L a r e c i t a d i o l z a n B o
“LA RECITA DI BOLZANO”
d i
SANDOR MARAI
a d a t t a m e n t o t e a t r a l e Marco d i Parodi
t r a d u z i o n e Marinella d i D’Alessandro
( E d i z i o n i A d e l p h i )
" C r e d o n e l l ’ a m o r e e n e l l a m u t e v o l e z z a d e l l a f o r t u n a . E c r e d o n e l l s c r i t t u r a , p e r c h Ø l a s c r i t t u r a h a p o t e r e s u l d e s t i n o e s u l t e m p o N u l l a d i c i c h e f a i , d e s i d e r i , a m i e d i c i Ł d e s t i n a t o a d P a s s a n o l e d o n n e , t r a m o n t a n o g l i a m o r i . S f u m a n o l e e m o z i o n i , e l a p o l v e r e d e l t e m p o r i c o p r e l e t r a c c e d e l l e a z i o n i c o m p i u t e . M a
s c r i t t u r a r i m a n e .S n d o r " ( M r a i )
Via Eleonora D’Arborea, 58 – 09127 Cagliari – tel. 070 655321
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La recita di Bolzano
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PRIMA PARTE
Il Conte di Parma indossa uno spolverino da viaggio viola simile a un
sudario, che gli arriva fino alle caviglie ed è di fattura estremamente
sobria, a parte l’ampio collo di castoro che gli avviluppa il collo e le
spalle; si appoggia ad un bastone dal manico d’argento.
CONTE DI PARMA
Devo parlarti, Giacomo. Posso pregarti di concedermi un poco di
tempo? Non ti disturberò a lungo… Ti ringrazio.
Siede davanti al camino, su di una poltrona. Allunga le mani bianche,
delicate e sottili, verso il fuoco, e rimane a scaldarsi per un po’ in
silenzio, assaporando il tepore e la luce soffusa.
Ti faccio sorvegliare da otto giorni e sono informato di ogni tuo
movimento. Con quale diritto? Per legittima difesa. Sai bene,
Giacomo, che a questo mondo, accanto ai poteri ufficiali, ne esistono
anche di altro genere. Io non posso affidarmi alle autorità. La mia
posizione, la mia età e il mio rango mi obbligano a cautelarmi contro
ogni pericolo. I miei uomini tengono gli occhi e le orecchie aperti.
Sono stati loro ad informarmi del tuo arrivo prima ancora che la
polizia ne venisse a conoscenza. Ma l’avrei saputo lo stesso, perché la
tua fama ti ha preceduto seminando inquietudine nell’animo della
gente. Sai che da quando hai messo piede qui a Bolzano la vita è
diventata più turbolenta?… Sembra quasi che porti nel tuo bagaglio le
passioni umane come un venditore ambulante porta con sé il proprio
campionario. Nei giorni scorsi una casa è andata a fuoco, un vignaiolo
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ha ucciso la moglie in un accesso di gelosia, una donna è fuggita
abbandonando il marito. Di tutto ciò non sei certo responsabile tu,
non direttamente almeno. Ma vedi, l’irrequietudine cova dentro di te
come il fulmine dentro una nube. Ovunque tu vada, susciti emozioni e
attizzi passioni. Come dicevo prima, sei stato preceduto dalla tua
fama. Tu, figliolo, oggi sei un uomo celebre. La notizia della tua
evasione ha colpito ed entusiasmato gli animi. Anch’io mi sono
lasciato trascinare dalla curiosità e dal desiderio di vederti. Perché è
venuto qui? mi sono chiesto. Il nostro accordo è valido e definitivo,
l’accordo che strinsi con lui alle porte di Firenze, dopo il nostro duello
e prima di affidare il suo corpo sanguinante ai chirurghi e il suo
destino al mondo. Lui mi conosce bene, ho pensato, e sa che non
potrei mai venir meno alla parola data. Gli ho giurato che l’avrei
ucciso se avesse posato ancora una volta gli occhi su Francesca. E
adesso è qui. Lui sa, mi dicevo, che venendo qui mette in gioco la sua
vita, perché ha deciso di venire comunque? Qual è il suo scopo? Ama
ancora la contessa? L’ha mai amata?… E’ una domanda difficile.
Francesca, questo lo sappiamo entrambi, non gli è mai appartenuta.
Durante questi anni mi è capitato talvolta di sentirmi molto solo, e in
quei momenti mi sono sempre detto: che peccato! La cosa ti
stupisce?… Mi meraviglio del tuo stupore. Esiste una fase della vita in
cui ogni cosa ci abbandona, vanità, egoismo, false ambizioni, e noi
non desideriamo più nient’altro che la realtà, e pur di ottenerla siamo
disposti a pagare qualsiasi prezzo. Ecco perché a volte pensavo: che
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peccato! Perché se un giorno, in un momento qualsiasi, Francesca
fosse stata sua, la mia vanità e il mio egoismo ne avrebbero sofferto,
è vero, ma io saprei che qualcosa, un tempo, è iniziato e poi si è
concluso, secondo la legge che governa il cuore degli uomini. Perché è
questo che si impara col passare degli anni: che le faccende umane
non si possono concludere prima del tempo, ma non si possono
neppure lasciare in sospeso, perché tra gli uomini vige una sorta di
ordine, un sistema di regole che non lasciano scampo – sì, figliolo, è
molto più difficile sfuggire a un sentimento lasciato in sospeso che
evadere di notte dai Piombi calandosi giù per una scaletta di corda! Tu
non puoi ancora saperlo, perché la tua anima, i tuoi nervi e il tuo
intelletto sono fatti in maniera diversa. Non ti sto chiedendo di
credermi. Ti ho soltanto giurato che ti avrei ucciso, se fossi tornato
ancora una volta da noi e avessi osato alzare gli occhi sulla contessa.
