La scoperta dell’Europa

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LA SCOPERTA DELL’EUROPA

Commedia in tre atti

Di ALESSANDRO DE STEFANI

PERSONAGGI

PASQUALE GIANI

ANTO­NIO e MICHELE, suoi figli

DAVIDE DAVIS

JIM DILLON

RALPH DONALDSON

ELGA DAVIS

CECILIA DONALDSON

UN CAMERIERE.

Un grande studio a Nuova York. Sia­mo in alto, molto in alto: tanto che non giungono quasi fin lassù i rumori della vita turbino­sa, del traffico di sotto. C'è molta lu­ce: grandi vetrate, una terrazza. L'arre­damento, per quanto pratico e modernissi­mo, rivela un certo gusto artistico. Un pianoforte a coda: e sul leggio dei fogli di musica manoscritta. Due porte. E’ mattina: le dieci e mezzo, lini Dillon, giovane di quasi trent'anni, in marsina, viso stanco, sciupato, è al­lungato su un gran divano: vicino a sé il tavolino a rotelle con i liquori. Michele va e viene dalla porta di fondo: ha il viso insaponato perchè sta facendosi la barba. E' in pigiama. Durante tutta la scena com­pleterà la propria toletta un po' andando a vestirsi di là, un po' venendo a scegliere le cravatte ed altro in certi armadi a muro, mascherati dietro specchi, che sono in scena.

 Jim                             - Ventinove anni! Sei giovanissimo. Ti invidio!

Michele                       - (affacciandosi alla porta di fondo, insaponato) E non ne hai ventinove anche tu? (E continua a ra­dersi davanti ad uno specchio che è in scena).

Jim                              - Io? Duecento. Tu sei sempre innamorato. Io non riesco ad esserlo più. (Sbadiglia) Mai più.

Michele                       - Ma lo sei stato almeno una volta?

Jim                              - (preparandosi a bere) Di una negra. Sedici anni.

Michele                       - Lei?

Jim                              - Io. Ma forse non era amore. Lo dico ora perchè è passato molto tempo. (Beve) E non è nem­meno vero che ti invidio. (Si alza in piedi) Chi va a visitare gli ammalati nelle cliniche, invidia i disgra­ziati che sono distesi nei letti?

Michele                       - (avviandosi nello stanzino accanto) E io ti sembro un ammalato?

Jim                              - Inguaribile, mio caro Michele. (Michele spa­risce: la porta però rimane aperta). Sarà perchè sei d'un'altra razza. Eh, razza vecchia la vostra. Noi, ame­ricani, invece siamo giovani, pratici.

Michele                       - E smettila: se non fai niente tutto il giorno.

Jim                              - Errore. Dormo.

Michele                       - ((affacciandosi appena sulla porta) E la notte ti ubbriachi e ti metti a predicare l'anarchia. (Scompare).

Jim                              - Momenti di esaltazione! Il mondo è fatto ma­lissimo. Esatto. Ma non vale la pena neanche di distrug­gerlo. Se si (deve rifarne un altro. No. (Intanto è andato ad osservare il proprio volto ad un specchio. Quasi fra sé) Brutta cera. Di', dove hai messo i tuoi attrezzi spor­tivi? Non fai ginnastica? ((Nessuno risponde). Sarà per un'altra volta. (Va verso il pianoforte e prende in mano i fogli che sono sul leggio, li scorre distrattamente. Michele ricompare) Che è? Musica tua?

Michele                       - Appunti. Non mettere in disordine. Sono appunti!

Jim                              - Una canzonetta? Una rumba?

Michele                       - Una sinfonia.

Jim                              - (cadendo a sedere sulla sedia davanti al leggio) Fulminato! (Michele non gli dà retta e prosegue nelle proprie faccende). C'è ancora chi pensa alle sinfonie? Prodigio e follia. Beethoven oggi! Io ho rotto la mia radio ieri: tre stazioni, tre musiche classiche. Da morire.

Michele i                     - Non hai rotto niente, ma non importa.

Jim                              - (senza insistere) Be', ho avuto l'intenzione di romperla. Ma bisognava ifare uno sforzo. Ho suonato il campanello. E il mio cameriere ha spento lo strumento di tortura. (Sbadigliando) Che noia, vivere! La colpa è tutta di mio padre.

Michele                       - Che t'ha messo al mondo? (Tornando di là) Colpa anche di tua madre! (Sparisce).

Jim                              - (sempre seduto al piano, quasi tra sé) Di mio padre. Era un collezionista. Una vera mania, la sua! Di comperare azioni di tutte le nuove Società che si fon­davano. Pacchetti su pacchetti. Quand'è morto, l'avvo­cato ha dovute lavorare sei mesi per rintracciare tutte quelle Società. Molte erano scomparse. Altre andavano a rotoli. Ma parecchie andavano benissimo. E io, unico erede, mi son trovato a far parte di un'impresa dì gio­cattoli, di un istituto di bellezza, idi una fabbrica di pipe, di una fabbrica di macchine da scrivere (Michele è ricomparso), delle tue carni in scatola... (Jim si alza) Un lavoro da intontire!

Michele                       - Mi par di vederti.

Jim                              - Partecipo ai Consigli d'amministrazione e di­segno le caricature dei miei disgraziati colleghi. Non apro bocca e intasco i dividendi. Ho tentato il cosiddetto sperpero personale, ma non son nemmeno riuscito, in un anno, a consumare gli interessi del mio capitale.

Michele                       - (facendosi il nodo alla cravatta) Allora se ho bisogno di quattrini so a chi rivolgermi.

Jim                              - (sbadigliando) Neanche un centesimo. Sono diventato avaro. Avarissimo. Me ne sono reso conto l'altra settimana. Piuttosto di pagare il conto esagerato d'un dottore ladro l'ho fatto citare davanti ai giudici. E ho cambiato dottore. Tanto, era un asino.

Michele                       - E che vuoi fare di tutti i tuoi quattrini?

Jim                              - Niente. (Non darli agli altri. Li godrebbero. Io non li so godere, ma appunto per questo non voglio neanche ehe Igli altri li ,godano.

Michele                       - Un giorno o l'altro troverai una donna che te li mangerà.

Jim                              - Oh le donne! Vorrei comperarmi un panfilo.

Michele                       - Mi ci inviterai.

Jim                              - Non lo comprerò: costa troppo. E poi c'è l'e­quipaggio da mantenere. No. Forse fonderò una nuova religione; è molto di moda, agli Stati Uniti, fondare nuove religioni.

Michele                       - Non scherzare su queste cose, non mi piace.

Jim                              - (dopo breve pausa, guarda l’orologio) Le dieci e mezzo. Quasi l'ora di andare a dormire.

Michele                       - Io mi alzo e tu vai a letto. Bella esistenza.

Jim                              - Hai sentito parlare di quel dottore Morigny di Parigi venuto da poco a Nuova York?

Michele                       - Io no. Perchè?

JlM                              - Dicono che sia un vero mago.

Michele                       - E dalli coi dottori! Eppure stai benissimo.

Jim                              - Si capisce. Ma i dottori m'interessano. Sono tipi curiosi: assomigliano ai giocatori. Arrischiano sh una carta coperta. Arrischiano la vita del cliente. E' buffo vederli agire, sentirli parlare. E la gente trema davanti alle loro parole. (Di colpo quasi con violenza) Io proi­birei per legge i dottori.

Michele                       - T'interessano e li proibiresti?

Jim                              - Ci sono cose che tu non puoi capire.

Michele                       - (ribellandosi sul serio) Io posso capire tutto. E ti dirò anzi che, come artista...

Jim                              - (con un gesto vago) Lascia andare, va.

Michele                       - Lo so: itu non, hai fiducia nella mia arte. Del resto non hai fiducia in niente.

Jim                              - Esatto. Ma ti dico che anche se tu fossi il più grande artista che tu possa sognare... Bach, mettiamo. Ti basta Bach? Io, per me, ti direi: a che serve? Ne vale la pena?

Michele                       - (commiscrando) Per fortuna, gli nomini come te sono pochi, se no, guai. E io non capisco chi ti possa rimanere amico. Sei peggio del cancro.

Jim                              - (con tono subitamente febbrile quasi a celare una subitanea irritazione) Tutti esaltati! Siete esaltati! Dite che noi ci ubbriachiamo. E voi, gli artisti? Sempre ubbriachi, senza bere. Delirium tremens. Debussy com­poneva solo quando l'etere lo ispirava. Non l'etere ange­lico, l'etere farmaceutico. Maupassant scriveva grazie all'assenzio.

Michele                       - Ma tu puoi riempirti d'assenzio e d'etere, non comporrai mai né « L'après-midi d'un faune », ne «Maison Tellier».

Jim                              - E chi ci pensa? (Torna a distendersi sul divano).

 

Michele                       - Non te ne vai ancora? Vuoi addormentarti qui?

Jim                              - (senza rispondere; ma intavolando un argomento che interesserà Tamico) Di', i tuoi amori come vanno?

Michele                       - (distrattamente, come ripetendo una cosa ormai acquisita) Elga è la creatura ideale. La donna unica al mondo.

Jim                              - (a occhi chiusi con fredda ironia) Avanti. Con­tinua.

Michele                       - (crollando le spalle) Oh, puoi prendermi in giro fin che vuoi. Che m'importa? Essa è d'una dirit­tura, d'una lealtà... E poi soave e forte allo stesso tempo.

Jim                              - (sempre a occhi chiusi) 8 maggio 1938.

Michele                       - Cosa? Siamo nel '39.

Jim                              - Lo so. Ripeta le tue parole dell’8 maggio 1938. Creatura ideale... Sì... Donna unica... Schietta... Identiche. Ricordo la data perchè ho avuto un incidente di mac­china quel giorno. Solo il nome della tua donna d'al­lora era diverso. Invece di Elga si chiamava Vanda, «e non sbaglio.

Michele                       - (con gesto di dispetto) Vanda era una girl!

Jim                              - Non c'è professione vile quando sia fatta con dirittura morale. Tuo aforisma di quel tempo.

Michele                       - Be', m'ero sbagliato. Ho visto, dopo, chi era Vanda. Cinquemila dollari ha voluto, per indennità.

Jim                              - Che ha pagato tuo fratello.

Michele                       - Un errore sarà consentito nella vita? Ma questa volta...

Jim                              - Oh, questa volta, nel caso, ti costerà» di più.

Michele                       - Ti proibisco...

Jim                              - Inutile. Cambio argomento. Anzi... (Si alza) Vado. Sarebbe imperdonabile che a mezzogiorno non fossi ancora a letto.

Elga                            - (di fuori) Si può? Sei alzato? Vestito?

Jim                              - Avanti. (Elga entra, elegantissima in un abito sportivo, da cavallo).

Michele                       - Senza telefonare? Ti aspettavo.

Jim                              - Buongiorno!

Elga                            - Una sorpresa. (Bacia rapidamente Michele poi dà la mano a Jim) Vergogna! Ancora alzato da iersera...

Jim                              - Tanto, annoiarsi di notte o di giorno...

Michele i                     - Son due ore che tenta di demoralizzarmi. Inutilmente!

Jim                              - Non riesco nemmeno a questo. (Elga si toglie i guanti che butta sul pianoforte, si toglie il cappellino e intanto dà un'occhiata in giro). Su, controllate. Osser­vate le carte sparse in artistico disordine per lo studio...

Elga                            - Non sono gelosa: e mon spio.

Michele                       - Doppia bugia. Sei gelosa ed io sono felice di questo.

Jim                              - Ma non parlavo di carte compromettenti. Sul leggio: carte con note. Il dovere dell'ispiratrice dove va a finire?

Elga                            - (senza dar retta a Jim) Hai lavorato, Micky?

Jim                              - Micky Mouse ha composto alcune frasi im­mortali.

Elga                            - (sedendo al pianoforte e tentando di decifrare gli appunti di Michele) Il quartetto?

Jim                              - Ohibò: la sinfonia!

Michele                       - Non puoi decifrare: sono appunti soltanto per me.

Jim                              - Ermetici! Elga, persuadetelo a scrìvere per «jazz». Molto più moderno. O vi piace perchè è clas­sico? Cos'amate in lui? il suo cervello che crea - o per meglio dire che creerà - o la sua bocca che bacia?

Michele                       - Non gli rispondere.

Jim                              - Codardo! Hai paura eh? della risposta.

Michele                       - Non ho paura di niente.

Jim                              - Un altro « whisky », alla vostra salute: e vado. E poi dite ancora male idi me se avete coraggio. Vi lascio soli. (Beve).

Michele                       - (per rifarsi come può) E tu sostieni di appartenere a un popolo giovane e sano.

Jim                              - (con una smorfia) Non sono interessante? Di­telo voi, Elga.

Michele                       - Giovane senza muscoli, ricco e avaro: inutile a se e agli altri.

Jim                              - Lascierò scritto nel mio testamento che inca­richino te della mia epigrafe funeraria: laconico e pre­ciso. Addio, Micky Mouse. Elga, non date retta a quello che gli artisti dicono di me. Deformano tutto. E del resto chi vi dice che non sia anche io un artista? Vi farò vedere le mie caricature. Ne ho fatta una di vostro padre che, se la vede, mi fa per lo meno assassinare da uno dei suoi « gangsters ». (Esce).

Elga                            - Disgraziato. Non va mica a letto, sai. Va da uno dei suoi cento dottori. Ha paura d'avere un cancro.

Michele                       - E si cura col «whisky»: bel modo!

Elga                            - Ho visto un appartamento nella quaranta-duesima strada. Tranquillo: quello che ci vuole per te. Per noi, insomma. Vengo adesso di là.

Michele                       - (prendendole il viso fra le mani, con gioia) Allora papà ha detto di sì?

Elga                            - Ha detto di no.

Michele                       - (serio e allarmato) Quando?

Elga                            - Ieri sera. Sono stata a pranzo con lui. L'ho invitato io al « Colombo ». Se non facevo così non riuscivo a pescarlo, mio padre. A casa ci viene solo per dormire, quando ci viene, e guai se lo ai disturba.

Michele                       - (impaziente) E allora?

Elga                            - (accendendosi una sigaretta) Ho intavolato l'argomento allo spumante. Era 'di buon umore. Gli affari gli vanno bene. Gli ho detto: iPapà, credo di amare un uomo e lo vorrei isposare.

Michele                       - (con ammirazione) Brava! Così non hai perduto tempo.

Elga                            - Papà aveva già cominciato a guardare l'oro­logio: doveva avere un appuntamento. Bisognava far presto.

Michele                       - E lui ti ha detto subito di no? Perchè?

Elga                            - Mi ha chiesto chi fosse il candidato. Io gli ho detto: «Indovina ». E lui mi ha buttato là due, tre nomi idioti. Si vede che mi conosce bene!

Michele                       - Che nomi?

