La serva padrona

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COMMEDIE

DI

JACOPO ANGELO NELLI

E notizie sin ora da me raccolte intorno a Jacopo Angelo Nelli sono poche e non tutte ben certe. Gli storici della nostra letteratura o non fanno di lui menzione o ne toccano di volo; Siena, sua citt natale, ne serba scarsi ricordi. E nondimeno fu uomo di molta e varia dottrina ed erudizione, convers o carteggi familiarmente coi pi ragguardevoli scienziati e letterati dell' et sua, quali i famosi abati Carli e Pasquini, il Gigli, il Sergardi, il Bsnvoglienti, il Fontanini, il Brancadori, il Capassi, il Lancisi, PAgazzari, il Marmi, il Forteguerri; e di quasi tutti fu intimo, specialmente in Roma, dove fece per molti anni dimora.

Compi, secondo si crede, il Vocabolario Cateriniano, lasciato interrotto dal Gigli alla parola: Raguardare; scrisse prose, sonetti, capitoli bernieschi, ebbe lode di poeta estemporaneo, compose una tragedia e insino una grammatica della lingua italiana. Nella commedia poi, come fu il pi prossimo tra i percursori del Goldoni, cosi anche di gran lunga il pi notabile; e tra i seguaci del teatro molieresco il meno servile, si che riusci quasi sempre originale e strettamente italiano. Ha lo stile comico spigliato, lucido e puro, il dialogo naturale e vivace, l'intreccio, se non peregrino, per lo pi franco e verisimile: la pittura de' caratteri felice. Spesso, ahim troppo spesso, urta nella farsa, ma abbonda di scene condotte con singolare maestria ; non rifugge da scherzi ed equivoci grossolani, ma d'ordinario gentilmente arguto. La sua lingua infine schietta, salvo qualche rara maniera che ai puristi non garber forse del tutto, e tanto ricca, duttile e graziosa, da essere assai difficile l'emularla nella commedia, il superarla a pena possibile. Al signor professore Giosu Carducci, che pens a promovere questa ristampa e all'ardito editore Sig. Zanichelli debbono quindi aver obbligo gli studiosi che pi non resti quasi sepolto in qualche biblioteca tanto tesoro, massime oggi che l' arte di scrivere ha grande bisogno di ritemprarsi alle antiche fonti, senza per questo cessare d'esser moderna. E glie ne saranno sopra gli altri riconoscenti gli autori drammatici, i quali vedranno quanto sia falsa l' opinione di chi afferma non avere l' Italia una lingua adatta al dialogo comico, si che sia forza ricorrere a quella de' cinquecentisti, dove pur e' tanto da studiare e da scegliere, o portare su la scena una specie di gergo che non nostro n di nessun popolo.

Ma tornando alla vita del Nelli, l'egregio Signor Dott. Curzio Mazzi ne trov, fra i manoscritti della biblioteca comunale di Siena, un cenno brevissimo nella Raccolta biografica d 9 illustri Senesi, lavoro di Ettore Romagnoli; e l'illustre Sig. Comm. Luciano Banchi e il valente bibliotecario Sig. Dott. Fortunato Donati fecero per me altre scoperte non certo inutili n di poco momento, non per tali da acquetare chi tenti ritrarre la gaja e bonaria figura dell'abate commediografo. Sino la data della sua nascita, non sicura per alcun documento autentico, pu essere messa in dubbio, perch, raffrontata a quella pi certa della morte, mostrerebbe che il brav' uomo vivesse novantasei anni, longevit poco credibile, anche in un abate del settecento. N mi sono mancati altri validi aiuti a siffatte indagini, e ne ringrazio cordialmente in primo luogo V insigne bibliografo bolognese sig. Dott. Alberto Bacchi Della Lega, poi alcuni amici carissimi: il Can. D. Gaetano Teloni, che mi don anche il primo tomo delle' Commedie edite in Milano dall'Agnelli nel 1762; il Dott. Giovanni Federzoni e V Avv. Augusto Franchetti, dei quali misi a dura prova l' affettuosa pazienza. Mi sovvennero ancora d' informazioni i Signori Professori Isidoro Del Lungo, Giacomo Zanella, Pietro Canal, Fabio Nannarelli e Domenico Gnoli; l'eruditissimo Dott. Eduardo Alvisi, il dotto Sig. Co. Francesco Fiorenzi di Osimo e il notissimo bibliografo mantovano Sig. March. Ippolito Cavriani. Ancora il Comune di Siena mi diede ogni agio di consultare la sua ricca collezione di manoscritti, e il sindaco Signor Banchi su nominato anche le sue proprie, fra le quali, notabilissima quella gi del Borghesi da lui ereditata. Mi fu altres consentito di ricopiare, traendole dalla biblioteca senese, tre commedie cercate invano, ch'io sappia, insino ad oggi, e un bel numero di lettere autografe del Nelli o al Nelli. E tuttavia le cure amorevoli di tanti valentuomini e la mia diligenza non diedero quel frutto ch'era da sperarne. Quanto poi alle opere stampate del Nelli, io non ho potuto veder altro che le sue commedie, e pur troppo non tutte. Nella Bibliografia dei testi di lingua a stampa citati dagli Accade* mici della Crusca, opera di Luigi Ra^olini ed Alberto Bacchi Della Lega (Bologna, Romagnoli, 1878.) si citano due raccolte di esse commedie, Tuna, cio l' edizione principe, incominciata in Lucca nel 1731, ripigliata in Siena venti anni dopo, poi interrotta di nuovo per quattro anni, e da ultimo condotta sino al volume sesto; l'altra uscita nel 1762 a Milano dalla tipografia dell'Agnelli in cinque volumi, contenenti le commedie, che sono ne' primi cinque dell' edizione Lucca-Siena, e solo mancanti di tre lettere dedicatorie. Se non che io ho ragione di dubitare che l'edizione senese non procedesse oltre al tomo quinto, e che il sesto non sia altro che il primo di una nuova incominciata a Lucca nel 1765, e rimasta proba bilmente in asso. Infatti questo tomo primo contiene appunto le commedie che la detta bibliografia assegna all'ultimo della prima edizione; ed ha il numero di pagine, il sesto, la data e il nome del tipografo, Filippo Maria Benedini, quali sono in essa descritti. Che se si ponga mente come il frontispizio non abbia numerazione di tomo, e soltanto in fondo all' ultima pagina del volume si legga: Fine del primo tomo, si dovr forse concludere che era facile cadere in si lieve errore, e che ormai cosa inutile il cercare pi oltre un volume che pare non sia mai esistito; rallegrandosi di averne il contenuto in questo da me per grande ventura trovato. Ma d' altra parte lo stesso Nelli, in una lettera del 23 febbrajo 1756 all' Ab. Carli, cosi discorre dell' edizione Lucca-Siena : Mi suppongo che Ella sappia che il primo tomo fu stampato in Lucca; e perch di questi non se ne trova pi, lo stesso Rossi ne promette assolutamente la ristampa. ! Il secondo, stampato dal medesimo, pu aversi, volendosi. Il terzo e il quarto sono gli stampati ultimamente, 3 il quinto si stampa Tenne poi la promessa? Ai bibliofili la risposta. al presente, e si ander continuando sino all' ottavo. Ma il fatto che il quinto fu pubblicato soltanto due anni appresso, si che avea ragione lAutore di scrivere: Questo stampatore Rossi si piglia poca briga di stampare con sollecita* dine le mie commedie, delle quali in un anno e mezzo non ne ha stampati che due tomi 1 , di tre commedie per ciascuno; e ci perch troppe cose intraprende a fare.

Oltre a ci l'Allacci nella Drammaturgia cita un tomo settimo delle commedie, il che dimostrerebbe all'evidenza che vi fu un tomo sesto; ma, siccome gli assegna la data del 1755, anteriore di due anni a quella del tomo quinto, convien dire ch'egli abbia errato o nel citare il tomo, siccome io credo, o nel citare la data.

Infine ho sott' occhi il Manifesto, col quale il Rossi avvisa a' letterati d'Italia avere in punto per metter sotto il torchio le Commedie inedite del Sig. Jacopo Angelo Nelli, che da molte parti vengono richieste da coloro, che hanno veduto e gustato le altre sei stampate in due tomi del oc medesimo; il primo in Lucca dal Marescandoli, del quale non se ne trova pi in vendita, ed il secondo in Siena pi modernamente dallo stesso Francesco Rossi. Queste che si promettono saranno quindici, che comporranno cinque tomi in dodici, e saranno tre commedie per tomo, conforme agli altri gi stampati. Annunzia quindi P ordine con che saranno pubblicate, che differentissimo da quello veramente seguito; onde, non potendosi supporre che siano uscite in luce da una stessa tipografa due edizioni del Nelli nello stesso tempo, si dee credere che P Autore le ordin poi altrimenti, n cosa del tutto improbabile che P edizione giungesse, come prometteva il Maniiesto, al tomo settimo. Certo che in quelP annunzio sono ricordate quasi tutte le commedie da me cercate in vano, cio: V amante scaltra, Il Misantropo disingannato, Il mondo alla rovescia. Gli Sposi travestiti, Il Gentiluomo prudente; e vi mancano solo: / Duelli sti^ V Accademia delle false dame, I Ripieghi amorosi o La Dama scaltra: se pure non sono una cosa stessa / Duellisti e / Vecchi rivali, U Accademia delle false dame e La Dottoressa preziosa, I ripieghi amorosi e L'Amante scaltra. Se quindi l'edizione fosse mai stata compiuta, con quale ordine non importa, e se qualche copia fosse scampata al singolare naufragio delle commedie nelliane, poco o nulla mancherebbe alla loro piena resurrezione. In tanta scarsit di notizie biografiche e bibliografiche sarebbe temerit poco scusabile il voler discorrere de' casi e delle opere del Nostro, senza tentare nuove indagini. Per che, seguendo anche in questo il savio consiglio del Sig. Prof. Carducci, al quale mi lega infinita gratitudine, ho divisato differire ad altro volume la pubblicazione degli studi, quali essi siano, da me fatti sul Nelli, ed eccitare frattanto la cortesia degli uomini di lettere e degli eruditi a volermi comunicare quanto possa valere a darmi luce e conforto. Cosi, se il mio lavoro non riuscir, pur troppo, degno del soggetto, non si dovr almeno imputarne ad altro che alla mia insufficienza la colpa.

Mi resta a dire delle norme che ho tenuto e terr in questa ristampa.

Il testo da me seguito quello della edizione Lucca-Siena per le prime quindici commedie, per le tre ultime quello della lucchese: ma ho corretto qualche rara volta la prima con la edizione Agnelli, dove mi parve necessario, notando a pie di pagina le varianti. N ho stimato dover tenere altro ordine da quello della prima stampa, fatta,, senz' alcun dubbio, sotto gli occhi dell' Autore. L' ortografa ho conservata qual era, quando non m' abbattei a errori tipografici manifesti. Tuttavia mi parve scrupolo pedantesco, del quale non mi avrebbe saputo grado il lettore, mantenere le majuscole dove l'uso moderno a ragione le vieta; rispettare sempre, anche a costo della chiarezza, la punteggiatura disuguale e trasandata dell'Autore ; lasciare accenti e apostrofi dov' erano al tutto fuor di luogo, n porre gli uni e gli altri a loro posto, seguendo per quelli la pronunzia toscana, per questi l'ortografia moderna. Ma d'altra parte non mi parso di aver diritto a scrivere diversamente da quel che allora si usava e da taluni si usa ancora, certe parole ; come jeri, noja, studj, doppo, ohib e molte altre; e quelle che l'autore scrisse in modo singolare forse per ragione di prnunzia o di dialetto. Siccome poi il Nelli scrive non pochi vocaboli ora in una maniera ora in un'altra, cosi, quando l'una di esse mi sembr erronea usai sempre la buona, quando l'una e l'altra fossero accettabili, le lasciai quali erano. Per si trover ad esempio: obligare e obbligare, roba e robba, soprafare e sopraffare, incomodo e incommodo, caminare e camminare, e sr vedranno ora divise ora no le preposizioni articolate.

Ho aggiunto al testo note brevissime, e soltanto dove mi parvero strettamente necessarie a dichiarare qualche parola o frase difficili a intendere dai pi anche con l' ajuto de' vocabolari. Resa cosi ragione dell' opera mia, auguro s lettore benevolo, e vada anche per il malevolo, perch l'augurio non sia ristretto a pochissimi, la vita singolarmente lunga, che, sino a prova contraria, dobbiam credere che toccasse allo spiritoso e bizzarro abate senese.

Jesi, 26 maggio 1883.

Alcibiade Moretti.


LA SERVA PADRONA

commedia Del Signor Dottore Jacopo Angelo Nelli

AL LETTORE

VENDO io, tempo fa, ottenuto dal"

V Autore una copia delle tre seguenti

commedie colla permissione di poterle fare stam-

pare, mi son risoluto finalmente di darle esecu-

zione; stimando di fare in ci cosa grata al

pubblico, attesa la rarit, che abbiamo in Ita-

lia, di tal sorta di componimenti teatrali, i quali

abbiano il pregio della novit, secondo il mo-

derno costume, e quello di essere dilettevoli ed

utili nello stesso tempo, sen\a uscire dalle regole

della modestia e della comica. Questa rarit ac-

cade, al mio parere, perch pochi sono in oggi

quei letterati, che si applichino a questo studio

tanto laborioso e difficile a ben riuscire; essendo

che il gusto dell 7 opere in musica abbia quasi del

tutto abolito quello della buona commedia reci-

tativa. Colle dette copie di commedie mi riu-

scito di ottenere ancora alcune lettere del mede-

simo autore , scritte sul proposito di esse all'erudi-

tissimo e dottissimo signore Uberto Benvoglienti;

le quali ho stimato bene di porre avanti a cia-

scheduna di esse commedie; servendo queste di

una tal quale apologia contr 9 alcune critiche fatte

in voce da alcuni, che si sono trovati a vederle

rappresentare. In seguito dar, come spero, le

altre commedie del medesimo autore fino al nu-

mero di nove o dieci, che comporranno due altri

tomi. Vivi felice.

LETTERA DELL' AUTORE

all' illustrissimo signore UBERTO BENVOGLIENT1.

Illustrissimo Signore,

I finalmente giunt'alle mani La Serva

Padrona, stampata sotto nome del Sig.

Gio: Battista Fagiuoli, del vero autor della quale

fu V. S. Illustrissima ricercata da Milano mesi

sono, e che io non seppi per allora assicurarla se

fosse la stessa composta da me molti anni indietro;

potendo essere che ne fosse stata composta altra

dal detto Sig. Fagiuoli col medesimo titolo. Ma

adesso poi, che V ho veduta e rincontrata dal prin-

cipio alla fine, posso accertarla esser questa la mia,

non gi tale quale Ella la vide rappresentare allora

da' nostri Accademici Rozzi, e che si degn di ap-

provare; ma bens con molta variazione, che da

me ci fu fatta in Roma per accomodarla al teatro

di quei nobili convittori del Seminario romano, ove

fu rappresentata, posso dire, con molto applauso.

Or che die' Ella della franchezza, per non dire

temerit, colla quale si fanno lecito alcuni, o sia

per avidit di guadagno, o per negligenza ed igno-

ranza, dare alla luce varj componimenti col nome

di autori accreditati, senza rintracciarne il vero

(quando lo facciano appostatamente) e quel che

peggio senza far parte alcuna con quello, che ne

credono l'autore ancor vivente? Se in questo caso

lo stampatore avesse usate le dovute convenienze col

detto Sig. Fagiuoli, avrebbe risparmiato al medesimo

quel discapito, qualunque si sia, che pu aver cagio-

nato alla universale stimazione, che si ha del suo

sapere, questa operetta, tanto inferiore al talento di

lui, n averebbe dato allo stesso un giusto motivo

di potersene lamentare. Io per me lo averei piut-

tosto di dovernelo ringraziare per aver egli accre-

ditato questa mia commedia, comunque sia repu-

tata, col nome di un si degno autore, se non mi

vedessi obbligato per l' amicizia sincera, che pro-

fesso al medesimo Sig. Fagiuoli, e per l' alta stima

che faccio di lui, a confessare esser ella la mia, ed

a risarcire in tal forma al soprannominato discapito

della estimazione di lui.

A tal fine io mi son risoluto di lasciarla stam-

pare nuovamente, e tanto pi, quanto che la prima

impressione si ritrova piena di errori. Ma diffidando

io con tutta giustizia della mia capacit, e confi-

dando altres nel purgatissimo intendimento d

V. S. Illustrissima, voglio, com' stato sempre il

mio solito, sottometterla, prima di far ci, all' esa-

mina rigorosa della sua critica; essendo io certo,

che, avendone la sua approvazione, non potr man-

carmi quell'ancora di ogni altro letterato, che in-

tendente sia di tal sorta di componimenti. Le invio

dunque detta commedia, che non intieramente

n quella che fu da prima recitata da i Rozzi, n

quella che fu di poi rappresentata nel Collegio Ra-

mano, ma ella una terza cosa partecipante e del-

l' una e dell' altra. Io ho stimato bene farne questo

nuovo impasto, poich, parendomi la seconda pi

vaga in parte della prima, ed in parte pi debole

e fredda, a cagione de' molti personaggi, che mi

convenne aggiungervi per accomodarmi al costume

de' collegi, ho troncato molte scene di quella con

levarne anche un personaggio, e vi ho aggiunto

qualche scena dell'altra, per renderla col sale di

qualche satira e con qualche poco di passione

amorosa pi istruttiva, pi saporita e piacevole.

Potrebbe fors' essere che L'episodio di Ciancica,

in quanto alla credenza prestata alla finzione di

Dragoncello di aver egli studiato ed imparato assai,

e di essersi dipoi scordato di tutto, fino a non ri-

cordarsi di aver saputo, potrebbe fors 9 esser, dico,

che apparisse con un po' di aria d'inverosimile, e

che le sciocche applicazioni del detto Ciancica allo

studio fossero credute, nojose, ed improprie per di-

lettare un popolo, uditore di rappresentazioni tea-

trali, il quale si suppone per gran parte ignorante

di tali cose, e che solamente ascolta volentieri le

appartenenti al suo costume. Ma se ci accadesse

mai, direi in prima, circ' alla inverisimilitudine, che

un tale accidente si pu naturalmente e facilmente

dare, come non difficile provarsi con ragioni fi-

siche ed anatomiche, e come chiaramente lo prova

l'esempio di Giorgio di Trebisonda, uno de' prin-

cipali letterati, che di Grecia passassero in Italia

dopo la rivoluzione di Costantinopoli, e che ebbe

per avversario acerrimo ne i suoi scritti contro

Platone il cardinale Bessarione, invitto difensore

della dottrina di quel gran filosofo. Questo Giorgio

essendo in Roma, ov'egli prese moglie, ebbe una

malattia mortale, che lo fece scordarsi universal-

mente di tutto quello, ch'egli aveva con tanta fa-

tica e per tanti anni studiato ed imparato.