Mi credi se ti dico che quando ho appreso la notizia che tu ti eri
precipitato qui da noi mi sono rallegrato? Si, Giacomo, mi sono
rallegrato e ho provato un senso di sollievo. “Rallegrarsi”, in verità, è
un termine banale, che evoca per così dire, un gesto quotidiano, come
quando uno si stropiccia le mani ridacchiando. Io non mi sono certo
stropicciato le mani alla notizia del tuo arrivo, né mi sono messo a
ridacchiare: piuttosto ho avvertito un tuffo al cuore e un’eccitazione
che somigliavano stranamente all’allegria, con cui sono imparentati
senz’altro, poiché le emozioni umane nascono dalle stesse acque
abissali. “J’étais touché”, potrei forse dire; “qualcosa mi ha toccato” è
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già forse un’espressione più esatta; tu che sei uno scrittore – come ho
sentito dire – sarai senz’altro in grado di comprendere e di apprezzare
questa definizione. Quando mi hanno detto che sei uno scrittore, sono
rimasto piacevolmente colpito; non ho mai dubitato della tua
vocazione, ho sempre creduto che tu avessi una missione particolare
da compiere tra gli uomini. Anche se tu sei uno scrittore che intinge la
penna ora nel sangue ora nell’inchiostro, anche se per il momento, a
giudicare dai risultati, si potrebbe pensare che tu preferisca scrivere le
tue opere con il pugnale e con il sangue! Non protestare! Chi potrebbe
comprendere questo genere meglio di me, un uomo i cui antenati
hanno creato autentici capolavori con la spada e con il sangue? E
l’ultima volta non ci siamo forse affrontati con la spada in pugno, nel
bel mezzo di un racconto che non è mai stato scritto, sebbene
possegga una struttura perfetta, un racconto che allora, in quegli
attimi illuminati dal chiaro di luna, pensavamo di poter concludere
mettendovi un punto fermo? Adesso ho capito. Uno scrittore, sì. Uno
scrittore che gira il mondo raccogliendo materiale per la sua opera! E
adesso stai terminando i tuoi anni di apprendistato! Io invece non ho
creato opere di nessun genere. L’unica opera che porta il mio nome è
la vita, che ho dovuto trascorrere secondo regole, prescrizioni e leggi
precise – e a questo punto, ahimé, ci sono quasi riuscito. Ho detto
“quasi”, e ti prego, figliolo, di non disprezzarmi per questa
precisazione così pignola: una cosa l’ho imparata anch’io, ed è che
nella vita dobbiamo usare le parole con la maggior precisione
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possibile, se vogliamo che abbiano un valore. Ho detto “quasi” perché,
vedi, io, che non sono uno scrittore, adesso lotto con le parole, e
mentre sto seduto qui di fronte a te, mi rendo conto delle difficoltà
che comporta qualsiasi forma di espressione, specialmente quando
colui che parla sa che le sue parole sono definitive e che dietro ogni
sua frase si cela la morte. La morte in senso letterale e immediato,
voglio dire: la tua o la mia. Non è una minaccia, Giacomo. Fra noi due
non c’è più spazio per le minacce. Parlo della morte in senso letterale;
la morte concreta, che ci riguarda personalmente, e la cui scadenza è
ormai prossima, se non riusciremo a escogitare una soluzione
ragionevole per accordarci in qualche modo. Perché, vedi, non ho più
alcuna voglia di battermi; non ne ho voglia, semplicemente, perché la
violenza non risolve nulla tra gli esseri umani. Si impara sempre
troppo tardi. Quanti anni hai, Giacomo? Stai per compierne
quaranta?… E’ una bella stagione per uno scrittore. Lo dico senza
invidia, con la voce della memoria. Il passato è una realtà, e non
esiste alcun motivo per rimpiangerlo. Non ho alcuna nostalgia della
mia giovinezza, piena di concetti fasulli e di parole inesatte, segnata
dagli errori teneri e commoventi, altezzosi e confusi, adolescenziali e
brufolosi del cuore e dell’intelletto. Quello che è stato è stato, anzi
esiste tuttora. E’ il futuro che mi attrae, perché la vita non è ancora
giunta al suo termine ultimo. Rimane ancora qualcosa da dire e da
sistemare prima che questa storia finisca, una storia talmente banale
che forse non troverà nemmeno spazio nella tua opera, se un giorno ti
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deciderai a scriverla; ma per noi due, o forse per noi tre, essa è più
avvincente di tutti i poemi, più avvincente di quanto non sia la discesa
agli inferi del divino poeta. Noi, invece, rimaniamo sulla terra. E quel
che resta da fare, affinché la frase sia completata e tutte le i abbiano
il loro puntino, non è altro che la sistemazione e la conclusione, la fine
di una storia che coinvolge noi due, o forse noi tre, e che potrebbe
rivelarsi inutilmente truce e luttuosa, o al contrario umanamente
ragionevole e serena. Per questo sono venuto: perché è giunto il
momento. E sono venuto a quest’ora, mentre nella mia casa fervono i
preparativi per la festa, i valletti apparecchiano, i musicisti accordano
gli strumenti, tutti indossano le maschere, e ogni cosa viene fatta
come si deve, secondo le regole del gioco e la gioia di vivere, in un
modo in cui io stesso mi rallegro: perché quello che più mi piace,
ormai, è osservare da un cantuccio, nascosto dietro una maschera, la
festa sfrenata e tumultuosa della vita. Fra poco devo tornare a casa,
per cambiarmi d’abito prima che inizi la serata. Ti piacerebbe sapere
quale sarà la mia maschera, Giacomo?… Se verrai a casa nostra
stasera – perché spero che tu ci onori della tua presenza, e ti prego di
accettare le mie parole come un invito tardivo – mi riconoscerai
senz’altro dal mio travestimento, che sarà assolutamente originale,
anche se ti confesso che non sono stato io ad inventarlo: l’ho copiato
dal “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare.
Stasera, in poche parole, indosserò una testa d’asino. Ti piace l’idea?
Sai, nella commedia la indossa colui che viene vezzeggiato da Titania,
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la dea della giovinezza, che la copre di baci ardenti, lei, la dea della
bellezza e della gioventù, con quella cieca passione che è l’unico
significato dell’amore. Ecco perché stasera indosserò anch’io una testa
d’asino – per tenere viva la speranza e forse perché voglio che il
mondo rida di me, anonimo e mascherato, voglio udire con le mie
orecchie d’asino, per la prima volta in vita mia, le risate della folla, al
culmine della mia vita, prima che la frase finisca e che noi la
completiamo mettendo i puntini sulle i. Perché voglio udirli mentre
ridono di me, dell’innamorato con le orecchie d’asino. Perché è giunto
il tempo, Giacomo, di indossare la testa d’asino, come si conviene a
un innamorato della mia specie. E non è escluso che domattina io,
magari, possa già indossarne un’altra, per esempio la corona
ramificata che adorna il capo dei cervi, come ci insegna una
espressione popolare che non ho mai capito del tutto… Vedo che
ancora ti chiedi perché sono qui e cosa voglio da te. Sono venuto
perché ho un impegno improrogabile con te. Improrogabile e
definitivo. Ti ho portato una lettera. Indubbiamente colei che l’ha
scritta non immaginava che l’avrei consegnata proprio io, e da parte
mia confesso di considerarlo un ruolo abbastanza ingrato, che lede la
mia dignità. Ciò nonostante ti ho portato questa lettera, ovviamente
di mano della contessa, che lei ha scritto oggi dopo mezzogiorno,
poco dopo il lever. Non è lunga, perché i grandi scrittori e le donne
innamorate scrivono sempre in maniera succinta, come tu, da
scrittore e innamorato esperto, certamente saprai. No, la contessa
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non poteva immaginare che sarei stato io il postino, e adesso attende
una risposta con l’impazienza tipica degli innamorati che credono di
poter cambiare, con la loro volontà ferrea e cieca, le leggi del tempo e
dello spazio, sì, talvolta credono addirittura di poter dominare le cose
eterne, di essere padroni della vita e della morte! E non è detto che si
sbaglino! Perché adesso, mentre distolgo gli occhi dal passato ormai
concluso e li rivolgo al futuro, mentre sto per pronunciare una
domanda che è anche un preghiera, non riesco a stupirmi e a scuotere
il capo di fronte alla fiducia cieca degli innamorati, convinti che il loro
sentimento dissennato faccia crollare le montagne, arresti il tempo e
così via. Adesso che devo guardare avanti, comprendo la terribile
forza di volontà degli inna-morati, e credo anch’io che con una
letterina profumata, seppur poco corretta nell’ortografia – ti prego,
scrittore, di considerarla con benevolenza quando la leggerai! – con
un sentimento nebuloso e palesemente infantile, facendo leva sul
desiderio, sia possibile smuovere l’ordine universale e per un certo
periodo, ossia entro i limiti di un’eternità relativa, si possano
effettivamente dominare la vita e la morte. E anche io, adesso che
devo rispondere a una domanda postami dalla vita, comincio
veramente a credere che esista una forza, un’unica forza, capace di
prevalere su tutte le leggi, anche su quelle che governano il tempo e
la gravità. Questa forza è l’amore, che prima o poi giunge a tentare
tutti nella vita, perfino una belva triste e sanguinaria come te. Perché
una volta, a Pistoia, l’amore ha tentato anche te. Allora ti scacciai con
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la punta della mia spada – che follia! Avresti fatto bene ad esclamare:
Vecchio pazzo! Vecchio rimbecillito e innamorato! Credi che esistano
pugnali veneziani temprati nel ghiaccio e nel fuoco o lame fuse e
forgiate a Damasco capaci di trafiggere l’amore fino a
distruggerlo?…Ecco perché stavolta non mi sono presentato da te con
una spada appuntita o una lama affilata. Stavolta, Giacomo, sono
venuto con un’arma diversa: l’arma della ragione. E’ l’unica arma che
esista. Intendo la ragione, quella vera, che non vuole né discutere né
contrattare, anzi, non vuole neanche convincere. Te lo ripeto, non
sono venuto né per supplicare né per minacciare. Sono venuto per
constatare e per porre domande: e nella mia condizione, che è al
tempo stesso deplorevole e pericolosa, ho buoni motivi per credere
che quest’arma fredda e scintillante, la ragione, sia più forte delle
fanfaronate plateali dei sentimenti. Tu e la contessa, figliolo, siete
stati toccati dall’amore. E’ un dato di fatto che non pretendo di
spiegare. Sai bene che non amiamo nessuno per le sue virtù. Ormai
sono diventato vecchio, e so che i peccati e gli errori non ci spingono
ad amare qualcuno più di quanto non facciano la bellezza, la bontà o
la virtù. Tu e la contessa siete innamorati, ed è un’accoppiata
abbastanza stupefacente e incomprensibile. La contessa ti ama, e tu
sai bene che questo sentimento è una ribellione contro la legge della
tua vita. Non c’è nulla che ti terrorizzi e ti spinga alla fuga quanto un
simile sentimento, perché è l’unico capace di schiacciarti, di
annientarti, e che per te equivale un poco alla morte. Ma qual è la
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natura del vostro amore? E’ una questione su cui ho meditato
parecchio. Tu hai creduto a lungo che si trattasse soltanto di
un’avventura fra tante, non perfettamente riuscita, in cui avevi
provato un pizzico di pietà. Ma, vedi, la pietà è sempre sospetta. Tu,
Giacomo, non sei di quelli che conoscono la compassione: dormi
tranquillo mentre la donna da te abbandonata arrotola le lenzuola del
vostro letto d’amore per farne una corda con cui si impiccherà davanti
alla tua porta, e allora tu esclamerai “Perbacco!” e scuoterai il capo.