Elga                            - Samuel Bergman... Richard Levine... E poi, figurati, Louis Patterson, il figlio del senatore. Credo che per questi avrebbe detto di sì subito. Tutta gente che avrebbe fatto comodo a lui, non a me. Allora ho detto: «Michele Giani». Mi ha risposto: «Sei pazza! ».

Michele                       - Si vede che ha una bell'opinione di me!

Elga                            - Ti conosce appena. Ma per papà gli uomini valgono per quel che guadagnano o per quel che possono far guadagnare. Forse chiuderebbe un occhio anche su questo, se tu fossi nobile. Vanità. Stupidaggini.

Michele                       - Non gli hai detto che il tuo avvenire

Elga                            - Per papà conta solo il presente. E tu, per ora, inon esisti. Mentalità di Wall Street.

Michele                       - (un po' offeso) Ma non hai tentato di persuaderlo, di spiegargli? Dopo tutto sei sua figlia. E l'amore avrà anche dei diritti.

Elga                            - Ho fatto di più. Conosco mio padre. Ostinato quanto me. Gli ho detto: «Lo sposo lo «tesso ». Allora mi ha avvertita che nel caso avremmo dovuto contare solo sui nostri mezzi. E per cominciare mi ha fatto pa­gare il conto del pranzo.

Michele                       - Non l'avevi invitato tu?

Elga                            - Sì, ma di solito paga lui. Niente. Ho dovuto pagar io. Se lo sapevo, non prendevo lo spumante.

Michele                       - (dandole un bacio) Tesoro! Allora, dav­vero, mi sposi lo stesso?

Elga                            - E tu?

Michele                       - Che domande idiote!

Elga                            - (pratica) Anche se mio padre mi taglia i viveri?

Michele                       - Senti: per noi due non c'è bisogno di molto.

Elga                            - (poco persuasa di questo ottimismo) Si fa presto a dire. L'appartamento che ho scelto non ce lo regalano mica solo perchè tu sei artista.

Michele                       - Elga, facciamo le persone serie. Un po' di conti.

Elga i                          - Tu che fai i conti! Non ci vedo.

Michele                       - Sarò bravissimo.

Elga                            - Micky? Finora ti ho sempre veduto alle di» pendenze di tuo fratello, in questa materia.

Michele                       - Perchè Antonio è la mente algebrica della famiglia. E tiene la cassa.

Elga                            - Ma dopo sposati non vorrai che dipendiamo da ilui?!

Michele                       - Intanto io realizzo quello che mi appar­tiene nella Società. E con quello...

Elga                            - Quant'è?

Michele                       - Non lo so.

Elga                            - Non lo sai?

Michele                       - So che sono diecimila azioni.

Elga                            - Dieci dollari Fona,

Michele                       - Per qualche anno ci possono bastare.

Elga                            - E dopo?

Michele                       - Non hai sempre detto che hai fiducia in me?

Elga                            - Anche i più grandi artisti possono guadagnar poco e tardi.

Michele                       - Lotteremo insieme.

Elga                            - Si potrebbe investire questo capitale in qual­che impresa veramente redditizia.

Michele                       - Ne conosci?

Elga                            - Forse. Gli affari mi piacciono. Ho certo molto più pratica 'di te.

Michele                       - Non ci vuol molto: io non ne ho nessuna.

Elga                            - Intanto hai parlato a tuo fratello di me?

Michele                       - Gli ho accennato       

Elga                            - E lui?

Michele                       - Non mi ha dato retta. Oh quello! Non mi prende mai etti serio! Come io del resto non prendo sul serio lui. Uomo della carne in scatola.

Elga                            - Bisognerà decidersi... Ormai... (Si rimette il cappellino).

Michele                       - Te ne vai già?

Elca                             - Sì: ho la mia lezione di equitazione. Vieni anche tu?

Michele                       - Volevo lavorare un po' stamattina.

Elga                            - Per quello c'è sempre tempo. Le sinfonie non sono urgentissime.

Michele                       - Elga. Questo non è carino -da parte tua.

Elca                             - Se ti voglio vicino a me non è «arino? Sei cattivo!

Michele                       - No: c'è troppa gente «he mi dà ai nervi al tuo campo sportivo. E non mi diverto rimanere a guardare.

Elga                            - Egoista! Stasera pranziamo assieme. Ti va almeno questo?

Michele                       - Soli?

Elga                            - Solissimi. Ti telefonerò più tardi. (Si infila i guanti) Nell'appartamento che ho visto c'è anche una bellissima piscina. Un amore!

Michele                       - Costerà un patrimonio...

Elga                            - (civetta con la bocca vicino a quella di lui) Saremo tanto felici. (Chiude gli occhi) Ah, come sai baciare... Queste cose, a papà, non gliele posso epie­gare! E ora buon lavoro. L'ispirazione dovresti averla avuta.

Michele                       - Aspetto la tua telefonata. (Michele tenen­dola per la vita Vaccompagna ed escono insieme da si­nistra. Dal fondo, daW interno, entra Antonio, trentadue anni, viso severo: rientra Michele, vede il fratello) Tu? Miracolo. A quest'ora? Come mai non sei in mezzo ai tuoi telefoni, dittafoni ed altri strumenti idi tortura? Che c'è? Ribassi in borsa?

Antonio                      - Se credi di essere spiritoso!

Michele                       - Oh, non ci tengo nemmeno.

Antonio                      - (andando a sedere sul tavolo) Tu, «on la scusa della tua arte, non vedi mai più in là del tao naso. Sei d'un egoismo che fa paura.

Michele                       - Che ti salta in mente?

Antonio                      - Da vari giorni, anzi da parechio tempo, papà non mi piace... Non è del suo solito umore. L'ho anche fatto osservare da un medico, senza che lui se ne accorgesse, se no succede il finimondo.

Michele                       - E che ha detto il medico?

Antonio                      - Niente. Che forse avrebbe bisogno di mn altro clima.

Michele                       - Lo mandiamo in campagna.

Antonio                      - Ah credi? E quello ci va? Abbandona gli affari?

Michele                       - (alzando le spalle) Ma se lascia tutto in mano a te.

Antonio                      - Ma lui è presente, vicino: vigila. Con­tinua ad avere la sensazione di dirigere tutto. Per il suo carattere questo è necessario. Ha lavorato tutta la vita. Se sentisse d'esser messo a riposo, guai.

Michele                       - Ma se è questione di salute...

Antonio                      - di ho accennato, proprio ora, d'un viag­gio... Magari in Italia.

Michele                       - Un po' lontanacelo, mi pare. Perchè pro­prio in Italia?

 Antonio                     - Dopo tutto papà ci è nato.

Michele                       - (con gesto vago) Oh, tanti anni fa. Ci è nato... Un incidente. Uno non sceglie mica il luogo dove nascere.

Antonio                      - Insomma ho pensato che poteva avere il desiderio di rivedere la patria.

Michele                       - (ironico) La patria! La patria è quella dove uno è cresciuto, lavora, ama...

Antonio                      - Questa, insomma, per te.

Michele                       - Non che io sia molto attaccato agli Stati Uniti. Ma in fondo... Be', che ti ha risposto il genitore?

Antonio i                    - S'è perfino arrabbiato. Io non ho insistito.

Michele                       - Si vede che non ha nostalgia di quei posti. Padova, mi pare. No?

Antonio                      - Padova.

Michele                       - In tanti anni l'hai mai sentito parlare di quel paese? No. E allora che gli vai a parlare di viaggi?...

Antonio                      - (meditabondo) Strano però questo suo si­lenzio sull'Italia, in tanti anni. Ne è partito che era pur uomo. Qualche ricordo lo dovrebbe avere. E in­vece mai niènte.

Michele                       - Per la simpatia che hanno qui per l'Italia, meglio tacere, va.

Antonio                      - Ma fra noi in famiglia... In fondo se un po' di talento musicale lo possiedi sul serio ti viene proprio da quel paese d'origine.

Michele                       - Già: dicono che laggià cantano tutti.

Antonio                      - Chissà perehè ne è venuto via papà?

Michele                       - Domandalo un po' a lui.

Antonio                      - E mi scaraventa un piatto in testa.

Michele                       - Allora le forze le ha intatte... Sarà un po' abbattuto per aver mangiato delle nostre scatole di carne.

Antonio                      - (distratto) Stupido!

Michele                       - A proposito, ho bisogno di te. Non di te, fratello: di te, amministratore.

Antonio                      - (scuotendosi) Ancora soldi?

Michele «                    - Miei.

Antonio                      - Hai dei soldi tuoi, tu? Rubati a chi?

Michele                       - Ho le azioni della Società: le mie. Quelle sono mie, no?

Antonio                      - E con questo?

Michele                       - Le voglio vendere. Te le offro.

Antonio                      - Tu sei pazzo.

Michele                       - Perchè?

Antonio                      - Perchè sono azioni che continuano a sa­lire. Sono la tua sostanza: tu vuoi disfartene? Che idee ti vengono in testa?

Michele                       - Non te ne preoccupare. E' un buon affare per te comperarle? Comprale e non pensare ad altro.

Antonio                      - Io sono tuo fratello maggiore e mi pare di avere anche il diritto di sapere perchè vuoi commet­tere una sciocchezza simile.

Michele                       - E' chiaro. Perchè ho bisogno di denaro liquido.

Antonio                      - Per fare che? Hai giocato? Ma no: im­possibile. 'Che ti è accaduto?

Michele                       - Mi «poso. Ecco. Se vuoi saperlo.

Antonio                      - A forza di far niente doveva venirti anche questa bella idea! Naturale.

Michele                       - (risentito) Far niente? Io?

Antonio                      - Quando un uomo alla tua età non gua­dagna, non ha diritto di formarsi una famiglia. Vuol dire che non ha ancora imparato a vivere.

Michele                       - Gli artisti... caro mio...

Antonio                      - (interrompendolo) E finiscila con l'arte. E' una bella scusa. (E chi vuoi sposare? La tua solita Davis? O un'altra?

Michele                       - Cosa credi? Che io cambi ogni momento?

Antonio                      - Einora hai sempre fatto cosi. Dunque, chi è?

Michele                       - Elga.

Antdnio                      - Quella ha soldi quanti ne vuole. Padre milionario.

Michele                       - Ma il padre non approva questo matrimonio e non dà niente.

Antonio                      - (seccato) Davvero? E perchè non lo approva?

Michele                       - Perchè io non sono nobile.

Antonio                      - Aih! E lui lo è forse?

Michele                       - Appunto per questo.

Antonio                      - Ma la faccia finita! Nobile?! Ha fatto lo strozzino tutta la vita, il vecchio Davis. Figuriamoci! Be', se vuoi saperlo, neanch'io approvo questo matri­monio. Elga, non so: non la conosco abbastanza. Ma conosco il ipadre. Non è gente bella.

Michele                       - Ma è socio della nostra ditta.

Antonio                      - Azionista. Altra cosa averlo come parente.

Michele                       - L'amore non può guardare a queste cose.

Antonio                      - E poi tu sei un debole: messo a contatto con tipi volitivi come (quelli (finisci vittima. Inevitabile.

Michele                       - A quello ci penso io. Insomma mi compri, sì o no, queste azioni?

Antonio                      - No. Chi ti ha dato questa idea di ven­derle? Non è certo tua!

Michele                       - E' mia. Unicamente mia.

Antonio                      - Hai parlato a papà di questo tuo pro­posito?

Michele                       - Non ancora.

Antonio                      - Prima dì prendere delle decisioni mi pare che dovresti sentire anche il suo parere...

Michele                       - Sono maggiorenne.

Antonio                      - A parole. Tu, maggiorenne, non sarai mai fin che vivi.

Michele                       - Oh, gliene parlerò. (Una pausa). E tu, perchè non ti sposi?

Antonio                      - (scuotendosi) Che c'entro io? Ho troppo da fare. E poi non ho il bisogno romantico che hai tu di una casa, di una donna. Il mio focolare è il mio studio. La domenica sono un uomo perduto.

Michele                       - Comunque non dovresti lasciarti sfuggire le buone occasioni! Scommetto che non t'accorgi nemmeno delle donne che hanno della simpatia per te.

Antonio                      - (alzando le spalle infastidito) E lascia stare le donne!

Michele                       - Cecilia non è da buttar via.

Antonio                      - Che Cecilia?

Michele                       - Cecilia Donaldson. Muore di ammirazione per te.

Antonio                      - Pettegolezzi.

Michele                       - E' venuta perfino a raccontarlo a me.

Antonio                      - (corrugando la fronte) A te?

Michele                       - Non potendo parlare a te, sempre occu­patissimo, ha fatto i suoi sfoghi al fratello mii?ore.

 Antonio                     - E che ti ha detto?

Michele i                     - Che doveva dire? Che le piaci. Le piace il tuo modo aspro, secco, di trattar la gente; il tuo ca­rattere. Insomma credo che sarebbe prontissima a la­sciare il suo Ralph per correre con te davanti a un pastore. In fatto di divorzi poi ha già una discreta com­petenza!

Antonio                      - E' pazza.

Michele                       - Quello che le ho detto io. Antonio? Ma via! Una macchina calcolatrice. (Sai che m'ha risposto? Che era sicura che in te invece c'era un fondo di poesia nascosta! Ouarda un po' dove la vanno ad inventare la poesia, le donne!

Antonio                      - In ogni modo non è il mio tipo.

Michele                       - Ah, perchè avresti anche tu un tuo tipo?! Meraviglioso!

Antonio                      - Cecilia mi è riconoscente perchè ha un pacchettino d'azioni della ditta ed io gliele faccio ren­dere: ecco tutto.

Michele                       - Cecilia? Suo marito, vorrai dire.

Antonio                      - Oh, suo marito ne ha un pacchettone. Ma lei, per conto suo, patrimonio personale, ne ha delle altre. E' una donna curiosa. Pratica ed appassionata. Sembrerebbero due cose in contraddizione; e invece...

Michele                       - Ah! ah! Senza averne l'aria, te la sei osservata bene. Olielo dirò, ne sarà felice.

Antonio j                    - Non fare lo stupido. (Antonio ha cavato di tasca la pipa) Hai del tabacco?

Michele                       - (dandogli una scatola) Fin che vuoi. Mi­gliore del tuo.

Antonio                      - ((caricando la pipa) Figuriamoci! Tutto migliore, tu! (Pausa. Accende la pipa e fuma) In fondo potresti non aver torto. Sarebbe ora che pensassi a una donna anche io!

Michele                       - (raggiante) Finalmente! Umanizzati.

Antonio                      - (completando la propria idea) Per i figli.

Michele                       - Lascia stare i figli per il momento.

Antonio                      - No: io penso ai figli subito.

Michele                       - Pensa prima al resto: al viaggio di nozze, alla casa, alla villa in campagna. (Antonio siede). Ma si può sapere perchè stamattina ti sei piantato qui da me e non ti muovi?