All'altra difficolt del diletto del popolo repli-

cherei che, consistendo queste applicazioni di Cian-

cica nel solo imparare a leggere, e ci non troppo

diffusamente, nel qual caso renderebbe, senza dub-

bio, tedio non piccolo ad ogni sorta di persone,

non pare che possa quest'azione dirsi ignota ad

un popolo anche il pi rozzo ed ignorante; mentre

ciascheduno degli uditori o aver per qualche poco

almeno esercitata tale applicazione, o veduta eser-

citare, e tanto basta perch non gli sia nojosa o

non intelligibile.

Inverisimile ancora potrebbe apparire, a prima

vista, nella scena Vili dell'atto III, che Dragoncello,

impegnato alla rovina di Pasquina, se ne stia quieto

al sentire i ripieghi, che per giustificarsi ella trova

alle riconvenzioni fattele da Arnolfo sopra le di-

verse cose vedute dare al medesimo Dragoncello,

senza scoprirsi allora, e convincerla. A ci si po-

trebbe rispondere che, esaminando bene le circo-

stanze del fatto, si trover esser ci naturale e

verosimile; poich, avendo voluto Dragoncello, sul

principio delle risposte di Pasquina, lasciarla im-

pegnare ed intrigarsi da vantaggio per maggior

danno di lei ( non potendosi egli mai suppore, che

ella trovasse ripieghi cosi verosimili, che Arnolfo

ne restasse persuaso) non giudic poi a proposito

lo scoprirsi, conoscendo non poter far colpo sicuro

a cagione della credulit di Arnolfo, gi persuaso

dall'apparente verit de 9 detti ripieghi; ma stim

bene tacersi per fortificar maggiormente Pasquina

nella credenza e fiducia, che aveva in lui, a fine

di tirarla di poi in qualche altro laccio pi forte,

da cui non potesse ella svilupparsi in alcuna maniera.

Se Le paressero alcune scene o del tutto o in

parte superflue, La prego considerarle non in s

stesse, ma bens unite e correlative all'orditura

della favola; mentre ciascheduna mi par che serva

o a far letto, o a dare scioglimento, o ragione di

qualche fatto. Confesso che in esse non tutti i di-

scorsi e trattenimenti degli attori sono tirati dirit-

tamente a questi punti, ma servono bensi d'inca-

minamento a quelli.

Il parlar di madonna Geva dialetto plebeo fio-

rentino, scrtto in quella forma, che si pronunzia,

siccome quello di Sennuccio, da lui mescolato e

corrotto coli 7 idioma francese appostatamente in al-

cune scene, si scrive come lo pronunzierebbe un

Italiano non intendente di esso, e ci per pi fa-

cilit della recita, e dell' intelligenza^di chi non sa-

pesse detta lingua forestiera.

La supplico nuovamente del suo giudizio, e Le

faccio divotissima riverenza.

Di V. S. ILLUSTRISSIMA

Di Villa 6 ottobre 1730.

Divotissimo Obbligatissimo Servitore

Jacopo Angelo Nelli.


LA SERVA PADRONA

commedia Del Signor Dottore Jacopo Angelo Nelli

INTERLOCUTORI

PASQUINA serva di .

ARNOLFO vecchio, padre di

FLAMINIO e di

JACINTA.

BERENICE sposa di Flaminio.

CLEANTE pretendente alle nozze di Jacinta.

BRUNETTA cameriera di Berenice.

CIANCICA servo stolido di Arnolfo.

SENNUCCIO servo di Cleante.

DRAGONCELLO raggiratore.

MADONNA GEVA.

La scena si finge in Firenze.


ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Sala.

Jacinta e Brunetta.

Jac. Ma che ci faresti, Brunetta mia? Bisogna aver pa-

zienza.

Bru. Eh, signora Jacinta, la pazienza sta bene a chi la

porta, (i) Che io volessi star sottoposta a 7 rimbrotti d'una

serva insolente, come ftte voi? Oh piuttosto vorrei trre a

non mi affacciar mai alla finestra quando passa il mio caro

Giannino, guardate.

Jac. Bisognerebbe non avere un padre come il mio per

poter far ci. Tu lo vedi pur da te, eh' egli presta tanta fede

a quel che dice questa fastidiosa donna, che se parlasse un

oracolo, non gli crederebbe tanto.

Bru, Signora si, io so e vedo da me che il signore Ar-

nolfo vostro padre un vecchio il pi rimbambito che sia

in questa citt di Firenze, e che si lasciato stregonare di

mala maniera da costei. S' egli mangia, Pasquina ha da stare

alla tavola; se parla, ha Pasquina in bocca; se dorme.... se

dorme, credo che sogni Pasquina. Giura per Pasquina; Pa-

squina lo specchio di tutte le serve, Pasquina fa tutto bene;

in somma ogni cosa Pasquina; ma per questo, che non ci

ha da esser modo di fargli aprire gli occhi, e capire che V

una gran balordaggine a lasciar far la serva da padrona, e

padrona ancor sopra di lui di pi?

Jac. Questo impossibile. Sai pur eh' pi di vent' anni,

ch'ella in casa nostra?

Bru. E per questo, che volete dire?

Jac. Vo'dire che il male tanto invecchiato, eh' senza

rimedio. Non sai quel proverbio: che la serva di un pievano

in pochi anni si fa padrona?

Bru. ~Lo so, e so che il primo dice: le galline del prete,

il secondo: le nostre galline, ed il terzo: le mie galline; ma

so ancora che s' io fusai voi, o il signor Flaminio vostro fra-

tello, o la signora Berenice sua sposa, perdinci vorrei vedere

di chi avessero a esser le galline e i capponi.

Jac. Se tu fussi nel caso nostro, faresti forse come noi.

Bru. Come voi? Ah, ah, me la rido io: sentite, ragazza,

ragazza, e cameriera di non pi di tre giorni in questa casa,

com'io sono, non mi lascer mai far la donna addosso da

questa padrona di vent' anni, se credessi mi dovesse costar

un occhia

Jac. Oh perch non insinui piuttosto questi sentimenti a

mio fratello ed a mia cognata, a i quali si converrebbe pi

che a me un tal risentimento, e dirgli ci, che dici aver in-

teso nel vicinato, ch'ella d via molta roba di casa nostra,

come se fosse propria?

Bru. Voi avete paura: glielo pester nel capo anche a

loro quando sar il tempo, e particolarmente alla signora

Berenice, che a prima vista mi parsa una sputapepe da

non lasciarsi menar pel naso.

Jac. Si, ma intanto jersera, con tutto che fosse il primo

giorno, che venne in casa, si prese una bella gridata....

Bru. Da Pasquina?

Jac. Da lei.

Bru. E perch?

Jac. Perch non si era, subito che arriv, mutata la veste

da sposa in un 7 altra pi ordinaria.

Bru. Or qui bisogna buttar gi buffa. Non saprei; queste

sono impertinenze da non potersi soffrire.

Jac. Ma che pretenderesti di fare?

Bru. Delle diavolere per isbalzarla di questa casa, o al-

meno di farle diminuir la padronanza, ch'ella ci si presa,

vedete.

Jac. Ma non sarebbe meglio, per isfuggire le molte turbo-

lenze, che potrebber far nascere in casa i tuoi raggiri, ser-

virsi di qualche persona di fuori?

Bru. E di chi? Se ognuno scambujato (1) da queste mura

peggio che i piccioni da una colombaja, ove covino le faine.

Jac. Ci sarebbe pure il signor Cleante

Bru. Quello che mi avete detto esser amico del signor

Flaminio?

Jac. Cotesto.

Bru. Eh; quello un gio vinotto . . . . e poi come potergli

parlare?

Jac. Egli giovane si, ma per molto savio e prudente;

ed in quanto al parlargli, basta che tu gli faccia intendere

che lo desideri, ne trover egli il modo e il tempo opportuno.

Bru. Oh: io non mi sono mai abboccata seco: non

vorrei....

Jac. Di che temi? Ci sar io ancora presente.

Bru. Ma se qualcuno....

Jac. E ov' quella tua tanta franchezza ed ardire, che

dimostri 'n tutte le cose? Io non ti so intendere.

Bru. Intendo ben io voi. Guardatemi fisa.

Jac. Che vuoi dir con questo?

Bru. Nulla, nulla. Dico solamente che le cameriere pos-

son far de' servizi, quando le padrone non diffidan di loro.

Jac. Cara Brunetta, giacch tu....

SCENA SECONDA

Pasquina e dette.

Pas. di dentro. Brunetta, signora Jacinta,' avete finito d

stropicciarvi ancora gli occhi? quanto si sta a venir gi?

Jac. Eh, mancava adesso questa importuna.

Bru. Lasciatela, lasciatela gracchiare.

Pas. Oh so quando voglion esser finite di cucire quelle

camice: poveri capi di casa state pur freschi.

Bru. piano. Fredda vorrei io che fossi tu.

Jac. forte. Adesso, adesso.

Bru. Signora Jacinta, chi pecora si fa, il lupo se la man-

gia. In quanto a me non mi voglio far tant' oca, quanto vi

fate voi.

Pas. esce. Adesso, adesso, ma questo adesso non si vede

per* mai. E gi mezzo giorno, e non si ancora preso il

lavoro in mano: (A Jacinta:) oh ve le vo' far avere da vostra

padre, non dubitate. Che vergogna questa ? star tutta mat-

tina a letto, e poi perder tre ore di tempo a struffarsi, (i) e

intorno alle borie. Queste sono le brave fanciulle da marito !

(A Brunetta.) E tu mozzina credi d' avere a mangiare il pane

a ufo? Vuol essere sbucare un po' pi di buon'ora, e aver

un po' pi di pensiero. Chi non vuol durar fatica se ne stia

a casa sua. Ogni cosa tocca a fare alla povera Pasquina.

Bru. E con chi l'avete voi, adesso?

Pas. Oh, con chi l' ho? Con te I* ho, mona saputi na. Chi

ha avuto a spolverare le sedie? chi ad accendere il fuoco?

chi a spazzarmi la camera e rifarmi il letto? ogni cosa da

me ho avuto a fare.

Bru. Oh, che aspettavate me ? povera donna, avevate che

aspettare. Io son venuta in questa casa per essere la came-

riera della signora Berenice e della signora Jacinta, e non per

le faccende, che si aspettano a voi, e servire il vostro bel

mostaccio.

Pas. Cosi mi si ha da rispondere a me, pettegola, eh,

cosi ? Per questa volta ci ha dato il signor Arnolfo. Oh io lo

dissi subito, che questa era una fraschetta, e che mi aveva

cera di uria spazza case, (i)

Jac. a Brunetta. Sta 7 cheta, sta? cheta. (A Pasquina:) An-

diamo adesso via, non gridate pi.

Pas. Ecco qui, s'ha da spendere il suo, e dar mangiare

a gente, che non buona a nulla, e di pi ti voglion far la

donna addosso.

Bru. La ricevuta per del salario, mi suppongo che non

l'avr a fare a voi?

Pas. E per questo, che vorresti dire?

Jac. a Brunetta. Sta' cheta, ti dico.

Bru. Perch non ist cheta lei?

Pas. Parla, parla; che vorresti dir per questo?.

Bru. Per adesso niente, ma a suo tempo mi far sentire.

Pas. Che? che?

Jac. a Pas: Non le date retta; non vedete che non sa

che dire?

Pas. Ah poveri noi! Tutti a un mo'son costoro. Anche

quello scimunito di Ciancica non ne fa una che vada a verso.

Ma s'ha da pigliar la granata, e ripulir la casa. Oh mi trat-

tengo qui, meschina me: Ciancica, Ciancica, me n'ero scor-

data. (Partendo.) Della carne pigliane un po' meno di jersera,

perch tutta quella di pi d'una libbra e mezzo buttata.

C' delle cotenne di porco, potranno servir quelle. ( Via.)

Bru. Delle tue vorrebbon esser; queste le mangerai

ben tu.

Jac. Eh lei manger de' boccon' buoni, e le parti se le fa

da s.. Ma andiamo, perch ritornerebbe a schiamazzar di

nuovo, e far peggio.

Bru. E pure, signora Jacinta, prevedo di non averci a

poter durare con questa bestia. Oh, sicuro, impossibile.

Jac. Abbi pazienza.

Bru. Certo qualcuna di noi ha da sbalzare.

SCENA TERZA

' Anticamera.

Arnolfo e Berenice.

Arri. Di queste fortune se ne trovano di rado. Che bella

felicit avere una serva tanto affezionata e fedele, quante

la Pasquina! Voi potete dire d'esser veramente nata vestita

a trovare in questa casa una donna, che vi far pi che da

madre; non questa una gran sorte, nuora mia cara?

Ber. Certo, certo; ma una serva per, vero?

Arn. E una serva si, ma fa per dieci padrone. Ella sa

filare; ordina le tele; tien conto delle biancherie; regola le

x spese della tavola; comanda alla servit; e poi i miei figliuoli

gli fa fare a suo modo, come se fossero tanti cagnolini.

Ber. Ed! il signor Flaminio, mio sposo, ancora?

Arn. Lui ancora, certissimo. Oh l' poi una bella cosa,

vedete.

Ber. Bella davvero; ma per una serva?

Arn. Si signora, ma non si trover la compagna nel

mondo, tanto possiede bene il governo della casa. Conside-

ratelo da questo. Ella sa per P appunto quanti bocconi devo

mangiare, e quanti bicchieri devo bere per pasto; ed tanto

il suo affetto, che non v' pericolo che me ne lasci pigliare

uno di pi in alcun modo; e poi basta dir solamente che

la chiave de 1 denari la tiene lei.

Ber. Questa serva?

Arn. Senza dubbio: anzi di pi mi rivede spessissimo i

conti, per vedere se avessi fatto qualche sbaglio in ispender

la moneta,. che di tant'in tanto mi fo dare.

Ber. A lei, signor padre?

Arn. A me.

Ber. Questa serva?

Arn. Questa serva.

Ber. Certo ch'ella una gran serva.

Arn. Oh, se ve lo diceva.

Ber. Essendo tanto da fatti, dev'esser per quieta e di

poche parole?

Arn. Oib! la lingua non le muore in bocca, no. Sadire

il fatto suo sino al finocchio (i), e non c' pericolo che ce

la facciano stare.

Ber. Mi suppongo colle persone inferiori.

Arn. Eh appunto ! Con tutti. Non ha riguardo n anche a

me, considerate.

Ber. N anche a lei? Ella burla, signor padre.

Arn. Io non burlo punto punto; n anche a me.

Ber. Questa serva?

Arn. Questa serva.

Ber. Certo eh' una gran serva.

Arn. Non lo volevate credere, che fosse una gran dnna ?

Ber. A confessarle la verit, aveva principiato ad accor-

germene a qualche cosa, e lo credeva, ma non tanto.

Arn. Oh, oh; l' come una moglie; se non fosse lei, Dio

sa quanto sarei di peggio! Io che per natura son piuttosto

liberale che no, mi lascerei mangiare il mio da questo e

quello alla peggio. E lei me lo dice a ogni poco.

Ber. Effetto di una doppia attenzione.

Arn. Volete vedere se ella fa le cose con grandissima

economia ?

Ber. Mi dica ancor questa.

Arn. Con quelle quattro o cinque donne del vicinato, che

giornalmente vengono in casa, se la passa con una minchio-

neria per ricognizione. Dar loro un fiaschette) d'olio o un

sacchetto di farina per una il giorno, qualche bagattella si-

mile e non altro.

Ber. E che ci vengono a far costoro?

Arn. Eh e' delle faccende di molte, sapete, in questa

casa. Vengono ad ajutare a spazzare, lavare i piatti, e che

so io.

Ber. Bene, bene; sa che cos'? non durer poi di far cosi

questa donna.

Arn. Oh quant'a di questo, non n'ho paura. E tanto

ch'ella in casa, stata sempre la medesima; ma poi da

che mori Bernocolo suo marito e la poveretta della mia

moglie Landronica, si applicata al governo pi che mai.

Ber. Pu esser che io m'inganni, ma vosignoria vedr

che non durer troppo.

Arn. Oh voi me la dareste (t). Potrei dire d'esser rimasto

vedovo un'altra volta.

Ber. Non si disperi no, che non mancheranno rimedj.

C Da s.) Non vuol durare certo cosi. Ora, signor padre,

con .sua buona licenza voglio andare un po' in camera; se io

stessi qui .non farei niente.

Arn. Andate si, andate.

Ber. Che balordaggine ! Che furberia ! (Parie.)

Arn. Questa veramente mi vuol riuscire una figliuola da

fetti: chi il pi felice di me?

SCENA QUARTA

Jacinta e Brunetta.

Bru. Ora che mi avete aperto il vostro cuore, lasciate

fare a me. Oh bene ci avevate tanta difficolt a dirmi che

eravate innamorata!

Jac. Queste son cose da non confidarsi ad ognuno.

Bru. Credetemi, signora Jacinta, che le padrone posso n

poco o nulla, senza la confidenza delle cameriere, particolar-

mente poi quelle, che per la poca et e niente ti pratica,

hanno 1 poca esperienza, come voi Oh di quante cose som loro

maestre!

Jac. Io ti son obbligata, Brunetta mia, e ti prego di av-

vertirmi in tutto ci che trovi a proposito, che mi possa

esser utile per apparire, come P altre, di spirito ed al

l'usanza.

Bru. Non fo per lodarvi, no, ma ne arereste u gran

bisogno.

Jac. Di grazia dammi queste istruzioni; non vorrei esser

da meno dell'altre, che sono applaudite per tutto.

Bri. Sentite : primieramente bisogna avere in testa alcuno

innocenti astuzie in generale per mostrarsi sempre ^''Vt^Ti

Poi, ora bisogna essere obbliganti, ora rigorose, ed ora del

tutto indifferenti.

Jac. E tutto questo con arte?

Bri. Oh, signora si. Come credete che faccian quelle,

che ad ogni poco d 1 odore di muschio o d 1 ambra si vengo*

meno, dove pi si trova moltitudine di gente; che in camera

loro, quando son sole, non gli sverebbe dato ponto d'air

tensione?

Jac. Ma che compiacenza e che utile si pu trovar mai

in queste sciocche finzioni?

Bru. Eh voi non sapete che gusto quello di vedersi

attorno al naso, in tali casi, una gran quantit di balsami,

d'acque preziose, accompagnate da sospiri, che farebbero ri-

suscitare un morto davvero. Ma quel che pi importa il

conoscere chi pi di tutti si turbato in quel V accidente, e

la stima grande che s' acquista d' un delicatissimo naturale

Jac. In quanto a me....