Sei fatto così. Una volta, diversi anni fa, ti ho visto a Bologna, a
teatro, dove la gente sussurrava il tuo nome. Ti sei presentato in
maniera eccellente, meglio di un attore, ti sei fermato in prima fila
voltando le spalle al palcoscenico, e dopo esserti tolto l’occhialetto ti
sei guardato intorno. E a un tratto hai sbadigliato. Uno sbadiglio come
si deve, uno sbadiglio che faceva paura, come lo sbadiglio di una
belva attempata che più tardi finirà per sbranare il suo domatore.
Allora pensai che se ti avessi sorpreso accanto a una donna che
piaceva anche a me ti avrei catturato gettandoti addosso una rete e ti
avrei trapassato il petto con un tridente. E invece, adesso, ti ho
portato la lettera di Francesca.
Con gesti lenti e misurati, trae dalla tasca interna del suo mantello
con il collo di pelliccia una lettera piegata in due e la tiene alta:
Ti ho già pregato di essere indulgente per quanto riguarda
l’ortografia; ha imparato a scrivere da poco. Si vede che era
emozionata mentre la scriveva: non conosce bene le maiuscole,
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poverina, e me la immagino intenta a scarabocchiare, con la testa in
fiamme e le dita gelide e tremanti. E’ una lettera breve: permetti che
sia io a leggerla per primo. Puoi permettermelo, anche perché non è la
prima volta che la leggo; l’ho già letta alle quattro del pomeriggio,
quando è stata consegnata allo stalliere che doveva recapitarla, e poi
più tardi, verso sera, prima di recarmi da te come postino e
messaggero, perché una lettera come questa non va affidata ad un
estraneo. Non ho mai aperto la lettera di una donna, per non
contravvenire alle regole ma anche perché nessuna lettera mi ha mai
interessato al punto da indurmi a infrangerle. Questa invece mi
interessava molto. Francesca non mi ha mai scritto una lettera, né
sarebbe stata in grado di farlo, visto che un anno fa non conosceva
ancora i segreti della scrittura. Fu appunto un anno fa, quando da
Venezia si sparse la voce che eri stato imprigionato dall’Inquisizione,
che cominciò a mostrare interesse per la scrittura. Imparò a scrivere
perché voleva scrivere a te. In questo le donne sono fantastiche: se
amano qualcuno, sono capaci di autentici atti di eroismo. E ora
finalmente è riuscita a scriverti, abbandonandosi al primo atto
impudico della sua vita. Ha scritto una lettera d’amore, anzi ha
commesso qualcosa di più grave e di più pericoloso: si è lasciata
andare completamente, affidandosi alla carta e all’inchiostro, ossia al
mondo e all’eternità. Ha scritto un testo breve, ma
sorprendentemente corretto, limitandosi alle parole essenziali, come
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facevano Ovidio e Dante. Aspetta, adesso ti leggo la lettera di
Francesca.
Apre con calma il foglio di pergamena, lo solleva in alto con una mano
come fanno i presbiti, mentre con l’altra sistema gli occhiali sul naso;
quindi comincia a decifrare il testo.
Dunque ascolta. Ecco che cosa ha scritto Francesca, la contessa di
Parma, a Giacomo, otto giorni dopo che il suo innamorato, evaso dalla
prigione in cui languiva a causa della sua natura e del suo carattere, è
arrivato qui a Bolzano: “Ti devo vedere.” Quindi ha firmato, ornando
l’iniziale del suo nome, con una serie di ghirigori e svolazzi. Questa è
la lettera. Cosa te ne pare del suo stile? Io ne sono rimasto
affascinato, e spero che tocchi anche te, che ti tocchi nel profondo
dell’animo. Io ho avuto l’impressione, leggendo questo messaggio una
prima e poi una seconda volta – e adesso che l’ho sotto gli occhi per
la terza volta il mio parere non è cambiato – che sia scritto alla
perfezione. Perdona la mia debolezza, non sorridere del mio
entusiasmo di marito: devi riconoscere che un dilettante non sarebbe
in grado di scrivere nulla di simile. Sono tre parole in tutto, più
l’iniziale del nome; osserva con che precisione sono unite fra loro,
come se fossero forgiate nello stesso ferro, come gli anelli di una
catena. Vogliamo analizzarla?… “Ti devo vedere”. Non vi è una sola
parola di troppo. “Ti” è una parola grandiosa. Capisci bene cosa
significa? A questo mondo esistono milioni e milioni di uomini, ma lei
vuole vedere “te”. Rifletti un istante sull’infinità di uomini che
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meriterebbero di essere visti, anche da Francesca, anche se non si
“deve” vederli, uomini in grado di offrirle qualcosa di più pregiato,
autentico e significativo, di quel che potresti offrirle tu, uomini che
hanno visto il Nuovo Mondo e le Indie, scienziati che hanno decifrato i
segreti della natura e hanno compilato nuove tavole della legge;
eppure lei vuole vedere proprio “te”… E con questa parola ti chiama
per nome, ed è come se ti facesse rinascere una seconda volta. E poi
“devo”. Non “vorrei”, non “desidero”, non “voglio”. Lei esprime subito,
come fanno i testi sacri, l’irrevocabile. E’ un imperativo, una parola
regale, è più di un ordine. Avrebbe potuto scrivere semplicemente
“voglio”, il che sarebbe stato altrettanto regale ma un po’ arrogante.
Invece no: dice “devo”, e confessa che mentre impone la sua volontà,
obbedisce a sua volta a un ordine misterioso. E infine scrive “vedere”,
ed è una parola palpabile, quasi sensuale. E’ un verbo magico che
racchiude in sé il desiderio, il segreto ardente ed il significato
recondito della vita, perché il mondo esiste soltanto nella misura in cui
lo vediamo, e anche tu, stando allo spirito di questa lettera, esisti
soltanto nella misura in cui Francesca ti vede. Dunque lei ti vuole
vedere. Non so se leggo bene, ma tutta la frase potrebbe anche
essere il primo verso di una poesia, emana un senso di smarrimento e
di impotenza, come quando una persona si ferma sotto le stelle, di
fronte al suo destino, e poi si decide a dire la verità, la triste e
magnifica verità. La sua voce chiede aiuto ed è colma di angoscia,
impone la sua volontà, ma nello stesso tempo confessa di essere a
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sua volta vittima della stessa imposizione. Dunque è questo il
significato del testo. E poi la firma, molto modesta, l’iniziale del suo
nome – perché è superfluo firmare per esteso una vera lettera:
l’opera designa in sé il suo autore, è tutt’uno con lui.
