La ragazza di campagna

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LA RAGAZZA DI CAMPAGNA

LA RAGAZZA DI CAMPAGNA

Titolo originale: The country girl

Commedia in due parti e otto quadri

di CLIFFORD ODETS

Versione italiana di Mirella Ducceschi

PERSONAGGI

BERNIE DODD, regista

LARRY, direttore di scena

PHIL COOK, impresario

PAUL UNGER, commedio­grafo

NANCY STODDARD, ingenua

FRANK ELGIN, attore

GEORGIK ELGIN, sua moglie

RALPH aiuto per il camerino dell'attore Frank Elgin.


Commedia formattata da

PARTE PRIMA

QUADRO PRIMO

In un'atmosfera triste e ammutolita, tre uomini stanno, chi seduto, chi in piedi, sul palcoscenico spoglio di un teatro di New York. Il palcoscenico è pronto per una prova; delle seggiole sono sparse qua e là in un certo ordine che sta a indicare la demarcazione di una determinata scena. Tutta l'il­luminazione è fornita da un segnale luminoso e da una batteria. Giunge da dietro le quinte, una dolce musica trasmessa per radio, una canzone mes­sicana popolare, cantata da un tenore lamentoso ma insinuante. Bernie Dodd, il regista, fischietta in sordina la canzone. Paul Unger, l'autore della com­media, è a cavalcioni di una seggiola con le spalle al pubblico. L'impresario, Phil Cook, è assorto so­prappensiero; sta fumando una sigaretta. E' evi­dente che i tre uomini sono preoccupati.

Bernie                           - (a nessuno in particolare) Di dove viene questa musica? (Nessuno risponde. Bernie gironzola su e giù, infine si ferma davanti a Cook) Beh, al­lora? (La faccia di Cook si contrae; ma non ri­sponde. Entra da destra Larry, il direttore di scena e rispettosamente si rivolge a Bernie).

Larry                             - Devo trattenere la compagnia, Bernie? stanno aspettando.

Bernie                           - No, mandali via. Ma di' che si tengano pronti: può darsi che stasera alle sette ci sia una prova.

Larry                             - Bene. (Fa per uscire ma Bernie lo ri­chiama).

Bernie                           - Fa' aspettare Elgin!

Larry                             - Frank Elgin?

Bernie                           - Sì, voglio che aspetti. Da dove viene questa musica?

Larry                             - Dal camerino del trovarobe.

Bernie                           - Oh!... (Larry esce. A Cook) Beh, qual è il verdetto?

Cook                             - (a voce bassa) Come vorrei potermi rin­chiudere in una cassetta di sicurezza per qualche mese. (Bernie sbuffa ma educatamente. Unger si volta e reprime a stento uno sbadiglio. Cook guarda Bernie con aria preoccupata e risentita).

Cook                             - Bernie, mai visto un uomo avere un'idea peggiore della tua!

Bernie                           - (calmo) Caro Phil, sono seccato quanto te, ma un po' di realismo non guasta, tanto per ci­tare una delle tue espressioni favorite.

Cook                             - Cosa diavolo c'entra il realismo, col fare un'audizione a Elgin? M'hai preso per scemo? E perché non provare di già che ci siamo? (Nancy, una giovane «ingenua», entra molto timidamente da destra).

Bernie                           - (seccamente) Va' via, Nancy, abbiamo da fare.

Nancy                           - Scusi, signor Dodd. Ho lasciato la mia parte sulla sedia. Posso? (Bernie fa cenno di sì coni\ impazienza e resta a osservare Nancy mentre prende la sua parte e se ne va, dicendo) Scusatemi, scu­satemi tanto.

Cook                             - (con ira) Per Dio, Bernie, parola d'onore che non ti capisco!

Bernie                           - (freddamente) Cos'è che non capisci? Dopo quattro giorni di prove, Billy Hertz, il nostro primo attore, attaccandosi a un cavillo contrattuale, non è colpa tua naturalmente, taglia la corda per Hollywood con un bel contrattone per due film. Eccoci qua, senza primo attore. E dato che dobbia­mo debuttare a Boston il 28, siamo nei guai!

Cook                             - (impaziente) Tutto questo lo so.

Bernie                           - E allora lascia che faccia leggere ad Elgin la parte. Dodici anni fa, lo vidi in un Ric­cardo III da far venire la pelle d'oca alta così. (Bruscamente, urlando dietro le quinte) Chiudete quella porta e tenetela ben chiusa. (A Cook, irato) Non capisci, Cookie? Tutto quello che ti chiedo è di fargli leggere la parte.

Unger                            - (calmo) Ha ragione, Phil. Che ci costa, provare?

Cook                             - Va bene, fagliela leggere. E chi dice niente?

Bernie                           - (seccato, cammina su e giù) Ma non buttarmelo giù quando arriva.

Cook                             - Se non sbaglio, questo Elgin, l'hai già chiamato cinque settimane fa per la parte. Non an­dava allora e non andrà adesso.

Bernie                           - Ma gli ho affidato la controfigura del protagonista, sì o no?

Cook                             - E con questo?

Bernie                           - Con questo volevo dire che non mi sembrava il caso di chiudergli la porta in faccia. (Cook borbotta qualcosa) Cosa?...

Cook                             - Niente...

Bernie                           - (lo guarda, poi rapidamente corre dietro le quinte a destra) Larry, Larry!... (Larry si af­faccia da dietro le quinte, a destra) Di' a Frank Elgin, di venire qui! (Disgustato, Cook pesta il moz­zicone di sigaretta sotto la scarpa; ha sempre l'aria triste come se avesse perennemente il broncio; è per natura incerto e indeciso, ma non vuole ricono­scerlo. Unger ha trent’anni. E' generoso e aperto, semplice in tutti i sensi. Bernie Dodd è deciso e energico, pieno di elettricità. Ha 35 anni, è un regista quotato, ma alle prove è nervoso e irasci­bile. Di solito, però, il suo modo di fare è cordiale e leggermente guardingo. Per essersi in passato la­sciato trascinare dal sentimento, è diventato ora ta­citurno e diffidente, l'espressione del viso mantenuta impassibile, c'è in lui qualcosa di chiuso e di pensieroso che gli conferisce un'aria di indifferenza, come se non volesse più saperne né delle cose né delle persone. In realtà è un atteggiamento di di­fesa che si. rivela in quella che potrebbe sembrare la grande qualità di essere obbiettivo e impersonale, come se uno lavorasse con un cacciavite su di un freddo pezzo di macchinario. Ma naturalmente que­sta maschera d'impersonalità non è che un atteggia­mento. In questo momento Bernie, come al solito, passeggia nervosamente su e giù. Larry ritorna con Frank Elgin, un attore di 50 anni, il cui attuale stato di abbattimento e di miseria, non nasconde una certa distinzione e una certa personalità. E' nervoso ma ciononostante si comporta da quell'im­portante attore che era un tempo. E' in piedi e a disagio, ben conscio che tre paia dì occhi sono fissi su dì lui).

Frank                             - Mi voleva, signor Dodd?

Bernie                           - Sì, Frank, si sieda. (A Larry) Hai man­dato via gli altri?

Larry                             - Sì, signore.

Bernie                           - Frank, voglio che lei mi faccia un fa­vore. E non tanto a me quanto al nostro impre­sario e al signor Unger, l'autore. Ci legga la parte del giudice Murray.

Frank                             - Billy Hertz ha preso il volo, eh?

Bernie                           - (ignorando l'osservazione) Non che io le possa promettere niente...

Frank                             - (imbarazzato e nervoso) Perché vuole che la legga io?

Cook                             - (tetro) In genere, perché si fa leggere una parte?

Bernie                           - (urlando verso sinistra) Ehi, Jack! O chiudi la radio o chiudi la porta! (Gentilmente a Frank) Legga la parte, Frank.

Frank                             - Sì sì... Va bene... (Resta immobile e tutto il suo atteggiamento è così lento e riluttante che indispone Cook. La musica cessa).

Cook                             - Naturalmente lei rifiuterebbe la parte, se glie l'offrissimo, vero?

Frank                             - (umilmente) Io non ho detto niente, si­gnor Cook. Se volete che legga...

Larry                             - Che scena, Bernie?

Bernie                           - (a Larry) La scena della rivelazione, alla fine del secondo atto; trovagli il punto e poi aspetta fuori, cocco.

Cook                             - Tutta sfasata la gente di teatro!

Larry                             - Devo dargli la battuta? (Ha preso in mano il copione e sta per porgerlo a Frank).

Bernie                           - (seccato con Cook, prende il copione dalle mani dì Larry) No, faccio io. (Larry trova sul copione il punta desiderato, lo mostra a Frank ed esce. Con la parte in mano, Frank sul -momento sembra imbarazzato, attraversa il palcoscenico e va a gettare la sigaretta in un secchio).

Bernie                           - La prenda con calma, Frank. Non pre­tendo una recitazione vera e propria. Sieda, cam­mini, faccia quello che vuole. Trovato il punto? Frank    - (sollevando il copione, tentando dì fare dello spirito) Sì. Sembra la guida del telefono.

Bernie                           - Possiamo cominciare da... Bert è già en­trato... lì, dove il giudice dice... « Non vi chiedo di sedervi... ». (Tentando di nascondere la propria agitazione, Frank passeggia su e giù cercando la luce migliore per leggere).

Frank                             - « Non vi chiedo di sedervi perché non voglio pidocchi sulle mie poltrone». Questo?

Bernie                           - Sì. (Continuando a leggere) « Non credo che saranno vostre ancora per molto, queste pol­trone, giudice Murray! ».

Frank                             - « Mi vorrete spiegare questo atteggia­mento da spaccone che avete preso. Cosa vi credete, voi mocciosi del Partito Riformatore? Non durerete più di un cono gelato da dieci cents, ve lo dico io!, È adesso uscite, prima che vi cacci fuori a calci! Vi ho fatto entrare solo perché conoscete Ellen! ».

Bernie                           - « Protesto! ».

Frank                             - «Mai quanto me...». (Si muove nervo­samente sotto le luci) Cosa dice qui? Non capisco! (Poi) Ah!... (Riprende a leggere) « Mai quanto me per avervi qui, piccolo bastardo che non siete altro! ».

Bernie                           - « Non lascerò che restringiate questa di­scussione a dei fatti personali! C'è ben altro in! ballo! ».

Frank e Bernie              - (leggono insieme la stessa battuta) « Io rappresento la volontà di migliaia dei no­stri migliori... ».

Bernie                           - No, questa è la mia battuta, Frank.

Frank                             - (timidamente) E' nella mia parte. Leggo male... voglio dire che la luce... Hertz ha sotto­lineato tutto...

Bernie                           - (impaziente) Vada avanti! Non si fermi!

Frank                             - Non posso. Mi dispiace. Continuo a dir­mi: fermo con le mani, ...ma tremano ugualmente come una foglia.

Bernie                           - Riprenda di dove abbiamo interrotto. « Io rappresento la volontà di migliaia... ». (Frank os­serva di sottecchi Bernie e Cook, poi abbassa gli occhi e scuote il capo).

Bernie                           - Che c'è?

Frank                             - E' inutile, signor Dodd. Non valgo una cicca quando leggo a prima vista. E' sempre stato così. La ringrazio per l'offerta, ma non c'è niente da fare. (Si allontana con amara dignità e va a posare la parte sul tavolo).

Bernie                           - (a Unger) Dagli un copione pulito, Paul.

Frank                             - (con aria infelice) A che servirebbe? Lei è stato molto gentile, Dodd. Mi ha cercato, mi ha affidato la controfigura... apprezzo molto quanto ha fatto per me, ma... (ha porta fuori scena viene aperta e si sente la musica).

Bernie                           - (furibondo, urlando verso le quinte) Che Dio vi protegga al modo che penso io, non siete capaci di tener chiusa quella porta? Chiusa, ho detto! (Getta il copione sul tavolo e si volta) Non è possibile che mi sbagli Frank; un vero attore lo riconosco a prima vista. Lasciamo perdere quel dannato copione! Improvvisiamo la scena! Recitiamo la situazione soltanto, non la scena scritta dall'au­tore.

Frank                             - In che modo?

Bernie                           - Ad libitum, Improvvisi!

Frank                             - Stia a sentire, signor Dodd. Io non li ho mai fatti questi giochetti alla Stanislavski.

Bernie                           - Lasci perdere. Mi stia a sentire: io sono un ragazzo ingenuo e presuntuoso. Voglio spo­sare sua nipote e lei, suo nonno, non vuole. Questa è la situazione. (Comincia a passeggiare su e giù scostando gli altri; in breve prende a camminare in­torno a Frank, come un torero intorno' a un ani­male indifeso, quale Frank appare per il momento. poi, rabbiosamente): «Non lascerò questa casa fin­ché non avrò la vostra risposta! E' inutile che chia­miate la servitù. La prenderò a calci!».

Frank                             - «Cosa... cosa volete?».

Bernie                           - «Voglio sposare vostra nipote e voi volete impedirmelo! ».

Frank                             - « E perché dovrei lasciarvi sposare mia nipote?». (Ansiosamente) Giusto? (Poi:) «Chi dia­volo siete voi per irrompere in questa casa come un uragano?».

Bernie                           - « Vi rifiutate di rispondere al telefono e quindi eccomi qui ». (A poco a poco essi scivo­lano in una vera scena drammatica. Frank sempre fermo al suo posto finché a un certo punto comincia a seguire Bernie dovunque egli si sposta, e rapi­damente cominciano a battere sul tavolo).

Frank                             - « Di solito sta a me decidere se rispon­dere o no al telefono. E quanto a Ellen, quanto a lei... potete andare all'inferno! ».

Bernie                           - « Provate a ripeterlo!... ».

Frank                             - « Certo che lo ripeto e lo ripeterò ancora, ancora e ancora! E' questo che volete? (Improvvisa­mente collerico) E adesso andatevene prima che vi spacchi la testa! ».

Bernie                           - « Dobbiamo fare una lunga chiacchie­rata, Frank»..

Frank                             - (con tutt'altra voce molto più bassa) « Par­leremo, parleremo, figliolo, così capirò finalmente cosa avete in testa ».

Bernie                           - (beffardo) « Non v'illudete di fermarmi, Frank».

Frank                             - (ironico) « Oh sì che vi fermerò, Dodd, e come se vi fermerò dovessi morire un momento dopo! Non mi sottovalutate. Non ho ancora inco­minciata la battaglia. E...».

Bernie                           - « Mi dispiace per voi, ma la prossima set­timana vi vedremo in prima pagina! ».'

Frank                             - (rabbiosamente) « Un momento! Un mo­mento! Che diavolo state dicendo?... Spiegatevi! ».

Bernie                           - « Sono il Capo del Comitato Apolitico Cittadino, se non lo sapete». (Frank, realmente, re­citando, ora, lo guarda incredulo e poi scoppia in una risata che deve interrompere per un accesso di tosse).

Frank                             - « Ellen lo sa? ».

Bernie                           - « Glielo dirò stasera».

Frank                             - (gongolando) « E' proprio quello che vo­levo! Perdio! Voglio proprio che li sappia i vostri piani, mi voglio mettere ad ascoltare dietro la porta quando glieli direte! ».

Bernie                           - (non recitando) Ottimo, Frank! E ora cambia tono. Ha perduto tutto. Dov'è Ellen?... Non la vede da due giorni, lo ha abbandonato.

Frank                             - (diventando pensieroso e assorto) « El­len?... Dov'è Ellen? Non la vedo da due giorni... ». (Si era seduto, ma ora lentamente si alza, scuote il capo, mostra per la prima volta la sua preoccupa­zione e il suo nervosismo) « E'... è in casa mia fi­glia?...». (Si volta e cammina come un vecchio) « Fio tanta fiducia in lei». (Ironico) « Se non sbaglio vi ho chiesto di andarvene un momento fa». (I due uomini sono di fronte, in piedi. Ora, dopo una pausa, Ber­nie esce dalla scena).

Bernie                           - (con ammirazione) Perfetto, Frank! Così recitava prima! (Ma Frank, mentre Bernie guarda Cook con aria trionfante, continua la scena con for­za e amarezza, gettando il suo cappotto in faccia a Bernie).

Frank                             - « E adesso andatevene di qui! Non guar­datemi in quel modo. Nessuno vuole la vostra pietà o il vostro aiuto! Che soddisfazione può dare la vostra fredda pietà in un mondo senza calore? Werba fu un grand'uomo ai suoi tempi, così dicono tutti i perdigiorno. Werba ha fatto milioni, ma il ra­gazzo prodigio vive coi parenti ora! Dicono... Ed ecco che voi venite qui e mi dite: Signor Werba, andrete in prigione fra un mese... Beh, lasciate che ve lo dica, Werba non lascia il suo nome per pren­dere un numero! Werba è ancora un grand'uomo! Ha fatto del mondo un suo impero prima di avere trent'anni e vivrà tanto da rifarlo! E quando sarà il momento - ascoltatemi bene - non mi dimentiche­rò mai di quelli che mi hanno rovinato! ». (Frank ha parlato direttamente a Bernie che si è seduto al tavolo con le spalle al pubblico. Ora Frank sospira profondamente ed ha un certo aspetto imponente e maestoso).

Bernie                           - Era l'ultima battuta dei « Milioni di Werba», no?

Frank                             - Sì... (In piedi si strofina le mani e scuote il capo come se si sentisse intorpidito. Dà l'impres­sione di rientrare lentamente in un mondo freddo e misero) Mi è tornata in mente...

Bernie                           - (dando un'occhiata agli altri, gentilmente a Frank) Frank, mi può aspettare fuori? Due minuti, in uno dei camerini, per favore...

Frank                             - Sì, aspetterò... (Esce da destra).

Bernie                           - (si unisce agli altri, reprimendo a stento la propria soddisfazione) Beh, che ve ne pare?

Unger                            - Se dici a me, non credevo ai miei occhi. Dove la nascondeva quel povero diavolo tutta quel­la forza drammatica?

Cook                             - E' il terzo lavoro che facciamo insieme, Bernie... ti conosco bene, ormai. Quando ti metti in testa una cosa...

Bernie                           - Ma quella scena non parlava da sola?

Cook                             - E cosa diceva? Forse che cinque minuti di improvvisazione possono garantirti che potrà impa­rare a memoria e recitare centoventi pagine? Cerca di ricordare che questa parte vale settantamila dol­lari, e che lui è rimasto fuori uso per più di dieci anni!

Bernie                           - (tranquillo) Ci fu uno che un giorno rischiò con una tale Laurette Taylor, e guarda un po' che razza di attrice è diventata ora.

Cook                             - Ma quell'uomo è un ubriacone!

Bernie                           - Shhhh, non voglio che ti senta. Parla piano. (Pausa).

Cook                             - Senti, anche tu hai il 20 per cento su que­sto lavoro! (A Unger) E tu che sei l'autore, non sei preoccupato?

Unger                            - (prontamente) No, se non preoccupa Bernie.

Cook                             - (sul momento, interdetto, esita prima di vol­tarsi) Che ne direste di Ray Newton? E' ancora disponibile.

Bernie                           - (duramente) Non lo voglio, Ray New­ton! Per me non è niente.

Cook                             - Beh, e cosa credi ci caveremo da que­sto qui?

Bernie                           - Non lo so.

Cook                             - (stupefatto) Non lo sai?

Bernie                           - E come diavolo posso saperlo? (Traccia dei segni nell'aria). E' una grossa incognita! Credi non mi renda conto di cosa significa avere a che fare con un alcoolizzato?

Unger                            - (sorridendo fra sé) Parla piano.

Bernie                           - Andiamo in scena a Boston fra tre setti­mane e due giorni. Dovrò stargli dietro e non per­derlo d'occhio un minuto. (Sbuffa) Bel divertimen­to! Anche mio padre beveva, so già cosa vuol dire. (Si volta verso Unger) Ma se ce la faccio, preparati ad assistere a qualcosa che succede ogni vent'anni!

Unger                            - (impressionato) Se lo dici tu, lo credo.

Cook                             - E tu preparati a rammollirti il cervello.

Bernie                           - Possiamo aspettare finché non sappia la parte a memoria. La stagione è appena agli inizi.

Cook                             - Ma io no.

Bernie                           - E allora che vuoi fare? Rimandare? (Ri­spondendo a se stesso) Rimandiamo!

Cook                             - (sgomento) E come si fa a rimandare?... Abbiamo già speso ventimila dollari. Le scene sono state ordinate, abbiamo firmato l'impegno col teatro.

Bernie                           - (rapidamente) E allora cosa vuoi fare?

Cook                             - (esitante) Potremo... cercare qualcun altro mentre lo facciamo provare?

Bernie                           - (fermamente) No, questo no. Una volta preso, non lo possiamo mandar via senza un vero motivo. Una sbronza è un motivo. O se non impara la parte. E bada bene che voglio scritturarlo per tutta la stagione, non per due settimane soltanto! (In fretta) Avrò bisogno di tutta la sua fiducia, Cookie. Se gli diamo un contratto di due settima­ne, capirà che possiamo mandarlo via quando vogliamo.

Cook                             - (indignato) Nossignore! Niente contratto per tutta la stagione al signor Elgin! Preferirei ani darmene in vacanza...

Bernie                           - (lo interrompe prendendolo per un braccio e costringendolo a voltarsi. Calmo) Va bene, Phil : contratto di due settimane.

Cook                             - (turbato, dopo una pausa) Quanto lo pa­ghiamo?

Bernie                           - Non so, duecento la settimana. (Una pausa. Cook è d'accordo ma non risponde. Il trova­robe ha riaperto la porta e la musica giunge di nuo­vo) Ma ricordati bene, Phil, non lo mando via senza un vero motivo.

Cook                             - Uhmm...

Bernie                           - (voltandosi a Unger) D'accordo, Paul?

Unger                            - Uhmm... (Leggero ed equilibrato come un ballerino, i gesti e gli occhi di Bernie comincia­no a mandare faville; il suo atteggiamento è quello di una persona in tensione ma calma ed espres­siva).

Bernie                           - Io sono uno di quei matti che ha sen­tito Laurette Taylor in « Zoo di vetro » otto volte, Ora... può darsi che anche qui... Non dico tanto, ma... certo ho bisogno della vostra collaborazione. (Va verso destra e chiama) Frank! Frank Elgin! Ehi, Frank! (Larry entra da destra mentre Bernie comin­cia a passeggiare impazientemente).