Bru. In quanto a voi, se in mezz' ora di tempo non vi fitte

dolere un fianco, la testa, le reni, o qualche altra parte del

vostro corpo, sarete stimata una donna grossolana, e da star

ben per moglie ad uno Svizzero

Jac. Tu mi fai maravigliare.

Bru. Bisognerebbe che voi aveste visto queir altra pa-

drona con cui stavo: oh lei si, che era dell'ultima moda!

Per un lume di pi, che fosse, stato acceso in camera, biso-

gnava bruciarle sotto il naso un mezzo dorso di vacchetta,

per farle. passare i vapori cagionatigli da quel calore.

Jac. Ma queste affettazioni e queste smorfie son quelle,

che pongono in credito una donna, e la fanno passare per

ispiritosa, e di buon gusto ?

Bru. O che vorreste che fossero?

Jac. Io mi supponeva un trattar civile e cortese con

tutti.

Bru. Buono: come non e 1 parzialit, non si fa nulla.

Con. chi bisogna fare cortesie a cataste, e con chi star tanto

intenta (i) fino a non rendere il saluto.

Jac. Un parlar raro e sensato, e non fuor di tempo.

Bru. Appunto, si direbbe che i bambocciai non hanno

avuto altro modello per fare i boti.

Jac. tJn buon fondo di virt e di prudenza, e soprattutto

una somma modestia in ogni cosa.

Bru. Cosi sareste il caso per un di quei filosofi all' an-

tica. I nostri moderni hanno un altro gusto, e tutte quelle

cose ch'avete dette passano per stiticherie ed anticaglie.

Jac. E il signor Cleante, lo credi tra '1 numero di costoro?

Bru. Come volete voi, eh' io lo possa sapere, se non V ho

per anche visto ? Ma lasciate far a me, avanti che sia troppo

ve lo sapr dire, e forse far in modo che lo possiate co-

noscer da voi, non pensate pi l. Andiamo. (Partono.)

SCENA QUINTA

Strada, cortile con casa.

Cleante e Senn uccio.

Cle. Il parentado buono, la dote molta, e la signora Ja-

cinta una giovane savia e di tutto mio genio.

Seti. Oh perch dunque non la fate domandare al signor

Arnolfo suo padre ? Ei di ragione non dovrebbe negarvela,

perch la condizione vostra, signor padrone, non inferiore

alla sua.

Cle. Due sono le ragioni, che mi ritengono a far questa

dimanda apertamente, avanti di farne la scoperta. La prima

che forse ei non la vorr maritare ancora per esser troppo

giovanetta.

Sen. Questo non d fastidio, perch il matrimonio, con-

cluso che fosse, potrebbesi anche differire.

Cle. Tu dici il vero in quanto a questa; ma l'altra ben

pi forte, n mi par che ci si possa trovar risposta e rimedio

adequato.

Sen. E qual mai?

Cle. L'autorit della serva Pasquina nclP animo del signor

Arnolfo, ed il mal genio della medesima contro di me.

Sen. Non altro ? Mi credeva che fosse qualche gran Mar

Rosso da passarsi a nuoto.

Cle. E questo ti par poco? Non sai che questa serva....

Sen. Si, si, so tutto; ma voi ne fate un gran caso, ed io-

questo, guardate. {Facendo atto di non curan\a.)

Cle. Che, ti crederesti forse di far risolver quel vecchio

ad una cosa di tanta importanza, senza il consentimento di

colei ?

Sen. Io non dico questo, bench non lo creda impossi-

bile; ma dico bens che non trovo tanta difficolt a far mu-

tar di parere e di genio Pasquina; anzi a far che lei mede-

sima procuri questo parentado.

Cle. E come?

Sen. Oh! non ella una donna?

Cle. E cosi?

Sen. Par che venghiate al mondo adesso, a mostrar di

non sapere che il cervello delle donne si volta com 1 una

banderuola a quel vento che tira pi forte.

Cle. Lo so; ma so ancora che se ne trovan di quelle, che

impossibile rimuoverle dalla loro ostinazione; particolare

mente poi quando la malizia e V interesse Ib. predomina,

come questa.

Sen. Bisogna prendere il panno pel suo verso, e attaccar

la piazza nel pi debole, signor Cleante mio, chi vuol riu-

scire ne' negozj. Ditemi un poco : perch ha ella questa donna

tanto mal animo contro di voi?

Cle. Perch, essendo io amico del signor Flaminio, ella

teme che io possa persuadergli qualche cosa contro P auto-

rit, eh 7 ella si usurpata in quella casa; e di. certo non si

punto ingannata, perch io 1' ho sempre consigliato a far

vive le sue ragioni.

Sen. Or che sono informato di tutto, lasciate il pensiero

a me di questo matrimonio.

Cle. Eh, Sennuccio mio, tu ti lusinghi troppo. Non bi-

sogna farsi le cose cosi, focili.

Sen. Nemmeno bisogna esser tanto spericolato come voi,

vedete. Ne' negozj ci vuol franchezza e ardire.

Cle. Ma ci vuol anche prudenza ed accortezza.

Sen. Oh, ecco il signor Flaminio.

SCENA SESTA

Flaminio e detti.

Cle. Buon giorno, amico. Io non vi credeva questa mat-

tina fuori di casa si per tempo.

Fla. Esco in questo punto, ma una tal ammirazione s

dovrebbe piuttosto a voi, perch, secondo il solito, le con-

versazioni, che frequentate fino a mezzanotte, vi tengono in

letto fino a mezzogiorno.

Cle. L'obbligo, che mi corre per la nostra amicizia, di

non esser degli ultimi a visitar la vostra sposa, mi ha reso

pi sollecito, ma non tanto quanto bisognava, per trovarvi

in casa, ed aver P onore di esserle presentato da voi. Pren-

der meglio un'altra volta le mie misure.

Fla. Gli affari, che ho fuori, non son tali, che non mi

permettano ritornarvi presentemente per servirvi.

Cle. Non permetter mai questo vostro incomodo.

Fla. Signor Cleante, non perdiam tempo in 'complimenti.

Io aver V onore di accompagnarvici, non perch la signora

Berenice non sia per far tutta la giustizia al vostro merito

senza di me, ma per risparmiar forse a voi qualche imper-

tinenza della serva Pasquina, ed a me il rossore che foste

mal ricevuto in mia casa.

Cle. Giacch siamo su tal proposito, ditemi, signor Fla-

minio, com' possibile che voi siate si paziente da soffrir

tanta impertinenza di costei?

Fla. Credia terni che la soffro con gran pena.

Cle. Oh dunque perch soffrirla?

Fla. La riverenza, che debbo a mio padre, mi ci obbliga.

Cle. Ma vostro padre, perdonatemi, non mostra di aver

tutto il buon senno, in questo particolare.

Fla. Lo conosco anch' io. Ma come rimediarci senza venir

seco a contrasto?

Seti. Si contentano, lor signori, che dica una paroi*

anch' io ?

Cle. Parla pure.

Seti, il rimedio facile: si pone tutto il carico del ne-

gozio in un terzo; e cosi voi, signor Flaminio, stando al di

fuori, verrete al vostro fine senza aver bisogno di contra-

stare con vostro padre; ma per in tal caso bisognerebbe

ajutare la barca sottomano (i).

Fla. A questo mi accorderei volentieri. Ma chi sar colui

che voglia pigliarsi questa briga ed abbia tanta abilit?

Seti. Voi credete il mondo bene scarso di soggetti, ve 9 .

Cle* Intorno a questo, purch il vogliate, lasciatevi ser-

vire. Sennuccio medesimo....

Fla. Entriamo in casa, ed intanto la discorreremo.

Cle. Come vi piace. '

Seti, Se non m'avesse da riuscir di sminchionir quel

vecchio, mi vorrei tagliare il naso. Quanto l' imprese son

pi difficili, pi. di buon cuore le abbraccio.

SCENA SETTIMA

Dragoncello e Sennuccio.

' Dra. Dove, dove, Sennuccio?

Sen. Oh, Dragoncello mio, quanto venghi approposito ! Io'

ti credea gi partito con quel notajo per andare a porre in

opera le tue astuzie.

Dra. Questo negozio non si ha da fare ancora; bisogna

lasciar maturar la pera un po' pi.

Sen. L'ho a caro, perch ho bisogno delle tue furberie,

e la mancia non sar piccola.

Dra. Di' pure liberamente, ch'io vado a nozze, quand' ho

da porre in opera la mia abilit, particolarmente in servire

gli amici.

Sen. Senti Junque. Il mio padrone vorrebbe far indurre

xjuel vecchio barbogio del signor Arnolfo a dargli per isposa

la sua figliuola Jacinta; ma perch egli ha una serva mali-

ziosa, che lo mena pel naso....

Dra. Si, si, quella Pasquina.

Sen. Cotesta giusto. Or costei vuole un mal di morte ai

mio padrone; ed egli teme che per questo non gli possa

riuscire.

Dra. Me ne rido.

Sen. Lo stesso fo io. E di pi mi sono impegnato seco

che rester consolato.

Drd. Benissimo fatto. Vediamo dunque ci che si pu

fare.

Sen. Adagio: devi sapere che son seco e col signor Fla-

minio suo amico in un altro impegno pi difficile.

Dra. E qual ?

Sen. Di far mandar via la detta serva.

Dra. Questa sarebbe un'opera di carit. Anim,' animo.

Sen. Qui dunque.... Ma vedo venir Ciancica, quello

sciocco del servitore del signor Arnolfo. Meglio che mi

ritiri, perch non ci veda insieme.

Dra. Verr ancor io teco per fermare il nostro raggiro.

Sen. No, a questo avrem tempo dopo. Adesso, tu che

non sei conosciuto da lui, n da verun di casa, bene che

procuri di fartelo amico, perch forse ci potr servir molto

a 7 nostri bisogni.

Dra. Tu dici il vero. Va' dunque.

Sen. Fra poco ci rivedremo. Avverti ch'egli uno sciocco

di prima riga, e si chiama Ciancica Pappoleggi. Sappiati'

servir dell'avviso.

Dra. Lascia far a me.

SCENA OTTAVA

Ciancica e Dragoncello.

Ciati, parlando da s. Qui il signor Arnolfo . il pa-

drne; il signor Flaminio, il padrone; la signora Berenice, la

padrona; la padroncina, la signora Jacinta; e la padronciona

sopra tutti vuol esser la signora Pasquina. Quello: Ciancica

alla posta. Questo: Ciancica porta questo biglietto. Quella:

al gioielliere. Quell'altra: al mercante. Pasquina poi guasta

tutti gli ordini: va' al macella jo, va 1 al mercato, va' dalla mia

comare. Tutti gridano, tutti promettono.... (Fa gesto di dar

schiaffi.) Ciancica di qua, Ciancica di l; ognun vuol Cian-

cica, e Ciancica nelle pste.

Dra. fingendo di parlar da s, ma sentito da Cian-

cica. Oh che gente indiscreta in questo paese! Un povero

forestiero, che non ci ha conoscenza d'altri, che d'un suo

vecchio amico, se lo va cercando, non v' nemmeno un cane

che gliel' insegni. Dimanda di Ciancica a questo, dimanda di

Ciancica a queir altro; Ciancica non si ritrova, Ciancica non

si conosce; oh che sar mai?

Ciati, Eccoti un altro che vuol Ciancica.

Dra. Voglio andar finalmente a domandarlo al Bargello;

se non lo conosce lui.... Ma.... (Guarda fissamente Cian-

cica.) Oh caro amico, che consolazione * mai la mia in ri-

vederti! Oh come sei cresciuto! Chi me l'averebbe mai

detto di doverti ritrovare cosi a caso doppio averti tanto cer-

cato? Che nuova mi dai della tua persona e de' tuoi pa-

renti? I nostri amici stanno bene?

. Cian. Ma piano un poco; chi sei tu?

Dra. E che? non riconosci il tuo vicino? Par che sia

cent'anni, che tu non m'abbia veduto.

Cian. Bisogna che sia ancor pi, perch non me ne ri-

cordo n punto n poco.

Drar Come? Non ti sovviene di quando ero sempre in

casa tua a giocare, e che tua madre non voleva?

Cian. Cent'anni fa ?

Dra. Eh cent'anni fa appunto! Ella gridava, e noi ce

n'andavamo da Buzzichino nostro compagno. E di quelle

tante ragazzate, che si facevano insieme alla scuola, te ne

ricordi ?

Cian. Alla scuola?

Dra. Alla scuola sf. Avevamo pure il poco giudizio a

perdere il tempo in quella forma. Basta, io; perch tu sotto-

sopra studiavi, e ti portavi bene. Quante frustate, tene

ricordi ?

Cian. lo non so n leggere, n scrivere, n so d'esser*,

stato a scuola; del resto poi non so come la cosa vada.

Dra. Eh via tu vuoi la burla. Come non sai leggere n

scrivere, se spiegavi, e componevi tanto bene?

Cian. Io?

Dra, Tu, tu : non sei Ciancica Pappoleggi?

Cian. Sono, io.

Dra. Non occorr' altro dunque.

Ciati. O come va adesso che non so niente?

Dra. possibile?

Ciati. Puoi essere che io abbia saputo una volta, ma

ora.. . .

Dra. come da s. Oh che disgrazia! Un giovane tanto

virtuoso.... bisogna che sia stata qualche .malattia.

Ciati. Ma come sai queste cose? Tu non hai detto che

tei forestiero? Io ho paura....

Dra. Oh diamine, che ripiego adesso.... Eh fore-

stiero! Ho detto forestiero, perch sono stato fuori tanto

tempo, che non riconosco pi veruno in questa citt.

Ciati. Non sei gi quel nostro vicino, che and via da

ragazzo ? }

Dra. Di', come si chiamava? per vedere....

Cian. Rusticuccio.

Dra. Quello appunto; quello son io.

Cian. Dunque bisogna che sian vere queste cose?

Dra. Se son vere? t

Cian. E che io era virtuoso?

Dra. Senza dubbio.

Cian. Ma perch non sono anche adesso?

Dra< Una malattia....

Cian. V ebbi si una malattia, e poco manc che non

sballai.

Dra. Quella ti fece scordar ogni cosa.

Cian. Ma se non sapevo niente nemmeno avanti?

Dra. Oh, tu non te ne ricordi. Questo un male, che fa

scordare anche di aver saputo.

Cian. E come si chiama?

Dra. Si chiama male letisomariaco.

Cian. Uh che malaccio! Ma come potrei fare a ricor-

darmi che sono stato virtuoso?

Dra. Io ho il rimedio facile facile. Primieramente bisogna

mettersi in testa d'esserlo, e che uno non se n' scordato,

e poi con certe lezioncine che ti dar, diventerai come sem-

pre sei stato.

Cian. O che tu sii benedetto, Rusticuccio mio caro.

Dra. Ci bisogner un po' di lettura, ma in poco tempo

t' ho sbrigato.

Cian. Adesso non posso, perch ho d'andare a far un

servizio.

Dra. Non importa, verr teco.

Clan. Si, intanto discorreremo.

Dra. ~,Oh che balordo!

SCENA NONA

Galleria o Sala.

Flaminio e Pasquina.

Fla. Il servidore dov' ?

Pas. Che volete dal servidore adesso?

Fla. Vi dimando se in casa.

Pas. E io vi domando che cosa volete da lui.

Fla. Questa curiosit! Ci , o non ci ?

Pas. In casa non ci , via, l'ho mandato a fare un

servizio.

Fla. Portate dunque voi una sottocoppa di biscottini, e

quattro chicchere di cioccolata.

Pas. Che s'ha da fare de* biscottini e della cioccolata?

Fla. Fate quel che io vi dico, e non pensate ad altro.

Pas. Non ho da pensare a altro? Crederei d'averlo a

sapere, io.

Fla. A quel che son ridotto! Se lo volete sapere,

ve lo dir: voglio dare un po' di rinfresco al signor Cleante,

mio amico.

Pas. Che ha da fare questo moccolone adesso per casa?

Non e* mai altro che far, che lui. Io non voglio portar

niente.

Fla. Credo che burliate.

Pas. Io non burlo punto punto; dico davvero.

Fla. E volete che io faccia una mala creanza?

Pas. Fatene anche due. Chi ce l' ha fatto venire ? Quando

io ander a casa sua mi facci questo, e peggio.

Fla. Io l'ho invitato....

Pas. Se l'avete invitato, svitatelo. I biscottini si han da

serbare, e della cioccolata non ve n' da buttar via. Di molto

scialacquare, di molto mandar male. Guardate che bel ceffo

d'aver i rinfreschi!

Fla. Gran pazienza! Oh via facciamola finita una

volta, fate quel che io vi dico senza tante repliche.

Pas. Me lo comanda altri che voi?

Fla. Io, si.

Pas. Vi potevate risparmiare il fiato.

Fla. Ho inteso; per finire Je musiche, ander io da

per me ....

Pas. lo impedisce. Che da s, che da s ? Da quando

in qua....

Fla. Io sono il padrone, m'intendete?

Pas. Che padrone? Voi non piglerete niente.

Fla. Si vedr. (Parte, e Pasquina lo seguita.)

Pas. Eh, non si vedr punto punto; se io credessi....

SCENA DECIMA

Brunetta.

Povera ragazza, me ne veniva compassione. Vedevo che

ella si struggeva di abboccarsi col suo Cleante, l' ho voluta

un po' contentare, io. Poh, in somma l'amore un gran dia-

volo ! Che non fa egli quand' entra nel cuore d' una giovi-

netta? Per botacchiola ch'ella si sia, la fa scaltra, ardita,

disinvolta in un sbito, che par che sia stata a prenderne

lezione degli anni. Io mi ci son voluta trovar presente^ per

metterle in bocca ci che doveva dirgli: ma ella averebbe

tenuto a scuola me, tanto sapeva dir bene. O vatti a fidare

di quest'acque chete, che non par che sappian mtter quat-

tro parole insieme. Ma chi questa vecchia malandata,

che entra con tanta franchezza ?

SCENA UNDECIMA

Madonna Geva e detta (i).

Bru. Che cosa volete voi di qui, la mia donna?

Gev. I Ciel vi benedica, e vi prosperi come desiderate, la

me 1 gioanetta beli' e garbata. Siete vo> per assorta la camme-

riera qui di casa?

Bru. Sf, io sono la cameriera. Che volete da me?

Gev. n'ho conosciuto per aria, che v'eri voi. Poera

fighiuola, vo' mi fate veni' compassione. Se vo'non m' aessi

cera d' esser tanto buonina, i' vi 'orre' domanda' , se v' aete

quailche peccato da purgare a esse' venut'a i servizio dil si-

gnor Arnoilfo.