Solleva quasi controvoglia, con due dita, la pergamena per porgerla
con noncuranza al padrone di casa.
E con questo abbiamo terminato. Ecco la lettera.
Vedendo che Giacomo non la prende, si limita a posare la lettera sulla
mensola del camino.
La leggerai più tardi?…Sì, ti capisco. Credo che la leggerai più volte
nella tua vita, in seguito, quando sarai vecchio. Allora forse la capirai.
Ho raggiunto uno degli scopi della mia visita: ti ho consegnato la
lettera della contessa. Spero che tu ne abbia cura. Non vorrei che la
lettera d’amore della contessa di Parma finisse su qualche sudicio
tavolo di osteria macchiato di vino, o che tu la declamassi ad alta
voce, con aria tronfia e vanagloriosa, nel letto di qualche prostituta.
Non posso impedirlo, tuttavia ne sarei molto addolorato. Ma a questo
punto dobbiamo fare attenzione a non allontanarci dai compiti che ci
assegna la realtà: perché, vedi, noi due ci siamo talmente concentrati
sull’analisi del testo che per poco non abbiamo dimenticato la persona
che ha scritto questa frase impeccabile. Eppure è di lei che stiamo
parlando, di Francesca, che ritiene di doverti vedere. Questa è la
realtà a cui dobbiamo tornare. Il significato concreto di questo testo è
che la contessa di Parma, ahimé, è innamorata di te e deve vederti. E’
un ordine di fronte al quale non puoi tirarti indietro, neanche se lo
La recita di Bolzano
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volessi. Non è una minaccia, non irrigidirti, non allarmarti, è escluso
che ci capiti nuovamente di affrontarci con la spada in pugno. Il
tempo mi ha costretto a gettare la spada alle ortiche. Naturalmente
potrei comprare spade più agili ed efficienti di quanto sia stata la mia.
Nemmeno questa è una minaccia: è una semplice constatazione. La
tua vita è nelle mie mani, non è servito a nulla che tu fuggissi
lasciandoti alle spalle i confini della Repubblica. Per legge e per
tradizione, tu qui sei inviolabile e intoccabile. Ma chi potrebbe sapere
meglio di te che esiste anche una legge diversa e più sottile, non
codificata, un complesso di usanze e di pratiche che si cela dietro le
leggi visibili, applicate e registrate nei codici. E questa legge diversa è
quella vera, valida ed efficace ovunque. Ed è la mia legge, quella di
cui sono io a disporre – io e pochi altri al mondo. Se io lo voglio,
domani a quest’ora, dopo il tramonto, tu avrai già passato e il confine
e ti troverai di nuovo tra le grinfie di Messer Grande; puoi metterci la
mano sul fuoco. Ecco perché non ho bisogno di ricorrere alle minacce.
E se ti lascio andare non è né per magnanimità né per un senso di
pietà tanto nobile quanto ipocrita – perché dovrai andartene via di
corsa, Giacomo, con cavalli dagli zoccoli veloci, prima che la notte
finisca, non appena avremo messo il punto finale alla frase, non
appena la contessa ti avrà visto. Per questo sono venuto da te. Voglio
che tu rimanga qui fino a domani mattina e obbedisca al desiderio
della contessa. Devo forse minacciarti? Devo supplicarti? Devo darti
spiegazioni? Devo ucciderti? Sarebbe un grave errore. Un uomo
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amato, una volta morto, diventa un rivale temibile; saresti al nostro
fianco a tavola, condivideresti il letto della contessa, ci precederesti
furtivo, con il passo leggero dei morti, attraverso le stanze o lungo i
sentieri del giardino, saresti presente ovunque. E la nube purpurea
della vendetta si librerebbe sulle orme della tua memoria, le fiaccole
rossastre di una vendetta muta e fuligginosa illuminerebbero la via del
tuo ricordo. No, figliolo, non ti ucciderò! Io ti tengo in pugno. E quel
mattino di un anno e mezzo fa, quando gli sbirri veneziani irruppero
nella tua camera, e tu protestavi indignato, esigendo con la bava alla
bocca che ti spiegassero qual era la tua colpa, per poi marcire in
quell’inferno, disteso su un mucchio di paglia, avrei potuto anche
essere io colui che si era intromesso nella tua vita. Avrei potuto,
ripeto; non sto dicendo di averlo fatto. Impallidisci? Indietreggi?… I
tuoi occhi cercano il pugnale? Vuoi la vendetta?… Controlla le tue
emozioni, figliolo. Sarebbe un gesto davvero insensato. Perderesti
tutto, e anche la vendetta di lascerebbe l’amaro in bocca… Credo di
aver trovato l’unica soluzione possibile: stipulerò un contratto con te.
E’ un contratto che non sarà né più ignobile né più onorevole di
quanto siano generalmente i vincoli e gli accordi tra esseri umani. Io ti
comprerò, figliolo, e tu mi dirai il prezzo. Ti comprerò. So che non sei
una merce di poco conto. Io sono ricco e potente e pagherò per te in
oro e compassione. Sei indignato? Fissi il pavimento, ti mordi le
labbra?… Ti comprerò perché sei un essere umano. Io so che con te è
possibile contrattare. Riceverai, diciamo, mille ducati d’oro, stanotte
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stessa… E’ poco?… Va bene: duemila. E altri duemila in cambiali da
riscuotere a Monaco e a Parigi. E’ ancora poco?… D’accordo, ragazzo
mio, continua così, ti capisco. Allora riceverai diecimila ducati, con una
lettera di credito da convertire a Parigi. E’ poco? Capisco, figliolo,
capisco. Riceverai un salvacondotto per il viaggio, sarà come se
Monsieur de Condé in persona si recasse dal Principe Elettore, il quale
sarà felice di apprendere dalla tua bocca la storia dell’evasione.
Riceverai… E’ poco?… Ebbene, sia, voglio essere generoso. D’accordo,
riceverai una lettera per Luigi, mio cugino. Ti rendi conto del suo
valore? Luigi ti riceverà a Versailles. La mia lettera ti aprirà i confini di
tutti i paesi; la polizia non potrà più molestarti; basterà che tu mostri
questa lettera sul tuo cammino e i nemici più accaniti e feroci si
trasformeranno in amici devoti. Questo è il prezzo del contratto. Che
cosa esigo in cambio? Molto, com’è naturale. Esigo che tu obbedisca al
desiderio della contessa di Parma. Esigo che tu trascorra questa notte
con la contessa di Parma.
Solleva il bastone dal pomo d’argento e batte due colpi leggeri sul
pavimento, come per apporre il sigillo a ciò che ha detto.
