La scalata al cielo

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V I T A S P E Z Z A T A
L A   S C A L A T A   A L   C I E L O

Dramma in due attidi Bruno  Maresca

                     Personaggi                          Interpreti

( in ordine di apparizione )

Giorgio                                   …………….……………

La barbona                             ………………………….

Marisa                                    ……………….…………

Anna                                      ……………….…………

Antonio                                  …………………….……

L’ispettore                              ………………………….

La poliziotta                           ………………………….

La signora Crisafulli               ………………….………

La portiera                             ………………………….

Paola                                      ………………………….

Regia

…………………..……..

ATTO PRIMO

Sottopasso di una stazione, un orologio a muro segna la data 13 luglio 1989  e le ore  23,59 :  rimbombo di tuoni in lontananza. Un barbone dorme in un angolino: accanto a lui un carrello con indumenti e oggetti vari. Seduta sulle scale di accesso ai binari, in atteggiamento vigile, una barbona sembra presidiare quel luogo desolato. Allo scoccare della mezzanotte si sente, fuori scena, stappare uno spumante  e una donna che ride e canta a squarciagola.

VOCE :  Ah, ah, ah. “ Allons enfants de la patrie, le jour de gloire est arrivé...”

Entra Marisa, anche lei barbona : spinge un carrello e ha in mano una bottiglia dalla quale beve. E’ bagnata fradicia e  già un po’ brilla.

MARISA :... Ah, ah, ah. “ Contre nous de la tyrannie, l’étendard sanglant est levé...”

LA BARBONA : Vaffanculo, brutta troia.

MARISA  🙁 avvicinandosi a Giorgio )  “ Entendez-vous dans les campagnes …   ( gli si siede accanto ) Stai dormendo ?

LA BARBONA : Che cazzo vuoi ?

MARISA : Formez vos bataillons !

LA BARBONA 🙁 facendole il verso )  Vai fuori dai coglion !

MARISA : ( scotendolo ) “ Stai dormendo ?

LA BARBONA : Non lo toccare, stronza !

MARISA: Beato te.

LA BARBONA : Sei sorda ?

MARISA : ( beve )  La vita è ingiusta. C’è chi dorme e chi no. ( a Giorgio ) Sei  un disgraziato come  me  e dormi ? ( rovistando nel carrello )  S’è bagnato tutto qui.

LA BARBONA : ( asciugando con uno straccio ) Stai sporcando tutto, cazzo.

MARISA : ( beve )   Ma che hai da dormire, eh ? ( fra sé ) I disgraziati non hanno il diritto di dormire… ( a Giorgio )  i disgraziati devono stare svegli, hai capito ! ? ( fra sé ) almeno finché rimangono dei disgraziati… ( a Giorgio ) altrimenti  ti fregano ! Come il  temporale ! ( canticchia ) Marchons, marchons… dormi, dormi… ( toccandogli i pantaloni ) E quando te le togli le pezze dal culo tu.

LA BARBONA : Non lo toccare !

MARISA : Ah, sei asciutto, perciò dormi !

LA BARBONA : Sei sorda, stronza ?

MARISA 🙁 beve ) Se non dormivo anch’io sarei  asciutta ! ( alzandosi ) Don, don, don, l’ora è suonata: liberté, egalité, fraternité .

Lascia cadere la bottiglia, che si versa.

LA BARBONA : Che cazzo fai !

MARISA : Tutte stronzate…

LA BARBONA  🙁 asciugando ) Stronza.

MARISA : Ci hanno preso per il culo.

LA BARBONA  : E vaffanculo.

MARISA :  ( sedendosi ) Eccola la libertà, l’uguaglianza, la fraternità.

LA BARBONA  : Chi ti conosce !

MARISA : Tutti fratelli, tutti uguali e tutti liberi di andare a farci fottere.

LA BARBONA  : Va a farti fottere !

MARISA : ( a Giorgio ) Dormi, dormi, è meglio. 

LA BARBONA  : Vattene, è meglio !

MARISA : ( fra sé  ) Li avrei rimessi a posto quei maledetti gioielli. ( ride, con tono maschile ) Dovevi restituirli prima. ( voce normale ) E come facevo se stavo ancora dormendo ? ( a Giorgio ) Ma ti vuoi svegliare ? (  prende le sue cose e le mette ad asciugare, con austerità ) “ Cos’è successo il 14 luglio ? “ E che è successo ? Vieni giù a vedere, maman, che è successo : un cazzo è successo, anzi ( alludendo agli altri due ) tre cazzi.

Si sente lo sferragliare di un treno che passa.

LA BARBONA  🙁 allontanandosi )  Eccolo, è lui, è il mio amore, devo andare !

Il treno passa senza fermarsi, la barbona ritorna al suo posto, delusa

MARISA : ( riprende la bottiglia ) E’ carino questo posto, mi piace.

LA BARBONA  : Anche a me !

MARISA : ( a Giorgio )  Ci vieni spesso ? ( pausa ) Non hai voglia di parlare, vero ? Neanche io se è per questo, eppure bisogna parlare… perché se non parli sei fottuto…

LA BARBONA  : Va a farti fottere.

MARISA : Se non parli ti metti a pensare e allora sei fottuto…

LA BARBONA  : E fottiti.

MARISA : Perché non riesci più a dormire, se ti  metti a pensare.

LA BARBONA  : Ma chi ti pensa !

MARISA : ( beve ) Io parlo per non pensare, parlo per dormire.  Parlo con tutti, con chi mi capita, con un gatto, con un cane, con te…

GIORGIO : ( senza muoversi )  Mi dai noia.

MARISA : Ah, non stavi dormendo !  Una volta mi sono messa a parlare anche con un topo...  un topo di fogna... aveva due occhi intelligenti. Sono sicura che mi capiva più di tanti altri.

GIORGIO : MI  DAI  NOIA ! !

MARISA : Ma che ti ho fatto, eh ?

LA BARBONA  🙁 borbottando )  Vattene, ci dai noia, stronza, vaffanculo, brutta troia, fottiti, stai sporcando, che cazzo vuoi.

MARISA :  (  facendogli il verso )  Mi dai noia. Fottuto morto di fame, non ho mica bisogno di parlare con te, io. A me basta anche un topo di fogna!

LA BARBONA  🙁 c.s. )  Vattene, ci dai noia, stronza, vaffanculo, brutta troia, fottiti, stai sporcando, che cazzo vuoi.

MARISA :  Alza quella fottutissima testa e guardami, signorino. Io posso stare dove mi pare e piace, hai capito ? La stazione non è tua ! Non è casa tua questa. E’ casa tua, eh ?  

GIORGIO : Lasciami in pace.

LA BARBONA  🙁 c.s. )  Lascialo in pace, troia, vaffanculo, brutta stronza, ci dai noia.

MARISA :  Sì, ti lascio in pace. ( allontanandosi )  Guarda con chi devo dormire, stasera: avessi ancora una casa. ( canticchiando, mentre si sistema per dormire ) Allons enfants de la patrie… mi cacciarono… ( ride )  non pagavo l’affitto da più di un anno. Però anche qui è carino … scusami se continuo a parlare, non farci caso, dopo un po’ mi addormento...

Giorgio si alza, prende degli indumenti dal suo carrello, si avvicina  e glieli porge.

GIORGIO : Tieni.

MARISA : Eh ?

GIORGIO : Mettiti questi.

MARISA : Mi dai noia.

GIORGIO : Prendili.

Marisa glieli butta via

GIORGIO : Come vuoi.

Giorgio se ne torna al suo posto,  la barbona fa per prendere i vestiti, un treno si ferma nella

stazione.

LA BARBONA  : ( uscendo ) E’ arrivato, aspettami, sono qui !.

La barbona esce, Giorgio ride dell’assurda scena, Marisa ci ripensa e  raccoglie i vestiti

MARISA : Voltati.

GIORGIO : Ma chi ti guarda.

MARISA : Tu voltati.

Giorgio si gira sbuffando, Marisa si cambia, eseguendo dei passi di danza

MARISA : Contre nous de la tyrannie, l’étendard sanglant est levé … Quando ero piccola sognavo di diventare una ballerina e di girare il  mondo.  Aux armes, citoyens ! Formez vos bataillons ! E tu ? Cosa volevi fare da grande ?  ( Giorgio ride) Che hai da ridere ?

GIORGIO : ( sempre ridendo ) Non ci crederai… ma sognavo di fare… il capostazione.

MARISA : E che ci trovi di tanto divertente ?

GIORGIO : Io almeno ci sono andato vicino, no ?  

MARISA 🙁 ridendo di gusto ) E’ vero, hai ragione. Puoi girarti, ora. (  Giorgio si gira ) Di dove sei?

GIORGIO : Ti interessa ?

