La serva amorosa

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LA SERVA AMOROSA

LA SERVA AMOROSA

di Giuseppe De Francesco

commedia in due atti liberamente tratta dall'omonima di

Carlo Goldoni

PERSONAGGI DELLA COMMEDIA

Ottavio de Nero,  mercante in età avanzata

Beatrice,  sua seconda moglie

Florindo,  figlio di Ottavio del primo letto

Lelio,  figlio di Beatrice del precedente matrimonio

Arlecchino,  servitore di Ottavio

Corallina,  vedova; serva di Florindo

Tonin,  servitore in casa di Ottavio

Pantalone de' Bisognosi,  ricco  mercante veneziano

Rosaura,  sua figlia

Brighella,  servitore di Pantalone

Ser Agapito,  Notaio

La scena si rappresenta in Verona.


PRESENTAZIONE DELL'ADATTAMENTO

            L'intenzione primaria del mio adattamento è stata quella di restituire a quest'opera minore di Goldoni, da qualcuno definita addirittura quasi di impronta noir, il respiro della Commedia. Aggiungendo battute comiche alle maschere, ampliando le scene umoristiche ed alleggerendone il finale, ho inteso concedere allo spettatore, che vede nei classici goldoniani un'occasione di svago più che non di impegno letterario, l'opportunità di godere e apprezzare una delle Commedie meno conosciute, ma che rimane, a mio avviso, una di quelle di miglior concezione, soprattutto per la finezza drammaturgica dell'incipit.

             Concepito all'interno del laboratorio di drammaturgia guidato dal drammaturgo spagnolo Josè Sanchis Sinisterra, durante uno dei corsi da me frequentati presso la Scuola Europea per l'Arte dell'Attore del Teatro di Pisa, il lavoro di elaborazione de La serva amorosa è stato in seguito da me ripreso e sviluppato, grazie soprattutto all'interessamento espresso dal Gruppo Teatrale di Trieste "LA BARCACCIA" (Via dell'Istria, 53 - 34100 Trieste; tel. n. 040/369536), che si è manifestato concretamente attraverso la richiesta di messinscena dell'opera, secondo il mio adattamento e con la mia regìa.

            Un'attenzione particolare ha richiesto il lavoro di ricerca linguistica e glottologica per la ridefinizione da me attuata circa l'idioletto di Ottavio, al quale, oltre al patronimico (da Panzoni a De Nero) ho voluto cambiare la parlata: di fronte a Pantalone egli quasi si vergogna di far vedere che non parla più in dialetto veneto bensì in toscano, e ciò per il vezzo di soddisfare la giovane moglie Beatrice, nell'esplicita intenzione di voler apparire agli occhi di lei più raffinato ed intelligente ("Mi parlo pulito... parlo ben..."). Tale comportamento desta lo stupore di Pantalone ("Mo che strambazzo, el va avanti co sto toscan!"), evidentemente abituato a tutt'altro modo di esprimersi del "collega" in pensione (entrambi rappresentano la borghesia mercantile che operava a quei tempi -1752 - in Verona). Nel finale, però, tutto si ristabilisce e il carattere Ottavio torna a essere maschera: la moglie bugiarda è allontanata dal talamo nuziale, il figlio legittimo è ripreso in casa e riabilitato come erede, e conseguentemente, non essendoci più nessuno da compiacere, si torna alla parlata di sempre, a quel dialetto veneto caro a tutti i personaggi più vivaci e genuini del teatro goldoniano.

            Nell' happy end dei matrimoni a catena, ho voluto inserire un'ulteriore divergenza rispetto all'originale: conscio del fatto che Goldoni intese, con quest'opera, squarciare dei veli nei rapporti uomo-donna del suo tempo, forzandone i risvolti nei punti cruciali, mi è parso tuttavia più opportuno che fosse Brighella a chiedere esplicitamente la mano di Corallina (rinnovando così quanto già dichiarato nel primo atto: "Tra el numero de quei che ve vol, ghe son anca mi..."), piuttosto del contrario. Nel restituire a Corallina una femminilità che altrimenti rischia di essere perduta, ritengo che si rafforzi l'idea della donna forte e positiva, superiore all'uomo in fatto di virtù, ma lontana da lui per quanto attiene ai vizi, e quindi intimamente, strutturalmente e sostanzialmente diversa e migliore, proprio perchè non-uomo, fuggendo così all'equivoco di considerare le qualità dei personaggi femminili solo quando questi siano capaci di imitare in tutto o in parte i comportamenti di quelli maschili.

Giuseppe De Francesco

SINOSSI.

Florindo, figlio del primo matrimonio di Ottavio de Nero, è cacciato di casa da questo, a causa dei continui litigi che in casa sorgevano tra il giovane e Beatrice, la nuova moglie dell'anziano mercante. Assieme a lui, se ne va anche Corallina, serva fedele e amorosa, che lo aiuta e lo conforta. Il vecchio Pantalone, anch'egli mercante, spinto da zelo d'onore, intercede presso Ottavio per la riammissione di Florindo nella casa paterna, ma viene malamente cacciato di casa da Beatrice. Entra in scena anche Lelio, figlio di primo letto di Beatrice, sciocco cicisbeo al quale la madre intende far intestare tutti i beni di Ottavio.

Per una confidenza di Brighella, servitore in casa di Pantalone, Corallina arriva a sapere che la figlia del mercante veneziano, Rosaura, spesso e volentieri si affaccia alla finestra per lanciare qualche occhiata all'indirizzo di Florindo, che abita lì accanto. Per Corallina questo è un matrimonio che si potrebbe ben combinare, riscattando così sia sé stessa agli occhi della gente, sia il padroncino Florindo agli occhi del padre. E di questa sua idea ne informa subito Pantalone, facendogli intravedere la possibilità, con questo matrimonio, di rivalersi su Beatrice, dandole finalmente una sonora lezione.

Molte, però, sono le difficoltà che intralciano la via: Lelio è anch'egli innamorato di Rosaura ed attraverso una serie di malintesi con Pantalone, riesce a farsi strappare da lui il permesso di sposarla. Come se non bastasse, arriva anche Arlecchino, servitore di Ottavio, dispettoso e ignorante, a rimescolare le carte in modo che Beatrice si allarmi per i propositi che Corallina ha di far sposare Florindo con Rosaura. In più c'è il testamento di Ottavio, che il notaio Ser Agapito si predispone a redigere su precisa richiesta di Beatrice e che taglierebbe fuori Florindo da ogni possedimento a vantaggio di Lelio.

Per fortuna, però, proprio grazie all'opera instancabile, astuta ed amorevolissima della protagonista a favore di tutta la famiglia del giovane padroncino Florindo, si arriva finalmente all'insperato happy end, con l'immancabile catena di buoni matrimoni e la cacciata definitiva di Beatrice e Lelio dalla famiglia de Nero.

 

ATTO PRIMO

       Scena prima. In una camera della casa di Ottavio.

OTTAVIO  (Entrando da una porta) Qui, qui, sior Pantalon. In sta camera parleremo con libertà.

PANTALONE  (A seguire)  Son qua, dove che volè.

           

OTTAVIO  (Verso la porta)  Ehi! Se vien mia muggier, avvisème.

PANTALONE  Caro sior Ottavio, ve tolè una gran suggizion de sta vostra muggier.

OTTAVIO  Per viver in pase, me convien far cussì. Disème, donca. Cossa gh’aveu de comandarme?

PANTALONE  Mi vegno qua per un atto de compassion. Giersera ho visto el povero sior Florindo, vostro fio, a pianzer con tanto de lagreme, che el me cavava el cuor. Caro sior Ottavio, un putto de quela sorte, scazzarlo fora de casa, farlo penar in sta maniera! Mo perchè mai? Mo cossa mai alo fatto?

OTTAVIO  In casa, sempre ghe giera strepiti, ghe giera el diavolo de zorno e de notte.

PANTALONE  Mo, con chi criàvelo?

OTTAVIO  Con tutti. Ma principalmente con siora Beatrice, mia consorte: no el gh’ha volesto mai portarghe respetto.

PANTALONE  Sentì, sior Ottavio: cognosso appress’a poco l’indole de sior Florindo, e tutti dise ch’el xe un bon putto. Bisogna ch’el mal no vegna da elo.

OTTAVIO  De chi vienlo, donca?

PANTALONE  Ah! Ste maregne... ghe ne xe poche che voggia veramente ben ai fiastri.

OTTAVIO  Ve sbaliè! No fazzo per dir, ma siora Beatrice, mia muggier, la xe una donna de oro! La xe stada arlevada come una zentildona, e come tale la ga sempre volesto esser tratada. La xe una pasta de zuccaro, credeme. Basta saverla tor pel so bon verso.

PANTALONE  Bisogna che la s’abbia muà de temperamento, perchè me recordo che sior Fabrizio, so primo mario, che gierimo amici come fradei, el veniva a sfogarse con mi, e el me diseva che la giera terribile, che no la lo lassava magnar un boccon in pase; e tutta Verona dise che l’ha fatto morir desperà.

OTTAVIO  Sior Pantalon! Sior Pantalon, me meraveggio de vu... sior Fabrizio el giera un villanazzo senza creanza. Me recordo! El giera un tangaro che la voleva contraddir in tutto. Siora Beatrice, poverazza, la xe pontigliosetta; ghe vol assecondarla, altrimenti la se scalda. Mi no la contraddico mai. Mi lasso che la fazza, lasso che la diga, e fra nualtri do no ghe xe differenza.

PANTALONE  Credo anca mi che co fe tutto a so modo, la taserà. No ghe sarà gnente che dir. Ma intanto, per causa soa, sior Florindo xe cazzà fora de casa.

OTTAVIO  So danno. Ghe doveva portar respetto.

PANTALONE  E sior Lelio, fio de quell’altro so mario, el se la gode in sta casa, e el fa da paron.

OTTAVIO  El xe un bon putto, de elo no me posso zerto lamentar.

PANTALONE  (con foga)  El xe un sempio, un allocco, un papagal, pezo del vostro servitor Arlecchin!  (Quietandosi)  Basta: son un galantomo, no voggio far cattivi offizi per nissun. Solamente me sento mosso a pietà del povero sior Florindo, e me par impussibile che un omo de la vostra sorte abbia sto cuor de vèder a penar in sta maniera el so sangue.

OTTAVIO  Ecco… per dirla, me despiase anca a mi.

PANTALONE  Mo perchè no lo feu tornar in casa?

OTTAVIO  Ancuo no go sta possibilità.

PANTALONE  Mo perchè?

OTTAVIO  Siora Beatrice la xe ancora instizzada co’elo. La se placherà poco per volta, e mi spero che le cosse le tornerà a giustarse.

PANTALONE  Compatime, sior Ottavio, se intro in ti fatti vostri: lo fazzo per el vostro decoro. Almanco passeghe un mantenimento onesto e discreto. Cossa voleu ch’el fazza con sie scudi al mese?

OTTAVIO  Mia muggier disela che ghe pol bastar, che ghe xe più dì che luganega. (Proverbio:  conviene risparmiare.)

 

PANTALONE  Ecco, ben dito! ‘Ghe xe più dì che luganega’ e là i xe do da mantegnir: elo e la serva!

OTTAVIO  Oh via… Mo che bisogno halo de la serva? Corallina la xe nata in casa mia, la xe stada arlevada in casa mia; la s’ha maridà, e la xe restada vedua in casa mia. Mo perchè hala volù andar a star con colù?

PANTALONE  Corallina la dise cussì che la xe nata, se pol dir, insieme con sior Florindo, che i ha magnà el medesimo latte, che la ghe vol ben come se el fusse so fradelo, e che la vol star co’elo, se la credesse magnar pan e agio.

OTTAVIO  (con sarcasmo, poi con foga)  Ih! Mo che cari, i se vol ben! Troppo ben, dasseno! Tutti e do i gh’aveva sempre qualcossa da mutegar (= borbottare), sempre da parlar in fià, e a mia muggier tutti sti segreti no ghe piase.

PANTALONE  Cossa gh’importa a ela dei segreti de sti zoveni?

OTTAVIO  Ghe importa assaissimo, spezialmente co la riguarda, co i dise mal de ela, co i la vol ziradonar.

PANTALONE  Compatime, ste qua xe cosse che no voi creder.

OTTAVIO  Sto qua xe quel che m’ha dito siora Beatrice.

PANTALONE  E vu sè un un allocco s’el credè.

OTTAVIO  Oh! Vardè, sior Pantalon... mo sè caro anche vu! Cossa credeu? Con sto balin in testa, i m’ha dà una bella seccada! Gh’ho dovesto mandar mio fio fora de casa per la disperazion. E no me ne doverìa più intrigar. Dall’altra banda, però, el me fa peccà; me fa peccà anche quela povera putta torà de mezzo... ma xe stada ela che la gh’ha volesto andar via de mi, per star con elo.

PANTALONE  E una serva sarà più amorosa de un padre? Sior Ottavio, tiolè in casa sto putto!

OTTAVIO  Lo farò.

PANTALONE  Quando?

OTTAVIO  Ghe parlerò a mia muggier, e se vedarà...

PANTALONE  Tornerò qua doman. Intanto el m’ha dito ch’el gh’averia bisogno de un per de calze e de un per de scarpe. I sie scudi che gh’avè dà, el li ha magnai; el ve prega de un poco de bezzi.

OTTAVIO  Semo qua nu; bezzi, sempre bezzi...

PANTALONE  Via; ghe neghereu anca questo? Un omo comodo de la vostra sorte, negherà un per de zecchini a so fio?

OTTAVIO  Doman ghe ne darò.

PANTALONE  Demeli debotto, che ghei porterò.

OTTAVIO  Anderò de mia muggier.   (Fa per avviarsi)

PANTALONE  (lo blocca)    A cossa far?

OTTAVIO  La ga le ciave de tutto. I do zecchini ghe li domanderò a ela.

PANTALONE  Bravo! Sè un omo de garbo!

OTTAVIO  In verità me trovo contento. No penso a gnente, la fa tutto ela.

PANTALONE  Quanto che averessi fatto meggio a no ve maridar!

OTTAVIO  Pantalon mio, faressi meggio a maridarve anche vu.

PANTALONE  Mi gh’ho una putta da maridar; e i padri che gh’ha giudizio, co i resta vedui e che i gh’ha dei fioi, no i se ha da tornar a maridar.

            Entra Beatrice.

BEATRICE  (verso la porta)  Figurarsi se c’è bisogno d’ambasciata.

PANTALONE  (a Beatrice)  Servitor umilissimo.

BEATRICE  (a Pantalone) Serva sua. (Ad Ottavio) Oh! Guardate! Quel caro staffiere non voleva che io entrassi, senza avvisarvi.

PANTALONE  (a Beatrice) El xe sta elo che ghe l’ha dito...

OTTAVIO  Io? Non è vero!  (A Pantalone) Non ho io detto al servitore, se viene la padrona, lasciala venire?

PANTALONE   Sior sì, quel che la vol. (Tra sè)  El gh’ha una paura de so muggier, ch’el trema e’l parla toscan!

BEATRICE   Il signor Pantalone è venuto a favorirci. Vuole restare servito della cioccolata?

PANTALONE   Grazie. In verità, cioccolata no ghe ne bevo.

BEATRICE   Del vino di Cipro, forse?

PANTALONE   Grazie, no la se incomoda.

BEATRICE   Ho capito, amereste del buon caffè.

PANTALONE   Siora Beatrice, mi la ringrazio. Ma, sala, mi vago all’antiga, ogni mattina bevo la mia garba. (Nota: Prima della diffusione del caffè, nelle classi popolari si usava come prima colazione una minestra, forse di latte inacidito, detta la garba. Taluni intendono, però, che qui si riferisca ad una sorta di vino aspro che si usava bere).

BEATRICE   E il mio signor Ottavio prende la sua zuppa, ogni mattina, nel brodo grasso, con un tuorlo d’uovo. Mi preme conservarmelo il mio vecchietto.

OTTAVIO      Oh! Cara signora Beatrice, che siate benedetta! (A Pantalone) Che dite? Che ve ne pare? Sarebbe degna d’un giovanotto? E pure la signora Beatrice è di me contenta.    (A Beatrice)    Non è vero?

BEATRICE   Signor Ottavio, non vi cambierei con un re di corona.

OTTAVIO      Sentite, sentite, signor Pantalone? Queste sono espressioni che fanno innamorare per forza.

PANTALONE   (Tra sè)  Mo che strambazzo! El va avanti con sto toscan!

BEATRICE   (A Pantalone) Dunque, non vuole restar servito di nulla?  La casa è ben provveduta di cuochi e servitori, lasci ch’io abbia l’onore di farvi sentire...

PANTALONE   Sentì, siora Beatrice. Za che la vol far una bona azion, la procura che torna in casa sior Florindo.

BEATRICE   Tornar in casa Florindo? S’egli entra per una porta, io vado fuori per l’altra.

PANTALONE   Mo cossa mai gh’alo fatto?

BEATRICE   Mille impertinenze, mille male creanze. Mi ha perduto cento volte il rispetto.

OTTAVIO   (a Pantalone) Sentì? Cossa ve go dito?

BEATRICE   E’ un temerario, presuntuoso, superbo. Ha tutti i malanni addosso.

PANTALONE   El xe zovene...

BEATRICE   Che cosa non ho fatto per quell’asinaccio? L’ho trattato più che da madre. Gli ho fatto mille finezze.    (Ad Ottavio)    Non è vero?

OTTAVIO      E’ verissimo. Anzi, quasi quasi, mi parevano un poco troppe.

BEATRICE   Ed egli, ingrato, mi rese male per bene.