Antonio                      - Ti disturbo?

Michele                       - Oh, per me! Ma è talmente straordinaria la cosa. In ufficio penseranno che tu sia per lo meno moribondo.

Antonio                      - Ho avvertito che sarei andato a mezzo­giorno. (Breve pausa). Dunque, Cecilia ti ha detto che in me c'è un fondo di poesia.

Michele                       - (sorridendo ironico) Ci ripensi, eh?!

Antonio                      - Non è per quello ohe immagini tu. Non per Cecilia. Chi l'ha detto non ha importanza. E' la cosa che mi fa riflettere. Chi lo sa? Tu, va bene: hai il tuo pianoforte, le tue donne...

Michele                       - Le mie donne? Che è questo plurale?

Antonio                      - Prima una, poi l'altra. Fa lo stesso. Ma io?

Michele                       - Tu hai la carne in scatola.

Antonio                      - Far quattrini? Ideale modesto. E poi per chi? Non ho figli, non ho pianoforte, non ho donne. E poi c'è una curiosa sensazione. Ieri sono stato a bordo d'una nave da 'guerra, il « Maine ». Dovevo parlare col comandante. Nessun orgoglio in me.

Micjhele                      - Che orgoglio volevi avere?

Antonio                      - Gli americani sono molto orgogliosi della loro flotta. |La nave è il punto più sensibile del senti­mento patriottico di ogni individuo. Be', io nessun sentimento.

Michele                       - Si capisce. Non sei americano.

Antonio                      - INon sono americano? E cosa sono allora? La mamma, poveretta, era americana.

Michele                       - iNoi non siamo di nessun paese.

Antonio                      - Il comandante del « Maine » mi ha detto: «Voi siete italiano?». 'Non ho saputo che rispondere. Ho mormorato: «Di nome». E lui: «Ah, di nome soltanto? Meglio ». In quel momento preciso ho visto che quel comandante era odioso. Già: era brutto. E io ho sentito che non avere un ideale nella vita, se non quello di far quattrini, è ben poco. Buffi questi di­scorsi, no? E m'è dispiaciuto non avere simpatia per quella bella corazzata sulla quale mi trovavo, ma non avevo proprio nessuna simpatia per essa. (Con imo scatto improvviso) L'affare con la Marina è andato a monte.

Michele                       - Ecco la verità del tuo malumore: un affare mancato.

Antonio                      - Può darsi anche questo abbia influito... Non lo nego. Ma il bilancio della ditta non ne risente troppo: il mio invece, quello spirituale, sì: è ecosso. Se domani scoppiasse una guerra...

Michele                       - Sarebbe il momento buono: in tempo di guerra si fanno milioni con le carni conservate.

Antonio                      - (seccato) Smettila di fare il buffone. Non ti sta. Sei romantico ed è inutile «he lo nasconda a me.

Michele                       - E la guerra sarebbe iun fatto romantico?

Antonio                      - Oh, per quello, il più grande dei fatti ro­mantici.

Michele                       - (scuotendo la testa) Avevo sempre creduto che fosse un fatto politico e finanziario.

Antonio                      - Per chi la dichiara, forse: ma per chi la combatte, no. Mettiamo il caso che gli Stati Uniti facessero una guerra  

Michele                       - Contro chi?

Antonio                      - Contro chiunque. Mettiamo pure contro il Giappone. La Germania. L'Italia. Ecco: che da una parte ci siano le navi degli Stati Uniti e dall'altra quelle del­l'Italia...

Michele                       - Vincerebbe...

Antonio                      - Lascia stare chi vincerebbe! Noi. Noi due da che parte saremmo?

Michele                       - Da nessuna parte probabilmente. Così, a occhio e croce.

Antonio                      - Già: è proprio quello che pensavo ieri, a bordo del «Maine». Da nessuna parte. Anche se tutto il mondo fosse un solo incendio noi staremmo a guar­dare. Ne per gli uni né per gli altri.

Michele                       - E' la situazione migliore e più sicura. No?

Antonio                      - (pensoso) Più sicura, forse. Migliore, non credo. (Guarda l'orologio, fuma). Da tutto questo vedi che Cecilia non ha torto: in me c'è un fondo di poesia. (Poi di colpo per cambiare bruscamente argomento) Be', come va questa musica tua?

Michele                       - T'interessa? Sbalordimento e cataclisma.

Antonio                      - Suona. Voglio sentire.

Michele                       - Ma se non ne capisci niente.

Antonio                      - Suona, ti dico. (E si sdraia sul divano, dietro il pianoforte, in modo che chi entrerà non potrà vederlo. Michele siede al pianoforte e comincia a suonare la propria sinfonia. La porta di sinistra si apre lenta, mente, per non disturbare, ed entra Cecilia, che rimane lì, in ascolto. Michele ad un tratto s'interrompe).

Michele                       - (senza accorgersi di Cecilia) Sono arri­vato qui.

Cecilia                         - Bravo! Molto bello... Roba vostra?

Michele                       - (alzando gli occhi e vedendo Cecilia) Sì, Cecilia! (Le va incontro e le stringe la mano) Ma che sorpresa!

Cecilia                         - Vostro fratello non s'è veduto?

Michele                       - (esitando e rendendosi conto ora che dal posto dove ella si trova non si può vedere Antonio) Veramente - non si vede.

Cecilia                         - Ma telefonato all'ufficio: la segretaria mi ha detto che doveva essere da voi.

Michele                       - (evasivo) Avete bisogno di lui?

 Cecilia                        - Non riesco a vederlo mai.

Michele                       - (scherzoso, divertendosi) Già: è molto nascosto.

Cecilia                         - Ma che fa?

Michele                       - Fuma. E va a visitare navi da guerra.

Cecilia                         - E' un uomo insopportabile.

Michele                       - (stuzzicandola) Che voi sopportereste con entusiasmo. No?

Cecilia                         - Chi lo sa? Non ne sono poi così sicura.

Michele                       - Dite a me quel che volevate dire a lui: prometto che gli riferirò tutto parola per parola.

Cecilia                         - Ho la vanità di pensare che le mie parole, in bocca mia, abbiano maggior potere.

Michele                       - (complimentoso) iNon c'è che dire: la bocca è travolgente.

Cecilia                         - Oh, voi dite tutte queste «ose: non hanno più importanza. Ma fanno piacere lo stesso. Dunque, di­tegli che domani il Consiglio d'amministrazione della Società si tiene in casa mia.

Antonio                      - (balzando a sedere sul divano) Come sa­rebbe a dire?

Cecilia                         - (sorpresa e contenta) Oh, Antonio! Eravate nascosto?

Antonio                      - (venendo a salutare Cecilia) Ed ascoltavo. Che avete detto? A casa vostra? Perchè?

Cecilia                         - Perchè questo è il mio capriccio. Chi deve prendervi parte? Io, mio marito, voi, vostro fratello, Davis e Dillon. Non; c'è altri, mi pare.

Antonio                      - Nessun altro.

Cecilia                         - Voi e Michele venite a pranzo da me: Dillon e Davis vengono dopo. E si discute lì. Che c'è che non va? Mio marito è d'accordo.

Antonio                      - Ho capito: voi volete ubbriacarmi prima.

Cecilia                         - Ma no: nessuna intenzione subdola. Ma vi voglio un po' per ine. Sono diventata azionista per questo.

Antonio                      - Avete fatto un buonissimo affare.

Cecilia                         - Pessimo.

Antonio                      - I dividendi...

Cecilia                         - (interrompendolo) Ma non sono riuscita a conquistarvi.

Michele                       - (intervenendo) Ma è in erisi, Cecilia: sta vacillando. E' questo il momento di insistere.

Cecilia                         - (con tono improvvisamente serio e curioso) Siete in crisi, Antonio?

Antonio                      - (vago) INon date retta a quel mio fan­tasioso fratello.

Michele                       - Volete che vi lasci soli? Se è giunta l'ora delle confidenze...

Antonio                      - (a Michele che già si avvicina alla porta) Non ti muovere.

Michele                       - (rassegnato a rimanere) Vedete, Cecilia: ha paura di voi. Ottimo indizio. Allora vi suonerò un notturno di Chopin. Indicatissimo per favorire le espan­sioni sentimentali.

Cecilia                         - (seria) Non fate il ragazzaccio. (Michele torna alla tastièra e durante la scena, ogni tanto, trarrà un accordo capriccioso dalla tastiera quasi per ricordare così la propria silenziosa presenza: e prenderà gli ap­punti conte se creasse).

Antonio                      - Allora va bene: Consiglio d'amministra­zione in casa vostra. Però non mettetevi in abito da sera. Discutere di bilanci con una eignora scollata mi sem­brerebbe sconveniente.

Cecilia                         - Osservate i vestiti delle signore? Non l'avrei mai creduto.

Antonio                      - Vi spiace se continuo a fumare la pipa?

Cecilia                         - Prego. E come mai oggi non siete in ufficio?

Antonio                      - Capita a tutti di avere una.giornata nera! Oggi, non so perchè, sono inquieto. Non potrei occu­parmi di affari.

Cecilia                         - Volete venire a fare una gita in macchina con me? Torniamo stasera.

Antonio                      - Grazie, no. A mezzogiorno devo tornare al lavoro, per forza. (Guarda Vorologio) Vostro marito?

Cecilia                         - Stamane parlava alla radio. Uno dei soliti discorsetti politici.

Antonio                      - E voi non lo ascoltate?

Cecilia                         - Ah no...

Antonio                      - Lo avete sposato per amore?

Cecilia                         - Parla troppo. Prima del matrimonio questa può sembrare una qualità: stordisce e persuade. Dopo il matrimonio stanca. Sento la nostalgia degli uomini contemplativi e silenziosi.

Antonio                      - E dei figli non sentite la nostalgia?

Cecilia                         - Non ci penso. A voi piacciono i bambini?

Antonio                      - Dicevo così per dire. Siete una bella donna...

Cecilia                         - Grazie. Il primo complimento che mi fate.

Antonio                      - E' una cosa che dovete sapere anche voi.

Cecilia                         - Sia pure. Ma mi piace sentirmelo ripetere.

Antonio                      - E vi basta?

Cecilia                         - Come? Non capisco.

Antonio                      - Vi basta, per vivere, essere una bella donna? Un marito che non amate? Una famiglia senza figli? Cioè inesistente. Vi basta lo specchio per essere soddisfatta di voi?

Cecilia                         - (evitando di rispondere) Mi fate paura con quegli occhi.

Antonio                      - Anche voi, un po'. Per questo reagisco. Avete capito?

Cecilia                         - (soddisfatta) Credo di sì.

Antonio                      - (entrando nel campo intimo delle confidenze) Il vostro primo marito chi era?

Cecilia                         - Un direttore di raffineria di petrolio. Di Tampico.

Antonio                      - Messicano come voi?

Cecilia                         - No: dell'Arizona.

Antonio                      - E perchè avete divorziato?

 Cecilia                        - Un vero interrogatorio: mi par d'essere davanti al giudice.

Antonio                      - Non volete rispondere?

Cecilia                         - Tutt'altro: mi diverto. Ho divorziato per­chè... In fondo, perchè ho divorziato? Era un uomo simpatico, Ronald. Ma io ero giovane.

Antonio                      - E lui no?

Cecilia                         - Era giovane anche lui.

Antonio                      - E allora?

Cecilia                         - A vent'anni si pretende l'impossibile. Vo­levo che lasciasse il petrolio perchè mi pareva poco bello. Volevo che si trasferisse in Europa.

Antonio                      - Ah, e perchè poi in Europa?

Cecilia                         - E chi lo sa? Ronald naturalmente ha vo­luto restare fedele a Tampico.

Antonio                      - Si vede che era una persona seria.

Cecilia                         - Troppo. Allora mi son messa a civettare con altri per fargli rabbia. Niente. Non era geloso. Que­sto ha scavato l'abisso. E siamo arrivati al divorzio. Ecco. Contento?

Antonio                      - E il vostro attuale marito, invece, è geloso?

Cecilia                         - Oh, no. Se lo fosse, lo pianterei subito!

Antonio                      - Logica femminile! Il primo lo avete la­sciato perchè non era geloso: questo lo lasciereste se lo fosse. Si può sapere che volete?

Cecilia                         - Poter essere innamorata.

Antonio                      - E' giusto.

Michele                       - (alzandosi e andando al bar) Cecilia, vo­lete un « cocktail »?

Cecilia                         - No, grazie.

Michele                       - Tu, Antonio?

Antonio                      - No.

Michele                       - Io sì, invece. (Si prepara un « cocktail »). Antonio, i tuoi soci finiranno col non avere più nessuna fiducia in te. Un uomo che non beve è molto deprezzato tra noi, vero, Cecilia?

Cecilia                         - Nel mondo finanziario sì.

Antonio                      - Quando sarò sull'orlo del fallimento mi met­terò a bere per rialzare il mio credito.

Cecilia                         - Io vi ho parlato di me: vi ho confessato la mia vita sentimentale. Ma la vostra?

Michele                       - (bevendo) Non ne ha, credo.

Antonio                      - Manca il tempo.

Cecilia                         - Io non dovrei dirvelo perchè amministrate anche capitali miei, ma non vi pare di esagerare con gli affari? Non c'è soltanto quello nella vita.

Antonio                      - Può darsi.

Cecilia                         - A forza di rimaner sempre chiuso nel vo­stro studio, sapete che succederà? Che sposerete o la vo­stra segretaria o la vostra dattilografa.

Antonio                      - (con un sorriso) Sono molto brutte tutte e due.

Cecilia                         - Si vede che le avete da poco tempo.

Antonio                      - Sì. Perchè?

Cecilia                         - Perchè basta un po' di tempo e l'abitudine per non veder più la bruttezza di chi vi sta vicino. Fate attenzione, Antonio!

Antonio                      - Trosppo buona. Ma perchè poi v'interessate tanto di me?

Michele                       - Ma se te l'ho detto io: perchè tu le piaci.

Cecilia                         - Oh, Michele! (Poi ad Antonio, franca) Del resto, perchè mentire? E vero.

Antonio                      - (scuotendo il capo con un sorriso) Buffo!

Cecilia                         - Cosa?

Antonio                      - So che son sempre le donne che si dichia­rano agli uomini, qui. Eppure la «osa mi dà un curioso senso di stupore come se io fossi abituato al contrario. Come se avessi vissuto in un paese dove sono gli uo­mini invece... E nei trentanni della mia vita non sono mai uscito dagli Stati Uniti.

Cecilia                         - Vi dispiace molto?

Antonio                      - Cosa? Ah... no, Cecilia. Ma...