MARISA : Così. ( pausa ) Io sono di Ravenna… sei mai stato a Ravenna ? ( pausa ) Perché non mi vuoi dire di dove sei ?

GIORGIO : Perché non te ne vai più in là ?

MARISA : Avevo capito che potevo restare.

GIORGIO :  Se stai zitta. Sei insopportabile, parli in continuazione.

MARISA : Io mi stavo addormentando. Sei stato tu…

GIORGIO : …Va bene, ho capito.

Giorgio si alza e si sposta in un altro punto. Di lì a poco Marisa gli  si avvicina

MARISA : Insomma, cosa ti ho chiesto ! Cos’è, un segreto di stato ?

GIORGIO : (  tirandosi  su )  Ma mi vuoi lasciare in pace ! ? Avevi detto che mi avresti lasciato in pace !

MARISA : (  togliendosi gli indumenti )  Tieni, riprenditeli, non li voglio più.

GIORGIO : E piantala.

MARISA : (  lanciandoglieli )  Ti ho detto che non li voglio più.

Marisa ritorna al suo posto e prova a rimettersi i suoi vestiti zuppi, poi ci ripensa, si riprende gli indumenti di Giorgio e torna nel suo cantuccio.

GIORGIO : Tu devi essere matta.

MARISA : ( mentre si riveste, piangendo )Nessun uomo mi ha trattata in questo modo. Te ne approfitti perché mi sono ridotta così, altrimenti ti sistemavo io. Quelli come te, e più di te, me li cucinavo a fuoco lento. Sotto questi stracci c’è ancora una donna, cosa credi, non sono mica diventata uno zerbino  dove puoi pulirti le scarpe, hai capito !  "Sta zitta, lasciami in pace, vattene più in là." Ho ancora la mia dignità, io, e spero proprio di non rivederti più. Domattina ti ridò i tuoi stracci, non ti preoccupare.

Giorgio si alza e si risistema accanto a lei.

GIORGIO : Scusami.

MARISA : (  sdraiata )  Ho sonno.

GIORGIO : Ti ho chiesto scusa. ( Marisa fa spallucce )  Perché hai stappato lo spumante ?

MARISA : ( per ripicca )  Ti interessa ?

GIORGIO : Così.

MARISA 🙁 tirandosi su )  Perché  è un gran giorno.

GIORGIO :  Davvero ? E che giorno è ?

MARISA : ( stupita ) Non sai che giorno è oggi ?

GIORGIO : E’ giovedì, credo. O è già venerdì ?

MARISA : Non dico il giorno della settimana.

GIORGIO : Cos’è,’ il tuo compleanno ?

MARISA : ( ridendo )  Oh, il mio compleanno. E’ il 14 luglio ! ! 

GIORGIO : Ah sì. Perciò canti  la marsigliese ? Che bel regalo ci fecero i francesi.

MARISA : Che sei, monarchico ?

GIORGIO : Ho l’aria del monarchico, secondo te ?

MARISA : Non si sa mai, nella vita ne ho viste di tutti i colori.

GIORGIO : Mi fai ridere, ti interessa la rivoluzione francese. Ma ti sei guardata ?

MARISA :  E tu ti sei guardato ? E poi non me ne frega nulla, se lo vuoi sapere.

GIORGIO : Ah no ? E cosa hai da brindare, allora ?

MARISA : Mia madre era francese.

Scoppia a ridere

GIORGIO : E’ così divertente ?

MARISA : Quante storie mi  faceva da  piccola. ( beve )  “ Oggi è il 14 luglio. Cosa è successo il 14 luglio ? “  Io non sapevo rispondere e lei andava su tutte le furie. “ L’assalto alla Bastiglia, somara, te l’avrò detto mille volte. “ e mi mollava uno scapaccione. Adesso, invece, non solo me ne ricordo sempre, ma mi va anche di festeggiarlo, forse perché  non c’è più. Che ragione avrei di festeggiarlo, altrimenti, non sono neanche francese. ( pausa ) Vuoi brindare con me ? Non ho le coppe, però, devi bere dalla bottiglia.

GIORGIO : (  schermendosi )  Non sono un ubriacone.

MARISA : ( risentita ) Io neanche, cosa credi ! Bevo solo il 14 luglio. ( porgendogli la bottiglia ) Tieni. Ti fa schifo, eh ? Guarda che sono sana, io.

GIORGIO : Dà qua. ( prende la bottiglia, enfatico )  Brindo... alla rivoluzione... d’ottobre. ( ride )

MARISA : A cosa brindi, tu ?

GIORGIO : Alla rivoluzione d’ottobre ! Alla pelata di  Lenin, ai baffoni di Stalin !  (  beve, poi

disgustato ) Che schifezza è ?

MARISA :  Volevi lo champagne ?

GIORGIO :  Sarebbe in tema, no ! ?

MARISA : Sei comunista ?

GIORGIO :  Eh ?

MARISA : Sei comunista.

GIORGIO : Non sono più nulla io.

MARISA : Come ti chiami ?

GIORGIO : Non ho nome.

MARISA : ( ridendo ) Dimmi il cognome, allora.

GIORGIO : Sei proprio matta. Mi chiamo Giorgio. E tu ?

MARISA : Marisa. Perché ti sei ridotto così ?

GIORGIO : (  brusco ) E tu ?

MARISA : Te l’ho chiesto prima io.

GIORGIO : (  sbottando ) Adesso mi hai stufato. Ora tu ti metti buona a dormire, d’accordo ? Non voglio più sentirti fiatare, d’accordo ?

MARISA : Ehi, che modi, con una signora ! Ridammi la bottiglia. (  Giorgio gliela passa, beve ) Quanti anni hai ?

GIORGIO 🙁 sdraiato ) Ancora ?

MARISA : Neanche questo si può sapere ? E chi sei, una donna ? ( dopo qualche secondo ) Io ne ho trentacinque.

GIORGIO : Come ?

MARISA : Ho trentacinque anni. Ne dimostro di  più, vero ?

GIORGIO :  Non lo so.

MARISA :  Sono anche diventata brutta. Sono brutta, vero ?

GIORGIO :  ( sbuffando ) Ma non lo so.

MARISA : Ero carina, sai, cent’anni fa, ( Giorgio sorride ) mi facevano la corte in molti e io mi divertivo a farli soffrire, facevo la schizzinosa. Trovavo sempre qualche difetto : “ Tu hai questo, tu quest’altro; tu sei così, tu cosà “.

GIORGIO : Un gioco crudele.

MARISA : Il piacere crudele di tenervi in pugno, voi uomini. Poi tutt’a un tratto ti accorgi che il tempo è passato e che sei stata una cretina. Vorresti rimediare ma la vita ti si mette contro, ti riserva strane sorprese.

GIORGIO :  A chi lo dici.

MARISA :  Tu, però, mi sa che te le sei cercate, io invece...

GIORGIO :  Tu invece no ?

MARISA :  ( guarda  la bottiglia  e ride ) Beh, un po’ anch’io.

GIORGIO :  E perché ti sei messa a bere ?

MARISA : ( risentita ) Bevo solo il 14 luglio.

GIORGIO : Sì, va bene.

MARISA : Te l’ho detto, la vita riserva strane sorprese.

GIORGIO :  E a te che sorpresa ha riservato ?

MARISA : Avevo un buon lavoro e fui licenziata.

GIORGIO :  E che sorpresa è ?  Capita a molti.

MARISA :  Lo so, io però fui arrestata.

GIORGIO :  ( alzandosi ) Addirittura ! E che facesti ?

MARISA : Una bella cazzata.

Fuori scena si sente un’indistinta, accesa discussione tra un uomo e una donna.

MARISA :  Ero commessa in una gioielleria…

Quindi un urlo femminile

VOCE DONNA : Ahhhhh !!!

MARISA : Oh Dio !

VOCE DONNA : Aiuto ! Mi ammazza ! Aiuto !

VOCE UOMO : ( c. s. ) Dove corri, stronza, vieni qua !

Entra Anna, di corsa

ANNA :  ( dirigendosi verso Giorgio e Marisa, spaventata ) Aiutatemi, vi prego aiutatemi, vuole uccidermi, mi ha messo le mani al collo.

Entra Antonio

ANTONIO :  ( ad Anna ) Vieni subito qui, non te lo ripeto più !

ANNA :  ( riparandosi dietro Giorgio ) Non ci vengo. Non voglio più fare la puttana per mantenere te, capito !

ANTONIO :  Che cazzo dici ! Vuoi farmi arrabbiare ?

ANNA : Sono stufa ! Ci sto io tutta la notte in mezzo alla strada e tu fai il bellimbusto ! Vattene, ti ho detto !

ANTONIO :  ( avvicinandosi )  D’accordo, d’accordo, ne riparliamo a casa. Adesso andiamo via.

