LA SCANDALOSA
di Cerciello Carlo
Note sui personaggi
La testimone
E' una donna, una popolana, una casalinga, una alla quale hanno riferito tutta la storia, che lei arricchisce di particolari inventati, e infarcisce di giudizi o meglio di pregiudizi.
E', finalmente, al centro dell'attenzione di tutti, chiamata in causa, forse dai giornalisti, forse dalla televisione, da qualcuno che vuole ricostruire questa storia e capirne i contorni oscuri, i perché senza risposta.
La testimone non è attendibile, i suoi sono giudizi chiaramente preconcetti.
Qualcosa ha, sicuramente, visto, ma si guarda bene dal riferire tutta la verità.
La sua testimonianza inchioda Martia alla sedia elettrica, ma si basa su pettegolezzi, su pregiudizi morali nei confronti di colei che la testimone considera "lo scandalo del quartiere".
Pilota e trascina il giudizio verso la certezza dell'assassinio perverso di una moglie traditrice, spietatamente complice di personaggi equivoci che ne favoriscono i diabolici piani di vendetta.
L'identità del vero colpevole è ben celata dietro una cortina di fumo ed è ben strano che la testimone, così informata dei particolari dell'assassinio, non conosca il nome dell'amante di Martia.
Parla con cadenza partenopea, utilizzando i versi di Giovanni della Carrettola, incarnandone il personaggio al femminile.
Il suo è un vero e proprio "inciucio". Grottesca, talvolta quasi comica per i suoi modi eccessivi di raccontarlo, sulla sua carrozzella, come il vero Giovanni della Carrettola (La finestra su cortile), la "gnora" Giovanna da fondo a tutte le sue energie nel suo calunnioso mini-show.
Martia Basilia
E' una ragazza di 20 anni, a 12 anni già madre di una bambina. Ignorante come la maggior parte delle donne del suo tempo, è tenuta soltanto a servire il proprio uomo e a dargli dei figli.
Non ha, dunque, avuto nemmeno il tempo di godere un po' di quella gioventù e di quella bellezza in fiore, che tanto le si invidia, in quanto, molto presto, è sacrificata al ruolo di madre e di consorte.
Non sappiamo di sicuro se fosse vittima prima della violenza di suo marito e poi di quella dell'amante, ma per certo nessuno dei due l'amò, se non per il proprio trastullo sessuale.
Martia è così più volte vittima: del marito, dell'amante sconosciuto, della sua serva e dello sbirro suo complice, della sua stessa ignoranza e del potere che alla fine la condannerà molto in fretta, per coprire le colpe di qualcuno del quale non si saprà mai il nome, ma che certamente apparteneva a qualche potentato dell'epoca.
E' il destino dei deboli e degli ignoranti finire stritolati dagli ingranaggi del potere? Certo con loro è più semplice, ma quando la macchina della giustizia, serva del potere, sceglie la sua vittima, il suo procedere non lascia scampo.
Il "mostro" in prima pagina funziona sempre, per calmare l'opinione pubblica e dimostrare l'efficienza degli apparati di Stato. Del resto il delitto c'è stato e la società grida vendetta!
Lo stato vendicatore è dunque lo specchio di una società violenta quanto coloro che hanno perpetrato l'assassinio. Quando poi la vendetta si consuma attraverso la pena di morte, lo Stato è carnefice, è assassino. In nome di una morale che non ha dubbi, che è onnipotente e "perfetta" in sé, che può dunque dare la morte. Lo Stato si sostituisce a Dio, nessun credente potrebbe ammetterlo, ma, purtroppo, anche i credenti hanno bisogno di un Dio sulla terra, di un riferimento rappresentativo dell'ordine, della stabilità.
La nostra Martia è vittima di questa logica ferrea, rigida, vendicativa, superomistica, che è certamente, sempre, al servizio del più forte.
Che può fare lei, che è relegata al ruolo di donna-oggetto, trastullo dei potenti, madre e moglie-bambina di un uomo rozzo e forse violento? La sua bellezza è un affare da sfruttare economicamente ed è troppa per un uomo solo.
Cosa può fare lei di fronte al potere immenso dell'Inquisitore, che ha già deciso la sua condanna ancor prima di interrogarla?
Cosa può fare lei che non ha potuto ribellarsi nemmeno alle voglie dei nobilotti in cerca di sesso a buon mercato?
Il suo destino è quello di soccombere, come ancor'oggi soccombe una ragazza albanese o slava, una qualsiasi donna che ripulendo la nostra coscienza, definiamo comunemente "sfortunata".
Martia sceglie di fronte all'Inquisitore la strada della completa sottomissione, ma la sua è un scelta obbligata, determinata dalla tortura e dalla vana speranza di salvare almeno la vita, ammettendo colpe non sue, confessando una storia infarcita di verità e al tempo stesso di superstizione.