Cecilia                         - Non dite niente. Pensateci. Ne riparleremo. Ora scappo. Se rimanessi, chissà che altro direi. Non voglio. (Dando la mano ad Antonio) Non giudicatemi troppo male per quello che vi ho detto. A domani sera. (A Michele) Arrivederci, Michele.

Michele                       - Vi accompagno all'ascensore. (Cecilia esce con Michele. Antonio gironzola per la stanza. Dà una occhiata ai titoli di due, tre libri. Riguarda Forologio. Assaggia il « cocktail » di Michele: fa una smorfia come per dire die vale poco. Michele rientra) E, ora, mio caro, sei servito. Hai avuto la tua bella dichiarazione d'amore. E in faccia a testimoni.

Antonio                      - (alzando le spalle) Stupidaggini!

Michele                       - Non mi sembra, parlava molto sul serio.

Antonio                      - Di tutto quello che m'ha detto una cosa sola mi ha colpito. Il dissenso col suo primo marito è nato perchè lei voleva andarsene in Europa.

Michele                       - Ebbene? So di divorzi che si aon fatti anche per meno.

Antonio                      - Non è questo. Curioso... Un'americana. Tutti questi americani sono così invasati di sé, del loro paese, che è strano che qualcuno sia attirato dall'Eu­ropa, dalla vecchia Europa. Non ti pare?

Michele                       - E' molto elegante aver visitato l'Europa, aver vissuto in Europa: magari per poterne dopo dir male, ma con qualche autorità. « Io ci sono stato. Paesi primitivi... ».

Antonio                      - In fondo, devono essere primitivi. Tra poco vedrai che laggiù ripristinano la schiavitù.

Michele                       - Ma, insomma, bella donna, no? Stamane poi era bellissima.

Antonio                      - Non c'è male.

Michele                       - Come sei difficile! Che pretendi di più? (Dal fondo entra il padre, Pasquale, uomo di circa ses­santanni, autoritario).

Pasquale                      - (ad Antonio) Che fai qui a quest'ora?

Michele                       - S'è presa una mattinata di vacanza.

Pasquale                      - Macche vacanza! (Ad Antonio) Stai poco bene?

Antonio                      - Sto benissimo. Ora vado all'ufficio.

Pasquale                      - E' vero che l'affare con la Marina non s'è concluso?

Antonio                      - No: è definitivamente tramontato.

Pasquale                      - Perchè?

Antonio                      - Non ho capito bene.

Pasquale                      - Ma io sì, invece. Sono furibondi contro l'Italia.

Antonio                      - E noi che c'entriamo?

Pasquale                      - Ci credono più o meno italiani!

Antonio                      - (con un gesto vago) Italiani per modo di dire. Il nome. (Pausa). Sì: anche quell'ammiraglio ha detto, con una smorfia, che è un paese senza libertà, l'Italia. Quando c'eri tu, papà...

Pasquale                      - (interrompendolo) Altri tempi. Ma allora libertà ce n'era tanta: magari troppa. Poi molte cose sono cambiate.

Antonio                      - Lo si vede dalle reazioni qui.

Pasquale'                     - Cambiamo discorso.

Antonio                      - Oh, per me... Non ci tengo.

Pasquale                      - (a Michele) Allora l'hai fatto questo ca­polavoro? Quando ti decidi?

Michele                       - Sono sulla buona via: l'ispirazione c'è.

Antonio                      - Con labbra scarlatte e occhi a mandorla. Un'ispirazione che gli vuol far vendere le sue azioni della Società.

Pasquale                      - Che cosa sono queste sciocchezze?

Michele                       - Vuoi proibirmi d'essere innamorato?

Pasquale                      - Lo sei troppo spesso, ragazzo mio. E i tuoi amori cominciano a pesare sul bilancio della fa­miglia.

Michele                       - Sarai stato innamorato anche tu, da gio­vane.

Pasquale                      - Non ne avevo il tempo. Dovevo pensare al problema alimentare. Era più urgente e quotidiano. E quando una donna m'è piaciuta, l'ho sposata.

Michele                       - E' quello che voglio fare io.

Pasquale                      - Sposarti? Chi?

Antonio                      - Elga Davis.

Pasquale                      - La figlia di Davide Davis?

Michele                       - Esatto. iNon posso vivere senza di lei. E’ una creatura deliziosa...

Pasquale                      - La conosco.

Michele                       - Non ho ragione? Non mi approvi?

Pasquale                      - Non è peggiore di un'altra. E poi tutte queste ragazze d'oggi sono talmente simili che una o l'altra.

Michele                       - No. Quella.

Pasquale                      - E che c'entra vendere le azioni?

Antonio                      - Necessità di realizzare: di danaro liquido. Il padre non molla un dollaro. Disapprova la scelta della figlia.

Pasquale                      - Tu non venderai nulla. Capisci?

Michele                       - Papà.

Pasquale                      - Se ti vuol bene ti deve sposare come sei, con quel che hai.

Michele                       - Ma io non guadagno...

Pasquale                      - Se hai una famiglia comincerai a pensare anche a questo. E sarebbe ora! Intesi? Se vuoi sposarti. Ma le azioni non le vendi... Ma a proposito, giacché si parla di matrimonio, davanti a chi ti sposi?

Michele                       - Come, davanti a chi? Davanti ad un pa­store.

Pasquale                      - Tu non sei protestante! Io mi sono spo­sato davanti al Console italiano.

Michele                       - E va bene! Mi sposerò davanti al Con­sole italiano.

Pasquale                      - Sì, ma in questo caso ci sono delle for­malità meno sbrigative di quelle americane.

Michele                       - Quali formalità?

Pasquale                      - Informati! La ragazza che ti sei scelto, sai, è figlia di un Davide Davis.

Michele                       - E con questo?

Pasquale                      - Mah! Ho sentito dire che in Italia c'è una legge che proibisce i matrimoni tra gente di razza diversa.

Michele                       - Per cui?

Pasquale                      - Per cui, davanti al Console italiano, quella ragazza non la puoi sposare.

Michele                       - Ma io sono innamorato!

Pasquale                      - (alzando le spalle) Ti passerà.

Michele                       - Non mi passerà. E io non rinuncio per una sciocchezza del genere.

Pasquale                      - Chiamala sciocchezza!

Antonio                      - Una soluzione c'è. Semplicissima.

Michele                       - Quale?

Antonio                      - Scegli la cittadinanza americana. Rinunci a quella italiana. Ne hai pieno diritto essendo nato qui, da madre americana. E allora sei liberissimo di sposare chi vuoi: anche una cinese!

Michele                       - Sì, infatti...

Antonio                      - Una formalità qualunque.

Michele                       - (con lieve esitazione) E allora non ci sa­rebbe più bisogno del Console?

Antonio                      - Ma per carità. Subentra la legge ameri­cana. Vero, papà?

Pasquale                      - (evasivo) Oh, è una formalità semplicis­sima. Che io non ho mai fatto.

Michele                       - Ma che significa esattamente cittadinanza?

Antonio                      - Dei doveri. Nel nostro caso, assurdi. Se scoppiasse una iguerra e l'Italia mobilitasse, noi saremmo chiamati alle armi. E chi andrebbe a combattere per un paese che non conosciamo nemmeno? Ci andresti tu, Michele?

Michele                       - Oggi sei fissato per la guerra.

Antonio                      - - Ma a non andare sì è dichiarati disertori.

Pasquale                      - Non ci saranno guerre.

Antonio                      - Sei ottimista, papà. Io non sento parlar d'altro invece. Nella vecchia Europa sembra «he non si pensi ad altro. (Pausa). Be', Michele, coraggio: il tuo grande amore si ferma davanti al primo ostacolo? E un ostacolo di questa natura.

Michele                       - No, no. Non si ferma per niente. Il mio amore ha dei diritti. Questa cittadinanza poi non sapevo nemmeno d'averla con esattezza. Per lo meno non la sentivo.

Pasquale                      - Pensaci bene prima di commettere scioc­chezze.

.

Michele                       - Io non ho mai pensato ad avere una patria.

Antonio                      - Un peso di meno.

Pasquale                      - Un amore di meno.

Michele                       - Tu, papà, non ci hai mai parlato di questa Italia.

Pasquale                      - No.

Antonio                      - Deciso. Andrai oggi stesso ad iniziare le pratiche.

Michele                       - (imbarazzato) Che è questa fretta? Che urgenza c'è?

Antonio                      - Mi pareva fosse nel tuo interesse.

Michele                       - Fai anche tu questa scelta?

Antonio                      - (rabbuiandosi) Io? Che c'entro io? Non ho da sposare nessuno, io!

Michele                       - Per cui preferisci rimanere italiano?

Antonio                      - - Io non preferisco rimaner niente. Non ho nessun bisogno di cambiare.

Michele                       - E allora perchè ti affanni tanto per me? Che te ne importa?

 Antonio                     - A me? Niente!

Michele                       - E vuoi che due fratelli siano, uno ameri­cano e l'altro italiano?

Antonio                      - Tutta (vanità infantile, la tua! Credi che come musicista il fatto di essere italiano ti giovi. Terra di grandi (musicisti, e allora...

Michele                       - Non m'è nemmeno passato per la testa. Ma insomma rinunciare al proprio paese; permetterai che uno ci pensi un momento.

Antonio                      - (con una smorfia) Il proprio?... Ma se non sai nemeno come è fatto questo paese.

Michele                       - Per te che sei soltanto un uomo di cifre sembrerà una sciocchezza. Io sento invece... Be', non te lo so spiegare. Sento dentro qualcosa che resiste. In fondo dobbiamo a nostro padre questa cittadinanza: ita­liano lui, italiani noi. Mi pare di tradire qualcosa di suo. E poi, non so. Evidentemente è una sensazione assurda.

Antonio i                    - Si vede che non sei molto innamorato della tua Elga.

Pasquale                      - (ad Antonio con violenza) E sta zitto, Antonio!

Antonio                      - (stupito del tono del padre) Che c'è?

Pasquale                      - (insistendo perentorio) C'è che ti dico di stare zitto. Lascia che parli lui. (Rivolgendosi a Michele come per invitarlo a continuare) Michele!

Michele                       - (ricercando in se stesso le cause oscure del proprio sentimento) E' curioso quello che provo. Sarà forse per quello che ha detto Antonio. Io sono un artista e allora...

Pasquale                      - (secco) Questo non c'entra!

Michele                       - Non c'entra?

Pasquale                      - No: io non sono mai stato un artista. Eppure...

Michele                       - 'Mi deciderò. Finirò certamente col deci­dermi. Ma ora, così, sento una ripugnanza... Ecco la parola esatta: ripugnanza. Sento ripugnanza a fare una cosa simile.

Antonio                      - Sentimentalismi.

Michele                       - Ah sì? E allora dammi l'esempio tu: dici che è una cosa inutile per te. Non è vero. Sarebbe uti­lissimo. Per i tuoi affari. Per i tuoi clienti. Troveresti maggior credito. Maggiori simpatie. Non è vero, papà?

Pasquale                      - Può darsi.

Michele                       - Lo vedi? Avanti! Tu sei il maggiore. Vuoi essere americano? Solo americano?

Antonio                      - (secco e deciso) i No.

ìMichele                      - Perchè?

Antonio                      - Non lo so. (Pasquale, che ha spiato con attenta trepidazione le reazioni a questa idea in viso ai due figli, è turbatissimo ma non lo vuol lasciar vedere. Dominandosi, dwe ad Antonio dopo una pausa) :

Pasquale                      - Antonio, è ora che tu vada in ufficio. F tardi.

Antonio                      - Sì, papà, Arrivederci. (Antonio esce. Pa­squale siede su una poltrona. Michele si accorge del tur­bamento del padre e gli si avvicina).

Michele                       - Che hai, papà?

Pasquale                      - (molto commosso) Niente. Cose che non si spiegano. Niente.

FINE DEL PRIMO ATTO

SECONDO ATTO

 Salotto in casa di Ralph Donaldson: ammobiliamento tipicamente moderno. Tavola dove sono preparati i fogli di carta e disposte le sedie per la riunione di affari. Grande bar. Sono le dieci di sera. Cecilia è in grande toletta da sera: Ralph e Antonio in marsina. Cecilia è seduta: Antonio in piedi appoggiato alla poltrona di lei. Ralph passeggia e parla con tono un po' declamatorio: si capisce che ha mangiato bene e bevuto meglio.

Ralph                            - Armare. La parola d'ordine oggi è questa: armamenti. E io, personalmente, come del resto ho già precisato in varie occasioni, aderisco alla politica del no­stro presidente. Se volete che per istrada non vi aggre­discano fate sapere che igirate sempre armato. E' il sistema più prudente. E infatti io non esco mai senza la mia fedelissima Browning. Eccola qua. (Cava dalla ta­sca dei pantaloni una piccola rivoltella che soppesa nella mano).

Cecilia                           - Hai mai avuto occasione di sparare un colpo?

Ralph                            - (rimettendo in tasca Parma) Mai.

Cecilia                           - Un'arma a portata di mano può anche rap­presentare una tentazione.

Antonio                         - Io, quand'è stato necessario, ho sempre adoperato il pugno.

Ralph                            - Sistema tipicamente americano.

Antonio                         - Di tutto il mondo, credo..

Cecilia                           - (che si è alzata per andare al bar per prepa­rare dei liquori) Vi fidate del mio gusto, Antonio?

Antonio                         - (Certamente. Ma ricordatevi: nessun tra­dimento, lo non sono molto in -confidenza con i liquori. E dopo dobbiamo parlare d'affari.

Cecilia i                         - Va bene. Sarò discreta.

Antonio                         - (osservando la schiena nuda della donna) E' già un'arma sleale il vostro vestito!

Cecilia                           - Oh, sleale, poi...

Antonio                         - Quasi. (Cecilia serve il «cocktail» prima ad Antonio poi al nutrito).

Ralph                            - E voi, Antonio, non giocate?

Antonio                         -.No: è un altro vizio che mi manca.

Ralph                            - Un'emozione alla quale rinunciate. Per me è la più intensa.

Antonio                         - Mi pare che siamo già così ricchi d'emo­zioni al giorno d'oggi.

Ralph                            - Ma non le possiamo provocare noi, volon­tariamente. Il gioco invece è un'emozione personale e su comando. E meno pericolosa della velocità. Io, debbo dire la verità, non concepisco un uomo veramente mo­derno che non ami il gioco. E' il vero rischio quo­tidiano.

Cecilia                           - Non te ne vantare, Ralph: non ne vale la pena.

Ralph                            - Ho il coraggio delle mie opinioni. Chi sa giocare sa vivere. Sa dominarsi, sa affrontare l'incerto. E' una scuola per i nervi, uno stimolo per la stessa fan­tasia, una condanna per l'immobilizzo dei capitali. Ed è un simbolo morale che insegna come tutto sia fragile e transitorio.

Cecilia                           - Sapete cos'è? Un brano di un discorso che deve fare per sostenere la legge che autorizza le case ida gioco.