Larry                             - Voleva il signor Elgin?

Bernie                           - (tornando indietro) Sì, fallo entrare.

Larry                             - Se n'è andato.

Bernie                           - Come sarebbe a dire, se n'è andato?

Larry                             - Se n'è andato cinque minuti fa.

Bernie                           - (impaziente) Dove? A prendere il caffè? Cosa?

Larry                             - Ha preso il cappello e se n'è andato Bernie. Non ha detto niente. (Il viso di Bernie si contrae in una smorfia. Cook sorride sotto i baffi).

Bernie                           - Vado a ripescarlo. (Fermandosi e poi ri­prendendo a camminare, esce).

Cook                             - (amaro) A ripescarlo! In quale dei tanti bar della diciottesima strada? (Esce, scuotendo il capo, seguito da Unger).

QUADRO SECONDO

La camera ammobiliata di Frank, a Manhattan, qualche momento dopo. L'aspetto di essa è molto misero. Rischiarata da una sola lampada e da una piccola finestra non è possibile capire, in quella stanza, se fuori è pieno giorno. Al centro, un letto di ferro; a destra un cassettone ed un armadio; in fondo a destra, in un'alcova, c'è una piccola cu­cina elettrica. La radio è accesa e trasmette della musica. E' chiaro che la moglie di Frank, George Elgin, sta facendo due cose : soffrendo per un acuto mal di denti, e facendo la valigia. Bussano alla porta. Geòrgie si volta.

Geòrgie                         - Sì, sì, abbasso... (Invece di aprire la porta, chiude la radio. Svogliata e indolente, ri­torna a prendere un vestito appeso ad una stampella e lo esamina attentamente. E' sorpresa di sen­tire di nuovo picchiare. Resta in piedi soprappen­siero e infine chiede) Chi è? Voce di

Bernie                           - Ce il signor Elgin?

Geòrgie                         - Un momento... (Mette alla rinfusa il vestito nella valìgia, la. chiude frettolosamente, e la nasconde sotto il letto. Sistema la coperta sul letto, poi stancamente va alla porta e l'apre) Si...?

Bernie                           - (sulla soglia) C'è il signor Elgin?

Geòrgie                         - No, non so quando tornerà.

Bernie                           - La signora Elgin?... (Essa annuisce) Vo­levo parlare con Frank.

Geòrgie                         - Non so quando tornerà, sta provando in teatro, sa...

Bernie                           - (seccamente) Aspetterò. E' importante. (Si è spinto dietro di lei ed è entrato nella stanza. Essa lo guarda con aria piuttosto stupita e soltanto quando Bernie a sua volta la guarda, essa pare rien­trare in sé, sussultando).

Geòrgie                         - Stavo appunto pensando di fare un caffè... (Mettendosi vagamente all'opera, essa si vol­ta di nuovo a guardare Bernie, domandandosi chi possa essere. Poi, tanto per chiacchierare) Piove molto fuori?

Bernie                           - Non piove affatto.

Geòrgie                         - No...? Avevo la sensazione che pio­vesse. Fa freddo fuori... l'estate è finita così brusca­mente, vero?... Uno, qui, potrebbe addormentarsi e non svegliarsi fino al giorno del Giudizio Uni­versale.

Bernie                           - (che ha preso appunti in un libretto) Che profumo è questo? Incenso?

Geòrgie                         - E' per non sentire gli odori del risto­rante di sotto.

Bernie                           - Io preferirei quello del ristorante, forse...

Geòrgie                         - Usano sempre certi nomi esotici... Le­gno di sandalo, Wisteria... questo qui si chiama Cobra.

Bernie                           - Attenta che non la strangoli. (Sbuffa).

Geòrgie                         - (sorride, poi bruscamente chiede) Ho la faccia gonfia?

Bernie                           - No.

Geòrgie                         - Ho un brutto mal di denti. Va d'ac­cordo col tempo anche lui. (Si avvicina a Bernie) Lei non ha l'aria dei soliti amici di Frank.

Bernie                           - Sono il regista della commedia in cui sta lavorando.

Geòrgie                         - Oh! Lei è... com'è il nome?

Bernie                           - Bernie Dodd.

Geòrgie                         - (fissandolo) Dodd... E' ancora più gio­vane di quanto mi aspettassi!

Bernie                           - (maliziosamente) A questo punto, di solito si pronuncia una battuta galante...

Geòrgie                         - La diverto, vero?

Bernie                           - (guarda impaziente l'orologio) No, ma si comporta come una vecchia signora e non lo è.

Geòrgie                         - (va a prendere una sveglia sul cassettone) Che ore sono?

Bernie                           - Mezzogiorno meno venti.

Geòrgie                         - Tre orologi, una radio e non so mai che ore sono. (Si volta) Le dodici e venti? (Bernie, che si è avvicinato ad osservare una fotografìa, la corregge)

Bernie                           - Meno venti. (Altro tono) Bella questa fotografia di Frank. E' recente?

Geòrgie                         - (ha rimesso la sveglia, poi la posa di nuovo sul cassettone) No, è di molto tempo fa; l'anno che ci sposammo. Andammo a Hollywood quell'anno.

Bernie                           - (sorpreso) Frank ha fatto del cinema?

Geòrgie                         - Per un anno o due, ma non ingranava. Tutti erano gentilissimi, ma non riuscì ad affer­marsi e così venimmo via. (Accenna a un'altra foto­grafia, con aria sarcastica) E questo è mio padre. Vengo dalla campagna, io. (A Bernie, rifiutando una sigaretta che le offre) No, grazie. (Va a prendere una bottiglietta dì lozione per le mani e se ne versa qualche goccia sul palmo che poi strofina) Che strano... credevo proprio che piovesse! Ho le mani intirizzite.

Bernie                           - Di solito, Frank viene direttamente a casa?

Geòrgie                         - A meno che non si metta a sedere sul pianerottolo. (Bruscamente) Qualcosa che non va?

Bernie                           - Frank beve ancora?

Geòrgie                         - (improvvisamente guardinga ed- evasiva)  Esattamente come noi, anche lui ha una bocca e cinque dita della mano. (Scorgendo lo sguardo iro­nico di Bernie) Cosa credeva avessi potuto rispon­dere, signor Dodd?

Bernie                           - Touché.

Geòrgie                         - (che non ascoltava) Come?

Bernie                           - Touché. Vuol dire...

Geòrgie                         - (interrompendolo) Andiamo. Lo sanno tutti cosa significa «touché».

Bernie                           - (leggermente seccato) Cosa stiamo fa­cendo, la gara a chi arriva primo? (Accenna col dito ad alcuni libri) Chi li legge quei libri?

Geòrgie                         - (freddamente) Li prendo in prestito ad una biblioteca circolante.

Bernie                           - Balzac, Dreiser, Jane Austen... (Sorride) Non le chiedo se le piacciono, perché ho paura che mi salti agli occhi.

Geòrgie                         - (con aria assorta) Mi piacciono. Ma vorrei sapere perché è venuto qui. Mi rende ner­vosa e questo non mi piace. Cos'è successo a Frank? (Frank entra e si ferma scorgendo Bernie : un uomo molto deciso e un uomo molto indeciso sono ora di fronte).

Bernie                           - Che è successo?

Frank                             - Sono uscito a far due passi...

Bernie                           - L'avevo pregato di aspettare.

Frank                             - (dopo una pausa) C'è un po'. di caffè, Geòrgie?... Fai un po' di caffè... (Geòrgie va alla caf­fettiera, senza abbandonare con lo sguardo Frank).

Bernie                           - Non ho tempo da perdere, Frank.

Frank                             - (imbarazzato) Cosa vuole che faccia?

Bernie                           - Voglio che si decida, che faccia quella parte.

Geòrgie                         - Non sono che una innocente spettatri­ce. Non uccidetemi se vi chiedo di che si tratta.

Frank                             - Il signor Dodd vuole che faccia la parte principale nella sua commedia...

Bernie                           - (bruscamente seccato) E' il protagonista assoluto. Ci vuole un attore sobrio e che impari la parte. Se la sente o no?

Frank                             - (con ira) Non sono certo uno di quei buffoncelli che sospirano al microfono, come Billy Hertz! Sono un attore, io!

Bernie                           - (dopo una pausa) Anch'io lo pensavo-.

Frank                             - (evasivo) E l'impresario? Se lo sguardo potesse uccidere, a quest'ora sarei morto.

Bernie                           - Ha paura che lei si metta a bere. Lo preoccupa.

Frank                             - (tetro) Non bevo mai quando lavoro.

Bernie                           - (ironico) Non è così a sentire Gilbert. Ci siamo visti l'altro giorno'. Ha lavorato con lui nel '44, vero? Cosa accadde, allora?

Frank                             - (guarda Geòrgie prima di rispondere) Fu quell'anno che perdemmo la nostra bambina... (Si­lenzio. Frank si siede sul letto, Geòrgie versa il caffè).

Bernie                           - (dopo una pausa, piano) E ora sarebbe capace di non bere?

Frank                             - (dopo una pausa) Stia a sentire, figliolo, sarà meglio rinunciarci...

Bernie                           - Non mi chiami figliolo. Lei ha fatto parti ben più importanti di questa; era un grande attore.

Frank                             - (tristemente) Come no, e inoltre tutte le mattine, a colazione, mi bevevo un bel bicchie-rone di dollari.

Bernie                           - (arrabbiato) Si può sapere cosa le suc­cede?

Geòrgie                         - (come se si risvegliasse improvvisamente) Non gli dia retta, signor Dodd. Non vede che ha paura di prendersi la responsabilità?

Bernie                           - Ma sono io che me la prendo: il rischio è solo mio.

Frank                             - (a disagio, evasivamente) Perché perde tempo in chiacchiere? Andrete in scena a Boston il 28. Non avrei neppure il tempo di mandare a memoria le battute. Per quella parte ci vorrebbe un Salvini o un Barrymore...

Bernie                           - (sardonico) Mettiamoci anche i morti di mezzo e così abbiamo risolto la distribuzione, (Lo guarda freddamente, si incammina verso la por­ta, poi si volta e dice seriamente) Stia a sentire, Frank, lei non mi conosce, ma io ero bambino quando l'ho vista fare due parti splendidamente, in due commedie mediocri : « Gente orgogliosa » e: «I milioni di Werba». Io posso farla recitare come allora se lascia stare l'alcool. Ho più fiducia io in! lei di quanta non ne abbia in sé lei stesso!

Geòrgie                         - (mettendosi a sedere e osservando i dm uomini) Perché?

Bernie                           - Perché l'ho visto da bambino... facevo il ragazzo del guardaroba nei teatri di Shubert. (A Frank) Lei, Lunt e Walter Huston, eravate i miei eroi. Conosco tutti i lavori che avete recitato.

Frank                             - Hai sentito, Geòrgie?

Geòrgie                         - (con tranquilla riflessione) Naturalmen­te, signor Dodd, lei esagera con il sentimento per sostenere il suo punto di vista.

Bernie                           - (osservandola attentamente) Ah... il sen­timento lei lo butta via?... Stia a sentire, allora.... Vengo da gente coi piedi per terra: sono italiano, (Pausa) Non sono mica cieco, lo vedo in che con­dizioni è Frank. Lo so che è un fallimento. Ma sono duro io; non sono una di quelle persone cosid­dette « umane»; vi offrono da bere, vi mettono in mano un biglietto da un dollaro e chi si è visto si è visto! (A Frank) Io non le metto in mano un dollaro, ma se accetta questo lavoro, a lei ci pen­serò io. Mi dedicherò a lei, lavoreremo e ci dispe­reremo insieme, e sarà un bel matrimonio artistico, Glielo assicuro. La farò lavorare, se accetta questa parte. Sarò io la sua volontà! (Si ferma) Ma se  me la fa sporca una volta sola, nessuna pietà, Frank! Neanche una goccia! Patti chiari? (Geòrgie osserva Bernie più attentamente. Possiamo quasi scorgere la vita che torna a poco a poco a fluire in lei mano a mano che essa si avvicina ai due uomini)

Geòrgie                         - Lei sarà la sua « volontà »? Mi spiace! E' proprio di questo che ha bisogno, di una volon­tà. E «nessuna pietà», anche questo mi piace. E mi piace la «verità antisettica ». Ma che genere di contratto offrite?

Bernie                           - (prontamente) Un contratto standard per due settimane.

Geòrgie                         - Non per tutta la stagione?

Bernie                           - No.

Geòrgie                         - Questo significa che potete mandare via Frank in qualsiasi momento con un preavviso di due settimane, no?

Bernie                           - (impaziente) Sì, significa questo.

Geòrgie                         - Ma supponiamo che accetti la parte e che cominci le rappresentazioni. Supponiamo che sia un successo. Come fa a sapere che non lo sosti­tuirete?

Bernie                           - (indignato) Niente contratto per tutta la stagione. E se poi fossimo costretti a mandarlo via? Perché beve o perché non ricorda la parte? Mandarlo via, sostituirlo e continuare « anche » a dargli la paga per tutta la stagione?

Geòrgie                         - (dopo una pausa) Non credo dovrebbe accettare. Ha bisogno di fiducia. Come può averne con quella clausola di due settimane sul capo? L'avrebbe lei?... (Ha ridotto all'impotenza le armi di Bernie presentandogli lo stesso caso che egli già aveva presentato a Cook).

Bernie                           - (dopo lunga riflessione, guardando ora l'uno ora l'altra) La mia sola intenzione è di fare reci­tare questa parte a Frank.

Geòrgie                         - (ironica) Ricominciamo con il senti­mento!

Bernie                           - (con calore) Non posso credere ai miei orecchi. Sono venuto qui con le migliori intenzioni del mondo, e cosa scopro? Che siete le mie vittime!

Frank                             - (nervoso) Potrei dire una parola?

Bernie                           - Cosa diavolo le ho fatto? Portato un ce­stino di serpenti?

Geòrgie                         - (freddamente) Noblesse oblige, signor Dodd. La smetta di girare come una trottola.

Frank                             - Nessuno ce l'ha con lei, signor Dodd. Io... quello che voglio dire, signor Dodd, è che non voglio fare il passo più lungo della gamba, ecco tutto.

Bernie                           - (dopo una pausa, freddamente) L'of­ferta la conosce. Dobbiamo debuttare a Boston fra due settimane, ma la stagione è appena cominciata... possiamo restare in provincia finché saprà la parte a memoria.

Frank                             - (ansioso) E... lo farebbe davvero?

Bernie                           - (prontamente) Farlo?... Insisto perché accettiate! Vi sembro un ragazzino presuntuoso? (Guardando Geòrgie) Bene, lo sono! (A Frank) Chiamatemi in ufficio alle tre. Non più tardi, mi raccomando. (Fa per uscire ma si ferma) Vi ser­vono venti dollari? (Mette un higlietto da venti dollari sulla radio e se ne va. Silenzio1. Frank non si muove).

Geokgie                        - Ha l'aria di essere in gamba, quel ra­gazzo. Lo è o ne ha soltanto l'aria?

Frank                             - (di malumore) Ne ha l'aria e lo è.

Geòrgie                         - E' pieno di buona volontà e parla sul serio.

Frank                             - (voltandosi) Non posso farla quella parte, vero?

Geòrgie                         - Non ti sembra strano che tu lo chieda a me?

Frank                             - (con aria infelice) Sei mia moglie.

Geòrgie                         - (con calma) Frank, questa storia è già accaduta molte volte. (Pausa) Sono stanca, Frank.

Frank                             - (meditando, senza guardarla) Cos'è acca­duto? Come ho fatto a ridurmi così? Ero il migliore dei primi attori, non un presuntuoso.

Geòrgie                         - Non trovavi commedie...

Frank                             - Fu a Hollywood che cominciai a buttarmi giù. Poi nel '43 persi tutti quei quattrini per quelle commedie sballate. (Si ferma e scuote il capo) E questa è la faccia che una volta rifiutò di lavorare alla radio. (Cammina su e giù) Cosa diavolo ho fatto, non lo so! (Con improvvisa sfida, fermandosi dietro di lei) Ma valgo ancora, valgo ancora qual­che cosa! Perché io lo capisco, bambina mia, quan­do per loro uno vale qualcosa o no! (Aspetta, ma essa non dice niente) Tu non credi ch'io valga an­cora qualcosa? Io credo di sì.

Geòrgie                         - (calma) E allora accetta la parte. Ma che la responsabilità sia tua, non mia. Accetta la parte. (Frank la guarda. E' chiaro che l'idea lo spaventa) Non tergiversare, Frank. (Improvvisa­mente) Non vuoi riconoscere di essere un fallito? Ti faresti ammazzare, pur di salvare la faccia, pur di non far fiasco in pubblico. Ma io sono tua mo­glie e non hai faccia con me. Cerca di considerare bene questa offerta... rifletti e accetta quella parte.

Frank                             - Sì, ma tu, cosa farai se io?...

Geòrgie                         - (fermamente) Lascia stare me. Accet­ta e fa' del tuo meglio. (Lentamente si strofina la mano contro la guancia dolente).

Frank                             - Ma quella clausola di due settimane? Tu stessa hai tentato...

Geòrgie                         - Ho tentato solo di ottenere un impegno migliore. Ma non puoi pretendere un con­tratto perfetto.

Frank                             - (improvvisamente eccitato, con furberia) Geòrgie, stammi a sentire! Quella clausola di due settimane... loro possono mandarmi via quando vo­gliono, ma anch'io posso piantarli in asso quando mi pare! (Geòrgie lo guarda interrogativamente) Non capisci?... Se sento che non è pane per i miei denti...

Geòrgie                         - Puoi venir via?

Frank                             -  Certo, è proprio questo che intendo dire, certo. (Eccitato e felice) Capisci ora, capisci?

Geòrgie                         - (dubbiosa) Sì...

Frank                             - (con aria supremamente furba) Beh, con questa clausola di due settimane, non sono obbli­gato a debuttare a New York, no?

Geòrgie                         - (mormora) No. (Mentre Frank si siede fischiettando).

Frank                             - Questo è il 'bello. Tutti e due possia­mo fare lo stesso gioco. (Felice della scoperta, ma Geòrgie assai meno, Frank fa schioccare le dita e si eccita sempre di più) Un momento, un mo­mento! Stamattina alle sette ho fatto un sogno! Ho riso tanto che mi sono svegliato! Era un avverti­mento, Geòrgie, era un sogno profetico!

Geòrgie                         - (stupita) Che sogno?

Frank                             - (come se lo vedesse) C'era una grande insegna, attenta, un grande striscione per la stra­da: «Frank Elgin in...». Non sono riuscito a ve­dere in che cosa. C'era anche il Maggiore La Guardia e un sacco di gente che rideva felice. Ac­cetterò quella parte, Geòrgie! E non dovrai dirmi di non bere; non ho fatto il bravo ragazzo per tutta l'estate? (Passeggia) Stamattina mi sono alza­to presto, con quello strano sogno divertente. E pensavo alla nostra vita, a tutto quanto, e ora mi fanno questa offerta! Non capisci che tutta quella gente nel sogno mi porta fortuna?! Questa volta riuscirò! Perché è questo quello che conta, che il mondo sia con te, e tua moglie! (La guarda serio, infantile, invocando il suo aiuto).

Geòrgie                         - (dopo una lunga pausa, riluttante) Non ho impegni... per tutto l'inverno...

Frank                             - (eccitato) E' questo che conta! Riuscirò questa volta! Mi sento Jack il milionario! Telefonerò a Dood, andrò in ufficio personalmente. (Prende il biglietto da venti dollari) Ma prima il barbiere... ho molto bisogno di forbici. Vuoi che ti porti qual­che cosa?

Geòrgie                         - No...

Frank                             - Prendilo al volo, cara! (Le getta un bacio, sempre eccitatissimo, ed essa raccoglie il dono nella mano aperta. Una volta rimasta sola a pensare, pas­siamo capire quanto Geòrgie sia infelice. Poi si ricorda della valigia, la prende da sotto il letto, la apre e con tristezza guarda il suo contenuto).

Geòrgie                         - (mormorando) Mio Dio, mio Dio, mio Dio... (Tira fuori il vestito, va all'armadio e lo rimette sulla stampella).

QUADRO TERZO

In palcoscenico, durante le prove, una decina di giorni dopo. Bernie, che volge le spalle al pub­blico, è seduto in un angolo e osserva Frank e Nancy che ripetono una scena. Oltre a questi nominati, Larry è l'unica persona che si trovi in teatro. E' notte avanzata e il mondo esterno sembra non esistere più per loro: il piccolo gruppo dì at. tori, tutto preso dal proprio lavoro, sembra noni potersi occupare di null'altro. Nancy è una dicias­settenne dall'aria verginale che è come dire una creatura altrettanto ignara che pronta a tutte le esperienze : ma possiede un talento autentico seppur non ancora coltivato. Frank sta facendo meraviglie: lentamente, ì suoi vecchi muscoli sembrano ripren­dere gusto alla vita. Lo preoccupa tuttavia una certa difficoltà a ritenere a memoria le battute del copione, sebbene egli non voglia confessarlo. La parte gli scivola di tra le mani, mentre Nancy non sbaglia di una virgola.

Frank                             - (recitando una battuta, con accento irlan­dese) « Tu mi conosci Ellen. Mi chiami non­nino, ma io sono tutti i tuoi parenti compendiati in una sola persona. Di conseguenza, ho il dovere di parlarti come ti parlerebbero babbo e mamma. Dunque: perché vuoi bene a quel giovanotto? ».

Nancy                           - « Non lo so. Forse perché lui vuole bene a me».

Frank                             - « E' una spiegazione ragionevole. E da quanto tempo lo conosci?».

Bernie                           - Più diffidenza, Frank, più sospetto: ri­cordati che tu non ti fidi di lei.

Frank                             - «No: mi avevi detto quattro mesi. Non mi pare sia granché, che ne dici, tu?».

Nancy                           - « Be' : quattro mesi possono essere un'e­ternità, nonnino, non lo sai? ».

Frank                                                           - « Per la verità lo sapevo, Ellen; ma poi l'ho dimenticato». (Fa una breve pausa) «Be', cos'altro si può sapere su questo ragazzo?».

Nancy                           - « Oh, non hai motivo di preoccuparti di lui: è soltanto uno dei tanti. Io sono molto po­polare, devi sapere».