Ho deciso così perché la vita, per me, è quasi finita, e voglio riempire
quel poco che ne rimane con l’unico contenuto possibile. Questo
contenuto è mia moglie, la mia donna. Il suo amore per te è una
rivolta, magari legittima, che lede però i miei interessi. Soffocherò
questa rivolta, così come ho soffocato tutte le rivolte che ho
La recita di Bolzano
19
incontrato fino ad oggi in vita mia, perché credo nell’ordine. Dove non
regna l’ordine non esiste gioia. Sali sulla scena, Giacomo, e tieni una
recita a Bolzano, stanotte. Mostraci che cosa sai fare, sta a te
riscuotere l’applauso del pubblico o essere fischiato alla fine dello
spettacolo!…Continui a tacere? Stai lottando con te stesso? Ridiamo,
figliolo! Ridiamo, perché siamo soli, fuori dal mondo, faccia a faccia
con la verità! Perché esiti ancora? Tu pensi che io ti abbia fatto una
proposta indecente. Può anche darsi che sia vero, ma il mio tempo è
scaduto, e non sono più in grado di occuparmi della morale e del
giudizio altrui. Io amo una donna che ama te: ma tu non sei fatto per
amare una donna con sentimento sincero, perché appartieni a una
razza che si porta in giro per il mondo un’eterna insoddisfazione, e
nessuno può farci nulla. E ignori che per amore si può anche essere
immorali, ignori che una persona che ama è capace di rinunciare sul
serio a qualcuno, per una notte o per sempre. Perché amare significa
semplicemente servire. E se io sapessi che tu non sei quello che sei,
forse permetterei che Francesca parta insieme a te. Invece non posso
permetterlo, perché tu non puoi offrirle altro che un’avventura. Ma
l’avventura, per definizione, non può che concludersi in breve tempo.
E allora crea un capolavoro, Giacomo! Prendi questa avventura e
fanne un capolavoro. Tutti gli accessori sono a tua disposizione: la
notte e il mistero, la maschera e il giuramento, le belle parole, i
sospiri, un biglietto, un messaggio segreto, quindi la fuga nella
tormenta di neve, il tenero rapimento, l’istante supremo in cui la
La recita di Bolzano
20
preda palpita fiduciosa fra le tue braccia e lancia un grido, e poi il
lento declino e la fine. Voglio che lei guarisca da te come si guarisce
da una malattia. Ecco perché sono venuto, ecco perché ti prego di
trascorrere questa notte con mia moglie. Voglio che alle prime luci del
mattino Francesca faccia ritorno al mio palazzo come se avesse
superato una malattia. A testa alta, non di nascosto, strisciando,
perché anche lei è di nobile rango, e non sono disposto ad accettare
che il suo rango venga minimamente intaccato da questa avventura.
Giacomo, sento che stai per creare un’opera perfetta! E bisogna fare
in fretta, Giacomo, in fretta, perché il tempo incalza. Ti prometto che
non parleremo mai più di questa notte, comunque vada a finire e
qualsiasi cosa ci riservi ancora la vita. Voglio che nel giro di poche ore
tu sveli alla contessa il segreto della tua persona, e voglio che entro
poche ore questo segreto diventi solo un ricordo. Sii buono con lei,
consolala e feriscila come faresti se avessi molto tempo a tua
disposizione. E poi rimandala da me, perché io la amo e tu, in ogni
caso, non avrai più nulla a che fare con lei. (Si alza in piedi) Siamo
d’accordo, Giacomo? (Attraversa la stanza con passo svelto, ma
giunto sulla soglia si volta e soggiunge) Un’ultima cosa: ti ho detto
che dovrai consolarla e ferirla. Non ferirla troppo, ti prego. (Esce
senza richiudere la porta).
La recita di Bolzano
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S E C O N D A P A R T E
La porta si apre e la fiamma delle candele vacilla nella corrente. In
piedi sulla soglia c’è un giovinetto mascherato in abito di gala, con
calzoni di seta al ginocchio, scarpe ornate di fibbie, con uno spadino
dall’impugnatura d’oro al fianco e il tricorno in mano. Fa un inchino:
CONTESSA DI PARMA
Sono io, Giacomo.
Chiude accuratamente la porta e attraversa la stanza a piccoli passi
cauti e un po’ maldestri, come se non si trovasse perfettamente a suo
agio in quegli abiti maschili.
Ti ho aspettato invano. Perciò sono venuta io. (Lo guarda, e scoppia in
una risata) Vestito da donna! Che idea geniale! Fatti vedere: gonna,
camicia, calze bianche, un finto neo, una cuffia e una maschera di
seta bianca. Per un capriccio del destino, stanotte abbiamo invertito le
parti, ciascuno di noi ha scambiato il suo costume e il suo ruolo con
quelli dell’altro: io sono l’innamorato, lo spasimante, mentre tu sei la
dama, colei che si difende. Non credi che questo sia più di un semplice
caso?… Oggi pomeriggio non sapevo ancora che stasera mi sarei
vestita da uomo, come tu non potevi sapere che il conte di Parma
sarebbe venuto a farti visita e ti avrebbe consegnato la mia lettera
invitandoti al ballo, e che allora ti saresti vestito da donna… Io non so
nulla dell’ordine che governa le vicende umane, Giacomo, però mi
La recita di Bolzano
22
sembra di intuire qualcosa, comincio a sospettare che in tutto ciò che
è importante e immutabile il caso non esista, e che in fondo a
ciascuno di noi, uomini e donne, i sentimenti e i desideri, i
travestimenti e le parti si aggroviglino in maniera inestricabile, e che a
volte la vita giochi con noi capovolgendo tutto ciò che credevamo
fosse definitivo e immutabile. Io credo al mio intuito. Mentre
aspettavo la risposta alla mia lettera, ho avuto la sensazione che le
fosse accaduto qualcosa. E difatti era finita nelle mani di mio marito.
Che ne dici, sarà ancora vivo lo stalliere che si è offerto di
consegnartela?… Mi dispiacerebbe se gli fosse accaduto qualcosa,
perché è ancora giovane, mi lancia sempre degli sguardi così tristi e
nostalgici quando usciamo a cavallo… Dunque è stato il conte di
Parma a portarti la lettera?… Poverino. Non sarà stata una decisione
facile per lui. Orgoglioso e solitario com’è, posso immaginare cosa
deve aver provato. Avete stipulato un contratto? Ti ha offerto del
denaro, la libertà, una lettera in grado di proteggerti e di aiutarti a
varcare le frontiere. E tu ti sei impegnato ad agire secondo la sua
volontà e secondo ciò che ti ho scritto. E’ stato deciso che ci saremmo
visti stanotte. E che ci saremmo amati. E allora fallo, Giacomo.
Fallo.(Rimane a fissare il vuoto con aria assente.) Fallo. Cosa aspetti,
amico mio? Comincia pure, è il momento giusto. Qui dentro regnano il
silenzio e un tepore profumato. Sento un profumo di rose e ambra. Il
letto è stato rifatto. La tavola è apparecchiata per due. Mezzanotte è
passata, è arrivato il momento del souper. In che modo comincerai?