La Chiesa ha bisogno di salvare le anime di coloro che assassina, altrimenti che Chiesa è. Deve liberarle dal demonio, che è il vero solo colpevole di tutto il male degli uomini. L'eretica, andando al martirio espia le sue colpe, ma certo prima bisogna fargliele confessare.
Martia perderà, lentamente, nel corso del processo la speranza di potersi salvare.
Cercherà di affascinare i giurati, di convincerli della sua storia di demoni violentatori, dei suoi patti Faustiani mediati dalla megera Margarita della Croccia, ma sarà tutto vano.
Nel finale perderà ogni dignità residua di fronte alla morte che incombe. Sarà preda di un terrore totale, griderà, urlerà disperata la sua voglia di vivere ma il suo destino è segnato.
Inquisitore
Uno show-man molto americano tutto pubblico, anima da network, abito da Fred Astaire per la grande cerimonia.
Ciondolerà talvolta grossolano, talvolta elegante, la vita nelle sue mani ha il valore di un talk show televisivo.
Per lui Martia va sacrificata allo show-business. Potrebbe essere una portoricana, una di colore, un immigrata povera o più semplicemente, una pezzente, e tanto basta!
Si lancerà nel finale in una telecronaca della morte in diretta stile americano.
Nelle sue parole il distacco, l'indifferenza, il cinismo dell'uomo d'affari.
L'aula di un tribunale. Ambiente seicentesco, contaminato da anacronistiche presenze. Parte del pubblico nelle panche laterali destinate comunemente ai giurati. La testimone è già in scena.
La Testimone Se voi benigna udienza mi donate,
di Marzia gentile io vi vo' dire,
della sua morte e della sua beltade,
come il marito suo fece morire.
Secondo che m'è stato riferito,
benché la verità sempre s'osserva,
Marzia Basilia, avendo suo marito
e una figliuola in casa ed una serva,
avendo d'altro amore il cor ferito,
voltossi contro lui sgrata e proterva;
e sentirete ancora per qual effetto
avesse col marito odio e dispetto.
Siede costei su la ruota d'amore,
su 'l fior degli anni e fior delle bellezze;
(il tono si fa sarcastico)
a molti amanti avea ferito il core
con suoi begli occhi e con aurate trezze;
E il marito, geloso dell'onore,
le disse bastando con asprezze:
(facendo la voce del marito)
"Se il tale in casa più ti fai venire,
peggio che morte ti farò soffrire!"
La bella donna piange con dolore:
queste parole al cor stabili scrisse.
Esce il marito, ed ecco il suo signore:
vede che piange,
e chiede la cagion del suo dolore,
(sbrigativa)
dicendo: "Ch'hai, cor mio?" così le disse.
Lei non risponde: piange e stassi zitta
e mostra gran dolor nel cor afflitta.
(con fare da camorrista)
"E' possibile, cuor mio, che non vuoi dire,
né lasciarmi saper che cosa è questo?
Deh dimmi la cagion del tuo languire:
poi lascia a me soddisfare il resto".
Allor con mesta voce prese a dire:
(piagnucolosa)
"Io del marito mio ti manifesto,
se in casa mia più ci venite voi,
giurato ha di ammazzarci tutti noi".
"Dunque, ti hai da pigliare sì gran dispetto
di cosa che si puole rimediare?
Leva la causa e si leva l'effetto:
diamoli morte a chi ce la vuol dare;
ovvero di lasciarti io so' costretto.
Risòlviti di ciò quel che vuoi fare:
non voglio che per me, caro mio bene,
patite alcun affanno, doglia o pene".
spiega la donna alla vendetta l'ale;
disse: "Mi leverai di tal sospetto:
mi par vedere l'acuto pugnale,
che il mio marito mi ferisca il petto".
"Ad ogni tuo segnale
comanda pure e vederai l'effetto,
ché alli servizi tuoi mi troverai
pronto a ogni cosa che domanderai".
Disse la bella donna, ma crudele:
"Diamoli morte con pena e dolore!
Non far ch'io gusti più tossico e fèle;
poi insieme (insinuante a parte)
goderemo il nostro amore".
"Frena, cor mio, il pianto e le querele,
-disse l'amante, e consente all'errore-
gli sarà al primo sonno morte data,
e poi ti farò star lieta e beata!"
Oh se potesse il marito sentire
il consiglio crudele che fatto hanno,
che al primo sonno li convien morire!
Non pensa Marzia di pagare il danno,
ché chi di coltel fére ha da morire
di coltello anche, come tutti sanno!
(incazzata)
Ecco la sera il povero marito
la moglie abbraccia e bacia con amore.