Bru. E perch? Non egli forse un buon padrone? Io

non l'ho conosciuto per ancora in contrario.

Gev. Eh in quant' a lui d' i sicuro che ghi me' d' i Duil-

ciati (2), eh' e' si lasciaa pela' la barba pe' fanne delle spaz-

zole da cappegghi; ma con quella lipera della so' serva i pan

di grano e' vi vuoi' diventa' peggio che di saina.

Bru. Meco forse non sar per averci tutt'i suoi conti.

S'ella far il diavolo, io far il diavolo e peggio.

Gev. A qui' eh' i"eggo vo'beete un po' grosso, la me'

fighi uola. Vo' non sapete che la vi darebbe giunta dalla

Fort' a i Prato a i Borgo deghi Ailbizi (1). Non vi date da

'mende' che ghi orsi si pigbino alla ragna, vete (2) la me' ra-

gazza, perch l' matricolata aopra tutt' i birri deghi Otto (3)

in furberia.

Bru, Star un poco a vedere. Alla fine poi so che cosa

me ne pu andare : ralla, baralla, (4) un' altra casa non fella.

Gev, In quant' a s' i' v' ho da dare i me' consiglio, i' non

indugerei che le pere le cassin da s; e quando v'abbiate que-

sto pensiero, e' vi sarebbe un'accasione da sta'com'una pa-

polina (5) per voi.

Bru, Questa qualche sentala di serve; mi voglio pi-

gliar seco un po' di spasso. Da vero? E con chi?

Gev, Non pensate pi l. 'N una casa che v' d' ogni ben

de Dio: ch'accad' ailtro. Tutte le camme nere, che vi son

tornate da bamboline d'otto e diesc'anni, le v'hanno messo

e' cape' canuti.

Bru, Sempre fanciulle ?

Gev. Sempr'a qui'mo'.

Bru. Quell' invecchiare in casa d'altri....

Gev. Ma vo' non dite che le son tenute come 'n una cu-

stodia, tant'e'n' auto conto; le stanno sempre 'n cammera

a lagorare.

Bru, Peggio, peggio. Questa mi pare una galera a me,

non una custodia. Ma che non si pu mai parlar a nessuno;

affacciarsi un po' alla finestra; e andar almeno cinque o sei

volte la settimana a spasso ?

Gev. Per non di' bugie, 'nquant'a questo pelle camme-

riere eghi spiouto (i); ma p' i resto, un' ailtra casa come

questa e 7 non pell'-universo mondo.

Bru, Tant', a questo gran rigore non mi ci accomode-

rei mai.

Gev. La sta com'i've la dico. La signora dice che quel-

Panderieni non sta punto bene nelle serve.

Bru. La signora la discorre bene, ma lei poi ander tutto

giorno a zonzo. No, no, non ne parliam pi.

Gev. Non vi sgomentate, ch'i' n'ho pelle mane una ser-

qua, una meghio dell' ailtra. Conoscete 'oi la signora Arpia

Strepitosi? Cotesta che costine la ne cere' una per mare e

per terra delle cammeriere.

Bru. Chi? Quella che muta di pelle nel viso pi spesso

che di camicia, e la fa apparir diversa da quelle delle mani,

come se l'una fosse di Morea e 1' altra d'Inghilterra?

Gev. Si, cotesta.

Bru. Oh, costi ci sarebbe da star bene. Primieramente

non credo che ci sia la pi difficile ad esser servita che lei,

per la sua grand 1 inquietudine.

Gev. In quant'a quest', eghi vero, l' un po"nquie-

tuccia, e la grida anche un po'quailche voilta.

Bru. Qualche volta? Poffar di mei La non fa altro che

strepitare e tempestar dalla mattina alla sera. Tutte le bru-

scole le dan fastidio, e ad ogni cosa trova da dire.

Gev. Pnon dico di no, ma dall' ailtro canto le camme-

riere l' hanno della libert, quant' elle 'oghiono.

Bru. Voi dite bene, ma quell'inquietudine....

Gev. State : e' mi sovvien d' un 7 ailtra, che l' pi paciosa

della Bietolona, che la non s'ammazzaa le puilci per com-

passione.

Bru. L'era bietolona davvero.

Gev. Questa l' la signora Pacifica Delicati, e 1 non pu

esse' che vo' non V abbiate sentita mentoare.

Bru. Ditelo a me se la conosco quella smorfiosa? Ella fa

tanto la delicata, che il fumo di una smoccolatura di cande-

lotto di Venezia la fa svenire, e si lamenta che le pieghe delle

camice dell 7 Olanda pi fina le guaiciscon la pelle, fino a farle

delle lividure. L'estate passata poi fece levar dalla sua ca- v

mera tutt'i quadri, ove erano figure vestite da inverno, con

dir che le rendevano un caldo insoffribile.

Gev. Gna compatilla la poeretta, a qui'mo'.

Bru. La compatisco quanto volete, ma io non la servirei

mai. Ne volete pi? m' stato detto ancora che il suo marito

non ha potuto mai ottener la grazia di farla dormir seco una

volta senza guanti e corse. Ora soprattutto, madonna, chi siete

voi? E a che fine siete venuta a parlarmi?

Gev. Eh, i'son una qui d'i viscinato. l'avo sentito dire

eh 1 i signo' Framinio e* men jeri la sposa': eghi 'ero ?

Bru. Certo.

Gev. O i' vorrei che vo' ghi dicessi a lei eh' V are' caro di

dighi una parola, ma senza saputa d'ailcuno.

Bru. Ma chi siete, che le possa dire il vostro nome ?

Gev. Fatele la 'mbasciata, eh' e' non pu esse' che la non

mi conosca.

Bru. Buono. (Ode gridare.) Ma che grida son quelle?

Madonna, tornate pure un'altra volta, la signora adesso ha

visite; non le si pu parlare.

Gev. Non accad' ailtro. Fsar qui tra un pocolino. (Parte.)

Bru. Sento strillar quella vecchia matta: che vi sar mai

di nuovo? Non mi ci voglio incontrare. (Parte.)

SCENA DUODECIMA

Flaminio cod sottocoppa di cioccolata, e Pasquina

in atto di levargliela.

Fla, dentro. Pasquina, badate a' fatti vostri....

Pas. dentro. Questi son fatti miei. Vi dico che non voglio.

Fla. Lasciate, o che io....

Pas. Prima il collo. Vostro padre.... ,

Fla. Mio padre non mi nega queste cote.

Pas, Se non ve le nega lui, ve le nego io.

Fla. Impertinente; e con che autorit? {Flaminio fa

for\a di portare la sottocoppa, e versa della cioccolata ad-

dosso a Pasquina. Flaminio parte*)

Pas Ah meschina me ! Ecco, ecco, lo diceva. Tutta la

cioccolata nella gonnella. Ah signore Arnolfo, de' diavoli,

non de 7 figliuoli; de' diavoli!

SGENA DEGIMATERZA

* Arnolfo e detta.

Arn. Che rumor questo ; che cosa e' ?

Pas. Mai pi de' miei di'; se campassi anche cent'anni

non mi trover a peggio.

Arn. Ma che t' hanno fatto ?

Pas. Trattar in questa forma una povera serva, che stra-

pazza la sua vita dalla mattina alla sera per conservar la

roba del padrone?

Arn. Ma si pu sapere....

Pas. Il vostro figliuolo, ecco qui, m'ha macchiata tutta

la gonnella colla cioccolata, e di pi m' ha trattato di male

parole.

Arn. Flaminio ?

Pas. Lui, lui; non glie la perdoner mai.

Arn. Briccone 1 E perch ?

Pas. Perch gli volevo impedire che la scialacquasse, come

voleva fare. Io non le voglio queste cose, m'intendete.

Arn. Non ti dubitare, Pasquina mia, non ti dubitare; ci

rimedier io, si.

Pas. Oh vatti a strafalare per supplire di qua e di l, a

distillarti il cervello per pensare a questa cosa e a quell'altra.

Questi sono i guadagni e il benemerito. Ecco, una vesta

tutta andata al diavolo: ora me la vo' friggere.

Arn. Ma non stato gi a caso?

Pas. Me l' aspettavo d' aver, a esser la ladra e la bugiarda

io, me l'aspettavo. In somma le mosche si posan sempre

su 7 ai va Ili magri.

Arti. Non dico che tu....

Pas. Eh, triste guai a chi tocca. E le male parole?

Arn. Hai ragion tu.

Pas. Bene, bene; ma intanto questa ragione mi vai poco

a me; la veste per questo non torner bella e pulita com'era

prima, lei. Oh uno spazzatojo da forno, non se ne pu far

altro adesso.

. Arn. Se non c' altro male che questo, te ne far una

nuova; quietati via, quietati.

Pas. Ch'io mi cheti? Infin che a vero lingua in bocca,

vo'dire. Trattanti' in questa foggia, e dirmi delle villanie, eh?

Arn. Lascia far a me, ti dico; lo gastigher a modo. Ora

guarda. ( Vuol partire. )

Pas. Ora appunto. Mille strapazzi....

Arn. torna. Non te ne pigliar tanta pena. Vuoi scommet-

tere che il mio figliuolo non a vera pi ardire da qui avanti....

Pas. Vostro figliuolo, e voi. Si, con voi ancora l'ho.

Arn. Con me?

Pas. Si, con voi.

Arn. E perch ?

Pas. Se voi non l'aveste fatto, questo non sarebbe.

Arn. Ma che sapevo io....

Pas. E dell'avergli dato tanto il gambone ?

Arn. Di questo poi, Pasquina mia, tu ti lamenti a torto.

Tu sai pure quante volte l' ho gridato, e gli ho detto che 'vo-

glio che stia sotto la tua ubbidienza. Che poteva far io di pi?

Pas. Niente, niente. Gli avete voluto dar moglie a mio

marcio dispetto; ma fra poco ci riparleremo.

Arn. Questo un passo che prima o poi s' aveva da fare.

Pas. Eh non parlo io; la medicina far da s. Oh adesso

le cose vogliono andar bene.

Arn. Eh, che tu ti metti 'n testa certi malanni, che non

accaderanno. Non te ne pigliar tanto fastidio.

Pas. Una gonnella andata al diavolo, e non me n'ho da

pigliar fastidio?

Arn. Ma della gonnella non t'ho detto che te ne far una

nuova? Si manda a chiamare il sarto, e cosi le cose saranno

aggiustate.

Pas. Lo vedete, lo vedete ora di che cosa sono cagione

le scimunitaggini di Flaminio? Nuove spese di pi. Che forse

non se ne fan tante per altri versi ! In quant' a me, se si po-

tesse risparmiar questa....

Arn. Qui poi hai da far tu. Ci aveva pensato veramente

ancor io a lavarla e pulirla da quella macchia, che cosi si

farebbe ritornar come nuova.

Pas. Come nuova? Non credo per che vorreste rinnovar

voi cosi il vostro vestito, voi. Eh povere serve, mandate pur

male la vostra vita e la vostra roba pe' padroni, affaticatevi

pure: siete pagate d'una bella moneta. Una veste nuova,

nuova di trinca (i) diventata uno stroffinacciolo, uno strof-

finacciolo diventata.

Arn. Non ti lamentar pi. Va' pure adesso a far venire il

sarto.

Pas, Signore Arnolfo, avete bevuto il brodo questa mattina ?

Arn. Non ancora.

Pas. Oh pover' uomo I Se non ci pensassi un po' io a voi,

in questa casa non c' chi ci pensi. In sepoltura lo vorreb-

bero vedere, in sepoltura. Ora sentite: bisogna che cerchiate

di mantenervi, vedete; cominciate a esser d'et.

Arn. Ahi Tu dici il vero.

Pas. Adesso vado a pigliarlo. Voglio che sia di sostanza,

che niente pi. ( Via.)

Arn. Va' pure, si, lo ber volentieri. Ma l' poi una donna

affezionata e di pensiero. Quel briccone di Flaminio....

Fine dell'atto paino.


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Anticamera.

Arnolfo e Flaminio.

Arn. Venite, venite un p 7 qua voi, che pretendete far da

padrone in casa, e trattar male la servit nel modo che fate.

Fla. Io, signor padre, non sono....

Arn. Voi, signor figliuolo, siete un impertinente, un arro-

gante, un senza cervello; n mi state a replicare perch....

Basta: vi for ben conoscere chi vostro padre.

Fla. Gi comprendo perch mi si facciano questi rim-

proveri e queste minacce: ma se mi volete ascoltare, vedrete

ancora che io non son colpevole quanto la signora Pasquina

vi ha dato ad intendere con mille finzioni e bugie.

Arn, La Pasquina m' ha dato ad intendere quello che .

Voi siete bene un bugiardo.

Fla. Ma, signor padre, lasciate che io dica le mie ragioni,

e poi condannatemi come vi par ch'io meriti.

Arn. Dite, dite pur.

Fla. Gi da voi non mi stato proibito mai....

Arn. La servit va trattata sempre bene, particolarmente

quand' fidata, e fa pel padrone.

Fla. Da voi, dico, non mi stato proibito mai che io

trattassi amichevolmente col signor Cleante, e che....

Arn Altrimenti s'acquista cattivo nome; non si trova chi

voglia star per le case; e quelli, che si trovano, son tutti

ladri e' mangiapane

Fla. Ma se non mi volete ascoltar poi....

Arti. Eh dite, dite pure.

Fla, Diceva che da voi non mi e stata mai fatta proibi-

zione di dar di quando in quando un po' di rinfresco ad un

amico civile e di stima, com' il signor Cleante.

Arti. Io non la posso capire: una serva tanto di garbo e

dabbene....

Fla. Voi non mi negate niente di questo, e quella inso-

lente di Pasquina, che non cere' altro che la rovina della no-

stra casa... .

Arn. Pasquina la rovina della nostra casa? Uh che be-

stemmia! Via, via, e la terra non t'inghiottisce?

Fla. Si. Pasquina la rovina della casa nostra. Voi non le

sapete tutte, e perci....

Arn. Ancor questa? Lvamiti davanti.

Fla. Se non mi state a sentire....

Arn. Via, via, star a sentir parole si esecrande? E impaz-

zito, impazzito lo scellerato. ( Via.)

Fla. E pur bisogna soffrire, perch padre.

SCENA SECONDA

Berenice, Cleante e Flaminio.

Ber. E bene, signor Flaminio, come e andata la cosa?

Fla. Peggio che potesse mai. Ei mi ha sgridato aspra-

mente, e non mi ha voluto n meno ascoltare.

Cle. Qui non ci altro rimedio se non di far uscir di

casa costei.

Ber. Certo, che se noi lasciamo correre le cose cosi,

questa impertinente ci metter in una forma il pie sul collo,

che non potremo mai pi alzar la testa.

Fla. Ma questo impossibile, perch bisognerebbe rom-

perla col mio padre, il che non conveniente, ed io non

far mai.

Ber. Non dico che abbiate a perdere a vostro padre il

rispetto; ma agli spropositi suoi non ci si ha da poter ri-

mediare?

Fla. Qualunque rimedio vi si volesse porre sarebbe un

disgustarlo ai maggior segno.

Ber. Fate dunque quel che volete, io per me vi so dire

che a voi ed a lui avr tutta la sommissione che si con-

viene; ma che poi voglia star sottoposta ad una serva, non

ve lo crediate gi.

Cle. In questo ha molto ben ragione la signora Berenice.

Fla. Io pur lo confesso. Ma in riguardo di mio padre,

com'ho detto....

Ber. O bene. State dunque con questo riguardo, e lasciate

andare in precipizio ogni cosa. Io vorrei sapere se, quando

un padre ingannato, si faccia torto alla sua autorit a ri-

schiarirgli la mente, e fargli conoscere il suo errore?

.Fla. Qui sta il punto ch'egli voglia ascoltarci, e di pi

dar fede alle nostre parole.

Cle. Quando ci non riesca, bisogner ricorrere alle astu-

zie, e per questo vi offerii il servizio del mio servidore, che

n' abbondantissimo.

Fla. 'Faremo dunque in questa maniera.

Ber. Il pensiero buonissimo. Signor Cleante a rivederla.

{Parte.)

Cle. Servo umilissimo. Amico vi riverisco.

Fla. Servidor vostro.

SCENA TERZA

Pasquina sola.

Intanto la gonnella si metter da parte. Se io non pensassi

all'avvenire, potrei ritrovarmi un giorno colle mani vuote,

come tante scimunite di serve, che quando si partono da una

casa, hanno meno roba, che quando v'entrarono. Ah, se quel

briccone del garzone del nostro macellajo non mi burlava,

ad ogni modo avevo fatto un gruzzoletto, che mi potevo con-

tentare. Il furfantane, doppo avermi data parola di pigliarmi

per moglie (perch in verit lo star sempre a servire una

cattiva cosa; un p 1 di casa sua, e un marito, che ti guadagni

il pane, gli un bello stare) il traditore, dico, se l' clta,

n si sa dire dove sia andato. Po' poi, se. non avesse portato

via anche quel che gli avevo dato a conto di dote, sarebbe

forse scusabile; perch, a quel che mi disse madonna Geva,

che sapeva qualche cosuccia di questo partito, non poteva

far di meno, per essere in pregiudizio della Giustizia: e di

pi disse che sarebbe tornato, ma pensatelo voi quando ci

sar. In quanto al rimaritarmi, giacch ho la volont di far

questo passo, non voglio aspettare il parto dell'elefante; (i)

mi voglio sbrigare. Ma ecco quella superbetta di Berenice.

SCENA QUARTA

Berenice e Pabquina, che finge di spolverare

e non veder Berenice.

Pas. Vedete qui che sudiciume ! Se io non avessi spolve-

rato or ora, direi. (2) In questa casa bisognerebbe aver cento

mani. Fa' di qua, fa' di l, e pure in capo alla sera par che

non sia fatto nulla. Oh, considerate s' io non badassi alle cose,

come ci bado.

Ber. Questo vero, ma pel suo interesse per.

Pas. Uh quando io vedo andar male un capo di spillo mi

sento trafiggere il cuore, e spesso spesso ci fa (3) il mio po-

vero salario, che gi ridotto a pochi soldi.

Ber. Chi la credesse!

Pas. Quando veggo qualche cosa rotta per la balordag-

gine di quest' altri, perch non ci abbia da esser il diavolo in

casa, la ricompro del mio. Veramente son matta, ma non

posso far di meno; ho troppo affetto a questa robba. Uhim-

mene, uhimmene, guardate qui.,.. (Finge di vederla) Oh

signora Berenice, compatitemi, non vi avevo veduta.

Ber. Non importa, non importa, fate pure il vostro ufficio.

Pas. Eh, io non mi sto, e fo quanto posso, ma non gi

cosi degli altri; 1' per una gran miseria V aver a far ogni

cosa da s. Nell'altre case le padrone mettono le mani per

ajutare in ogni cosa, qui poi....