ANNA : Vattene, non ti voglio più vedere. ( a Giorgio )  Aiutami, ho paura, mi ha messo le mani al collo, mi voleva strangolare.

ANTONIO : Se mi stavi cavando gli occhi, stronza !

ANNA : E tu non mi hai preso a schiaffi ? Gli schiaffi dalli a quella zoccola di tua sorella, brutto bastardo.

ANTONIO : Lascia stare mia sorella ! Non nominare mia sorella, altrimenti ti scanno !

ANNA : ( a Giorgio ) Ha sentito ?  ( scoppia a  piangere ) Aiutatemi, non ci voglio andare con lui.

ANTONIO : Esci di lì, cazzo !

GIORGIO :  Lasciala stare, non vedi come è spaventata ?

ANTONIO : E tu che c’entri, straccione ! Non ho chiesto il tuo parere. ( ad Anna, afferrandola per un braccio ) Ora mi sto arrabbiando sul serio, ti ho detto andiamo.

ANNA : Mi fai male !

ANTONIO :   E tu alzati.

MARISA :  Lasciala !

ANTONIO : (  furibondo ) Fatevi i cazzi vostri ! Come ve lo devo dire ! ( urlando ) Alzati ! !

ANNA : Non ti voglio più vedere !

ANTONIO : Vieni a casa.

GIORGIO :  ( alzandosi ) Te ne vuoi andare ! Hai sentito che non ti vuole più vedere ?

ANTONIO : ( contenendo la rabbia ) Come hai detto ? Non credo di avere capito molto bene. Potresti ripetere, per favore ?

GIORGIO : ( prendendolo per il bavero della giacca ) Sei sordo per caso ?

ANTONIO :  ( estraendo una pistola e puntandogliela in faccia ) E tu sei cieco, per caso ? Se non vuoi che ti pianti una pallottola  in bocca, ti consiglio di non immischiarti.

GIORGIO :  ( urlando ) E spara, brutto stronzo, spara se hai le palle, perché se non le hai, quanto è vero Iddio, ti spacco quella lurida faccia da pappone...

ANTONIO :   ( colpendolo alla testa con la canna della pistola ) ... Straccione di merda !

GIORGIO : (  portando le mani alla testa ) Ah ! !

Giorgio cade a terra

ANTONIO :  ( sferrandogli un calcio ) Ora mi hai proprio rotto i coglioni.

Giorgio tenta di avventarsi contro Antonio, Marisa lo trattiene a forza, Anna urla come una disperata.

MARISA :  ( terrorizzata ) Fermati, ti scongiuro ! Questo ci ammazza come cani.

Giorgio si  ferma.

ANTONIO :  Se fossi in te le darei ascolto, straccione. Ancora una parola e vi faccio secchi,

tutt’e due. Oggi  deve  essere  la vostra  giornata fortunata, di  solito sparo per molto meno.     ( ad Anna che nel frattempo si è alzata ) Vieni qua. (  la stringe a sé, poi a Giorgio ) E’ la mia donna, non t’impicciare ! E’ capricciosa, lo fa sempre. ( ad Anna )  E’ vero che sei capricciosa ? Dillo a questi egregi signori. Dillo !

ANNA : ( sommessa ) E’ vero, sono capricciosa.

ANTONIO : E chi è il tuo uomo ?

ANNA : ( c. s. ) Sei tu, sei tu.

ANTONIO : Dillo anche a questi illustri signori. Diglielo !

ANNA : E’ il  mio uomo, certo, è  il  mio uomo: non ve l’ho detto ? ( ad Antonio ) Sì, che gliel’ho detto.

ANTONIO : Non glielo hai detto.

ANNA :  No ? ( ai due ) Me ne ero scordata, perdonatemi.

ANTONIO :   E ora andiamocene. Su, saluta i nobili signori.

ANNA : Buona notte... sono la sua donna, lo devo seguire. E’ tanto buono, sapete... ha ragione, l’ho fatto arrabbiare... mi aveva detto di arrivare un po’ prima... io invece mi sono addormentata...

ANTONIO : Lascia perdere, cosa vuoi che interessi a questi esimi signori se ti sei addormentata.

ANNA :  E’ vero, che stupida.

ANTONIO : ( tirandola via ) Andiamo.

I due si allontanano . Giorgio si tocca la testa.

MARISA : Lo hai fatto per me, vero ?

GIORGIO : Ma chi ti conosce ?

MARISA : Ti fa male ? Fa un po’ vedere.

GIORGIO :  Non è nulla.

MARISA : E fammi vedere ! ( controlla ) Tanto lo so che l’hai fatto per me. C’è un bel taglio.

GIORGIO :  Mi hanno fatto di peggio.

MARISA : (  bagna un fazzoletto con lo spumante, glielo porge ) Tieni, mettici questo.

GIORGIO : Ti ho detto che non è nulla !

MARISA :  E dai ! ( Giorgio prende il fazzoletto, pausa  ) Se avessi fatto la puttana avrei potuto guadagnare un sacco di soldi : ero carina, cosa credi.

GIORGIO :  E perché non l’hai fatto ?

MARISA : Ci provai una volta,  presa dalla disperazione. Mi  fermai  in  una  strada  e  aspettai, quasi un’ora: ero terrorizzata, non passava un’anima. Quante volte me ne tornai alla  macchina non puoi neanche immaginarlo, però restai. Tutto sta ad iniziare, mi dicevo, se ce la fai hai finito di soffrire. Poi si fermò un vecchio bavoso, mi fece schifo e me ne scappai, preferii morire di fame. Beh, ormai è acqua passata. Ma ti stavo raccontando della gioielleria.

GIORGIO : Della gioielleria ?

MARISA : Di come persi il posto.

GIORGIO : Ah sì.

MARISA : Era un negozio di lusso, ci lavoravo da più di quattro anni e mi pagavano anche bene. Avevo fatto amicizia con una cliente, la figlia di un costruttore: mi trovava simpatica. Mi invitò al veglione di capodanno, ti rendi conto ? Io non volevo:  che ci facevo con quella gente chic ? Poi, però, accettai e mi comprai  un vestito di  seta, lungo, nero, con dei giri di perline: mi costò la tredicesima. E per fare colpo feci la cazzata di prendere una parure di brillanti ...

GIORGIO :  Ah, ho capito, sei una ladra.

MARISA : ( risentita )Non sono una ladra ! Li avrei rimessi a posto quei maledetti gioielli: te lo giuro ! L’aprivo io il negozio. ( pausa ) Chi poteva mai immaginare che al proprietario venisse in mente di fare l’inventario a capodanno. Me lo vidi piombare in casa con i carabinieri e, nel giro di ventiquattro ore, neanche avessi ammazzato qualcuno, mi ritrovai prima in carcere e poi senza lavoro. Il proprietario era anche una brava persona, però non volle sentire ragioni - e come dargli torto - costavano quasi venti milioni...

GIORGIO : Però !  Ci andasti pesante !

MARISA : Era una grossa somma, sì. Fui condannata a un anno, con la condizione.

GIORGIO : Con la condizionale.

MARISA : Sì, con quella cosa lì. Glielo spiegai al giudice che era stato un momento di debolezza, che li avrei rimessi a posto. Lo scongiurai di credermi, mi misi a piangere. E lui disse che mi credeva ma non poteva farci niente, che l’intenzione non era sufficiente, che avrei dovuto restituirli prima della denuncia. E che giustizia è, scusa ? Non ne avevo avuto il tempo: i carabinieri mi trovarono a letto che stavo ancora dormendo. ( pausa ) Comunque, ero più disperata per il lavoro che avevo perso.

GIORGIO :  E non potevi trovarne un altro  ?

MARISA :   E dove ?  In una gioielleria, no di certo: chi mi avrebbe presa? Provai a cambiare, ma non ebbi fortuna. Iniziai a bere ed eccomi qua. ( pausa ) Non vuoi proprio raccontarmela la tua storia ?

GIORGIO : Non è una bella storia.

MARISA : ( sollecitandolo ) Allora ?

GIORGIO : Non mi va di parlarne

MARISA : Di qualcosa dobbiamo pur parlare, no?

GIORGIO : Non dobbiamo parlare di niente, dobbiamo dormire e basta. E’ così difficile da capire ?

MARISA : Buona notte.

GIORGIO : Buona notte. ( pausa ) Quando ti è capitata quella... disgrazia ?

MARISA : Quale disgrazia ?

GIORGIO : Quella dei gioielli.

MARISA :  Perché me lo chiedi ?

GIORGIO : Così.

MARISA : ( alzandosi ) Dimmi perché lo vuoi sapere .

GIORGIO : Da quanto tempo fai questa vita ?