Antonio                         - Complimenti. Non sapevo che faceste parte del Corpo legislativo.

Ralph                            - (Non ne faccio parte. Ma tratterò l'argomento in qualche banchetto. E' la nostra procedura: agitare i problemi sui giornali, nelle riunioni pubbliche, nei ban­chetti e poi i problemi finiscono al Congresso. Così si esprime il voto del popolo.

Antonio                         - Voi naturalmente siete e sarete azionista di qualche grande casino.

Ralph                            - S'intende; ma l'interesse non influisce sulle mie convinzioni.

Antonio                         - Non dubito. Diventerete un ottimo uomo politico, Donaldson.

Cecilia                           - E' la più grande ambizione di mio marito, entrare nel Senato.

Ralph                            - Ho molto lavorato per la propaganda elet­torale del presidente: tre volte per le tre elezioni. La prima volta ventisette discorsi, la seconda trentadue, la terza settanta.

Antonio                         - Mi stupisco che non siate già senatore.

Ralph                            - Sapete che mi manca? Un giornale. (Com­pare un cameriere). Che c'è?

Il Cameriere                  - Il signore è chiamato al telefono, da Chicago.

Ralph                            - Scusate. Ma se avessi un giornale... (Poi cambiando di colpo discorso) Perchè Michele non è venuto a pranzo?

Antonio                         - Non so. Non vi ha telefonato?

Cecilia                           - Sì. Una scusa qualunque.

Antonio                         - Verrà ora per la seduta. (Guarda l’orologio).

Cecilia                           - E' stato evasivo anche su quello. Ha detto di cominciare senza attenderlo.

Antonio                         - Non ci si può fidare idi lui. Non è fatto per le cose serie.

Cecilia                           - E' un sentimentale. Al contrario di voi: non sembrereste fratelli.

Antonio                         - Ho lasciato a lui tutte le doti di sugge­stione: arte, parola, tenerezza. Io mi son tenuto la parte ingrata della vita: le eifre.

Cecilia                           - E non avete nulla da dirmi a parte che il mio vestito è bello?

Antonio                         - Sì. Che avete cattivo gusto, Cecilia.

Cecilia                           - Come complimento non c'è male!

Antonio                         - Cattivo gusto di avere della simpatia per me. Io, se fossi in voi, sceglierei meglio.

Cecilia                           - (ridendo) Va bene. Guarirò di questa de­bolezza.

Antonio                         - Me ne dispiacerebbe.

'Cecilia                          - Ah sì? E' la prima cosa gentile che mi dite. Ma in fondo quel che mi piace in voi è proprio quest'asprezza un po' selvaggia, l'incapacità vostra di accomodare le frasi alle convenienze. Capirete che per me che ho un marito oratore e che si diverte un mondo ad ascoltarsi, marito pieno di compromessi con sé e con gli altri, è una bella sorpresa scoprire un uomo come voi.

Antonio                         - Villanzone, vero?!

Cecilia                           - Schietto, primitivo. E forse anche timido, perchè io giurerei «he siete timido.

Antonio                         - Non credo.

Cecilia                           - Con le donne almeno. Dite un po', sa­preste, per esempio, dare un bacio all'improvviso auda­cemente alla donna che vi piacesse? Confessatelo!

Antonio                         - Credo che non farei mai in tempo.

Cecilia                           - Perchè?

Antonio                         - Perchè le donne in questo ci precedono sempre. ;Non pensano ad altro ed hanno quindi molto maggiore iniziativa.

Cecilia                           - Peccato!

Antonio                         - Cosa?

Cecilia                           - Con queste parole avete spento ogni mia audacia.

Antonio                         - (dopo una pausa) C'è qualcosa che ci at­tira e ci respinge di continuo. Non sentite? Forse... (Si interrompe).

Cecilia                           - Dite.

Antonio                         - Che ci attira è il sesso. Che ci respinge è la razza. La razza differente!

Cecilia                           - (sorridendo) Perchè io sono messicana e voi americano?

Antonio                         - (vago) Forse per questo.

Cecilia                           - Ormai siamo internazionali. Chi si ricorda più a che razza appartiene? Negri, cinesi, indi, spagnoli, anglosassoni: tutt'un guazzabuglio. Si uniscono, si me­scolano e ne vien fuori un popolo giovane e forte. Siete di idee arretrate, Antonio!

Antonio                         - Non sono le idee, Cecilia, è l'istinto che è arretrato.

Cecilia                           - Ma no. Io «redo che noi idue, assieme, sa­remmo felici.

Antonio                         - Per quanto tempo?

Cecilia                           - (sorridendo) Volete anche la garanzia del futuro? Accontentiamoci di quello «he si può avere.

Antonio                         - E dopo?

Cecilia                           - Sposerò un altro: un aviatore, uno spor­tivo. Chissà chi. Magari anche un messicano.

Antonio                         - No, Cecilia. Per me non c'è divorzio. Sono italiano.

Cecilia                           - Siete nato qui: siete americano. Avete di­ritto al passaporto americano.

Antonio                         - Sono italiano anche se son nato qui. Na­scere in un luogo piuttosto che in un altro è un acci­dente. Io sposerei davanti al Console italiano. Un'idea mia. Voi sapete «he sono ostinato... Quindi... (Breve pausa). Non ci avevate pensato? Vedo svanire gran parte del vostro entusiasmo.

Cecilia                           - (senza sincerità) Ma neanche un po'.

Antonio                         - Il tono della vostra voce è già cambiato. Ma avete ragione. La cosa è ben diversa. Diventa seria e pericolosa. Il sesso può sospingervi ancora verso di me. Ma bisogna fare attenzione... Molta più attenzione di prima.

Cecilia                           - Siete inquietante!

Antonio                         - E voi no, forse?

Cecilia                           - Non credo più che siate timido. Siete auda­ce: molto audace.

Antonio                         - Che ho fatto?

Cecilia                           - Avete parlato di «tutta la vita». Ne par­lavo anch'io a diciotto anni. Al mio paese. Qui ho imparato a non spingere lo sguardo più in là dell'anno ven­turo: due anni al massimo. Più ristretti gli orizzonti: minori illusioni. Minori delusioni.

Antonio                         - Avete paura degli impegni importanti?

Cecilia                           - Di quelli che non si sa se si possono mante­nere, sì. Vedete che mi avete attaccato il vizio della vo­stra schiettezza. Non ho fiducia in me.

Antonio                         - Poche donne saprebbero dire questo al­l'uomo che piace. Vi ammiro, Cecilia. Vi ammiro molto.

Cecilia                           - (turbata e sospinta) Antonio!

Antonio                         - Ma non voglio soffrire. Con voi so che finirebbe male: unicamente per me.

Cecilia                           - (un po' delusa) Come siete previdente, cal­colatore...

Antonio                         - Purtroppo l'uomo delle cifre non scompare mai. Sono inguaribile.

Cecilia                           - (alzandosi e staccandosi bruscamente da lui) Avete ragione: in fondo c'è qualcosa che dice di no.

Antonio                         - La razza. Si può farla tacere col guazza­buglio che dite voi, ma non basta per ucciderla del tutto.

Cecilia                           - (guardandolo) Curioso! Eppure mi pia­cete... Ma no: non siete il tipo da capriccio, voi

Antonio                         - (ridendo) Eh no. Ma che volete? Tante cose piacciono. E ci rinunciamo.

Cecilia                           - Che fa mio marito? Si è addormentato al telefono?

Il Cameriebe                 - Il «ignor Davis. (Su un cenno di Ce­cilia, il cameriere introduce il possente Davide Davis, tipo di volitivo, massiccio, dall'aria sorridente. Viene a baciare la mano a Cecilia).

Davis                             - Cara signora - E vostro marito? Non mi dite che sta poco bene

Cecilia                           - Oh no, no: viene subito. (Intanto Davis sa­luta Antonio) A voi come va la salute non si chiede: si vede.

Davis                             - (ridendo)Lottiamo contro la vecchiaia. Fin che si può.

Cecilia                           - E come vanno gli affari nemmeno, perchè, in qualunque modo vadano, si sa già che piangete mi­seria.

Davis                             - (con tono allegro) Un disastro, mia cara, mia bellissima padrona di casa. Un vero disastro!

Cecilia                           - Da quando vi conosco vi sento parlare di disastri... La differenza tra i veri americani e voi è tutta qui: i veri americani, tipo mio marito, per male che va­dano le cose, vogliono sempre far credere che vanno benissimo. Voi, per bene che vadano, annunciate sempre disastri!

Davis                             - Io non sarei un vero americano allora? Perchè?

Cecilia                           - (con grazia) Non siete israelita?

Davis                             - Oh così poco: appena un po'. D'origine. Sol­tanto d'origine.

Antonio                         - E poi i veri americani dove sono? Vostro marito, dite? Ma è irlandese. Fa parte dell'ondata irlan­dese. Voi: messicana. Io, latino. Non esistono gli ame­ricani.

Davis                             - (battendo una mano sulla spalla di Antonio) Bravo, giovanotto. Benissimo. E' proprio così. Io israe­lita? Faccio parte, ecco tutto, del Comitato sionista.

Antonio                         - Per cui se non avete obiezioni su questo capitolo...

Jim                                - Oh! per me nessuna.

Davis                             - Quando potrà essere in funzione questo nuovo stabilimento?

Antonio                         - Fra sei mesi, credo.

Davis                             - A Trinidad! Un po' lontano dagli altri centri di produzione...

Cecilia                           - Ma saremo più vicini al Pacifico.

Antonio                         - Esatto: e risparmieremo sulle «pese di tra­sporto di tutto il settore costiero che farà capo a questo nuovo stabilimento.

Ralph                            - Giusto. Ma non capisco bene perchè sia stato scelto proprio Trinidad. Allora era preferibile una loca­lità ancora più vicina al mare.

Davis                             - Già ma a Trinidad il signor Giani possiede dei terreni che cederebbe alla Società, a quanto vedo dal preventivo, a condizioni vantaggiose. Vantaggiose per lui, s'intende.

Antonio                         - (aggrottando la fronte) Come sarebbe a dire? E' il prezzo corrente dei terreni in quella località.

Davis                             - Se permettete, ritengo che ci sia dell'otti­mismo da parte vostra, su questo argomento. Ho anch'io dei terreni in quello Stato. Non sono mai riuscito a ven­derli: e li offrivo a metà prezzo di quel che vedo se­gnato qui da voi.

Antonio                         - Vorreste insinuare che intendo fare una speculazione personale ai danni della Società?

Davis                             - E' vostro dovere farla. Se non la faceste, avrei una pessima opinione di voi, come uomo d'affari. E capirete che invece è necessario che voi suscitiate una buona, anzi una ottima impressione in tutti noi. Ma su questo capitolo, dello stabilimento, avremo campo di ritornare...

Antonio                         - Desiderei che fosse una cosa liquidata subito.

Davis                             - Non è meglio procedere con ordine? Ab­biamo qui un progetto di bilancio. Rimaniamo in sede di bilancio. Non siete d'accordo con me, Donaldson?

Ralph ;                          - Perfettamente.

Davis                             - Mi era giunta all'orecchio, non so bene da chi veramente, che la nostra ditta stava trattando un grosso affare di forniture alimentari con il Dipartimento della Marina. Forse anche voi, Donaldson, ne avevate sentito parlare?

Ralph i                          - Credo di sì.

Davis                             - Non vedo nessun accenno a questo ne nel bilancio - ed è logico - ma neanche nel preventivo. E questo mi stupisce. Non contate di poter condurre a buon fine questo affare?

Antonio                         - No. Non si è potuto concludere.

Davis                             - E si potrebbe conoscerne i motivi?

Antonio                         - Ho trovato delle resistenze proprio tra il personale militare. Ho creduto non fosse il caso di in­sistere.

Davis                             - Avete fatto male, permettete che ve lo dica. Non siamo qui per farci dei complimenti, vero? L'af­fare era cospicuo. Potevamo smaltire le giacenze, anche quelle di parecchi anni. Avreste dovuto far appello a chi poteva, con autorità, fiancheggiare la vostra opera. Abbiamo qui il signor Donaldson che ha molte relazioni nel mondo politico e certo vi sarebbe stato utilissimo nelle trattative con il Dipartimento. E poi ci sono io: ho dei giornali. Se i giornali non dovessero servire in occasioni simili, varrebbe la pena di spendere tanti capi­tali? Non vi pare, signor Giani?

Antonio                         - Siccome l'amministratore della Società sono io, ho creduto, come ho sempre fatto finora, di trattare la cosa personalmente.

Davis                             - E il risultato si è visto. Siete un po' accen-tratore, signor Giani; qualche volta è una qualità ma alle volte è un difetto. In questo caso è certo stato un danno: per tutti.

Antonio                         - (freddo ma con soffocata indignazione) La ditta l'abbiamo fondata noi, i Giani, ed è merito nostro se s'è affermata.

Davis                             - Nessuno lo disconosce. Ma è nell'interesse di tutti cercare di migliorare, di aumentare sempre più que­sta affermazione. Ora sarebbe bene fare parola, per chia­rire alcune direttive, anche su taluni sistemi che io giu­dico un po' superati.

Antonio                         - E' una vera e propria requisitoria?

Davis                             - Non parliamone nemmeno. Ma ciascuno di noi ha il diritto, e dirò anche il dovere, di difendere i propri capitali.

Antonio                         - Esatto. Vi ascolto.

Davis                             - La nostra è un'ottima Società. Ma io vi dirò che sono interessato anche in un'altra Società similare. Carni conservate. Già, niente di male, vero? L'« Ari­zona ». Per questo ho una certa competenza. L'«Ari­zona » è attrezzata molto più in piccolo: è più giovane. Eppure!'« Arizona » dà già utili maggiori. Sapete per­chè? Perchè il prodotto costa meno. Costa meno a chi lo produce. Sarà la confezione, sarà la preparazione...

Antonio                         - No, signor Davis. E' la qualità del mate­riale. L'«Arizona» adopera materiale di scarto: e il suo prodotto che, sul mercato, si vende a parità col nostro, non vale la metà del nostro. Mi spiace che siate inte­ressato nell'« Arizona », ma questa è la verità.

Davis l                           - Eppure l'affare con la Marina, se volete sa­perlo, l'ha concluso proprio l'«Arizona». Che volete che importi «e il materiale è un po' meno buono» quando il guadagno è maggiore?

Antonio                         - Sarebbe un invito ad impiegare materiale simile anche nella nostra produzione?

Davis                             - Lasciatemi finire. Siamo qui per quello che è meglio per tutti. Non è il caso di inalberarsi e di vedere intenzioni offensive dove non c'è che una buona volontà di cooperazione. Dunque i nostri prodotti sono migliori di quelli dell'« Arizona » e si vendono allo stesso prezzo: dovremmo logicamente schiacciare l'« Ari­zona ».