Ber. Che volete dire con questo qui poi?

Pas. Che volete ch'io voglia dire? Niente. Dico bene che

oggid gli venuto un cattivo mo'di vivere. Io per me non

saprei a che fossero buone certa razza di padrone, che tutto

il giorno stanno a spacciar delle ciarle, e dir male di questo

e di quello nelle lor visite; la sera poi al giuoco fino dopo

mezza notte; la mattina al letto sin tanto avanti pranzo,

quanto lor basti per impiastrarsi il ?iso, e mettersi un mo-

rion di frasche in testa, e quel poco che stanno per casa non

serve ad altro, che a strillare e gridare a cieli per far 4*re

al diavolo le povere serve. Oh, al tempo di gi, non era

cosi, ve'.

Ber. Ora, Pasquina mia, pel bene che vi porto, voglio av-

vertirvi di una cosa. Voi dovete fare le vostre faccende da

serva, come siete; e negli affari de 1 padroni, e particolarmente

ne 9 miei, non vi ci dovete impacciare punto, punto, punto, se

vogliamo star d'accordo. Ricordatevi che io son la padrona

adesso in questa casa, e non voi.

Pas. E non dico di no io ! Poh la padrona ! Oh la povera

casa sarebbe aggiustata. Lei la padrona!

Ber. Sentite sfacciataggine ! Che modo di parlar questo ?

Non vi crediate di aver a far colla signora Jacinta, sapete?

Pas. E voi non vi crediate d' aver a fare colla serva di

casa vostra. Qui ci sete venuta doppo di me, ed il signore

Arnolfo....

Ber. Ah temeraria ! Non so chi mi tenga che non t' insegni

con una quantit di schiaffi a trattar colle mie pari.

Pas. Aspettate, aspettate. ( Va a prendere il mesciroba,

il bacile e lo sciugamani).

Ber. Che ardire! che temerit! vada pur ove vuole,

non temo le sue minacce n la sua arroganza.

Pas.> torna. Tenete, lavatevi un po' prima le mani. Degli

schiaffi ?

Ber. Ah impertinente! ancor questa, eh?

Pas. Ma delli schiaffi poi!

Ber. Senti, la prudenza quella che mi trattiene; del

resto.... (Parte.)

Pas. E la prudenza e qualche cos 1 altro. A me degli

schiaffi? Uh che versiera scatenata! impossibile che si

possa trovar peggio: ma io me l'ero immaginato. Quel vec-

chio barbogio non ha voluto fare a mio modo, ma non ha

da aver pace nemmeno lui, se non ci rimedia. Gliene vo'dir

tante, e tante gliene dir, che s' ha da morder le dita di non

mi aver voluto ubbidire.

SCENA QUINTA

Cortile aperto.

Ciancica con libri.

Bella cosa! Ciancica virtuoso! Sia pur benedetto quel

Rusticuccio garbato che m'insegna il modo di ricordarmene.

Che fortuna eh' ei sia ritornato, e che io lo trovassi. E pure

non lo riconoscevo, e non mi ricordo punto punto nemmeno

di tutto quel che dice. Bisogna che sia stato un gran male

il mio. Principiamo un po' a leggere.

SCENA SESTA

Brunetta e detto.

Bru. Ciancica, Ciancica, la signora Berenice ordina che

tu vada dalla scuffiara a dirle che venga qua. ( Ciancica non

bada a Brunetta.) Scimunito, che mesti con colesti libri?

Bada a me. Alla scuffiare.

Cian. guarda un po' fisso Brunetta, e poi compita da s:

Scuf-scuf, fi, e, fic, ra, ra, ra, scuffiare.

Bru. Che barboni? Via su, spediscila. '

Cian. Zitta.

Bru. E che matto costui? Animo, dico.

Cian. E io dico zitta, altrimenti ti mander un precetto

che tu sfratti di qui

Bru. Che zitta? che precetto? che ciancichi?

. Cian. Questi son libri, e io son virtuoso, m'intendi? In-

torno alla gente virtuosa m' stato detto che le botteghe

strepitose non ci possono stare. Stuzzicami, stuzzicami,, e io

ti mando il precetto.

Bfu. Costui ha finito d'impazzire.

SCENA SETTIMA

Jacinta e detti.

Jac. Oh, eccolo pur qui, credeva di non lo trovar pi.

Ciancica, Ciancica, va' un p* presto al monastero dalla si-

gnora zia, e dille che mi mandi quel merletto che mi ha

promesso.

Cian. Oh, ecco un'altra bottega strepitosa.

Jac. Che sei sordo? Intendi ci che ti dico?

Bru. Signora Jacinta, questo matto d in isproposhi: io

pure.... Eh via, bada a quel che ti si dice.

Cian. con collera. Questa veramente una gran cosa, che

un uomo dotto non possa studiare un po' con pace.

Jac. Che studiare, che studiare ? (A Brunetta:) E che dicef

Bru. Che ne so io? Se dico che d in ispropositi.

XJian. Quella dalla scuffia ra; quest'altra dalla zia; Pasquina

poi mi ha comandato che vada in fretta e furia a chiamarle

il sarto. In somma in questa casa bisogna essere asini senza

il male letesomario. ( Parte compitando: ) Let, let, ma, ma,

soma.

Bru. Senti, Ciancica, senti: che vuol far del sarto Pa-

squina? Eh il diamin se lo porta.

Jac. Lascialo andare. Vorr forse farsi raccomodar la

veste macchiata, di che ha fatto tanto fracasso.

■ Bru. Che non se ne voglia far fare una nuova, e a spese

della casa.

Jac. Lasciamo questi nojosi discorsi, e parliam d'altro.

Bru. V'intendo, v'intendo. Voi vorresti parlar di cose

che vi dilettassero un po' pi: per esempio del signor Cleante,

non vero?

Jac, L'indovinasti.

Bru. In questa sorte di materie vorrei fare lunarj. Ora

che ne dite? Avete voi scapitato niente a farmi confidenza

de' vostri pensieri? Vi sarebb'egli dato l'anim senza di me

di parlar, come avete fatto, al signor Cleante?

Jac. No certamente, e confesso riconoscerti sempre pi

meritevole del mio affetto, per la somma attenzione che hai

in servirmi.

Bru. E che vagliono quelle cameriere, che non hanno al

suo comando in un sbito cento astuzie e ripieghi, per servir

s e le padrone? E a dirla com' ella sta,' se non si facesse

cosi, quanti diavoli non ci sarebbon eglino per le case ? E poi

se una non fosse un poco scaltra e astuta, chi ci piglerebbe

al servizio? Io ho visto per pratica che le cameriere, o^si

vogliono tanto bote da non distinguere il pan da* sassi, o leste

quanto bisogna per potere, in certi casi, far apparire le luc-

ciole per lanterne, e la tregga (1) per gragnuola.

Jac. Per verit tu sei molto accorta, e molto io spero

nell' opera tua pel buon esito de' miei sponsali col mio amato

Cleante.

Bru. Non vi dubitate; io ve gli do per conclusi, quando

ci riesca di sbalzar di casa quella strega di Pasquina.

Jac. Adopriamoci dunque a ci quanto ci possibile.

Bru. Voi sapete ci che si concluso col signor Cleante,

e per lasciate eh* io vada ancor io a darci di mano.

Jac. Vengo teco io pure. ( Via.)

Bru. In somma, quando una ragazza innamorata, si

metterebbe a fare alla lotta col diavolo per far riuscire i

suoi disegni.

SCENA OTTAVA

Sennuccio e Dragoncello.

Seti. Tu lo vuoi fare impazzire quello sciocco di Ciancica

con quella sua scienza e dottrina.

Dra. Io credo che egli abbia di gi avanzato tempo. L'

una cojamedia a vederlo tanto imbarcato in quella pazzia

che glrno messo in testa.

Seri. Che cosa ti diceva egli adesso appunto, quando io

sono arrivato, e che si partito con fretta?

Dra. Gli ho cavato di bocca, una notizia, sopra della quale

potremo indrizzar qualche imbroglio.

Seri. E qual ?

Dra. Mi ha detto che Pasquina vuole un sarto. Io ho

pensato che qualcuno di noi finga di esserlo, per veder d'en-

trare nella sua confidenza, e tirar l'acqua al nostro mulino.

Seti. Se potessi credere che ella non mi riconoscesse, mi

offerirei di farla io questa figura, giacch so qualche cosa del

mestier. Tu sai che mio padre faceva quest'arte.

Dra. Vero. Non ci avevo pensato. Tu sei il casissimo.(i)

Seti. Ma, e se ella mi riconosce?

Dra. Bisogner travestirsi, e fingere,... Ma dimmi un

po': non sai tu la lingua francese?

Seti. Cosi, cosi.

Dra. Tanto basta. Tu puoi fingerti un sarto parigino, e

la cosa ander benissimo.

Sen. Sf; tanto pi che non credo che mi abbia visto che

una volta o due alia afuggita.

Dra. La mia intenzione era di far io questo personaggio

in commedia, e per ho detto a Ciancica che conosco un buon

sarto, e che glie Tarerei mandato fra un'ora, ma tu mi par

pi a proposito....

Sen. Come tu vuoi. Io poi ho scoperto un'altra notizia

assai buona pel nostro fine principale.

Dra. Animo; di 7 su.

Sen. Ho inteso da uha certa madonna Geva, la quale

indiavolata contro di Pasquina, che questa serva aveva pro-

messo ad un garzon del macella jo di pigliarlo per marito;

ed ho penetrato un poco che costei gli ha dato di gran roba

di quella del signore Arnolfo. Non mi ha voluto poi spiegar

tutto per filo e per segno, perch la sua intenzione uli sve-

lare il negozio alla signora Berenice, e farsi seco qualche

merito.

Dra. Per mezzo di lei dunque si arriver air intiera no-

tizia di questo fatto. Qui ci prevedo qualche travestimento

anche per me; tu intanto va' a pensare pel tuo.

Sen. Adesso vado, perch non ci tempo da perdere.

. Dra. O si fa qualche gran zuppa, o qualche beli' intrigo.

SCENA NONA

Sala, 9 anticamera.

Berenice e Brunetta.

Ber. E chi ?

Bru. Una donna che vi vuol parlare in segreto, ma il suo

nome per non glie Pho potuto cavar di bocca. Dice essere

stat'a servire qui'n casa.

Ber. Adesso sarebbe altro tempo, che di dar udienza a

simil gente.

Bru. Se non volete ascoltarla, il rimedio facile.

Ber. No, no, dille pur che passi. (Brunetta parte.) Chi

potrebbe mai credere tanta impertinenza in una serva? Ed io

star sottoposta.... Ma ecco colei che vuol parlarmi.

SCENA DECIMA

* Madonna Geva e detta.

Ber. Chi siete, madonna; in che debbo servirvi?

Gev. F son la moghie di Bistalungo Battilano, che sta qua

In questa ruga dritt' a casa 'ostra nella zezza casa, eh' ha

qui' veroncello 'n fora da man mancina per andar in vers'i

ponte alla Carraja. .

Ber. Non so chi sia : per ancora non ho troppa pratica di

queste strade, n della gente del vicinato.

Gev. A di' (1) che vo' non conoscete ime 9 marito? Quello

eh 7 eghi ebbe che di' co' i compar Noferi, e, s ? e' non era eh 7 e'

vi s 1 intromesse Massin della Creizia e Stara d'i Vernaccia,

e' ghi facea pi fri addosso, che non ha un vaghio! Oh,

eghi 'noto'nfino a tutt 1 e' bambolin di l d'Arno. Doman-

datene chi Bistalungo 'n Mercato, i marito di madonna Gea

di Morin dalla Cornicchia, e ve ne sapranno di' la quintas-

senzia fino a un puntino.

Ber. Questo non importa.

Gev. Ma per ogni casaccio basterebbe che v'andass'in

corte, e' v' conosciuto me' che chi che sia. Considerate, i

sottobottighieri (2) eghi so' nipote cugin carnale.

Ber. Ci non importa niente. Dite quel che desiderate

da me.

Gev. F 'engo per dV eh' i' son poeretta si, ma n r i me 1 pa-

rentato e' non v' bruscole. (3) l' poss' ae' poca roba, ma per

donna 'norata e dabbene, non la cedo alla regina Troja, e a

quante fighiuole 1' a auto.

Ber. Questo ve Io credo.

Gev. Vo'lo potete creder d'i sicuro. E'n tempo ch'i 9 ho

baizzicafo 'n questa casa le mufaghie stesse le possono appo 9

nulla alla me'fedeilt: che che la si dica quella maliziosa

della Pasquina.

Ber. Siete stata altre volte in questa casa?

Gev. S'i'ci so' stata? Un mese e mezzo fa P non n' uscio

mai: i'c'ero la mattina, la sera, i giorno; basta, a tutte rotte;

e s'i'non ne* durao della fatica i Cie'lo sa lui.

Ber. Che venivate forse ad ajutar alla serva?

Gev. Cosi non ci foss' i ) ma 1 capitata, eh 1 i' non mi are'

tanto strapazzata per ave' poi qui' eh' i' n' ho auto; e lei la

non sarebbe stata tanto a sedere, e far i donno, e comandare,

e fa' la 'nnamorata, come la facea. Basta la roba d'i signor

Arnoilfo la ci ha fatto.

Ber. Come? come? Di grazia dite un poco.

Gev. Eghi appunto per questo, ch'i'vi'oleo parlare, e

divvi le cose come le son andate. I'so che vo' non siete

donna da lasciarvi mena'p' i naso. Eh, e' si disse subito eh' eghi

aea auto una gran sorte i signor Framinio, e ch'una come

voi, e'potea cerca', ma eh' e' non l'arebbe troata ma' de so*

di, ma' de so' di' e' non l' arebbe troata.

Ber. Ogni altra sarebbe stata di me pi valevole a tutto,

ma per per quanto posso non trascurer di fare il mio do-

vere: ma dite ci che volete dirmi.

Gev. Vo' doete sapere .... Ma prima aspettate, i' non vorre'

che la Pasquina mi stesse a sentire, perch la se n'engegna

di star a usola' quando la pole, vete. ( Guarda se vede

alcuno* ) j

Ber. Dite pur liberamente, non ci alcuno.

Gev. Vo' doete sapere che 'n tempo eh' i' venio qui a fa' le

faccende di casa, i' m'addetti che la facea un gran ragionare

assolo assolo, quando la potea, con Pappaciccia, garzon d'i

macellajo, e sempre e' se n'andaa con della roba sottri fer-

ra jolo: i' presi un po' di pelo, (i) e un giorno i' ghi detti una

bottareila sopra ci; da prima la mi neg i tutto peggio d'un

berrettafo; (1) ma poi, perch l'aea bisogno di me, perch la ,

non volea esse 9 vista da 9 padroni, la mi confess che e' s'erano

'inpromessi, e che la si face* la dota dandoghi appoco ap-

poco..

Ber. Costei voleva rimaritarsi, e vuotava cosi la casa di

padroni?

Gev. La sta cosi, lei. Ma, vete, queste cose, P ve le dico

per disgrajo della me' coscienza ; perch 'n quanto a far danno

aghi ailtri, i Cie'me ne guardi.

Ber: Non dubitate, seguite, seguite pure.

Gev. Ora, com'Pv'ho detto, la si servia quailche voilta

di me'n quest'affare; e allora Pero tutt* i so? core; ma poi,

che questo so' marito 'n erba se la fu coilta....

Ber. Che se n'and in altri paesi?

Gev. Dissicuro, e con tutto qui' che la ghi avea dato

ancora.

Ber. Ma si sa dov'egli sia al presente?

Gev. E chi lo vuoil sapere? l' senti dPch'eghi era pas-

sato Firenzuola. Dio sa quante mighia ghi di l da Roma,

adesso!

Ber. Ed ella che ne disse?

Gev. Immaginateelo voi. La daa nelle furie a tutt' andare,

ma i' che non la 'oleo veder a quimo' tant' arrabbiata, perch

nissun ce la potea seco, P ghi detti da 'ntendec certe frottole,

'erbograzia^ (2) ch'eghi era in pregiudizio della Giustizia; eh' e'

sarebbe ritornato; e che so io. I negozio eghi and bene cosi

per un poco, ma quando la cominci a vede' che P era erba,

trastulla, perch' e' non tornaa, e che la non aea pi tanto bi-

sogno di me, la 'mprincipi a guardammi con catti' occhio, e

a non mi 'ede' pi volohtier pel la casa.

Ber. Ah donna perversa!

Gev. V p 7 cattia qui 7 che la p 7 esse 7 , vete. I 7 vi dir

qui 7 che la mi fece per fa' ch'i* non ci'enissi pi, e non ap-

parir lei, affin eh 7 i 7 non aessi a scopri 7 ci eh 7 i 7 sapeo. Un

giorno che la fattoressa d'i Ceppo, quella donna tanto di

garbo.... Ma state. E 7 mi par di senti 7 gente, non vorre' che

la fossi lei: meschina me, se la mi credesse!

- Ber. Andiamo dunque in quest 7 altre stanze, e finiremo il

discorso.

Gev. Andian 7 pure. Are 7 fatto la frittata n 7 i panieri. (Partono.)

SCENA UNDECIMA

Pasquino, e poi Ciancica.

Pas. Ancora non si vede n Ciancica n il sarto; P

una gran cosa di quel balordo, che non ne abbia a far una

bene! Se indugio a farmi far quest 7 abito, chi sa se poi....

Ciati. Un bravo sarto di Francia.... Fran, Fran, eia, eia,

eia, eia, Francia. ( Compita. )

Pas. Che dici, matto scimunito?

Ciati. Matto scimunito a me? A un uomo dotto?

Pas. Che uomo dotto, che uomo dotto? Ti dar io l'uomo

dotto che vai cercando. Dov 7 maestro Trincia sarto di casa ?

Cian. E chi lo sa ?

Pas. Dunque non l 7 hai avvisato che venga?

Cian. Signora no.

Pas! Oh che hai fatto fin ad ora? che hai fatto?

Cian. Che ho fatto? Sono stato a far venire il sarto.

Pas. Che dici dunque, pazzo che sei, che non l'hai av-

visato ? t

Cian. Chi ?

Pas. Maestro Trincia.

Cian. Signora no.

Pas. Oh balordo, balordo, balordaccio. E non hai detto

che l'hai fatto venire?

Cian. Chi?

Pas. Il sarto.

Cian. Signora si.

Pas. Ora che modo di far e questo? Ti mander fuor di

essa con un battone, io.

Ciati. Ma perch, perch? Che ho fatto ?

Pas. lo non voglio esser burlala in questa forma, m'in-

tendi?

Ciati. E chi vi burla? Non volete il sarto? Il sarto

Pai. L'hai dunque fatto venire?