Frank                             - (dopo un'altra breve interruzione) Tocca a me. Larry, per piacere, dammi la battuta.

Larry                             - «Sì, ma adesso tu sei una donna... ».

Frank                            - (riprendendo) « Sì, ma adesso tu sei una donna... ». (S'interrompe di nuovo) E poi...?

Nancy                           - (rispondendo meccanicamente prima che Larry possa intervenire) «Ma mi ricordo ancora quando eri... piccola così ».

Larry                             - Sì, esatto.

Frank                             - (si ferma e dà un'occhiata risentita a Nancy) Non rubar la parte al regista, cara. Gli attori più anziani non apprezzano queste interferenze.

Nancy                           - (mortificata) Oh scusatemi, mi dispiace tanto, signor Elgin.

Bernie                           - (impaziente) Avanti, avanti...

Frank                             - (riprende a recitare mentre gli comincia un forte mal di testa) «Ma mi ricordo ancora quando eri... piccola così ». (Accenna con la mano) «Avevi una buffa abitudine. Dicevi sempre che quando saresti diventata grande, io sarei diventato piccolo. I bambini hanno... » (pausa, incerto) « ...que­sta delusione?». (A Bernie) E' poco chiaro, Bernie.

Bernie                           - Mmm...

Frank                             - (esitando) Cosa vuol dire?

Bernie                           - (avvicinandosi) Prima cosa, un fatto psicologico realmente esistente nei bambini, ma il significato teatrale è più importante. Mostra che lui cerca di attirare Ellen dalla sua parte.

Frank                             - Ma lui non è tipo da chiedere aperta­mente della comprensione.

Bernie                           - Normalmente, no, ma questa è la sua unica nipotina. E' indifeso di fronte a lei. (Frank riflette seriamente).

Nancy                           - (timidamente) Io lo devo sapere che vuole la mia comprensione?

Bernie                           - (guardando l'orologio) No, Ellen non si rende ancora conto della situazione. Ehi, sono quasi le undici!

Larry                             - (col tatto e la deferenza che gli sono carat­teristici) Stavo appunto per farvelo notare.

Bernie                           - Sapete che facciamo, mandiamo Nancy a casa. La nostra piccola ingenua ha bisogno di ri­poso per mantenersi bella.

Nancy                           - (seriamente) Non sono affatto stanca! Davvero!

Bernie                           - Non affannarti troppo, bambina, la vita è lunga.

Nancy                           - Mi volete domattina alle dieci allora?

Bernie                           - (fingendo di non capire) Perché?

Nancy                           - (offesa) Voglio dire che sono sempre a sua disposizione, giorno e notte. (Gli uomini ri­dono) Ma no, non volevo dir « quello»! Volevo' dire che domattina devo lavarmi la testa e...

Bernie                           - (ironico) Va bene, vieni alle undici. E ora batti subito in ritirata, prima che dimentichi che sono padre anch'io! Le ragazzine come te, me le mangio in un boccone, io, e senza sale!

Larry                             - Chiuditi il cappotto e non prendere quell'aria offesa... ti adoriamo tutti.

Nancy                           - (arrabbiata) Siete odiosi tutti, stasera! (Ridendo) Buona notte a tutti. Sogni d'oro. (Esce felice e piena di giovanile entusiasmo).

Larry                             - «E uscì in un tintinnar di campane.,.». Che bella età!

Bernie                           - Larry, puoi andartene anche tu.

Larry                             - Vuoi che spenga le luci?

Bernie                           - (distratto, sfogliando il copione, mormora) «Sì, certo». (Larry spegne il segnale luminoso e alcune delle luci della ribalta, mentre Frank si siede al tavolino di Bernie).

Frank                             - Hai detto che sei padre anche tu?

Bernie                           - Ho una bambina di quattro anni.

Frank                             - Le bambine sono straordinarie. Curioso, non l'avrei mai pensato che tu fossi sposato.

Bernie                           - Neppure mia moglie. Cinque mesi fa ha inventato una nuova espressione: «Lo scapolo perenne» e poi è andata a brevettarlo a Reno. (Riferendosi al copione) Che ne dici di questa maledetta scena dell'ospedale? Stanco?... (Sbadiglia) Vuoi smettere?

Frank                             - Ho un po' di mal di testa...

Bernie                           - Smettiamo.

Frank                             - (preoccupato) No, andiamo avanti. Il carattere del giudice Murray mi sfugge.

Bernie                           - Bene. Cerchiamo di afferrarlo.

Frank                             - A chi assomiglia nella vita reale? A Hague, a Hines...?

Bernie                           - A nessuno di quei pezzi grossi della po­litica. (Si volta verso Larry che sta andandosene) A che ora la prova, domattina?

Larry                             - Tutta la compagnia alle undici. Tranne Mabel Beck che ha quell'impegno alla radio.

Bernie                           - Scruta l'orizzonte, Larry, e se quel tipo è ancora lì fuori, vieni ad avvisarmi. E spegni quello spot. Mi sta accecando. (Larry annuisce con comprensione ed esce. Bernie riflette pensieroso) Alla mia età mi tocca nascondermi come un ragaz­zino per evitare gli avvocati. Soldi... mia moglie batte cassa...

Frank                             - (con simpatia) Oh no...

Bernie                           - (appare per un attimo veramente e desola­tamente solo, ma subito si riprende. A Frank) Parliamo di questo famoso carattere. Come lo senti il giudice?

Frank                             - Posso parlar chiaro? (Poi intensamente, come sentendo e vedendo qualcosa internamente) Una volpe... questa è l'immagine esatta. Scaltra. Tranquilla. Sempre all'erta, ma impenetrabile, dal viso impassibile. Ha per volto una lastra di ce­mento... (Col viso teso nello sforzo di pensare, Frank ha cominciato ad illustrare le sue parole, ma trova un ridicolo intoppo nel suo cammino. Mormorando, nella parte del Giudice) « Non riesco ad espri­mermi... » perché?

Bernie                           - Perché è di mentalità ristretta, pieno di pregiudizi, intollerante...

Frank                             - Ma è questa la sua forza...

Bernie                           - (convenendo) E' questa la sua forza... egli va dritto al segno, penetrante e sicuro... è il suo carattere.

Frank                             - (eccitato, mantenendo la maschera dei giu­dice) Ora ci siamo! Ho capito finalmente lo spi­rito di questo personaggio e come parla e come cam­mina. Così... (Senza cambiare espressione, Frank scaglia con un calcio potente una seggiola, facen­dola volare attraverso il palcoscenico. Poi, imper­turbabile, si rivolge a Bernie) E' così, no?

Bernie                           - (con ammirazione) Eccolo lì.

Frank                             - (con ansietà) Ma devo amarlo, Bernie, anche quando manda via la moglie, sennò come posso entrare in lui?!

Bernie                           - (con ammirazione) Da dove li tiri fuori questi sentimenti.

Frank                             - Non lo so... (Traccia con la mano un cerchio sui petto) Ma quando arrivo qui dentro, la tecnica non c'entra più.

Bernie                           - No, tu non sei un attore tecnico1.

Frank                             - (sospirando) Non sono molti i registi che l'hanno capito.

Bernie                           - Sigaretta? (Silenzio. Atmosfera cupa. Entrambi gli uomini accendono una sigaretta, men­tre si infilano il cappotto).

Frank                             - (guarda la parte) Sono preoccupato per la memoria...

Bernie                           - Non rispondere se non vuoi... Come mai un uomo del tuo talento si è ridotto così male?

Frank                             - (evasivo) E' una storia lunga...

Bernie                           - Che tipo è tua moglie?... Così, tanto per parlare...

Frank                             - Geòrgie è una donna in gamba.

Bernie                           - E perché allora non voleva che tu accet­tassi questa parte?

Frank                             - Hai avuto questa impressione?

Bernie                           - Si vedeva lontano un miglio!

Frank                             - (evasivo) Non lo so... è nervosa... si accende come un fiammifero... E' sempre stata un fiammifero... (Sfoglia nervosamente la parte) Mi dispiace di non saper ancora le battute, Bernie, vo­levo farti una sorpresa stasera, ma non sono in vena.

Bernie                           - Più presto ti metterai in gola quel se­condo atto, e tanto meglio sarà... Perché un fiam­mifero?

Frank                             - (a disagio) E' come quella scena dell'ospedale, nella commedia. Quando dicono al giu­dice che sua moglie è... psicopatica... Cosa vuol dire esattamente?

Bernie                           - Pazza...

Frank                             - (pausa) Il giudice, capisci, non è con­tento di liberarsi della moglie, come vuol far credere l'autore. E' molto complicato. (Si schiarisce la gola) Di' a un uomo che ha avuto un matrimonio disgraziato, che sua moglie è pazza. Ne proverà sollievo, ma nello stesso tempo spererà che non sia vero.

Bernie                           - (osservandolo acutamente) E' questo che rende la scena più intensa.

Frank                             - Quando gli danno la notizia, la scena è quasi romantica. Tanti ricordi gli tornano in mente, tanti brani di vita vissuta insieme, le estasi, gli in­verni quando erano poveri... (la sua voce trema) ...e le lotte spaventose, i litigi, le scene violente a letto la sera...

Bernie                           - (acutamente) Sì, se recitassi la scena così...

Frank                             - Non parlo della scena.

Bernie                           - Ah no?

Frank                             - (tormentando con le dita la parte che ha in mano) Geòrgie... era Miss America nel '30, l'anno in cui l'ho conosciuta. Ha rinunciato a una grande carriera per sposarmi. (Voltandosi) Non mi credi?

Bernie                           - Certo, ma che razza di carriera è « Miss America», dopo i 25 anni o i 30? Che carriera? Le donne non sono più tagliate per il matrimonio... non vogliono una casa... l'unico mobile con cui hanno a che fare è il divano dello psicanalista!

Frank                             - (solennemente) Mi costò migliaia di dollari...

Bernie                           - (amaro) Ci sono passato' per cinque anni, con la ex signora Dodd.

Frank                             - L'anno in cui sposammo, comprai una casa di quattordici stanze in Great Neck. Mai fatto una vita migliore. Nuoto, canottaggio, tennis, cenai alle sei... alle sette lei mi salutava con un bacio ed io venivo in città per recitare. Piccole cose, anche qualche scaramuccia ogni tanto, ma mi sembrava di vivere in un sogno. E poi, una sera, tornando a casa la trovai ubriaca fradicia sul letto. Lei, che non aveva mai bevuto in vita sua! Non ebbi molto successo quell'anno'... chi se lo poteva immaginare? Carriera contro carriera, non voleva che recitassi! Bernie, entro un anno era una alcoolizzata senza speranza. Poi avemmo una bambina... (Commosso si ferma) Dopo... qualsiasi parte facessi, era come se la tradissi sempre con un'altra donna. Cominciai a bere anch'io. Non chiedermi dove andava a finire il denaro. Lei si tagliava i polsi o dava fuoco all'al­bergo ogni volta che io andavo a recitare. Pren­demmo un'infermiera; infine la distruzione: perdemmo la bambina! In una situazione simile, non resta altro da fare che attaccarsi al collo di una: bottiglia! (Segue una pausa densa di significato).

Bernie                           - (si tormenta un orecchio) E beve ancora?

Frank                             - (sorridendo tristemente) Smise quando in­cominciai io. Ma adesso so come trattarla: all'incontrario, come i gamberi! Prendi questa parte, per esempio... ho dovuto farle credere che non la vole­vo. Così lei ha la possibilità di convincermi che l'idea è sua; non mia, capito? (Entrambi gli uomini sono in piedi).

Bernie                           - (con una leggera esclamazione, raccoglie le sue cose dal tavolo) Immagino che dovrai portarla a Boston. Non che abbia niente in contrario. Mia moglie era così complicata : « Mi auguro che la tua prossima commedia sia un fiasco - diceva - così tutto il mondo vedrà che ti amo anche se non hai successo! ». (Si volta) Per quanto riguarda il lavoro, sono molto soddisfatto.

Frank                             - (ansioso) Davvero?

Bernie                           - Sei un attore nato, Frank, e questo può rimetterti al mondo.

Frank                             - (solenne) Grazie, figliolo.

Bernie                           - (con un sogghigno) E non chiamarmi figliolo! Non mi piace. (Mentre stanno per uscire) Può darti delle noie tua moglie per questa commedia?

Frank                             - Non preoccuparti, la so manovrare. Vedi, tu sei un ragazzo pieno di entusiasmo e di talento che è arrivato rapidamente. Ma sono incredibili le cose che potresti fare fra una decina d'anni per un po' di compagnia!...

Bernie                           - (seccamente) Nessun essere vivente, né sopra né sotto terra, riuscirà mai più a prendermi al laccio. Divento una belva quando... (Si interrompe bruscamente, guardando al di sopra della spalla di Frank. Frank si volta. Geòrgie è appena entrata. Dal suo contegno riservato ma sereno, nessuno dei due uomini può giudicare quello che ha sentito o no).

Frank                             - (in fretta) Geòrgie, che fai qui? Da dove vieni?

Geòrgie                         - Dal cinema. Passavo di qui e ho pensato che tu avessi finito.

Frank                             - Stavamo appunto uscendo.

Bernie                           - Tempismo perfetto! Buona sera, signora Elgin.

Geòrgie                         - (sorridendo) Sì, ho un certo fiuto per queste cose. Buona sera, signor Dodd. Come va mio marito?

Bernie                           - Secondo il mio umilissimo parere, è quello che si dice un «fenomeno».

Geòrgie                         - Ho disturbato?

Frank e Bernie              - (insieme) Affatto, stavamo an­elandocene... No, stavamo chiudendo...

Geòrgie                         - Non mi piace disturbare Frank, quan­do lavora. A meno che non abbia bisogno di me, naturalmente. Sono di troppo?

Bernie                           - (adottando l'atteggiamento di lei) No, stavamo appunto chiudendo bottega e restituendo il teatro ai fantasmi. (Sorridendo vagamente, Geòrgie fa qualche passo verso le luci della ribalta e si guarda intorno. E' lì in piedi, inconscia di aver assunto un atteggiamento orientaleggiante, consisten­te principalmente nella sua aria di ascolto e nel sorriso a un tempo educato e sprezzante; rappre­senta il suo stesso personaggio, senza rendersi conto che una certa dose di buona creanza non l'abban­dona mai).

Geòrgie                         - (piano) Non c'è niente di così miste­rioso come un teatro vuoto e buio... una notte senza stelle... (Frank e Bernie si guardano).

Bernie                           - Se andassimo a prendere un caffè?

Frank                             - Geòrgie? E' lei che decide in famiglia.

Bernie                           - (molto educatamente) E' vero, signora Elgin?

Geòrgie                         - Nel senso che Frank ha sviluppato il mio senso materno, sì, è vero. Un caffè mi farebbe piacere. E mi farebbe piacere anche conoscere me­glio il signor Dodd.

Bernie                           - Anche a me piacerebbe conoscerla meglio,

Geòrgie                         - (guardandosi ancora intorno) Il teatro è un fenomeno davvero misterioso...

Bernie                           - E' vero... (Essa gli sorride ed esce da destra seguita da Frank. Bernie li osserva soprappen­siero un momento, getta la sigaretta, la pesta col piede ed esce).

QUADRO QUARTO

La stessa camera ammobiliata di Frank una setti­mana dopo. E' mattina presto, il letto è disfatto. Frank con le bretelle penzoloni, ha finito di farsi la barba. Eccitato, straordinariamente in forma, con­tinuerà a vestirsi durante lo svolgersi della scena. Geòrgie, in accappatoio, versa il caffè ad un tavolino pieghevole a sinistra).

Frank                             - Voglio comprarmi una lozione per barba di quelle di lusso. Le piccole cose come queste... sono il sugo della vita.

Geòrgie                         - Come?

Frank                             - La lozione per barba, piccola... voglio prendermi qualche lusso nella vita!

Geòrgie                         - Parli come un gagà, Frank!

Frank                             - Evviva i gagà, se amano i lussi come me. Ehi, sarò felice di piantarla questa lavanderia cinese. (scuote una camicia) Come lavano le camicie! E' un delitto e una vergogna! Guarda questa!

Geòrgie                         - (che è molto miope) Vediamo, dove sarei se fossi un paio d'occhiali?

Frank                             - Nelle mie zampe! (Prende gli occhiali e glieli porge. Voltandosi) Vedi? Come faresti senza di me, Geòrgie?

Geòrgie                         - C'è qualcuno che si sente piuttosto ih forma, oggi. (Sorride. S'interrompe bruscamente per­ché ha inciampato in due bottiglie di birra vuote sul pavimento. Guarda seria Frank).

Frank                             - (implorante) Non far quell'aria truce. Non le ho mica nascoste, no? Quelle bottiglie di birra mi hanno fatto dormire bene tutta la notte.

Geòrgie                         - Quando le hai prese?

Frank                             - Dopo che ti sei addormentata. Sono arri­vato fino all'angolo, ho preso dei giornali per te... (Essa continua a cardarlo gravemente, ma egli si rifiuta di prenderla sul serio) Su, Geòrgie, sii buona; non le ho nascoste quelle bottiglie, e ho fatto un buon sonno.

Geòrgie                         - C'è qualcosa che ti preoccupa?

Frank                             - Niente mi preoccupa, tranne la parte a memoria.

Geòrgie                         - (calma) Non cominciare a bere birra, Frank. Ti darò delle pillole per dormire. Una ogni sera non può farti male. (Beve il caffè mentre Frank va allo specchio a farsi la cravatta).

Frank                             - Diavolo, mi sono venute le borse sotto gli occhi. Certe volte mi domando se sono io. (Allo specchio) Ehi, sei tu, Frank?... (Una risposta di basso profondo) Sssssì! (Poi) Mi serve anche qual­che cravatta, no?

Geòrgie                         - Non saprei da che parte cominciare... hai bisogno di tante cose. Aspettiamo di vedere come va.

Frank                             - Eh, lo sapremo presto. Quei critici! Mam­ma mia, quei critici!

Geòrgie                         - Come sono a Boston?

Frank                             - Lascia fare a papà Frank. Capace di in­cantare un serpente. No, signora, non sono affatto preoccupato, affatto. Prendo tutto sulle mie spalle! (Getta da parte un asciugamano e si siede a tavola) Oh, mio Dio, quando penso a quegli immensi asciu­gamani di spugna, morbidi morbidi dei grandi alber­ghi... Ce la spasseremo, bambina... lo sai, questo, vero? Aspetta che ti chiuda in una camera del Grand Hotel e vedrai!

Geòrgie                         - Bevi il caffè, chiacchierone.

Frank                             - Sissignore, tutto è reale e bello! E' di nuovo autunno e io sto provando una commedia... mi senti?... Lascia che il vento soffi nella strada... aragoste e ostriche sono deliziose!... (Scottandosi con la caffettiera) Ehi, pare che sia passata vicino al fuoco.

Geòrgie                         - C'è infatti, passato; ma devi star at­tento a dove metti le mani, sbadato.

Frank                             - (sorridendo) E' a posto la cravatta?

Geòrgie                         - Sì, dritta. Ho portato a risuolare le tue scarpe, quelle nere. Hai bisogno di altro?

Frank                             - (sedendosi, invitante) Soffiare sul mio caffè. (Ella sorride, egli sorseggia il caffè con pre­cauzione, guardando il giornale) Ecco qua il ba­seball. Pensa un po'... mi perderò tutte le partite di campionato, su a Boston...

Geòrgie                         - (dopo una pausa) Frank, sono simpa­tica a Bernie Dodd, io?

Frank                             - (con prudenza) E perché non dovresti essergli simpatica?

Geòrgie                         - (sincera) Non so... mi sembra che abbia voglia di litigare. Gli piacciono le donne?

Frank                             - (innocentemente) E' sposato, divorziato e ha una bambina.

Geòrgie                         - Non m'importa di essergli simpatica, ma non è meglio affrontare la cosa realisticamente, se è vero?

Frank                             - (con leggerezza) Lo vedi cosa succede? Non posso lasciarti sola qualche giorno che diventi morbosa.

Geòrgie                         - (tranquilla) Parlo sul serio, Frank, per il tuo bene. Ci sono troppe cose in giuoco. Non voglio metterti i bastoni tra le ruote.

Frank                             - Geòrgie, mi sento vispo come un pescio­lino. Un milione di dollari non potrebbe pagarmi questa sensazione meravigliosa di essere di nuovo sulla breccia!

Geòrgie                         - (d'accordo con lui) Erano dieci anni che non ti vedevo così in forma!

Frank                             - E allora perché preoccuparsi, cara?... Quando saremo a Boston, farò...

Geòrgie                         - (piano) Non verrò a Boston. Il mio intuito femminile mi dice che il signor Dodd non mi ci vuole.

Frank                             - (arrabbiato) Ma ti ci voglio io! Non ci mancherebbe altro: lasciare mia moglie qui sola, in una città piena di lupi!

Geòrgie                         - (seria) Sei geloso?

Frank                             - Ma che diavolo ti viene in mente, Geòrgie? Come farei senza di te? Ho bisogno di te a Boston!

Geòrgie                         - (con semplicità) Se hai bisogno di me, probabilmente ci sarò. (Egli sta per dire qualcosa ma lei lo interrompe) Basta, Frank, abbiamo par­lato abbastanza. Sarai in ritardo. (Sorridendo) Sei convinto della perfidia femminile, vero?

Frank                             - (lugubremente) Credevo che ne aves­simo parlato abbastanza.

Geòrgie                         - (va all'armadio a prendere il cappotto, lo leva dalla stampella e glielo porge) Sono dieci anni che non mi sento più una donna.

Frank                             - (sempre lugubre) Suppongo che sia col­pa mia.

Geòrgie                         - (con leggerezza) Finita l'estate, viene l'autunno, è un fatto naturale. Non è colpa di nessuno.

Frank                             - Non l'hai fermato questo bottone? Si sta staccando.

Geòrgie                         - (va al cassetto a prendere l'ago e il filo, guardando Frank ironicamente) Voglia di liti­gare, eh? (Egli non risponde. Essa si siede, attacca il bottone e parla con finta leggerezza) Basta, Frank col tuo senso di colpa e di incertezza. Prendi esem­pio da mio padre. Se ne infischiava, lui, di quello che diceva la gente. Girava il mondo con una com­pagnia di guitti. Si faceva vedere a casa due volte l'anno e quelle due volte si chiudeva in cantina a perfezionare alcuni trucchetti di sua invenzione.