La recita di Bolzano
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Sono talmente curiosa, Giacomo! Chissà cosa farai… Farai il
prepotente o ti mostrerai astuto e galante? Ti sei impegnato a creare
un capolavoro, e realizzarlo sarà tutt’altro che facile. Perché adesso,
vedi, non siamo più completamente soli, ci troviamo qui con l’assenso
del conte, è come se in questa stanza fossimo in tre. Dunque mettiti
all’opera e crea un capolavoro! Questo è tutto ciò che lui è riuscito a
inventarsi e che tu ti sei impegnato a realizzare? Ti ha portato il mio
messaggio e l’ha spiegato? Forse non te l’ha spiegato a fondo,
Giacomo, amore mio. Perché nel momento in cui ho tracciato quelle
lettere, mi sono spaventata al pensiero di quanto siano eloquenti le
parole… Sono tre parole, vedi, e per effetto di quelle tre parole tu hai
indossato panni femminili, e lui ha lasciato il suo palazzo e si è
improvvisato postino… E tuttavia credo che lui non abbia capito
perfettamente la lettera. Lascia che te la spieghi io. Ti sembro una
donna che esce da casa sua a notte fonda per capriccio, per il piacere
di un’avventura, andando in cerca di un uomo appena uscito dalla
galera, di uno che ha una pessima fama, tanto che a Bolzano le madri
e le donne di una certa età si fanno il segno della croce al solo sentir
pronunciare il suo nome?… Mi conosci così poco? E il conte di Parma,
con cui divido il mio letto, mi conosce in maniera così superficiale? E
io, creatura candida e infantile, inseguirei un sogno nel tempo per poi
scrivere le parole destinate a informare te, il conte e il mondo intero
che ti devo vedere? Ma io non sono l’avventura, amore mio, non sono
il materiale da cui trarre un capolavoro, non sono né l’oggetto né la
La recita di Bolzano
24
lettera di questo contratto così ben studiato. Non sono la dolce
fanciulla che arriva qui di nascosto per trascorrere una notte con il suo
amante. Non sono l’oca che sogna ad occhi aperti nella vana attesa di
un uomo. Non sono né un’oca né una libertina, Giacomo. Io sono la
vita. E la vita, amore mio, è la pienezza. La vita sono un uomo e una
donna che si incontrano perché sono fatti l’uno per l’altro, ciò che la
pioggia è per il mare: l’uno torna sempre nell’altro, l’uno è la
condizione dell’altro. Da tale pienezza nasce l’armonia; una cosa
rarissima fra gli esseri umani. Io so che senza di me tu non sei in
grado di realizzare nulla in maniera perfetta; senza di me tu non puoi
nemmeno considerarti un avventuriero autentico, senza di me non
puoi neanche sedurre del tutto le altre donne. Perché stai lì impalato,
Giacomo, come se ti avessero colpito?… Cominci a capire qualcosa? Io
sì che ho capito. Altrimenti stasera non mi sarei allontanata dal conte
di Parma, che mi ama e mi mostra tutto ciò che vale la pena di vedere
a questo mondo: il potere e il lusso, lo sfarzo e l’intelligenza, e anche
le sembianze austere e tristi dell’amore. Perché l’amore ha mille volti,
e anche il conte di Parma ne porta uno. In questo momento, nel suo
palazzo, indossa una testa d’asino, perché il nostro amore lo ha offeso
e lui ha la morte nel cuore. E sa che nulla potrà modificare il corso
degli eventi. Ma non c’è nulla che possa aiutarlo. Ha vissuto con
prepotenza e morirà da presuntuoso. Io non posso fare nulla per lui.
Sono una donna, Giacomo, anche se adesso sto seduta qui in abiti
maschili, una donna che sa qualcosa con certezza assoluta e agisce di
La recita di Bolzano
25
conseguenza. Io so di essere intimamente legata a te, e so che tu sei
intimamente legato a me, anche se sarai sempre circondato da sciami
di donne, e io ne soffrirò; è questo che so, e lo sa bene anche il conte
di Parma. Ecco perché ti ha portato la lettera; ecco perché si è
affrettato ad accordarsi con te, e tu ti sei affrettato ad accordarti con
lui contro di me, perché mi temi, come si teme la vita, la vita che è
pienezza e dunque destino… cioè qualcosa che fa un po’ paura a tutti.
Ma io non la temo più, perché ti amo. Sarò forte come un lottatore,
perché ti amo. Sarò intelligente come il papa, perché ti amo.
Imparerò a scrivere bene, e destreggiarmi con le carte, anzi, sto già
imparando in che modo si devono segnare il re e il matto; mi sono
fatta portare della cera e dei nuovi mazzi da Napoli, potremo truccarli
insieme prima che tu ti ripresenti in società; e io ti aspetterò a casa,
mentre tu vuoti le tasche a quei furfanti che si atteggiano a modelli di
virtù, e poi dilapideremo quell’oro restituendolo al mondo. A Parigi
sarò la più bella, Giacomo, vedrai come saprò sedurre il capo della
polizia, ti garantirò una protezione migliore di quella che può offrirti la
lettera del conte di Parma. E se una baldracca ti attaccherà una
malattia, sarò io a curarti, ti strofinerò il corpo con l’argento vivo e
preparerò dei decotti di erbe. Sarò astuta come le spie
dell’Inquisizione, sedurrò il Doge e gli chiederò di concederti la grazia;
sarò la tua ruffiana e ti procurerò gratuitamente, per una notte, la
famosa Giulia, per il quale il principe di Norfolk sborsò centomila
monete d’oro. Sarò così bella, Giacomo, che talvolta, quando avremo
La recita di Bolzano
26
del denaro e tu mi coprirai di velluti, di sete e di gioielli, mi porterai
all’opera a Londra e affitterai un palco per me, e tutti gli sguardi
saranno puntati su di me; tutti sapranno che il tuo trionfo è completo,
perché io sono la contessa di Parma, che ha abbandonato suo marito
e i suoi castelli pur di stare con te. Perché tu puoi fare di me quello
che vuoi. Puoi vendermi al nostro cugino Luigi per il suo harem di
Versailles, puoi vendermi a peso d’oro. Puoi proibirmi di posare gli
occhi sugli altri uomini. Ma se il desiderio di altri uomini servisse a
rinfocolare il tuo amore, sarò volubile e sfrontata. Puoi tagliarmi i
capelli, puoi marchiarmi il seno con un ferro arroventato: ciò
nonostante io sarò ancora bella per te, se un giorno, più tardi, vorrai
ancora amarmi. E se vorrai umiliarmi, sappi che non riuscirai a
inventare nessun tipo di umiliazione che io non sia pronta ad accettare
con gioia. Non esiste una sola donna nei bordelli di Venezia che
conosca i segreti della tenerezza e della tortura, delle pozioni amorose
e delle carezze come li conosco io. Se preferisci che io sia volgare,
conosco certe parole italiane, francesi, tedesche e inglesi che talvolta,
se mi vengono in mente quando sono sola, mi fanno arrossire: sono
parole che ho imparato per te, e le sussurrerò soltanto a te, se lo
vorrai. Ho imparato tutte questo cose perché ti amo. E’ poco? Ma
certo che è poco. Questi sono soltanto strumenti, amore mio, squallidi
strumenti e nulla di più. Se li ho nominati è solo perché volevo ti
rendessi conto che puoi pretendere qualsiasi cosa da me. Perché
l’amore dispone di due palcoscenici sui quali si recita il grande duetto,
La recita di Bolzano
27
e sono entrambi infiniti: il letto e il mondo. E non basta sapere che
cosa può darti la felicità, ti devo decifrare, scoprire. Devo scoprire
perché temi la felicità; devo scoprire cosa brami con tanta passione da
non avere il coraggio di confessarlo neanche a te stesso, e poi devo
tacerti questo segreto, perché le mie parole potrebbero soltanto
offenderti. E dovrò vivere in maniera tale che tu scopra e comprenda
anche senza parole il motivo di tutto quello che è stato – la solitudine,
la noia, la curiosità, le passioni perverse, le donne, le carte, i bagordi,
la vita raminga – il motivo che ti ha spinto a diventare un
avventuriero. Devo farlo perché ti amo. E l’amore è anche complicità e
alleanza; non è fatto soltanto di frenesia e di giuramenti, di lacrime e
di grida, è un’alleanza molto seria e salda. E io terrò fede a
quest’alleanza fino alla morte. Non ho motivo di giurare o di
prometterti nulla, perché io so qual è la realtà, amore mio, e la realtà
è semplicemente che tu per me sei l’unico. Puoi anche andartene via
da me, l’hai già fatto un’altra volta, tagliando la corda come un
vigliacco. Ma sei fuggito invano, perché adesso siamo di nuovo qui,
l’uno di fronte all’altro, e aspettiamo il momento in cui potremo
toglierci la maschera e vederci finalmente in viso. Una volta mi hai
regalato uno specchio, Giacomo, uno di quegli specchi veneziani che
hanno fama di mostrare il vero volto degli uomini. Uno specchio con
una cornice d’argento e un pettine, un pettine con il manico d’argento.