MARISA :  Ah, ho capito. Sei un novellino, vero ? Me ne ero accorta, cosa credi, per via dei vestiti. Solo un novellino si può impietosire per un altro disgraziato. Avevo trent’anni, adesso ne ho trentacinque, fa un po’ i conti. (  fra sé ) Solo cinque anni, mi sembra un’eternità. Ah, ma adesso basta, non ce la faccio più a vivere in queste condizioni.

GIORGIO : ( beffardo ) Ah sì ? E cosa penseresti di fare ?

MARISA : Di chiedere aiuto, ecco cosa penso di fare… di chiedere aiuto. Domattina andrò al Centro Crisafulli.

GIORGIO : Dove vai ?

MARISA : Al centro Crisafulli.

GIORGIO : (  c. s. )  E che cos’è, un istituto di bellezza ?

MARISA : Non  mi hai fatto ridere. ( pausa ) Non lo conosci ?

GIORGIO :  Mai sentito nominare.

MARISA :  Se ce ne sono in tutta Italia! Sono centri di  assistenza, li ha fondati  la vedova dell’ingegnere  Crisafulli.

GIORGIO :  E chi è l’ingegnere  Crisafulli ?

MARISA :  Uno che costruiva elicotteri !  Morì  in un incidente aereo: pensa il destino. Ma non li leggi i giornali ?

GIORGIO :  Perché tu li leggi ?

MARISA : Beh, no,  neanch’io. Li uso  per dormire, quando fa freddo, e  a  volte  li  leggo.  Aspetta, ho messo da parte l’articolo.

GIORGIO : Lascia perdere.

MARISA : No, no aspetta. ( scava  nelle  sue cose, tira  fuori un giornale mezzo inzuppato e lo sfoglia )  Eccolo, sta a sentire.

GIORGIO : E’ ridotto un po’ male Crisafulli.

MARISA : Ascolta: “ La vedova del noto industriale Ernesto Crisafulli ha inaugurato l’apertura di un nuovo centro che va ad aggiungersi a quelli già operanti in Liguria, Piemonte eccetera... “.

GIORGIO :  Hai finito ? Avrei un po’ sonno.

MARISA : “ Grazie alla meritoria opera della signora Crisafulli, anche i disperati che vivono nella nostra regione, in stato di completo abbandono per l’incapacità delle istituzioni di affrontare il problema, possono sperare di ritrovare la loro dignità di esseri umani “. Eh, hai sentito?

GIORGIO : ( sarcastico ) Che belle parole ! Rileggimele.

MARISA :  Spiritoso . E se ci andassimo insieme ?

GIORGIO : Non voglio la pietà di nessuno, voglio andare per la mia strada.

MARISA :  Sì, lo dici adesso che sei un novellino...

GIORGIO :  ( seccato ) ... Non mi chiamare novellino.

MARISA : ( facendogli il verso ) Voglio andare per la mia strada... aspetta e vedrai.

GIORGIO :  ( sbadigliando e stendendosi sulla panchina ) Adesso fammi dormire, mi si chiudono gli occhi.

MARISA : Uhm… perché è una bella vita la nostra, vero ?

GIORGIO : ( alzandosi ) Ma cosa vuoi da me ? Accidenti a quando sei venuta !

MARISA : Rispondimi. Voglio sapere se è una bella vita, la nostra.

GIORGIO : ( sbottando ) No, non è una bella vita, va bene ! Non è una bella vita. Come può essere una bella vita se sei costretto a vivere d’elemosina. Come può essere una bella vita se non hai da mangiare, se non sai dove andare a dormire… se ti può sparare in bocca un pappone qualsiasi. Sei contenta, adesso ?  La signora si degnerebbe, ora, di farmi dormire per qualche minuto ?

MARISA :  Buona notte. ( pausa ) Non hai nessuno ?

GIORGIO :  NO ! !

MARISA : Eh, anch’io ero rimasta sola. Mio padre se ne andò con un’altra, quando non avevo ancora dodici anni. E mia madre a venti mi piantò in asso per tornarsene al paesello. Non sapevo più a che santo votarmi, perciò sono finita così. Ah, ma adesso basta, non ce la faccio più a vivere in queste condizioni.

GIORGIO : Me l’hai già detto.

MARISA : Sì ?

GIORGIO : Sì.

MARISA :  Perché non vieni anche tu ?

GIORGIO : Un’altra volta.

MARISA : Potremmo trovare un lavoro.

GIORGIO : Non so che farmene.

MARISA : Ah, l’hai detto, finalmente ! Non sai che fartene, perciò non ci vuoi venire. Perché tu non sei un disgraziato, questa è la verità ! Si vede lontano un miglio ! Non ne hai la faccia, le mani, non hai niente ! Tu ti diverti a fare il disgraziato, non è così ? Mentre qui sotto la gente muore di fame sul serio !

GIORGIO : Sei impazzita ?

MARISA : Chi sei, un giornalista ? Che stai facendo un’inchiesta sugli straccioni ? Dove sono le telecamere ? Avanti, fammi vedere ! Aumentiamo l’indice di ascolto del signorino !

GIORGIO : Ora basta.

MARISA : E chi sei, allora ? Butta giù la maschera ! Una spia ? Ci stai schedando ?

GIORGIO : Ti ho detto basta !

MARISA : Sei un fascista, allora : ci vuoi epurare ? A morte gli straccioni !

GIORGIO : Sono un terrorista, va bene ! !

MARISA : ( con un sussulto ) Oh, mio Dio !

GIORGIO : Mi spieghi che ci vengo fare nel tuo cazzo di centro ! !

MARISA : Fai per spaventarmi, vero ? ?

GIORGIO : Non lo sono più, non temere. Lo sono stato, cent’anni fa.

MARISA : Un terrorista. E sei stato in galera ?

GIORGIO : Tu che dici ?

MARISA : E quanto ?

GIORGIO : Tanto.

MARISA : E cosa facevi prima ?

GIORGIO : Niente.

MARISA :  Come niente. Qualcosa avrai pure fatto, no ? O eri il classico intellettuale figlio di papà che non gli andava bene mai nulla e che gli stavano sul culo i genitori e i loro sporchi soldi, eh ?

GIORGIO : Smettila.

MARISA : Lo sai cosa diceva mia madre ? Diceva che loro la rivoluzione l’avevano fatta sul serio e non avrebbero mai sopportato che quattro ragazzacci di buona famiglia si mettessero a scherzare così con il fuoco.

GIORGIO :   Ti ho detto di smetterla ! !

MARISA : Buona notte.

GIORGIO : Buona notte. (  pausa ) Che pazzia !

MARISA : ( sdraiata. ) Come dici ?

GIORGIO : Volevamo fare la rivoluzione, volevamo cambiare il mondo.

MARISA : ( c. s.  ) E invece il mondo ha cambiato te. E come ti ha cambiato, poi !

GIORGIO :  Già, proprio così. Se mi guardo allo specchio stento ancora a riconoscermi. Capita anche a te ?

MARISA : All’inizio mi capitava, sì.

GIORGIO : Io la prima volta mi sentii morire. ( pausa ) Non mi ero più guardato in uno specchio da quando ero uscito dal carcere: dovevano essere settimane, forse mesi, chissà. Giravo come un cane randagio in cerca di un posto dove dormire quando vidi venirmi  incontro una specie di orco, barcollava, era lacero, sporco: come può un uomo ridursi così, pensai, mentre istintivamente cambiavo direzione. Dopo qualche passo però devo essermi vergognato  di  averlo  scansato perché  mi voltai, come per chiedergli scusa: non c’era più,  era sparito. Lo cercai con lo sguardo ma non lo trovai, eppure lo avevo visto, era vicino a quel negozio di fiori, ero certo di averlo visto. Mi precipitai allora verso quella vetrina, perché volevo trovarlo e... lo trovai... riflesso in uno specchio. Mi sentii morire, incominciai ad urlare, ad imprecare contro  quella figura  che  non mi  apparteneva, mi  misi  a sferrare calci  a quell’odioso specchio. Ero io quell’orco, capisci, ero diventato un orco... il giovane, promettente avvocato, ben rasato, ben vestito, che si recava tutte le mattine in Tribunale, con la sua borsa di pelle e con la sua bella toga... era diventato un orco. (  pausa ) Penso spesso di farla finita, sai.

MARISA : Sapessi quante volte l’ho pensato anch’io.

GIORGIO : Sai perché vengo a dormire alla stazione ?

MARISA : Non sei mica il solo.

GIORGIO : Sì, certo ma io ho un motivo particolare.

MARISA :  E quale sarebbe ?

GIORGIO :  Se mi decidessi, se trovassi la forza per farla finita, voglio avere l’occasione a portata di mano, un attimo, passa un treno e buona notte.

MARISA :  Che morte orribile !

