeritore?

Abele                          - Senza suggeritore.

Eudossia                     - Ma è impossibile! Io...

Abele                          - Lei ha il fuoco sacro, signorina!... Per l'amor di Dio! Non mi crei delle difficoltà!... Non mi ab­bandoni!

Eudossia                     - Non abbandono mai nessuno, io! Sono gli altri che... Basta. Mi proverò. Ma ne avete delle belle, voi registi, veli! Tutti i giorni una nuova!

Abele                          - Siamo d'accordo?

Eudossia                     - Un momento. Spieghiamoci chiaro: im­provvisare non so e non posso..., ma ho tutto un reper­torio di battute, di ariette... Ne ho fatte tante di « came­riere»!... Metterò fuori quelle che mi verranno alla bocca, alla meno peggio... Poi, lei non si arrabbi, eh?

Abele                          - Ma neanche per sogno! Si figuri! Ho altre cose per la testa...

Eudossia                     - (mostrando il suo pacchetto) Vado a ve­stirmi...

Abele                          - Brava... Oh! Guardi... (indica i rinvolti che ha portato di fuori) Li porti pure di là: servono per il pranzo.

Eudossia                     - (prendendo i rinvolti) Va bene...

Il Custode                   - (indicando la strada a Eudossia e uscendo con lei da sinistra) Venga... andiamo...

Abele                          - (correndo verso destra e ascoltando) A tem­po! Ecco Ami coi suoi!... Bisogna aumentare la luce per rallegrare l'ambiente... (Si avvicina alla cuffia del sug­geritore) E mischiare un po' di giallo col bianco... (Ma­novra alcune leve: la luce si fai viva] e calda. A un tratto si accende la platea) Perbacco! La platea! (Spenge subito la platea e si allontana dalla cuffia) ...Bisogna che non se ne accorgano... Forse non è piacevole sapersi in piazza così... Meno male che il custode ha saputo truccare abba­stanza bene la... « quarta parete »...

(Entrano Clotilde, Anatolio ed Aminta', quest'ultima ha un viso ansioso e preoccupato; la madre è stanca e ner­vosa; il padre, invece, contento ed espansivo. Tutti e tre hanno delle valigette che depongono su dei mobili, en­trando).

Anatolio                      - (indicando Abele) Ah! Eccolo qua!

Clotilde                       - (ad Abele) Poteva anche venire ad aspet­tarci sulla strada!... E' un'ora che si gira in questo la­birinto...

Abele                          - (confuso) Scusi, signora... Credevo...

Clotilde                       - Uff!. Che stanchezza! (Fa per buttarsi a sedere su di una sedia. Abele corre a sorreggerla perché  non cada con troppa veemenza sul mobile troppo fragile) Che diavolo fate?

Abele                          - Nulla. Volevo aiutarla...

Clotilde                       - Io mi siedo benissimo per conto mio. E mi dà noia sentirmi toccare sotto le ascelle...

(E', intanto, entrato il custode che, premurosamente, sta aiutando Anatolio a togliersi il cappotto e a racco­gliere le valigette per portarle nelle camere da letto pre­parate a destra).

Abele                          - (ad Aminta, a mezza voce) Cara!... Final­mente!... Come va?

Aminta                        - (piano e con voce incerta) Bene... bene...

Abele                          - (c. s.) Sei turbata?

Aminta                        - (c. s.) No... no...

Abele                          - (c. s.) Eppure! Hai il viso sconvolto!... Ami!... Proprio oggi che ho potuto dimostrare ai tuoi di saper anch'io render loro' un servizio... Ma hanno sempre rite­nuto un buon a nulla e, ora che son rimasti senza alloggio...

Aminta                        - (c. s.) Taci... Non sono tranquilla... E, poi, non vedi come ci guardano?

Abele                          - (risovvenendosi della platea) Chi?

Aminta                        - (c. s.) Mammà e papà...

Abele                          - Ah! Credevo... (Vede Anatolio che gli fa cenno d'avvicinarsi) Vengo subito... (Ad Aminta) C'è tuo padre che mi chiama... (Corre vicino ad Anatolio) Dica, dica...

Anatolio                      - (piano, indicando il custode) E quello, chi è?

Abele                          - (forte, come presentando il custode) E' l'amico che mi ha permesso di offrir loro questa soluzione, oso dire elegante, del problema che li angustiava... E' il custode del teatro.

Il Custode                   - Dell'ex-teatro, signore... (Sospirando) Non ha potuto essere trasformato in cinematografo e si è chiuso... Un vecchio e nobile tempio dell'arte!...

Abele                          - (ad Anatolio) Quando loro mi hanno detto che non riuscivano a trovar casa, mi son subito ricordato del teatro, a cui, forse, nessuno pensava...