Frank                             - Ah, certo a te piacerebbe vedermi solo due volte l'anno.

Geòrgie                         - (con aria strana) A mia madre importava molto meno che a me; io mi sentivo come un’orfana. Forse non ti avrei sposato se avessi avuto un padre. Ma lui credeva in se stesso… tu no. E questo lo hai pagato caro…. Ed anch’io…..(Stacca il filo con i denti e gli porge il cappotto).

Frank                             - (Ribollendo di rabbia si infila il cappotto) Vorresti che ti pregassi, vero?

Georgie                         - (Stupita) Pregarmi di che cosa?

Frank                             - Di venire a Boston.

Georgie                         - Credevo che ormai avessimo deciso. (Egli si guarda la giacca con aria disgustata) L’ho stirata ieri.

Frank                             - Dov'è quella dannata parte?

Geòrgie                         - Nella tasca destra.

Frank                             - (sentendosi molto meschino, fa una risatina e tira fuori di tasca la parte e l'agenda con gli in­dirizzi) Eppure, tu non puoi vivere senza di me, ma non capisco perché devi parlare in quel modo. L'inverno, l'estate... ma se sei ancora una bambina...

Geòrgie                         - (ironica) Oh certo, certo, come no?

Frank                             - (agitando davanti a lei la rubrica degli in­dirizzi) Com'è piccolo il mondo! Mi son fatto dare il suo indirizzo, vive a Boston, ora. Susie Lewis, di Saratoga Springa. E' la zia di Unger, il no­stro commediografo, niente di meno! L'ha portata in teatro ieri sera. Non la vedevo da 18 anni.

Geòrgie                         - Bella?

Frank                             - Vedova e con un sacco di soldi.

Geòrgie                         - (sorridendo e mettendogli il fazzoletto nel taschino) Mi informerei se fossi in te.

Frank                             - Susie? Sarei suo in un minuto! (Poi tutto vestito) Sto bene, così?...

Geòrgie                         - (annuendo) Saluta Bernardo' il Grande per me.

Frank                             - (prende il cappottò) Ci puoi giurare che non glielo dico come lo chiami! E non metterti a complottare con lui alla generale, domani sera! Geòrgie fermandolo) La prova generale?

Frank                             - Senti, non venirmi a dire che non te l'ho detto. Non te l'ho detto ieri?

Geòrgie                         - L'avrai detto a quella Susie Non-so-che-cosa. Non vuoi che venga domani sera? (E' leg­germente urtata dalla indecisione di lui) Oh, an­diamo, Frank, dimmelo tu quello che devo fare, Non ti amerò meno per questo.

Frank                             - (imbarazzato) Non vorrei che ti offen­dessi, cara, ma mi sentirei meglio se tu non venissi. Non è una prova in costume, è solo una prova così... con qualche elemento di scena.... (Forzatamente) Vogliono far vedere ai finanziatori che non stanno sprecando i loro soldi.

Geòrgie                         - (accomodante) Allora la vedrò a Bo­ston, con i vestiti e le scene.

Frank                             - (affettuosamente) Così parla la mia ra­gazza. (Fa per uscire) La mia sola preoccupazione è la parte. Non mi vuol entrare nella zucca!

Geòrgie                         - Te la sentirò di nuovo. Frank, non chiuderti in te stesso. Se vuoi che venga con te, devi dirmi tutto quello che hai in mente, aperta­mente, senza reticenze. Non sbuffare. Sai bene che ormai è raro che parli così. Siamo rimasti chilo­metri e chilometri indietro tutti e due... non volerli riguadagnare tutti in una volta. Sia io che te, sap­piamo bene cosa è successo in passato. Dobbiamo vivere un giorno per volta, senza risentimenti e senza evasioni. Tocchiamo il fondo, ormai...

Frank                             - (con forza) Ma arriveremo in cima!

Geòrgie                         - Uno scalino alla volta, però, interrotto da sonni tranquilli e regolari.

Frank                             - Sì, hai ragione, cara, hai ragione.

Geòrgie                         - E' giovane, ma è un bravo ragazzo, quel Dodd. Di' a lui tutto quello che ti preoccupa. (Lo guarda acutamente).

Frank                             - (abbassando gli occhi) Ti amo, Geòrgie. (Va alla porta, si volta, fa per gettarle un bacio) Prendilo al volo! E' speciale! No, prendilo sul serio. (Ritorna, la prende fra le braccia e la bacia. Poi si volta ed esce. Geòrgie sorride debolmente fra sé. Dopo un attimo va al tavolo e, fischiettando, toglie le tazzine e le porta ali 'acquaio. Ritornando, il ritmo del suo fischiettio diminuisce nello scorgere le bot­tiglie di birra per terra. Le prende in mano e le guarda soprappensiero, poi le mette sotto l'acquaio).

QUADRO QUINTO

Il camerino di Frank, in un teatro di Boston, una settimana dopo. E' circa mezzanotte. A destra, vi è una toletta con uno specchio e una seggiola. Con­tro la parete di fondo è appoggiata una branda. A sinistra in fondo, uno specchio lungo e un cas­settone. Sul cassettone una piccola radio. La porta è davanti a sinistra. Sul palcoscenico è appena ter­minata una prima prova in costume. Fuori della stanza vuota si ode un brusio dì voci. Larry il di­rettore di scena, guarda dentro. Non vedendo nes­suno fa per andarsene, ma poi cambia idea e va alla toletta dove prende con impazienza una siga­retta e un fiammifero. Unger, molto agitato si af­faccia sulla porta. Ha un manoscritto sotto il braccio.

Unger                            - Frank?... Dov'è Frank?

Larry                             - Lo sto cercando anch'io. (I due uomini si incontrano in mezzo alla stanza).

Unger                            - Ho fatto qualche altro taglio nella quar­ta scena.

Larry                             - Li guarderò dopo, se non le dispiace. Sto cercando di capire cosa è accaduto nella sesta scena : si accavallano tutte le battute.

Unger                            - (mentre escono) Nella sesta?... Credo che la ragazza abbia sbagliato l'attacco quando ri­torna al tavolino.

Larry                             - ,Non so, può darsi. Frank attacca un momento prima del tempo e... (Il camerino resta di nuovo vuoto. Fuori si sentono le voci degli addetti al palcoscenico. Un attimo dopo entra Geòrgie sor­presa di trovare il camerino vuoto; sta masticando del chewing-gum e ha gli occhiali. Si asciuga il naso con un fazzoletto di carta, poi comincia a mettere in ordine, soprattutto raccogliendo ì capi di vestia­rio. Poi spazzola una giacca. Entra Bernie).

Bernie                           - Dov'è Frank?

Geòrgie                         - Non è in palcoscenico;

Bernie                           - No. (Annusa) Cobra?

Geòrgie                         - (sorridendo) No, Wisteria.

Bernie                           - (fa per uscire, ritorna) Premesso che era la prima prova in costume e la prima volta che re­citavano con le scene, come le è sembrata la com­media?

Geòrgie                         - Oh, non l'ho giudicata. Mi sono sol­tanto seduta lì e ho ascoltato le parole. Ma Frank sta molto bene, vero? (Levandosi il chewing-gum di bocca) Sono due ore che non so più niente. (Am­bedue stanno cercando di mettere l'altro a suo agio).

Bernie                           - (accende una sigaretta) Una sigaretta?

Geòrgie                         - Non fumo.

Bernie                           - Dalle otto di stasera ne ho già fumate un pacchetto. Queste prove generali ammazzano. Tocchiamo ferro: nessuna crisi di nervi, ancora. La commedia è nuova per lei, vero? Come le sem­bra l'amico Frank?

Geòrgie                         - Era molto nervoso, poverino. (Bernie va alla toletta e getta via il pacchetto vuoto) Io sono molto equilibrata, considerando il mio sesso, ma anch'io diventerei una belva se il mio spettacolo fosse ancora a questo punto a pochi giorni dalla prima.

Bernie                           - E' per questo che si fanno altre due prove generali.

Geòrgie                         - Ha i nervi come corde di violino, eh?

Bernie                           - (ridendo) Ssshh... parli piano. La compa­gnia mi crede fatto d'acciaio.

Geòrgie                         - Frank la considera il Padreterno, si­gnor Dodd.

Bernie                           - (cauto) Sono felice che lei abbia avuto tatto con Frank. E' probabile che abbia concentrato tutto nella reazione di sua moglie.

Geòrgie                         - Le piace come recita?

Bernie                           - Cosa ne pensa lei?

Geòrgie                         - Non chieda a me. In platea mi sono fatta un bel pianto all'antica. Non sono che una ragazza di campagna. (Si siede dopo aver appeso ordinatamente tutti gli abiti di Frank).

Bernie                           - Gli dia un altro paio di settimane. Sarà perfetto.

Geòrgie                         - (riflettendo) Ma la commedia va in scena mercoledì sera.

Bernie                           - (rassicurandola) La commedia Che ve­dranno qui, non sarà quella che vedranno a New York.

Geòrgie                         - Ma le critiche che usciranno giovedì mattina? Non può andare a raccontare ai critici di Boston che Frank sarà magnifico a New York.

Bernie                           - E' un rischio che bisogna correre. Gli esperimenti in provincia, servono per studiare ili pubblico. Le sembra che Frank vada così male?

Geòrgie                         - Mi sembra straordinario. Ma... vorrei poter seguire meglio le sue intenzioni.

Bernie                           - Troppi dettagli, secondo lei?

Geòrgie                         - Sì, in un certo senso...

Bernie                           - (bruscamente le si avvicina e consapevolmente le parla con aria calma) Credo di potermi fidare della sua intelligenza, signora Elgin. La mag­gior parte degli attori, non ha bisogno di quattro settimane di prove. Non fanno che ricalcare la stessa facile, superficiale trama che hanno scoperto i primi giorni. L'attore mediocre si propone, o si fa proporre dal regista, degli obbiettivi assai limi­tati. In un paio di settimane li raggiunge. Tutto finisce qui. Un bel guscio.

Geòrgie                         - E lei crede che Frank...?

Bernie                           - (scherzando) Niente guscio, per lui. Ili suo talento, la qualità essenziale del suo talento, è, improvvisazione. Questa è la sua fortuna e il suo guaio...

Geòrgie                         - (soprappensiero) E' stato molto acuto ad accorgersene. Molti dei suoi problemi personali ; vengono da questo.

Bernie                           - Come attore, Frank esplora e scopre, di­stricando la sua parte con estrema lentezza. Il mio problema è di dargli l'aìre. Farlo espandere, sfogare. ; Più riesco a mantenerlo fluido e scorrevole, più ci renderà.

Geòrgie                         - Ha paura di soffocare il suo talento se lo tiene a freno?

Bernie                           - (annuendo) E' per questo che voglio sia fluido per un'altra settimana o due. Lasciamolo impappinare... nel suo caso è tanta salute. Mancano ancora cinque lunghe settimane prima di NewYork. (Va alla porta) Non parli di questo a Frank.

Geòrgie                         - (con decisione) Non sono così stupida, signor Dodd.

Bernie                           - Lo so. Gli dica che tomo subito. (Lai guarda attentamente con educata cortesia, mascherante una certa ironia, poi esce. Nonostante si renda conto del buon senso di Bernie, Geòrgie è rimasta turbata dalla sua presenza. Pensierosa, ac­cende la radio. Alza il capo vedendo entrare Frank),

Frank                             - (comincia a svestirsi ma ha un'aria interrogativa. Il personaggio che rappresenta è una figura imponente e al tempo stesso romantica, così in abito da società, un pezzo grosso politico dall'aria corpulenta, con i capelli grigi e i baffi. Nervoso e stanco, sbatte la parte sulla toletta) Ero di sopra a ripassare la parte con la ragazzina. E' tutta la sera che mi dibatto come un'anguilla. Spero che alla prima non succeda. Beh, qual è il verdetto?

Geòrgie                         - (lo guarda molto commossa e sul momen­to non sa da che parte prenderlo. Egli ha paura di ascoltare quanto lei gli dirà) Frank, sei straor­dinario. Stentavo a riconoscerti quando eri in scena.

Frank                             - Andava così male?

Geòrgie                         - (gentilmente) Niente andava male, caro. Era una brutta prova, certo.

Frank                             - (deluso e lugubre) Già, m'impappinavo ogni due minuti, vero? Cos'altro hai notato? Non aver paura, non svengo... dimmelo, se non andavo.

Geòrgie                         - (calma) Credo che farai colpo con quella parte, Frank.

Frank                             - Non mi sembri molto convinta.

Geòrgie                         - Forse sono un po' emozionata, Frank. (Frank la guarda sospettosamente: non si fida di lei. Irritato getta il colletto contro lo specchio) Sei nervoso e teso. Sfogati pure quanto vuoi.

Frank                             - (furibondo) Non è la prima volta, que­sta, che mi vedi recitare dopo sette anni? Ebbene, di' qualche cosa: bello o brutto che sia è sempre meglio di vederti imbarazzata. (Di malumore, co­mincia a togliersi la camicia e l'imbottitura della pancia).

Geòrgie                         - (appendendogli la giacca e cercando di sollevargli il morale) Mi è sembrato che tu avessi un po' troppa pancia.

Frank                             - (borbottando) Ci vuole, la pancia... Il giorno in cui riuscirò a imparare questa parte, suo­nerò le campane! (Le getta un'altra occhiata sospet­tosa, accende una sigaretta, si mette una vestaglia e sì siede alla toletta. Comincia a struccar sì).

Geòrgie                         - Frank, non è che io... Sei magnifico in questa parte! E la commedia... non avrei mai cre­duto che quel ragazzo tranquillo e sorridente, avesse tanto talento!

Frank                             - (togliendosi la parrucca) Chiudi quella radio! (Essa va a chiuderla. Frank annusa fortemen­te, poi si soffia il naso e si schiarisce la gola).

Geòrgie                         - Ti sta venendo il raffreddore?

Frank                             - Non ci manca che questo! Così mi rin­tontisco completamente!

Geòrgie                         - (offrendogli delle pasticche di aspirina) Un'aspirina?

Frank                             - (respingendola sgarbatamente) Un mi­nuto, cara! (Si è curvato e si appresta a slacciarsi le scarpe con lo stesso ritmo accelerato con cui è entrato in camerino. Si ferma bruscamente, lascian­do ricadere il piede sul pavimento).

Geòrgie                         - Cosa c'è?

Frank                             - Guarda come sono costretto cambiarmi a precipizio! Neanche il tempo di riprender fiato! Perché non mi danno una sarta?... Non me la me­rito, forse? Come posso fare questi cambiamenti rapidi, senza un aiuto?

Geòrgie                         - Vuoi che ne parli al signor Cook?'

Frank                             - (senza guardarla) Parlane a Cook o a Bernie... Se lo possono permettere con la paga che mi danno. (Si volta bruscamente) Lo sai che Mabel Beck prende più di me? 300 la settimana... e rovina tutte le scene!

Geòrgie                         - (calma) Non è male in quella parte.

Frank                             - Ah, certo... soppianta tutti! E quella ra­gazzina, quella Nancy. Ma non le insegnano' come si deve comportare in palcoscenico?... Due volte mi ha impaliate stasera! E un'altra volta, non sapevo più dove diavolo fosse! (Comincia a pulirsi la faccia).

Geòrgie                         - (ridendo piano) Su, Frank, andiamo, non te la prendere. Prima che sia finita la setti­mana, tu stesso riconoscerai che sono sciocchezze. Le cose importanti, prima di tutto. Lavora bene e non preoccuparti d'altro.

Frank                             - (pronto) Come vuoi che lavori con quel dannato sostituto che svolazza fra le quinte?... Anche queste sono sciocchezze?

Geòrgie                         - Parlane al signor Dodd.

Frank                             - Parlagliene tu. Digli di tenerlo in platea.

Geòrgie                         - Cosa cerchi? l'aspirina? E' proprio sotto il tuo naso.

Frank                             - Già, ma dov'è il mio naso? (Ride timida­mente, vergognandosi della battuta poco spiritosa. Questo spezza la stato di tensione creatosi fra di loro. Mentre ingoia l'aspirina con l'acqua, bussano alla porta) Avanti. (Entra Unger e Cook lo segue. L'atteggiamento di Frank cambia immediatamente. Un umore gioviale e un certo disprezzo di se sono la sua maschera protettiva. Sembra che niente lo preoccupi) Benvenuti, amici! Non parlatemi dello spettacolo... lo so già: schifoso!

Unger                            - Secondo me, no. Quella scena dell'ospe­dale mi ha fatto venir la pelle d'oca.

Frank                             - (compiaciuto) Non prendete in giro il vecchio. Hai sentito, Geòrgie? Al ragazzo vado a genio.

Unger                            - Mi piacciono i bravi attori.

Cook                             - (sedendosi tristemente, tanto per dir qualcosa) Anche a me.

Bernie                           - (affacciandosi allegramente alla porta) Come mai tutti così depressi?

Frank                             - Io non sono affatto depresso.

Unger                            - Neppure io. Mi sembra che la comme­dia prometta bene.

Cook                             - Anche a me. Però la prova non è stata delle migliori, vero?

Bernie                           - (ridendo dì cuore) E' stata la più schi­fosa prova generale che abbia mai visto.

Cook                             - Beh, non capisco la spirito. Forse sono un po' ottuso. Sono ottuso?

Unger                            - Scusatemi, ma ho un appuntamento con la macchina da scrivere e con un fascio di appunti.

Bernie                           - Ti chiamo domattina, Paul.

Unger                            - (andandosene) Bene. Buonanotte a tutti. (Esce).

Frank                             - Bravo ragazzo. Ce n'è uno su un milione come lui. Senza una goccia d'egoismo.

Larry                             - (dopo aver battuto con discrezione alla porta aperta) Mi scusi, Frank. Ho tutti gli attori dell'ultimo quadro in scena. Vorrei ripassare le battute di ciascuno. Non riusciamo a capire come sia suc­cesso quel pasticcio.

Frank                             - (protestando) Ma le ho già ripassate con la ragazzina

Larry                             - (educatamente) Le sarei molto grato, Frank, se volesse ripassarle con me e con il resto della compagnia.

Frank                             - (alzandosi con un finto lamento, accenna a un passo dì danza) Ehilà, amici! Il dovere mi chiama, ma tornerò! (Con l'asciugamano in mano sì allontana con Larry).

Bernie                           - Frank è di ottimo umore.

Geòrgie                         - (calma) Sì, ottimo.

Cook                             - (lugubre) Anch'io, ma non chiedetemi perché. Se ha pronunciato una sola battuta del copione, mi taglio la testa.

Bernie                           - Cookie, secondo te, perché si fanno le prime in provincia?

Cook                             - Bernie, non lo saprò mai. Avrà imparato la parte per la sera della prima?

Bernie                           - (seccato) E' questione di ambientarsi, Phil. E' inciampato in un tappeto che non aveva mai visto prima di stasera; non riusciva a trovare le pantofole, aveva gli occhiali in un cassetto che non si apriva, e mille altre cose del genere. Cosa pre­tendi, miracoli? Naturale che ha saltato le battute!

Cook                             - Ah, io non pretendo niente. Come l'au­tore, anch'io chiedo di essere scusato: i macchinisti sono ancora là fuori a fare lo straordinario'.

Geòrgie                         - (lo ferma mentre, seccato, sta andando verso la porta) Signor Cook, non crede che Frank avrebbe bisogno di un aiuto per vestirsi?

Cook                             - (trattenendo a stento la sua esasperazione) No, non lo credo. Ma lei sì, immagino.

Bernie                           - (cercando di aiutarla) Che ne pensa, Frank?

Geòrgie                         - Quei due cambiamenti a vista... in fondo è una parte lunga... (Bernie fa un cenno di approvazione da dietro le spalle di Geòrgie).

Cook                             - Lo so, Bernie, tu credi che io mangi dol­lari in insalata, a casa mia. (Scuote il capo con disapprovazione e se ne va).

Bernie                           - Non si preoccupi. Gli daremo un aiuto.

Geòrgie                         - Sono contenta che noi si vada d'ac­cordo, signor Dodd.

Bernie                           - (ironico) Credeva di no?

Geòrgie                         - Lei fuma troppo. (Poi) Chi è quell'uomo alto e funereo che si aggira fra le quinte?; Ford? Si chiama Ford?

Bernie                           - (accondiscendente, ma circospetto) Sì, l'eventuale sostituto di Frank. Non ha molta per­sonalità, ma è competente.

Geòrgie                         - Mi scusi se glielo dico... se sta sempre in quinta... innervosisce Frank.

Bernie                           - Ci penserò. Ma Frank è davvero così nervoso?... Eppure lavora bene, è sempre di buon umore...

Geòrgie                         - (ridendo amichevolmente) Perbacco, non lo sa ancora che lui si nasconde dietro quel buon umore?... Non è un uomo semplice, signor Dodd. E' per questo che mi offro come ufficiale di collegamento fra voi due.

Bernie                           - E' questo che sta facendo?

Geòrgie                         - Spero che non mi fraintenda.

Bernie                           - No, credo di capire.

Geòrgie                         - Certi tipi di uomini, sa, sono molto strani. Tutto gli va a gonfie vele, affari, moglie I figli. Il giorno dopo leggi che si è impiccato al lampadario. Può anche essere il più gran mattacchione del mondo... non vuol dire.

Bernie                           - E' un ritratto di Frank?

Geòrgie                         - (prudente, leggermente spaventata) Sì, e no. Frank non farà mai la minima osservazione che potrebbe fargli perdere la stima e l'affetto delle persone. Perciò ho preso l'abitudine di farlo I per lui.

Bernie                           - (guardandola con aria spiacente tua cortese) Sono dolente di doverlo dire, signora Elgin, ma io ho preso un attore, un buon attore,.. vorrei solo lui, senza cugine, nonne e zie, possi­bilmente. (Geòrgie colpita, non sa cosa rispondete, Bernie si siede osservandola attentamente) Che cosa lo preoccupa ora, per esempio?

Geòrgie                         - (dopo una pausa) Il signor Cook. Il suo modo di fare. Il sostituto onnipresente. Il fatto che non riesce a tenere a mente la parte. Crede di non; essere considerato abbastanza bravo da meritare un aiuto per vestirsi. La paga, tanto per dirne un'altra..,

Bernie                           - Perché la paga?