GIORGIO : La morte è sempre orribile.

MARISA : ( incredula ) Davvero eri avvocato ? Non ci posso credere. E sei andato a rovinarti per la politica ?

GIORGIO :  Tu per la vanità, mi sembra un po’ peggio, francamente.

MARISA :  Sì, hai ragione. Io, però, voglio ritornare a vivere, ci voglio provare almeno. Ci vieni con me, domattina ?

GIORGIO : Ti ho già detto di no, mi pare.

MARISA : E se fosse vero ?  Perché  dobbiamo  vivere  come bestie ? Tentiamo, cosa ci costa ?

GIORGIO : Voglio rimanere solo, devo riflettere, in solitudine. ( sarcastico ) O la tua vedova mi farà iscrivere di nuovo nell’albo degli avvocati ?

MARISA :  Non ci sono solo gli avvocati a questo mondo.

GIORGIO : Era la mia vita e l’ho buttata via. Cosa vuoi che mi interessi un’altra vita ?

MARISA : Non allora, Giorgio, ora la stai buttando via la tua vita, in questa stazione, nell’assurda attesa che passi un treno a renderti giustizia.

GIORGIO : Perché vuoi coinvolgere anche me. Neanche ti conosco, cosa vuoi da me ? Mi stavo addormentando, sei arrivata con quella maledetta marsigliese e con il tuo stramaledettissimo centro. E’ quasi l’una e sono ancora sveglio, mi hai fatto passare il sonno. Si può sapere chi sei, che vai cercando ?

MARISA :  Eh, quanta furia. Va bene, non ne parlerò più. Lo dicevo nel tuo interesse. Io ci andrò, sta sicuro.

GIORGIO : E vacci, chi te lo impedisce !

MARISA :  Certo che ci andrò. Buona notte.

GIORGIO : Fino ad ora è una pessima notte ! !

MARISA :  Io lo so perché non ci vuoi venire. Perché la signora Crisafulli è una sporca capitalista, è così ? E tu non l’accetti l’aiuto dei capitalisti, vero ?

GIORGIO :  E sta un po’ zitta.

Si risistemano per dormire. Dopo alcuni secondi entrano due poliziotti.

L’ISPETTORE : Andiamo un  po’ a vedere  chi  sono quei due. ( si avvicinano e sarcastico ) Ehi, piccioncini, qui non si può mica dormire, sapete. ( li scuote ) Ehi, dormiglioni, tiratevi su.

GIORGIO : (  alzandosi ) Perché non si può dormire, agente ?

L’ISPETTORE : ( risentito ) Ispettore, prego, ispettore ! ( alla collega ) Hai sentito ? Mi ha chiamato agente.

GIORGIO :  Ci vengo da due mesi.

L’ISPETTORE : ( alla collega, ridendo ) Hai sentito ? Ci viene da due mesi, ha fatto il contratto con le Ferrovie.

LA POLIZIOTTA  : ( cortese ) C’è l’ordinanza del sindaco. E’ vietato dormire nelle stazioni.

GIORGIO : E da quando ? Ci sono sempre venuto, vi dico.

L’ISPETTORE : (  bruscamente ) E adesso non ci verraipiù. Su, alzatevi e sloggiate.

GIORGIO : E dove dovremmo andare, secondo lei ?

L’ISPETTORE : Dove vuoi, che ne so io; vai a chiederlo al sindaco.

LA POLIZIOTTA  : Provate all’albergo popolare.

MARISA : Non c’è posto, ci sono già stata.

L’ISPETTORE : Insomma, qui non potete stare, perciò filate.

GIORGIO : ( adirato ) Perché non pensate a prendere i delinquenti invece di perseguitare i poveri diavoli. Poco fa quasi ci ammazzavano !  Dove eravate voi, poco fa ?

L’ISPETTORE : Senti questo, vuole insegnarci il mestiere.

LA POLIZIOTTA  : Si calmi, noi facciamo solo il nostro dovere.

GIORGIO : Il vostro dovere, sì. (  calmo ) Non possiamo dormire per strada, è piovuto a dirotto, è tutto bagnato lì fuori .

L’ISPETTORE : Noi dobbiamo far rispettare l’ordinanza, chiaro ! Non vorrai fare resistenza per caso ? Intanto, dammi un documento.

GIORGIO : Non ce l’ho.

L’ISPETTORE : Come, come? E perché non hai un documento ?

GIORGIO : Non l’ho mai richiesto, ecco perché.

L’ISPETTORE : ( alla collega ) Hai sentito che ha detto ?  Non l’ha mai richiesto, il galantuomo.

LA POLIZIOTTA : Non si può girare senza documenti. Non ha neanche la  patente?

L’ISPETTORE : ( ridendo ) E a  che gli serve, a guidare i carrelli ! La patente.

LA POLIZIOTTA  : ( a Marisa ) Lei ce l’ha un documento ?

MARISA :  Sì, che ce l’ho.

L’ISPETTORE :  Si potrebbe vedere ? ( mentre Marisa lo cerca ) Uhm, non  l’ha mai  richiesto, che faccia  tosta. ( Marisa glielo consegna e dopo avere controllato ) Questa è in regola. ( a Giorgio ) Allora, si può sapere chi sei ?

GIORGIO : Mi chiamo Giorgio Imbriani.

LA POLIZIOTTA  : ( compilando un modulo ) Quando e dove è nato ?

GIORGIO : A Genova il 10 giugno 1949.

LA POLIZIOTTA  : ( mentre scrive ) E dove abita ?

L’ISPETTORE : ( alla collega, ridendo ) Dove abita: ma cosa vai a chiedergli ?

LA POLIZIOTTA : E’ il modulo.

L’ISPETTORE : (  sbottando )  E lascia perdere il modulo ! ( fra sé ) Ora gli domanda anche che lavoro fa. ( a Giorgio ) Piuttosto, si potrebbe sapere la ragione per cui non hai richiesto un documento?

GIORGIO : Ho pensato che, dopo undici anni di carcere, mi sarebbe servito a poco.

L’ISPETTORE : Undici anni di carcere, alla faccia ! E che hai combinato ?

MARISA :  Era un terrorista.

L’ISPETTORE : (  allarmato )  Come, come, un politico ! ? ( estraendo la pistola )  Bene, molto bene... ( alla collega )  con questi  ci vogliono le maniere forti, sono i più cocciuti. Quando sei uscito ?

GIORGIO : A novembre.

L’ISPETTORE  : Senti  un po’ la  centrale chedice. ( la collega esegue, a Giorgio ) Sei un politico, eh ? Bene, molto bene: tirati un po’ su, se  non ti  dispiace. ( Giorgio esegue ) Alza le mani !   ( Giorgio esegue, mentre lo perquisisce ) e non fare scherzi, mi raccomando, perché potrebbe costarti caro, molto caro. (  a Marisa ) Da quanto lo conosci, tu ?

MARISA : Da un’ora.

L’ISPETTORE : Sicuro ?

GIORGIO : Lei non c’entra niente.

L’ISPETTORE : Tu non ti muovere. ( a Marisa ) Un’ora, eh ? Ora vedremo. ( alla collega ) Allora che dicono ?

LA POLIZIOTTA : Stanno controllando.

L’ISPETTORE : ( alla collega, indicando il carrello di Marisa ) Dà un’occhiata a quel carrello ( la collega esegue, a Giorgio ) Tu spostati più in là. ( Giorgio esegue, perquisisce il suo carrello ) Sei pulito, eh, buon per te. ( al collega ) Tutto a posto ? ( la collega annuisce ) Bene. ( a Giorgio ) Senza  documenti non  puoi girare, chiaro ! Potrei  farti  passare  una bella  giornata al fresco,  lo sai ? Ma non lo farò. E’ strano, a quest’ora di notte non sono mai stato così tollerante. Deve essere il tuo giorno fortunato.

GIORGIO : ( a mezza bocca ) Me l’hanno già detto.

L’ISPETTORE : Prego ?

GIORGIO : Nulla.

L’ISPETTORE : ( alla collega, spazientito ) E allora rispondono, sì o no ?

LA POLIZIOTTA : Negativo.

L’ISPETTORE : ( tirando un sospiro di sollievo ) Ah, meglio così. Con questi non si può mai sapere. Preparagli l’ordine di presentazione. ( a Giorgio, mentre la collega scrive ) Da oggi hai due settimane di tempo per munirti della carta di identità, chiaro ! E quando l’avrai ottenuta presentati subito in Questura ... (  prende il foglio dalla collega e glielo consegna ) con questo foglio. Non fare il furbo perché ti ritroviamo. E adesso sloggiate, vi  do  cinque minuti. Non  costringeteci ad usare la forza, intesi ! ( alla collega )  Andiamo.  ( mentre si avvia, a Marisa ) Se fossi in te me ne starei alla larga..