PANTALONE   Via, a sto mondo tutto se comoda. Mettemo in chiaro tutte ste cosse, e vedemo se ghe xe caso de giustarla. In che consiste i so mancamenti?

BEATRICE   Ecco qui suo padre. Domandateli a lui.

PANTALONE   Parlè, sior Ottavio, cossa alo fatto?

 OTTAVIO   Per dirvela, di certe cose procuro scordarmene per non inquietarmi. Ne ha fatte tante, che ho dovuto cacciarlo via.

PANTALONE   El ghe n’ha fatte tante, ma co no ve le arecordè, bisogna che le sia liziere.

BEATRICE   Sì, leggère? (Ad Ottavio) Non vi ricordate quando ha avuto l’ardire di strapazzarmi in presenza vostra?

OTTAVIO      Sì, è vero, me ne ricordo.

BEATRICE   (c.s.)  Vi ricordate, quando voleva dare uno schiaffo a Lelio, mio figlio?

OTTAVIO   Aspettate... Forse quando Lelio gli ha dato quel pugno?

BEATRICE    Eh! Che non gliel’ha dato, no, il pugno. Lo minacciò solamente, ed egli ardì menargli uno schiaffo.

OTTAVIO      E pur mi pare che il pugno gliel’abbia dato nella testa.

BEATRICE    Come volete voi sostenere che gliel’abbia dato, se siete vecchio, e senza occhiali non ci vedete?

OTTAVIO      E’ vero, signor Pantalone, ci vedo poco.

BEATRICE    E quando mi ha detto che sono venuta in casa a mangiare il suo...

OTTAVIO      Uh! L’ho sentito.

BEATRICE    E che ha rimproverato voi per un tal matrimonio?

OTTAVIO      Ah! Briccone! Me ne ricordo.

BEATRICE    Ah? Che ne dite?

OTTAVIO      Sentite, signor Pantalone, le belle cose?

BEATRICE    In casa non ce lo voglio più.

OTTAVIO      (a Pantalone)  Ve l’ho detto, non si può...

PANTALONE           Ma queste le xe cosse da gnente.

BEATRICE    E poi quella bricconcella di Corallina protetta da lui... e tutt’e due d’accordo contro di me... basta; è finita.

PANTALONE           Corallina finalmente la xe una serva.

BEATRICE    Quanto volete giuocare, che Florindo la sposa?

OTTAVIO      Io non credo... è una donna di giudizio.

BEATRICE    Lasciatelo fare; se la vuole sposare, la sposi; peggio per lui. Si soddisfaccia pure, ma fuori di questa casa.

PANTALONE           Ma, cari siori, perché no succeda sto desordene, xe ben torlo in casa.

BEATRICE    Dentro lui, fuori io.

OTTAVIO      Oh! Cara Beatrice mia, non dite così, che mi fate morire.

BEATRICE    Se non vi volessi tanto bene, me ne sarei andata dieci volte.   (A Pantalone)   Mi meraviglio di voi, che veniate qui ad inquietarci.

OTTAVIO      Caro amico, vi prego, non ne parliamo più.

PANTALONE           No so cossa dir; parlo per zelo d’onor, e da bon amigo. No volè? Pazienza. Almanco mandeghe sti do zecchini.

OTTAVIO      Oh! Sì! Signora Beatrice, date due zecchini al signor Pantalone.

BEATRICE    Per farne che?

OTTAVIO      Florindo ha bisogno di calze, di scarpe...

BEATRICE    Eh! Mi meraviglio di voi. Volete andare in rovina per vostro figlio? Sei scudi al mese sono anche troppi. Le entrate non rendono tanto; faccia con quelli che gli si danno.   (A Pantalone)   Ed ella, compatisca, vada ad impicciarsi ne’ fatti suoi, non faccia il dottore in casa degli altri.

PANTALONE           Basta cussì, patrona. In casa soa no ghe vegnirò più; no ghe darò più incomodo; ma ghe digo che la xe un’ingiustizia, una barbarità. Ghe son intrà per amicizia, per compassion; ma za che la me tratta con tanta inciviltà, pol esser che ghe la fazza véder, che ghe la fazza portar.

BEATRICE    In che maniera?

PANTALONE           No digo altro, patrona; schiavo, sior Ottavio. Tegnive a casa la vostra zoggia.

        Esce Pantalone.

BEATRICE    Ah! Vecchio maledetto...

OTTAVIO      Per amor del cielo, non andate in collera.

BEATRICE    Temerario!

OTTAVIO      Signora Beatrice...

BEATRICE    Lasciatemi stare. Farmela vedere?

OTTAVIO      Via, se mi volete bene.

BEATRICE    Il diavolo che vi porti! Andate via di qui!

OTTAVIO      Sono il vostro Ottavino...

BEATRICE    Ed io vi pesto come una zampogna!

OTTAVIO      (tra sé)   E’ in collera; bisogna lasciarla stare.   (Si va accostando alla porta)

BEATRICE    Me la pagherà.

OTTAVIO      (da lontano)   Beatricina...

BEATRICE    Chi sa cosa medita!

OTTAVIO      (come sopra)   Sposina...

BEATRICE    (adirata)   Se non mi lasciate stare...

OTTAVIO      Addio.

       Ottavio esce sospirando.

BEATRICE    (sola)   Pantalone è capace di sollevare mio marito e si vuole impicciare ne’ fatti miei. Lo preverrò.

        Entra Lelio.

LELIO            Cara signora madre, con chi l’avete?

BEATRICE    Quell’impertinente di Pantalone de’ Bisognosi...

LELIO            Che vi ha egli fatto?

BEATRICE    E’ venuto a parlare in favore di Florindo, e mi ha detto delle parole insolenti.

LELIO            Mi dispiace assaissimo.

BEATRICE    Andate, figliuolo mio, andate a ritrovare quel vecchio. Ditegli che abbia giudizio; e se persiste, minacciatelo bruscamente.

LELIO            Mi dispiace ch’io non potrò riscaldarmi troppo con questo signor Pantalone.

BEATRICE    Perché?

LELIO            Perché ha una bella figliuola, che mi piace infinitamente.

BEATRICE    Non mancano donne. Non v’impicciate con quella gente.

LELIO            Ha una grossa dote, suo padre è ricco, è figlia unica, e sarebbe per me il miglio negozio di questo mondo.

BEATRICE    Pantalone mi ha provocata: io, provocata, confesso d’averlo ingiuriato... certamente non vorrà mio figlio per genero.

LELIO            Mi impegno io ad obbligarlo, con le mie parole, con le mie maniere; e poi, se la figlia mi vuol bene, sono a cavallo.

BEATRICE    Con quale fondamento potete dire ch’ella vi voglia bene?

LELIO            Se non ne fossi sicuro, non parlerei.

BEATRICE    Le avete parlato?

LELIO            Le ho parlato, ed ella ha parlato a me. Le ho detto, ed ella ha detto a me... etcetera, etcetera, etcetera...

BEATRICE    Non vorrei che v’ingannaste. Voi, figliolo mio, facilmente vi lusingate. Non sarebbe la prima volta che vi foste innamorato solo. Con le fanciulle avete poca fortuna, e mi avete posto altre volte malamente in impegno.

LELIO            Voglio raccontarvi tutta la storia, e vedrete se ho fondamento di dire quello che dico. Sei giorni or sono, passando per la Via Nuova, ho veduto una figurina, che per di dietro mi pareva qualche cosa di buono. Corro per passarle avanti, mi volto, ed ella si copre il viso col zendale. Mi fermo: lascio che vada avanti, e poi corro, corro, e torno a rivoltarmi, ed ella presto si copre. Allora mi fermo ancora, e quando mi è vicina, getto un sospiro. Indovinate? Si è messa a ridere. Allora mi sono assicurato che aveva qualche inclinazione per me. Le sono andato dietro bello bello dieci o dodici passo lontano, sempre esitando fra il sì e il no; dicendo: mi vuol bene o non mi vuol bene? Ma sì! Me ne sono poi assicurato. La serva si è rivoltata due volte a vedere se io la seguitava; lo ha detto alla padrona, e tutt’e due ridevano per la consolazione. Io non sapeva chi fosse; finalmente, arrivata a casa, la serva aprì l’uscio. Mi accorsi chi era, accelerai il passo, e giunsi in tempo che mi serrarono l’uscio in faccia! L’amore non si può tenere nascosto, dissi tra me medesimo; difatti corse subito alla finestra per riverirmi. La vidi, mi cavai il cappello, ed ella si pose a ridere così forte, che fece ridere anche me. Si ritirò, per allora; ma sette o otto volte il giorno passo di lì. La vedo una o due volte, e quando mi vede, sempre ride, e mi fa de’ vezzi, e mi fa de’gesti, e dimena il capo, e guardandomi, parla con la serva, e mi mostra alle sue vicine; insomma, è innamorata morta deì fatti miei.

BEATRICE    Bel fondamento per dire che è innamorata di voi! Io credo piuttosto...

        Entra Tonin.

TONIN           Patrona mia riverita, presto, mi credo ch’el povero sior Ottavio el gh’ha la freve!

BEATRICE    Perché dici questo? L’hai visto star male?

TONIN           Mi credo de sì, siora. Lo go visto correr in camera tutto agità, con un certo tremazzo attorno, che me ga fatto paura; e dopo lo go visto anche a darse dei pugni in te la testa.

BEATRICE    (tra sé) Povera me! E’ disperato perché io sono in collera con lui. E’ vecchio, la passione lo potrebbe far morire... e non ha ancora fatto testamento!

LELIO            Vi assicuro, signora, che mi vuol bene...

BEATRICE    Sì, sì, pazzo, ne parleremo. Presto, venite con me. (Prende per mano Lelio ed escono insieme)

 

TONIN           (da solo) Me preme conservarme un paron che me dà un bon salario. Ma dopo ch’el s’ha tornà a maridar, confesso ch’el gh’ha perso giudizio.    (Esce)

Scena seconda. Camera in casa di Florindo.

CORALLINA           (da sola, terminando una calzetta)    Povero signor Florindo! Gli voglio bene come fosse mio fratello. Ha succhiato del latte che ho succhiato io; lo ha allattato mia madre; siamo stati allevati insieme... e quando prendo a voler bene ad una persona, farei di tutto per aiutarla. Poverino! L’hanno cacciato di casa. E perchè? Per causa della matrigna. Già tutte le matrigne sogliono perseguitare i figliastri; ma questa, poi, che ha un figlio grande e grosso come un asino, vorrebbe poter scorticar il figliastro per raddoppiar la pelle al figliuolo. Poverino! L’hanno cacciato di casa con sei scudi il mese. Se non veniva io a star con lui, si dava affatto alla miseria, alla disperazione. Pazienza! Mi contento patire per non vederlo perire; e se congiurano contro di lui una matrigna avara, un padre pazzo, un fratello balordo, lo assiste una vedova onesta, una serva fedele e amorosa.

         Entra Florindo.

FLORINDO   Ah! Corallina! Sono disperato.

CORALLINA           Fatevi animo... che cosa sono queste disperazioni?

FLORINDO   Ho parlato al signor Pantalone, come voi mi avete consigliato.

CORALLINA           E non ha voluto ascoltarvi?

FLORINDO   Anzi, mi ha compatito moltissimo, e si è impegnato di parlar a mio padre... ho io da soffrir così?

CORALLINA           Quietatevi, signor Florindo, queste non sono cose da accomodarsi così ad un tratto. Per ora io vi avava detto, che col mezzo del signor Pantalone procuraste aver qualche soccorso di denaro, che ne avete tanto bisogno.

FLORINDO   Questo me l’ha negato! Sono disperato. Sono...

CORALLINA           Eh! Via! Quietatevi, ho detto... volete perdere anche la salute?

FLORINDO   Ma io non ho un soldo. Oggi non so come fare a pranzare.

CORALLINA           C’ingegneremo.

FLORINDO   Ho impegnato tutto; e voi ancora, povera donna, avete impegnato il meglio che avete: non so più come fare. Alla fine del mese ci sono ancora dieci giorni, e mi nega soccorso? Mi vuol vedere disperato?

CORALLINA           Zitto, zitto, badate a me. Stiamo allegri, non pensiamo alle malinconie. Ehi! Ho finito le calze.

FLORINDO   Corallina, voi mi fate pietà. Oggi non so come ci caveremo la fame.

CORALLINA           Come? Non vi disperate. Ecco qui,  (mostra le calze finite)  le venderò, e mangeremo. Non dubitate: mangeremo e staremo allegri. Sì, ci vuol altro che questo, a farmi perdere di coraggio. Forti, finchè son viva io, non dubitate di niente.

FLORINDO   L’amor vostro, la vostra bontà m’intenerisce a segno, che mi fate piangere.

CORALLINA           Ma queste son debolezze.

FLORINDO   Vedervi priva di tutto per me!    (Piange)

CORALLINA           (singhiozzando)     Ma se io vi dico... che io... Oh! Via! Stiamo allegri; queste calze mi sono diventate un poco strette e corte, e poi sono troppo fine; per me non servono. Già le volevo vendere, e le venderò. Un giorno, poi, mi pagherete di tutto.

FLORINDO   Voglia il cielo...

CORALLINA           Eh! Non intendo donarvi niente, sapete? Tengo nota di tutto.

FLORINDO   Ma intanto, povera Corallina...

CORALLINA           Intanto, intanto... Non sapete pagarmi con altro che con dei sospiri, dei lamenti e dei piagnistei. Oh! Che uomo siete? Voglio che stiate allegro, se volete che non me ne vada da voi; non voglio che mi facciate morir di malinconia. Lavorerò, venderò, impegnerò, m’ingegnerò... ma allegramente, signor padroncino caro, non siamo morti. Dunque, forza e coraggio! Vado a vendere le calzette; compro qualcosa di buono; torno a casa, e mangeremo in santa pace, alla barba di chi non vuole. Il maggior dispetto che possiate fare ai vostri nemici è far vedere che sapete e potete vivere senza di loro.     (Esce)

FLORINDO   (da solo)     Benedetta sia questa mia serva! Dove mai si è trovato una donna di miglior cuore? E’ il cielo che me l’ha mandata, per conforto alle mie disgrazie.

ARLECCHINO         (da fuori)    Oh! De casa? Se pol vegnir?

FLORINDO   Sì, vieni.

          Entra Arlecchino.

ARLECCHINO         Servitor umilissimo. Corallina gh’ela?

FLORINDO   Non c’è: che cosa vuoi?

ARLECCHINO         L’è un pezz che no la vedo. Jera vegnù a trovarla.

FLORINDO   Dimmi, piuttosto: che fa il tuo padrone?

ARLECCHINO         Poverin! Poco fa el pianzeva.

FLORINDO   Mio padre piangeva? E perchè?

ARLECCHINO         Perchè so muier l’era in collera, e no la voleva farghe carezze.

FLORINDO! Ah! Vecchio rimbambito!

ARLECCHINO         Adess mo i è là in allegria: i ride, i se coccola, i par do sposini de quindes’anni.

FLORINDO   Colei conosce il suo debole, e lo tiene al laccio.

ARLECCHINO         Era in camera, e i m’ha mandà in t’un servizio.

FLORINDO   Buono! Dove ti hanno mandato?

ARLECCHINO         I m’ha mandà a cercar un beccavivo.

FLORINDO   Che è questo beccavivo?

ARLECCHINO         L’è el contrario del beccamorto.

FLORINDO   Io non ti capisco.

ARLECCHINO         El beccamorto vien a beccar quando l’omo è morto, e questo el vien a beccar quando l’omo l’è ancora vivo.

FLORINDO   Ma chi è costui?

ARLECCHINO         El Nodaro.

FLORINDO   Come! Ti hanno mandato a cercare un Notaio? Per farne che?

ARLECCHINO         Mi credo per beccar el patron.

FLORINDO   Vogliono forse fargli fare testamento?

ARLECCHINO         (assorto per ricordare)    Me par sta parola testamento averla sentida a dir.

FLORINDO   Da chi l’hai sentita dire?

ARLECCHINO         (c.s.)     Dalla patrona.

FLORINDO   Ecco! Ecco! Ella sedurrà mio padre a privarmi di tutto! Dimmi, dimmi esattamente che cosa hai sentito?

ARLECCHINO         Mi veramente no so tutta l’infilzadura del discorso. Ma la patrona l’è vegnuda, che el patron pianzeva. Con quatter carezzine la l’ha fatt consolar. El dis el patron:  Me fe irrabiar, son vecchio, morirò presto.   La patrona no l’ho ben intesa, ma ho visto che l’ha fatto ingalluzzar. I ha parlà a pian, pareva che i contendesse, e po tutt’in una volta, allegri e contenti. I m’ha dit che vada a chiamar el beccavivo, cioè el Nodaro.

FLORINDO   (tra sè)     Ho capito. L’ha cotto a puntino, e gli fa far testamento. Adesso come faccio a rimediare a questo disordine?

ARLECCHINO         Corallina vegnirala prest a casa?

FLORINDO   L’hai trovato il Notaio?

ARLECCHINO         No l’ho trovà, ma ho lassà l’ordene, che col vien, i lo manda a beccar.

FLORINDO   E chi è il Notaio che hai cercato?

ARLECCHINO         (borbottando tra sè e battendosi più volte sul capo) Come el se ciama? De dia! Come el se ciama? Gounàbito... Elgaunàbito... No me ricordo...   

FLORINDO   Dunque, si può conoscere chi è questo Notaio?

ARLECCHINO         L’è qua, in ponta dela lengua, ma no’l vol vegnir fora...       (cerca di afferrare la propria lingua e di strizzarla)

FLORINDO   Sarebbe bella, anche questa! Torni or ora dal servizio, e non ti ricordi più nulla.