Il Custode                   - E, infatti, era libero... Qui, dove tutta la città è accorsa, in folla, ogni sera, per tanti anni, per godersi la vista di tanti appartamenti diversi, nessuno è venuto a chiedere alloggio. Eppure, è un buon locale ed ha il vantaggio di prestarsi a qualunque capriccio dei suoi abitatori; può cambiar d'aspetto ogni cinque mi­nuti... Permette tutti gli esperimenti... E' il tipo d'abita­zione più adatto alle esigenze moderne... l'ambiente ideale per gli uomini d'oggigiorno... Vedono questo salotto «novecento»? E' di loro gusto?

Abele                          - (ad Anatolio) Ha notato? Vista sul mare!... (indica la terrazza dalla parte del fondale marino).

Anatolio                      - Mi va! Mi va!...

Il Custode                   - Metta che domani non le andasse più... Ebbene: domani potranno aver qui un salone della Ri­nascenza o una camera da letto stile Luigi XIV, o una veranda stile Impero, oppure una casetta giapponese con le pareti trasparenti, color dell'aurora...

Aminta                        - (sorridendo) Che sogno!

Anatolio                      - Certo: è una comodità...

Clotilde                       - Ma è anche una bella complicazione! Una povera padrona di casa, alla mattina, oltre al pranzo e alla cena, deve pensare anche allo stile delle sue stanze?

Abele                          - (pronto) A proposito: vogliono dare un'oc­chiata alle... loro stanze?

Anatolio                      - i Senza dubbio... (Rivolto alla moglie) An­diamo, cara?

Clotilde                       - Vai, vai... Io non mi muovo di qui... Credo d'essere tutta reumatizzata!...

Aminta                        - (al padre) Vengo io...

Anatolio                      - Dove sono le camere?

Il Custode                   - (facendo strada verso destra) Di qua, signori, di qua...

Anatolio                      - M'interessa straordinariamente il mio letto... (esce da destra, con Aminta).

Abele                          - (piano, al custode) Non è mica di quelli che si dividono in due?

Il Custode                   - (ridendo) No. E' quello della « Signora delle camelie »... (Esce).

Abele                          - (si avvicina con precauzione alla signora Clo­tilde e le chiede con voce flautata) Ha visto la ter­razza, signora Clotilde?

Clotilde                       - Non sono mica cieca: l'ho vista (si toglie il cappello e lo getta su di un mobile).

Abele                          - Ha visto i monti? So che le piacciono tanto!...

Clotilde                       - Non quando ho i reumi... (Si sgancia la camicetta e agita le mani dinanzi alla bocca come se soffocasse) Ah! Ah!...

Abele                          - (si avvicina rapidamente alla cuffia del sugge­ritore e manovra il quadro delle luci inondando Clo­tilde di luce azzurra).

Clotilde                       - (sobbalzando) Che cosa fa?

Abele                          - Niente! Niente! Aggiusto l'illuminazione...

Aminta                        - (rientra sospirando) Ah!...

Abele                          - (correndole incontro, piano) Ebbene? La tua camera ?

Aminta                        - E' una meraviglia... ma... (sospira).

Abele                          - (disperato) Che cos'hai? Che cos'hai?... Mi ami?

Aminta                        - Ti adoro... Ma ho dei tristi presentimenti...

Abele                          - Non devi averne... che diamine! E' una cosa che scoraggia! Invece... (corre alla cuffia del suggeritore e fa piovere su Aminta una lieta luce rosata).

Clotilde                       - (con un nuovo sobbalzo) Ancora?... Non potrebbe smetterla con la sua stupida illuminazione a scatti? Mi urta i nervi in un modo!... (comincia a muo­vere rapidamente una gamba come per sfogare il nervoso. Abele corre a intensificare la luce azzurra).

Anatolio                      - (rientrando, seguito dal custode che reca una poltrona di vimini, rimane sorpreso e ammirato per il giuoco delle luci) Oh! Bello! Sembrate in un acquario! Le camere mi piacciono. Bizzarre, ma gradevoli. Io vado coi tempi... (si butta voluttuosamente a sedere sulla pol­trona che il custode gli porge) Ma, come sedili, preferisco quelli passati di moda... (infila in bocca un gran sigaro che il custode gli accende. Quindi il custode si ritira con discrezione ed esce da sinistra). Ah! Finalmente! Non ne potevo più della vita d'albergo! Maledetto albergo! Non si è mai soli! Mai soli! Non si può mai fare il proprio comodo! Non si ha mai la piacevolissima soddi­sfazione di potersi mettere un poco in libertà! (Si sbottona il panciotto e si apre il colletto). Evviva la casa! Anche una casa strana come questa! Ma chi guarda più alle stranezze? Ciò ehe non si capisce è bello: ecco tutto!...

Clotilde                       - (agra) Ecco perchè tanta gente trova tutto bello, nella vita! (Aminta sospira).

Abele                          - (ad Anatolio) Sono contento d'averle procu­rato una gioia così grande... E non ha visto tutto... Di là c'è la cucina...