E’ tutto quanto abbia mai ricevuto da te. Sono passati gli anni e io,
tutti i giorni, prendo in mano il pettine e lo specchio, mi acconcio i
La recita di Bolzano
28
capelli e guardo il mio volto a lungo e ripetutamente. Non regalare
mai uno specchio alla donna che ami, perché le donne, guardandosi
allo specchio, finiscono per conoscersi e diventano tristi. Perché c’è
stato un tempo in cui non mi conoscevo ancora, mi limitavo
semplicemente a crescere, a Pistoia, nel vecchio giardino. A volte, se
torno indietro a quei tempi, mi sento cogliere dalle vertigini e divento
rossa, perché credo che nel primo istante in cui ti ho visto, nel salone
della casa di Pistoia, tra i mobili logori e malandati, mentre conversavi
educatamente con papà raccontandogli con molta disinvoltura qualche
bugia, ti ho capito molto di più che in seguito. Sei stato vigliacco,
Giacomo, troppo vigliacco per seguire ciò che il cuore ti aveva
suggerito nel primo istante in cui ci siamo visti. Ed è una grave colpa.
Perché hai lasciato che il conte di Parma mi comprasse come un
vitello? Perché hai lasciato che lo seguissi nei suoi castelli e in città
sconosciute, quando sapevi che per me eri l’unico? Questo mi
chiedevo. Più tardi ho capito, perché ti amo. E adesso comprendimi
bene, amore mio, queste parole,“ti amo”, non le pronuncio né con
dolcezza né con struggimento, no, le pronuncio piuttosto con collera,
te le grido in faccia come un’accusa e un ordine. Hai capito, Giacomo?
Ti amo, e non lo dico in un sussurro. Ti sto intimando qualcosa, come
un giudice, capisci? Ti amo e dunque ti giudico. Ti amo, e dunque
pretendo che tu sia coraggioso. Ti amo, e dunque ti trascinerò via con
me, e anche se tu fossi forte come una stella vincolata al raggio
adamantino di una qualche orbita celeste, ti porterei comunque via
La recita di Bolzano
29
con me, ti strapperei alle leggi che governano l’universo, alla tua
legge: perché ti amo. Questa non è una preghiera, Giacomo, bensì
un’accusa, sì, un’accusa capitale. Ti guardo con collera, indignata,
come si guarda un nemico. Ti porterò via con me e tu mi seguirai in
questo amore, perché io sono la più forte. Non avere paura, perché io
ti amo. Mi senti? Ti amo. Il destino mi ha condannata ad amarti. Ti
amo da cinque anni, dal momento in cui ti ho visto per la prima volta
a Pistoia, e tu hai detto una grossa bugia, e ti sei battuto in duello per
me, a torso nudo, sotto il chiaro di luna, e infine ti sei dato alla fuga,
mentre io ti disprezzavo e ti amavo. So che hai paura, che hai ancora
paura. Non chiudere gli occhi sotto la maschera: adesso riesco
finalmente a vederti nonostante la maschera, vedo soltanto i tuoi
occhi, che un attimo fa brillavano come quelli di una belva appostata a
spiare la preda e ora sono più opachi. Non avere paura, Giacomo!
Devo insegnarti ad essere coraggioso verso te stesso e verso di noi,
verso la nostra storia. Non avere paura, perché io ti amo. Lo so, è una
colpa grave. Devi perdonarmi. Farò tutto il possibile perché tu non
debba soffrirne troppo. Tu non sai ancora, non puoi sapere cosa
significhi amare qualcuno. Tu hai paura dei tuoi desideri, della tua
curiosità, delle nuove donne che ti sorrideranno in tutte le locande, da
tutte le finestre e nelle piazze di tutte le città sconosciute, da tutte le
carrozze, perché pensi che non le potrai rincorrere a causa del
sentimento che ti lega a me?… Non sono certa che avrai voglia di
correre dietro alle donne, Giacomo, se io ti amerò. Ma qualora un
La recita di Bolzano
30
giorno tu andassi via, spinto dalla curiosità o dalla noia, io vivrò da
qualche parte e ti aspetterò. Voglio vivere a lungo per poterti
aspettare fino a quando tornerai a casa. Dove? A casa mia, Giacomo.
Dovunque io dorma, sarà casa tua. Dovunque io prepari il mio letto di
sera, uno dei cuscini sarà sempre pronto per te. Se splenderà il sole e
il cielo sarà azzurro, sappi che guarderò in alto e mi dirò: “Adesso
Giacomo vede il cielo ed è contento!” Ogni volta che spezzerò una
pagnotta, una metà sarà per te. So che è troppo, amore mio, ed è per
questo che ti chiedo perdono. Vedi, sono in ginocchio davanti a te.
travestita da spasimante che implora e seduce una dama. E tu siedi
qui davanti a me, in abiti femminili e con la maschera. Stanotte tutto
si svolgerà secondo le clausole del contratto, ma forse la distribuzione
delle parti sarà un po’ diversa da quella predisposta dal conte di
Parma. Sono io che ti supplico, caro, di accettare il mio amore, sono
io che ti voglio consolare, perché ti amo e non sopporto che tu sia
triste, sono io e non tu il cavaliere e l’aggressore, sono stata io a
venire da te perché ti devo vedere. E adesso sono qui e tu taci, come
esige la tua parte, offrendomi lo spunto per le mie repliche, secondo
quanto prescrive il contratto. Non mi vuoi, amore mio? Mi fai paura
quando taci così, calandoti così bene nel tuo ruolo… Guarda il fuoco,
Giacomo, la fiamma divampa come se volesse dire qualcosa. Forse
cerca di dirci che occorre morire di passione, che occorre rinascere
grazie a un sentimento, perché in questo consistono la pienezza e la
vita. Tutto il passato divamperà e si consumerà, se tu lo vorrai, ma
La recita di Bolzano
31
bisognerà ricominciare tutto daccapo, perché questa è la grande
magia dell’amore. Continui a tacere?… Non mi vuoi?… Non posso
consolarti in nessun modo? Non è servito a nulla che io ti abbia offerto
la voluttà e la pace, la purezza e la rigenerazione? Guardami, sto qui
in ginocchio davanti a te, e sai bene che sono bella. Non sono la più
bella, perché la più bella non esiste da nessuna parte, tuttavia sono
bella. Tu, Giacomo, credi ancora alle donne che fanno sfoggio della
loro bellezza, la esibiscono passeggiando orgogliose e non sanno che
nel crogiolo dell’amore la bellezza si dissolve, e a distanza di un mese
o di un anno nessuno la vede più. Il volto, le gambe, le braccia, i bei
seni, tutto si dissolve in quella fiamma che è l’amore, e ciò che rimane
è una donna che può dare e aiutare anche quando la bellezza non si
vede più. La mia è una bellezza di questo genere. Ma il Creatore,
dandomi il dono della bellezza, mi ha anche punita: sono bella, quindi
ho un compito da svolgere, devo piacerti. Però non piaccio soltanto a
te, Giacomo. Non temi che nasconda anch’io dei segreti, e che forse
potrei confessarti che non riuscii a rassegnarmi alla tua fuga e alla tua
pavidità, e che accettai i baci di altri uomini prima di concedermi al
conte di Parma? E se ti raccontassi cosa accadde a Pistoia quando, in
seguito alla tua fuga, mi gettai fra le braccia del giardiniere che tu
conoscevi? Non vuoi sentire cosa accadde quella sera, non vuoi che ti
racconti in tutti i dettagli la storia della notte successiva al duello e
alla tua fuga? E anche ciò che avvenne dopo, quando passarono mesi
e poi anni senza che tu dessi tue notizie, e io cominciai a sentirmi
La recita di Bolzano
32
bruciare da questa fiamma, che è peggiore del fumo e delle fiamme
dell’inferno? Vuoi che ti racconti cosa accade quando una donna è
costretta a cercare tra le braccia di dieci, venti, cento uomini la
tenerezza che non avrebbe mai voluto ricevere da nessun altro se non
dall’unico uomo che abbia mai amato e che è fuggito via da lei? Vuoi