ARLECCHINO         (dopo essersi strizzato abbastanza la lingua, viene colto da illuminazione)      L’è sior Agàpito dai etecetera. Dov’èla Corallina? Gh’ho da dar un non so che.

FLORINDO   Che cosa le vuoi dare?

ARLECCHINO         Una cossa...

FLORINDO   Via, che cosa?

ARLECCHINO         Me vergogno.

FLORINDO   Eh, dimmela.

ARLECCHINO         Un salame.      (Estrattolo da sotto la casacca, lo esibisce)

FLORINDO   L’avrai rubato a mio padre.

ARLECCHINO         Tutti becca, becco anca mi.

FLORINDO   Ed io non ho il bisogno per vivere...

ARLECCHINO         Se la comanda...     (Gli offre il salame)

FLORINDO   Sei un briccone; non si ruba.

ARLECCHINO         Mi, per dirla, no l’ho manc robà.

FLORINDO   Dunque, come l’hai avuto?

ARLECCHINO         Sior Lelio ghe n’ha beccà una sporta, e quest el me l’ha dà, perchè gh’ho fatto lume a beccar.

FLORINDO   Quello sciocco, quell’indegno, rovina il mio patrimonio. Ah, se sapessi dove rinvenir Corallina!

ARLECCHINO         Anca mi la vorria véder. Ghe voi ben, e ho ancora in te la testa de far un sproposito.

FLORINDO   Che sproposito?

ARLECCHINO         De sposarla.

FLORINDO   Animalaccio! Goffo! Ignorante! Felice te, se avessi una tal fortuna! Tu non sei degno. Corallina merita un partito migliore. Io la conosco, so quanto vale il suo spirito, il suo bel cuore, la sua bontà. Vattene, sciocco, che non sei degno d’averla.     (Lo caccia via)

ARLECCHINO         (tra sè)    Ho inteso. El la vol per lu; ma la discorreremo. No digh miga de volerla menar via; la starà con lu: tra servitor e patron no ghe sarà gnente che dir.     (Esce)

 

Scena terza. Camera in casa di Pantalone.

BRIGHELLA            Oh! Siora Corallina! Che bon vento?

CORALLINA           La signora Rosaura è in casa?

BRIGHELLA            La gh’è. Cossa desidereu dalla mia padrona?

CORALLINA           Ho un paio di calze da vendere; vorrei vedere s’ella le volesse comprare.

BRIGHELLA            Volentiera, ghe lo dirò : come vala col vostro patron?

CORALLINA           Eh! Così, così.

BRIGHELLA            M’immagino che venderì ste calze per bisogno de magnar.

CORALLINA           Oh! Pensa Pensate voi! Per grazia del cielo, sto con un padrone che non mi lascia mancare il mio bisogno. Le vendo, perché non mi stanno bene, e perché il mio padrone me ne ha regalate un paio di seta.

BRIGHELLA            Un per de seda el ve n’ha regalà? Stento a crederlo.

CORALLINA           Eccole qui. (Fa per sollevare il vestito, ma poi si ritrae) Se non fosse vergogna, ve le mostrerei.

BRIGHELLA            Le sarà vecchie e rappezzade.

CORALLINA           O vecchie, o nuove, compatitemi, in questo voi non ci dovete entrare.

BRIGHELLA            Cara siora Corallina, ve domando scusa ; ho sempre fatto stima della vostra persona. Savì, che quando eri putta, aveva qualche speranza sora de vu. Ve sé maridada, i vostri padroni i v’ha volesto maridar in casa ; m’ho stretto in te le spalle, e non ho parlà. Quand sì restada vedua, s’ha tornà a sveiar in mi el desiderio de prima, e no saria stà lontan da proponerve le segonde nozze, se un certo riguardo no me avesse desconseià.

CORALLINA           Messer Brighella, voi mi fate un discorso curioso. Pare ch’io sia venuta a pregarvi che mi sposiate. Son vedova, ma non son vecchia. Non son bella, ma credetemi, che se ne volessi, ne troverei.

BRIGHELLA            Son persuaso; e mi alla bona v’ho dito el me sentimento. Tra el numero de quelli che ve vorria, ghe son anca mi; e fursi, nissun ha più premura de vu, de quella che provo mi. Ma basta... no digo altro.

CORALLINA           Via : che riguardo avreste, se fossimo in caso di far davvero ?

BRIGHELLA            Xe superfluo parlarghene. De mi no ghe pensè.

CORALLINA           Non occorre dir così. Voi qua dentro non ci vedete.   (Indica il cuore)

BRIGHELLA            Parleria, ma se parlo, ve rescalderè.

CORALLINA           Non credo che mi conosciate per una donna irragionevole. Se perlerete, vi risponderò.

BRIGHELLA            Orsù, mi son un omo che parla schietto. Ve stimo, ve voio ben, ve brameria per muier; ma quel star vu sola con un patron zovene, no la xe cossa che me piasa, no la xe cossa che para bon.

CORALLINA           Il signor Ottavio me lo ha raccomandato, e per contentare il vecchio, mi sacrifico ancora per qualche tempo.

BRIGHELLA            Come per contentar el vecchio, s’el l’ha cazzà fora de casa colle brutte?

CORALLINA           Siete male informato. Sono d’accordo. E’ una finzione per mortificar la matrigna. Anzi, adesso vorrebbero che il signor Florindo tornasse in casa, ma egli per puntiglio non ci vuole tornare.

BRIGHELLA            El mondo no la discorre cussì; ma in ogni maniera, Corallina cara, vu fe una cattiva figura a star con quel zovene in casa, sola.

CORALLINA           Chi conosce quel giovane, non può pensar male. E’ innocente come una colomba. Le donne non le può vedere.

BRIGHELLA            Brava! Nol pol véder le donne! E tutto el zorno el sta alla finestra a occhiar la mia padrona.

CORALLINA           Dite davvero?

BRIGHELLA            Me l’ha confidà la serva.

CORALLINA           Io credo ch’egli stia alla finestra per tutt’altro; e che cosa ne dice la vostra padrona?

BRIGHELLA            Anca ella par che la gh’abbia gusto. Nol ghe despiase.

CORALLINA           Sa il cielo quanti ne avrà la signora Rosaura d’innamorati.

BRIGHELLA            Oh! No la xe de quelle che fazza l’amor. Anzi, me son meraveià, co ho sentido che la parla de sior Florindo con qualche passion.

CORALLINA           Il signor Pantalone la vorrà maritar bene.

BRIGHELLA            Certo che a quel spiantà nol ghe la daria.

CORALLINA           (alterandosi)     Perchè spiantato? Il mio padrone è di una casa ricca e civile; e non gli manca niente, e mi meraviglio di voi.

BRIGHELLA            Via, via, patrona, no la vaga in collera. Sempre più se cognosse, che gh’è un pochettin de attacco.

CORALLINA           (con fermezza)   Sono una donna onorata. Via, o avvisate la signora Rosaura, o me ne vado.

BRIGHELLA            Subito; la vado a avvisar. No ve n’abbiè per mal; parlo perchè ve voggio ben.

CORALLINA           Portate rispetto al mio padrone.

BRIGHELLA            Non occorr’altro, no parlo più.  (Tra sé)  Ghe scommetteria l’osso del collo, che se no i l’ha fatta, i la vorrà far.    (Si allontana)  

CORALLINA           (da sola)  Questo con la giovane Rosaura sarebbe un buon negozio per il mio padrone; ma come posso mai figurarmelo? Nello stato in cui si trova, chi può fidarsi di prenderlo? Procuro di tenerlo in reputazione; ma il mondo parla, e le cose si sanno.

           Entra Rosaura.

ROSAURA    Chi mi vuole?

CORALLINA           Serva umilissima.

ROSAURA    Riverisco quella giovane.

CORALLINA           Sono venuta a vedere, se a caso le piacesse un paio di calze fine di filo.

ROSAURA    Non mi abbisognano, ma tuttavia, se saranno di mio genio, le comprerò.

CORALLINA           In verità sono buone; e se tali non fossro, non gliele offrirei. (Le dà ad osservare le calze)

ROSAURA    Quanto ne volete?

CORALLINA           Il filo costa dieci paoli. Veda quel che può meritar la fattura: mi rimetto a lei.

ROSAURA    Io non me ne intendo molto. Vi contentate che le faccia vedere?

CORALLINA           Anzi, mi fa piacere.

ROSAURA    (chiama)     Brighella!

BRIGHELLA            (rientrando)     Signora.

ROSAURA    Andate qui dalla sposa. Ditele che mi faccia il piacere di osservar bene questo paio di calze, e dica ella che cosa possono valere.

BRIGHELLA            La servo subito. Per mi le stimeria... diese zecchini.

ROSAURA    Uh! Che sproposito!

BRIGHELLA            No considero le calze; stimo el merito de quelle man che le ha fatte.     (Esce)

CORALLINA           Brighella è un uomo burlevole.

ROSAURA    Di voi me ne ha parlato sempre bene.  (Si siede)   Sedete.

CORALLINA           Oh! Illustrissima...

ROSAURA    Sedete, senza cerimonie.

CORALLINA           Per obbedirla.     (Si siede)

ROSAURA    Voi siete la serva del signor Florindo.

CORALLINA           Sì, signora, di quella pasta di zucchero. Le giuro da donna onorata, che una creatura simile non credo al mondo si sia mai data.

ROSAURA    In che consiste la sua bontà?

CORALLINA           In tutto. Egli non grida mai. Sia ben fatto, non sia ben fatto, egli si contenta di tutto. Non ha un vizio immaginabile: non giuoca, non va all’osteria, non pratica con gioventù. Eh! Le dico che è un portento. Che mi taglino il naso, se ce n’è un altro. Felice quella donna, a cui toccherà un tal marito!

ROSAURA    Vuol prender moglie?

CORALLINA           Gli toccherà per forza. E’ figlio unico, suo padre è vecchio e ricco; la casa non s’ha da estinguere.

ROSAURA    E’ ricco dunque suo padre?

CORALLINA           Capperi! Il signor Ottavio de Nero?

ROSAURA    Ma perchè ha cacciato suo figlio fuori di casa?

CORALLINA           Non si può dire che l’abbia cacciato... il giovane vorrebbe ammogliarsi; la matrigna, invece, vorrebbe essere l’unica donna in casa. Egli dice: “Se resto qui, non combino niente”. M’intende, illustrissima signora? Alle volte gli interessi non corrispondono e ognuno sceglie la propria strada. Corbezzoli! Il signor Florindo è l’occhio dritto di suo padre.

ROSAURA    Eppure si dice che il signor Ottavio gli passi pochissimo per il suo mantenimento.

CORALLINA           Sì, signora, è vero. Lo fa apposta perchè torni in casa.

ROSAURA    E perchè non ci torna?

CORALLINA           Ognuno sceglie la propria strada...

ROSAURA    Vi sarà qualche imbroglio.

CORALLINA           Nessun imbroglio. E’ che...   (Brevissima pausa)    Ma finalmente... basta, non posso dir altro.

ROSAURA    E se l’indovino?

CORALLINA           Chi meglio di lei lo potrebbe indovinare?

ROSAURA    Sta volentieri in quella casa. Non è vero?     (Indica)

CORALLINA           Oh! Brava! Queste finestre sono la sua delizia.

ROSAURA    No, no, le finestre. Le camere.

CORALLINA           Le camere?

ROSAURA    Venite qua: già nessuno ci sente.      (Si accostano)     E’ innamorato?

CORALLINA           Sì.

ROSAURA    E in quella casa ci sta per godere la sua libertà.

CORALLINA           Ci sta per il comodo.

ROSAURA    Già me ne sono accorta.

CORALLINA           Voleva dirglielo ma non ha coraggio.

ROSAURA    Dirlo a me?

CORALLINA           Sì. E non passerà molto che, forse, glielo dirà.

ROSAURA    Se fa all’amore con voi, come c’entro io?

CORALLINA           Con me? Oh! Pensi lei! Con me?  (Si scosta un poco)  In verità non c’intendiamo, signora.

ROSAURA    Non è così, forse?

CORALLINA           Ma non dice... che se n’è accorta?

ROSAURA    Di che?

CORALLINA           Oh! Non vorrei aver parlato per tutto l’oro del mondo.

ROSAURA    Insomma, spiegatevi.

CORALLINA           Cara signora Rosaura, mi faccia la finezza di dispensarmi.

ROSAURA    Ora mi ponete in maggiore curisità.

CORALLINA           Sia maledetta la mia ignoranza.

ROSAURA    Che dicevate delle finestre?

CORALLINA           Dico che le ama veramente.

ROSAURA    Il signor Florindo sta alla finestra?

CORALLINA           Non lo vede tutto il giorno?

ROSAURA    E per quale motivo ci sta?

CORALLINA           E’ meglio ch’io me ne vada...

ROSAURA    Cara Corallina, non mi lasciate con questa curiosità. Sentite, se dubitate ch’io parli, non vi è pericolo.

CORALLINA           Meschina me, se il padrone sa che ho parlato!

ROSAURA    Se è tanto buono, non griderà.

CORALLINA           Non griderà, è vero. Ma si vergognerà, poverino! Se sapeste come è fatto... Beata quella, a cui toccherà questa gioia!

ROSAURA    In verità, lo voleva dire ch’era un giovane savio e buono. Lo vedeva sempre in casa, sempre modesto. Sempre lì...

CORALLINA           (Sottolineando)     Sempre lì a quelle finestre.

ROSAURA    Sì, è vero.

CORALLINA           Specchiandosi, consolandosi...

ROSAURA    In che?

CORALLINA           Eh! Furba, furba!

ROSAURA    Eh! Via...

CORALLINA           Sarà contenta ora che mi ha fatto cascare!

ROSAURA    (Vergognandosi)      Fate così, per farmi dire.

CORALLINA           Grande oscurità veramente! Non si vede chiaro che sta ad adorarla, che non batte occhio, che muore lì, muore?

ROSAURA    Vi parlo schietto. Ho sempre creduto che facesse all’amore con voi.

CORALLINA           Sì... se facesse all’amore con me, starebbe a prendere il fresco? Prima, è un giovane di prudenza, stima l’onore della sua casa, e non si abbasserebbe a pigliare una serva. E poi, è innamorato morto della signora Rosaura.

ROSAURA    Ne rimango sorpresa... non mi ha mai dato un segno di avere delle premure per me.

CORALLINA           E’ timido, non si arrischia.

ROSAURA    E da me che pretende?

CORALLINA           Di fare quello per cui è uscito dalla casa di suo padre. Maritarsi, e tirar avanti la casa.

ROSAURA    E la sua matrigna?

CORALLINA           Il signor Ottavio è vecchio, e mezzo insensato. Quando il figlio sarà maritato, la signora Beatrice o se n’andrà di casa, o rinuncerà il maneggio.

ROSAURA    Se ciò fosse, converrebbe ch’ei ne parlasse a mio padre.

CORALLINA           Ha principiato a dirgli qualche cosa questa mattina.

ROSAURA    Gli ha parlato di me?

CORALLINA           Non gli ha parlato precisamente di voi, perché così di balzo non doveva nemmen farlo; ma sentite con che bella politica si è introdotto. Sa che il signor Pantalone è amico del signor Ottavio. Ha finto di aver bisogno di danari, e lo ha pregato d’interporsi per fargliene avere da suo padre. Naturalmente gli porterà la risposta, ed egli con quell’occasione gl’introdurrà il discorso a proposito, e forse forse concluderanno.

ROSAURA    Sarà difficile che mio padre l’accordi, s’egli non torna in casa.

CORALLINA           E sarà difficile che torni in casa, se non ha qualche sicurezza di essere consolato.

ROSAURA    Come si potrebbe condurre questa faccenda?

CORALLINA           Ripieghi non ne mancano. Qui è il punto, signora Rosaura. In confidenza: le aggrada il signor Florindo?   (Si accosta)    Lo prendereste per marito?

ROSAURA    Se le cose camminassero con buon ordine... per dirla... non mi dispiace!

CORALLINA           Non occorr’altro. Facciamo così, sentite se parlo bene. Conviene procurare che...

       Rientra Brighella.

BRIGHELLA            Siore, son qua con la risposta.

ROSAURA    Che cosa ha detto?

BRIGHELLA            La le ha stimate vintiquattro paoli.

ROSAURA    (a Corallina)    Bene: ventiquattro paoli vi darò. Siete contenta?

CORALLINA           Contentissima.

ROSAURA    Torniamo al nostro discorso.    (A Brighella)    Andate, non occorre altro.

BRIGHELLA            Siora Rosaura, la me perdona: el padron la domanda.

ROSAURA    Mio padre? Non vorrei... Che cosa vuole?

BRIGHELLA            El la cerca, e ghe preme parlarghe.

ROSAURA    Bisogna ch’io vada. Corallina, ci rivedremo... tornate più tardi, quando non c’è mio padre.

CORALLINA           Sì, signora. Ritornerò.

ROSAURA    Quando tornate, vi pagherò le calze.

CORALLINA           (Freddamente)   Come comanda.

BRIGHELLA            Siora padrona, la ghe le paga subito ste calze.

ROSAURA    (a Corallina)    Se vi preme...

CORALLINA           (Come sopra)    Non importa...

BRIGHELLA            (a Rosaura)   La ’l dise per modestia. Ma chi sa che no la ghe n’abbia bisogno?

CORALLINA           (a Brighella)    Che credete? Ch’io abbia da comprarmi il pane con questi danari? Mi meraviglio di voi. In casa del mio padrone non manca niente.

ROSAURA    Tenete. Li aveva nella borsa, e non ci aveva pensato. Eccovi uno zecchino e quattro paoli.    (Consegna le monete a Corallina)

CORALLINA           Li prendo per obbedirla.