Geòrgie                         - Ha saputo che Mabel Beck prende più di lui. Per essere giusti la cifra è piccola per quella parte.

Bernie                           - (ironico) La cifra è giusta. Non è grossa, ma è giusta.

Geòrgie                         - D'accordo, ma non per lui.

Bernie                           - (la guarda. Cominciano ambedue a innervosirsi) Qual era la sua ultima paga? e in che anno l'ha avuta?

Geòrgie                         - Se stimava tanto Frank da affidargli la parte, e lo stimava, non è una domanda stupida?

Bernie                           - (freddamente) Si dà il caso che io abbia altri piani riguardo alla partecipazione finanziaria di Frank alla commedia. Se lui riesce, se la com­media incontra, gli dò il 5 per cento in più come socio.

Geòrgie                         - Lo... lo metterebbe per iscritto?

Bernie                           - No, non lo metterei per iscritto.

Geòrgie                         - (pallida) Lo aiuterebbe molto se lo facesse. Domani... fra una settimana, quando fosse... dovrà affrontare delle pessime critiche...

Bernie                           - (osservandola) Lei è intelligente, ma non forzi la mano. Guardiamo in faccia la verità. Frank può arrivare dovunque partendo da qui, perfino a una grande carriera cinematografica, ma può anche tornare dritto alla fogna da dove è venuto, e lei con lui!

Geòrgie                         - (dopo una pausa) Lei crede che fosse indispensabile parlarmi così?

Bernie                           - Anch'io, come lei, non sempre dico e faccio solo quello che è indispensabile.

Geòrgie                         - (imbarazzata, urtata, prudentemente cer­cando di capire) Non m'importa che sia arrab­biato, ma vorrei sapere perché...

Bernie                           - (infiammandosi) Non ho problemi con Frank. Non me ne inventi lei dove non esistono! (Si allontana nervosamente) Quasi quasi potrei amare una donna come lei. Anche il mio motto è « nessuna pietà »!

Geòrgie                         - Ma che dice?... Sarebbe tanto gentile da darmi la chiave del suo codice cifrato? (Si è voltata circospetta e diffidente).

Bernie                           - (invitato dalle parole di lei, viene alla porta e si pone dietro le sue spalle, quasi assapo­rando questo momento) Eccole la chiave. Io sono un ambizioso. Vorrei vedere la mia immagine per­fino sui francobolli. Fra noi c'è una differenza, na­turalmente. Io abito su in cima al 24° piano e qualche volta, a notte tarda, guardo fuori la città addormentata e penso come mi piacerebbe cambiare la storia del mondo. Lo so che non lo farò. E' una bella idea ma assurda. Riconosco di non essere che un istrione con un certo talento. Ma lei, cos'è? Lo sa? lo riconosce almeno con se stessa?

Geòrgie                         - Cosa sono io?

Bernie                           - Signora mia, lei maneggia quell'uomo come una scopa: è una strega!

Geòrgie                         - (dopo una pausa) Ha un'opinione di me molto brutta ed altrettanto lirica.

Bernie                           - (abbassando la voce) Ora, attenta, si­gnora Elgin. E' un brutto affare per me, se Frank fa fiasco... ma posso scritturare altri attori. Dubito che Frank possa trovare un altro regista.

Geòrgie                         - Non immaginavo che fosse nervoso fino a questo punto, stasera.

Bernie                           - Avrei detto lo stesso qualsiasi altra sera.

Geòrgie                         - Sì, certo... Ha gli occhi arrossati, dell'uomo che fuma troppo. Il tabacco è una droga... tarpa l'intelligenza. Non devo dimenticarlo.

Bernie                           - (sardonico) Vado a lisciare 'le penne a qualcun altro dei miei pollastri. (Geòrgie è in pie­di, chiusa in un orgoglioso silenzio, profondamente ferita. Bernie va alla porta).

Frank                             - (pieno di esuberanza apre la porta e va a sbattere contro Bernie) Per tutti i fulmini, che traffico stasera! Beh, quel punto è stato chiarito. Quelle battute che si accavallavano, Bernie, è sem­pre stata colpa della ragazza!

Bernie                           - Torno subito. Devo fare alcune osserva­zioni a Mabel Beck. A proposito, Frank, ti secca avere fra i piedi quel Ford, il sostituto?

Frank                             - (con forza) A me? E perché diavolo un Ford, dovrebbe seccare una Rolls Royce?... Ci man­cherebbe altro! Ah! ah! ah! (Bernie lancia una ra­pida occhiata a Geòrgie, poi esce).

Frank                             - (sprizza entusiasmo da tutti i pori mentre si lava e si veste rapidamente) Geòrgie, quelle bat­tute accavallate... era colpa della ragazza. Andiamo a prenderci una boccata d'aria. Mi vesto in un batter d'occhio. Che ne diresti di una passeggiata per il Parco?... (Canticchiando un brano della sua can­zone preferita, Frank non vede, come vediamo noi, che Geòrgie trattiene a stento le lacrime. Frank continua a vestirsi e a chiacchierare allegramente) Indovina di che cosa avrei voglia?... Di uno di quei bei piatti di gamberi e calamaretti fritti: proprio quel che ha ordinato il dottore! Diavolo, ti imma­gini cosa succederebbe al mio stomaco, dopo? Cos'ha detto Cook dopo che sono uscito? (Inca­pace di parlare, Geòrgie si limita a scuotere il capo. Frank si volta per metà) Eh? Cosa?...

Geòrgie                         - Ti daranno una sarta la settimana pros­sima. (Ricaccia indietro le lacrime).

Frank                             - (esultante) Davvero? Geòrgie, suona la grancassa! Ma che faresti senza di me? Scommetto che Bernie era dalla mia parte!

Geòrgie                         - Sì.

Frank                             - Guardami, ti prego, guardami! Mi sento vispo come un ragazzino.

Geòrgie                         - (voltandosi per metà) Frank, mi do­mando se non dovrei tornare a New York. Per ve­stirti hai un aiuto, ora, e io sarei di troppo. Qui non mi possono vedere e...

Frank                             - Che diavolo stai dicendo? Scherzi?... Chi non ti può vedere? (Si dirige verso di lei. Voltando il capo, Geòrgie improvvisamente scoppia in lacri­me. Frank resta interdetto, mortificato e spaven­tato. Con molta lentezza, ora muove verso dì lei con un'andatura strascicata da colpevole) Tesoro, cosa c'è? che succede, cara? Andiamo, su, dillo a papà. Eh, cosa c'è?... (L'ha costretta a voltarsi e l'ha presa fra le braccia).

Geòrgie                         - Devo proprio... farmi curare questi denti...

Frank                             - (sollevato, con affettuosa e rude compren­sione) Amore, perché non me lo dici quando hai qualche cosa che ti preoccupa? Domattina ti trove­remo un buon dentista. (Va verso la toletta) Tieni, prendi un'aspirina...

Geòrgie                         - (fermandolo) No, ne ho già prese un paio.

Frank                             - (torna verso di lei traboccante di affetto e comprensione e fa per baciarla) Tesoro, non lo sai che sarà una seconda luna di miele per noi, qui a Boston?

Geòrgie                         - (scostandosi e mettendosi a sedere, con leggera amarezza) Già, ci vogliamo tutti un gran bene, vero?

Frank                             - Parola mia, non riuscirò mai a capirti! Come deve fare un pover'uomo? Non si sa da che parte prenderti, perdiana! Dico, non posso neanche aprir bocca! (Imbronciato riprende a vestirsi. Geòr­gie siede immobile, fredda, senza parole) Ecco che il mio stomaco è di nuovo sottosopra. Era questo che volevi, no?... (Si siede alla toletta. Fra di loro vi è una grande distanza e un grande silenzio).

Geòrgie                         - Un giorno... presto... vedremo cosa voglio...

Fine della prima parte

PARTE SECONDA

Il camerino di Frank, parecchie sere dopo. E' la una di notte dì una nottata fredda e deprimente. Stanno riprendendo delle fotografie di scena della commedia. Geòrgie è seduta su dì una seggiola, lavorando a maglia. Paul Unger è sul divano e batte lentamente su di una macchina da scrivere portatile. Geòrgie, con una giacca sulle spalle è stanca e depressa, ma cerca dì nasconderlo, ha radio suona in sordina. Dopo qualche momento, Geòrgie alza gli occhi dal lavoro a maglia.

Geòrgie                         - Quando finiranno? Non vedo l'ora.

Unger                            - (nascondendo uno sbadiglio) Qualche volta ci mettono anche tutta la notte per le foto­grafie di scena.

Geòrgie                         - Uh, mi è caduta una maglia! (Con attenzione) Maglia... maglia... mi fa venire in mente la poesia di Wood: « Il canto della camicia » : «Lavora, lavora, lavora, finche il cervello comincia a nuotare. Lavora, lavora, lavora... ».

Unger                            - «...finché gli occhi cominciano a pen­sare ». Lei ha una buona cultura. L'avevo già notato.

Geòrgie                         - (sorridendo) Cos'altro potevo fare? Mio padre era sempre via, mia madre era persa dietro al giardinaggio e alle sue manìe. (Sospira) Come vor­rei che avessero finito.

Unger                            - Qualche volta ci mettono anche tutta! notte per le fotografie di scena. Ah, ma l'ho già detto, che stordito! (Unger dì solito parla usando termini bizzarri e esagerati perché è un timido. O reprime una sbadiglio. Anche Geòrgie reprime uno sbadiglio mentre osserva l'orologio).

Geòrgie                         - Beh, è l'una e venti. (Meditabonda) pensarci bene, tante commedie e tanti libri... tante ore passate a leggere nel silenzio della notte.., tutto questo per che cosa?...

Unger                            - (interrompe di scrivere a macchina e la guarda interessato) Fin dal primo momento che l'ho conosciuta, signora Elgin, lei mi ha subito interessato.

Geòrgie                         - (voltandosi, con ironia) Perbacco! Trova che sono interessante?

Unger                            - Perché Frank si è messo a bere?

Geòrgie                         - Non c'è mai una sola ragione in queste. cose. Lei che è uno scrittore, dovrebbe saperlo signor Unger. Ripensandoci, direi che sono stati alcuni errori di giudizio a dargli il via. Aveva dei soldi, un tempo, ma lei non conosce il mio Frank; voleva essere lui stesso il suo impresario. Così centomila dollari se ne andarono in un anno e mezzo, quasi tutti in due commedie che non valevano niente. Io ne ero completamente all'oscuro. Aveva paura, di dirmelo. Un anno dopo perdemmo la nostra bambina. Una cosa tremenda. Credette di poter soffocare il dolore e il resto con l'alcool. Da allora non si è più fermato. Poi, lei sa come succede in teatro: basta che uno si faccia la fama...

Unger                            - (in fretta, mentre lei sì volta) Mi scusi non volevo sbadigliare.

Geòrgie                         - (sorridendo) Facciamo un patto, signora  Unger; sbadigliamo tutti e due senza complimenti (Impaziente) Bernie non è tornato in teatro, stasera?

Unger                            - Non le piace Bernie, vero?

Geòrgie                         - Cos'ha che non va? la moglie?

Unger                            - Anche. Ma non si lasci ingannare dai suoi modi prepotenti... in realtà è un bambino,

Geòrgie                         - (ironica)  Oh, certo, come no!

Unger                            - No, dico sul serio. Nonostante il suo talento, in tante cose è un bambino. E' innamorato dell'arte, per esempio, e per lui è un delitto se gli altri non lo sono. Ma, come le dico, non c'è soltanto effervescenza, in quella testa! La disturbo battendo a macchina?

Geòrgie                         - No. Disturba la radio? (Unger scuote il capo, decide dì prendere la sua roba e andarsene. Nel frattempo Geòrgie ha passeggiato nervosamente per la stanza sorseggiando caffè da un bicchiere) Frank dovrebbe essere a letto col raffreddore che ha. Come le è parso il debutto, ieri sera? Trova che le critiche sfavorevoli a Frank siano giuste?

Unger                            - No, non sono giuste.

Geòrgie                         - (esitante) Vuol dirlo a Frank? Gli fa­rebbe bene... è piuttosto giù, stasera.

Unger                            - (massaggiandosi un dito) Certo che glielo dirò.

Geòrgie                         - (guardando fuori della porta) Come mai lavora in camerino?

Unger                            - Frank è impaziente di vedere la nuova scena. E le stanze d'albergo sono insopportabili e soprattutto solitarie.

Geòrgie                         - Lei è molto giovane per una scoperta di questo genere.

Unger                            - (sorridendo) Posso parlare da amico, si­gnora Elgin? E' una specie di posa la sua, parlare come un veterano di tutte le guerre. In realtà lei è una donna giovane e molto attraente. Quanto a me, parlerò da grand'uomo, questa è la mia terza commedia. La solitudine è una specie di distintivo per gli scrittori.

Geòrgie                         - (andando verso la toletta) Sono at­traente come sua zia?

Unger                            - Susie?... Ha quasi l'età di Frank! Molto a posto. Mio zio le ha lasciato molti quattrini.

Geòrgie                         - (delicatamente) Potrebbe fare un'altra cosa per Frank? Chiedere a sua zia di invitarlo a colazione? E' una brutta settimana per lui.

Unger                            - Si può fare. (Frank entra frettolosamente. Ha un forte raffreddore di testa e cerca di nascon­dere un'ansietà che lo consuma, con l'affabilità).

Frank                             - A che punto è la nuova scena, lumacone?

Unger                            - Attento che sopprimo la sua parte, se mi manca di rispetto!

Frank                             - Beh, ancora due scene da fotografare e possiamo andarcene. (Aggirandosi per la stanza si ferma alla toletta) Dov'è quello sciroppo?

Geòrgie                         - Ti morderebbe se avesse i denti. (La bottiglia è proprio sotto la mano di Frank, a sinistra sulla toletta).

Frank                             - (ne prende un lungo sorso e si guarda in­torno come imbarazzato) Dunque, fammi pen­sare... che diavolo devo mettermi ora?

Geòrgie                         - La giacca dello smoking. (Si alza e va a prendergliela).

Frank                             - Bernie non si è fatto vivo? (A Unger) A che punto è la nuova scena?

Unger                            - Non vado a letto finché non l'ho finita. Bernie vuole metterla in scena domani. ^

Frank                             - (vestendosi, riflette. Poi si china e prende un ritaglio di giornale, tossendo e tirando su dal naso) Hum, hum! L'ha vista questa critica? Sostiene che non avrei dovuto tornare al teatro.

Unger                            - Se le scordi quelle critiche, Frank... non valgono un accidente!

Georgie                         - Frank, basta fumare! (Frank lascia com'è la sigaretta che stava per accendere).

Unger                            - Come va il raffreddore?

Frank                             - (con una smorfia) A gonfie vele!

Geòrgie                         - Vorrei proprio avessero finito con quelle fotografie.

Unger                            - L'intuito mi dice di tornare all'albergo... è a due passi da qui. (Solleva la macchina da scri­vere) Generalmente si crede che sia io a possedere questa macchina, ma è lei che possiede me... anima e corpo... strana forma di depravazione! Buona not­te. (Si allontana, stancamente).

Geòrgie                         - (mormora) Buonanotte.

Frank                             - Buonanotte, figliolo. Mi piace quel ra­gazzo... bravo giovane, senza un goccia d'egoismo. Devo fumare una sigaretta, Geòrgie, sono nervoso... (Geòrgie non dice niente. Frank accende la siga­retta e prende un altro sorso dello sciroppo; i suoi nervi e la sua ansietà sono palesi, ora).

Geòrgie                         - (calma) Non mi piace quello sciroppo che ti sei comprato.

Frank                             - Perché? Un dollaro la bottiglia.

Geòrgie                         - « Un dollaro la bottiglia » è un ottimo slogan; ma se non sei cieco, avrai letto anche tu la composizione : ventidue per cento di alcool.

Frank                             - Lascia fare a me, cara. Tu conosci papà Frank... sempre in equilibrio come una capra di montagna... non scivola mai, lui.

Geòrgie                         - Fatti mettere a posto la cravatta, capra di montagna. (Egli si avvicina a lei con obbedienza, sporgendo il mento) Sei cattivo, Frank.

Frank                             - Hai comprato le pillole per dormire?

Geòrgie                         - Sì. Stai fermo.

Frank                             - Rosse o gialle?

Geòrgie                         - Rosse, ma non te ne dò più di una.

Frank                             - E quelle azzurre? Mi hanno detto che ti fan crollare in un sonno di piombo.

Geòrgie                         - Perché non ci facciamo un pranzetto una sera? Possiamo cominciare da quelle rosse in brodo di pollo. Poi... (Ridendo leggermente, ella si tira indietro, dopo aver aggiustato la cravatta. Ma egli improvvisamente l'afferra per le braccia, con paurosa intensità).

Frank                             - Vieni qui, Geòrgie... Anche tu sei stanca. Papà Frank non è di grande aiuto, eh?... Torna all'albergo. Qui ne abbiamo per un'altra ora.

Geòrgie                         - Ormai ho aspettato fin qui... (Lo os­serva mentre va a guardarsi allo specchio).

Frank                             - Cook non si è visto?

Geòrgie                         - No. (Pausa) Frank... Cosa c'è?

Frank                             - (riscaldandosi) Perché diavolo Bernie non è tornato stasera?

Geòrgie                         - (cercando di dare poca importanza alla cosa) Non pretenderai che venga tutte le sere alla fine dello spettacolo a renderti omaggio...

Frank                             - Questa è solo la seconda sera, in fondo! Perché dici tutte le sere?... (Ella lo osserva atten­tamente mentre lui si volta. Lentamente) Non but­terebbero tutti quei soldi in fotografie se pensassero di cambiare qualche attore! (Con sfida) Però sono contento di avere quella clausola delle due setti­mane, quanto è vero Iddio!

Geòrgie                         - E' proprio vero?

Frank                             - Sì, vero! Li pianterò in asso! Se non importa a loro, perché dovrebbe importare a me? L'impresario e il regista non si fanno vedere la seconda sera!

Geòrgie                         - Non si fermerà il mondo per questo...

Frank                             - (agitato) Come posso sapere se vado bene o no?... Non capisci quello che provo?

Geòrgie                         - Sì, lo capisco. Ti senti a terra. Ma una cosa è sacrosanta, Frank: se pianti anche questa commedia, non mi vedrai mai più.

Frank                             - Brava, brava, mettiti dalla loro parte... non importa come sto io... mettiti dalla loro parte!

Geòrgie                         - (con tranquilla sicurezza) Quest'anno mi metto dalla « mia » parte. (Il tono di lei sembra spaventarlo, perché si ferma, va allo specchio e si incipria il viso con un piumino. Infine fa un mesto tentativo di far dello spirito).

Frank                             - Si può sapere perché mi hai sposato?

Geòrgie                         - Facile rispondere: avevi sempre un pacchetto di chewing-gum in tasca.

Frank                             - (tira su dal naso e prende in marno delle lettere leggendone una) Che ne dici di questa?... Tre ammiratrici vogliono1 fare del teatro. «Ho sem­pre desiderato fare l'attrice. Ho diciassette anni e credo di avere del talento ». Gelosa? (Lei sorride. Egli strappa le lettere e le getta nel cestino) No, non te ne importerebbe niente se mi imbrigliassi con una ragazza, vero? (Ella sorride misteriosa­mente. Sa che Frank vuole riprendere quota e che per questo cerca di trascinarla ad una risposta det­tata dalla gelosia, dall'affetto e dalla stima) Eh, di' la verità, te ne importerebbe se una sera non tornassi a casa? te ne importerebbe?

Geòrgie                         - Dovrei provarlo, per dirlo, Frank. (Bus­sano alla porta).

Frank                             - (grida) Sì-

Larry                             - (si affaccia alla porta) Siamo pronti, Frank. Quando vuole...

Frank                             - Vengo subito, Larry. (Larry, annuendo, esce. Frank confuso, non sa che dire a Geòrgie. Fa scivolare la bottiglia nella tasca della giacca) Vuoi venire a vedere?

Geòrgie                         - No, fa freddo in palcoscenico.

Frank                             - (contrito, avvicinandosele) Arrabbiata con me? (Lei scuote il capo) Neppure se tornassimo alla stessa vita, alla stessa stanza?

Geòrgie                         - Non si torna mai alla stessa vita, Frank. Si toma a una vita peggiore o migliore, mai alla stessa.

Frank                             - Ma ho sempre la mia ragazza di cam­pagna?

Geòrgie                         - Eccomi qua.

Frank                             - Ti voglio bene. Non voglio perderti. Ma devi pensare che se non fosse stato per me, saresti ancora nelle vigne di tua madre. (Fa per uscire).

Geòrgie                         - (annuendo, andando verso di lui) Fungo avvelenato nei boschi. Tieni, prendi questi, fazzoletti... ti faranno comodo. (Gli porge dei fazzoletti di carta. Si incontrano nel mezzo della stanza i ciascuno tenendo per un lembo i foglietti di carta),

Frank                             - Grazie.

Geòrgie                         - Frank, ti prego, lascia qui la bottiglia!

Frank                             - Ne ho bisogno, cara.

Geòrgie                         - Lascia qui la bottiglia.

Frank                             - Geòrgie, ne ho bisogno. (Improvvisamente con forza) Ne ho bisogno, ti dico!

Larry                             - (da fuori) Tutti in palcoscenico per le foto del terzo atto! (Frank le strappa i fazzoletti di mano e se ne va. Rimasta sola, Geòrgie non nasconde più la sua stanchezza. Resta in piedi timidamente chiusa in se stessa, col capo reclinato da una parte. C'è in lei, qualcosa di molto triste e desolato. Arriva da fuori della porta il bruscìo delle voci del palcoscenico. Entra Nancy, con un ricco abito da sera. Per Nancy, la vita è uno spazio dì tempo delizioso e lunghissimo).

Nancy                           - Signora Elgin, posso usare un secondo la sua specchiera?

Geòrgie                         - Specchiera? Non sentivo più questo nome da quando ero bambina.

Nancy                           - (indica lo specchio lungo. Geòrgie sorride) Non lo chiamano tutti così?

Geòrgie                         - Solo le vecchie signore come me.

Nancy                           - (ride mentre si specchia) Bello il vestito, vero?... A mia madre verrebbe male all'istante se» mi vedesse così scollata. (Sospirando, ma continuando a guardarsi) Oh, signora Elgin, crede che» diventerò mai una grande attrice?