LA POLIZIOTTA : Mi spiace, non è colpa nostra, è la legge.

GIORGIO :  La legge, sì.

L’ISPETTORE : ( alla collega )  Ti muovi ? Il giro è lungo.

LA POLIZIOTTA :  Buona notte. ( si  allontana )

GIORGIO :  Buona notte. ( pausa ) Che bella notte ! ( a Marisa ) Ed ora che si fa ?

MARISA :  ( raccogliendo le proprie cose ) Io vado al Centro. Che fai, vieni anche tu ?

GIORGIO : Ancora ?

MARISA : Solo per dormire.

GIORGIO : Troverò il modo.

MARISA : Vuoi dormire nell’acqua ? ( pausa ) Io non ho capito perché ce l’hai con questo centro, che neanche lo conosci. Me lo spieghi, per favore ? ( allontanandosi ) Ah, fa come ti pare, ha detto bene lo sbirro, siete proprio dei cocciuti.

Marisa fa per andarsene

 

GIORGIO : Te ne vai ?

MARISA : Perché tu resti ? Guarda che quelli tra un po’ tornano e finisce a manganellate.

GIORGIO : Buona fortuna.

MARISA : Anche a te.

GIORGIO :  Ascolta.

MARISA : ( girandosi ) Sì ?

GIORGIO : Grazie.

MARISA  :  Addio.

GIORGIO : Addio. ( Marisa si allontana ) Senti. ( Marisa si gira) Ma ci sarà posto ?

MARISA : Speriamo, mi hanno detto che è grande. ( vedendolo titubante ) Non abbiamo scelta. 

GIORGIO : Sei sicura che è ancora aperto a quest’ora ?

MARISA :  Sì, ma dobbiamo sbrigarci.

GIORGIO : Solo per dormire, intesi ?

MARISA : D’accordo.

GIORGIO : E’ lontano ?

MARISA : Ci vorranno dieci minuti, un quarto d’ora.

GIORGIO : Allora, andiamo. Erano anni che non parlavo con qualcuno della mia vita.

MARISA :  Ti ha fatto bene ?

GIORGIO : Non lo so.

MARISA :  Sì, che ti ha fatto bene.

GIORGIO : Andiamo.

MARISA :   ( con enfasi ) Mi porge il braccio, barone ?

sipario

ATTO SECONDO

Centro Ernesto Crisafulli, interno di uno studio : un orologio a muro segna le ore 00,45.

NORA : E’ sicura che sia lui ?

LA SIGNORA  : Ma certo.

NORA : E come sta ? Sta bene ?

LA SIGNORA : Sta bene, sì.

NORA :  Sono più di otto mesi che gira come un vagabondo, senza un soldo. Può immaginare la mia angoscia. Otto mesi, senza sapere dove stava, se era vivo o se era morto. Mi sembrava di impazzire. 

LA SIGNORA  : Deve essere tremendo, è vero.

NORA : Quando ho  sentito al  telegiornale  la notizia dell’aggressione ne ho quasi gioito. Almeno sapevo dov’era e che era ancora vivo.

LA SIGNORA  : La capisco, sì.

NORA : In ospedale si è chiuso in un mutismo assoluto. Vederlo in quelle condizioni… ( scoppiando in lacrime ) Uno straccione…

LA SIGNORA  : Si calmi.

NORA : … Ho stentato persino a riconoscerlo. ( asciugandosi le lacrime ) Scappare così, di notte, ancora convalescente. Avrei  voluto morire.

LA SIGNORA  : Si aggiusterà  tutto, vedrà. ( sedendosi )  Si sieda.

Nora si siede

NORA : E’ come impazzito, perciò mi sono rivolta a lei.

LA SIGNORA  : E ha fatto bene.

NORA : ( guarda l’orologio ) Mio marito è andato su tutte le furie, quando l’ha saputo; non  ne può più di questa storia, gli  ho scaricato addosso un peso insopportabile. Dalla morte di nostra madre gli è stato vicino neanche fosse stato suo fratello. Andava a trovarlo tutte le settimane : Giorgio con  me non voleva più  parlare, non  si presentava nemmeno ai colloqui.

LA SIGNORA  : Sì, mi ha raccontato.

NORA : Sapesse che cosa non ha fatto mio marito per impedire che si arrivasse fino a questo punto. E cosa non ha sopportato. Quando uscì dal carcere, Giorgio si barricò in casa e gli fece passare una notte sul pianerottolo prima di aprirgli. Poi gli promise che sarebbe andato al suo studio per fare qualcosa, per non stare tutto il giorno buttato sul letto. E invece sparì, senza neanche lasciargli un rigo. In ospedale, lo ha scongiurato di non fare altre pazzie, ha cercato in tutti i modi di persuaderlo a venire da noi : lui non rispondeva, se ne stava lì muto, con lo sguardo nel vuoto, come se  non ascoltasse. E  forse  non ascoltava davvero. ( guarda nuovamente l’orologio ) Perché non arrivano?

LA SIGNORA : Su, un po’ di pazienza.

NORA : Dio mio, se ne sarà andato un’altra volta !

LA SIGNORA   :  No, non ce lo lasceremo scappare.

NORA : Ho  paura di avere sbagliato tutto. Sarei dovuta andarci io. Avrei dovuto tentare ancora una volta, supplicarlo. Forse mi avrebbe dato ascolto.

LA SIGNORA : Vedrà che arriva  e gli  potrà parlare.

NORA :Sono disperata, non so più cosa fare. Mi sembra un incubo dal quale non riesco ad uscire. Due mesi fa lo stesso calvario. Un nostro amico lo aveva trovato a La Spezia, ( piangendo) che chiedeva l’elemosina…

LA SIGNORA  : Su, su.

NORA : ( asciugandosi le lacrime ) Aveva provato a parlargli ma lui si era messo a urlare che non lo conosceva e lo aveva cacciato via. Abbiamo fatto di tutto per fermarlo. Abbiamo chiamato i carabinieri, la polizia. Ci rispondevano che non potevano correre dietro agli accattoni, che dovevamo rivolgerci ai servizi sociali… e i servizi sociali che dovevamo chiedere in Comune perché, se era impazzito, ci voleva un ricovero coatto… e in Comune che dovevamo presentarci con la richiesta del medico: un calvario, come le ho detto. E intanto era sparito un’altra volta. Lo abbiamo cercato per due giorni. Mi chiedo se ce la farò ancora a resistere. Eppure non posso abbandonarlo: ha solo me.

LA SIGNORA : Infatti non lo sta abbandonando. ( stringendole le mani ) E vi ritroverete, non dubiti.  Non si torturi con quell’anello.

NORA : Ho paura di vederlo entrare da un momento all’altro.

LA SIGNORA  : No, stia tranquilla. Ascolti, anche suo padre era avvocato, vero ?

NORA : Sì, perché lo…

LA PORTIERA : ( entrando ) Sono arrivati, signora.

NORA : ( alzandosi ) Mio fratello c’è ?

LA PORTIERA : ( tranquillizzandola ) Certo.

NORA : Dio, ti prego, dammi la forza di parlargli ! ( piangendo, verso la signora )  Mi disprezza, si è sentito tradito...

LA SIGNORA  :  Ma no, è solo confuso. Bisogna comprendere il suo disagio. ( alla portiera  ) Li accompagni pure su.

La portiera esce

LA SIGNORA :  ( a Nora ) Ora vada .

NORA : E se non vuole vedermi ?

LA SIGNORA :  Gli parlerò io e mi  darà ascolto, vedrà. Lei, però, questa volta deve essere ferma.

Nora esce. Entrano la portiera, Giorgio e Marisa

GIORGIO: Cosa vuole a quest’ora la direttrice da noi ?

LA PORTIERA : Non so che dirle. Prego avvocato, entri .

La portiera esce

GIORGIO :  (  con un sussulto )  Avvocato. ( a Marisa )  Brava, hai recitato la parte alla perfezione. Sei una grande attrice. Complimenti.

MARISA :   Non ho recitato !

GIORGIO : Mi hai preso in giro !

MARISA : Non è vero !

GIORGIO : (  scostandola ) Sei una commediante !

MARISA : Non ho inventato nulla, devi credermi.

GIORGIO : Anche le storielle della mamma francese e dei gioielli rubati ?

MARISA :  Non li avevo rubati !

GIORGIO : Ah, già, me ne scordavo li avresti restituiti. Che bel copione, chi te l’ha scritto ?

MARISA :  ( a Giorgio ) Quello che ti  ho detto è tutto vero. Ero in un baratro  e  ne  sono uscita. Sono un’altra e anche tu ci riuscirai.

GIORGIO :  Grazie dell’augurio. Non so che farmene.