ROSAURA    A rivederci, allora.   (Tra sé)   Florindo mi è sempre piaciuto; e costei ha finito d’innamorarmi.    (Esce)

BRIGHELLA            (a Corallina)    Mi parlo per ben, e vu andè in collera.

CORALLINA           Avete un gran cattivo concetto di me e del mio padrone; e vi assicuro che c’è per voi da parte una borsetta, con sei zecchini ruspi di padella.

BRIGHELLA            Per che rason?

CORALLINA           Se nasce un certo non so che.

BRIGHELLA            Cossa, cara vu?

CORALLINA           (fingendo)   Oh! Vi chiamano.

BRIGHELLA            No gh’ho sentì gnente.

CORALLINA           Strano... sù, andate. Siete richiesto.    (Brighella fa per andare, ma Corallina lo blocca)    Venite da me, che vi dirò tutto.

BRIGHELLA            Siora sì, ghe vegnerò. Vardè quando i dise: i denari i è dove no se crede. A revéderse.    (Esce)

CORALLINA           (sola)    Se la cosa va bene, spero di far la fortuna del mio padrone. Egli è di buona nascita, è figlio di padre ricco, è di buoni costumi, onde non può essere che un buon partito per la signora Rosaura. Resta da superare la disgrazia che egli ha con suo padre, per causa della matrigna. E questo è quello che mi fa lavorar col cervello. S’io potessi arrivare a parlare col signor Ottavio... Egli mi voleva un gran bene e mi ascoltava, prima che si pigliasse codesto diavolo in casa. Intanto vo tenendo il signor Florindo in reputazione, e per far questo, mi sforzo di dire qualche bugia. Ne diciamo tante per far del male; mi farò lecito dirne quattro per far del bene.

             

 Scena quarta. In una strada di Verona.

FLORINDO   Misero me! Perfida donna! Fargli fare testamento? Perdermi, rovinarmi per sempre?

CORALLINA           Allegro, signor Florindo: ho delle buone novità.

FLORINDO   Ed io ne ho delle pessime.

CORALLINA           Ma voi siete il padre degli spasimi. Che cosa è stato? Che c’è di nuovo?

FLORINDO   La signora Beatrice ha indotto mio padre a far il suo testamento. Figuratevi come sarò io trattato.

CORALLINA           Lo sapete di certo?

FLORINDO   Arlecchino è venuto in casa nostra due ore or sono, e mi ha narrato l’ordine avuto di ricercare il Notaio.

CORALLINA           Questa cosa non mi piace. Come mai si è indotto a far testamento? Egli non ne voleva sentir parlare.

FLORINDO   A forza di lusinghe e di studiate finzioni, lo ha tirato a un tal passo. Questa è l’ultima mia rovina.

CORALLINA           Finalmente non potrà privarvi di tutto.

FLORINDO   Se non di tutto, potrà privarmi di molto. I nostri beni sono tutti liberi, la maggior parte da mio padre acquistati. Sa il cielo che cosa gli faranno fare. Fra la moglie e il figliastro mi spogliano, mi rovinano.

CORALLINA           Conviene ritrovarci qualche rimedio. Arlecchino l’ha ritrovato il Notaio?

FLORINDO   Ha lasciato l’ordine al suo studio.

CORALLINA           Chi è? Come si chiama?

FLORINDO   Un certo degli etcetera.

CORALLINA           Degli etcetera?

FLORINDO   Sì. Arlecchino l’ha chiamato così... Ah! E di nome fa Agapito, se ben ricordo...

CORALLINA           Allora so chi sia. E’ il Notaio di casa. Lasciate fare a me. Procurerò di vederlo. Lo conosco da molti anni; può essere che mi riesca di guadagnarlo.

FLORINDO   Eh! Corallina mia, senza danaro non si fa niente.

CORALLINA           Belle promesse, e uno zecchino a conto, può fare sperare qualche cosa.

FLORINDO   Circa alle promesse si può abbondare, anche con animo di mantenerle. Ma la difficoltà maggiore consiste nello zecchino.

CORALLINA           Voi non l’avete?

FLORINDO   Oh! Dio! Non ho un soldo.

CORALLINA           Io nemmeno.

FLORINDO   Dunque, anche sperare è vano.

CORALLINA           Presto... in virtù della mia polvere magica, comparisca uno zecchino. Eccolo!    (Fa vedere a Florindo lo zecchino)

FLORINDO   (con allegria)    Dove l’avete avuto?

CORALLINA           Non sapete ch’io faccio venir gli zecchini di sotterra?

FLORINDO   Ditelo, dove l’avete avuto? L’ha mandato forse mio padre?

CORALLINA           Sì, vostro padre! Le mie povere mani. Le mie calze vendute.

FLORINDO   Il cielo vi bnedica!

CORALLINA           Con questo, può essere che facciamo qualche cosa di buono.

FLORINDO   E non vi comprerete un pane?

CORALLINA           Presto... in virtù della mia polvere...   (mette la mano in tasca)

FLORINDO   Un altro zecchino?

CORALLINA           No, quattro paoli. Con questi oggi si mangerà.

FLORINDO   Ma che provvidenza è mai questa?

CORALLINA           Andate subito a ritrovar ser Agapito. Procurate condurlo a casa nostra, senza che ne sappia il motivo; indi lasciate operare a me.

FLORINDO   Vado subito... ma qual era la novità che dovevate dirmi?

CORALLINA           Ne parleremo. Ora non c’è tempo.

FLORINDO   Datemene un cenno.

CORALLINA           Vi voglio ammogliare.

FLORINDO   Oh! Dio! Con chi?

CORALLINA           Non importa: lasciate fare a me.

FLORINDO   Corallina...

CORALLINA           Andate, prima che il Notaio si porti da vostro padre.

FLORINDO   Ah! Se avessi da maritarmi... Se fossi in istato...

CORALLINA           Chi prendereste?

FLORINDO   Non voglio dirvelo.

CORALLINA           Via, non perdiamo tempo.   (Florindo indugia)    Presto, camminate.     (Florindo s’allontana. Da sola)    Credo benissimo ch’egli sia innamorato della signora Rosaura; lo vedo spesso alla finestra, ma il povero giovane si avvilisce, e non ha coraggio nemmeno di parlare. L’amore è una gran passione, ma la fame la supera.

         Giunge Pantalone.

PANTALONE           Oh! Giusto vu ve cercava.

CORALLINA           Mi comandi, signor Pantalone.

PANTALONE           No seu vu, che avé vendù un per de calze a mia fia?

CORALLINA           Sì, signore. Le ha forse pagate troppo?

PANTALONE           No digo che la le abbia pagae né troppo, né poco. No son omo che varda a ste minuzie, e lasso che in ste cosse mia fia se sodisfa. Ve digo ben, che in casa mia me farè servizio a no ghe vegnir.

CORALLINA           Perché? Ho commesso qualche mala creanza?

PANTALONE           No ve n’abbiè per mal. In casa mia no gh’ho gusto che ghe vegnì.

CORALLINA           (risentita)    Benissimo: sarà servito. Ella è padrone di casa sua. Può ricevere chi vuole; può cacciar via chi comanda.

PANTALONE           Piuttosto, se ve bisogna qualcossa, comandeme, mandeme a chiamar, vegnì al negozio... insoma, vegnì dove che pratico, che ve servirò volentiera.

CORALLINA           Giacché ella ha tanta bontà per me, vorrei supplicarla di una grazia.

PANTALONE           Disè pur. In quel che posso, ve servirò.

CORALLINA           Perdoni, se troppo ardisco...

PANTALONE           Parlè, cara fia; disè cossa che volè.

CORALLINA           Vorrei che per finezza, per grazia, mi dicesse il motivo, perché non vuole ch’io venga nella sua casa.

PANTALONE           Ve lo dirò liberamente. Gh’ho avudo tanto poco gusto, tanta mala fortuna per aver parlà a favor de sior Florindo, che no voggio intrigarmene né poco, né assae; e no voi aver da far co nissun, che dependa da quella casa.

CORALLINA           Son persuasa; lodo la sua condotta, e non ho motivo di lamentarmi. Dubitava quasi ch’ella avesse mal concetto di me.

PANTALONE           Oh! No, fia.

CORALLINA           Ella saprà benissimo ch’io sono una donna onorata.

PANTALONE           No digo el contrario...

CORALLINA           Che in casa del signor Ottavio, dove sono nata, cresciuta, maritata e rimasta vedova, non ho mai dato motivo di mormorare de’ fatti miei.

PANTALONE           Xe verissimo...

CORALLINA           E se sono venuta a stare col signor Florindo, l’ho fatto per amicizia, per compassione, per carità.

PANTALONE           Qua mo, tutti no crede che la sia cussì.

CORALLINA           E che credono? Ch’io sia una sfacciata, una donna scorretta, una poco di buono? Ed è anche il suo pensiero, non è così? Abbia il coraggio di manifestarsi apertamente!

PANTALONE           Fia mia, per mi digo che sè una donna onoratissima, e no gh’ ho mai dito gnente dei fatti vostri.

CORALLINA           Ma in casa sua non mi vuole.

PANTALONE           Non v’oggio dito el perché?

CORALLINA           Mi fa questo smacco di non volermi.

PANTALONE           V’avè pur persuaso anca vu.

CORALLINA           (si scalda)    Giuoco io, che questo non volermi in casa, deriva dal credermi una donna cattiva. Non è così, signor Pantalone?

PANTALONE           Mo se ve digo de no! Mo se v’ho dito el perché. Mi ho operà per buon cuor, ma no me voi lassar strapazzar!    (Tra sé)     Custia la fa la gatta morta, e po’ tutto in t’una volta la dà fogo al pezzo.

CORALLINA           Come c’entro io, come c’entra il signor Florindo, se dal signor Ottavio e dalla signora Beatrice ha ricevuti degli sgarbi e dei dispiaceri?

PANTALONE           No voi dar motivo a siora Beatrice de perderme un’altra volta el respetto, e obbligarme a far de quelle ressoluzion, che son capace de far.

CORALLINA           Anzi, mi perdoni, signor Pantolone, ma una vendetta onesta è lodabile qualche volta. Per rifarsi delle impertinenze della signora Beatrice, dovrebbe assistere e favorire il povero signor Florindo. In questa maniera farebbe un’opera di pietà; e quest’opera di pietà tornerebbe in profitto dell’innocente, in danno della matrigna, e in gloria del signor Pantalone, il quale, essendo un uomo di mente e di cuore, avrebbe ritrovata la maniera di vendicarsi da uomo grande, da uomo celebre, da par suo.

PANTALONE           (tra sé)     La gh’ha un discorso che incanta.     (A Corallina)     Vu disè ben, e gh’avè pensà anca a mi, ala mia gloria. Ma cossa possio far per sto putto? Mi no son so parente, mi no gh’ho titolo de agir per ello. Lu el gh’ha poco spirito e quella donna xe un diavolo descaenà; no ghe trovo remedio.

CORALLINA           Eh! Ve lo troverei ben io il rimedio, se fossi nei suoi panni.

PANTALONE           Via mo, come?

CORALLINA           E’ un dar acqua al mare, voler dar consigli ad un uomo della sua qualità.

PANTALONE           Parlè, che me fe servizio.

CORALLINA           Per obbedirla: vuol ella acquistare un titolo sopra il signor Florindo e potere a faccia scoperta operar per lui, e far che stieno a dovere il padre, la matrigna, il fratellastro, e tutti i suoi nemici?

PANTALONE           Via mo, come?

CORALLINA           Lo prenda in casa, gli dia per moglie la signora Rosaura...

PANTALONE           Mo adasio, adasio. No la xe miga una bagattella.

CORALLINA           Sa che il signor Florindo è figlio unico? Che suo padre ha quattro o cinque mila scudi d’entrata? Che se non casca il mondo, hanno da essere tutti suoi?

PANTALONE           Xe vero...

CORALLINA           Non vede che il signor Ottavio è vecchio, indisposto, imperfetto; che poco può vivere, e che presto il figlio sarà padrone?

PANTALONE           Za, ma al dì d’ancuo no gh’ha né arte né parte.

CORALLINA           E poi quel temperamento adorabile del signor Florindo non è una gioia, non è un tesoro? Non è amabile?

PANTALONE           Va ben, ma mia fia anca ella xe unica, anca ella gh’ha el so bisogno, e no voggio maridarla co sti pastizzi.

CORALLINA           (Brevissima pausa)   Già facciamo così per discorrere, per passare il tempo. Però... Se il signor Florindo fosse in casa, fosse erede, fosse come dovrebbe essere, avrebbe difficoltà di dargli la sua figliuola?

PANTALONE           Mi no. La casa xe bona, el putto me piase.

CORALLINA           Orsù; vede vossignoria questa donnetta? Quanto vale, che non passa domani che il signor Florindo è in casa, è padrone, e la signora Beatrice batte in ritirata colle pive nel sacco?

PANTALONE           (sogghigna e si frega le mani)    Magari! Gh’averave gusto da galantomo.

CORALLINA           A quel punto, gliela darebbe sua figlia?

PANTALONE           Ve digo de sì.

CORALLINA           E il mio padrone se la prenderebbe per moglie ad occhi chiusi... se solo tutto fosse già accomodato. Signor Pantalone, a ella il merito di decidere di questi due destini...

PANTALONE           Mo perchè gh’aveu sta premura? Che interesse gh’aveu per mi, e per Rosura mia fia?

CORALLINA           Confesso il vero: mi levo la maschera. Tutto faccio per il mio padrone. Conosco la signora Rosaura, so ch’è una buona figlia, so che per lui sarebbe un partito d’oro, ed essendovi troppo gran carestia di fanciulle savie, morigerate, come la sua, che il cielo ve la benedica. Per questo la vorrei assicurare per il signor Florindo; gliene ho parlato, ne sarebbe contento; ed ella forse forse non direbbe di no... certo è che sarebbe un matrimonio che farebbe crepar d’invidia mezza città, e mezza giubilerebbe dal contento. Ma vossignoria ha i suoi riguardi, non vuole, non le pare. Non so che dire. Se il signor Florindo torna a casa, sarà attorniato, sarà sedotto, non mi ascolterà forse più. Me ne dispiace, ma non c’è rimedio.

PANTALONE           Cara Corallina, no buttè le cosse  in disperazion. Lassè che ghe pensa suso. Sti negozi no i se fa co sto precipizio. Me piase l’idea, la lodo, ghe trovo delle difficoltà, ma ghe trovo anca del bon. Deme tempo, e pol esser che me ressolva.

CORALLINA           E se succede qualche novità?

PANTALONE           Avviseme.

CORALLINA           In casa sua non ci devo venire.

PANTALONE           No, no: vegnì pur in casa mia, che ve dago licenza. Vedo che sè una donna de garbo, e che de vu me posso fidar.     (Corallina accenna un inchino)     E po, co cerchè de maridar sior Florindo, xe segno che con lu no gh’è gnente.

CORALLINA           E cerco di maritarmi ancor io.

PANTALONE           No faressi mal: sè zovene.

CORALLINA           Non vi è altro, che non ho dote.

PANTALONE           Vu sè pur stada maridada un’altra volta. Cossa aveu fatto della vostra dota?

CORALLINA           E’ andata!

PANTALONE           Col vostro spirito no ve mancherà un bon partìo.

CORALLINA           Eh! Signor Pantalone, oggidì ci vuol altro che spirito!

PANTALONE           Sè una bona donna, el cielo ve provvederà.

CORALLINA           Vi parlo schietto. Faccio tanto per il signoe Florindo: spero che anch’egli qualche cosa farà per me. Se va bene per lui, per me pure mi lusingo che non andrà male; e se sarà padrone del suo, son certa che un po’ di dote me la darà. So che è un figliuolo grato e onesto. Signor Pantalone, la riverisco divotamente.     (Si allontana)

PANTALONE           (da solo)   Mo che donna de proposito! Ho ben gusto d’averla cognossua. Vardè quando che i dise delle mormorazion. Tutti crede che la staga co sior Florindo, perché i sia innamorai. Oh! Semo pur la gran zente cattiva a sto mondo ! Sto fatto de sta donna me mette la testa a partìo, e me farà da qua avanti pensar ben, ma ben, avanti de formar giudizio delle persone. Sto negozio de sto matrimonio no me despiaserìa; se se podesse combinar... se fusse vero che el tornasse in casa...

     

        Giunge Lelio.

LELIO            Signor Pantalone de’ Bisognosi, la riverisco profondamente.

PANTALONE           Servitor umilissimo...     (Vuol partire)

LELIO            La supplico, ho da parlarle.

PANTALONE           Cossa vorla, patron ?

LELIO            La mia signora madre vi riverisce.

PANTALONE           Obbligatissimo ale so grazie.     (C.s.)

LELIO            Signore, le ho da parlare d’una cosa che preme.

PANTALONE           Gh’ho un pochetto da far. No posso trattegnirme.

LELIO            In due parole la sbrigo.

PANTALONE           Via mo, la diga.

LELIO            La mia signora madre vuole ch’io mi mariti.

PANTALONE           Me ne rallegro infinitamente.

LELIO            E per questo mi ha mandato da vossignoria illustrissima.

PANTALONE           La vol maridarse con mi ?

LELIO            Certo che no! Mi manda da vossignoria acciò che accomodiate questo mio matrimonio.

PANTALONE           Cossa songio mi, sanser da matrimoni ?    (Tra sé)   Xe zornada sta qua...

LELIO            No signore, non mi manda dal sensale, mi manda dal mercante.

PANTALONE           E a mi la me la conta ? Cossa m’importa a mi ?

LELIO            Mi perdoni, ma non è ella mecante di stoffe ?

PANTALONE           Siben, se la vol qualcossa dal mio negozio, la vaga dai zoveni, che mi no me ne impazzo.