Geòrgie                         - Conosco qualcuno che vorrebbe non esserlo diventato.

Nancy                           - Ma lei non ha idea di come sia urtante sentirsi sempre chiamare «bambina cara».

Geòrgie                         - (opaca) Certo può essere urtante.

Nancy                           - Posso farle una domanda indiscreta… Quanti anni ha?

Geòrgie                         - Sono sull'altro oscuro e misterioso ve» sante della trentina.

Nancy                           - E' un bel po', eh?... Ma venga alla specchiera, si guardi: sembriamo sorelle! (Nancy ha preso Geòrgie per la mano; tenendosi per la vita  si guardano nello specchio).

Geòrgie                         - (triste) Non perdere la tua aria  da cucciola; ti sarà d'aiuto nella vita. Voce di

Larry                             - (d. d.) Nancy Stoddard!

Nancy                           - (gridando) Sono qui!

Larry                             - (entra e le dà una scappellotto) Ehi, ra­gazzina, ti vogliono in palcoscenico, andiamo.

Nancy                           - Ecco, lo sente? E' insopportabile! Ora capirà perché sono così seccata. (Sparisce in un soffio. Geòrgie resta a guardarsi allo specchio. Si toglie gli occhiali e si osserva. Qualcosa, giunge a scuoterla dall'immagine riflessa nello specchio. La radio comincia a suonare un valzer. Geòrgie segue il ritmo e si ritrova a ballare il valzer da sola. Poi bruscamente si ferma. Sulla soglia, ironico, è apparso Bernie).

Bernie                           - Chiedo scusa a entrambe. (Entra nella stanza).

Geòrgie                         - (andando alla toletta) Un'aspirina. Ho mal di testa.

Bernie                           - (prendendo di tasca un tubetto d'aspirina) Dicono che sia il secolo dell'aspirina, questo.

Geòrgie                         - (si mette gli occhiali, prende un po' d'ac­qua, ingoia l'aspirina e infine si volta) Ho un mal di testa spaventoso... sono stata troppo chiusa qui dentro.

Bernie                           - Dov'è Frank?

Geòrgie                         - In palcoscenico. (Mentre Bernie fa per uscire, essa lo ferma, ora in pieno controllo di se stessa) Il raffreddore gli è peggiorato, signor Dodd. Dovrebbe essere a letto1 a quest'ora. Questo è più di quanto una persona umana possa sopportare.

Bernie                           - Eccomi in pieno melodramma! Dob­biamo fare le fotografie per la pubblicità, no? E come gli va il morale?

Geòrgie                         - Giù.

Bernie                           - Lo spettacolo funziona... perché?

Geòrgie                         - Lo domandi ai critici di Boston. Non tutti sembrano avere la sua fiducia.

Bernie                           - (pronto) Questo è vero.

Geòrgie                         - E già che siamo in argomento, forse lei si fa prendere un po' la mano dalla sua fiducia. Il che le dà una certa aria da Napoleone.

Bernie                           - (anche più pronto) Anche questo è vero.

Geòrgie                         - Non cerchi di minimizzare quello che dico col darmi ragione. E' vero sul serio.

Bernie                           - (stanco, la guarda col suo tipico sorriso agli angoli della bocca e si siede come per prepa­rarsi a discutere con lei, ma è un modo- come un altro per distendere ì suoi nervi tesi) Cos'altro preoccupa l'amico Frank?

Geòrgie                         - Lei non è venuto su dopo lo spetta­colo. E neanche il signor Cook.

Bernie                           - In questo ultimo mese, ho passato con Frank dalle dieci alle quindici ore al giorno. E non l'ho mai sentito lamentarsi, se non per bocca sua, come mai?

Geòrgie                         - Ne abbiamo già parlato. (Chiude la fotta e la radio) Per lui è un delitto' non apparire allegro e spiritoso. Ha paura che la gente si secchi. Quindi, quand'è nervoso, non lo fa vedere. O si mette a fare il buffone, o se ne sta seduto in si­lenzio a rodersi l'anima. Ma in entrambi i casi, tanto perché lei lo sappia, cova una sbornia.

Bernie                           - (ironico) Le donne sono sempre con­vinte di capire alla perfezione il loro uomo, vero?

Geòrgie                         - (deliberatamente reprimendo la propria elettricità) Non voglio litigare, signor Dodd. Si aspettava che lei fosse in teatro stasera; la sua assenza gli è parsa un rimprovero. Se le sta mini­mamente a cuore la sicurezza di Frank...

Bernie                           - ... « segua il mio consiglio »?

Geòrgie                         - (scrutandolo come un lottatore scruta l'altro prima di iniziare la lotta) Se ne intende lei di alcoolizzati?

Bernie                           - Abbastanza.

Geòrgie                         - Se non sta attento, se lo ritroverà pieno di whisky prima che vada a letto stasera.

Bernie                           - Ma perché si dà tanto da fare per suo marito? Perché non prende un po' di riposo?... Lo rende nervoso, imbarazzato. Non smette di « manovrarlo » un minuto. E cerca di « manovrare » anche me.

Geòrgie                         - (in un impeto di rabbia) E credo anche di esserne capace, dopo aver tenuto a bada un astuto ubriacone per dieci anni!

Bernie                           - (in piedi) Chi diavolo si crede di essere?

Geòrgie                         - (con sfida) Sono la moglie di un di­sgraziato che beve.

Bernie                           - Posso riconoscerlo, ma per quest'uomo sono pronto a lottare anche contro di lei.

Geòrgie                         - (con un debole sorriso) Non lotti trop­po... Potrei finire per cederglielo.

Bernie                           - No, lei vuole che penda dalle sue lab­bra, vero? Non sprechiamo fiato. Io...

Geòrgie                         - E' troppo tardi per questo.

Bernie                           - Ero sposato con una donna come lei. Due anni, ed ero bell'e spacciato!

Geòrgie                         - L'amore è inferno...

Bernie                           - Non parliamone più. (Va alla porta e si volta) Che peccato che non si renda conto del talento di suo marito!

Geòrgie                         - A cosa ha rinunciato, lei, per quel talento?...

Bernie                           - (tornando indietro) E perché non se ne va?

Geòrgie                         - Perché ha bisogno di aiuto!

Bernie                           - L'aiuto io!

Geòrgie                         - Lei?! Non saprebbe da che parte co­minciare! La vita con lui consiste per tre quarti nell'evitare scene spiacevoli. Ora, in modo del tutto gratuito, lei pensa che io gli abbia rovinato l'esi­stenza. Lei è molto...

Bernie                           - (incapace di contenersi) Guarda, guarda, guarda! Attacchiamo la corda sentimentale! Basta dire «mamma» «bambino» e «sacrificio» e tutti si struggono in lacrime! Ma quest'uomo lei l'ha ro­vinato... cerchi un po' di spiegarmelo col senti­mento!

Geòrgie                         - (incredula) Come ho fatto a soprav­valutarla così'? Non è che un bambino!

Bernie                           - Bambino o uomo, ho messo su una commedia... deve funzionare! Parleremo di filo­sofia un altro giorno! Ad esser sincero, lei mi sem­bra piuttosto grottesca, signora Elgin!

Geòrgie                         - Che dovrei dire di lei? Ma si guardi: pauroso di far fiasco... una macchina priva di stile e di delicatezza... che finge una umanità che non ha mai praticato!

Bernie                           - (con disprezzo) Ha chiamato suo ma­rito un astuto ubriacone?

Geòrgie                         - (semplice) Era necessario che lo sa­pesse! (Una pausa. Si stanno ambedue fulminando con lo sguardo) Non facciamo gli stupidi. Adesso mi dica esattamente in nome di Dio, cosa vuole che io faccia per Frank. (Si siede alla toletta).

Bernie                           - (appuntandole un dito al petto) Così va bene! Dopo la crederò. Me lo provi!

Geòrgie                         - Come?

Bernie                           - Prenda il treno: se ne vada. (Pausa) Vengo ora da una litigata con Cook. Ha un attore di prima categoria per sostituire Frank e settanta­mila dollari da proteggere! Frank migliorerà ogni giorno... io ne sono sicuro, Cook no. Ebbene, non migliorerà se lei non va via.

Geòrgie                         - (pensa, si ferma, guarda, ascolta) Uhmm... lo farò. Tornerò a New York. (Lo ferma mentre sta per andarsene) Ma a una condizione: a Frank glielo dico io, a modo mio, e quando lo crederò opportuno.

Bernie                           - A patto che domani sera prenda il treno, d'accordo?

Geòrgie                         - (annuendo) La vita è una cosa seria, è una cosa concreta, e poi ci sono i quattrini, lo capisco. Ma potrebbe pentirsene.

Bernie                           - Mi sembra un mezzosoprano da melo­dramma.

Geòrgie                         - (bruscamente lo schiaffeggia in viso con la mano aperta. Fieramente) Mi ero dimenti­cata di dirlo che sono orgogliosa? La smetterà di appiopparmi il primo insulto che le salta in testa!

Bernie                           - (freddamente) Forse me lo meritavo. Forse no. Solo il tempo potrà dirlo.

Geòrgie                         - Il tempo risolve ogni cosa, si dice. (Trattenendo le lacrime) Sia ringraziato Dio per questa inevitabilità.

Frank                             - (apre la porta prima che Bernie vi sia arri­vato. Gioviale) Bernie, vecchio mio, dove sei stato tutta la sera? Tutte le volte che entro, cosa trovo? Tu e mia moglie... ehi, ehi...

Bernie                           - (voltandosi) A che punto sono?

Frank                             - (allegramente) Abbiamo finito! Geòrgie, abbiamo finito! Che giornata, ragazzi! (A Bernie cautamente) Hai visto lo spettacolo stasera?... (Ber­nie annuisce) Beh, forza, allora! Vuotare il sacco!

Bernie                           - Ti dirò quello che mi ha detto un pro­fessore di Harvard. Ho fatto tardi per lui. Ha detto: «Quell'uomo è straordinario!».

Frank                             - (comincia a mettersi in abiti borghesi e posa lo sciroppo per la tosse, sul tavolino) Hai sentito, cara? Il professore ci ha promosso!

Bernie                           - Cos'è successo di nuovo nel secondo E atto?

Frank                             - Bernie, è sempre quel punto maledetto, quell'attacco troppo rapido. Unger dice che si può rimediare.

Bernie                           - Credo anch'io. (Prende un appunto) Vorrei introdurre la nuova scena domani.

Frank                             - Domani?

Bernie                           - Sei stanco?

Frank                             - (con sprezzo) Chi? Elgin, l'attore che non teme confronti?

Bernie                           - Eri un po' fiacco stasera.

Frank                             - Colpa di questo dannato raffreddore.! (Bernie comincia a osservare attentamente Frank. I Non è stupido e vi può essere un minimo di verità in ciò che ha detto Geòrgie. Essa è dall'altra parte della stanza, a braccia conserte, pronta ed ottenere la verità a tutti i costi).

Bernie                           - Non erano i nervi? (Avvisandolo) Do­vremo metterci sotto pressione ora. Come va il raf­freddore?

Frank                             - E' sotto controllo.

Geòrgie                         - Perché non gli dici quello che ti preoccupa?

Frank                             - (sgranando gli occhi) Quello che mi! preoccupa?

Geòrgie                         - Cook e le critiche, per esempio.

Frank                             - (innocentemente a Bernie) Mi domandavo solo come mai non era tornato. Ecco tutto. (Geòrgie non intende restare zitta questa volta benché Frank le faccia capire di star buona, sii intromette nel dialogo. Bernie osserva tutto attentamente).

Geòrgie                         - Frank, il signor Dodd ha fiducia in te. Io non posso aiutarti se sei preoccupato, mal lui sì.

Frank                             - (con molta fermezza) Ma io non sono preoccupato. Anche lui ha i suoi guai, cara.

Bernie                           - (tastando il terreno) Frank, tu sei uni artista. Io sono pronto a pagarne le conseguenze.! Non sono uno stupido e quindi non mi aspettavo! che tu fossi un uomo facile da trattare. Insomma, c'è qualcosa che seriamente ti preoccupa?

Frank                             - Non te lo direi?

Bernie                           - Credo di sì. (Continua a osservare con scrupolosa attenzione).

Geòrgie                         - (si intromette duramente fra ì due uomini) E' vero e non è vero che dieci minuti fa, qui, in questa stanza, mi hai detto che volevi rinun­ciare alla parte?

Frank,                            - (esplodendo) Perdio, non si può par­lare! Se uno non può nemmeno dire una cosa per scherzo! Con te bisogna pesare ogni parola! Va bene, non aprirò più bocca! (Lancia a Bernie un lungo sguardo di sopportazione. Geòrgie interdetta stringe le labbra).

Bernie                           - (deliberatamente getta un altro ingrediente mi miscuglio) Tua moglie dice che pensa di tornare a New York.

Geòrgie                         - Io non ho detto niente del genere!

Frank                             - (sì volta, allarmato e ansioso, con in mano la bottiglia dello sciroppo) Come sarebbe a dire, New York?

Geòrgie                         - (decidendo di usare una nuova tattica) Sì... vorrei tornare a New York. (Imbarazzato, preoccupato, diffidente e senza parole, Frank fa per prendere una sorsata di sciroppo, ma Geòrgie gli toglie la bottiglia di mano e la posa violente­mente sulla toletta).

Bernie                           - (che sì era mosso per andarsene si volta e prende in mano la bottiglia) Che roba è?

Frank                             - Sciroppo per la tosse. Pino, resina, bac­che... un intero albero in una bottiglia!

Bernie                           - (guardando l'etichetta) Lo' sapevi che contiene il ventidue per cento di alcool?

Frank                             - Alcool? (Molto sorpreso, fingendo imba­razzo, guarda l'etichetta) Già, c'è anche dell'alcool, è vero. Ho detto a Geòrgie di trovarmi qualcosa che mi sciogliesse un po' il catarro ed ecco cosa mi ha portato.

Bernie                           - (con voce dura ma non priva di emozione) Che è questa storia, Frank? Mio padre beveva... finì sotto le ruote della sotterranea. So bene cosa significano questi piccoli aperitivi!

Frank                             - Non mi era neppure venuto in mente, Bernie. (Con aria di rimprovero a Geòrgie) Per­bacco, cara, la prossima volta, sta' attenta! (Bernie guarda ora Frank, ora Geòrgie).

Geòrgie                         - (è stanca ma non cede) Vestiti, Frank. Voglio andare a casa. Ti aspetto fuori. (Esce pren­dendo la borsa e chiude la porta).

Bernie                           - Frank, io tengo molto a questo spetta­colo. E lei è gelosa della commedia e gelosa di me. (Ha preso la bottiglia e ne versa il contenuto nel lavandino) A questo arriverà: a farti ricominciare a bere!

Frank                             - (osservandolo furtivamente e a disagio) Bernie, lo so che è una donna difficile, stramba, ma non posso credere che...

Bernie                           - (l'interrompe sbattendo la bottiglia nel ce­stino di metallo; duramente) Voglio che torni a New York! Dovremo lavorare sodo d'ora in poi! (Si ferma) Frank, ti assicuro che non mi diverto a parlarti così... Torna all'albergo, fatti un buon sonno. Ti voglio fresco e in gamba per domani. All'una mettiamo su la scena nuova.

Frank                             - (stancamente) Sì...

Bernie                           - (apre la porta e chiama) Signora Elgin! (Questo mette a disagio Frank. Geòrgie ritorna. Bernie stanco) Frank sa esattamente come la penso. Ci vediamo domani all'una, Frank. ,

Frank                             - Buonanotte. (Bernie se ne va, chiuden­do la porta. Geòrgie tace. Frank, pieno di infantile senso di colpa, non sa dove guardare. Comincia a struccarsi. Geòrgie è stanca, con ì nervi tesi che non ci vuole molto per spezzare) Dov'è la mia si­garetta? Sa essere molto arrogante e offensivo quan­do vuole, vero? (Aspetta) Deve far freddo, fuori.

Geòrgie                         - Sbrigati, Frank. Sono stanca morta e non ho nessuna voglia di discutere.

Frank                             - Non aveva nessun diritto di parlarti in quel modo!

George                          - (con amarezza) Gliel'hai detto?

Frank                             - Geòrgie, lui... io mi vergogno di me... (Si asciuga la faccia) Altri due minuti, cara. (Essa siede rigidamente sull'orlo di una seggiola, senza guardarlo. Egli si cambia rapidamente i pantaloni).

Geòrgie                         - Frank... dov'è l'altra bottiglia?

Frank                             - Quale bottiglia?

Geòrgie                         - Sono stanca, Frank... non giochiamo a nascondino. Hai Un'altra bottiglia di sciroppo?

Frank                             - No, non ce l'ho.

Geòrgie                         - (insistendo) Dammela.

Frank                             - Ma non ne ho comprata un'altra botti­glia, cara. (Come un bambino ingiustamente pu­nito egli resta lì in piedi. Geòrgie vaga con gli occhi dalla faccia di lui agli angoli della stanza. Brusca­mente essa tira giù una scatola. Non trovando niente nella scatola rovescia le tasche di un vestito) Mi pia­cerebbe che mi credessi, tanto per cambiare.

Geòrgie                         - (ignora la sua protesta, va al cassettone e apre tutti i cassetti continuando la sua ricerca) Che notte! Che notte! E sempre con questo mal di testa che mi spacca il cervello! (Cerca nel baule).

Frank                             - Mi piacerebbe che tu mi credessi una volta tanto...

Geòrgie                         - (bruscamente) Non importa... mi ar­rendo! Non cerco più! Dov'è il mio lavoro a ma­glia? (Si guarda intorno cercando il lavoro a maglia e cercando di ritrovare se stessa. Infine trova la borsa del lavoro sotto gli abiti di lui sul divano e la mette insieme all'altra borsa sulla seggiola).

Frank                             - (ha l'aria confusa e umile, abbietta) Geòrgie, voglio chiederti scusa, Geòrgie. Non aveva nessun diritto di assumere quell'atteggiamento con te.

Geòrgie                         - No? Ha il diritto di assumere tutti gli atteggiamenti che vuole. Non è il tuo migliore amico?

Frank                             - Sempre dopo di te, cara! Vorrei tanto poterti dimostrare quanto ti amo!

Geòrgie                         - (ha difficoltà ad infilarsi il cappotto; una manica si è rovesciata all'interno e questo aumentai la sua umiliazione e la sua rabbia) Quando hai bisogno di me, vorrai dire!

Frank                             - (ora ci appare in tutta la sua disperazione e inettitudine) Ti prego, Geòrgie, non essere in collera con me. Lo so che sono un buono a nulla, ma sono preoccupato da morire!

Geòrgie                         - Raccontalo a Bernardo!

Frank                             - Pensa cosa significa per me entrare in scena tutte le sere... la responsabilità della comme­dia è tutta sulle mie spalle!

Geòrgie                         - Raccontalo a Bernardo!

Frank                             - Bambina, non so dove nascondermi... mi vergogno!... Non so ancora la parte e domani ag­giungono una nuova scena! E adesso tu mi dici che vuoi tornare a New York... Non ce la faccio se tu non mi aiuti. Sono stato io forse a chiedere questa parte?... Non sono stati loro a venire da me?... Non c'eri anche tu quando lui è venuto a cercarmi?... Non apprezzano quello che sto facendo per loro! Non...

Geòrgie                         - (l'interrompe, facendo assumere al suo di­scorso la piega di una offesa indignazione) Smettila di fingere.

Frank                                                            - Fingere?

Geòrgie                         - E sei un bugiardo, un bugiardo!

Frank                             - (infiammandosi) Cosa dovrei fare... pian­gere e lamentarmi?... Vuoi che mi faccia odiare da loro?

Geòrgie                         - (amara) Ti adoreranno quando ti ve­dranno ubriaco fradicio!

Frank                             - Chi ti dice che mi ubriacherò?

Geòrgie                         - L'ho letto nell'oroscopo... (Si ferma con gli occhi pieni di lacrime nonostante i suoi sforzi) Ecco come finisce il tuo bel sogno, con la gente che rideva... hai fatto un bel sogno un mese fa... (Prende il fazzoletto dalla borsa e si soffia il naso).

Frank                             - (si volta, si veste e mormora fra sé) Non conosco un cane qui a Boston... tutta la compa­gnia... a nessuno vado a genio, neanche a Bernie. Come posso sapere che mi terrà? Si è comportato da amico stasera?... (Si volta verso di lei) Ritorni a New York?

Geòrgie                         - Non vedo perché non dovrei.

Frank                             - Vuoi lasciarmi solo?

Geòrgie                         - E' tardi, Frank... ho da lavare delle calze...

Frank                             - (interrompendola) Dimmelo! Vuoi la­sciarmi, vero?

Geòrgie                         - Voglio andare a letto... chissà che non faccia un bel sogno!

Frank                             - Chi c'è a New York? (Geòrgie si volta guardando Frank interrogativamente. Duro) Quale paio di pantaloni vai inseguendo?

Geòrgie                         - (fuori di sé) Frank, ti avverto... ti butto addosso la prima cosa che mi capita fra le mani! (Faccia a faccia si osservano per un » mento),

Frank                             - (finalmente si allontana verso l’attaccapanni, ma non abbassa la voce) Tutti vogliono che io fallisca! Anche tu! Tu non mi ami!

Geòrgie                         - (stancamente) Andiamo, Frank...

Frank                             - Ho due mani sole!

Geòrgie                         - Beh, usale allora. Sono le due. Domani all'una hai la prova.

Frank                             - Se hai tanta fretta, quella è la porta! Quanto a me, voglio fare due passi. Prendere una mela al forno e un po' di latte.

Geòrgie                         - Il raffreddore ti è aumentato...

Frank                             - Lascia che se ne preoccupino loro! Te l'ho detto quello che puoi fare!

Geòrgie                         - Vuoi che me ne vada?... E' quésto che vuoi?

Frank                             - Se hai tanta fretta...

Geòrgie                         - (lo guarda e il suo viso si contrae. Arrabbiata, prende la borsa e il lavoro) Oh, all'in­ferno tutto quanto! All'inferno! Me ne torno all'al­bergo... Fa' quello che ti pare! Certe volte penso che sei proprio matto! (Esce senza aggiungere altro, sbattendo la porta).