Ciati. Signora si.

Pas. Maestro Trincia?

Ciati. Signora no.

Pas. E chi ti pu intender mai, capo d'oriolo? (i)

Cian. Oh, se poi non intendete il parlare de' virtuosi, io

non saprei. Maestro Trincia io non l'ho cercato, perch un

mio amico me n'ha messo per le mani uno suo conoscente,

che bravo, bravissimo, venuto di Francia adesso; ed io ho

preso questo per la meglio, perch questo taglia e ritaglia,

cuce e ricuce, a dritto e a rovescio, come un diabte. Se me

l' ha detto lu.

Pas. Oh sa lodato il Cielo, che una volta ho inteso

come va la cosa. Io veramente volevo quel di casa, ma, non

saprei, giacch c' questo, serviamoci di lui per non perder

tempo. Fallo passare.

Cian. Ma un sartore.... lo vedrete, lo vedrete. (Parie.)

Pas. Se venuto di Francia adesso, sapr l' ultime usanze.

Sempre il mal non vien per nuocere.

SCENA DUODECIMA

Ssnhuccio, da sarto francese, e Pasquino.

Sen. Madam', votre servitore umilissime, ]c ute le fortune

propitie en queste sitade de Florensia, quande non sarebbe

' '. pur servir voire Signorie illusi rissi me.

Pas. Oh buon giorno, mons. E poco che siete venuto di

Francia, ne'?

Sen. Avr quindesci sciorni, pa davantasce; non pi.

Pas. Vi ho fatto chiamare, perch mi stato detto che

siete un bravo sarto.

Sen. Eh, signor, non vu le dich pur gloer; je soa stat

le primier hom de Parisge. Ah le disgras; la fortune; me

pasianse.

Pas. Poveretto ! ve ne siete partito per disgrazia ?

Sen. Duelle, signora, le ro.... non sci rimed, bisogna

fusgir.

Pas. Avrete portate di belle mode ?

Sen. Oh pur le mod je V inventav'. Tutte la meson rojal,

la resgin, la dolfin, la dusces de Burgogn, les altre dame,

damoeselle, ecsetera; je i' servit Oh si segnora. Eh, mons

Big, non Pavet sentit? famos; je son quelle l.

Pas. Bene, bene. Oh sentite, mi vorrei far un abito, ma

-sfarzoso: le padrone di casa come vestono in Parigi?

Sen. Avec de belle veste con falbal che scir intorn tre

volt ; colle sottanin, le bust ben attillat, colle pettin a tre

pisse.... le stincherchen.

Pas. Che cosa questa schincherche ? .

. Sen. un ornament ricamat, che V on port

Pas. Che, che?

Sen. Si segnora, che si port coni' une crabat, che pend

scili' dan le davant.

Pas. Bene; e che altro?

Sen. E cusi, come venghe de vu dir, le stincherche, le

fisci....

Pas. E quest'altro che sar egli mai?

Sen. Une fassolet de culeur, con un merlettln d' or allan-

tome chi cupre les espalle.

Pas. Or, sentite, le voglio tutte queste cose. In somma

voglio vestire come una padrona. Pigliatemi la misura.

Sen. Me, le volet comme pur un 1 espose ?

Pas. Oh perch mi domandate questo?

Sen. Pur lo saper. Perch in Fruscia.... Si signor....

necessaire.... altrement .. ..

Pas. Giacch ho intenzione di rimaritarmi, facciamolo

far da sposa. Si, come da sposa, perch.... basta. .

Sen. Je me ne sooe accorsjpute; noi altri Frances lesgem

les occh. ( Prende per misura una misura da cavalli con

fettuccia e lucchetto. )

Pas. Cotesti la misura?

Sen, Vi madam.

Pas. Oib: da noi si piglia colle carte.

Sen. Che cart, che cart! En Parisce cosi se fa. En somm

▼us otre Italian non savete.... Prender misur colle carte a

le patron 1 eh, eh, eh, oh, oh, oh.

Pas. Oh via fitte dunque come si fa in Parigi.

Sen. in positura di guardar Pasquina. Me, che belle

taglie!

Pas. Si, tagliatelo bene.

Sen. Discev che set ben fette. Verament.... Parbl che

sel boi Avet rasgion de vu maritar. .

Pas. Ab, quell 1 anima benedetta del mio primo marito '

m' ha lasciata troppo presto.

Sen. Venga la rabbia al second !

Pas. Che dite?

Sen. Che viendr prest le segond. Ma quelle vit un

aciarm, un incant, scert. Je vu voglie far un abite.... une

ariose.... Si, si, si, une sciose de garbe, che vu fera paretre

une pittur: parerete une sgiovinette de chindes anne.

Pas. Eh non son cosi pochi, mons mio, perch gir anni

passano, e c'invecchiamo; vero che.... di quant' anni

mi fate?

Sen. De ventitres ann.

Pas. Un po' pi.

Sen. De ventisinch.

Pas. Crescete un poco.

Sen. De trent.

Pas. Calate uno.

Seti. Vinti nof.

Pas. Ci avete azzeccato.

Seti, prendendo di nuovo la misura. Je le sapev, o sa,

tornate voi. Volte vu. Sa va bien. Tro, catre, sinch, sia,

sette, une bete de sette palm. Si, si, si.

Pas. Che? Ce ne va sette palmi solamente?

Sen. Non scercat altre. Je so lo che mi dich. La stoffe,

la robe?

Pas. Una stoffa da padrona. Vi do 1* arbitrio, spendete

quel che bisogna, mons mio.

Sen. E bien, madame, lasciate vu servir; sge sonsger a

tu seta. Sci penser. ( Va per partire. ) *

Pas. Vi saluto.

Sen. Votre servitore umilissime. ( Ritorna. ) Me la culeur,

madame ?

Pas. torna. Che mi starebbe bene al viso? Guardatemi

un poco.

Sen. Une turchine. Culeur de resgine r sandut, indubi-

tatement.

Pas. La prestezza poi non ve la raccomando, perch i

Franzesi son solleciti. s

Sen. Madame, lasciateme far. Sel sera fett an un batter

d'occh. Saret servite subit.

Pas. Oh buono. Vi riverisco di'nuovo. (Parte.)

Sen. Servitor, madame. Quant' da rdere! La notizia del

maritarsi non cattiva. Andiamo a darne parte a Dragon-

cello, e al padrone,

SCENA DECIMATERZA

Cortile.

Arnolfo e madonna Giva.

Arn. Pasquina la rovina della nostra casa? Non gliela

posso perdonare a quello scellerato di Flaminio.

Gev. Fghi ho messo 'n corpo una medicina a quella

signora*, che se non ci s'attraersa i diaol colle corna, el-

l'arebbe a fare una bon' operazione.

Arri. Puh ! Pasquina la rovina della casa nostra ! Chi

ai sognerebbe mai questi spropositi? Io so bene che tutte

queste cose sono inventate per farmela mandar via, ma i

gattini hanno aperto gli occhi.

Gev. Se mi riuscisse di falla sbaizare da questa casa

quella maliziosa serva, i' are' fatto disciotto con tre dadi. Ai-

ora i'potre' spera' di caanne quailche cosellina, come prima,

e di pi la mancia che m' ha promesso Jacinta, se ehi tocca

per isposo i so' Creante.

Arn. Ma se mi stanno a stuzzicare punto, punto! Io

son vedovo, e lei non ha marito, e cpsf tanto, tanto.... Uh

chi questa donna? ( Vede Geva.)

Gev. Ma V esse' qui' vecchio matto.... Uh eccolo

qui.

Arn. Ella madonna Geva. Non vorrei che m'avesse

inteso.

Gev. Meschin'a me, se m'ha sentito.

Arn. Vorrei sapere quel che tu fai qui, vecchia insolente,

a star a sentire i fatti d'altri, per andar pi a rivesciarli a

questo e a quello?

Gev. Io signor Arnoilfo....

Arn. In casa mia voglio far quel che mi pare, e nessuno

m' ha da- rivedere i conti.

Gev. L'ha ragion da vendere.

Arn. Vorrei sapere, dico, che ti ci ha fatto venire?

Gev. I' non ci so' venuta per mail nissuno. S'i'grrie l'ho

a confessa' giusta, i' se' ero per dare i mirallegro alla so'nora,

perch'i' aeo so' conoscenza quando l'era fanciulla.

Arn. Or senti : di quel che io discorreva fra me, s* io so

che tu ne parli, l'averai a far meco.

Gev. Ch'i' ne parli?

Arn. Madonna no, bench sia un sogno, che ho fatto

questa notte.

Gev. P non ne fiater d' i sicuro, s' f non ho 'nteso qui 1 che

v' aete detto.

Arn. Non hai inteso del certo?

Gev. E d'i chiara

Arti, Niente, niente?

Gev. Nulla, nulla, nemmen una parola.

Arn. Di Pasquina?

Gev. Eh via.

Arn. E quando tu avessi inteso, avresti inteso male. Alle

volte accade che s'intende una cosa per un'altra.

Gev. Se gh' intrevviene ? Ora 'erbogfazia V cicalao tra me

della fortuna che l' ha auto la signora Berenice a non esse' ma-

ritata a un certo vecchio matto, che ghi era 'ntrato n' i fru-

gnolo per lei, e vo'ate 'nteso ch'i' dicessi....

Arn. Io non ho inteso niente.

Gev. Eh, vo'cuccugghiate.

Arn. Io non burlo certo.

Gev. Vo'non aete 'nteso nulla, nulla?

Arn. Niente affatto.

Gev. No'siam donche d'i pari. E m' ritornato mezz' i

fegato 'n corpo. Ma davvero, signor Arnoilfo, ella stata

una bella sorta della signora Berenice a entrare 'n questa

casa.

Arn. Io vorrei almeno che ella la sapesse conoscere.

Gev. L' tanto la buona fghiola e di giudizio, eh' e' non

v' d'averne sospetto.

Arn. Io vorrei che ella l'adoperasse, e non si mettesse

di balla co' miei figliuoli contro quella buona donna della

serva.

Gev. Ma la serva....

Arn. La serva vai cento volte pi di tutti loro.

Gev. Oh sicuro delle Pasquine non se n troa a ogn' uscio,

e de'fighioli vo'h'aete dua....

Arn. Che fan per cento diavoli.

Gev. Questo i tempo d' aiuta' la Jacinta.

Arn. Che dicevi di Jacinta?

Gev. Che sarebbe gi i tempo di maritalla, e cosr la non

vi darebbe pi noja.

Arn. A questo non c' fretta.

Gev. Vo'mi cuculiate a dir e 1 non c' fretta. Che non

siete informato che |e ragazze le son com' e' caalli, che s 1 ei

non si danno Ha da gioani, e'perdon la so'entura: V son stata

forse fanciull'anch'io,e se me'pa'non mi marita a a buon'otta,

e' potea dassi de' casi....

Arn. Che vorresti tu dire?

Gev. I'vo' dire che e 7 poteva dassi de' casi ch'i' non mi

maritassi pi; perch un'accasione quando la s' lasciat'ire

la si ripesca di rado. ( Guarda alla scena.) Ahim! quella

* diavola ! (Parte in/retta, sen\a esser veduta da Arnolfo.)

Arn. De' partiti a me non ne mancheranno mai..... Ma

ella se n' andata: manco male che mi s' levata una volta

d'intorno.

SCENA DECIMAQUARTA

Pasquina e detto.

Ps. Questo il tempo. ( Come da s: ) Io stare in

questa casa? se mi ricoprissero d'oro, non ci starei un'ora.

Arn. Pasquina, Pasquina, che c' di nuovo?

Pas. C', che me ne voglio andare.

Arn. Eh andartene! Che mi burli?

Pas. Io dico che me ne voglio andare in tutt'i modi: in-

tendete il parlar volgare?

Arn. Oh meschino me! Ci mancherebbe questa adesso!

E perch? che t'hanno fattoi 1

Pas. Che m'abbia da esser promesso di pi de' mostac-

cioni da una fraschetta, com* la vostra nuora senza giudi-

zio, e che non pi d' un giorno che in questa casa, , . .

Arn. Berenice t' ha voluto dare ?

Pas. Si signore: la vostra garbatissima nuora. Lei, che

arerebbe, da ubbidire a me, e servirmi di coppa e di col-

tello:...

Arn. Oh che gran cose io sento! Non ti dubitare, Pa-

squina, non ti dubitare, trover modo io....

Pas. Stare in questa casa di diavoli! Prima andar per le

strade a domandar la limosina.

Arn. Eh via, datti pace: trover ben modo io, ti dico....

Pas. Delle case non me ne mancano. Voless'io tornar

con de' conti e de 1 marchesi) che sarei allogata beli' e in que-

sto punto.

Arn. Per questa volta abbi pazienza, che io ti prometto....

Pas. Ad una ragazza, ad una fraschetta, e di pi ad una

camerieruccia star sottoposta? Una par mia? E toccar di

male parole ? Una par mia ?

Arn. La cameriera se n'ander, e Flaminio e Berenice. .. .

Pas. Oh sicuro, vedete, se ci avessi a star io che non ce

la vorrei n manco un' ora. Oh che casa V diventata questa

da jer in qua! Il diavolo non ci starebbe. Gli avete voluto

dar moglie; vi dia nel collo, il Cielo me'l perdoni.

Arri: Ah, pazienza. Cosi va il mondo.

Pas. Vedremo, vedremo chi ci torner doppo di me.

Arn. Io non voglio che tu te ne vada, dico.

Ps. Non me n'ander? me n' ander, s' io credessi ....

Arn. Senti: tu devi esser la padrona come prima; ed

anche di pi; e questi bricconi bisogner che t' ubbidiscalo

pi che se tu fossi lor madre.

Pas. Quando questo fosse.... Eh me ne voglio andare;

saremo sempre alle medesime. Aggiustatemi, aggiustatemi i

conti.

Arn. No, Pasquina mia, non ti dubitare.

Pas. Non c' rimedio, vedete.

Arn. E mi vorrai lasciare? E la mia roba come ander

adesso ?

Pas. Oh, avete una nuora tanto di garbo ed un figliuolo

tanto giudizioso.... Ma una donn' antica della casa e affezio-

nata.... basta non die 1 altro.

Arn. Quest' quel che dico ancor io. Se non ci fossi tu,

ogni cosa anderebbe in precipizio.

Pas. Oh, in quanto a del restar io, levatevene pure il

pensier di testa. E poi, se voi veniste a morire, (Finge di

piangere.) uh, iih, uh, prima io cento volte.... mi scoppia

il cuore al solo pensarci.

Arn. Eh, queste son cose lontane.

Pas. Lo vorrei, ma son casi che si posson dare : che sa-

rebbe di me in quella disgrazia, poverina? A far poco poco

mi caccerebbero via colle bastonate. Oh, sicuro colle ba-

stonate.

Arn. Col testamento si pu rimediare anche a questo.

Resta pur, Pasquina, e non ti dubitare. Tu vedrai chi sar

per te Arnolfo Sciapiti.

Pas. Veramente io me ne vado colle lagrime agli occhi

per conto vostro.

Arri. Oh via dammi questa consolazione.

Pas. Ma alle volte vengon degli accidenti, e il testa-

mento ....

Arn. Ti prometto di farlo prima di domanasteera.

Pas. Ah, giacch voi cosi volete, non saprei....

Arn. Ah, la mia cara Pasquina, che tu sia pur benedetta;

m'hai rimesso al mondo.

Pas. Ma ricordiamoci de 9 patti, vedete.

Arn. Non pensar pi l.

Pas. E di pi voglio che quell'impertinente di Cleante,

che fa le conventicole contro di me co 1 vostri figliuoli e li

mette.su, come ho saputo, non ponga pi piede in casa.

Arn. Ancor questo ti prometto. Eh, la gonnella- te la sei

ordinata ?

Pas. Ah, bisognato farla per non andare sporca com'una

la vanda ja, e colla gonnella ci sar anche tutto il vestito.

Arn. Tutto il vestito?

Ps. Il sarto mi ha detto che non si poteva far di meno,

per non fare una baronata.

Arn. O via non importa. Pagher ogni cosa. Ma ecco

Brunetta.

Bru, Ve la dir io: madama Pasquina comanda lei, e

appunto adesso ha dato a me ancora padronescamente il ben

servito.

Ber, Come? Eh, signor padre, non si lasci cosi cieca-

mente guidare da Una vii serva, che non riguarda ad altro

che al proprio interesse ed ambizione.

Arn. Ci mancavi ancor voi. Paghereste ad esser come

Pasquina. Gi lo so che tutti insieme non pensate ad altro

che a farla uscir' di casa, ma v'ha da venir la rabbia: se

nessuno se n'ha da andare, ha da toccare a voi.

Ber. Eh, di questo me ne rido io.

Bru. E da ridere sicuro.

Fla, Noi, signor padre....

Arn, Taci, sfacciato.

Ber, a Flaminio, Bisogna un po' fingere. Che Pas-

quina resti in casa, noi V abbiamo caro, e Dio sa se le vo-

gliam bene, ma.,..

Pas. Bene davvero, quando trattano di dar degli schiaffi;

o vedete che bene!

Arn, Si, si, vero. Voler dare, eh? Io vi so dire che se

pure un'altra volta vi vien pensiero....

Ber, Ma non bisogna che una serva perda 11 rispetto in

quella forma, se vuole che non si perd'a lei. La padrona

non Pasquina.

Arn, Voi lo sapete male. Pasquina la padrona, padro-

nissima, cosi voglio io, e tanto basta.

Fla, Signor padre, ricordatevi che la signora Berenice

non entrata in questa casa per istar sottoposta ad una

serva, e non credo che meriti questi trattamenti.

Arn. Ed io non credo che la mia roba abbia d'andare

male per conto suo.

Bru. Uh povera padrona!' un giorno eh' in questa

casa, ed trattata cosi.

Ber, Eh, guardatevi, guardatevi pure da coteata padrona

costi, che per me non pericolo che si rovini la casa.

Pas. E che potete dir di me? Che potete dire?

Ber. Posso dir tanto da farvi ancora ammutire.

Pas. Ammutolire me ? Io. posso andare colla feccia sco-

petta.

Fla. State quieta, state quieta, sar meglio per voi.

Pas. Dite, dite pure; che mi vorresti apporre adesso? Si,

che mi ci son forse arricchita in questa casa?

Ber. Se non vi fosse stato poetato via quel che ne ave-

vate levato....

Pas. Uh che linguacce ! Cosi ad una donna onorata come

me? Me l'aspettavo qualche invenzione cosi, me l'aspettavo.

Atti. A questa buona donna appor queste cose? Che non

ve ne senta pi parlare.

Fla. Questo non il modo, signor padre, di mantener la

pace e la roba in casa nostra; perch volete protegger tanto

chi ruba?