LELIO            Dunque, mi dà libertà ch’io vada a trattar colla giovane?

PANTALONE           Co la zovene? Mi ho dito coi zoveni.

LELIO            Ha figluoli maschi vossignoria?

PANTALONE           Patron no, no gh’ho altro che una femena.

LELIO            E dice ch’io me la possa intendere con lei?

PANTALONE           Ma che mercanzia cérchela, patron?

LELIO            La mia signora madre vuole ch’io mi mariti.

PANTALONE           E la lo manda de mi per comprar i abiti?

LELIO            No. Non mi manda per gli abiti, mi manda per la sposa.

PANTALONE           La me perdona, patron. Ma non intendo.

LELIO            (accenna un motivetto)    “Passato ha il merlo il rio :

                                                                          Intendami chi mi può

                                                                          Così com’intendo io.”

PANTALONE           (Tra sé)       O che pezzo de matto!    (A Lelio)   Ho capìo tutto, ma gh’ho un pochetto de far e...    (fa per andarsene)

LELIO            (lo blocca)     Aspetti, signore: ci siamo intesi?

PANTALONE           Uh! Senz’altro.

LELIO            E’ fatta?

PANTALONE           Xe dita.

LELIO            Vuol venir dalla signora madre?

PANTALONE           No posso, in verità. Un’altra volta, magari...

LELIO            Che cosa vuole che le dica?

PANTALONE           Quel che la vol. Me comandela altro?

LELIO            Null’altro. Posso andare?

PANTALONE           Per mi, la mando.

LELIO            Servito umilissimo di vossignoria illustrissima.   (S’inchina esageratamente)

PANTALONE           Patron mio riveritissimo.    (Tra sé)    Oh! Che allocco! Oh! Che babbuin! Mato de cadena xe sto qua...    (Si allontana)

LELIO            (da solo)     Oh! Me felice! Con quanta facilità il signor Pantalone mi ha accordata la sua figluola! Con meno parole non si poteva fare un trattato di matrimonio.

      Giunge Arlecchino.

ARLECCHINO         Sé qua, sior? Dove diavol ve sì ficcado? La patrona ve cerca.

LELIO            Arlecchino, ti ho da dare una buona nuova.

ARLECCHINO         Via mo. Ve scolto.

LELIO            Io son fatto sposo.

ARLECCHINO         Disì da bon?

LELIO            Non vedo l’ora che lo sappia la mia signora madre.

ARLECCHINO         E chi éla la sposa?

LELIO            Indovinala. Se l’indovini, ti do due soldi.

ARLECCHINO         E’la fursi...

LELIO            Signor no.

ARLECCHINO         La sarà...

LELIO            Né meno.

ARLECCHINO         Gh’ho capìo. Anca sì che l’è...

LELIO            No, no e no.

ARLECCHINO         Mo lasseme dir!

LELIO            Tanto non la puoi indovinare.

ARLECCHINO         Ma donca disìla vu.

LELIO            E’ la figlia del signor Pantalone.

ARLECCHINO         Mo se tra sior Pantalon e la siora Beatrice gh’è stà dei radeghi.

LELIO            La signora madre mi ha dato licenza.

ARLECCHINO         E cossa dis el sior Pantalon?

LELIO            E’ contentissimo. Qui adesso, in questo momento, gli ho domandata la figlia, ed egli mi ha risposto: è fatta e detta.

ARLECCHINO         Bon: evviva, me ne consolo. Vedremo una bella razza.

LELIO            Orsù, andiamo a dar la nuova alla signora madre.

ARLECCHINO         Andèghe da per vu, che mi bisogna che torna dal Nodaro.

LELIO            Oh! Sì, dal Notaio, che farà la scrittura del mio contratto.

ARLECCHINO         Avì parlà colla sposa?

LELIO            Non ancora. Che cosa pensi ch’io possa dirle quando le parlo la prima volta?

ARLECCHINO         Dir per esempio: “E’ tanto tempo che sospirando per la bellezza dei vostri crini...”

LELIO            Che sono questi crini?

ARLECCHINO         E’li i cavei.

LELIO            Oibò, oibò! Se i suoi capelli non li ho veduti...

ARLECCHINO         E za! Ben, podì dir: “Che sospirando per le luci delle vostre pupille...”

LELIO            Non ho veduto né meno i suoi occhi.

ARLECCHINO         Ma cossa avì visto? El so mustazzo?

LELIO            Sì, ma coperto dal zendale.

ARLECCHINO         Ho capido. Podì donca dir cussì: “E’ tanto tempo, che innamorato del vostro zendale...”

LELIO            Animalaccio! Il zendale non innamora.

ARLECCHINO         Bestiazza! Se non avì visto altro.

LELIO            Ho veduto e non ho veduto...

ARLECCHINO         Ben, ben, ben! Donca a disìla cussì: “Essendo io innamorato della vostra immaginaria bellezza...”

LELIO            Non voglio mettere la cosa in dubbio.

ARLECCHINO         Ma no savì gnente de siguro.

LELIO            Come non so niente di sicuro? Il signor Pantalone mi ha assicurato ch’è fatta e detta.

ARLECCHINO         Donca scomenzè in sta maniera: “Bellissima fatta e detta...”

LELIO            Sei un asino.    (Gli molla una pedata)

ARLECCHINO         Sì un ignorante.    (Gli pesta un piede)

LELIO            A me non mancano termini equivalenti al merito della bellezza; e le dirò all’improvviso:   (canta)

                                   “Amore ed Imeneo son quelli i fratelli,

                                   che piglian la beltà di ella per loro sorella

                                   e il mio cuor han stimolato e assai inquietato

                                   nel parentado. A mia madre a dirlo ora vado...”

ARLECCHINO         (gli rifà il verso)   Caro lustrissimo, la vaga benissimo a farse ziradonar!       (Lelio si allontana. Da solo)     Oh! Che sacco de spropositi! Più che gh’insegno, e manco l’impara.

        Giunge Brighella.

BRIGHELLA            Paesan, te saludo.

ARLECCHINO         Brighella, me ne consolo.

BRIGHELLA            De cossa?

ARLECCHINO         Semo de nozze.

BRIGHELLA            Nozze? E de chi?

ARLECCHINO         De la to patrona col fiol del me patron.

BRIGHELLA            Gh’ho gusto da galantomo. Vale avanti? Se farà sto matrimonio?

ARLECCHINO         El zovene dis che el la vol; sior Pantalon gh’ha dà parola; no ghe manca alter che una cossa da gnente.

BRIGHELLA            Che vol dir?

ARLECCHINO         Che se contenta la putta.

BRIGHELLA            E ti ghe disi una cossa da gnente? Ma senti, paesan, el negozi se farà, perchè so che la putta ghe vol ben.

ARLECCHINO         Com’ala mai fatt a innamorarse de quel mamalucco?

BRIGHELLA            Mi cred che el sia un maneggio de Corallina.

ARLECCHINO         Cossa gh’intrela Corallina?

BRIGHELLA            No sat che Corallina l’è quella che fa tutt per el sior Florindo? L’è venuda in casa de la me padrona col pretesto de vender un per de calze, e credo che l’abbia parlà de sto negozi tra el sior Florindo e la siora Rosaura.

ARLECCHINO         Tra el sior Florindo e la siora Rosaura? Ponto e virgola.

BRIGHELLA            Come? Gh’è qualcoss’altro?

ARLECCHINO         Anca sì che l’è! Mi digo che ste nozze le s’ha da far col sior Leli, e no col sior Florindo.

BRIGHELLA            Mo ti non ha dito col fiol del to patron?

ARLECCHINO         Ben: sior Lelio non è ‘l so fiol?

BRIGHELLA            L’è fiastro, e no l’è fiol.

ARLECCHINO         El me patron lo chiama per fiol. L’è fiol de so muier, el sarà l’erede, l’è lu el patron, tutti lo chiama el fiol del sior Ottavi, e anca mi ghe digo so fiol.

BRIGHELLA            E con questo se sposerà la mia padrona?

ARLECCHINO         Sigura. Sior Pantalon gh’ha dà la parola.

BRIGHELLA            (tra sé)    Me par impussibile!   (Ad Arlecchino)   Mi credeva che ti parlassi de sior Florindo; adesso ho capido. Ho gusto de saver. Ghe l’avviserò a Corallina e a sior Florindo.

ARLECCHINO         No, no, paesan. Me pareva... Ma no sarà vero.

BRIGHELLA            Eh! Furbo, te cognosso; ti vorressi voltarla, ma no gh’è più tempo.

ARLECCHINO         No, caro paesan, lassa che i se destriga tra de lori: no se n’impazzemo. Fame sto servizio.

BRIGHELLA            Mo sat che, se no gh’el disesse, me vegniria tant de gosso?

ARLECCHINO         Perchè?

BRIGHELLA            Perchè a chi se trattien de parlar, ghe vien el gosso.   (Si allontana)

ARLECCHINO         (da solo)    Mo no vorav miga che me vegniss el gosso anca a mi! Vago subit a dirlo al me patron, o alla me patrona, che se manizza st’alter negozi... Ma bisogna che vaga dal Nodar... No, l’è mei prima che vaga a cà... Ma se no vag dal Nodar, i me bastona! Coss’è mei, el goss’ o le bastonade? L’è mei el gosso; finalmente l’è una bellezza, e se tornerò al me paese col gosso, poderò vantarme de essere un bergamasco da Bergamo.  (Si allontana)                   

Fine del primo atto.

ATTO SECONDO

      Scena prima. In una camera in casa di Ottavio.

OTTAVIO      Mandeghe a dir al Notaio che' l vegna un altro zorno. Ancuo no go voggia de parlar.

BEATRICE    Mio caro Ottavio, da qualche giorno mi sembrate tristerello. Vi sentite male?

OTTAVIO      No, no.. stago ben.

BEATRICE    Allora cos'è questa mestizia? E il vostro bel parlare, dov'è finito?

OTTAVIO      Oh! Mi parlo pulito... parlo benissimo... e come parlo, mangio, anche... Anzi, ho un'appetito che mi serve.

BEATRICE    Troppo appetito non è buon segno. Dice il medico che quasi tutti i vecchi, quando s'avvicinano alla morte, mangiano più del solito.

OTTAVIO      (Tra sé)   La me vol veder morir...   (A Beatrice)   Siete annoiata forse dalla mia presenza, che mi date per morente? Ben, pazienza...

BEATRICE    Oh! Caro marito mio, che cosa dite? Desidero la vostra salute più della mia. Prego ogni giorno il cielo che viviate più di me.

OTTAVIO      Vi posso credere?

BEATRICE    Mi fate torto se ne dubitate.

OTTAVIO      Deme la man.

BEATRICE    Eccola.

OTTAVIO      Cara!   (Brevvima pausa. Le bacia più volte la mano)  Quando morirò, vi dispiacerà di lasciarmi?

BEATRICE    Via, non pensiamo alle malinconie.

OTTAVIO      Se muoio, ne prenderete altri?

BEATRICE    Non c'è pericolo...

OTTAVIO      Se morirò io, me despiaserà pur tanto de lassarve... Se morite voi, io non prenderò nessun altra...

BEATRICE    A me preme restar viva, e prego il cielo che lo restiate anche voi, per molte ragioni...

OTTAVIO      E quali sono, gioietta mia?

BEATRICE    La prima, perchè vi voglio bene.

OTTAVIO      In questo poi siete corrisposta. Son tutto vostro; non c'è pericolo che vi faccia torto.

BEATRICE    Secondariamente, perchè mi trattate così bene, che sarei un'ingrata se non lo riconoscessi.

OTTAVIO      Ah? Vi tratto bene in tutto?

BEATRCE     Sì, caro signor Ottavio, in tutto. E per ultimo, se voi moriste, che cosa sarebbe di me, poverina?

OTTAVIO      Poverazza! No ghe ne trovè un altro come mi.

BEATRICE    Ho un figlio grande e senza impiego. Siamo avvezzi a vivere con tante comodità. Morto voi, m'aspetto che Florindo ci cacci villanamente fuori di casa, ci prenda tutto, e in premio d'avervi servito, d'avervi amato, d'avervi fatto vivere tanti anni di più, vedermi strapazzata, vilipesa, scacciata, e in stato forse di dover mendicare il pane.

OTTAVIO      Non vi ho assegnato seimila scudi di dote?

BEATRICE    Sì, mi avete fatto quella carta, ma non è autenticata.

OTTAVIO      Mi hanno detto che è valida; ma ciò non ostante, per compiacervi, la farò autenticare. Ricordatemelo domani. La tengo apposta nel mio scrittoio.

BEATRICE    E poi a che servono seimila scudi? Se io restassi vedova con quel figliuolo, come vivremmo con un capitale di seimila scudi? Eh? Signor Ottavio, prevedo le mie disgrazie, prevedo di dover piangere per troppa mia dabbenaggine.     (Si mette a frignare)

OTTAVIO      Via, via, mo cara... no stè pianzer... ghe penserò mi, penserò tutto mi... ci penso e vi provvederò.

BEATRICE    Già... lo dite ma non lo fate. Il tempo passa, ogni giorno passa un giorno, e se aspettate l'ultima malattia, avrete altro in capo che pensare alla povera moglie, al povero Lelio, che non ha altro padre che voi.

OTTAVIO      Non dubitè... un de sti giorni me deciderò... e farò testamento. Ho pensato a tutto. Vi voglio bene.

BEATRICE    Ma farlo oggi, farlo domani, farlo da qui a un anno, da qui a due... per chi lo fa, è lo stesso. Anzi, quando un uomo ha fatto testamento, si pone in calma, non ci pensa più, si è sgravato d'un peso, e gode tranquillamente i suoi giorni, e vive probabilmente di più.

OTTAVIO      Sapete che non dite male? Infatti tante volte mi sveglio la notte, e penso a questa cosa.

BEATRICE    Vi contentate che venga qui il Notaio?

OTTAVIO      Quando?

BEATRICE    Questa sera.

OTTAVIO      Fate quel che vi piace.

BEATRICE    Domani vi parrà d'esser rinato.

OTTAVIO      Mi fa un poco di ribrezzo questo far testamento, ma procurerò superarlo.

BEATRICE    Sarebbe bella, che chiamando il medico per far purga, fosse un motivo per ammalarsi! Così del testamento: si fa per precauzione, e non per necessità.

OTTAVIO      Voi mi parlate da quella donna che siete. Oh! Se mi foste capitata vent'anni addietro! Se m'aveste veduto da giovine!

BEATRICE    M'immagino che avrete preparata la vostra disposizione.

OTTAVIO      Sì. Appresso a poco l'ho divisato il mio testamento.

BEATRICE    Ricordatevi che avete un figlio legittimo e naturale, il quale, benchè per sua disgrazia sia scellerato, pure è vostro sangue, e non lo dovete privare dell'eredità.

OTTAVIO      Brava! Siete una donna savia e prudente: ammiro la vostra bontà. Benchè colui v'abbia offesa, non gli volete male.

BEATRICE    Anzi vi prego fargli del bene. Io vi consiglierei lasciargli almeno almeno trecento scudi l'anno.

OTTAVIO      Quanti ne abbiamo ora d'entrata? Una volta erano quattromila.

BEATRICE    Adesso le cose vanno malissimo. Dopo che avete tralasciato di negoziare, ogn'anno si sono intaccati i capitali. Levando ogn'anno trecento scudi netti, non vi restano ricchezze nel patrimonio.

OTTAVIO      Basta. Lascierò a voi tutte le mie facoltà col titolo di erede universale, con l'obbligo di dare a Florindo trecento scudi l'anno, e il testamento sarà presto fatto.

BEATRICE    Con facoltà ch'io possa col mio testamento beneficar chi voglio.

OTTAVIO      Ci s'intende.

BEATRICE    Questa sera lo fate, e domani non ci pensate più.

OTTAVIO      Non vedo l'ora d'averlo fatto.

      Entra Arlecchino.

ARLECCHINO         (forte)   Signori...

BEATRICE    Zitto con quella voce, che fai stordire il signor Ottavio.    (Piano)    Hai trovato il Notaio?

ARLECCHINO         (Piano)   El vegnirà stassera.   (In voce)   Siori, gh'è una novità.

BEATRICE    Che c'è?

ARLECCHINO         Se tratta matrimonio tra la fiola de sior Pantalon...

BEATRICE    E Lelio mio figlio. Lo sappiamo.

ARLECCHINO         Siora no. Co sior Florindo.

BEATRICE    Eh! Via, pazzo...

ARLECCHINO         Me l'ha dit Brighella, e chi tratta sto matrimonio, l'è Corallina.

BEATRICE    Ah! Indegna!

OTTAVIO      (A Beatrice)   Non andate in collera.   (Ad Arlecchino)   Ma come può essere?

ARLECCHINO         L'è cussì de siguro. Brighella me l'ha confidà.

BEATRICE    (tra sé)   Questa è una cosa che sconcerta tutti i miei disegni. Se ciò succede, Pantalone farà valere le ragioni del genero.

OTTAVIO      (ad Arlecchino)   Quietatevi, per carità... Sia maledetto quando sei venuto!

ARLECCHINO         Mi ho fatt per ben.

OTTAVIO      Va' via di qua! Non sarà vero...

ARLECCHINO         Se no l'è vero, prego el ciel che possì crepar.

OTTAVIO      Maledetto!    (Gli molla un pedatone)

ARLECCHINO         Tolì, de Diana! Ancuo l'è la segonda sta qua... prima el fiol, e po el pare. L'era mei che me lassasse vegnir el gosso.      (Esce)

BEATRICE    Perfida Corallina... me la pagherai!

OTTAVIO      Mio cuor, no andè in collera.

BEATRICE    Sentite la vostra cara Corallina? La vostra serva fedele?