Anatolio                      - Ah! Già! Avevo perduto anche quella!... E, con essa, i miei buoni pranzetti di famiglia... Squisiti!... A proposito, dov'è Irina?

Clotilde                       - Doveva venire prima di noi: scommetto che non è ancora arrivata!...

Abele                          - (impacciato) E'... è arrivata... ma poi... è an­data via...

Clotilde e Anatolio     - E' andata via?

Abele                          - Sì... Ha trovato un posto migliore e... si è licenziata...

Clotilde                       - (indignata) Ah! Questa, poi!...

Anatolio                      - (di malumore) Eccoci di nuovo in pa­sticci! Troviamo la casa... e se ne va la serva!

Aminta                        - (allarmata) Oh! Dio mio...!

Abele                          - Ma stiano tranquilli! Ho trovato subito da rimpiazzarla.

Clotilde                       - E con chi? Con una qualunque disoc­cupata che...

Abele                          - No, no: con una vera «cameriera». (Av­vicinandosi alle quinte di sinistra) Prego : la came­riera...

Eudossia                     - (entrando, in costume da cameriera da tea­tro) Il signor marchese ha suonato? (Dietro di lei entra il custode che resta vicino alla quinta).

Abele                          - No. Ho chiamato. Ma è lo stesso. Siete di scena. (Presentandole Clotilde e Anatolio) Ecco i vostri nuovi padroni. (Eudossia s'inchina, restando in posa).

Anatolio                      - (sorridendo) Non c'è mica male!

Clotilde                       - (che stava esaminando Eudossia da capo a piedi, richiamando il marito alla necessaria serietà) Anatolio!

Anatolio                      - (riprendendosi, a Eudossia) Che cosa sapete fare?

Eudossia                     - (recitando con affettazione) Oh! Dio! Signore: oso dire che me la cavo abbastanza bene, sia nel comico sia nel drammatico... Ho anche un po' di voce: canticchio. E se, poi, dovessi mettermi in abito da sera...

Abele                          - (interrompendola) Non avrete nessun bi­sogno di mettervi in abito da sera. Bisognerà, invece, fare un po' di tutto. (Specialmente rivolto a Clotilde) Non è vero, signori?

Clotilde i                     - Sì, è vero: fare di tutto, ma non cantare, perchè la musica mi dà l'emicrania... (A Eudossia) Come vi chiamate?

Eudossia                     - Mia.

Clotilde                       - «Mia»? «Mia» non è un nome!

Eudossia                     - E' il diminutivo del mio nome.

Clotilde                       - E qual è il vostro nome?

Eudossia                     - Eudossia.

Clotilde                       - Oh! Bella! Com'è che da Eudossia...?

Eudossia                     - Si arriva a Mia? Eh! tutti i miei amici mi hanno sempre chiamata Eudossia mia...! (sorride ad Anatolio che le sorride).

Clotilde                       - (gelida) Io vi chiamerò Eudossia e basta. Non posso soffrire i nomignoli... (Ad Abele) Anzi, a proposito, anche lei mi farà il piacere di non chiamare mia figlia Ami...

Abele                          - Non vorrà mica obbligarmi a chiamarla Aminta! «Aminta» è un errore! E' maschile... mentre sua figlia...

Clotilde                       - Non diciamo sciocchezze.

Aminta                        - E poi, Ami è più elegante, mammà... e si evita il ridicolo...: certi nomi, oggi, fanno ridere...

Clotilde                       - Tuo padre mi ha sempre chiamata Clo­tilde e io l'ho sempre chiamato Anatolio e non abbiamo mai fatto ridere nessuno.

Aminta                        - Perchè nessuno era lì ad ascoltarvi...: altrimenti!...

Anatolio                      - Beh! Veniamo al sodo. (Alla cameriera) Mia Eudossia...

Clotilde                       - (furiosa) Anatolio!

(Eudossia ride. Clotilde si volge, furibonda, verso lei, ma Abele, pronto, le accende dinanzi agli occhi un riflettore azzurro che le toglie la parola).

Il Custode                   - (dando a Eudossia un pizzicotto che rom­pe la sua risata, le dice, piano) Maledetto vizio di ridere in scena!

Eudossia                     - (ricomponendosi e inchinandosi dinanzi ad Anatolio) Agli ordini del signor barone!

Anatolio                      - Perchè barone, poi?... Beh! Dopo tutto!... Dite: ci sarebbe da poter fare subito almeno uno spun­tino?

Abele                          - Certo. La cameriera ha di là tutto quello che occorre per fare un ottimo spuntino.

Eudossia                     - (avviandosi per uscire e recitando con vi­vacità caricata e artificiosa) Sì..., sì...: è tutto pronto, signore! Il signore stia certo: non trascurerò nulla per far piacere al signore! Oh! No!... Oh! No!... (esce).

Il Custode                   - (uscendo con lei, piano, ad Abele) Vado con lei. Preparerò io. Stia tranquillo; ho la pratica: ho fatto sempre il trovarobe.!