LA SIGNORA  : ( affacciandosi sulla porta ) E’ una di noi, avvocato...

GIORGIO :  Non mi chiami avvocato, non sono più avvocato ! Non sono più niente, io. Sono un galeotto, uno straccione.

LA SIGNORA  : ( proseguendo ) E’ una di noi, ha sofferto, come lei. Come tanti, come tutti qui.

GIORGIO : ( sarcastico ) Sono addolorato. Posso fare qualcosa per loro ?

LA SIGNORA  : Potrebbe risparmiarcelo il suo sarcasmo.

GIORGIO : Perché  me l’ha mandata, che cosa volete da me ?

LA SIGNORA  : Non c’era altro modo per avvicinarla.

MARISA : ( mettendogli una mano sulla spalla ) Vogliamo aiutarti.

GIORGIO : ( scostandosi ) Vattene ! Non l’ho chiesto il tuo aiuto !

LA SIGNORA  : ( a Marisa ) Puoi lasciarci soli, per favore ?

MARISA :  Sì, sì. ( a Giorgio ) Non ti ho preso in giro. ( Giorgio si gira sprezzante ) Buona notte.

GIORGIO : Sono stanco di sentirmelo dire.

MARISA :  ( alla signora ) Buona notte, signora.

LA SIGNORA : Buona notte Marisa e grazie.

Marisa esce  

LA SIGNORA  : Vuole sedersi ?

GIORGIO : (  freddamente ) Preferisco stare in piedi, se non le dispiace.

LA SIGNORA  : La prego.

GIORGIO : Lasci stare, le sporcherei il salotto buono.

LA SIGNORA  : E va bene, restiamo pure in piedi. Pensa, forse, che sia troppo vecchia per stare in piedi ? Si sbaglia di grosso. Lo dicevo per lei.

GIORGIO :  Cosa vuole da me ?

LA SIGNORA  : Parlarle, nient’altro. Comunque è libero di andarsene, se crede. Non intendo trattenerla contro la sua volontà.

GIORGIO :  Chi l’ha incaricata ?

LA SIGNORA  : Conoscevo suo padre, lo sa ?

GIORGIO : Ne ho piacere.

LA SIGNORA  : Era un sostenitore della nostra Fondazione, un gentiluomo. Sarebbe stato contento di sapere…

GIORGIO : … Chi l’ha incaricata ?

LA SIGNORA  : Ha importanza ? Non  mi ha incaricata nessuno, se è  questo che vuole sapere. Ho sentito parlare di lei in televisione, alcuni  giorni fa, al telegiornale, quando è stato aggredito da quei teppisti.

GIORGIO : Vuole curarmi le ferite ?

LA SIGNORA  : Suo padre non era così acido.

GIORGIO : Non siamo tutti uguali.

LA SIGNORA  : Perché  l’hanno aggredita ?

GIORGIO : Mi sbeffeggiavano e li ho insultati, volutamente. E più mi picchiavano, più li offendevo. 

LA SIGNORA : Per farsi uccidere ?

GIORGIO : “ Bastardi, avanti, ammazzatemi ! “.

LA SIGNORA : Un bel suicidio.

GIORGIO : Non aspetto altro. Poco fa, alla stazione, ci ho riprovato e devo ringraziare la sua Marisa se sono ancora qui.

LA SIGNORA  : E perché ci tiene tanto a farsi ammazzare ?

GIORGIO :  Perché io non ne sono capace.

LA SIGNORA  : Mentre è capace di calpestare la sua dignità, chiedendo l’elemosina, vero ? E’ questo il rispetto che ha per la sua vita ?

GIORGIO :  La mia vita non  merita alcun rispetto, ormai.

LA SIGNORA  : Lei ha avuto un’esperienza terribile e capisco quale sia il suo stato d’animo. Io però sono convinta - forse perché sono  un’inguaribile  ottimista -  che un  rimedio si  possa  sempre trovare : ecco  perché  non  riesco a comprendere questo suo assurdo desiderio di morte. C’è un problema, d’accordo.

GIORGIO :  Lo chiama problema, lei ?

LA SIGNORA  : E come dovrei chiamarlo, scusi ?

GIORGIO :  ... E’ una tragedia !

LA SIGNORA : ( con fermezza ) Non irreparabile !  I problemi vanno affrontati, dottor Imbriani. Posso chiamarla dottore ? Vanno affrontati, non aggirati. Lei sceglie la soluzione più facile. Glielo devo ricordare io che ci vuole più coraggio a vivere che a morire ?

GIORGIO :  E’ proprio questo coraggio che mi manca, e allora vorrei trovare almeno la forza di morire.

LA SIGNORA  : Il suicidio è un atto di viltà, non è una prova di forza.

GIORGIO :  Quando sei  rimasto solo con te stesso, la vita non ti lascia molte alternative.

LA SIGNORA  : Lei non è rimasto solo ! Lei  ha voluto  rimanere solo. E non  è la  stessa cosa ! Dica che vuole fare il martire : dopo  il carcere duro, senza piegarsi a nessuno, il bel martirio finale, non è così ? Noncurante degli affetti che la circondano, del dolore che infliggerebbe a chi l’ama. Lei, in fondo, è soltanto un egoista !

GIORGIO :  Che sta dicendo !

LA SIGNORA : La prego di non interrompermi !  Prima non sono stata del tutto sincera. E’ vero che ho  sentito di lei in televisione ma è anche vero che c’è qualcuno che da mesi e mesi, come sa bene, sta vivendo nell’angoscia a causa sua, per la sua folle decisione - folle sì - e che ha ritenuto perciò di chiedere aiuto, visto che si ostina a non volersi confrontare con lei.

GIORGIO :  L’avevo capito. E’ qui ?

LA SIGNORA  : Sì, è di là. E’ distrutta. Sono quattro giorni che, lei e suo marito, la stanno cercando.

GIORGIO : C’è anche lui ?

LA SIGNORA  : No, è dovuto ripartire. Affronti il problema, dottor Imbriani, non lo rifugga. I problemi irrisolti sono fantasmi che rodono il cervello.

GIORGIO :  Non è soltanto mia sorella il problema, come lo chiama lei. E’ tutta la mia vita il vero problema. Lo vuole capire ?

LA SIGNORA  : Incominci a risolverne uno, poi si vedrà.

GIORGIO :  Non ho niente da dirle.

LA SIGNORA  : Non deve parlare. Deve ascoltare, una buona volta. Vado a chiamarla.

La signora Crisafulli   fa per allontanarsi 

GIORGIO :  Aspetti ! ( la signora si ferma ) Sarebbe inutile, ci siamo allontanati per sempre !

LA SIGNORA : Lei vuole punirla, perché ha avuto il coraggio di assumersi le sue responsabilità !

GIORGIO : Ho voluto marcire undici anni in prigione, per le mie responsabilità !

LA SIGNORA  : E sua sorella, nove ! Le sembrano pochi ?

GIORGIO : Mi lasci andare.

LA SIGNORA  : ( girandosi ) Lei è un testardo !

GIORGIO :  E’ la terza volta che me lo sento dire, stanotte.

LA SIGNORA  : ( infuriata ) Ah sì, e allora glielo ripeto per la quarta ! Lei è un cocciuto maschilista. Incomincio a credere che si comporta in questa maniera così odiosa nei confronti di sua sorella solo perché è una donna. Se fosse mio figlio, la prenderei a schiaffi.

GIORGIO :  Signora !

LA SIGNORA  :Non mi interrompa ! ! Lei non ha alcun diritto di imporre le sue idee! Non è l’unico al  mondo  ad  averne, per fortuna ! Ci  sono quelle degli altri,  e ( sottolineandolo )  delle altre ! Perché anche le donne pensano, guardi un po’ ! E lei  deve  imparare ad  ascoltarle, testardo di un maschilista !

GIORGIO :  Ora basta !

LA SIGNORA  : Mi scusi, è riuscito a farmi perdere le staffe.

GIORGIO :  Ha ragione. Esistono anche gli altri, non me ne ricordavo più. In carcere ti dimentichi degli altri, pensi solo a te stesso.

LA SIGNORA  : Adesso vado a chiamarla.

GIORGIO :  Aspetti, le ho detto !

LA SIGNORA  : Le vogliono bene, Giorgio.

GIORGIO : Hanno la loro vita. Cosa c’entro io con la loro vita.

Giorgio fa per uscire.

LA SIGNORA  : Mio figlio, da piccolo, era un gran prepotente, dottor Imbriani.

GIORGIO : Come dice ?

LA SIGNORA  :  Tutti i giochi erano suoi. E poi voleva comandare, lui era sempre il re, il condottiero, il boss. Ne prendeva di sculaccioni ! Niente. Se ne andava in camera e si buttava sul letto a piangere come un disperato. Ma non per le sculacciate, no, per l’ingiustizia subita: perché un re non può essere buttato giù dal trono, o un condottiero disarcionato dal cavallo. Un bel fallimento per un genitore, non le pare ?