Frank                             - (si aggira per la stanza, aggrotta le ciglia minaccioso, tira su dal naso e cerca dì imitare il tono di lei, camminando in circoli prima di offa-rare la cravatta dall'attaccapanni) Sei proprio matto! Fai quello che ti pare... sei proprio matto!... Il raffreddore ti è aumentato. (E' allo specchio e si annoda la cravatta) Eccola lì... piglia e se ne va, Tipico! Tipico! Ci si dimentica che esisto. Si prende le loro parti e ci si dimentica che esisto. La compagna, la compagna della vita... (Improvvisamente si interrompe e il suo atteggiamento cambia totalmente. Si ferma e in punta di piedi va alla porta chiusa e ascolta. Poi va al cassettone e dal cassetto di fondo, tira fuori una bottiglia piena di sciroppo per la tosse. L'apre, ne prende un sorso e getta i! coperchio dì latta dietro le spalle. Appoggia h bottiglia sul baule e continua a sistemarsi il colletto e la cravatta. Il suo tono, ora', è meno intenso ma ugualmente amaro) Compagna!... Amore!... Ragazza di campagna!

QUADRO SECONDO

Il camerino di Frank, dodici ore dopo. Sono le prime ore del pomeriggio. Il camerino è al buio. Si sente russare. Bussano' insistentemente alla porta. Frank che dormiva, si agita sul divano. Oscurar mente si intuisce che sta per alzarsi. Bussano an­cora e si ode una voce.

Voce di Larry               - (d. d.) Meglio avvertire Berme... è andato a cercarlo all'albergo. C'è nessuno?... Si­gnor Elgin?... (Si accendono le luci intorno allo specchio. Frank è arrivato a tentoni all'interruttore ed ora è in piedi, ancora assonnato. Sì ode ancora bussare) E' lì, signor Elgin?... Frank!... (Interrompono di bussare e si odono molte voci che si uniscono alla prima fuori della porta).

Frank                             - (si rende conto di dove si trova e di cosa sta accadendo. E' completamente vestito, con per­fino il cilindro in testa, ed è evidente in tutti i particolari che si è ubriacato. Mormora a fior dì labbra) Oh mio Dio, mio Dio!... (Non sa cosa fare per prima cosa. Cerca di ravviarsi i capelli con mani nervose, ma niente può servirgli in questo momento dato che le voci di fuori insistono e lo stanno ossessionando). Voce di

Cook                             - La chiave è dentro? Voce di

Larry                             - Non lo so. (Bussa) E' dentro la chiave?.

Voce di Unger              - Apra, Frank!

Frank                             - (guardandosi intorno si accorge dì essere in trappola e si schiarisce la gola) Sì, sì... cosa c'è? Voce di

Larry                             - Sono Larry, signor Elgin. Posso entrare?...

Frank                             - Sì, Larry, sì... un momento solo, per favore... (Sottovoce) Oh mio Dio... (Appende il cap­potto ma scivola per terra. Riscuotendosi, dandosi qualche colpetto in viso e ai capelli finalmente apre la porta. Davanti sono Larry e Cook, dietro vi è Unger) Che succede? Che succede, ragazzi? (Essi entrano e la guardano. Frank parla con vivacità, sorridendo amichevolmente) Beh, brucia il teatro?

Larry                             - Sono le due passate, signor Elgin? La sua porta era chiusa e la chiave non era appesa al quadro.

Frank                             - Stavo facendo' un sonnellino. Sono stanco. (Tenta di accendere una sigaretta, ma le mani gli tremano a tal punto, che Larry gli porge un fiammifero acceso).

Cook                             - C'era la prova all'una per la nuova scena.

Frank                             - Dio! Mi è completamente uscito di mente! Ho camminato, mi sono stancato, mi sono addormentato qui e così mi dimenticato...

Cook                             - Si è addormentato per smaltire la sbornia! E' talmente sbronzo che non si regge in piedi!

Larry                             - (cercando di fermarlo) Signor Cook!....  (Frank si lascia cadere in una seggiola alla toletta).

Cook                             - Ma cosa diavolo le è successo?

Frank                             - Niente mi è successo! Ho il raffreddore! Ho preso un paio di birre e ho mangiato un boc­cone... (Si prende il capo fra le mani. Tutto gli gira intorno).

Cook                             - (insieme a Unger e Larry) Guardatelo lì! Puzza di alcool come uno scaricatore!

Unger                            - (c. s.) Dov'è Bernie?...

Larry                             - (c. s.) Abbiamo mandato a cercarlo.

Cook                             - (con fervore) Ah, ci siamo, finalmente. Se Dio vuole, questa volta ci siamo! Lui e sua moglie, possono cominciare a sgombrare! (Solo Larry si ac­corge che Geòrgie è comparsa sulla porta. A testa bassa, Frank non la vede).

Larry                             - Signor Cook, non posso permettere che lei parli ad un attore in questo modo.

Cook                             - (non credendo alle sue orecchie) Non puoi permettere che cosa?

Larry                             - (pallidissimo) Lei è il padrone, signor Cook... ma io non le permetto di parlare così ad un attore della Compagnia in cui lavoro.

Cook                             - Tu non me lo permetti?

Larry                             - C'è anche una signora presente. Devo pregarla di mantenersi calmo finché non arrivi Bernie.

Cook                             - (minaccioso) Vedremo cosa ha da dire quando arriva! (Esce dalla stanza. Unger lo segue scuotendo il capo con rincrescimento in direzione di Geòrgie. Frank non ha alzato gli occhi).

Larry                             - (gli si avvicina con fare gentile) Le porto un caffè, Frank? (Frank non risponde ne alza il capo).

Geòrgie                         - No, niente caffè, Larry. Gli fa peggio.

Larry                             - (dopo una pausa) Le porto del bicarbo­nato, allora. (Guarda Geòrgie ed esce dalla stanza chiudendo la porta).

Geòrgie                         - (non si muove) Dove sei stato tutta- la notte?

Frank                             - (sì mette in piedi e cade sul divano. Poi si alza a sedere. Senza guardare Geòrgie) Dammi un po' d'acqua.

Geòrgie                         - Non è molto fresca.

Frank                             - Falla scorrere... Dov'è Bernie?...

Geòrgie                         - (con faccia impenetrabile va al lavandino) Non lo so... Attento alla sigaretta, Frank. Vuoi dar fuoco?

Frank                             - (getta la sigaretta per terra e la pesta col pie­de. Amaro) Ho' mancato la lettura della scena, niente di più! Geòrgie gli dà l'acqua. Bernie ha spalancato la porta, ha acceso- le luci centrali. Die­tro dì lui sono Cook e Unger. Frank abbassa gli occhi. Dentro di sé si sente morire).

Bernie                           - (viene al centro della stanza in modo da trovarsi alla stessa altezza di Geòrgie. A voce bassa, intensa) Quando ha visto suo marito per l'ultima volta, signora Elgin?

Geòrgie                         - Stanotte alle due.

Bernie                           - Dove?

Geòrgie                         - In questa stanza.

Bernie                           - E' tornato all'albergo con lei?

Geòrgie                         - No, voleva andare a mangiare. Ero stanca.

Bernie                           - Cosa mi ha detto quando le ho telefo­nato stamattina?

Geòrgie                         - Mi ha chiesto dov'era Frank. Le ho risposto che non lo sapevo. Mi ha chiesto se aveva dormito bene. « Spero di sì » ho detto.

Bernie                           - Perché ha mentito? (Questa scena è così penosa che Unger scivola fuori dalla stanza).

Geòrgie                         - Non mi sembra, signor Dodd, di avere mentito!

Bernie                           - Non riteneva che fosse importante dirmi che Frank non era tornato a casa stanotte?

Geòrgie                         - E se fosse andato con un'altra donna?

Bernie                           - La smetta con queste risposte evasive e puerili! (Un bussare discreto alla porta).

Una voce                       - Sono Larry...

Bernie                           - (risponde senza voltarsi) Aspetta fuori! (A Geòrgie) Come gli ha procurato una bottiglia . dopo mezzanotte?

Geòrgie                         - Come gli ho...? (E' così stupita che non riesce a reprimere una risata).

Cook                             - Cosa c'è di tanto comico? Vorrei proprio saperlo!

Bernie                           - (voltandosi verso dì luì) Non c'è che una cosa da fare, Phil...

Cook                             - Sissignore, e mi precipito al botteghino a farla! (Esce rapidamente).

Bernie                           - (senza guardare Geòrgie) C'è sempre una persona di troppo in questa stanza. (Geòrgie sorride appena ed esce chiudendo la porta. Bernie piano) Allora, Frank? (A capo chino, Frank non risponde, Bernie aspetta, e vediamo che è realmente scosso da questo incidente perché la sua voce trema) Mi sbatterei la testa al muro!... Dio Onnipotente, è mai possibile che gli esseri umani... (Si ferma, poi con voce improvvisamente dura) Su, dritto, perdio! Non prendere quell'aria da cane frustato! Come se fossi io il tiranno! Su, dritto, ho detto! (Pare quasi che Bernie voglia colpire Frank, invece si volta e si allontana).

Frank                             - Non mi sgridare, Bernie. Resterò finché non trovi un altro...

Bernie                           - Sono stufo e non ne posso più. (Poi, con forza) Quella moglie che hai... è lei che...

Frank                             - No, mia moglie non c'entra. Non pren­diamoci in giro. Il torto è mio, non valgo niente! (Lo dice con tale disperata rassegnazione che Bernie sì sente nuovamente riscaldare).

Bernie                           - Sì, tu hai torto marcio! Ma allora smet­tila di essere così ingenuo: smettila di proteggerla!

Frank                             - Bernie, è una debole. E'...

Bernie                           - Ti ha ridotto un beone per dieci anni e la chiami debole? Potresti essere formidabile in questa parte, se tu non l'avessi tra i piedi! Se ne torna a New York col treno delle cinque.

Frank                             - (debolmente) Bernie, figliolo, non posso lasciarla. L'ho lasciata una volta e si è tagliata le vene. Sarebbe capace di rifarlo!

Bernie                           - (arrabbiato) Partirà oggi stesso!

Frank                             - (in un nervoso mormorio) Bernie, è una debole...

Bernie                           - Le parlerò io. Se continuiamo a lavorare insieme, verrai a stare con me per tutta la stagione!

Frank                             - E il signor Cook... lui non mi vuole e...

Bernie                           - (furibondo) Neanch'io sono troppo si­curo di volerti!

Frank                             - (goffamente) Bernie, sta a te decidere... (Bernie è andato alla porta senza neppure ascoltare Frank che non si è mosso dal suo angolo).

Bernie                           - (chiama seccamente) Signora Elgin,.. (Quando essa entra, chiude la porta).

Geòrgie                         - (entra e va direttamente da Frank con il cachet e un bicchiere in mano, ho porge a Frank ma lui non beve) Prendi questo, ferrile comincia a parlare da dietro le spalle di lei. Essa si volta, un odio misto a diffidenza è nei suoi occhi).

Bernie                           - Frank resta... lei se ne va! L'ammini­strazione si occuperà delle sue spese. Può darsi che Frank la segua fra un giorno o due. Non lo so. Pei ora viene a stare con me.

Geòrgie                         - Tu vuoi che me ne vada, Frank? (Si­lenzio) Questo significa di sì. Vado a fare le valige. (Fa per andarsene) Ma prima voglio sapere una cosa: perché ti ostini a tenerti tutto il peso delle tue preoccupazioni?

Bernie                           - (freddamente) Risponderò io, per il bene di Frank. A me interessa il teatro e non le specula­zioni teatrali. Potrei fare una fortuna con i film, ma questa commedia è importante, per me.

Geòrgie                         - E questa commedia come la chiamate? « Letteratura »?

Bernie                           - E' vero, è una commedia commerciale! che si sforza di essere del vero teatro. Ma un attore come Elgin con una grande interpretazione compie il miracolo di trasformare una commedia banale, in teatro con la lettera maiuscola!

Geòrgie                         - (calma) Speriamo. (Con un triste sor­riso va alla porta).

Bernie                           - (le blocca la strada) Un momento: dica a Frank che non ha motivo di preoccuparsi. (Georgìe lo guarda senza capire) Temo che possa fate qualche sciocchezza. E' già successo altre volte, se non sbaglio.

Frank                             - (si volta e nervosamente mormora) Bernie!

Geòrgie                         - Che cosa è già successo?

Bernie                           - Dei ridicoli tentativi di suicidio.

Frank                             - (nervosamente) Bernie, lei vuole aiu­tarmi...

Geòrgie                         - (stancamente, chiudendo gli occhi) Si­gnor Dodd, avevamo un idiota in paese quand'ero bambina. Ripeteva sempre che le zanne degli ele­fanti si fanno con i tasti di pianoforte. Lei è molto ottuso per un uomo che ostenta tanto il suo senso di umanità.

Bernie                           - Ma che dice?

Frank                             - (stancamente) Bernie, se deve fare le valige...

Bernie                           - Cosa cercava di dirmi, signora Dodd?

Geòrgie                         - Non mi chiami signora Dodd. I tenta­tivi di suicidio sono la specialità di Frank.

Bernie                           - (va alla porta, si ferma, torna indietro da Frank) Fammi vedere i polsi, Frank. (Aspetta) Fammi vedere i polsi. (Più forte) Ti ho detto di farmi vedere i polsi. (In agonia, Frank lentamente solleva i polsi. Bernie li osserva acutamente per qualche secondo. La verità è chiara. Disgustato, Bernie volta il viso verso il muro. Dietro di lui, Frank, si prende il capo fra le mani e scoppia in singhiozzi irrefrenabili. Bernie sì volta lentamente a guardare Geòrgie che è dall'altra parte della stanza, col viso voltato) Devo farle molte domande...

Geòrgie                         - Se l'Arcangelo Michele avesse la sua faccia non l'ascolterei!

Bernie                           - (dopo una pausa) Frank partirà con lei, se lei non risponderà alle mie domande. Mi ha mentito...

Geòrgie                         - Non è capace di dire la verità.

Bernie                           - E' stata « Miss America » nel '40?

Geòrgie                         - Le ha detto così?... (Pausa. Riflette) Ho... ho dato fuoco a una casa in Great Neck? O ad un albergo? Avevo bisogno che un'infermiera mi sorvegliasse ogni volta che andava a recitare?

Bernie                           - (annuendo) Uhmmm...

Geòrgie                         - E non ricorda di aver sentito le stesse i cose nella commedia in cui lo ammirò tanto : « I milioni di Werba »? (Si siede lentamente, Frank ha sempre la testa fra le mani. Geòrgie, con gli occhi pieni di lacrime, continua a parlare, affranta, non sapendo neppure cosa dice) Non sa cosa signi­fichi... incontrarsi, sposarsi, fuggire di casa... a 19 anni, romantica, carina, cresciuta leggendo troppi libri... Oh mio Dio, avevo una fiducia così ingenua nell'esperienza e nella competenza di Frank... Sì, mi accorsi che beveva, ma mi sembrava un trascura­bile difetto in un uomo meravigliosamente virile. (Si ferma, sì volta) Lo rimandi all'albergo ha biso­gno di riposo. (Bernie esita prima di andare alla porta a chiamare Larry che appare immediatamente).

Larry                             - Sì, Bernie?

Bernie                           - Ford è qui? La sa la parte del Giudice Murray?

Larry                             - Sì, la sa.

Bernie                           - Potrebbe andare in scena stasera?

Larry                             - (esitante) Sì, credo di sì.

Bernie                           - (riflettendo mormora) Che devo fare?

Frank                             - (parla senza staccare gli occhi dal pavimen­to) Fammi tentare ancora. Ce la farò...

Bernie                           - (duro) Accompagnalo in albergo... la Compagnia prova alle cinque.

Larry                             - Va bene. Sì, Bernie. (Quasi spaventato Larry prende il cappotto di Frank, che si alza len­tamente guardando Geòrgie).

Geòrgie                         - (non lo guarda. Calma) Vai, Frank. Non partirò senza salutarti.

Frank                             - (prende il cappotto e se ne va. Larry lo se­gue chiudendo la porta. Silenzio. Bernie è nervoso e umile. Geòrgie è esaurita e lontana. Infine per rompere il silenzio).

Bernie                           - Posso fumare?

Geòrgie                         - Se può fumare? Cos'è, un riguardo per una signora? Non le perdonerò mai quello che ha detto e fatto, signor Dodd!

Bernie                           - (si ferma, senza guardarla, senza accendere la sigaretta) Sono molto confuso e turbato... Mi parli di Frank.

Geòrgie                         - Quelle bugie sono la sua grande e ri­spettabile ragione per essersi ridotto un rottame.

Bernie                           - Non so da che parte cominciare per farle le mie scuse, signora Dodd.

Geòrgie                         - Cominci col non chiamarmi signora Dodd. (In piedi gli lancia uno sguardo e comincia ad abbottonarsi il cappotto).

Bernie                           - Lo ha mai lasciato?

Geòrgie                         - Due volte, e due volte sono tornata. Ha bisogno di essere aiutato come un bambino. (Con impazienza, prendendo la borsa) Nessuno mi dà un passaggio per New York?

Bernie                           - (avvicinandosi) Ma se ha davvero biso­gno d'aiuto...

Geòrgie                         - Non ha più bisogno di me, ora. Non c'è lei?

Bernie                           - (serio, con la voce tremante) Mi stia a sentire... deve essere tenuto d'occhio e guidato. E questo può farlo solo lei, nessun altro. Non lo sa­pevo prima.

Geòrgie                         - (amara) Beh, adesso ha imparato qual­cosa. L'esperienza è fatta!

Bernie                           - Ascolti, Geòrgie, se...

Geòrgie                         - (sbottando) Non ho nessuna intenzione di restare!

Bernie                           - (a disagio) Ma quell'uomo ha bisogno di lei... deve essere curato!...

Geòrgie                         - (voltandosi, furiosa) Lo dice a me! Lei, . che se ne assume l'incarico a suon di fanfara e dopo dodici ore ci rinuncia! A me lo dice?! (Getta la bor­sa sul divano e comincia a girare intorno a lui. Inutilmente egli fa ogni tanto qualche tentativo di arginare la sua ira travolgente) Sì, ha bisogno di essere curato, tenuto d'occhio, vigilato e cullato! Ma non da me, amico mio!

Bernie                           - La prego...

Geòrgie                         - Io me ne torno a New York, alla gioia di una stanza tranquilla. Per la prima volta, in dodici anni, non dovrò domandarmi dov'è, cosa fa... Sarà nelle forti e sobrie mani del signor Bernie Dodd!

Bernie                           - (inutilmente) Geòrgie, stia a sentire...

Geòrgie                         - Ci riuscirà a tenerlo in piedi?... Perché a questo tendevano tutte le mie preghiere... a ve­derlo per una sola ora benedetta, reggersi in piedi da solo. Potrei 'perfino perdonarla, signor Dodd, se lei riuscisse a renderlo abbastanza indipendente da permettere a me, idi andarmene per la mia strada. Non chiedo altro che di riprendere il mio nome e di guadagnare quel tanto da comprarmi lo zucchero per il caffè.

Bernie                           - (agitato) Aspetti, aspetti... ascolti un mo­mento!

Geòrgie                         - (evitandolo) Ah, certo, lei non lo crede, lei che è un uomo! Lei non crede che una donna stia diventando pazza dalla voglia di vivere sola! (Berme è così fuori di sé che riesce ad afferrarla per un braccio. Essa si contorce e si dimena. Egli l'afferra con l'altro braccio)

Bernie                           - Fammi parlare, perdio! Non riesco nem­meno a chiederti scusa! (L'ha attirata a sé e la tiene per entrambe le braccia) Sfammi a sentire, signora Splendore: devi restare... se non resti, lui non reci­terà! E' ora di agire, non di discutere! Ma non posso rischiare se tu non resti! (Segue un momento di grande intensità).

Geòrgie                         - (è gelata nelle braccia di lui, con le mani puntate contro il suo petto) Perché mi stringe così?... (Cerca di liberarsi) Mi stringe... (Bruscamen­te, senza lasciarla, egli la bacia sulla bocca. Poi en­trambi si distaccano e dopo un attimo egli va a sedersi, senza guardarla. Geòrgie con voce sottile) Io... (Pare che sì risvegli da un sonno) Cos'è questa nuova prodezza? Una posa? (Bernie non ha cam­biato posizione. Ma solo messo una mano sugli occhi. Gli ci vuole un po' di tempo prima di poter parlare). Perdere la testa con qualcuno che non si conosce neppure...? (Pausa) Sono anni che nes­suno mi guarda più come una donna... (Bende si volta bruscamente e la guarda in faccia) Vogliamo stravincere, vero?

Bernie                           - No, mi merito qualsiasi cosa... non ci sono scuse, non ci sono scuse... (Il suo modo di fare cambia) Ora ho bisogno della tua risposta. Per il bene di Frank, voglio che tu resti.

Geòrgie                         - Voglio, voglio, sempre voglio!

Bernie                           - (umilmente) Chiedo... (Si sente bussare alla porta e Cook nervosamente irrompe nella stanza).

Cook                             - Dove sei, Bernie?... Ti sto aspettando. C'è Ray Newton al telefono... è disponibile. Può pren­dere il treno letto ed essere qui domattina.

Bernie                           - Vengo subito.

Cook                             - E' al telefono del botteghino.

Bernie                           - (seccamente) Vengo subito. (Cook furibondo se ne va sbattendo la porta). Adesso devo andare ad affrontarlo. E' munito di molte verità e di molte armi. Resti?

Geòrgie                         - (dopo una pausa) Sì. (Egli muove versoi la porta, ha la faccia rigida. Geòrgie lo ferma) Mi I hai baciato... che questo non ti metta in testa delle idee, hai capito?

Bernie                           - (calmo) No, signora Elgin. (Esce chiudendo piano la porta. Geòrgie resta in piedi per un  momento come in ascolto, con un'atmosfera di impe­netrabile irrealtà che la circonda. Lentamente la sua. mano si alza a toccarle il viso; sfiora le labbra con le dita).

QUADRO TERZO

Il camerino di Erank in un teatro di New York, un mese dopo la sera della prima. Una toletta con un grande specchio a sinistra. La porta sì apre direttamente sul palcoscenico a destra. Geòrgie può stare sulla soglia e ascoltare la comme­dia come sta facendo ora. Siamo al secondo atto, Brani di dialogo si possono udire dì tanto in tanto e dopo, quando cala il sipario, si udranno gli ap­plausi. Tutti camminano in punta dì piedi e fur­iano sottovoce; Ralph, l'aiuto che Frank ha avuto per vestirsi, entra, appende un capo dì vestiario alla parete e porge a Geòrgie dei telegrammi.