Anatolio                      - (portando la sua poltrona vicino alla ta­vola) Eccoci nella dolce, nella cara, nella impagabile intimità di casa nostra! (Si leva la giacca, si sbottona il panciotto e, un po', anche i pantaloni, sul ventre ro­tondo. Poi si rimette a sedere in panciolle, accendendo la pipa e rivolgendosi a Clotilde) Che ne dici, vecchia?

Clotilde                       - (che è rimasta come ipnotizzata dal raggio dell'ultimo riflettore azzurro lanciato contro di lei da Abele, si volge verso il marito e, vedendolo in maniche di camicia, si leva presto le scarpe) Dico che senza scarpe starò, forse, un po' meglio... (Ad Aminta, indi­candole un guanciale su di una sedia) Mettimi quel guanciale sotto i piedi... Non ho proprio voglia di but­tare all'aria un baule per cercare le mie pantofole.

Anatolio                      - (guardandosi attorno) Eppure, mi piace questa luce multicolore: diverte la vista e serve di di­strazione! (Rivolto ad Abele che gli sta dinanzi come in attesa di parlargli) In quanto a lei, giovanotto, noi dobbiamo ringraziarla: e per merito suo che siamo sotto ad un tetto e dinanzi ad un desco.

Abele                          - Oh! Signor Anatolio, lei non può sapere quanto mi consoli e quanto mi dia coraggio questa sua benevolenza...

Aminta '                      - Caro papà: quanto sei buono!

Anatolio                      - Io non sono buono: sono una persona educata e, se qualcuno si adopera per me, lo ringrazio: ecco tutto!

Clotilde                       - Ecco tutto.

Abele                          - Capisco, ma io... io vedo le cose in modo diverso e... e, a questo proposito (ad Anatolio) vorrei parlarle seriamente.

Anatolio                      - Anch'io ho da parlarle molto seriamente.

Abele                          - (sedendosi vicino a lui) In tal caso...

(Entra Eudossia con un vassoio, nel cui centro troneg­gia un'aragosta di cartapesta. Intorno all'aragosta sono disposti pezzi di pollo, crostini e altre cibarie che Abele ha portato nei suoi pacchetti. Con Eudossia entra il cu­stode che porta piatti, posate, tovaglioli e una tovaglia che subito stende sulla tavola).

Eudossia                     - La signora contessa è servita. (Depone nel centro della tavola il vassoio, mentre il custode ap­parecchia).

Clotilde                       - Ma che cosa dice?

Anatolio                      - Niente che possa offendere... Oh! Guarda! Un'aragosta!

Abele                          - (stupito) Ma come? Un'aragosta?

Eudossia                     - E' finta. Ma il contorno è vero. Coman­dano altro? Non hanno che da suonare il campanello e subito accorrerò. (Esce con movimenti affettati, accom­pagnati da una mimica esageratissima).

Clotilde                       - Un'aragosta finta! Che idea!

Anatolio                      - Mica malvagia! E' fatta così bene!... Stuzzica l'appetito!

Eudossia                     - (tornando con delle coppe e una bottiglia che depone sul tavolo) Ecco il vino.

Anatolio                      - Vero?

Eudossia                     - Si. Vino comune, ma, siccome lo servo nelle coppe... (Mescendo il vino, si mette a cantare un'arietta da commedia musicale e segue il canto con un leggero passo di danza) « Lieto, spumante, - dolce, fragrante, - scende nel cuor, - con questo nettare, - il buon umor! - Le coppe brillano, - gli occhi scin­tillano, - ride l'amor! ».

Clotilde                       - Basta cosi! Quali espressioni! Che modo di servire! Vi ho già detto che la musica mi dà il mal di testa... Se, poi, vi mettete anche a girare intorno come un burattino, finirò per aver le vertigini! (Si passa le mani tra i capelli, scompigliandoli).

Eudossia                     - Scusi, eccellenza! (Ritirandosi) Io non ho che un desiderio: riuscir gradita a vostra eccellenza. Oh! Sì! Gradita...! (esce).

Clotilde                       - (addentando un crostino pescato nel piatto con le dita) Che razza di chiacchierona!

Abele                          - (ad Anatolio che beve a garganella) Dunque, signor Anatolio, noi dovevamo...

Anatolio                      - (dopo aver tracannato il bicchiere ed es­sersi forbito la bocca col dorso della mano) ... parlare: è vero. Parliamo pure. Io vorrei, signor Abele... (Clo­tilde, che beveva a sua volta, scoppia a ridere) Che c'è da ridere?

Clotilde                       - Niente...: dico che, in fatto di nomi, il signor « Abele » non ha proprio nulla da invidiare agli altri !

Aminta                        - (con un filo di voce) Io lo chiamo Bebé.