Antonio                         - Il che vi disturberebbe perchè siete azio­nista anche dell'« Arizona».

Davis                             -  Questo sarebbe il meno. Nella peggiore ipo­tesi proporrei una fusione fra le due Società.

Antonio                         - Assurdo: noi, i Giani, non accetteremmo mai.

Davis                             - Questo, ora, non c'entra. Perchè i nostri pro­dotti, se sono migliori, non hanno la preferenza assoluta del pubblico?

Antonio                         - Noi non spendiamo somme pazze in pub­blicità.

Davis                             - No. Il pubblico spicciolo, il cliente della strada vuole la nostra carne, non F« Arizona ». Ma questo cliente non basta, dirò anzi che conta poco. Quelle che contano sono le grandi organizzazioni, le grandi forni­tore ai collegi, alle truppe, alle carceri, alle collettività. Ed è qui, mio caro e giovane amico, che noi, anzi voi, siamo battuti. IL'«Arizona » trionfa, in questi affari -tipo Marina -, La ragione? Non è la pubblicità. No, no. E' che l'« Arizona » è una ditta schiettamente ame­ricana. Al cento per cento. Schiettamente nazionale. Ed ha quindi la preferenza su quelle altre che sia pure soltanto apparentemente hanno l'aria d'essere un po' stra­niere. Mi sono spiegato?

Antonio                         - Benissimo. Voi mi fate colpa della mia origine.

Davis                             - Chi parla di colpa?

Ralph                            - Non bisogna equivocare, caro Davis. Non vorrei che il nostro amico potesse credere che in Ame­rica esiste un protezionismo nazionalista. Ah no! Noi non abbiamo una mentalità così angusta. E se anche il nostro paese possa vantare qualche diritto a un certo orgoglio nazionale perchè quando si è all'avanguardia di tutto si può anche legittimamente difendere questa posi­zione di privilegio, noi abbiamo una mentalità liberale che apre generosamente le sue braccia a chiunque, da qualunque paese provenga, pur che valga. Qui non conta l'origine: conta il merito. E non facciamo distinzioni tra indigeni e stranieri.

Jim                                - Per forza. Siamo tutti stranieri. Gli indigeni sono i pellirossa: e li abbiamo ricacciati nelle foreste. I superstiti. Gli altri li abbiamo accoppati. Chiedo scusa dell'interruzione: è stato un moto istintivo.

Ralph                            - Dov'ero rimasto?

Antonio                         - Alla grande ospitalità generosa degli Stati Uniti.

Ralph                            - Malgrado questo, ammetterete che a parità di condizioni le grandi organizzazioni di Stato scelgono il nome che suona più familiare al loro orecchio ame­ricano. E' quasi una questione musicale. Giani si pro­nuncia male. Janny si pronuncerebbe meglio. E la no­stra ditta, purtroppo, ha un nome che suona ostico alla nostra sensibilità.

Davis                             - In i specie in questi tempi.

Ralph                            - Italia. Un bellissimo paese, mi dicono. Ma che ci ha inquinato per molti anni con i suoi emigranti - scusate, voi siete un'eccezione - che hanno trapian­tato qui la malavita... Come avete detto?

Antonio                         - Io? Non ho aperto bocca. Andate avanti.

Ralph                            - E poi, ora, in questa benedetta Italia impe­rano delle idee così medievali che non è da meravigliarsi se incontrano la reazione legittima di un popolo come il nostro, fiero delle proprie tradizioni di libertà. Non mi faccio scrupolo a dire questo in faccia a voi poiché so di non offendere nessuna suscettibilità: voi siete nato qui, avete studiato con noi, avete appreso i nostri co­stumi e il nostro modo di pensare. Di laggiù non vi è rimasto che una sciocchezza: il nome. Non è così?

Antonio                         - Esatto: il nome.

Davis                             - E siccome l'unico ostacolo allo sviluppo commerciale della nostra azienda è solo questo nome, i« credo che non avrete difficoltà ad accettare il suggeri­mento che noi avremmd deciso di consigliare.

Ralph                            - Una piccola modifica nella ragione sociale.

Davis                             - Oh, non vi spaventate: non sarà una modifica che possa ferire il vostro legittimo amor proprio di fon­datori. Tanto più che sarebbe anticommerciale cambiare un'insegna che si è vittoriosamente affermata. Giani. Che ci vuole a rendere americano questo nome? Niente. « Un « J » invece d'un « G » e un « Y » invece d'un « I ». Janny. Ecco fatto: guardate qua. Che altro effetto, eh? Scommetto quel che vorrete che tutte le differenze spa­riranno di colpo, anche in alto loco, davanti a questo nome nostro. Bisognerà cambiare tutte le iscrizioni, lo scatolame confezionato, la pubblicità permanente già in­stallata. Ecco il preventivo della spesa: dodicimila dol­lari in tutto. Ma in meno di dodici mesi i dodicimila dollari saranno ammortizzati, ve lo garantisco io. Senza contare la popolarità personale, il prestigio che voi stesso, come individuo, ne verrete ad avere. Insomma la bella figura che farete. Che ve ne pare? Passiamo ad altro. Questo è approvato.

Antonio                         - Un momento.

Ralph                            - Andiamo: non è il caso di avere degli scru­poli per un «i» lungo!

Antonio                         - Non            discuto i vantaggi che voi mi an­nunciate. Posso anche ammettere che molti contratti at­tualmente difficili si possano portare a buon fine in se­guito a questa suggerita modifica, tuttavia bisognerebbe che io l'accettassi.

Davis                             - Non vedo la ragione per cui dovreste op­porvi.

Antonio                         - Già, non è facile nemmeno per me espri­merla.

Ralph                            - Dopo tutto sarebbe anche un dovere. Un dovere di gratitudine verso questo Paese che vi ha dato tutto, dimenticando le vostre origini.

Antonio                         - Come sarebbe a dire? Le mie origini non hanno nessuna macchia.

Davis                             - Giovanotto, io sono molto più vecchio di voi: e posso dirvi di avere assistito proprio materialmente attorno al 1907 allo sbarco degli emigranti italiani che venivano qui a fare fortuna. Ci voleva molta buona vo­lontà ad accettarli, ve lo garantisco.

Antonio                         - Venivano dall'Italia come venivano dagli altri paesi.

Ralph                            - Ma non erano della nostra razza: e hanno portato qui, come le statistiche hanno dimostrato, gli istinti sanguinari e criminali che ora affliggono gli Stati Uniti.

Antonio                         - Ah, voi anglosassoni avreste imparato da noi la delinquenza?

Davis                             - Che c'entrate voi? Non siete dei loro.

Antonio                         - Comincio a sentirmi un po' dei loro. Io non sono uno studioso dei problemi della razza, ma ho sentito dire vagamente che questo paese apparteneva, in origine, a degli indigeni che non erano precisamente anglosassoni. Ed ho sentito dire che i vostri pionieri, sbarcati qui, hanno avuto da quegli indigeni aiuti d'ogni sorta nella prima lotta contro i disagi, il clima, il ter­reno: aiuto ed asilo. Ma siccome il terreno era ricco e favorevole, quegli anglosassoni per gratitudine, Bibbia alla mano, si son messi ad accoppare gli indigeni, a farne degli schiavi, a ricacciarli nelle foreste. Credo che nessun italiano abbia insegnato loro la delinquenza.

Ralph                            - Storia antica. Lotta necessaria per l'esistenza. Ma una volta padroni del luogo...

Antonio                         - Una volta padroni, hanno detto, come sempre: ecco l'ordine perfetto delle cose. Guai a chi lo vuol toccare. Così è e così deve essere in eterno.

Davis                             - Non deviamo con inutili discussioni politiche. E' inopportuno. Restiamo all'argomento. Voi rifiutate di modificare il nome della ditta?

Ralph                            - Davide, non precipitate. Il signor Giani deve vincere una certa resistenza intima; è più che naturale.

Davis                             - Io non ho fatto tante storie per cambiare nome, ai miei tempi!

Ralph                            - Ognuno ha il proprio temperamento.

Davis                             - Io capisco che uno ci tenga a rimaner inglese quand'è inglese: ma italiano!

JiM                                - Ci tenete a rimanere italiano?

Antonio                         - E' quello che mi sto domandando da mez­z'ora. Da quando avete cominciato ad attaccare questa sciocchezza che è uh nome, il mio nome. Io non ci avevo mai pensato, a questo nome. E ora... ora che questo nome vi disturba, comincia invece a piacere a me. A pia­cermi molto. Più vi disturba più mi piace. Curioso, vero? E sento che mi sarebbe molto difficile, moltissimo, cam­biarlo.

Ralph                            - Si tratta di opportunità.

Antonio                         - Perchè - dite la verità - perchè ce l'avete con noi?

Ralph                            - Con voi?

Antonio                         - Sì, contro gli italiani. In questo momento io sono uno di loro. Perchè? Che vi hanno fatto? Vi hanno portato braccia, intelligenza... Mio padre è stato di quelli.

Jim                                - E non lo capisci? Cinque milioni di italiani. Sarà giusto che gli anglosassoni si difendano. Che la stirpe eletta si difenda.

Antonio                         - Ah, perchè voi siete la stirpe eletta?

Jim                                - Io non c'entro. Se qui qualcuno comanda sono quelli di quell'altra razza, etengono in soggezione tutti almeno a chiacchiere. Dove lo mettete il prestigio? Non avete mai sentito dire che i quattro più grandi uomini dell'umanità sono stati Washington, Lincoln, Edison e Ford? Che l'elettricità l'ha scoperta Franklin? Questo non vi ha aperto gli occhi? Popolo eletto dove la po­lizia è d'accordo con la delinquenza. Dove le persone per bene si ubbriacano fino alla nausea.

Ralph                            - E' indegno che diciate queste cose voi, un americano.

Jim                                - Se le dicesse uno che non è americano lo prenderei a pugni.

Cecilia                           - Antonio, lasciate che dica una parola an­ch'io, avete torto a parlare di odio.

Antonio                         - Signora, voi siete donna e certe cose non le potete capire. Io sono nato e cresciuto qui, è vero. Allora che è questa barriera che, malgrado la mia atti­ vità, la mia forza, il mio ingegno - perchè è inutile la modestia, io ho ingegno e forza - che è questa barriera che si eleva da ogni parte? Barriera economica e sentimentale. Tutte le libertà, qui. Ma io non ho trovato una signorina che mi offrisse di sposarmi. Perchè sono le donne che offrono. Per il mio nome. So di medici italiani che non hanno un cliente americano. Nella co­siddetta vostra società - non la discuto, è quella che è -voi non ci accogliete: resistete. Be', che è questo, se non odio? E l'odio è cresciuto quando vi siete accorti che gli italiani non erano poi i disgraziati che voi crede­vate. E sapete che cosa vi ha aperto gli occhi?

Jim                                - Camera! Potete dir quello che volete, ma è stato Camera. Un italiano campione del mondo. Incre­dibile! Miracolo!

Antonio                         - Perchè la vostra ignoranza non sapeva che eravamo stati sempre campioni del mondo. Scusate! Par­lavo come se fossi nato a Roma: e invece sono nato a Nuova Jersey.

Davis                             - (dopo una pausa) iDunque, quand'è «osi, bi­sognerà procedere a una votazione.

Antonio                         - A una votazione sul mio nome?

Davis                             - Il vostro nome è affare puramente personale: ma il nome della ditta interessa tutti noi.

Antonio                         - L'abbiamo fondata noi: è sorta dal nulla. L'ha fatta mio padre, l'ha cominciata quando faceva il cuoco. Non me ne vergogno mica, come non se ne ver­gogna lui.

Davis                             - Calmatevi, giovanotto. Strillando non si giunge a niente: si fa tardi e basta.

Antonio                         - Comunque io, da solo, cioè con le azioni di mio padre e quelle di mio fratello che rappresento, ho la maggioranza. E mi oppongo a mutare ragione sociale.

Davis                             - Avreste pienamente diritto di farlo se fosse esatto quello che avete detto.

Antonio                         - Non è esatto?

Davis                             - No. Voi non avete la maggioranza delle azioni.

Antonio                         - Come?

.Davis                            - Vostro fratello ha venduto le sue diecimila azioni!

Antonio                         - Michele le ha vendute?

Davis                             - Questa mattina. A un agente di cambio che le ha cedute a me. Se voi sommate le mie azioni a quelle del signor Donaldson che la pensa come me...

Ralph                            - Identicamente.

Davis                             - La maggioranza ora siamo noi. Il signor Dillon...

Jim                                - Io dò ragione ad Antonio ma devo votare per Davide: dò ragione ai motivi, diremo così, ideali, ma devo tutelare i miei interessi.

Davis                             - Vedete?

Cecilia                           - Io no: io approvo il signor Giani.

Davis                             - E' logico che la moglie voti contro il proprio marito; ma questo non sposta la situazione. La maggio­ranza rimane egualmente dalla nostra parte.

Antonio                         - Per cui voi potete, se volete, sostituirmi come amministratore?

Davis                             - Per ora non ci pensiamo nemmeno: siamo soddisfatti di voi. A parte alcune variazioni che ap­porteremo circa il progetto del nuovo stabilimento di Trinidad. Vero, Donaldson?

Ralph                            - Esatto.

Davis                             - Quindi vi conviene non irrigidirvi in posi­zioni insostenibili.

Antonio                         - E vorrete certo giungere alla fusione con l'« Arizona »...

Davis                             - Studieremo la cosa. Non è il caso di preci­pitare. Se sarà un affare conveniente, perchè no?

Antonio                         - E' stato mio fratello! Disgraziato...

Davis                             - Che volete? Aveva bisogno di quattrini.

Antonio                         - Per sposare vostra figlia, malgrado il vostro divieto. Voi gli avete dato i mezzi di far questo!

Davis                             - Per questo avevo tagliato i viveri ad Elga: immaginavo la conclusione. In quanto al matrimonio, staremo a vedere. Allora - vista la nuova situazione - ac­cettate il mutamento del nome?

Antonio                         - No.

Davis                             - Ma facendo a questo modo voi vi cacciate con le vostre mani dalla Società. E' una vera pazzia.

Jim                                - Ci dev'essere un fondo di irresponsabilità ata­vico in questi orientali. In occasione di quella guerra che gli italiani hanno fatto agli abissini ho veduto io una quantità di loro partire volontari per l'Europa per andare a combattere, senza uno scopo. Non si sa perchè.

Antonio                         - Sì. Ci dev'essere qualcosa di atavico den­tro. Ed è balzato su, ora. Viene a galla in questo mo­mento. Insieme ad oscure nostalgie, a quadri di cose, di paesi che io non ho mai veduto con i miei occhi. E se la guerra con gli abissini ci fosse ancora, tra quei pazzi che partivano volontari ci vedreste forse anche me.