che ti faccia dei nomi, Giacomo? Vuoi delle prove? Che fai, estrai il
pugnale? Oh, il pugnale! L’eterna risposta, amore mio! L’unica
risposta che tu sappia dare alle ingiurie della vita! Metti via il pugnale,
caro. E’ un monosillabo che non spiega nulla, una risposta insulsa e
banale. Non gesticolare con dita tremanti, cercando di toglierti la
maschera, mantieni la calma. Per quale motivo dovresti gettare la
maschera? Cosa può dirmi il volto che vi è nascosto dietro? Ciò che
volevo vedere non era un volto, ma un uomo, l’uomo che per me era
l’unico, e che si era comportato da vigliacco, vedendomi e fuggendo
via da me, anche se ho sempre continuato a sperare che un giorno
avrei avuto la forza di strappargli dal volto l’ultima maschera e di
vederlo, e di perdonarlo. Per questo ho imparato a scrivere. Per
questo ho continuato ad attenderti, e quando non sei venuto sono
venuta io, vestita da uomo. Adesso ascolta bene, amore mio: adesso
ti ho visto, e non voglio più vederti in maniera diversa: devo tornare a
casa, dai miei ospiti. E tu vattene in giro per il mondo, vivi, menti,
ruba corpi e quattrini. Ma intanto saprai sempre, nel sonno e durante
la veglia, che io per te ero l’unica, ero la pienezza, la vita, e che tu mi
hai offesa e venduta. Saprai che avresti potuto avere tutto quanto un
La recita di Bolzano
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essere umano può avere dalla vita, e invece ti sei accontentato di
stipulare un contratto, e dalla vita non potrai ricevere più nulla. Saprai
che il mio corpo, che è parte del tuo corpo, non potrà mai essere tuo,
mentre potrà essere di chiunque lo voglia. Io volevo vivere con te una
vita pura come quella che si viveva nel giardino dell’Eden. Volevo
salvarti dal tuo destino. E non c’è sofferenza, non c’è miseria, malattia
o vergogna, che non avrei condiviso con te. Tu sapevi tutto ciò e sei
rimasto in silenzio, fedele al contratto stipulato con te stesso e con il
conte di Parma. Ebbene, allora sappi che ti ho visto e che ti condanno
all’infelicità, sappi che non ci sarà un solo istante in cui potrai sentire
sulle labbra la dolcezza della vita, sappi che dovrai sempre pensare a
me, tutti i giorni, un’ora dopo l’altra. Sì, ora posso anche tornarmene
a casa, al mio palazzo e alla mia vita, che senza di te sarà una vita
dimezzata. Dunque vivi la tua vita, viaggia e crea dei capolavori,
amico mio. Forse un giorno la tua vita sarà effettivamente un
capolavoro, un’opera d’arte fredda che irradia una luce perversa…Può
darsi che questa sia la tua legge, che per te sia questa la cosa più
importante. Per me, la cosa più importante eri tu, amore mio, e
adesso so che il tuo cuore si stringerà sempre al pensiero di questa
notte, perché non sono soltanto io ad averti visto, no, anche tu mi hai
vista, e non dimenticherai mai il mio volto diverso, quello che una
maschera occulta agli occhi del mondo. Perché anche nella vendetta si
cela un piacere voluttuoso. Io non sono nessuno, Giacomo, non sono
un artista né un uomo potente, sono soltanto una donna, Francesca,
La recita di Bolzano
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una toscana, che non è degna di occupare un posto importante nella
tua grande opera. Ma d’ora in poi vivrai in modo diverso, amore mio,
come se ti avessero iniettato un veleno estremamente invasivo,
sentirai un dolore che non ti abbandonerà per tutta la vita: a questo
ho provveduto io. Perché anch’io ho le mie armi, più raffinate di un
pugnale. Metti via il pugnale, amore mio. Non sono riuscita a essere la
più forte nella vita e nell’amore, ma nella vendetta sono io la più
forte; dunque. metti via il pugnale. Oppure, se vuoi, donalo a me in
ricordo di questa notte… Lo conserverò accanto ai tuoi regali, il pettine
e lo specchio. Vuoi che facciamo uno scambio?… Guarda, ora estraggo
dal fodero questo spadino sottile dall’impugnatura dorata e te lo offro
in cambio. Accetta come ricordo quest’arma sottile, portala con te in
giro per il mondo. Non potendo scambiarci i cuori, ci scambiamo
almeno le armi. E adesso continuiamo a vivere come dobbiamo.
Grazie per questa notte. Avrò ancora tue notizie?… Non lo so. Se ti
aspetterò? Te l’ho già detto, Giacomo, ti aspetterò per sempre. Perché
ciò che esiste tra noi non passa con il tempo. Non soltanto l’amore è
eterno, Giacomo, è eterna anche la vendetta, come tutti i sentimenti
veri.
Si slaccia lo spadino e lo posa sul tavolo, quindi lega a una catenella
dorata della cintura il pugnale veneziano che raccoglie da terra.
Albeggia. Devo andare. Non accompagnarmi, Giacomo. Se ho trovato
da sola la strada che mi ha portata fino a te, troverò anche la strada
che mi ricondurrà alla mia vita e alla mia casa. Che silenzio… Il vento
La recita di Bolzano
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si è placato. E il fuoco, vedi, si è spento, come se volesse darci un
segnale, nella lingua dell’universo e dei fenomeni, per indicarci che un
giorno tutte le passioni diverranno cenere. Ma io mi rifiuto di crederlo.
Perché tu sai, non è vero?, che nonostante tutto stanotte ci siamo
incontrati e conosciuti, anche se non esattamente come immaginava il
conte di Parma e nel senso inteso dalla Bibbia. A questo punto il
contratto è stato sigillato, Giacomo: e il sigillo – è giusto che tu lo
sappia – il sigillo è la vendetta. E’ un sigillo forte, che ha la stessa
forza dell’amore, della vita e della morte. Puoi riferire al conte di
Parma che hai mantenuto la tua parola e rispettato il contratto; non
sei un istrione, amore mio, non ti sei lasciato vincere dalla debolezza,
ti sei guadagnato fino in fondo il tuo compenso. E la notte è finita,
tutto si è svolto secondo le clausole del contratto, io ti ho conosciuto
e adesso tornerò dall’uomo che mi ama e mi attende, per alleviare il
suo congedo dalla vita. Fa buon viaggio e percorri con passo leggero
le vie del mondo. Ma al momento di congedarci voglio chiederti
qualcosa anch’io: ti ho scritto una lettera, ed è un avvenimento raro
nella mia vita. Se un giorno avrai la sensazione di averla capita e
vorrai rispondermi, non essere pigro o timoroso e rispondimi come si
deve, con la penna e l’inchiostro, da quel letterato esperto che sei. Me
lo prometti?… Non rispondi? Hai così tanta paura della risposta,
Giacomo? Beh, che posso fare?… Vivrò nell’attesa che tu risponda alla
mia lettera, amore mio.
La recita di Bolzano
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Si avvia verso la porta. Ma al centro della stanza si ferma e molto
affettuosamente, in tono di preghiera, dice:
Lo spettacolo è terminato, la recita è finita. Torniamo alla nostra vita
e sbarazziamoci delle maschere e dei travestimenti. Tutto si è svolto
secondo la tua volontà. Sono certa che si è svolto secondo qualche
strana legge. Ma devi sapere che è avvenuto anche secondo la mia
volontà: ti ho visto, ti ho conosciuto e ti ho ferito.
Si volta, si rizza sulla punta dei piedi per guardarsi allo specchio e con
gesto lieve si calca il tricorno sulla parrucca. In quella posizione, in
tono confidenziale, con tenerezza, quasi di sfuggita:
Spero di non averti ferito troppo!
Ma non attende la risposta. Lascia la stanza con passo rapido e sicuro,
senza voltarsi, e chiude silenziosamente la porta dietro di sé.
FINE