Anatolio                      - Che c'entri tu? Tutto questo non c'entra. (Ad Abele) Dicevo che non vorrei esser costretto1, pro­prio oggi, a doverle dire alcune verità che potrebbero sembrarle molto aspre...

Abele                          - Costretto? In che modo?

Anatolio                      - Ma... non so: lei, per esempio, ama mia figlia... e, in questo, non c'è niente di male...; lei vor­rebbe sposarla... e, anche in questo, nessuno può trovar niente di offensivo per noi...

Abele                          - E allora?

Anatolio                      - Metta, però, che lei voglia chiederci di acconsentire ufficialmente al vagheggiato matrimonio e di fissare una data alle nozze...

Abele                          - E' proprio ciò che stavo per chiederle,..

Anatolio                      - Ecco. Ma, giacché non l'ha fatto, accetti un consiglio: non me lo chieda.

Abele                          - Perchè?

Anatolio                      - Perchè dovrei metter fuori quelle verità che ho detto e mi dispiacerebbe, dopo averle esternata la mia gratitudine... Dia retta a me; desista.

Abele                          - Ma no! Non posso! Io voglio sapere, final­mente, qualche cosa di concreto...

Anatolio                      - Di concreto? Si figuri! E' il mio forte! Lei non ha un soldo; è figlio della vedova d'un eroe il quale, come sogliono fare gli eroi, non le ha lasciato un soldo; inoltre, non ha dinanzi a sé alcuna prospet­tiva di prossimi guadagni. Sono esatto?

Abele                          - Sfido! Comincio ora!... Ma sono un galan­tuomo...

Anatolio                      - E con questo?

Abele                          - Come « con questo »?Con questo, in avvenire...

Anatolio                      - Lasci stare l'avvenire che è sempre una fantasia e spesso una delusione... Io mi attengo all'og­gi: che può offrire, oggi, in latto di garanzie serie, un galantuomo come lei? Niente. Gliel'ho detto: niente!

Clotilde                       - Assolutamente niente!

Abele                          - E' falso! Ho tutto il mio amore, tutta la mia giovinezza, tutta la mia volontà di lavoro, tutta la mia onestà, tutta la mia rettitudine...

Clotilde                       - Bella roba per farsi una posizione!

Anatolio                      - Le solite bellissime parole da sciorinarsi in pubblico per farsi applaudire! Già, me lo avevano detto che lei ha tendenza a fare il tribuno! Oltre tutto, perde del tempo dietro alla politica...

Abele                          - i Oh! Ma io sono un «puro », sa!

Anatolio                      - Ed è per questo «he le ho detto che perde il suo tempo! Come lo perde a studiare e a scrivere cose di cui nessuno si occupa... e a far la corte a mia figlia... Eh! Sì. Perchè io non permetterò mai che si sposi con un uomo nelle sue condizioni... (Aminta scoppia in un pianto dirotto) ...sulle quali, come vede, la poverina piange sin d'ora! (Aminta si alza e va a piangere nella terrazza del fondo),

Abele                          - Ma io mi darò d'attorno...; cercherò...; mi sforzerò di accelerare la mia carriera...

Clotilde                       - Cosa vuol pensare alla carrriera, se non riesce a fare il primo passo?

Anatolio                      - E, poi, non è mica il tipo, lei, sa? No, no. Lei è troppo, come dire?, troppo idealista, troppo fantasioso e, nello stesso tempo, troppo scrupoloso... Ci vuol altro! Andiamo! Andiamo! Siamo pratici! Siamo positivi!... E, soprattutto, consideriamo le cose fredda­mente... (Abele, che si è già avvicinato alla cuffia del suggeritore, manovra una leva e lancia un raggio viva­mente rosso in faccia ad Anatolio). O questa? Che le salta?

Clotilde                       - E' tutta la mattina che si diverte con la luce così!

Anatolio                      - Bel modo, nel caso, di dimostrare la pro­pria serietà!

Abele                          - Non si arrabbi! Sia buono! Questa non è serietà: è regìa! Ed è per farle osservare che in questo mondo non ci sono soltanto i gelidi calcoli e la fredda ragione...: ci sono anche i valori morali, le forze dello spirito, le portentose energie della fede... Perchè non metterle al mio attivo?

Anatolio                      - Perchè chi ripone la sua speranza nella fede, finisce per chiedere la carità! Creda, con i mezzi che dice lei non si mette su casa... e non si aiuta nes­suno! Oggigiorno tutti abbiamo bisogno d'un aiuto! La vita è dura. Io stesso sento la necessità d'un valido ap­poggio: dove vuole che lo trovi se non me lo offre il matrimonio di mia figlia?

Abele                          - Ah! E' così? Dunque c'è in vista qualcuno che deve sostituirmi, non già nei cuore di quella povera disgraziata fanciulla... (si ode il singulto di Aminta) ... ma nel basso servizio degli sporchi interessi della famiglia?!

Anatolio                      - Badi come parla! Io non ho detto nulla che possa far credere...