Davis                             - Molto bello, da parte vostra. Ma questo no: non è un sentimento atavico, perchè vostro padre, a suo tempo, non la pensava come noi.

Antonio                         - Che volete dire?

Davis                             - Niente, niente.

Antonio                         - No. Voglio che parliate. Mio padre ha sgobbato tutta la vita, da quand'è sbarcato qui fino ad oggi. E non permetto che un essere come voi dica una parola, una parola sola su di lui.

Davis                             - Un essere come me ha imparato una cosa, nella sua lunga vita: che non è mai il caso di offendersi. Una cosa che voi invece non avete ancora imparato.

Antonio                         - Allora volete parlare? Che sono le vostre insinuazioni su mio padre?

Davis                             - Ma niente; io avrei fatto come vostro padre.

Antonio                         - Non 'è possibile.

Davis                             - Ma sì. Dopo tutto disertare che vuol dire? Vuol dire dissentire dall'opinione del proprio Governo.

Antonio                         - Disertare? Voi siete un disertore?

Davis                             - Io? No. Non so verso qual paese io abbia mai avuto degli obblighi militari. Non mi trovo neanche nella possibilità di disertare. Ed è sempre stato così nella mia vita.

Antonio                         - Ma allora...

Davis                             - Non ne parliamo più. Riprendiamo le nostre chiacchiere d'affari.

Antonio                         - No.

Davis                             - Insomma io non aggiungerò una parola. E' inutile che insistiate. Tanto più che stasera, non so perchè, non mi sembrate in uno stato d'equilibrio tale da consentirvi di giudicare le cose con serenità. Ecco.

Ralph                            - Avete detto molto bene, Davis. E nessuno di noi ha mai fatto colpa al vecchio Giani di questo.

 Antonio                        - (alzandosi) Dato come stanno le cose, vi pregherei di voler sospendere questo Consiglio. Io devo conferire con mio padre, dopo di che verranno prese quelle decisioni che saranno più opportune. In questo momento non vedo in qual veste ancora io potrei inter­loquire qui.

Davis                             - Di azionista intanto. E, perchè no?, di am­ministratore. Noi speriamo ancora che il buon senso prevalga in voi e vi consigli a non abbandonare un posto nel quale avevate acquistato la fiducia di tutti.

Antonio                         - (gelido) Vi ringrazio. Signora, permettete che io mi ritiri...

Cecilia                           - Sono spiacentissima che incidenti di questa natura...

Antonio                         - Vi sono riconoscente di avermi voluto sostenere in una lotta che era perduta in anticipo.

Cecilia                           - Le donne non ragionano con l'interesse soltanto. Spero di rivedervi.

Antonio                         - Malgrado tutto quanto è accaduto?

Cecilia                           - Soprattutto per questo.

Antonio                         - (ai presenti) Buona notte, signori.

Jim                                - Tony, non siate arrabbiato. In fondo noi sap­piamo benissimo che non è stato Franklin a scoprire l'elettricità, ma un italiano: Volta.

Antonio                         - Non ha importanza. Buona notte. (Esce).

Ralph                            - Un bel carattere, però. Ostinato. Si vede che sua madre era americana.

FINE DEL SECONDO ATTO

TERZO ATTO

La stessa scena del primo atto: è notte. Elga, distesa sul divano, sta fumando. Michele sta preparando una valigia da viaggio. La ragazza è in abito da viaggio: Mi­chele anche. Egli procede silenziosamente nel suo lavoro. Va verso il pianoforte a raccogliere i fogli sparsi, evi­dentemente per portarli via con sé.

Elga                               - E' inutile che tu prenda la tua musica. Quando ritornerai riprenderai tutto.

Michele                         - La voglio portare via con me. Hai la­sciato scritto qualcosa a tuo padre, tu?

Elga                               - No. Ho avvertito la cameriera che lo infor­masse domani.

Michele                         - Dove saremo, domani?

Elga                               - Non lo so. Andremo a caso. Guido io la macchina: già fatto il piano. Tutto è a posto.

Michele                         - Non sono io che rapisco te: sei tu che mi rapisci.

Elga                               - Speriamo che non mi debba pentire.

Michele                         - (interrompendosi) Hai già di queste paure? Quando si è innamorati si deve credere che sarà per tutta la vita.

Elga                               - Ma quando si è intelligenti si sa che queste sono utopie. Ma perchè parlarne ora? Non mi sembra il momento.

Michele                         - Sei ancora in tempo.

Elga                               - No. Mi diverte troppo l'idea di andarmene. Papà che s'infuria dell*, mia sparizione; e incarica dieci agenti delle ricerche. E non mi trovano. Senti: è un gioco troppo bello e troppo nuovo perchè io ci rinunci.

Michele i                       - Insomma tu scappi con me per giocare a nasconderti con tuo padre!

Elga                               - Capirai che mi ha vietato di sposarti. Non gliela dò vinta neanche per tutto l'oro del mondo.

Michele                         - Ho capito: è tutto un puntiglio.

Elga                               - Non ti lamentare: in tutto questo chi ci gua­dagna sei tu. (Essa si alza e va a guardarsi allo specchio) Ti piace questo vestito? L'ho fatto fare apposta. «In che occasione serve?», mi ha chiesto la sarta. «Fuga col pro­prio amante », ho risposto io.

Michele                         - Che idea di andare a raccontare queste cose alla sarta!

Elga                               - Ti vergogni di me?

Michele                         - Non c'entra: ho un po' di discrezione...

Elga                               - Ma se parli a tutti i tuoi amici del nostro amore! E poi mezza Nuova York ormai ci ha veduti assieme.

Michele                         - Ma non siamo amanti per nulla.

Elga                               - Ho anticipato. (Si avvicina a Michele: gli prende la testa fra le mani con voluttà animalesca) Amanti, sì. Mi piace questa parola. Sposare è una cosa normale: tutte le ragazze lo fanno. Ma scappare, a que­sto modo, no: è molto più originale. Ne parleranno i giornali. Sarò una donna che ha avuto nella sua vita un vero romanzo d'amore.

Michele                         - Elga, mi sembri un po' esaltata. E' una cosa seria quella che stiamo facendo: molto seria.

Elga                               - Lo so. E con questo?

Michele                         - Tu la prendi in tono troppo sportivo. Non si tratta di fare un'ascensione, di andare là dove le tue amiche non sono ancora state, di fare un tuffo difficile. Si tratta della vita, del matrimonio, della fa­ miglia

Elga                               - Non c'è nessun film nel quale un uomo, nel momento di fare una sciocchezza con una donna, le faccia di questi discorsi.

IMichele                        - Ma non si tratta di film. [Non capisco, tu sei sempre stata così riflessiva, pratica, sensata. Molto più di me. Che è quest'esaltazióne improvvisa? (La fissa negli occhi: le prende i polsi) Di'! Tu sei ubbriaca...

Elga                               - (ridendo) Appena un po', poco poco.

Michele                         - (irritato)'Sei pazza. Completamente pazza.

Elga                               - (sempre ridendo) Hai paura che ti rovesci in un fosso, guidando?

Michele                         - (alzando le spalle) Figurati! Mi sembra assurdo che stasera, proprio stasera, tu abbia pensato a...

Elga                               - "Sei diventato proibizionista? Bada che non mi piaci.

Michele                         - Neanche tu mi piaci così. Vorresti magari andare davanti al pastore in questo stato?

Elga                               - Sarebbe molto moderno. Sai, nei grandi mo­menti della vita, un po' d'alcole tien su. E allora...

Michele                         - Io stasera non vengo via.

Elga                               - Micky, non fare i capricci...

Michele                         - Partiremo domani, un altro giorno, quando tu sarai in uno stato normale. (Con un piede allontana la valigia e siede in una poltrona imbronciato).

Elga                               - (viene a sedere sul bracciuolo della poltrona) Come seicattivo con la tua Elga! Dov'è l'amore? Ti prometto che per una settimana non tocco più liquori. Andiamo.

Michele                         - No: ti ho detto di no. Stanotte ritorni a casa e vai a dormire nel tuo letto. Domani ne ripar­leremo.

Elga                               - (con un sospiro) Sarai un pessimo marito: lo sento. Noioso. Antiquato. Come farò a sopportarti?

Michele                         - Quello che dico io: per questo iè bene che tu ci rifletta in condizioni di, lucidità. Torna a casa.

Elga                               - Già! Con la valigetta... Dopo quello che ho detto alla cameriera. Quella mi rivede nel mio letto e scoppia a ridere. Non voglio. Fammi dormire qui, al­meno. Avrai una istanza, un letto.

Michele                         - Non ti faccio dormire qui. Qui c'è mio padre, mio fratello. E poi una signorina...

Elga                               - Se mi sentissi male, non mi daresti ospi­talità? Fammi dormire qui.

Michele                         - Elga, cerca di tornare ad essere la creatura di buon senso che ho sempre conósciuta...

Elca                               - Sai come dovresti fare?

Michele                         - Per far che?

Elga                               - Per farmi passare di colpo la nebbia... Sciaf-feggiarmi forte. Ho visto nei film. Si fa così. Pam, pam. E l'ubbriaco non è più ubbriaco.

Michele                         - Questi sistemi li usano gli americani. Io non sono americano.

Elga                               - Cosa sei tu? Dimmi cosa sei.

Michele                         - Non lo so.

Elga                               - Sei il mio amore.

Michele                         - Non è vero. Tu giochi all'amore: e ho paura che in questo momento io o un altro per te sarebbe lo stesso.

Elga                               - Dammi un bacio.

Michele                         - No.

Elga                               - Aveva ragione papà. Sei un ragazzo.

Michele                         - Insomma finiscila: in queste condizioni è impossibile neanche discutere con te. Ti riaccom­pagno a casa.

Elga                               - Non ho bisogno di sorveglianza: so andarci da sola.

Michele                         - Ti riaccompagno.

Elga                               - Ho detto di no. Tanto più che vado in un albergo. Non vado a casa: vado in un albergo.

Michele                         - Per via della tua cameriera, vero? Hai una bella mentalità.

Elga                               - Senti: fare tante storie per un po' di « scotch » è indegno, assolutamente indegno. Non so se riuscirò a perdonarti quando mi risveglierò. E allora chi ci rimette sei tu. Perchè facevi un buon affare sposando me. Papà avrebbe finito con l'accettare la situazione: dopo tutto non ha altri figli. E allora... A questo ci hai pensato?

Michele                         - Comincio a pensarci ora.

Elga                               - I milioni di Davis valgono bene un po' di « scotch », no? (Dal fondo entra, in marsina, Antonio: vede i due e fa per ritirarsi).

Antonio                         - Scusate!

Michele                         - No: puoi venire. La signorina stava an­dandosene.

Elga                               - Buona sera, Antonio. Non è una scena d'amore questa. Non disturbate affatto.

Antonio                         - Meglio così.

'Elga                              - Siete stupito di trovarmi all'una di notte? Ero venuta per rapirlo. Sì: dovevamo scappare insieme questa notte. Poi Michele ha cambiato idea. Forse anch'io ho cambiato idea. E magari è un bene per tatti.

Antonio                         - Sono di questo parere anch'io.

Elga                               - Figuratevi che mi ha detto di tornare a casa. Vostro fratello! Bel consiglio, vero?

Antonio                         - Ottimo.

Elga                               - idi ho chiesto di ospitarmi qui. Niente. Ha rifiutato.

Antonio                         - Restituisco a mio fratello un po' di stima.

Elga                               - Ma sapete che vuol dire tutto questo? Che il matrimonio andrà a monte.

Antonio                         - Pazienza. Si vede che l'amore non era molto profondo.

Elga                               - Buona notte.

Michele                         - Ti riaccompagno.

Elga                               - Ho detto di no: voglio andare sola, vado all'albergo. (Esce seguita da Michele che tenta invano di persuaderla. Antonio rimane solo, immobile, in piedi in mezzo allo studio. Michele rientra).

Michele ì                       - E' irresponsabile. Le passerà. Doveva aver bevuto tutta una bottiglia di «scotch »!

Antonio                         - Ah!

Michele                         - In queste condizioni mi sono rifiutato di...

Antonio                         - (interrompendolo aspramente) E' per questo che non sei venuto stasera al Consiglio in casa Do­naldson?

Michele                         - (evasivo) Infatti...

Antonio                         - Per questo e per vergogna.

Michele                         - (reagendo) Vergogna di che?

Antonio                         - Di quello che hai fatto. Michele    - Non era un mistero che io e la signorina Davis...

Antonio                         - Lascia stare la signorina Davis: non c'entra. I tuoi garbugli sentimentali non m'interessano. Parlo della pazzia che hai fatto.

Michele                         - Quale pazzia?

Antonio                         - Tu hai venduto le azioni.

Michele                         - E con questo? Erano mie, no? Non avevo il diritto di venderle?

Antonio                         - No: non avevi il diritto. Papà te lo aveva proibito.

Michele                         - Le ho offerte a te: non le hai volute.

Antonio                         - Allora le hai vendute ai miei nemici.

Michele                         - Nemici? Quali? Le ho vendute a un agente di borsa.

Antonio                         - Che si è affrettato a rivenderle a Davis, al tuo futuro suocero. E io, stasera, quelle azioni me le sono trovate di faccia, contro di me.

Michele                         - Perchè? Che è accaduto?

Antonio                         - E' accaduto che per colpa tua, noi, i Giani, abbiamo perduto la maggioranza; e siccome non ho voluto aderire alle imposizioni di quegli altri, io non sono più l'amministratore della Società. Michele      - -No?!

Antonio                         -  Già. Tutto per quel bell'arnese di ragazza che è uscita di qui, ubbriaca. E non imi meraviglierei che tutto questo essa te l'avesse suggerito su consiglio di suo padre!

 Michele                        - (Non dire assurdità.

Antonio                         - H risultato è questo.

Michele                         - (dopo una pausa) E quali erano queste imposizioni?

Antonio                         - (seccato, alzando le spalle) Cambiare il nome della ditta. H vecchio Davis farà una fusione con l'« Arizona »: una ditta concorrente che gli appartiene. Perchè ha il piede un po' dappertutto.

Michele                         - Antonio! Io non potevo immaginare...

Antonio                         - Figuriamoci se tu puoi immaginare qual­che cosa...

Michele                         - Ma se tu le avessi comperate, come ti avevo proposto io!

Antonio                         - Smettila! Io non volevo che tu commet­tessi una sciocchezza...

Michele                         - E ora che si può fare?

Antonio                         - Che vuoi fare? iNiente. Realizzare anche le nostre azioni, e cambiare strada.

Michele                         - Ma come? Cambiare istrada... Tu non sei più un ragazzo.

Antonio                         - Eppure...

Michele                         - Antonio, è per colpa mia!