OTTAVIO      Via, siate buonina...

BEATRICE    Le farò fare uno sfregio.

OTTAVIO      Sì, cara, sì... ma calmève... calmatevi.

BEATRICE    Lasciatemi stare, non mi seccate.

OTTAVIO      Via, che farò testamento.

BEATRICE    Quando?

OTTAVIO      Questa sera.

BEATRICE    Tutti mi vogliono male...

OTTAVIO      Ma io vi voglio bene.

BEATRICE    Lo vedremo.

OTTAVIO      Vi lascierò erede di tutto.

BEATRICE    Me lo sarò guadagnato questo poco di bene.

OTTAVIO      Voleu che moro?

BEATRICE    Corallina indegna!

OTTAVIO      Semo da capo...

BEATRICE    Voglio farla pentire dei suoi maneggi; e se non giovano le minacce, metterò in opera i fatti.    (Esce)

OTTAVIO      (da solo)    Beatrice... Beatricina cara, sentite... Oh! Povero mi! La xe sempre in collera, sempre che crìa... Da che semo maridai, no la xe stada un zorno senza criar. La xe una donna civil, ma arlevada con un'aria spaventosonazza. (=Spaventosamente altera.) he voi ben, me piàsela... e vecio che son, el cielo sa se no ghe n'ho bisogno! Sangue de diana! No voi desgustarla, e sta sera me convegnirà far testamento. Anca sì, che me toca sto passo... Oh! L'è duro, ma per contentar mia muggier bisogna farlo. Ah! Misera umanità! Se l'omo xe povero: quando el crepa? Se l'omo xe ricco: quando falo testamento? Ma mi, no voi certo crepar...        (Buio)

Scena seconda. Camera in casa di Florindo.

CORALLINA           (sola)   Il Notaio è dalla mia. Conosce l'ingiustizia che si vuol fare al mio padrone e mi darà modo di rimediarvi. Non ha nemmeno voluto lo zecchino. E' galantuomo, è disinteressato. Ma se a negozio finito gliene darò dieci, li prenderà.

BRIGHELLA            (da fuori)    O de casa.

CORALLINA           Oh! Messer Brighella! Venite avanti.

       Entra Brighella.

BRIGHELLA            El vostro padron gh'èlo?

CORALLINA           No, non c'è. Che volete da lui?

BRIGHELLA            De lu gnente. Anzi ho gusto che nol ghe sia. La mia padrona la vorria far un contrabando.

CORALLINA           Di che genere?

BRIGHELLA            La vorria vegnir qua da vu segretamente, per dirve una cossa che ghe preme.

CORALLINA           Se vuol venire, è padrona. Ma se comanda, verrò da lei.

BRIGHELLA            No, la gh'ha gusto de vegnir da vu per parlar con più libertà. Ma no la vorria che ghe fusse sior Florindo.

CORALLINA           Non c'è, e non verrà per adesso.

BRIGHELLA            Vago donca a dirghelo.

CORALLINA           Il signor Pantalone è in casa?

BRIGHELLA            El dorme, e per un per de ore nol se desmissia.

CORALLINA           A quest'ora calda può venire senza che nessuno la veda. Ma che sia prudente, e usi lo zendale.

BRIGHELLA            Avì savudo la nova?

CORALLINA           Di che?

BRIGHELLA            Sior Lelio ha domandà la putta al patron.

CORALLINA           Oh! Diavolo! Ed egli che cosa gli ha detto?

BRIGHELLA            I dise ch'el gh'abbia dito de sì.

CORALLINA           Possibile?

BRIGHELLA            Cussì i dise... vado a darghe sta risposta a siora Rosaura, e po parleremo.

CORALLINA           Io resto attonita!

BRIGHELLA            Gh'ho po un altro discorsetto de farve.

CORALLINA           In materia di che?

BRIGHELLA            Tra vu e mi, a quattr'occhi.

CORALLINA           A che proposito?

BRIGHELLA            So che tra vu e sior Florindo no ghe xe gnente de mal...

CORALLINA           Eh! Sì, sì, caro. Quando il sasso è tratto, non si ritira indietro.

BRIGHELLA            La giusteremo. Schiavo, schiavo, la giusteremo.    (Esce)

CORALLINA           (da sola)   Se dovessi rimaritarmi, Brighella sarebbe per me un buon partito. E' uomo di garbo, ha qualche cosa del suo...

      Entra Florindo.

FLORINDO   Chi c'era in casa? Ti ho sentito parlare.

CORALLINA           Oh! Siete qui?

FLORINDO   Sì, vengo ora dal dormire.

CORALLINA           Ed io credeva che foste fuori casa. Presto, presto, prendete la spada ed il cappello, e andate a fare una passeggiata.

FLORINDO   Perché?

CORALLINA           Vi dirò. La signora Rosaura vuol venire da me, e non ha piacere che ci siate anche voi.

FLORINDO   Che vorrà mai la signora Rosaura?

CORALLINA           Non v'ho detto che vi vuol bene? Che spero di concludere questo buon negozio per voi?

FLORINDO   Sì, sì... ma prima chi c'era qui? Era forse Brighella?

CORALLINA           Signor curioso, provvedete di allontanarvi da qui, ora.

FLORINDO   Se s'aggiustano le cose mie, Corallina, ho qualche altra idea per il capo.

CORALLINA           Come? Avete voi qualche altro amoretto?

FLORINDO   D'amoretti non mi diletto. Sono un uomo onesto, un galantuomo; povero sì, ma grato.

CORALLINA           Tutte queste cose vi fanno meritevole di un buon partito, e quello della signora Rosaura non è fortuna da trascurarsi.

FLORINDO   Per ora sospendete questo contratto.

CORALLINA           Ma capperi! Ella or ora verrà da me, e ripigliando il discorso della mattina, mi porrà forse in necessità di dirle qualche cosa di positivo.

FLORINDO   Non vi mancheranno pretesti per disimpegnarvi.

CORALLINA           Ditemi, non è bella la signora Rosaura?

FLORINDO   Sì, bellissima.

CORALLINA           Non è di buon parentado?

FLORINDO   Sì, lo è.

CORALLINA           Non è ricca?

FLORINDO   Non dico il contrario.

CORALLINA           Dunque, che difficoltà avete?

FLORINDO   Se vorrà il cielo che mi sia fatta giustizia, se andrò al possesso de' beni miei, sarà giusto ch'io mi mariti, ma sarà giusto altresì che, premiando il merito dell'amor vostro, scelga voi per mia sposa.

CORALLINA           Eh! Via!

FLORINDO   Ve lo giuro per quanto di più sacro...

CORALLINA           Zitto: prima d'impegnarvi col giuramento, pensate meglio a ciò che siete per fare. Lasciate ch'io vi parli da madre, più che da serva, e che vi apra gli occhi. Vi ho amato dalle fasce, siamo cresciuti insieme; ebbi compassione di voi, scacciato dal padre e maltrattato dalla matrigna; venni ad assistervi abbandonando il mio pane e superando ogni riguardo; dissimulai le mormorazioni e soffersi degli'incomodi, degli stenti e ogni altra privazione. Tutto ciò merita qualche cosa, e la vostra gratitudine è impegnata a ricompensarmi. Non facciamo però che la ricompensa in voi oscuri il lume della ragione, e in me distrugga il merito della servitù. Se mi premiaste col matrimonio, l'innocente amor mio comparirebbe troppo interessato, e si direbbe che la nostra amicizia fu scorretta, e che per tirarvi io nella rete, avessi contribuito a distaccarvi dal padre. A me preme l'onor mio sopra tutto, e a voi deve premere il vostro. Figlio unico di casa ricca e civile, vorreste avvilirvi con lo sposare una serva? Ah! Signor Florindo, non ci pensate nemmeno! Se mi amate, ascoltatemi; se avete stima di me, arrendetevi ai miei consigli; e se volete essermi grato, una piccola dote che per me vogliate estrar dai beni vostri sarà bastevole ricompensa ai servigi che vi ho prestati. Godendomi, senza rimorsi al cuore, una fortuna che a me convenga, vi sarò sempre amica, vi sarò sempre serva, sarò sempre la vostra amorosissima Corallina.

FLORINDO   Ah! Voi m'intenerite a tal segno...

CORALLINA           Quel che ho fatto finora non conta nulla, se la macchina non ha il suo fine. Ho parlato  col Notaio; egli è persuaso a favorici nei limiti dell'onesto, e siamo rimasti ch'egli vada questa sera da vostro padre.

FLORINDO   Ma farà poi testamento?

CORALLINA           Vi dirò: il Notaio vuole parlar con voi. Cercate anche voi di persuaderlo, ed io questa sera... Sento gente, sarà la signora Rosaura. Presto, nascondetevi.

FLORINDO   Perchè?

CORALLINA           Fatemi questo piacere. Nascondetevi. E stateci fino a che io vi chiami.

FLORINDO   Ma, Corallina, pensateci: non ricusate...

CORALLINA           Se ne parlate più, mi fate montar in bestia! Via di qua, ora.

FLORINDO   Vado per compiacervi.    (Si ritira in una camera)

ROSAURA    (da fuori)   C'è nessuno?

CORALLINA           Venga, signora Rosaura.

          Entra Rosaura.

ROSAURA    Ah! Corallina, non siete più venuta da me, ed io son venuta da voi.

CORALLINA           Questo è un onore che non merito. Se avesse ella comandato, sarei venuta a servirla: s'accomodi.

ROSAURA    Ora mio padre dorme. Posso pigliarmi questa poca di libertà.    (Siede)    Via, sedete anche voi.

CORALLINA           (Siede)    Che cosa ha da comandarmi?

ROSAURA    Avete saputo la bella novità?

CORALLINA           In che proposito?

ROSAURA    Quello scimunito di Lelio ha avuto ardire di presentarsi a mio padre, e chiedermi a lui in sposa.

CORALLINA           Che cosa gli ha risposto il signor Pantalone?

ROSAURA    Potete figurarvelo. Mio padre  non mi ama sì poco, ch'io abbia a temere che mi volesse precipitare.

CORALLINA           In fatti sarebbe un peccato che una signorina così gentile e garbata andasse in potere di un uomo senza spirito e senza grazia.

ROSAURA    Mi ricordo ancora un giorno, che mi tenne dietro per la strada. Faceva ridere tutta la gente, e quando passa sotto le mie finestre, è il divertimento del vicinato.

CORALLINA           Anch'io qualche volta ho riso di lui.

ROSAURA    Peraltro egli ha fatto quello che il signor Florindo non si sente di fare. Ha parlato al mio genitore, cosa che il signor Florindo non ha forse ancora pensato.

CORALLINA           Oggi ha destinato di farlo.

ROSAURA    Non vorrei che questa cosa fosse promossa da voi, e che il signor Florindo lo facesse per complimento. Io lo stimo, e accomodate che sieno le cose sue, desidererei che mio padre me lo proponesse. Però, s'egli non mi volesse veramente bene, non sono ancora in stato di non potermelo staccar dal cuore, e non vorrei che facessimo la sua e la mia infelicità.

CORALLINA           Gli stessi stessissimi sentimenti li ha il signor Florindo. Dubita anch'egli che un trattato fatto per via di terze persone impegni più per convenienza che per affetto. E in verità, in materia di matrimoni, sarebbe sempre ben fatto che gli sposi, prima di concludere, si parlassero una volta almeno e si assicurassero della loro reciproca inclinazione.

ROSAURA    Ma! Come potrebbe accadere che il signor Florindo mi vedesse da vicino e mi parlasse? In casa mia non verrà, se mio padre non gli dà parola e non la riceve da lui; e data la parola, non c'è più rimedio.

CORALLINA           Non potrebbe ella venire una mattina, o un giorno, così segretamente da me; e qui col signor Florindo vedersi?

ROSAURA    (Alzandosi di scatto)    Oibò... Se ci fosse il signor Florindo, non ci verrei per tutto l'oro del mondo. Per questo ho mandato Brighella innanzi, e s'egli c'era, non ci veniva. Anzi, sarà bene ch'io parta innanzi ch'egli ritorni...

CORALLINA           Eh! Si fermi liberamente, per ora non torna.

ROSAURA    Dov'è andato?

CORALLINA           Credo sia da suo padre.

ROSAURA    Si accomodano le cose sue?

CORALLINA           Questa sera le spero accomodate.

ROSAURA    Ma perchè non parla dunque a mio padre?

CORALLINA           Per quel ch'io credo, egli vorrebbe prima parlar con lei.

ROSAURA    Se sapessi come!

CORALLINA           Assolutamente non v'è altro rimedio, che venire una mattina da me.

ROSAURA    E se si vien a sapere?

CORALLINA           Non lo saprà né men l'aria.

ROSAURA    E quando?

CORALLINA           Lasci fare a me. Basta che mi dia parola di venir a parlar con lui, quando io l'avviserò.    (Attende un cenno di Rosaura, che volge il capo e non risponde)     Verrà?

ROSAURA    Verrò.

CORALLINA           Mi dà parola?

ROSAURA    Vi do parola.

CORALLINA           Quand'è così, l'invito adesso.

ROSAURA    A far che?

CORALLINA           A parlare col signor Florindo.

ROSAURA    Dove?

CORALLINA           Qui, in questa casa.

ROSAURA    Non ho tempo per aspettar ch'ei ritorni.

CORALLINA           E' ritornato.

ROSAURA    Come?

CORALLINA           Signora Rosaura, perdoni, non si adiri. Egli è in quella camera.

ROSAURA    Questo è un tradimento.

CORALLINA           Tradimento? L'ho mandata io a chiamare?

ROSAURA    Avete detto a Brighella ch'egli non c'era.

CORALLINA           E allora non c'era.

ROSAURA    Ed ora...

CORALLINA           Ed ora c'è.

ROSAURA    Vado via.

CORALLINA           E la vostra parola?

CORALLINA           Non avete promesso che avvisandomi sareste venuta?

ROSAURA    Ho detto, potendo.

CORALLINA           Oh! Bella! Come non potete venire, se già ci siete?

ROSAURA    Corallina, lasciatemi andare.

CORALLINA           Voi mancherete alla vostra parola.

ROSAURA    Me l'avete carpita. Siete una donna astuta.

CORALLINA           (s'avvia verso l'uscio e s'inchina, come se Rosaura dovesse andarsene)     Oh! Quand'è così, padrona riverita!

ROSAURA    Compatitemi, non vi adirate.

CORALLINA           (torna verso l'interno e finge di essere chiamata)    Vengo, vengo...

ROSAURA    Dove, Corallina?

CORALLINA           Non sente? Sono chiamata.

ROSAURA    Da chi?

CORALLINA           Dal mio padrone.

ROSAURA    Mi ha veduta?

CORALLINA           Se non è cieco.

ROSAURA    Che dirà della mia debolezza?

CORALLINA           Vuol dire perchè se ne va?

ROSAURA    No: perchè qui son venuta.

CORALLINA           Dirà che fa capolino e fugge.

ROSAURA    Oimè!

CORALLINA           (come sopra)    Vengo, vengo.

ROSAURA    Un'altra volta, se mi avviserete a tempo, verrò.

CORALLINA           Chi sono io? Una sguaiataccia da non fidarsene? Sono una ciarliera, che vado a dirlo al mercato? Non son io quella, in cui diceste di confidarvi? Se avete intenzione di parlare col signor Florindo, che importa oggi o domani? Certe cose non le posso soffrire. Già che ci siete, stateci. Il signor Florindo è lì, lo meno qui; lo vedete, vi spicciate, e ve n'andate con un poco più di proposito e di convenienza.     (Va nella camera di Florindo)

ROSAURA    Oh! Dio! Che faccio? Resto o me ne vado? Quella donna mi ha confusa, mi ha stordita.

CORALLINA           (rientrando con Florindo per mano, lo spinge verso Rosaura)    Oh! Via! Anche voi fatemi il vergognoso.

FLORINDO   Non vorrei ch'ella credesse...

CORALLINA           Che ha da credere? Quando crede che vogliate bene, ha finito.

ROSAURA    Di quelle calze, Corallina, ne avrete delle altre?

CORALLINA           Oh! Sì, signora, delle calze ne avrò quante volete, ma dei padroni non ho altro che questo.

FLORINDO   Servo vostro, mia signora.

ROSAURA    La riverisco divotamente.   (A Corallina, in atto di partire)    Addio, bella giovane.

CORALLINA           (a Rosaura)    Andate via?

ROSAURA    Mio padre dorme.

CORALLINA           (come sopra)    Se dorme, può trattenersi.

ROSAURA    Sarà svegliato forse.

FLORINDO   Vi è tempo un'ora. Quando si alza, io lo vedo dalla finestra...

CORALLINA           (a Florindo)    Oggi vi preme di parlare al signor Pantalone, non è vero?

ROSAURA    (a Florindo)     Ha qualche interesse con lui?

FLORINDO   (a Rosaura)     Sì, signora, ho un piccolo affare.

ROSAURA    Affar piccolo?

FLORINDO   Voglio dire...

CORALLINA           Così e così. M'immagino che vi premerà vedere il signor Pantalone per parlargli della signora Rosaura.

FLORINDO   Per l'appunto.

ROSAURA    (a Florindo)    Parlare di me, signore?

FLORINDO   Ah! Se fossi degno...

ROSAURA    Mi mortifica.

CORALLINA           Poverini! Parlate poco, ma i vostri occhi dicono molto.

FLORINDO   Signora Rosaura, supererò il rossore, e vi dirò ch'io vi amo.

CORALLINA           Bravo!

ROSAURA    Non merito le sue grazie... ma...

CORALLINA           Via, dite su.

ROSAURA    Ma si assicuri che ho della stima...