Aminta                        - (dalla terrazza) Sì, sì: è proprio come dice lui! E so anche chi è il bel fidanzato che volete affib­biarmi: è il consigliere! Lo so! E' lui che vi ha pro­messo di adoperare la sua influenza per...

Clotilde                       - Vuoi stare zitta, tu?

Abele                          - Il consigliere? Ma no! Non è possibile! Quel vecchio...?

Anatolio                      - Ha un anno e mezzo meno di me! Non è così vecchio come sembra! E, poi, lei di che s'impaccia? Con qual diritto si permette di sindacare quello che pensiamo..., quello che sogniamo..., quello che facciamo, nel sacrario della nostra famiglia?

Abele                          - Sono io che gliel'ho procurato, il suo sa­crario!

Clotilde                       - L'abbiamo già ringraziato. Che vuole di più?

Anatolio                      - Partita chiusa  giovanotto! Completa­mente chiusa!

Abele                          - (con voce ferma e decisa) Quand'è così, mi scusino, ma è meglio vedere le cose sotto una luce diversa.

Clotilde                       - Ancora?

(Abele va, senza fretta, alla cuffia del suggeritore e abbassa una leva. Subito si accende la platea).

Anatolio                      - (esterrefatto, guarda il pubblico, impugnan­do una coscia di pollo che è rimasta a mezz'aria, nel tragitto dal piatto alla bocca) Ah!

Clotilde                       - (immobilizzata dallo stupore, mentre si stava grattando un polpaccio) Ah!

Aminta                        - (fissando il pubblico col viso lacrimoso pieno di spavento) Eh!

Anatolio                      - (con voce strozzata) Che... che... lavoro è que... questo?

Abele                          - Niente. Ho semplicemente acceso la platea.

Anatolio                      - La platea?

Abele                          - La platea, sì. Non ha preso alloggio in un palcoscenico? Dinanzi a ogni palcoscenico, sia pure ab­bandonato, c'è la platea, la quale è a disposizione del pubblico, dal momento che lei non ha preso' in affitto anche quella!

Clotilde                       - Il pubblico?

Anatolio                      - E non c'è niente, tra noi e...?

Abele                          - Cosa vuol che ci sia? Il loro salotto è una scena: manca, quindi, della «quarta parete».

Clotilde                       - (senza fiato) Allora... io... direi... di an­darcene subito... vìa... (si alza di scatto, ma si accorge di essere senza scarpe) Ohimè! (si infila precipitosamente le scarpe).

Anatolio                      - (accorgendosi, a sua volta, di essere tutto sbottonato e senza giubba) Uh! (Si chiude a precipi­zio i pantaloni, tenendoli stretti al ventre con la destra. Con la sinistra cerca di abbottonars.i il panciotto, coii grandissimo orgasmo, e non riesce a far combinare £ bottoni con le asole. Si abbottona con fretta tremebonda i pantaloni e, finalmente, si slancia sulla giubba e se la infila di colpo, come un giocoliere. Tanto luì che Clotilde restano in piedi, pronti a scappare, uno verso sinistra e l'altra verso destra).

Abele                          - Andarsene? Perchè? Sarebbe una fuga... po­chissimo dignitosa... Scappando, potrebbero far nascere il sospetto di aver qualche cosa da nascondere... No, no! Diano retta a me: tornino a sedersi e riprendano a man­giare... Piuttosto, io tornerò a spegnere la platea. Si re­cita meglio... Voglio dire: si vive meglio con la platea spenta (spegne la platea). Il buio sostituisce abbastanza bene la « quarta parete ». (Illumina di luce bianca vivis­sima il palcoscenico). Ecco fatto. Seggano, seggano senza timore... (Anatolio e Clotilde si tastano sul petto e sul collo e, mentre l'uno si rimette a posto, alla meglio, col­letto e cravatta, l'altra cerca di riagganciare la camicet­ta) ...Anzi: sediamo. (Vedendolo sedere, anche Anatolio e Clotilde si seggono, come automi, gettando sguardi impauriti verso la platea. Si sforzano di apparir disin­volti e contegnosi. Si sorvegliano. La loro posizione, a tavola, è esageratamente corretta; afferrano le posate e se ne servono, con palesissimo sforzo, per speluzzicare quello che prima divoravano. Bevono a punta di labbra, col mignolo ritto e gli occhi al cielo. Tutto questo non accade senza incidenti, che mettono i due disgraziati at­tori per forza in sempre maggior imbarazzo. Intanto, Aminta, senza parere, è scappata via, da destra; Abele osserva con calma soddisfatta i suoi due avversari e, dopo qualche momento, rompe il silenzio) Possiamo an­che riprendere la nostra conversazione, non è vero?

Anatolio                      - (come se non avesse udito) Eh?

Abele                          - Dicevo che potremmo continuare a discorrere dei nostri affari...

Anatolio                      - Ma certo... Perchè no? Per me... si figuri!...