Pas. Non dubitate, me n'apder, me n'ander; non vo-

gito che abbiate pi a dire che vi rubo.

Arti. E io voglio che tu ci stjj, e che mi rubi.

Pas. Non occorr' altro, vi vo' contentare. Addio, signor

Arnolfo, mi dispiace di voi. ( Parte. )

Arti, va dietro a Pasquina. Vien' qua, Pasquina, vieni

qua. Oh diavoli scatenati!

Fla. Non se n' anderebbe davvero. Mio padre impazzito.

Ber. Ci vuol buon' industria per farlo ritornare alla

ragione.

Bru. So ben io quel che ci vorrebbe.

Fine dell* atto secondo.


ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Cortile.

Cleante e Sennuccio.

Cle. Ed possibile che abbia da poter tanto colei nello

spirito del signore Arnolfo, ch'egli a conto suo possa aver

avuto tanto cuore di minacciare il figliuolo e la nuora di

cacciargl'infn di casa?

Seri. Voi sentite: cosi m'ha giurato Brunetta, alla quale

ho scoperta la mia finzione del sarto,, quando sono stato a

riportare l'abito a madama Pasquina.

Cle. Ma come V hai potuto far porre in ordine tanto

presto?

Sen. E che credete che l'abbia fatto far di nuovo? L'ho

comprato dall' Ebreo,, e n' ho spesi pochi, perch era di una

signora morta tisica.

Cle. Ma dov' la carit?

Sen. Che non sarebbe carit far crepar costei?

Cle. E i danari te gli ha dati?

Sen. Profumatamente: ma non de' suoi gi; di quelli del

signor Arnolfo; s'intende.

Cle. Ella una cattiva donna per quella casa.

Sen. E per quella casa e per voi, che non potete pi

entrarci.

Cle. E perch?

Seri, Perch, a sua istanza, quel vecchio babbuino V ha

proibito espressamente. Ma quel che e 1 di peggio , che

non vuole che 'il signor Flaminio esca senza di lui; ed ella

ha le chiavi di casa, e vuol sapere chiunque c'entra; e con

questi patti si sono raccomodate le cose, che per altro eran

'guaste bene.

Cle. Ed il signor Flaminio e la signora sposa ci si (i)

sono accomodati?

Seri. E parso loro un zucchero per non uscir di casa;

ma per hanno risoluto fra loro di fngersi amici di Pasquina,

e lavorar poi sott' acqua contro la medesima.

Cie. Ma non te lo diceva io, che non ti sarebbe riuscito

di far aver buon esito a niente di quello, di che tanto ti

vantavi questa mattina?

Seri. Oh, ma Roma non fu fatta in un giorno: ci vuol

tempo e pazienza alle cose. Voi non sapete che Dragoncello

lavora alla gagliarda.

Cle. Pu lavorar quanto vuole, e tu ancora; ma se co-

stei non piglia veramente marito, come m' hai detto che ha

intenzione di fare,, e che per questo verso esca, di casa, io

ho poca speranza ne' vostri raggiri. *

Seri. Tutto pu essere; ma io per non mi dispero. Dra-

goncello furbo bene, sapete? Egli, intesa la cosa del garzon

del macellajo e la volont che ha Pasquina di rimaritarsi, ci

ha fatto sopra de' gran disegni. Mi ha detto....

Cle. Quieto: Pasquina esce di casa, partiamo.

Seti. N anche il diavolo si fugge tanto.

SCENA SECONDA

Pasquina e Dragoncello da soldato.

Pas. Quello m' parso quel moscon di Cleante, ma

e' pu ronzare, in questa casa non c'insacca pi lui, no.

Dra. Oh eccola in istrada ; non potevo desiderar di piti.

Pas. ; Una volta gli ho tarpati pure a mio modo.

Dra. finge cercare una casa. Non so se sia quella o

quell'altra, mi hanno detto che sta per questa strada, ma....

Pas, Che diami n cerca costui? .

Dra. Oh, me lo dir questa buona donna. Di grazia, ma-

donna, m'insegnereste voi dove sta qui d'intorno un tal si-

gnore Arnolfo.... signore Arnolfo.... ah non mi ricordo del

cognome.

Pas. Signore Arnolfo Sciapiti?

Dra. Cotesto si, giusto: mi fareste il servizio d'insegnarmi

la casa sua?

Pas. E che volete da lui?

Dra. Eh, da lui veramente non voglio niente; ma non ha

egli in casa una tal Pasquina, donna di tanto garbo, eli giu-

dizio, cortese, ben valuta da tutti, e che in somma lo

specchio delle donne d'oggigiorno?

Pas. Ce l'ha: e per questo?

Dra, A lei volevo parlare. . '

Pas. E che volete dirle? r- Che cosa pu voler costui

da me?

Dra. Oh. quel che voglio dire a lei non lo posso dir ad

altri; me lo volete insegnare dove sta?

Pas. Ma che cosa volete da questa Pasquina ?

Dra. Vi dico che non lo posso dire ad altri che a lei:

non voglio mancare alla fedelt d'amico: bench voi mi ab-

biate cera di donna molto discreta e dabbene, nientedimeno,

compatitemi, non ve lo dir mai. Canchero, tradire il povero

Pappaticela I

Pas. Come? che dite?

Dra. Dico che sarebbe un tradire un certo giovine, caro

amico mio, che stava per garzone con un macellajo di que-

sta citt, se dicessi ad altri che a lei l'imbasciata, che devo

farle per parte sua.

Pas. E che n' di costui ? Dite pure, che io son Pasquina.

Dra. Eh?

Pas, Vi dico la verit, non dubitate; questa la casa che

cercate, ed io son Pasquina.

Dra. Voi la signora Pasquina ? Di grazia perdonatemi, se

non vi ho trattato secondo il merito vostro. (Come da s,)

Veramente f' ho conosciuto sbito che questa era una donna,

che aveva un non so che pi delle altre.

Pas, Ditemi: sta bene Pappaciccia? dove si trova? che

cosa dice?

Dra. Ah il povero figliuolo Non ho cuore a dirvelo.

Pas. Che? forse ammalato? Gli accaduta qualche

disgrazia ?

Dra. Ah, io dir: partito ch'egli fu da Firenze in fretta

e furia, per cagion di cert' imbroglio, che aveva colla Giu-

stizia.... a me mi aveva confidato ogni cosa il poverello,

come sentirete, e se ne poteva fidare, perch ramavo di

cuore; e poi la fedelt....

Pas. Ah poveretta me! Dite su; che gli stato rubato

ogni cosa?

Dra. Da te vene pace, signora Pasquina, perch nel mondo....

Pas. Anche queir anella? (i) e quel giojello di diamanti?

E quelle venticinque doble d' oro, che gli dtti, gli sono state

portate via?

Dra, Eh, in quanto alla roba tutta in essere^ e in luogo

sicuro; ma lui morto il poveraccio.

Pas. Non andato mal nulla dunque della mia roba?

Nemmeno le lenzuola e tutta l'altra biancheria?

Dra, Niente affatto.

Pas. O via, via.

Dra, Tutto sta in mia casa a Perettola, perch dovete

sapere che io son di li. ■

Pas. E dov' morto il povero giovane? Quanto me ne

dispiace !

Dra. Vi dir: io per un certo mio capriccio mi partii dal

paese, e andai in Francia alla guerra, dove sono -stato pa-

rocchi anni a fare il cerusico. Fra i soldati feriti, che erano

sotto la mia cura, vi trovai questo Pappaciccia, che anche

l si faceva chiamar cosi; lo guarii perfettamente d'una fe-

rita, che aveva dietro alle spalle, e con questa occasione le-

gammo una strettissima amicizia insieme.

Pas. Ma se dite che lo guariste, com' egli morto?

Dra. Datemi tempo che vi faccia tutto il racconto. Di

questa ferita egli ne risan, ma di li a poco tempo il diavolo,

o la sua cattiva sorte, lo fece cadere in un misfatto, che non

occorre ch'io dica; e. fu condannato alla forca.

Pas. Ma la mia roba dite che l'avete voi, ne'?

Dra. Certo: in questa maniera l'ho io. Egli prima di mo-

rire diedemi quelle gioje, che avete detto, perch i danari gti

aveva quasi tutti spesi, e mi preg che, se io mai ritornavo

al paese, venissi una volta a Firenze, e mi facessi dare da

una certa comare sua quello, che non aveva potuto portar

seco, e lo tenessi appresso di me.

Pas. Ma quella roba lui non ve la poteva donare, per-'

che era mia.

Dra. Non me l'ha donata, no; gi so che glie l'avevate

data per dote in caso che vi avesse sposato, come vi aveva

promesso.

Pas. Tant' vero.

Dra. Ora mi ordin che io vi dicessi, che voi aveste pa-

zienza, se la sua disgrazia aveva fatto eh' egli non vi potesse

mantenere la promessa, e che vi consigliava, giacch non

potevate aver lui, di pigliar qualche altro marito, perch

aveva compassione del vostro stato, di dover sempre impaz-

zire colla gente d'altri.

Pas. Uh poverino, sentite se egli ha pensato al mio bene

infin all'ultimo!

Dra. Adesso che non ho da dirvi altro, me n'ander.

Addio, signora Pasquina.

Pas. Aspettate, aspettate. E la mia roba quando me la

riporterete ?

Dra. Quando vi piacer.

Pas. Questo un giovane, che m' ha pi garbo anche

di quelP altro. Ma voi perch siete ritornato dalla guerra?

Che volete fare in questi paesi adesso?

Dra. Alla guerra, per dirvela giusta, noir ci si sta troppa

bene; ci ho avanzati da duemila scudi.

Pas. Tanti?

Dra. Si fa quel eh' un vuole, vedete, nel posto ov' ero io :

e poi i bottini e mille altre maniere di far danaro non

mancano.

Pas. E adesso vi volete trattener qua?

Dra. Adesso voglio vedere se trovo da pigliar moglie, e

star seco in santa pace, esercitando la mia professione

Pas. Dnque volete pigliar moglie?

Dra. Certo, se io trovo una donna di mezz'et, e che

abbia giudizio, come sareste voi: perch con queste fra-

schette giovani non mi ci voglio impacciare; farebbero Deri-

dere il cervello a ser Giudizio, che V aveva doppio.

Pas. Avete molto ben ragione, e dite il vero. Il Cielo ne

liberi ognuno da queste scimunitelle.

Dra. A rivederci, signora Pasquiaa.

Pas. Non ve n'andate ancora, no; voglio che beviate tm

bicchier di vino. Qual il vostro nome? .

Dra. Brunello.

Pas. Andiamo....

Dra. Vi ringrazio, vi ringrazio; ho fretta, sapete?

Pas. No, no, quanto a questo servizio poi voglio che ne

lo facciate; e se non volete il vino, vi dar la cioccolata con

quattro biscottini. Andiamo^ andiamo. (Lo prende per mano*)

SCENA TERZA

Sala.

Arnolfo, Flaminio e Berenici.

Arn. Non l'avete mai voluta intendere. Manco male che

adesso lo confessate da voi. Io non sorf mica un barbagianni,

e so bene dove ho il. capo.

Ber. Certo che, a considerar le cose pei suo verso, Avete

ragione. Questa donna fa troppo per la nostra casa.

Arn. Se fa per la nostra casa? Sapevo io quel che mi dicevo.

Fla. Vedete, signor padre, avete da compatire la giovent,

die, per la poca sperenza che ha, crede tutto quel che le

vien detto.

Ber. Cosi ; viene uno, e dice: signora, abbiate rocchio

alia vostra roba, perch Pasquina fa alla peggio. Arriva un

altro, e vi parla all' orecchio, dicendovi che ha veduto uscir

gente con fagotti. Un altro poi....

Arn. Son tutti bugiardi, e voi ancora.

Ber. Voi non mi sentite dire che ci sia vero. Vi dico

solamente come parla la gente sfaccendata.

Fla. Sapete da che cosa viene? Che ognuno bada pi a'

fatti degli altri, che a' suoi ; e questi tali, quando hanno ve*

duto una cosa, sbito vanno n riferirla.

Ara. Oggigiorno l' cosi: dell'invidia non ne manca.

Ber. Che volete fare? Bisogna aver pazienza: cercar d

far bene; non dar fastidio ad alcuno, e lasciar conaere.

Fla. Se questo servisse. Ma VogJion dire ad ogni modo.

Ber. In questo caso poij per levare l'occasione di mor-

morare, si potrebbe fingere di creder loro quel che dicono,

e chiarirsi se dicono la verit.

Arti. Signor no, signor no. Che mormorino.

Fla. Il meglio fare come dite voi, signor padre; bench

una volta o due che si facesse, come consiglia la signora

Berenice, servirebbe per chiuder loro la bocca per sempre.

Basta, il padrone siete voi, e ne sapete pi dormendo, che

noi vegliando.

Ber. Di questo non c' dubbio. Lo diceva solo perch

Pasquina, che per ahro, a considerarla, una buona donna,

non avesse ad aver pi questo dispiacere di sentir parlar

male di s, e perch si stesse tutti in pace e d' accordo.

Am. Ma io credete veramente, che a cercar una sola

volta di chiarirsi se vero quel che dicon questi maligni,

non parlerebber pi male di Pasquina?

Ber. Oh che ne dubitate?

Fla. La cosa chiara, perch allora resterebbon troppo

svergognati, per esser ritrovati menzogneri ed impostori.

Arn* AH; si potrebbe dunque provare. Ma avvertite, che

io non vo* creder niente, quand' anche lo vedessi cogli occhi

propri. impossibile che sia la verit.

Ber. Oh, certo; nemmeno noi lo crederemmo.

Arn. O via proviamolo, purch laiascino una volta vivere

in pace. (Parte.)

Ber. Il negozio s'incammina bene.

Fla. Possiamo sperarne buon esito.

SCENA QUARTA

Psquina e Dragoncello.

Dra. Voi m'obbligate troppo. Io non ho merito....

Pas. Anzi al merito vostro ci vorrebb' altro, che un pajo

di calzette di seta; pigliate, pigliate.

Dra. Ma voi ve ne private: potreste venderle

Pas. Il signor Arnolfo ce n' ha dell' altre paja. Ora ditemi

un poco, che mi consigliate voi veramente a fare intorno a

quel che mi diceste per parte del vostro amico?

Dra. In circa a che?

. Pas. In circa al rimaritarmi.

Dra. lo vi consiglierei a farlo, vedete. Chi pu star meglio

di voi, se trovate un buon partito?

Pas. L'ho considerato ancor io; perch lo star per le

case degli altri un grande strapazzo. E voi veramente siete

nella volont di pigliar moglie?

Dra. Ne trovass'io, torno a dirvi, una come voi, che lo

farei beli' e in questo giorno.

, Pas. Eh, io non sarei donna da par vostro.

Dra. Mi burlate adesso, eh? Voi si che vorreste altri

che me.

Pas. Ho ben paura che voi diate ta burla a me, perch io..-

Dra. Io burlarvi? H Gel me ne guardi. Ora sentite: non

tante cerimonie, il tutto sta nella dote.

Pas. Quando non abbiate altra difficolt che questa, il

negozio concluso; voi sapete quel che avete del mio nelle

mani, e se volete ritornare tra due ore qui nel giardino, a vero

messo da parte qualche cosarella di proposito, che ve la*

dar a conto di dote.

Dra. Questa cosa, che st pu fare.

Pas. Ma questo non il pi. Dovete sapere che il signor

Arnolfo m'ha promesso di fare un testamento tutto a mio

favore.

Dra. Il testamento vostro favore?

Pas. Certo, prima di domanassera.

Dra. Quest' buona. Se cosi , il negozio sar concluso

assolutamente. Ci siamo intesi, a rivederci. Ho un affare, che

mi preme.

Pas. Addio, signor Brunello. Non vi scordate di venir per

quella roba, sapete.

Dra. Non dubitate. (Via, poi torna.) Oh corpo di bacco!

mi scordavo ben d 1 una cosa d' importanza.

Pas. E che ?' '

Dra. Ditemi un poco: egli questo quel signor Arnolfo,

/ che ha una figliuola, che si chiama Jacinta?

Pas. Certo, egli l' ha.

Dra. Sappiate che il signor Cleante Fedeli, mio amico, e

padrone da qualche tempo in qua....

Pas. Chi, quello scroccone impertinente, amico di Fla-

minio, che veniva qui in casa a metter degli scandoli?

Dra. Bisogna che sia cotesto: ma voi siete in errore a

crederlo tale, perch, a praticarlo continuamente, egli un

giovane di garbo. Questo mi ha aperto il suo cuore, e mi

ha detto, che applicherebbe volentieri alle nozze della signora

Jacinta.

Pas. Non me ne parlate, non me ne parlate*

Dra. Ma io gli ho tante obbligazioni, che vorrei.. .

Pas. Non ne vo' saper niente.

Dra, Io vi parler con tutta libert: se questo matrimonio

si facesse per opera nostra, oltre al soddisfare a tanti obblighi,

che gli ho, ci sarebbe per noi qualche cento doble di regalo;

e questo lo so, perch nel discorso, che jeri l'altro mi fece,

, disse assolutamente, che le sverebbe date a chiunque avesse

'trattato questo parentado. Io allora non pensai di poterle

guadagnar io, perch non ho conosciuto mai il signor Ar-

nolfo, ma ora che per mezzo vostro....

Pas, Eh no, no.

Dra, E di pi posso sperare che mi faccia ottenere una

carica, alla quale pretendo, avendo egli gran servit con chi

la deve dare.

Pas. Ma voi non considerato che costui pu metter de-

gl'imbrogli qui in casa, e che io non sia pi padrona, come

sono adesso.

Dra, E che cosa importa questo? Voi gi sarete la mia

moglie, e non istarete pi qui.

Pas. vero : non 1' avevo considerato. Cento doble e una

carica dite, ne'? .

Dra. E che carica!

Pa,s. Lasciate, lasciate far a me r vi prometto che la cosa

riuscir come volete. Addio, signor Brunello. bene che non

ci lassiamo vedere insieme.

Dra, La riverisco, signora Pasquina; verr all'ora decer-

mutata.

Pas. Si, v'aspetto. (Parte,) '

Dra, Allegramente; le cose vanno a dovere.

SCENA QUINTA

Berenice e Madonna Geva.

Ber, Madonna Geva, appunto vi stavo aspettando.

Gev, Meschina me! Che dir ella ch'i' so' stata tanto?

Se la sapesse, i'stao sulle spine. Tnon mi son potuta disbri-

ga' prima, d'i resto i'sare' 'enuta.

Ber. Per quel che io -voleva da voi gi siete arrivata a tempo.