Antonio                         - Per colpa tua. Se questo almeno avrà ser­vito finalmente ad aprirti gli occhi sulla realtà della vita, be', il danno non sarà stato eccessivo.

Michele                         - Sì:' imi rendo conto...

Antonio                         - Che non esistono solo i capricci senti­mentali, i sorrisi delle donne. Ecco, è uscita di là, ora, la donna per cui hai fatto questo bel lavoro. Ne valeva la pena? Io te lo domando: ne valeva la pena?

Michele                         - (umilmente a fior di labbra) No.

Antonio                         - Prima imparare ad essere uomini, poi aver bisogno della donna. Anch'io, vedi, oggi, quando credevo d'essere sistemato, di camminare sul solido, avevo cominciato a pensare a una donna. Ma ora è scomparsa: ora non c'è più nessuno. C'è qualcosa di molto più urgente e più grave.

Michele                         - (avvicinandosi al fratello) Antonio: mi perdoni?

Antonio                         - Dimmi una cosa invece. Avevi deciso di sposarla, vero?

Michele                         - Sì.

Antonio                         - Allora... Hai rinunciato alla cittadinanza italiana?

Michele                         - Non ce n'è stato bisogno: noi abbiamo due cittadinanze. Abbiamo diritto a due passaporti. Avrei adoperato la mia qualità d'americano.

Antonio                         - Meglio così.

Michele                         - Perchè?

Antonio                         - Perchè io ho rinunciato alla ditta per questo, solo per questo, per conservare la nazionalità di mio padre. Perchè? Non lo so. Qui, malgrado tutto, malgrado vi siamo cresciuti, malgrado le nostre ami­cizie, il nostro lavoro, noi siamo degli stranieri. Io mi son sentito straniero. Capisci? No, tu non lo puoi capire...

Michele                         - Sì, Antonio, capisco!

Antonio                         - Bravo, Michele! Con papà non dir nulla per il momento!

Michele                         - Bisognerà pur metterlo al corrente.

Antonio                         - Sì, ma Davis ha fatto alcune allusioni strane. Vorrei prima rendermi conto io... (Frattanto è comparso sulla porta di fondo Pasquale ed ha inteso le ultime parole).

Pasquale                        - Di che vuoi renderti conto?

Antonio                         - Ancora alzato, papà? A quest'ora?

Pasquale                        - Sì. Ho parlato poco fa per telefono con Donaldson: sono al corrente di tutto.

Antonio                         - Hai saputo?

Pasquale                        - Sì. E ti aspettavo.

Antonio                         - Naturalmente mi dirai che ho fatto male ad agire «osi.

Pasquale                        - Donaldson mi ha detto che sei stato vio­lentissimo ed insensato. Ma questo lo dice lui. E che ti sei impuntato per delle sciocchezze.

Michele                         - Non erano sciocchezze, papà.

Pasquale                        - Tu sta zitto: tutto quanto succede è per colpa tua. Se non avessimo perduto la maggioranza, avrebbero dovuto cedere gli altri.

Michele                         - Non credevo che...

Pasquale                        - Te l'avevo proibito! Non c'è bisogno di credere nulla. Avresti dovuto obbedire a tuo padre. (Poi ad Antonio) E ora?

Antonio                         - (alzando le spalle) Io, per me, abbandono la ditta. Ho altre idee.

Pasquale                        - Quali sono queste idee?

Antonio                         - Inutile, papà. E poi non sono ancora idee chiare. Bisognerà maturarle. Lascia che inquadri la nuova situazione. Forse, non resterò nemmeno più qui.

Pasquale                        - E dove vuoi andare?

Antonio                         - Se te l'ho detto che non so. Forse in Eu­ropa!

Pasquale                        - In Europa?

Antonio                         - In Italia.

Pasquale                        - Perchè? Che è accaduto?

Antonio                         - Non ti pare che basti quello che è successo stasera? Che altro vorresti?

Pasquale                        - Non è una ragione per emigrare. Il con­trario anzi. Le fortune si rifanno più facilmente qui.

Antonio                         - (alzando le spalle) Non si tratta di rifare perchè non siamo rovinati, mi sembra. Tutt'altro. Se rea­lizziamo, oggi realizziamo bene.

Pasquale                        - E allora che cos'è? (Antonio non risponde. Allora il padre si rivolge a Michele) Lo sai, tu?

Michele                         - Forse. E potrebbe darsi, se Antonio parte, che lo accompagnassi anch'io.

Pasquale                        - Anche tu?

Michele                         - Sì..

Antonio                         - (intervenendo) Sta zitto, Michele. Papà non può comprendere.

Pasquale                        - (insorgendo) Che cosa non posso com­prendere?

Antonio                         - Volevo dire. Tu ne sei venuto via, tanti anni fa... Vuol dire che non avevi voglia di restarci, in Italia... Allora!

Pasquale                        - E allora?

Antonio                         - Allora, niente. Difficile che tu capisca que­sta nostra smania, stupida se vuoi, assurda, ma insomma viva, vera, di andare a vedere un paese che è il nostro e che non conosciamo.

Pasquale                        - (dopo una pausa guardando prima Vuno e poi l'altro dei figli) Davvero voi volete conoscere l'Italia?

 Antonio                        - Sì.

Michele                         - Sì.

Pasquale                        - Avete ragione. (Con voce che mano a mano si abbassa ma si scalda come al calore di una se­greta nostalgia) E' un paese molto diverso 'da questo. Quando l'ho lasciato io poi..., tanti anni fa, era anche molto più umile. Io ricordo l'Italia di trentanove anni fa. 1900. Dopo s'è molto cambiata. Ma anche com'era. Come la ricordo io: era bella. Con i suoi bei campi. Magari piccoli. Le fattorie, magari catapecchie con den­tro una sola vacca, come quella che avevo io vicino a Padova... Col pozzo. Ci ho tanto giocato da bambino at­torno a quel pozzo. C'era la nonna, che strillava sempre perchè aveva paura «he mi sporgessi troppo sull'orlo di quel pozzo: «Un giorno finirai che ci caschi dentro! ». Non ci sono cascato mai. Cosa c'era in quel paesello di bello? La chiesa? No: una chiesetta nuda con un cam­panile non finito. In tanti anni non lo avevano finito mai. Benché ci fosse una cassettina in chiesa: offerta per i lavori del campanile. Ma nessuno ci buttava un soldo. Eppure... Eppure. Era un paesino bello. Si chiamava Mo­nacella. Frazione Monacella.

Antonio                         - (dopo una pausa) E perchè l'hai lasciato? Sei venuto via?

Pasquale                        - L'America! Era una gran parola... Che vuoi? In quei tempi, la sera, all'osteria, si faceva un gran discorrere dell'America. Qualche anno laggiù, si diceva: e si torna ricchi. Io mi son deciso per la voglia che avevo di comprare un certo piccolo fondo, vicino alla mia cascina. Un fondo coltivato a grano. Ero giovane. Qualche anno di sacrificio mi pareva si potesse spendere per riuscire poi ad avere quel fondo. Vedete: aspirazioni modeste. Io ed un amico, di Monacella, ci siamo decisi. Siamo venuti qui.

Antonio                         - I soldi li hai fatti. E non hai più pensato a tornare...

Pasquale                        -  Li ho fatti? Quando? Quando era troppo tardi. Sapessi la vita che ho dovuto trascinare prima, Altro che paese incantato! Per guadagnare solo di che mangiare, io e Giannino, era il mio compagno di sven­tura, abbiamo dovuto fare i mestieri che nessuno qui voleva fare. Solo gli italiani e gli irlandesi accettavano. Ma gli irlandesi si ubbriacavano e venivano licenziati. Allora si vendicavano ammazzandoci. Giannino ci ha ri­messo la pelle «osi. Brutti tempi quelli. Poi mi son messo a fare il cuoco. Per le squadre dei compagni. E ho cono­sciuto vostra madre. Ci siamo sposati per unire due mi­serie e consolarci con un po' d'amore. Da cuoco, piano piano sono arrivato alle carni in scatola. Ma quanti anni ci sono voluti. Vostra madre è morta presto, che eravate tutt'e due piccini. Tornare laggiù? Tornarci povero? No. Ho aspettato. Ho aspettato troppo.

Antonio                         - E perchè di tutto questo non ci hai par­lato mai?

Pasquale                        - (Non lo so. Non è piacevole parlare di origini così umili.

Antonio                         - A pme vuoi raccontare questo, papà? Ti conosco. Sei sempre stato fiero di aver cominciato dal basso.

Pasquale                        - E allora vedi che te n'ho parlato.

Antonio                         - Della fatica, dei patimenti, sì: ma non mi hai parlato mai del tuo paese. E' la prima volta stasera. E' la prima volta che tu ci dici questo nome, Monacella,

Pasquale                        - Che interesse poteva avere per voi? Io lo conosco, lo ricordo, ma voi...

Antonio                         - Avanti: di' la verità. Ai tuoi figli la puoi dire.

Pasquale                        - Che verità? Non c'è niente da nascondere.

Antonio                         - Tu ti sei sempre vergognato di qualche cosa. Non del tuo lavoro. Ti ho sentito ripetere tante volte che t'eri fatto da te, soffrendo la fame. Ma non ti ho sentito mai dire con fierezza d'essere nato in Italia. Ti vergognavi di questo?

Pasquale                        - Non dire eresie. Vergognarmene! E perchè?

Antonio                         - Non lo so. Avevi commesso forse qual­cosa laggiù che non andava bene?

Michele                         - Antonio! Non dire nemmeno...

Pasquale                        - (a Michele) E lascia che parli! (Ad An­tonio) No. Non avevo commesso nulla. Mi stimavano. Sapevano che ero un lavoratore.

Antonio                         - E allora, scusa, papà, non ti capisco.

Pasquale                        - Che cosa non capisci?

Antonio                         - Tutto. Avresti dovuto allevarci in un altro modo. Tu avevi dei ricordi? Una nostalgia. Insomma una patria. E perchè non l'hai data anche a noi? Siamo o non siamo figli tuoi?

Pasquale                        - Non vi ho detto nulla contro l'Italia.

Antonio                         - E ti pare che basti? Non ce l'hai nominata mai. Siamo cresciuti qui, in fondo estranei in questo paese e senza nessun attaccamento per nessuna altra terra... Quel pozzo accanto al quale tu giocavi, quel cam­panile non finito... li abbiamo conosciuti stasera, attra­verso la tua parola. Ma dentro di te dovevano pur es­serci sempre. Possibile che...

Pasquale                        - (interrompendolo) Insomma basta. Io ho fatto quello che ho creduto di fare. Voi fate quello che volete.

Antonio                         - E se noi partiamo tu vieni con noi?

Pasquale                        - Io? Perchè? Non c'è ragione...

Antonio                         - A questo punto?

Pasquale                        - Che cosa?

Antonio                         - Ma insomma, noi siamo i tuoi figli. A noi puoi dire tutto. Devi dirlo. Che hai fatto?

Pasquale                        - (cupo) Niente...

Michele                         - (ad Antonio) Lascialo stare. Se non vuol parlare avrà i suoi motivi.

Antonio                         - Papà, ma noi siamo orgogliosi di te, in tutti i sensi, della tua energia, della tua tenacia, dei tuoi prin­cìpi, di tutto. Ma in questo momento, quando, per la prima volta in tanti anni, si arriva a parlare di qualcosa di più intimo, di più nostro c'è come una barriera. Che è? Ti dispiace che ci siamo sentiti italiani?

Pasquale                        - (con impeto) Ma no. Il contrario. Ma io...

Antonio                         - Ma tu?...

Pasquale                        - Quando sono entrato tu parlavi di allu­sioni strane che t'hanno fatto.

Antonio                         - Ebbene?

Pasquale                        - Nel 1915 in Europa c'è stata la guerra. La grande guerra. Io allora ero solo qui, con voi due, piccini. La mamma non c'era più. Ero solo, capite? E avrei dovuto partire. A ehi vi lasciavo? [Non sono partito.

 Antonio                        - Ah!

Pasquale i                      - Ecco. Non c'è altro. Ero ancora poveris­simo in quei tempi.

Michele                         - Non li hanno amnistiati tutti i...

Pasquale                        - Sì. Nessuno mi farebbe niente. Ma non ci sono soltanto le leggi. E' di questo che mi vergogno. Ho sempre avuto paura che voi due, un giorno, mi chie­deste: ma la guerra tu perchè non l'hai fatta? Per questo ho sempre evitato di parlare dell'Italia.

(Michele                        - Tu sei rimasto qui per necessità di cose. Avevi due figli piccoli...

Antonio                         - Sta zitto, Michele.

Pasquale                        - (a Michele) Ha ragione tuo fratello.

Antonio                         - No: non ho ragione. Non te ne faccio nes­suna colpa, papà. Siamo uomini: e non potrei proprio essere io a biasimarti. Ma sentirsi dire, da uno straniero, perchè ora, capisci, per me, questi americani sono stra­nieri, sentirsi dire che tuo padre... Be', non è una cosa piacevole.

Pasquale                        - Che vuoi che m'importi di questa gente? Hai detto bene: stranieri. Io mi sono sempre sentito dif­ferente, qui. Quello che m'importa sei tu: siete voi.

Antonio                         - Gli altri che eran qui sono partiti?

Pasquale                        - Tanti amici sono andati: molti non sono tornati. Uno è tornato mutilato. E mi diceva: « Fortunato tu che hai evitato l'inferno... ». Ma io, dopo, ho cercato di evitare quei compagni che sapevano. Continuavano a parlare del Carso, del Piave... E io... Insomma li ho evitati.

Antonio                         - Papà, allora tu non hai potuto pagare quel debito. Una disgrazia può capitare. Lo pagheremo noi. E tu parti con noi. Vedi - è strano - mentre parlavi, prima, del tuo paese mi è parso che lì fossi nato io, lì cresciuto. Li ho messi io di nascosto i cento nella cas­setta delle offerte per quel campanile. E' come un amore che per trent'anni avessi avuto dentro, senza saperlo. Papà, non si combatte per un paese soltanto con le armi. Quando occorre, anche con quelle. Ma si combatte anche lavorando. E noi dobbiamo andare a lavorare a casa. Dobbiamo portare i nostri dollari e le nostre braccia a casa nostra. E le nuove famiglie ce le faremo laggiù.

Michele                         - Dovevo partire per un viaggio di nozze. Sarà questo.

Pasquale                        - Credo che troverò molto cambiato il mio paese. Non ve l'ho mai detto, ma ricevevo di nascosto i giornali di laggiù. So tante cose che... Ve le racconterò durante il viaggio. Pare che sia diventato molto più bello...

Antonio                         - Taci, papà.

Pasquale                        - Perchè?

Antonio                         - E' già tanto bello il paese verso cui stiamo andando. Vero, Michele? Non può essere più bello di così Monacella.

FINE