Ralph                            - Mi scusi. Altri telegrammi.

Geòrgie                         - Come va in scena?

Ralph                            - E' un grande attore, signora Elgin, un grande attore... è un vero onore lavorare per lui

Geòrgie                         - (sorride. Ralph esce con un piumino fie­no di cipria. Geòrgie prende gli occhiali, guarda telegrammi. Uno la interessa particolarmente quindi non vede entrare Bernie. Quando sì voli è stupita dì trovarselo accanto. Bernie è nervoso agitato, tutto orecchi per U palcoscenico. Appena il cappotto all'attaccapanni. E' di uno strano umore,  fra cinico e triste) Dove sei stato, Bernie, in platea?

Bernie                           - In platea. Ecco qua l'uomo più inutile del mondo, in una serata di prima.

Geòrgie                         - Come va Frank?

Bernie                           - (senza volersi compromettere) Nel primo atto non era male. Com'è andata qui?

Geòrgie                         - Tutto tranquillo. E' tornato il signor Cook, ma non l'ho lasciato entrare. (Mette un tele­gramma sullo specchio).

Bernie                           - Altri telegrammi?

Geòrgie                         - Questo è della zia del signor Unger. (Bernie va verso la toletta. Pare che Geòrgie voglia evitarlo: va alla porta e si mette dì nuovo in ascolto).

Bernie                           - (si lascia cadere in una seggiola) Perché non vai giù?

Geòrgie                         - A una prima a New York, con tutti quei nababbi e quei critici? Io no! Sento 'benissimo da qui.

Bernie                           - Questo è il vantaggio di avere un came­rino sul palcoscenico. (Appare Larry sul vano della porta. Un fiero lavoratore in maniche di camicia che ha perso la sua abituale deferenza).

Larry                             - Zitti, ssst! Per favore! Zitti, accidenti!... Si sta recitando qui! (Senza dir altro chiude la porta).

Geòrgie                         - (con un sorriso) E questo è lo svan­taggio! (Preoccupata) Non sei contento- di Frank, stasera?...

Bernie                           - (seccato) E' incerto. Si disperde... lo scoppio non è ancora venuto! Vedremo...

Geòrgie                         - Non farti vedere col viso lungo, quando viene.

Bernie                           - (con un inchino scherzoso) Reparto tri­stezza, pardon, dimenticavo!

Geòrgie                         - Sei giù?

Bernie                           - (prontamente convenendo con lei) Sì, giù e avvilito. (Sospira) Beh, sono stati due lunghi mesi. Il lavoro è la casa per uomo senza casa. Ora che il lavoro è finito, dove andrò?... (Si volta impa­ziente) Mi hanno detto che mi chiami « Bernardo il Grande ».

Geòrgie                         - Non sei stato un mago per Frank? Anzi, per tutti e due?

Bernie                           - (si alza e impaziente va a prendere il cap­potto) Può ringraziare te stessa per tutto quello che è accaduto.

Geòrgie                         - (sincera) No, è te che deve ringraziare, Bernie.

Bernie                           - Ecco che di nuovo facciamo a chi ar­riva prima. (Si volta improvvisamente. Intenso) Geòr­gie, un mese fa ho baciato una donna, una donna sposata; e ora amo una donna, una donna sposata e non so come fare. (La prende fra le braccia. A voce bassa ma ardente) Geòrgie, Geòrgie, quando ti ten­go così...

Geòrgie                         - (gentilmente) Bernie...

Bernie                           - Cosa accadrà stasera... le prove sono finite... forse non ci vedremo più!

Geòrgie                         - Bernie... (Lo respinge puntandogli le mani sul petto).

Bernie                           - (sorride) Va bene, va 'bene. (Nervosa­mente fa schioccare le dita) Non te l'ho detto prima; non so questo cosa possa significare per te. Comun­que vada lo spettacolo, stasera, avrà offerte da tutte le parti. (Pausa) Lo lascerai?

Geòrgie                         - (calma) Non credi che potremmo aspet­tare a parlarne?

Bernie                           - (infiammandosi improvvisamente) No, non lo credo proprio! E' adesso che voglio saperlo! Sono settimane che mi eviti!

Geòrgie                         - Sei un selvaggio, Bernie... non cambie-rai mai. Fra un minuto ricominceremo a cavarci gli occhi. (Lei ha parlato con cortesia, ma lui è pron­to di nuovo a combattere).

Bernie                           - A me piace combattere per qualcosa di reale. Tu potresti essere la mia casa... e questo è qualcosa di reale! (Di colpo ripiomba tristemente nel silenzio e si siede su uno sgabello. Si sente la voce di Frank gridare sulla scena) Scusatemi se mi sono lasciato andare. Non riesco a sfuggire a quel­la voce, stasera... mi segue dovunque vado. (Fa una smorfia) Sentilo... è pronto a dare quel suo meravi­glioso talento al migliore offerente. Ha bisogno di te, cara.

Geòrgie                         - Gli sei amico... pensi al futuro... questo mi piace... Ma di me, cosa sarà?

Bernie                           - Giusto, giusto, più che giusto. Non sono io che posso dirti cosa fare, no?... Ma come può un uomo essere così deluso e continuare a vivere?... (Voltando il viso, si passa una mano nervosa sui capelli). ,

Geòrgie                         - (andando verso di lui con comprensione) Non posso vederti così turbato, contrito...

Bernie                           - (saltando in piedi e allontanandosi brusca­mente) Niente conferenze, per favore!

Geòrgie                         - Perché non la smetti di stringere i pugni per nascondere la tua tenerezza e la tua pietà?... (Sorride).

Bernie                           - (fissandola) Lo lascerai?

Geòrgie                         - Non essere cocciuto, caro. Vedrai, tu continuerai a... (S'interrompe perché Bernie ha vol­tato il capo e sta ascoltando attentamente la com-media. Poi con un balzo raggiunge la porta, gli orecchi tesi. Geòrgie si unisce a lui, non compren­dendo cosa c'è che non va. Escono1. La scena resta vuota per un minuto. Da fuori giungono rumori di piedi che corrono e bisbigli eccitati. Frank ha alzato la voce e parla con tono irato, vociferando. Bernie trascina nella stanza una Nancy eccitata, quasi in preda a una crisi isterica. Ralph appare sulla soglia aspettando ordini).

Bernie                           - (impaziente a Nancy) Sssst! Zitta! Cose successo?

Nancy                           - (singhiozzando) Ha cominciato a pic­chiarmi in scena. Non posso sopportarlo, Bernie! Non so più cosa combini là fuori... ha perfino1 cam­biato le battute!

Bernie                           - (mordente e sarcastico) Buona, buona, è la sera della prima. (Si volta. Duramente) Chiudi la porta, Ralph; torna al tuo lavoro! (Ralph obbedisce).

Nancy                           - (eccitata) E'... è... ha gli occhi rossi... ti guarda in faccia e non ti vede!... Ho cominciato a piangere... mi ha afferrata e ha cominciato a scuo­termi come un fantoccio!

Bernie                           - (duro) Avanti, andiamo! Non ti ha mica fatto male! E' la scena!

Nancy                           - Scuotermi e battermi in quel modo? E cambiare le battute!... Non sapevo cosa rispondergli!

Bernie -                         - Non alzare 'la voce... l'atto non è ancora finito... (Nancy afflitta si strofina la faccia dolente).

Geòrgie                         - (ritorna ansiosamente) Ti senti bene, cara?...

Nancy                           - Sì, sto bene, signora Elgin, sto bene...

Bernie                           - Adesso smettila di fare il broncio, ragaz­zina... va' su a cambiarti per l'ultimo atto.

Nancy                           - Sì, ci vado, Bernie, ci vado. Vede, signo­ra Elgin, è stato un tale shock...

Bernie                           - Ti auguro di non provarne di peggiori. Muoviti! ( Nancy va alla porta intimidita dal modo di Bernie) Vieni qui!

Nancy                           - (voltandosi) Io?

Bernie                           - Vieni qui! (Nancy lentamente va da lui; senza chinarsi, Bernie la bacia senza sorridere. Nan­cy è di nuovo felice) Va' a cambiarti.

Nancy                           - Sì, vado, Bernie, sì... Oh Dio!... (Se ne va. Bernie va alla porta e guarda fuori).

Geòrgie                         - (lo segue) E' stato spaventoso... è come impazzito... per poco non la buttava per terra.

Bernie                           - (impaziente) Sono quaranta minuti che aspetto questa esplosione! Se può recitare scene come questa, lasciamogli fare quello che vuole. (Stanno in piedi alla porta, in ascolto. Possono udire la voce di Frank. Dopo un momento) Ecco il sipario. (E' finito il secondo atto. Seguono dei calorosi ap­plausi. Si sentono i passi degli addetti al palcosce­nico. Bernie e Geòrgie sì fanno da parte, Frank entra in trance, grondante di sudore, rauco e affan­nato, ancora tutto preso dalla scena appena recitata).

Frank                             - Chiudete quella finestra!

Geòrgie                         - Non c'è nessuna finestra qui. (Frank respira affannosamente come un boxeur dopo due rounds faticosi. Bemie, dopo aver fatto cenno a Ralph di andarsene, chiude la porta).

Frank                             - Sono fradicio di sudore.

Geòrgie                         - Spogliati.

Frank                             - (solleva il braccio e, quasi singhiozzando, agita minacciosamente il pugno in direzione del mondo intero) Non ho potuto trattenermi! Sof­focavo, soffocavo! (Ho fatto male alla piccola? (Scor­ge Bernie) Bernie, non ho potuto farne a meno, Bernie!... Ho cominciato a lasciarmi andare e non ho potuto più farne .a meno!

Bernie                           - Siediti e calmati.

Geòrgie                         - Siediti, Frank, siediti.

Frank                             - Mi dispiace, bambina, perdonami... è venuta fuori così! E' così che avrebbe dovuto fare Giudice... nessuno lo vuole, neppure sua nipote!... E improvvisamente mi è ,venuta l'immagine giusta... Vogliono mettere in gabbia il leone, lo spingono 'dentro a forza, con le scope e le seggiole, come al circo! E non ho potuto frenarmi!

Bernie                           - (fermamente). Non volevo che ti frenassi. (Esausto, Frank si siede).

Geòrgie                         - Adesso togliti la giacca. (Dietro le spalle di lui, Geòrgie gli sfila la giacca e f appende, Comincia la musica dell'intervallo).

Frank                             - (si toglie il colletto e la cravatta) E' zuppo. Me ne serve uno pulito... Spero di non aver fatto male alla piccola.

Bernie                           - Non ti preoccupare... sta benone.

Frank                             - (sospirando, sollevato) Beh, tutto è andato per il meglio, allora. Diavolo... ho visto proprio rosso per un momento... Mi hanno fatto venire j nervi anche quelli della platea... Se ne stavano lì con 'le bocche spalancate...

Bernie                           - Forse erano commossi. (Con ironia).

Frank                             - (burbero ma compiaciuto) Bravo, prendi­mi anche in .giro...

Bernie                           - (serio) Non ti prendo in giro... la tua. interpretazione farà colpo.

Frank                             - Meno male! Lo spero! Di', l'hai vista la scena dell'Ospedale?... E' in gamba quella Mabel Beck... (Si volta) Degli altri telegrammi?... Qual­cuno si deve pur ricordare di Papà Frank... Questo è di Susie Lewis... «...ripresa di una grande car­riera. Sono in platea ad applaudire. Affettuose con­gratulazioni »... (Il telegramma sembra che faccia a Frank uno strano effetto. Guarda Geòrgie furtiva­mente, mentre un pensiero gli attraversa la mente. Vivace) Dunque cosa devo mettermi, ora?

Geòrgie                         - La giacca dello smoking, caro.

Frank                             - (a Bernie) Beh, allora mi perdoni se ho fatto il matto...

Bernie                           - (avviandosi verso la porta) Continua a fare il matto e ti benedirò finché vivo. Ecco il barone Phil Cook... lui ti benedirà anche di più! Torno subito. (Esce).

Frank                             - Come va in sala, signor Cook?

Cook                             - So soltanto quello che leggo nei gior­nali. Come si sente?...

Frank                             - Bene, bene... splendidamente. (Seduto, beve il latte da un bicchiere sulla toletta).

Cook                             - I commenti nel foyer sono abbastanza favorevoli. .Fame?

Frank                             - Questo? E' per la voce.

Cook                             - (a disagio) Frank... si dicono molte cose quando si è preoccupati ,e indaffarati... spero vorrà accettare le mie scuse...

Frank                             - Certo, lo sappiamo tutti come accadono certe cose... .(Con improvvisa decisione si volta verso di lui) Naturalmente nelle sue scuse com­prende anche mia moglie.

Cook                             - (subito) Oh, certo, signora Elgin, mi scuso anche con lei... come no!

Frank                             - Cominci col levarsi il cappello', allora... non siamo al bar, signor Cook. (Cook è molto col­pito da questo atteggiamento di Frank. Geòrgie silenziosamente osserva la scena) Queste sono le prime parole educate che lei ha avuto per noi due. E credo anche di sapere perché. Lei...

Cook                             - Frank, è umano... avevamo una comme­dia da difendere.

Frank                             - ...lei vuole che le firmi un contratto per tutta la stagione, prima che escano i giornali del mattino, per la metà di quello che valgo. E' cosi, Cook?

Cook                             - (togliendosi il cappello) Sono spiacentissimo, Frank, la prego di credermi. Quanto a cam­biare i termini del contratto, ci avevo pensato. (Si inchina rigidamente e scivola fuori della stanza).

Frank                             - Così imparerà! (Improvvisamente impaurito) Non avrò mica detto troppo...

Geòrgie                         - (ridendo) E' convinto che la tua in­terpretazione è magnifica ma non avrebbe mai la onestà di riconoscerlo. Mantieni la tua dignità come hai fatto in palcoscenico stasera. E ricordati, Frank, non dimenticarlo... non è necessario pia­cere a Tizio, Caio e Sempronio, anche se fosse il presidente della repubblica. (Gli ha portato la pacca dello smoking).

Frank                             - (se la infila canticchiando la sua canzonetta preferita) Sei una vera attaccabrighe... ho sempre ammirato il tuo coraggio.

Geòrgie                         - Guarda che sei ancora un po' lucido.

Frank                             - Ah, grazie. (Sovrappensiero si incipria) E stata carina Susie a mandarmi quel telegramma.

Geòrgie                         - Sì, molto... (Pausa) ...Sei bello stasera.

Frank                             - (lentamente, voltandosi) Davvero?... (Se­rio) Bene... da stasera, ricordatelo e annotalo nel diario, non dovrai mai più chiederti perché mi hai sposato.

Geòrgie                         - (calma, mentre gli mette un fazzoletto nel taschino) Mai più?... (Bernie interrompe que­sto momento solenne. Batte sulla porta e entra. Frank si volta a cercare il colletto).

Bernie                           - L'amica Madel ti manda un abbraccio.

Frank                             - (bruscamente) Non per fare il fanatico, figliolo, ma sai cosa ti dico?... Niente cravatta e niente colletto...

Bernie                           - Vai in scena così?

Frank                             - Sì, è così che l'arrestano, senza colletto. Capisci?

Bernie                           - (con un mezzo sorriso) E' giusto, giu­stissimo... fallo sempre.

Ralph                            - (appare sulla porta dicendo) Sono pron­ti, signor Elgin... (Scompare. Frank è ritornato alla toletta e sta aprendo un altro telegramma mentre si guarda allo specchio).

Larry                             - (si sente fuori la voce di Larry) Chi è di scena, signori... Chi è di .scena?... (Poi appare sulla porta) Possiamo andare, Frank?...

Frank                             - Sì, grazie, sono pronto.

Bernie                           - (afferrando Larry per il braccio mentre sta per andarsene) Larry, non aprire il sipario finché non siano tutti seduti... specialmente le prime file.

Larry                             - (con un sorriso ironico) Se le prime file avessero le buone maniere del loggione, che bel mondo sarebbe! (/Esce. Ripete di lontano il chi è di scena).

Frank                             - (voltandosi, esitante e nervoso) Geòrgie... non ho fatto altro che sbagliare... ma qualsiasi idea tu abbia, se pensi di lasciarmi, non lo fare. (Bernie fa per andarsene, Frank lo trattiene) Sto parlando di proposito di fronte a una terza persona. Forse dovrei farlo più spesso... qualche volta è un grande sollievo riconoscere in pubblico le proprie colpe. (A Geòrgie) Sbaglio, Geòrgie? Non stai cercando di mettere Susie Lewis al tuo posto? Non lasciarmi, tesoro. Dammi ancora una speranza. Ti amo...

Geòrgie                         - (aspetta prima di rispondere. Una delle sue mani scorre sul risvolto della giacca di Frank) Frank non volevo certo affrontare questo argo­mento stasera. Ma tu l'hai fatto, quindi è meglio dire la verità. Ti ho sposato per essere felice, Frank; e, se è necessario, ti lascerò per la stessa ragione. Ora come ora, non so cosa decidere.

Frank                             - (umilmente) Non lo sai?

Geòrgie                         - (lascia ricadere la mano e fa qualche passo indietro, attenta a dire quanto dirà) No, per­ché nessuno di noi due è realmente cambiato. Eppure io sento che le nostre vite sono giunte a una svolta. C’è un nuovo vero elemento di spe­ranza, ora... non so quale... Ma sono incerta... e tu, Frank, devi essere abbastanza forte da soppor­tare questa incertezza.

Frank                             - Credo di capire quello che dici.

Larry                             - (mette dentro la testa) Siamo pronti Frank.

Frank                             - (nervoso) Mi aspettano, cara. Io... io non so come dirlo, ma qualsiasi cosa avvenga, tu mi hai salvato, Geòrgie... tu e Bernie. (La bacia, poi riprende il controllo di sé) Credo che mi resti una speranza. (Si volta ed esce con fermezza. Dopo un -momento, pare che Bernie voglia dire qual­cosa a Geòrgie, ma essa è commossa e assorta).

Bernie                           - (mentre scivola fuori dalla stanza, mormo­rando) Sarà meglio che mi faccia vedere un momento in palcoscenico.

Unger                            - (in giacca bianca, entra quasi scontrandosi con Bernie. Giubilante) Frank è magnifico! Mi sta facendo capire la mia commedia!

Geòrgie                         - (sorride) E' in palcoscenico. Stanno per andar su.

Unger                            - Stasera non ha l'aria del veterano di tutte le guerre! Deve sentirsi molto orgogliosa! Mia zia lo è... siamo seduti vicino. E' gongolante come una chioccia.

Geòrgie                         - (calma) Me la saluti.

Unger                            - Certo. (Si avvicina a Geòrgie con la intenzione dì baciarla o di prenderle la mano, lei tenta di venirgli incontro ma tutto riesce molto-impacciato e Unger se ne va. Geòrgie lentamente va alla porta. E' .pensierosa e assorta mentre guarda fuori. Bernie ritorna, dì umore leggermente più sollevato. La musica dell'intervallo svanisce. Si sente la voce di Larry).

Larry                             - Silenzio in quinta, per favore, ha inizio l'atto... silenzio, per favore...

Bernie                           - Tutto in ordine.

Geòrgie                         - (dopo una pausa) Sei stato molto caro a mandargli tutti quei telegrammi.

Bernie                           - (impassibile) Chi te l'ha detto?

Geòrgie                         - Intuizioni. Quanti ne hai mandati?

Bernie                           - Nove o dieci. Tu?

Geòrgie                         - Quattro o cinque.

Larry                             - (da fuori) Silenzio per favore! Primo... secondo!

Bernie                           - Comincia! (Si alza il sipario. Geòrgie e Bernie guardano fuori. Una pausa piena di ten­sione, seguita da uno scroscio di applausi). Applausi alla sua entrata del terzo atto... una sorpresa dopo l'altra. Bene, questo sarà l'atto in cui trasformerà la commedia e sarà portato in trionfo per la città!

Geòrgie                         - (appoggiandosi contro la porta, a se stes­sa) E' bello stasera...

Bernie                           - (voltandosi verso di lei) Vado in «platea a vedere. Buonanotte, Geòrgie.

Geòrgie                         - (andando alla toletta) Tornerà di nuo­vo tutto sudato... (Canticchiando la canzone di Frank, prende dei fazzoletti dì carta e un asciu­gamano. Quando si volta, Bernie le è venuto vicino quasi per costringerla ad accorgersi della sua pre­senza).

Bernie                           - Buonanotte, Geòrgie. (Sono faccia a, faccia).

Geòrgie                         - (gentilmente) Buonanotte, Bernardo.

Bernie                           - Non so... forse un mago vive davvero in questo debole stupido corpo, ma è certo che non sa compiere magìe per sé! Non lo lascerai mai... (Fruga in tasca con la mano, poi la tira fuori, vuota, quasi in collera) Ho di nuovo finito le sigarette!

Geòrgie                         - Fumi troppo!

Bernie                           - (scherzoso) Siete impertinente, madame! (Dolce) E costante... leale... sicura... Si può con­tare su di te. Mi piace questo in una donna.

Geòrgie                         - (appoggiandogli la mano sul braccio) Lotta, Bernie. Puoi conquistarti la felicità. Ma resta un po' selvaggio... La vita ci fa abbassare il capo anche troppo presto. (Bernie, solo, ironico e pieno dì rimpianto, la guarda per un momento pri­ma di fare qualche passa e baciarla leggermente sulle labbra. Poi si volta, si getta il paltò piegato sulla spalla e lentamente esce. Geòrgie per un atti­mo ha lo sguardo triste e nostalgico; ma poi l'asciu­gamano che ha in mano la richiama alla reità. Stacca la vestaglia di Frank dalla parete e va verso la porta. Si ode, nel frattempo, la voce di Frani sale sulla scena recita una scena tranquilla ma piena di forza. Un pensiero la ferma. Ritorna alla toletta, prende il telegramma di Susie, lo esamina rapidamente, prende una decisione, ne fa una pallottola e lo getta nel cestino. Poi a testa alta, len­tamente esce con la vestaglia di Frank sul braccio),

                                                        FINE