CORALLINA           (a Florindo)   Che volete voi di più? Ella ha della stima per voi.

FLORINDO   Troppa bontà, signora mia.

ROSAURA    E' il suo merito.

FLORINDO   Se il cielo mi assisterà, farò quei passi che sono convenevoli per ottenervi.

ROSAURA    Mi confonde.

FLORINDO   Sarete voi contenta, se il signor Pantalone mi onorerà del suo assenso?

ROSAURA    Perchè no?

FLORINDO   Potrò assicurarmi della vostra fede?

ROSAURA    Sì signore.

FLORINDO   Datemene una caparra colla vostra mano.

CORALLINA           (interponendosi)   Basta così! Le cerimonie vanno troppo avanti. Premeva sapere se il vostro genio è d'accordo; ora che ne siete assicurati, s'hanno da far le cose a dovere. Prima che vi tocchiate la mano, l'ha da sapere il signor Pantalone. Sono una donna onesta, e non permetto che così di nascosto...

ROSAURA    Corallina, non mi fate arrossir d'avvantaggio.  (A Florindo)    Serva sua.    (Esce. Florindo vuol seguirla)

CORALLINA           Fermatevi!

FLORINDO   L'avete disgustata.

CORALLINA           Carino! Vi siete svegliato tutto in una volta.

FLORINDO   Oh! Cielo! Non sono finalmente di sasso. Sapete quel che vi ho detto. La mia mano l'ho esibita a voi di cuore; ma se voi la ricusate, se voi mi ponete al cimento, torno a dirvi, non sono di sasso.    (Esce)

CORALLINA           Ed io ho piacere che si vadano a genio. Se alcuno mi avesse in tal incontro veduta, mi avrebbe onorato del titolo di mezzana. Alfine si saprà che ho avuto cuore di rinunziare uno sposo civile, un'occasione invidiabile, una grandissima fortuna, per delicatezza d'onore, per zelo di fedeltà, per impegno di vera onestà e disinteressata amicizia.

Scena terza. Camera di Ottavio, con tavolino da scrivere, lumi, sedie e porta segreta o paravento da un lato.

BEATRICE    Sta attento quando viene il Notaio; fallo passare per la scala segreta, e avvisami, che lo faremo entrare senza che sia visto.

TONIN           Lustrissima, la sarà servida.

BEATRICE    Che cosa fa in sala il signor Ottavio?

TONIN           El passeggia, e'l sospira.

BEATRICE    Digli che venga in camera che gli voglio parlare.

TONIN           Siora sì.    (Esce)

BEATRICE    E pur è vero, questo testamento gli fa paura. Dubito anche, che qualche volta gli vengano delle tenerezze per il suo figliuolo. Faccio bene a non fidarmi, faccio bene a sollecitare la sua disposizione... finchè son viva io, non gli lascerò campo di buttar all'aria tutto!

OTTAVIO      (da fuori)    Son qua... che mi comanda la signora Beatrice?    (Entra)

BEATRICE    Venite qui, il mio caro consorte. Che cosa mai avete, che passeggiate così da voi solo?

OTTAVIO      Il mio stomaco brucia, passeggiare mi fa bene.

BEATRICE    Via... sedete ora.

OTTAVIO      Volentieri.

BEATRICE    Vedete? Io penso sempre alla vostra salute, al vostro comodo, al vostro piacere.

OTTAVIO      Che siate benedetta! L'ora si va avanzando. Può essere che il Notaio non venga altrimenti.

BEATRICE    Non state ora a pensare al Notaio. Se verrà, verrà... se non si farà stasera, si farà un'altra volta: non ci sono queste premure.

OTTAVIO      E' vero, così diceva anch'io.

BEATRICE    Che cosa volete questa sera da cena?

OTTAVIO      Nulla... sapete, il mio stomaco... non ceniamo e andiamocene a letto.      (L'abbraccia e la bacia, ma viene respinto)

BEATRICE    Vi ho preparato una buona cosa.

OTTAVIO      Davvero! (Come sopra)

BEATRICE  Fatta con le mie mani.

OTTAVIO      Eh! Via. (Come sopra)

BEATRICE   Una torta d'erbe col latte.

OTTAVIO      Buona! E l'avete fatta voi?

BEATRICE   Io.

OTTAVIO      Oh! Sarà pur buona!    (Come sopra)

BEATRICE   La mangeremo insieme.

OTTAVIO  Sì... ma spicciamoci presto. Ceniamo, e andiamocene a letto.

BEATRICE  La torta si cucina.

OTTAVIO      Bene! Intanto facciamo qualche cosa...  (Come sopra)

BEATRICE   Giuochiamo un poco alle carte.

OTTAVIO      Da noi due?

BEATRICE   Sì, da noi due. Voi ed io.

OTTAVIO      A che giuoco?

BEATRICE    Giuochiamo a bazzica. Vi va?

OTTAVIO      No... piuttosto giuochiamo a viva l'amore.   (Tenta di abbracciarla con più irruenza)     Voglio giuocare a viva l'amore, a viva l'amore.

BEATRICE    (lo scansa, risoluta)    Bazzica.

OTTAVIO      Sì cara, a quel che volete voi.

BEATRICE    (tra sé, prendendo un mazzo di carte fuori da un cassetto)    Che pazienza!

OTTAVIO      Di quanto volete che giuochiamo?

BEATRICE    Per giuocare di qualche cosa, giuochiamo d'un soldo la partita. Ecco, faccio io le carte.    (Esegue)

OTTAVIO      Se guadagno, voglio esser pagato.

BEATRICE    Ci s'intende.    (Dà le carte)

OTTAVIO      Scarto.

BEATRICE    Anch'io.

OTTAVIO      Oh! Aspettate. Ho bazzica, e non l'aveva veduta.

BEATRICE    Signor no. Avete detto scarto, avete da scartare.

OTTAVIO      Ma se ho la bazzica.

BEATRICE    Non importa.

OTTAVIO      Andemo... no la gh'ho vista!

BEATRICE    Se siete cieco, vostro danno.

OTTAVIO      Oh! Vardè che catarri! Savè cossa? Mi a sti zoghi no voi zogar!    (Getta le carte in tavola)

BEATRICE    Serva vostra!    (Tra sé)    Un tedio di meno.   (Tutti e due stanno un pezzo senza parlare. Entra Tonin e furtivamente si rivolge a Beatrice)

TONIN           Siora, ghe xe qua el Notaro.

BEATRICE    (Piano a Tonin)    Fallo passare per lì dietro.

        Durante questo breve colloquio, Ottavio tira fuori gli occhiali, se li mette al naso, e mescola le carte.

OTTAVIO      Alzate.    (Beatrice alza senza parlare. Ottavio dà le carte)

BEATRICE    Bazzica.

OTTAVIO      Buona... No, no. Bazzicotto, bazzicotto.

BEATRICE    Non è più tempo: bazzica.

       Entrano Ser Agapito e Corallina vestita da Notaio, che resta indietro.

AGAPITO      Servo di lor signori.

OTTAVIO      Schiavo suo.   (A Beatrice)   Ve ne prego, menatemi buono il bazzicotto...

BEATRICE    Ben venuto, signore Agapito.

OTTAVIO      (Tra sé)    Malignazo!   (A Beatrice)    Segno sette punti. Fate voi: ho sette punti.

BEATRICE    (Tra sé)   Non posso più!   (Mette giù il mazzo)    Signor Agapito, chi è quel signore?   (Accenna Corallina)

AGAPITO      Un mio giovine, che soglio condurre con me. Fa le minute sotto la mia dettatura; copia, mi serve per testimonio, e impare la professione.

BEATRICE    Fatelo venire avanti.

AGAPITO      Perdoni: non gli do tanta confidenza. Verrà innanzi, quando bisognerà.

BEATRICE    Ecco qui il signor Ottavio; egli ha desiderio di fare il suo testamento.

OTTAVIO      Eh! No gh'ho poi sto gran desiderio... grazie al cielo, no son ancora decrepito. Stago ben de salute, e ghe posso ancora pensar un pochetto. Oe! Siora Beatrice, andemo avanti?

AGAPITO      Vossignoria sappia che non sono venuto per consigliarla a far testamento. Mi hanno chiamato, ed io per obbedire sono comparso.

OTTAVIO      Cossa ghe xe de novo, ah? Quali nuove, signor Agapito?

AGAPITO      Non saprei...

OTTAVIO      (ad Agapito)    Volete giuocare a bazzica?

BEATRICE    (ad Ottavio)     Voi diventate peggio assai di un bambino. Ogni momento vi cambiate di opinione. Ora sì, ora no. Ora voglio, ora non voglio. Volete che ve la dica? Sono scandalizzata di voi, e credo che lo facciate o per farmi disperare, o per burlarmi ben bene, e far ridere i miei nemici.

OTTAVIO      Vardè che pensieracci ve vien in testa! Signor Agapito, son qui, voglio fare testamento.

AGAPITO      Benissimo, io la servirò. Ha fatto niente da sé? Ha preparato la sua disposizione in iscritto?

OTTAVIO      Non ho fatto niente. Faremo fra de nualtri.

AGAPITO      La signora Beatrice favorirà di lasciarci in libertà.

BEATRICE    Perché? Io non ci posso essere?

AGAPITO      Chi fa testamento, non ha d'aver soggezione. Perdoni, io costumo così.

BEATRICE    Ditemi, signor Ottavio, vi ricordate voi di tutte le cose vostre? Di tutto quello che possedete? Delle disposizioni che avete detto di voler fare?

OTTAVIO      In verità, me trovo un fiatin intrigado... gh'ho la testa confusa, no me ricordo de gnente.

BEATRICE    Faremo così. Andremo in camera mia col signor Agapito, faremo un sommarietto di tutto: poi egli ve lo leggerà; vedete se va bene, e circa all disposizione, vi consiglierete con lui, e farete tutto quello che il cielo v'inspirerà. Siete contento?

OTTAVIO      Contentissimo.

BEATRICE    Andrà bene così, signor Agapito?

AGAPITO      Benissimo.

BEATRICE    Dunque andiamo.

AGAPITO      Sono a servirla.    (A Corallina)    Signor Narciso, restate a far compagnia al signor Ottavio, sino ch'io torno.     (Corallina fa una riverenza dal luogo indietro dove si trova)

BEATRICE    (a ser Agapito)    Non parla?

AGAPITO      E' timido.

BEATRICE    Fra il signor Ottavio e lui dormiranno.    (Esce con Agapito)

OTTAVIO      (tra sé)    Mi sopporto tanto, e i altri no vol sopportar gnente.  No vedo l'ora de esser fora de sto incomodo. Gh'ho un peso qua...  (indica il petto. Corallina gli si avvicina)    Oh! Signore, accomodatevi.

CORALLINA           Ricevo le sue grazie.

OTTAVIO      Anche voi volete fare il Notaio?

CORALLINA           Sì, signore.

OTTAVIO      Quanti anni avete?

CORALLINA           Venti passati.

OTTAVIO      Oh! Quando io era della vostra età! Di che paese siete?

CORALLINA           Di Verona, signore.

OTTAVIO      Di chi siete figlio?

CORALLINA           Signore, non mi conosce?

OTTAVIO      No davvero. Voi mi conoscete?

CORALLINA           E come!

OTTAVIO      Dove mi avete veduto?

CORALLINA           In questa casa.

OTTAVIO      (si mette gli occhiali)   Eppure non vi conosco... avete una fisionomia... che non mi par nuova... ma non mi ricordo chi siate.

CORALLINA           Guardatemi meglio, e mi conoscerete.

OTTAVIO      Anche questa voce mi par di conoscerla... oh! Benedetta vecchiaia! Vado perdendo anche la memoria.

CORALLINA           Signore, l'aria di quella porta gli farà male: permette che io la chiuda?

OTTAVIO      Sì, caro, chiudetela.    (Tra sé)   Bel ragazzetto!

CORALLINA           (s'alza e va a chiudere l'uscio per dove è andata Beatrice. Poi torna a sedere. Tra sé)    Coraggio Corallina! Ormai sei nell'impegno.

OTTAVIO      Sono degli anni che non pratico nessuno. Non vi conosco.

CORALLINA           Non sentite la voce femminile?

OTTAVIO      Compatitemi... siete musico?

CORALLINA           No, signore, sono musica.

OTTAVIO      Come! Donna?

CORALLINA           Ancora non mi conoscete?

OTTAVIO      Avete serrata la porta?

CORALLINA           Sì signore.

OTTAVIO      (fa per abbracciarla)   Avete bisogno di qualche cosa? Comandate. Comandate pure...

CORALLINA           (schivandolo)   Il cielo vi benedica. Comparite sempre più giovine.

OTTAVIO      (come sopra)   Mi governo. Non fo strapazzi... dite, cara figlia, come avete nome?

CORALLINA           Corallina.

OTTAVIO      Come? Oh! Diamine!    (Con gli occhiali)   Corallina?

CORALLINA           Si vede che vi siete affatto dimenticato di me.

OTTAVIO      Ih! Io era lontano da voi mille miglia. In quest'abito, a quest'ora, chi se lo poteva sognare? E poi, sapete che ci vedo poco... come qui? Qual motivo?

CORALLINA           Eccomi qui, in pericolo di perder anche la vita per amor vostro.

OTTAVIO      Oimè! Che è stato?

CORALLINA           Signor padrone, siete assassinato.

OTTAVIO      Da chi?

CORALLINA           Da vostra moglie.

OTTAVIO      Oh! Via... siete qui colle vostre solite canzonette. Tutti contro quella povera donna.

CORALLINA           Ma ora si tratta di tutto...

OTTAVIO      Non mi venite ad inquietare.

CORALLINA           Volete precipitare...

OTTAVIO      Chiamerò la signora Beatrice.

CORALLINA           Non vi alterate, signor padrone. Sono venuta per desiderio di vedervi, dopo tanto tempo che sono priva della vostra presenza. Non voglio perdere questi preziosi momenti. Siete uomo prudente, non avete bisogno de' miei consigli. Parliamo d'altro. State bene? Siete sano? Vi ricordate più della vostra Corallina? Caro signor Padrone, io vi amo teneramente. Lasciate che vi baci la mano.

OTTAVIO      Cara la mia Corallina, v'ho sempre voluto bene, e voi in mia vecchiezza mi avete abbandonato.

CORALLINA           L'ho fatto per compassione di un vostro figliuolo.

OTTAVIO      Che fa colui?

CORALLINA           Ve lo potete immaginare.

OTTAVIO      Suo danno. Doveva essere meno altiero.

CORALLINA           Ma! In sua gioventù gli tocca a soffrire delle gran cose! E soprattutto piange amaramente la privazione della vista del suo caro padre...

OTTAVIO      (alterato)    Oh! Via! Non mi venite a rattristare. In questa età non ho bisogno di piangere.

CORALLINA           E' vero, sono una bestia. Compatitemi, e parliamo di cose allegre. Signor padrone, io mi vorrei rimaritare.

OTTAVIO      Sarà ben fatto. Sei ancora giovine; e per dirtela, a star con Florindo non fai una buona figura.

CORALLINA           Mi preme la mia reputazione, e non ci voglio star più. Finalmente non è niente del mio. Vada lacero, vada pezzente, consumi in un giorno quello gli date per un mese, che cosa ha da premere a me? Faccia delle male pratiche, a me che cosa deve importare? Io non sono sua madre; finora ho procurato di assisterlo, di governarlo, di soccorerlo colle mie fatiche, coi miei lavori. Sono stanca di farlo, voglio pensare a me. Vada in rovina, vada in precipizio. Suo danno. Signor padrone, parliamo di cose allegre.

OTTAVIO      Ma! Perchè ha d'andare in rovina? Non gli bastano sei scudi il mese? Non gli bastano per mangiare due paoli il giorno?

CORALLINA           Sì, gli basteranno. E poi, che s'ingegni. Per vestirsi ci pensi da sé. Che vada a giuocare, che faccia quello che fanno tanti altri disperati suoi pari.

OTTAVIO      Come! Vorresti si gettasse coi vagabondi?

CORALLINA           Un giovine ozioso, fuori di casa e con pochi denari, non può fare a meno di gettarsi alla mala vita. Sono stanca di tenerlo in freno; voglio maritarmi, voglio godere il mondo e stare allegra. Non voglio pensare ai guai. Voglio fare come fate voi! Parliamo di cose allegre, allegramente!

OTTAVIO      Le vostre parole mi hanno rattristato, invece.

CORALLINA           Non sono state le mie parole...

OTTAVIO      Ma che, dunque?

CORALLINA           La vostra coscienza.

OTTAVIO      (quasi piangente)    Che male ho fatto io? In che ho mancato?

CORALLINA           Vi par poco aver rovinato un figlio per secondare l'avarizia della matrigna? Chi sarà colpevole dei vizi del povero signor Florindo? Chi sarà causa del suo precipizio? Chi meriterà la pena delle sue colpe? Voi, signor padrone, voi. E dopo essere vissuto per tanti anni da uomo onorato e da uomo savio, per causa di vostra moglie morirete pieno di rimorsi... e di pentimento!

OTTAVIO      Oimè! Sento una spina nel cuore! Son vecchio, son vicino alla morte. Tremo.

CORALLINA           Conoscete voi la signora Beatrice?

OTTAVIO      E' mia moglie, la conosco.

CORALLINA           Quant'è che è vostra moglie?

OTTAVIO      Non lo sai? Un anno.

CORALLINA           A conoscere una donna non bastano dieci anni. Voi non la conoscete. Se la conosceste, non vi lascereste menare per il naso.

OTTAVIO      Oh! Via: sapete che le voglio bene, son contento di lei, non m'inquietate.