Clotilde                       - (sorridendo ad Abele) An2i: perchè non prende qualche cosa? Gradisca, la prego... Senza com­plimenti !

Anatolio                      - Ma già! Prenda! Prenda!

Abele                          - Grazie.

Anatolio                      - Prego. Non c'è di che... (batte il coltello sulla coppa per chiamare la cameriera).

Eudossia                     - (accorrendo, con passo quasi danzante) Che cosa desidera, eccellenza?

Anatolio                      - (indicando Abele) Un piatto al signor... marchese...

Clotilde                       - Che ci fa l'onore di mangiare un boccone con noi... Via. Fate presto.

Eudossia                     - (canticchiando, nell'andarsene, un'arietta da commedia musicale) « Ognun sa che, in un attimo, - io corro, torno e vo! - Lei mi comandi e subito, - signor, la servirò! - (Sulla soglia) Larallallò! ».

Anatolio                      - (credendosi in dovere di cantare, anche lui)

                                    - Lallò!

Clotilde                       - (immaginandosi di non poter restare indietro senza vergogna) Lallò!

Eudossia                     - (concludendo lo. frase musicale e uscendo)

                                    - Lallarellò !

Anatolio                      - Chi ha la coscienza tranquilla ama di sentir l'allegria intorno a sé.

Clotilde                       - Una casa dove si canta è una casa di gente per bene.

Abele                          - Lo so. E non capisco perchè, in così liete condizioni di spirito (ad Anatolio) lei mi sconsigliasse di rivolgerle una domanda che mi sta molto a cuore...

(Eudossia entra ed apparecchia per Abele).

Anatolio                      - Io? Io le ho sconsigliato...? Perchè? Avrà capito male... Io non ho fatto che prospettarle le diffi­coltà che molti, troppi padri metterebbero innanzi se un giovanotto della sua condizione facesse a loro la richiesta che io supponevo volesse farmi... Ma noi ci van­tiamo...

Eudossia                     - Servito!... (Anatolio e Clotilde la guar­dano nella persuasione di dover ricominciare a can­tare...; ma la servetta, con un buffo inchino che fa sven­tolare la sua gonnella per di dietro, esce ancheggiando).

Abele                          - Ah! Dunque, loro si vantano...?

Anatolio                      - Eh?

Abele                          - Lei ha detto: «Noi ci vantiamo...». Di che cosa?

Anatolio                      - Di... di non aver pregiudizi vieti e stantii. Tanto è vero che non abbiamo impedito ad Amin..., ad Ami..., a nostra figlia Ami di contraccambiare i senti­menti di un uomo come lei... Non è vero, Clot..., Clot..., non è vero, Coclò?

Clotilde                       - - Oh! Certo. (Ad Abele, servendolo) Prenda quest'ala di pollo: è squisita!

Anatolio                      - (a Clotilde) Scusa, amica mia, ma dovresti ravviarti la chioma. Sei un zinzino struffata….

Clotilde                       - (sconvolta) Uh! Sai? Lo sgombero... (pet­tinandosi febbrilmente con un pettinino che ha tratto dalla borsetta) Scusa... (Ad Abele) Scusi... (Verso il pub­blico) Scusino...

Abele                          - (ad Anatolia) Lei parlava dei sentimenti che prova verso sua figlia un uomo come me: un uomo che non ha un soldo... non ha ereditato un soldo...

Anatolio                      - (a voce alta) Ma che è il figlio d'un eroe! Quale miglior retaggio della gloria paterna? E, poi, lei è un galantuomo..., lei ha voglia di lavorare...; lei farà strada! Molta .strada! Glielo dico io!

Eudossia                     - (entrando con un vassoio di dolci, seguita dal custode che porta nuove stoviglie) La signora è nuova­mente servita! (Il custode cambia a tutti piatti e posate).

Clotilde                       - Oh! Dei dolci! Ecco quello che ci voleva! (Al marito) Anà... Tolì... Lulù..., servi tu il signore. (A Eudossia, piano) E voi ditemi se sono ancora struffàta...

Eudossia                     - (ravviandole i capelli in modo bizzarro) Non molto... ma ora i suoi capelli stanno benissimo: fan­no « tipo » !

Clotilde                       - Grazie, Mia.

Anatolio                      - (afferrando a vólo Eudossia che fa per uscire, le sussurra) Guardate un po' com'è messa la cravatta...

Eudossia                     - Non c'è... (trovandola sotto il bavero della giacca e mettendola a posto) Ah! Eccola!... (Uscendo, chiede al custode che la segue) Che cos'hanno?

Il Custode                   - (uscendo, con disprezzo) Non riescono ne a vestirsi né a truccarsi... Dilettanti!

Clotilde                       - Ma dove è andata a finire Ami?

Anatolio                      - Non so... (Fa per alzarsi) Vado a cercarla...

Abele                          - No, no: è meglio che stia lontana per qual­che minuto ancora, giacché dovremo parlar di lei...