GIORGIO : Cosa c’entro io ?

LA SIGNORA  : Niente. Buona notte.

Giorgio si avvia.

LA SIGNORA  : Giulio, però, è cresciuto, dottor Imbriani, e soprusi non ne commette più.

GIORGIO : Buon per lui.

LA SIGNORA  : ( avvicinandosi ) Trent’anni fa, in Sardegna, precipitò un piccolo velivolo, dottor Imbriani.

GIORGIO : Cosa c’entro io ?

LA SIGNORA  : C’era mio marito su quell’aereo…

GIORGIO : Cosa c’entro io ? !

LA SIGNORA  : Con la mia bambina.

GIORGIO : Cosa vuole da me ?

LA SIGNORA  : Aveva dieci anni e Giulio da allora non ne commise più di soprusi. Era stato buttato giù dal trono.

GIORGIO : ( allontanandosi ) Non posso più stare qui !

Giorgio esce e si imbatte nella sorella

GIORGIO : Che sei venuta a fare ?

NORA : ( con grande fermezza )  Voglio parlare.

GIORGIO : A che servirebbe.

NORA : Questa terribile storia è finita, Giorgio. Per sempre.

GIORGIO : Non è finita ! ! ( va a sedersi sulla poltrona, il volto fra le mani ) Sono a pezzi, Nora. La  mia vita è finita.

NORA : Hai la forza per ricominciare.

GIORGIO : Dopo undici anni, ricominciare.Magari ritornerò a  fare l’avvocato, così  come se  nulla fosse accaduto. E’ facile, no ? Basta rimettersi  la toga sulle spalle ? Dove l’hai riposta, dimmi ? Ci sono ancora quelle macchie di sangue?

NORA : E’ vicina a quella di papà.

GIORGIO :Il pubblico ministero disse che l’avevo disonorato, ti ricordi. Che l’avevo sporcata di sangue.

NORA :  Non l’avevi sporcata di sangue.

GIORGIO : Già, questo, no. Quel gran casino ci fece vedere la rivoluzione a portata di mano, sembrava un gioco: eccola la tua bella rivoluzione, Giorgio ! Quanto l’hai sognata, prendila, che aspetti, allunga la mano. Non c’è più futuro per me. Ho voluto percorrere la mia strada fino in fondo. Ora sono sull’orlo del precipizio e devo saltare.

NORA :  No !  Puoi fermarti, ricominciare !

GIORGIO :Mi fa paura, Nora !   ( pausa ) Appena fuori dal carcere, mi è passata davanti tutta la vita e mi sono sentito perduto. La tua dissociazione  mi  aveva  svegliato dal letargo, nel  quale mi ero rifugiato, per sopravvivere. Una scudisciata che aveva bruciato tutte le mie certezze, perciò ti ho odiata. Il prigioniero politico forse era soltanto un povero detenuto, il rivoluzionario sconfitto niente altro che un volgare terrorista. Non avrei mai voluto svegliarmi da quel letargo.E adesso ho  paura, capisci ? Ho  paura  di  incrociare  lo sguardo della gente. Ho paura che mi chiedano perché. Perché non saprei più cosa rispondergli, adesso.

NORA : Digli la verità, Giorgio. Non avere paura della verità.  Digli che ci facemmo travolgere da un’illusione, che sognavamo un uomo nuovo e per quell’uomo eravamo disposti a dare la scalata al cielo; digli che volevamo tutto e subito e che questo ci fece sordi e ciechi. Digli che l’abbiamo pagato il nostro debito e che riusciremo a riscattarci.

GIORGIO : Io non ho chiesto di riscattarmi. Io il mio debito l’ho voluto pagare per intero, senza sconti.

NORA : Credi veramente che mi sia dissociata per uno scampolo di libertà, Giorgio ? Lo credi veramente ? Rispondimi ! Tu lo sai che non è così, Giorgio, perché l’avevo già fatto da un pezzo e lo avrei fatto comunque ! Ma tu la pensavi diversamente e solo questo conta per te, perché tu sei il depositario della verità e di quello che pensano gli altri non t’importa niente. Non te n’è mai importato niente.

GIORGIO : Non volevo ferirti.

NORA : Sì, invece ! Se ti accorgi di avere commesso una pazzia, devi avere il coraggio di ammetterlo, di gridarlo.

GIORGIO : C’erano state le bombe, Paola, i morti ! Non c’era altro modo per fare politica.

NORA : Non ne siamo stati capaci, questa è la verità. Che politica è se consideri l’avversario un nemico, se riduci l’uomo a un simbolo da colpire ? E’ una cosa sporca, non è più politica !

GIORGIO : Una volta non parlavi così.

NORA : No, hai ragione, c’è voluto il sacrificio di un amico, un operaio che da solo, in tutta la fabbrica, aveva avuto la forza di opporsi al clima di omertà e di paura. I colpi che crivellarono il suo cuore di granito, frantumarono le mie certezze. Durante un corteo mi aveva detto “ ragazzina, parli così bene che non ci si capisce un accidente”. Fu da allora che incominciai ad aprire gli occhi, perché se la gente non capisce quello che dici, non puoi fare finta di niente.

GIORGIO : Gli orrori sono il prezzo delle rivoluzioni.

NORA : La gente non la voleva la nostra rivoluzione, chiedeva solo un po’ di giustizia. (  prende dalla borsa una lettera ancora chiusa e gliele porge ) Tieni, è la lettera che ti avevo scritto per spiegarti le mie ragioni e che tu mi restituisti con quella terribile accusa : venduta... venduta. Non avevo pagato abbastanza, no ? Tieni ! Che diritto avevi di decidere della mia vita ? Rispondimi ! La sorellina deficiente  non  doveva  fare di  testa  sua, è  cosi ?  Tieni... tieni…   ah, basta. Basta . ( strappa la lettera ) Non la condivisi la tua decisione, Giorgio, ma la rispettai perché capii che non potevi ammettere di esserti ingannato e di avere buttato via una parte della tua vita. Che non volevi ammetterlo. Se adesso che hai saldato il conto, però, vuoi tirarti indietro, fallo pure, non posso impedirtelo. Ma sappi che questa volta non rispetterei la tua decisione, Giorgio. Non potrei rispettarla, perché questa volta non capirei. 

GIORGIO : In carcere, giorno dopo giorno, per mesi, per anni, puoi abituarti a morire.

NORA : O puoi importi di vivere, non fosse altro per provare a fare qualcosa di buono.

GIORGIO : Mi sono già suicidato cento volte, Paola. Mi sono impiccato a una grata, sgozzato, soffocato. Mi sono sfracellato in un dirupo, annegato, maciullato sotto un treno.

NORA C’era una ragazza in cella con me gli ultimi mesi. Nei suoi occhi spenti potevi leggere tutto l’orrore della sua esistenza : stuprata dal padre, abbandonata in un istituto, picchiata da un marito alcolizzato, umiliata, buttata su un marciapiedi. Un giorno aveva detto basta e gli aveva piantato un coltello nel cuore al suo aguzzino. “ Quando esco di qui, avrò la tua età “, mi disse “ e potrò ricominciare tutto daccapo”.

GIORGIO : Non bisogna mai perdere la fiducia nella vita, non è così ?  Anche se è diventata un inutile fardello, per te e per gli altri ? Anche se sei riuscito a combinare solo un gran casino e hai fatto morire tuo padre di crepacuore ?

NORA :  Io ne sono altrettanto responsabile, Giorgio. La sua morte è stata la mia vera condanna : cento, mille anni di carcere, la mia stessa vita per rendergli giustizia. Non so quante compresse ero riuscita ad accumulare, di tutti tipi, una montagna di colori. Ero sempre in infermeria a chiedere qualcosa e a rubare. “Sei un’assassina, falla finita ! “, mi ripetevo. Ogni giorno, ogni ora. E invece le buttai via e non per paura di morire, ma perché papà non avrebbe mai approvato: non era stato questo il suo insegnamento. Papà era un ufficiale e un partigiano, Giorgio: l’avrebbe considerata una resa disonorevole.

GIORGIO :  Laura sarà diventata una signorina.

PAOLA : ( sorridendo ) Sì, vedessi come corre.

GIORGIO :Ha gli occhi azzurri, vero ?

PAOLA : Come sua nonna.

GIORGIO : La nonna, quante pene ha sofferto. Quando mi disse della tua gravidanza rividi, dopo tanti  anni, spuntarle in volto il meraviglioso sorriso di un tempo; per la prima volta, dopo tanti anni, era felice e sorrise.

                                                                                                                     

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