CORALLINA           Avete ragione, parliamo di cose allegre. Finalmente io non ci devo entrare... sono una povera serva. Che m'importa se la moglie del mio padrone non vede l'ora ch'egli crepi? Che m'importa se gli fa cacciare il figlio, per arricchire il figliastro? Finalmente a me non farà né male, né bene se una donna finta vuol far fare testamento al signor Ottavio per assicurarsi una fortuna, e dopo accelerar la morte del vecchio benefattore? Signor padrone, parliamo di cose allegre.

OTTAVIO      Eh! Non più cose allegre... cose tetre, cose miserabili! Come! Si vuole ch'io faccia testamento, per farmi morire?

CORALLINA           Purtroppo è la verità.

OTTAVIO      Se potessi di ciò assicurarmi...

CORALLINA           Provate a dubitare di lei per un'ora soltanto.

OTTAVIO      Un'ora?

CORALLINA           Che torto fate alla signora Beatrice, a dubitar di lei per un poco? E io vi farò toccare con mano la verità. O sarà una buona donna, e voi fate tutto a suo modo; o sarà una bugiarda, e farete quello che più vi tornerà a conto.

OTTAVIO      Prima di morire, vorrei farla una bella risoluzione... ma come posso io far questa prova?

CORALLINA           Non vorrei, parlando di cose tetre, venirvi a noia... volete che mutiamo discorso?

OTTAVIO      No, no, seguitiamo questo.

CORALLINA           Bisogna farsi animo, e far così...    (battono forte alla porta)      Battono!

OTTAVIO      Chi sarà mai?

CORALLINA           Conviene aprire.

OTTAVIO      Ma... il nostro discorso...  (tornano a battere)

CORALLINA           Un'altra volta.

 

OTTAVIO      Nascondetevi... non farò entrare nessuno.

CORALLINA           Avvisatemi, se vi è pericolo.   (Battono con più insistenza. Corallina si nasconde)

OTTAVIO      (si dirige verso la porta, ma non apre)  Chi bussa?

ARLECCHINO         (da fuori, per tutto il dialogo)     Son mi, son Arlecchin!

OTTAVIO      Che vuoi?

ARLECCHINO         Me fala intrar, sior?

OTTAVIO      Resta dove sei. Non ho gusto di vedere nessuno.

ARLECCHINO         Me parì un povero gioppo.

OTTAVIO      Razza di somaro...  (fa per aprire, ma desiste)   Perchè hai bussato?

ARLECCHINO         Perchè el sior Nodaro m'ha mandà a dir, che vussioria ghe manda el contrasto dei novizzi.

OTTAVIO      Che diavolo dici? Io non ti capisco.

ARLECCHINO         El sior Nodari l'ha dit cussì.

OTTAVIO      Sei un balordo, non avrà detto così.

ARLECCHINO         E vù sè un papagà!

OTTAVIO      Adesso vediamo se...    (nuovamente fa per aprire, ma desiste)   Allora, che ha detto?

ARLECCHINO         Adess m'arrecordo: el dis che ghe mandè la creatura del matrimonio.

OTTAVIO      Ma che significa? Non può stare.

ARLECCHINO         Ha dit la padrona, che vegna a tor quella carta da notte che avì mess in tel cataro.

OTTAVIO      Testa di legno! Vorrai dire quella carta di dote, che ho messo nel canterale.

ARLECCHINO         Circumcirca.

OTTAVIO      Ho capito, è nella camera dove dormo. Vattene, che ora la mando al signor Notaio.

ARLECCHINO         I m'ha dit che la porta mi...

OTTAVIO      Va' in sala, aspetta, e la porterai.

ARLECCHINO         Vado in sala, e la porterai.     (Parte)

OTTAVIO      Presto, Corallina...

CORALLINA           (uscendo allo scoperto)   E' andato via?

OTTAVIO      Sì, ma per maggior sicurezza entriamo nella mia camera e parleremo liberamente.

CORALLINA           Permettetemi ch'io dica una parola ad un uomo ch'è qui sulla scala segreta.

OTTAVIO      E chi è quest'uomo?

CORALLINA           E' il servitore del Notaio.

OTTAVIO      Via, spicciatevi, che vi aspetto. Ah! Se scoprissi un inganno... ma non sarà vero, mi pare impossibile.     (Esce)

CORALLINA           Sinora la cosa va bene.     (Fa entrare Brighella, travestito)     Brighella, Brighella! Entrate!

BRIGHELLA            Son qua...

CORALLINA           Andate dal signor Florindo e ditegli che ho tirato il signor Ottavio ad ascoltarmi, e a dubitar della moglie. Avvisatelo che si trovi in queste vicinanze, per venir qui ad ogni cenno. Avvisate anche il vostro padrone e la vostra padrona, e che tutti siano pronti per aiutarmi se occorre.

(Esce per dove è uscito Ottavio)

BRIGHELLA            (da solo)     Gran testa ha sta Corallina! E gran bel cuor! Oh! Se posso, la voi per mi sta zoggia!    (Fa per partire, ma rientra Ottavio e lo nota)

OTTAVIO      Galantuomo.

BRIGHELLA            (alterando la voce)    Signor.

OTTAVIO      (gli consegna una carta)    Tenete. Fatemi il picere di portar questa carta al vostro padrone.   (Esce)

BRIGHELLA            (tra sé)    Coss'èla mo sta carta? L'ho da portar al me patron? Ch'el m'abbia cognossù? Mi no la so capir... basta, la porterò al me patron.     (Esce)

        Entra Arlecchino, seguito da Beatrice.

ARLECCHINO         Sior padron... dov'èlo? Sior padron... el contrasto, la creatura...      (a Beatrice)    Mi no so, el padron l'è andà in fumo!

BEATRICE    Che vai dicendo?

ARLECCHINO         Digo cussì...

BEATRICE    Sarà nell'altra camera a cercar la scrittura.

ARLECCHINO         El pol esser andà zoso da la fenestra, co la creatura.

BEATRICE    Che gli sia venuto qualche accidente? Arlecchino, va giù nel pian terreno e guarda se mai fosse disceso. Io entrerò nella sua camera. Faccia testamento, poi crepi, se vuol crepare. Va' presto, spicciati.

ARLECCHINO         Vado subito.  

     Beatrice e Arlecchino escono da parti opposte.

     Scena quarta. Lungo corridoio in casa di Ottavio.

CORALLINA           Devo ritrovare il signor padrone...    (va a scontrarsi con Arlecchino che sta correndo verso la parte opposta)   Chi va là? Oimè!

ARLECCHINO         Chi sive vu?

CORALLINA           Sono il giovane del Notaio.

ARLECCHINO         (Contraffacendo la voce di Corallina)   Sono il giovane del Notaio... sta vose la cognosso, e no voi che me vegna el gosso!

CORALLINA           Conoscete anche questo?    (Gli mostra una moneta)

ARLECCHINO         L'oro l'è un bon remedi contra el gosso?

CORALLINA           Sì.    (Gli ficca la moneta in bocca)   Prendi questo zecchino, e sta' zitto.

ARLECCHINO         (lo tira fuori di bocca e lo osserva attentamente)   Va là! Farò sto atto de cavalleria.       (Entrambi escono da parti opposte)

      Scena quinta. Camera da letto di Ottavio con letto chiuso dal coltrinaggio, tavolino e lume. Ottavio sul letto, che non si vede; entra Beatrice.

BEATRICE    Signor Ottavio, signor Ottavio... qui non c'è nemmeno. Povera me! Che me l'abbiano condotto via? Mi par di vedere...   (s'accosta al letto)   Ah! Eccolo nel letto bello e vestito. Si sarà addormentato. Voglio destarlo, ritrovar questa carta, e concludere il testamento. Signor Ottavio. Ehi! Signor Ottavio... Ottavino...   (lo scuote)  Che sia morto? Che disgrazia! E' morto prima di fare testamento.

       Entra il Notaio.

AGAPITO      Ebbene, signora, l'ha ritrovata questa scrittura?

BEATRICE    Non la trovo... non si può fare senza?

AGAPITO      Si ricorda ella precisamente la somma della sua dote?

BEATRICE    Seimila scudi.

AGAPITO      Bene, basterà che il signor Ottavio me lo confermi in voce.

BEATRICE    Il signor Ottavio è nel letto.

AGAPITO      Dorme?

BEATRICE    Ho paura ch'egli abbia male.

AGAPITO      Mal grave?

BEATRICE    Io credo di no. Aspetti, glielo domando.   (Si accosta al letto, finge di parlare a Ottavio)  

AGAPITO      (tra sé)   Costei la sa lunga!

BEATRICE    Dice che si sente male, e vuole spicciarsi per timor di morire. Anzi, colle sue mani mi ha dato questi trenta zecchini per vossignoria.

AGAPITO      Bene. Faccia portare da scrivere, io andrò in piazza a trovar i testimoni.

BEATRICE    Bravo, signor Agapito! Facciamo le cose come vanno fatte, e per voi ci sarà un piccolo legato di mille scudi.

AGAPITO      Si lasci servire, e sarà accontentata.    (Esce)

      Entra Lelio.

LELIO            Signora madre, torno ora dal far all'amore con la signora Rosaura.

BEATRICE    Con lei veramente? E dove?

LELIO            Sotto le sue finestre.

BEATRICE    Vi ha parlato dalla finestra?

LELIO            No. Ma la serva mi ha veduto e l'ha avvertita ch'io sospirava.

BEATRICE    Sciocco! Non v'accorgete che vi disprezzano? Non ci pensate più, vi mariterò io.

LELIO            Che bello! Vorrei dare la buona sera al signor padre e andarmene a letto.

BEATRICE    Avete finito di dargli la buonasera. Il vecchio è morto.

LELIO            Quando muore qualcheduno, non si piange?

BEATRICE    Sicuro. Piangeremo quando verranno le visite a condolersi.

LELIO            Quando ho da piangere, avvisatemi.

     Entra Tonin.

TONIN           La me perdona, lustrissima, la xe domandada.

BEATRICE    Chi è?

TONIN           Xe el lustrissimo sior Agapito con tre persone che no so chi le sia.

BEATRICE    Saranno senz'altro i testimoni. Falli passare, e porta da scrivere.

TONIN           Lustrissima sì, subito.    (Esce)

    Entra il Notaio assieme a Corallina, Rosaura e Florindo, camuffati. poi anche Tonin con l'occorrente per scrivere.

AGAPITO      Signora, ecco i testimoni di questo testamento, che fa il signor Ottavio De Nero.

BEATRICE    (verso i testimoni)   Li supplico, e saprò il mio dovere.

AGAPITO      Signora Beatrice, signor Lelio, favoriscano ritirarsi, acciò io possa interrogare con libertà e confidenza il signor testatore, per leggere poi ai testimoni le sue volontà.

BEATRICE    Ma noi...

LELIO            Oh! Bella! Vuol interrogare un morto.

BEATRICE    (piano, a Lelio)    Vieni qui sciocco.   (Lo tira in disparte)

AGAPITO      (si accosta al letto di Ottavio e finge di scrivere sotto dettatura)   "Il signor Ottavio De Nero, sano per grazia del Cielo di corpo e di mente... ha fatto il presente suo ultimo testamento nuncupativo, che dicesi sine scriptis..."

LELIO            Queste parole non le capisco...

AGAPITO      "Per la sua sepoltura, si rimette all'infrascritto suo erede universale..."

LELIO            Che sarò io.

AGAPITO      "Item, per ragion di legato, in tutti i suoi beni presenti e futuri, mobili, stabili e semoventi, azioni, ragioni, nomi di debitori, istituì ed istituisce, nominò e nomina..."

BEATRICE    Sentiamo l'istituzione dell'erede.

AGAPITO      "Il signor Florindo De Nero, figlio suo legittimo e naturale..."

BEATRICE    Questo è un tradimento! Testimoni falsi! Notaio mendace!

AGAPITO      Io dico la verità.

BEATRICE    Voi dite il falso!

LELIO            Chi deciderà la questione?

OTTAVIO      (si desta)   La deciderò mi.

LELIO            Bravo! E' resuscitato!

BEATRICE    Caro marito mio...

OTTAVIO      (additando Beatrice)   Voi... bugiarda!

CORALLINA           (palesandosi)   Ora tocca parlare a me. Mi riconosce, signora?

BEATRICE    Oh! Corallina? Ancora voi a tormentarmi?

CORALLINA           Sì, signora. Corallina, quella pettegola, quell'impertinente di una servaccia. E si ricorda anche del signor Florindo, cacciato di casa?

OTTAVIO      Mio fio? Dov'elo el mio povero Florindo?

FLORINDO   (palesandosi)   Eccolo, signor padre.

OTTAVIO      Vien qua, vien de mi...

FLORINDO   (si avvicina ad Ottavio e si inginocchia)   Caro padre, vi domando pietà.

OTTAVIO      Vélo qua, povero putto! Te darò perdon, carità e soccorso... col cuor in bocca, co le lagrime ai occhi e co la più perfetta sincerità. Signor Notaio, doman se stipulerà el testamento e mio fio Florindo, viscere de le mie viscere e sangue del mio sangue, sarà el mio unico erede.

AGAPITO      Come ella comanda, signore.

OTTAVIO      (a Beatrice)   E vu, cara siora bugiarda, cara siora vedua che spetta de pianzer "quando verranno le visite a condolersi", avanti de sepelir sto povero vecio, pianzerè per le vostre disgrazie e per le vostre miserie, perchè ve farò pagar assae la vostra mala condotta.

BEATRICE    Datemi la mia dote. Mi spetta di diritto... il signor Notaio ha in mano quella carta sottoscritta da voi.

      Entrano Pantalone e Brighella.

PANTALONE           Ho sentio tutto: quela carta la xe qua. Vardè i casi, la xe capitada in te le mie man, e fazzo cussì.   (La straccia)

BEATRICE    Oh! Tutti contro di me.

BRIGHELLA            Mi no ghe n'ho colpa. Xe sta el sior Ottavio che me l'ha dada a mi, disendo: daghela al to padron. E mi cussì ho fatto.

CORALLINA           Bravo!

BEATRICE    Signor Notaio, i miei trenta zecchini.

AGAPITO      Non me li ha ella dati per conto del signor Ottavio?

BEATRICE    Son miei e li voglio.

OTTAVIO      So tutto, gh'ho sentio tutto. Sior Agapito, quei bezzi xe miei, e mi ve li dago in premio de la vostra onestà.

AGAPITO      Sarete persuaso, che quel che ho fatto, l'ho fatto con una onesta finzione, consigliato e animato da Corallina.

OTTAVIO      La mia serva fedele!

CORALLINA           (ad Ottavio)    A me preme la salvezza del vostro decoro, l'onore della vostra casa e il bene di vostro figlio. Ecco perchè vi chiedo di sposare il signor Florindo.

OTTAVIO      Sì, cari, sì. No ghe xe rango, no ghe xe disparità. Mi son contento se sarè marito e moglie.

CORALLINA           Non io, non con me... (si accosta a Rosaura e la scopre)  con la signora Rosaura, degna di lui per nascita, per facoltà e per costumi. S'ella lo vuole...

ROSAURA    Sì, Corallina. Voi sapete la mia inclinazione.

PANTALONE           Sior Ottavio, se ve degnè de mia fia, sappiè che mi son contento.

OTTAVIO      Mi son contento assaissimo, se i se piase... domandèghelo anche a Florindo.

FLORINDO   Io ne son contentissimo; amo la signora Rosaura e dal momento che anch'ella mi desidera, vorrei prenderla in sposa.

TUTTI (meno Beatrice)   Evviva gli sposini!

PANTALONE           Evviva anca sior Ottavio che, ala fin dei fini, l'è tornà a parlar come ch'el magna.

OTTAVIO   Sior Pantalon, ve confesso che m'ho sentì un pandòlo.[T1](=Un povero sciocco) La gran suggizion de una muggier zovene, m'ha portà a sto concetto de parlar in toscan.

CORALLINA           Parliamo un poco di me: è giusto che ancor io sia contenta. Ho bisogno di marito e di dote.

BRIGHELLA            (si avvicina a Corallina)   Vu cognossè el me sentimento. Mi no son un che fa el licardin soto i balconi. (=Lo spasimante sotto le balconate) Ve l'ho dito, e ve lo torno a dimandar davanti a ste siore e a sti onorati galantomeni: me tiolè per marì?

CORALLINA           Sì.   (Brighella e Corallina si abbracciano)

OTTAVIO      E mi ve darò la dota: mille scudi. Bastano?

BRIGHELLA            Se i fusse do mille...

PANTALONE           Mille ghe ne farò mi de contradota.

FLORINDO   E mille io...

CORALLINA           Basta, basta. Non merito tanto.

BRIGHELLA            (a Corallina)   Lassè che i fazza.

BEATRICE    Tutti allegri, ed io in miseria e in pianto.

OTTAVIO        Fora de casa mia, malignaza! (Beatrice fa per avviarsi in lacrime)

CORALLINA           Signor Ottavio, vi supplico di una grazia. Fate un assegnamento alla signora Beatrice, che possa vivere. E' ancor giovine, potrebbe fare degli spropositi. Non l'ho mai avuta in odio, ma tutto ho fatto per il mio padrone.

OTTAVIO      Via, in grazia vostra, ghe assegnerò dozento scudi l'anno a sto toco de giazzo vestio da donna. Ma fora de qua!

BEATRICE    Corallina, voi mi fate arrossire...

CORALLINA           Una serva amorosa cosa poteva far di più? Ora vengano quei saccenti, che dicon male delle donne; vengano, e io li farò arrossire. E ciò faranno meglio di me tante donne, nobili e virtuose, poiché superano gli uomini nelle virtù, ma non nei vizi. Viva il nostro sesso, e crepi colui che ne dice male.

Fine della Commedia.