Disse "mi sento ohimé tutto smarrito,
mesto, sospetto e tremolante il core.
Vorrei mangiare e non sento appetito,
mi sento male e non sento dolore!"
Disse la donna, e finge umilemente:
"Mangia, marito mio, ché non è niente!"
La bella e sontuosa ultima cena
buone ha vivande e prezioso vino.
Doppo mangiato, la serva lo mena al letto,
a ritrovar l'aspro destino.
Addormentato, con gran forza e lena
ecco l'amante e con lui l'aguzzino,
e l'assaltorno con ira e tempesta;
corre la moglie e gli tiene la testa.
"Non è più tempo, no, d'aver pietate:
muori senza pietà, con gran dolore!
Ricordati ora delle bastonate,
de' strazi che m'hai fatto a tutte l'ore!"
Disse il marito: "Incolpa tua beltate,
l'estremo ben, la gelosia, l'onore;
e della morte che per me farai
più della morte mia mi duole assai".
(tenendosi ritta sulle braccia, si alza sulla carrozzina senza scenderne)
Con forza estrema della morte strana,
in piedi si levò tutto stordito,
e corre il sangue a uso di fontana;
(rimpiombando a sedere)
poi cadde in terra morto e impallidito.
Giunse alla fine della vita umana;
poi lo cucirno dentro d'un tappito.
Resta sanguigno il letto da ogni lato,
la sala, i gradi con il porticato.
Lo danno all'acqua e ai pesci sepoltura,
non senza gran sospetto e gran paura.
Da un ponte lo buttorno, ahi caso rio!
E l'acqua mormorando in alto sale;
quasi cerchi vendetta al sommo Dio.
Dubitosa allegrezza e non sicura
sentia la donna, ed or n'ha pentimento:
or sta contenta e lieta, or ha paura,
ora ne fa allegrezza, ora lamento,
or li par aspro e forte, ora non cura,
or n'ha piacere e festa, ora tormento:
così fra due pensier di guerra e pace,
(pausa)
ora lì par bene il fatto, or li dispiace.
Occorre finalmente una mattina
che Marzia ebbe da dir col suo Signore.
E cautamente una sua vicina
andò a domandarli non so che favore;
e Marzia si voltò con gran rovina,
e rispose: "Non mi dar più romore!"
Così scornata, quella se n'andava;
la serva quella appresso seguitava.
Disse: "Sei ben venuta per servizio,
quando cha la signora sta turbata".
E questa sospettosa prese a vizio;
disse "Cos'è che sta così affannata?"
La serva disse: (sottovoce)
"il Signor Domizio
hanno ucciso e credea star beata.
Promise farla star come regina,
ora la fa stare misera e tapina".
Non volse già costei punto fermarse,
ma inver la casa sua presto s'invia;
con un amico venne a consigliarse,
ch'era scrivano della Vicaria.
Di dirgli il tutto mill'anni gli parse,
come una cosa che importante sia:
punto per punto il tutto venne a dire,
come hanno fatto Domizio morire.
Qual presto se n'andò dal gran fiscale
e sopra questo fatto li diè avviso.
Presto spedì la guardia e'l caporale
e andorno in casa della crudel Narciso,
e sopra il porticato e per le scale
trovorno il sangue del marito ucciso;
ed all'entrar che fecero la Corte,
restorno tutte impaurite e smorte.
E dando chiaro indizio del peccato,
stando sospette, attònite e confuse,
dimandorno del letto insanguinato:
vanno trovando mille false scuse.
Ebbe avviso l'amante e fu salvato.
Per questo, ché trovò le porte chiuse.
Pigliorno lo sbirro ancor subitamente
e furno carcerati alla Gran Corte,
ed ebbero la corda il dì seguente,
ma Marzia no, per grazia e per favore,
ma dello sbirro la fedel consorte
in volo se n'andò a Sua Eccellenza;
disse: "Come, il marito mio va a morte?
Deve Marzia patir la penitenza,
ella che fe' morire il suo consorte,
non il marito mio pien d'innocenza!"
E questo espone nel memoriale:
che si castighi ognun ch'ha fatto il male.
Strazi e martir danno a Marzia a milli a milli,
e lei non stima pena né tormento,
se ben talvolta fa sentir gli strilli
con dolce modo e con soave accento.
E fu di nuovo appesa e tormentata,
e lei confessa ed ogni cosa accetta,
e già si vede a morte condannata,
ma pure invano qualche grazia aspetta.
Oh quanti cavalier, quanti Signori
cercar la via che' fosse liberata:
chi per denari assai, chi per favori,
ma non ne poter già mai trovar la strada.
Corre a vederla innumerabil gente,
né di tanta beltà niun si sazia.
Financo il Santo Officio incontanente
la fa tornar con Sua benigna grazia....