Anatolio                      - Sicuro, sicuro... Se lei lo desidera...

Abele                          - (riscaldandosi) Sì. Lo desidero. Amando sua figlia appassionatamente, ben sicuro di lei, voglio sapere se davvero dobbiamo sacrificare l'amore all'interesse di...

Anatolio                      - Di chi? Ma non ci pensi neppure! Vuole che io permetta il sacrificio della mia creatura?

Clotilde                       - Mai! Non lo permetteremo mai!

Abele                          - Anche se fosse rappresentato da un uomo ricco e autorevole che potrebbe esser loro indubbiamente utile, se amico?

Anatolio                      - Il consigliere? Ripensa alla favola del con­sigliere? Ma via! Un vecchione... assai più anziano di me !...

Clotilde                       - Può andarsi a nascondere, con i suoi inde­gni progetti!

Anatolio                      - E' ricco? Ebbene: la vera ricchezza d'un uomo sta nella sua gioventù e nella sua rettitudine.

Abele                          - Io sono giovane e illibato...

Anatolio                      - Dunque: è ricchissimo.

Abele                          - (Lei non può rifiutarmi la mano di Ami !

Anatolio                      - No. Non gliela posso rifiutare.

Abele                          - Non sono un poltrone! Mi prodigo per i miei simili, per la mia patria, disinteressatamente...

Anatolio                      - Ah! Lo sappiamo! Lei è un «puro », per grazia di Dio!

Abele                          - Dunque: debbono aver fede in me!

Anatolio                      - Per carità! Si capisce: la sua speranza è la nostra fede!

 Abele                         - E, poiché non siete usi a obbedire a dei bassi calcoli, sozzi di spregevole opportunismo, mi permettere­te di coronar senza indugio il più bel sogno della mia vita! (Si alza e leva la coppa, imitato dai suoi due com­mensali) Tra un mese le nozze! (prende a braccetto Ana­tolio e Clotilde e li porta sulla ribalta). Voi avete un animo generoso che traspare dai vostri volti commossi... Io mi sento felice di restare cosi, in mezzo a voi, come un figliolo! E la gente, che vedrà la mia gioia e quella di Ami, portata in trionfo dal nostro amore, applaudirà gli artefici di quel giocondo capolavoro! (Bacia in fronte Anatolio e Clotilde) Tra un mese le nozze!... Tra un mese faremo qui dentro una festa meravigliosa! Una serata di gala, tutta a nostro beneficio!... Voi ne pren­dete impegno con me e con... e con la « quarta parete », non è vero?

Anatolio                      - Eh! Si!

Clotilde                       - Sì! Sì!

Abele                          - Ecco un bel gesto, di quelli che tutti ammi­rano! (Chiamando) Ami! Ami!...

Eudossia                     - (entrando) Posso servire il caffè in giar­dino?

Clotilde                       - In giardino?

Anatolio                      - Ecco un'idea. La testa mi gira... Ho proprio bisogno d'un po' d'aria fresca. Andiamo in giardino!

Clotilde                       - (uscendo con lui, dietro a Eudossia danzante, e imitando goffamente la danza di lei) Vengo, Lulù!...

Abele                          - (accoglie Aminta sulla soglia di una porta di destra; ella appare truccata in modo bizzarro e subito si mette in posa, a imitazione delle dive teatrali e cinema­tografiche) Allegra! Allegra, Ami, allegra! Tutto è cambiato! Abbiamo vinto!... Vinto, cara! (vedendola as­sorta e assente) Che c'è? Che ti piglia? Tra un mese ci sposiamo...

Aminta                        - (con voce modulata) Ebbene? Non c'è pro­prio bisogno di entusiasmarsi tanto! Le nozze sono la tomba dell'amore!

Abele                          - (allarmato) Che cosa dici? Non ti capisco...

Aminta                        - (c. s.) Ah! Lo so: voi uomini non potete capirci..., non saprete capirci mai... mai...! Credevi dav­vero ch'io fossi la ragazzetta ingenua che ti ero apparsa sino ad ora? Disingannati, amico mio. (Guardando il pubblico) Io sono una natura d'eccezione e di spasimo... io sono...

Abele                          - (mettendole una mano sulla bocca) Sei una sciocchina che pretende investirsi della sua parte di prima attrice solo perchè sa che, dinanzi a lei... Ah! No! No! Se la quarta parete, in luogo di giovarmi, mi nuoce, la sopprimo e... chiudo il sipario. (Corre a manovrare una leva nella cuffia del suggeritore e torna ad abbrac­ciare Aminta, mentre il velario, lentamente, comincia a chiudersi) ...Così, te lo giuro, anima mia, tornerai subito, per me solo, al ruolo « d'amorosa », che ti sta tanto bene! (la bacia).

Aminta                        - Oh! Bebé!... Certo; se il sipario si chiude, non c'è nulla di meglio da fare!...

FINE