Gev. Eghi bisognato che i 1 'adia in casa della signora

Vettoria, vicino a Belliconi, a riportaghi un pa' di caize, ch*i'

aeo a rimpedula' di suo. Da s le non fanno nulla queste

signore.

Ber. Avete fatto bene. Ora io....

Gev. La non finisce mai quella benedetta donna, l'ha

voilsuto sape' qui 1 che si fa n' i me 1 icinato.; quanti nghiuoli

i'ho; quanti i' n' ho auti; a quante case i' laoro. La mi seccaa

proprio, la mi seccaa.

Ber. Che volete fare? Ella di quel genio. Or sappiate....

Gev. Ma poi P garbata: la degnerebbe non so chi mi

dire. L 1 tutto V incontradio della Lombricona. Cotesta che

costine V tanto superbia e arcigna, che la non farebbe buon

viso n anche a i Presenta.

Ber. Se io avessi curiosit d 1 intendere i fatti altrui,

sarebbe questa una bell'occasione.

Gev. Se vo ? entrate 'n casa sua, sbito voUa sentite rug-

gire o con questo, o con quello: via c'accad'ailtro. La. non

troa chi ci voglia stare a servilla.

Ber. Ognuno ha i suoi difetti: bisogna 'compatir tutti.

Gev. Se l' hanno de 1 difetti ! E la signora Parlantina Chiac-

chierucci l' tanto Hnguacciuta e ciarliera, che la tenerebbe

i .bascile alla barba a una serqua di percuratori: oh, in

quant' a mene, que 1 tanto cicaleggio e' non mi piace punto.

Ber. Si vede, si vede. Ora, madonna Geva, in proposito....

pev. A che servon eghino tante palore gettate a i vento ?

Ber. In proposito, dico, di Pasquina....

Gev. Che v' eghi di nuvo di quella furbacchionaccia?

Ber. Io ho trovato esser vero tutto ci che mi avete

detto di lei ,

Gev. Oh, vedete, signora, pelle bugie in bocca mia e' non

v' nidio. V vo pi rilente a dinne una, che ghi usurai a

fa' la carit. Prima ladra, che bugiarda

Ber. Io vi sono obbligata, e vi voglio ricompensare

Gev. Mi maraviglilo! Chevien a dire? Mi basta che vo

abbiate ricognosciuto ch'i' dico la verit.

Ber. Ora, bisognando, per farla uscir di casa, che voi ra-

tificaste ci che sapete di essa alla sua presenza, ci arereste

difficolt? Non getterete le vostre parole.

Gev. Io difficoilt? I'ghie le spiatteller su i viso tutte

quante le so 7 furberie, io. E che mi po' ella fare a me ? F ho

pi caro di fa' cosa grata a voi, che siete una signora tanto

benigna, eh' a tutte le serve d' i mondo. La mi rincar' i ftto

la Pasquina.

Ber. via, questo mi basta. Lasciatevi rivedere, che pu

essere che ci sia bisogno di voi. Sappiate per pigliar il tempo

d' entrare in casa, perch Pasquina ha messo nuovi imbrogli,

e sta attentissima per vedere chi ci viene. (Parte.)

Gev. Oh, i'ho troato l'uscio aperto, ma i' terr l'occhio

a i pennello, non vi dubitate. Se la palla mi viene a i baizo,

me' danno, s'i' non la mando 'n guadagnata. (Parte.),

SCENA SESTA

Flaminio e Brunetta.

FI a. Dunque Dragoncello restato in appuntamento 'con

Pasquina d'esser seco nel giardino fra poco, per darle della

roba di casa?

Bru. Cosi parlava il viglietto, ch'egli mi ha mandato

adesso adesso per Ciancica.

Fla. E dov' questo biglietto? *

Bru. L'ho lasciato nello scrigno della signora Berenice,

acciocch ella lo veda, e possiate consultare il modo di far

tutto vedere al vostro signor padre.

Fla. Non ci avercbbe a riuscir ci difficile, perch gi si

disposto a questo passo, bench egli lo faccia per altro fine

Bru. Ma quel Dragoncello bisogna ch'egli sia veramente

un diavolo, a riuscirgli d' entrar tanto bene in grazia a quella

versiera.

Fla. Non me ne maraviglio, perch Sennuccio gi mi ha

avvisato della sua accortezza ed abilit. Ma qui non ci

tempo da perdere: andiamo a ritrovare la signora Berenice.

Bru. Se la cosa riesce, quel vecchio barbogio sbaverebbe

una volta a sminchionire.

SCENA SETTIMA

Pasquina, Dragoncello, e poi Ciancica.

Pas. Siete stato puntuale, via.

Dra. Non averei mancato.

Cian. Oh, Rusticuccio mio, le cose vanno bene, sai. Sono

gi maestro.

Dra. a Pasquina. A chi dice costui?

Pas. Se non dice a voi?

Dra. Che cosa dite? parlate voi a me?

Pas. Che ciarli? a chi dici?

Cian. Parjo con Rusticuccio.

Dra. a Pasquina. Con chi dice?

Cian. Con Rusticuccio: con te parlo: oh che....

Dra. Con me?

Cian. Con te, con te. Par che ci abbiamo a conoscere

adesso.

Dra. Io non so d' avervi mai veduto, n conosciuto. (A Pa-

squina:) E chi costui?

Pas. Questo il servitor d casa. Un balordo.

Cian. .Come non mi hai mai visto, n conosciuto? Non

son Ciancica, tuo amico vecchio, che andavamo alla scuola

insieme?....

Dra. Eh, fratel caro, voi sbagliate. Io non sono mai stato

a scuola in questo paese, e questa la prima volta che vi vedo.

Cian. Eh, non burliamo. Oh non sei tu che m'hai dato

poco fa quella scrittura da portare a Bru....

Dra. Che scrittura ? Che scrittura, che, che, che.... ( A Pa-

Pas. Signor padrone mio, voi cominciate a invecchiare:

il cervello non vi serve pi. Dovete sapere che questo, che

voi chiamate un mariolo, un galantuomo, ed un mio ni-

pote venuto poco fa dall'armata. L'oriolo che io gli ho dato,

glie l'ho dato, perch lo facesse accomodare.

Arti. Accomodare?

Pas. Si signore: raccomodare.

Arn. O perch darglielo senza mia saputa?

Dra. Lasciamola incalappiar da s.

Pas. Perch, avendolo 'guasto io per disgrazia, non vo-

levo che voi aveste il dispiacere di vederlo in quella for-

ma; e gi s' ha da raggiustare co' miei denari. Non dubi-

tate, no.

Arn. E le perle, e Panello; e tutto a conto di dote? Che

pensi che non abbia visto e inteso ogni cosa?

Pas. Oh signor no, che non avete inteso bene. Il mio ni-

pote, che gi sposo, mi dimandava se tutta quella roba,

che gli han promesso, la dovesse mettere a conto di dote.

E Panello glie Pho dato per mostra di quello, che deve far

fare per lo sposalizio; e per questo ve Pho rubato?

Ber. a Flaminio. Che gran malizia!

Fla. a Berenice. Le servir poco.

Arn. E le perle?

Pas. Di queste si che avete qualche ragione di gridare,

perch io non glie le dovevo imprestare, senza dirvelo prima.

Fla. a Berenice. Lasciamo che si disinganni da s.

Arn. Che glie Phai imprestate?

Pas. Si che glie le volevo donare; oh donare! sicuro ve'.

Arn. Ma, e perch?

, Pas. Eccovi il perch : egli dubitava di non potere ottener

tanto di dote quanto par di meritare; ed io, perch fosse cre-

duto pi ricco, gli avevo dato que' vezzi in prestito, affinch,

mostrandoli, e dicendo che eran suoi, vedesse di cavar di

mano al padre della sposa qualche cosa di pi.

Arn. Ah se veramente fosse cosi....

Pas. a Dragoncello. Tenete forte ancor voi. (Ad Ar-

nolfo.) Ora lo vedete se si fanno facilmente dei giudizj te-

merari ?

Dra. Non pi questo il tempo a proposito per isco-

prirsi.

Pas. Io rubarvi ? Io votar la casa ? Io, che piuttosto vor-

rei.... Basta; questo mio nipote lo pu dir lui, se le cose

sono come ho detto.

Dra. Io posso dire....

Pas. Ma chi laverebbe mai creduto, che si avessero da

avere simili sospetti di me? Ah povera Pasquina, sei ben di-

sgraziata! (A Dragoncello.) Restituitemi tutto, che io non

voglio abbiano a dire....

Arti. Non dico che te le facci restituire, ma....

Pas. Ma, mamma. Le donne di coscienza e di riputazione,

come me, non fanno simili furfanterie, sapete?

Arri. Hai ragione, Pasquina mia, "'hai ragione; ho preso

sbaglio, e me ne pento.

Ber. a Flaminio. Eh qui non e' pi da aspettare. (Esce

con Flaminio. Ad Arnolfo: ) Signor padre, e sar possibile che

vi lasciate persuadere dalle menzogne ed inganni di costei?

Pas. ad Arnolfo. Oh, oh, ecco d' onde viene il male. Non

me ne maraviglio pi adesso: il povero vecchio s' lasciato

infinocchiare.

Fla. Si, si, ma da voi, se vi riuscisse per. Signor padre,

adesso s' posto in chiaro....

Arn. Ch' ella donna di garbo, e che le male lingue par-

lano per malizia.

Ber. Ma non vedete chiaramente....

Arn. Non ne vo' saper nulla. (Parte.)

Pas. a Dragoncello. Nipote mio, leviamoci di qua ancor

noi. (Parte)

Dra. Come vplete. (Piano a Flaminio e Berenice 🙂 Non

vi perdete d'animo, che tutte non is vaniranno cosi. {Parte.)

Ber. Ora che ne dite, signor Flaminio? Si pu dare una

malizia maggiore di quella di questa donna perversa, e una

melensaggine pi grande di quella di nostro padre?

Fla. Io resto sbalordito!

Ber. Qui non bisogna sbalordirsi, bisogna pensare a nuove

industrie,

Fla. Intorno a questo confido in Dragoncello e Sennuccio.

SCENA NONA

Civile con casa.

Cleante e Sennuccio.

Cle. Tu ti lusinghi sempre colla speranza; ma io, finch

non ne vedo il fine, non mi lascer mai persuadere a cre-

dere che tutto ci abbia a riuscir felicemente.

Seti. Oh, io non saprei poi; credete pur come volete. Ma

l' per una grande ostinazione la vostra. Io non so perch

non s'abbia da sperare, anzi da tener per sicuro il vostro

parentado con Jacinta, quando Pasquiria medesima ci si

impegnata si forte, come ci ha assicurato Dragoncello. Nella

forma che egli ha stradato le cose, voi vedete che tutta la

probabilit in vostro favore.

Cle. Il mio timore che ella non venga a scoprir qual-

che cosa di questa finzione, e che tutto vada in rovina.

Seri. A quest' ora il signore Arnolfo dovrebb' essersi chia-

rito, ed essendolo, Pasquina dovrebbe sbalzar fuori di casa.

Cle. Ma non vedi che, se Pasquina non pi in grazia

d 1 Arnolfo, ella non potr persuaderlo a far questo sposalizio ?

Seti. Ma non vedete che, se Pasquina non pi in grazia

d' Arnolfo, ella non potr farvi pi mal nissuno, e il negozio

s'incamminer per altro verso con minor difficolt? Ma voi

siete turco (i) in queste cose. Perdonatemi se io parlo cosi.

Cle. ti gran desiderio, che ho del buon esito di quest' af-

fare, mi fa tremare.

Seri. Ed il gran desiderio, che ne ho ancor io, mi fa spe-

rare. Oh guardate quanto siamo differenti Ma ecco Arnolfo,

che mi par tutto scorrucciato 'con Flaminio. Ritiriamoci da

parte per intenderne la cagione.

SCENA DECIMA

Arnolfo, Flaminio, e detti da parte.

Arri. Signor no, signor no. Nemmeno quel che si vede

cogli occhi proprj si P uo avverar di certo. Considerate poi

quel che vien detto da altri. Il mondo oggid pieno di lingue

bugiarde e malediche; e dicon cose, che nemmeno son so-

gnate, per metter male nelle case.

Fla. E pure....

Arn. E pure ella le voleva solamente imprestare a quel

suo nipote.

Fla. Nipote?'

Arn. Nipote si, nipote, signor si.

Fla. Veda, signor padre, questa senza dubbio una scusa

di Pasquina.

Arn. Ed io vi dico, che Ve verit, arciverit. La gente

cattiva sempre pensa al peggio.

Fla. Ma se non ci apparenza di credere altrimenti.

Arn. Apparenza, o non apparenza, Pasquina le perle e

Panello P aveva imprestate per mostra.

Fla. Ma vuol vedere che questa una scusa ? Un nipote di

una serva ha da far fare anelli simili a quello, che di tanto

valore; e ha da esser creduto che vezzi" di tanto prezzo siano

suoi? Oltre di che quello, che ella dice esser suo nipote....

4 Arn. Signor ragionatore impertinente, io non voglio pi

tanti discorsi, e sar meglio che vi leviate di qui.

Cle. a Sennuccio. Sennuccio, le tue speranze ?

Sen. Io resto strabilito.

Fla. Ma, signor padre....

Arn. Ma, signor tglio, andate, vi dico, andate. (Lo caccia,

e Flaminio, nel partire, saluta Cleante, che veduto da

Arnolfo. )

Cle. Signor Flaminio, la riferisco.

Arn. Oh, signor genero, voi siete qui?

Cle. Tropp' onore mi fate, signore Arnolfo, con . questo

titolo; quando l'ho io mai meritato?

Arti. Si signore, voi siete il mio genero, ed io sono il vo-

stro suocero, perch vi ho destinata la mia figliuola Jacinta

per sposa*

Cle. A me, signore Arnolfo?

. Arn. A voi, signor Cleante.

Cle, E posso lusingarmi a credere tanta fortuna?

Arn. Non occorr' altro. Jacinta vostra.

Fla. Signor padre, chi mai vi ha fatta prendere una riso-

luzione si vantaggiosa per la nostra casa?

Arn. Oh, non sei gi stato tu, il mio sciocco, ve'. Pa-

squina stata, la poveretta: donna, che pensa sempre al no-

stro bene; e voi altri la vorreste veder morta.

Cle. Deggio dunque rendervi grazie infinite della conside-

razione....

Arn. No, no, non facciamo pi cerimonie; andatele a far

con Pasquina, e ringraziate lei.

Cle. Ma io deggio a voi primieramente quest' obbligo.

Arn. Noe, noe: andate da Pasquina, e mi farete pi ser-

vizio. (A Flaminio:) E tu va v seco a disdirti.

' Cle. Se poi vuol cosi, V ubbidir. Quanto son for-

tunato ! )

Sen. a Cleante. Signor padrone, le mie speranze.

Cle. Non mi par di poterlo credere. (Parte con Flaminio.)

Sen. Sto a vedere che non lo vorr credere nemmeno

dopo d' averle dato V anello. ( Parte. )

SCENA UNDECIMA

Arnolfo e Ciancica.

Arn. Se non ero lesto, me Pavevan fatta apparire una

briccona coloro. Mi pareva bene a me che fosse impossibile

che Pasquina mi rubasse. Gli ho voluti contentare di star a

vedere quel che dicevano, come gli avevo promesso; ma

adesso non mi ci piglieran pi. Andiamcene un pco....

Ciati. Signor padrone, signor padrone.

Arti. Che vuoi?

Ciati. Vi ho un p 7 da parlare.

Arti. Di' su; che cosa c'?

Ciati. Son per dirvi (e questa sia l'ultima volta) ch'io

son molto contento di voi; ch'io vi ho sempre amato pi

del merito....

Arti. Ti son obbligato.

Ciati. Mettete in capo, e sedete.

Arti. Che discorso questo? Che sei impazzito?

Ciati. Che v'importa a voi? Io sar impazzitole voglio;

e se non voglio, non ci dovete entrare.

Arti. Oh, signor Ciancica, bisogner che io vi domandi

scusa, se sono entrato troppo avanti?

Ciati. Oh basta: voi m'avete dato il salario puntualmente,

ed io puntualmente l'ho consumato. E cosi, perch in ve-

rit.... la'scienza.... Ora che pretendete voi di darmi, senza

tante parole?

Arti. E. che t' ho da dare? Non dici che t' ho dato il sala-

rio puntualmente?

Ciati. Certo, ma vi ho detto ancora che puntualmente

l'ho consumato.

Arti. E che colpa ci ho io?

Ciati. Questa, via, passi. Ma tanti servizj di sopra pi?

Arti. Che servizj di soprappi?

Ciati. Quel' non vi aver mai detto che Pasquina mi manda

a portar de' regali in qua e in l; il non aver detto nemmeno

mai a lei le sbalorditaggini che voi fate; e poi l'esser di-

ventato maestro di lettere in casa vostra; vi par poco? Io

avevo bisogno d' altro, che di questo rompimento di capo.

Arti. Hai finito di dar la volta al cervello? Son pi

matto io a starlo a sentire. ( Parte, serica esser veduto da

Ciancica, il quale seguita il suo discorso.)

SCENA DUODECIMA

Geva e Ciancica.

Ciati. Ora per tutte queste cose mi par di meritare sei,

nove.... (Sta facendo i conti da s, e nel medesimo tempo

Geva entra nel luogo dov* era Arnolfo ).

Gev. La me' nonna la me discea, che a uscio chiuso

e 7 non S 1 entra mai. Ma non eghi quello i servidor di casa ?

l' m' accoster, a lui per vedere....

Cian. Trenta.... quaranta doble, siete contento? (Si volta,

e vedendo Geva, resta spaventato, e se ne fugge in casa,

e per paura lascia la porta aperta.) Ahi, ahi, spiriti, stre-

gonerie, incantesimi.

Gev. Oh vete che beil caso, eh' e 1 mi s' dato. E 'gna eh' e 9

sia spiritato lui, davvero, i poero gioane. Ma sia com' e' si 'ole,

intanto eghi ha lasciato V uscio spalancato. E'm' piouto pro-

pio i cascio ne 1 maccheroni. L' accasione d' entra' dalla si-

gnora Berenice, senz' esse' veduta dalla Pasquina, la non potea

veni' pi a proposito. Non 'perdiam pi tempo a menare i

can pell'aja.

SCENA DECIMATERZA

Dragoncello e Sennucci da cantori di canzonette.

Dra. gridando. Canzonette nuove, canzonette moderne.

Ma che bella mancia, Sennucci mio, se il negozio ci riesce

bene, come l'altro dello sposalizio del tuo padrone! -

Sen. lo l'ho per fatto francamente. Tu per verit la me-

riteresti pi di me per le tue grandi astuzie, ma io pure non

fatico poco. Che diamine, non m'hai lasciato nemmen rifia-

tare: presto su, presto, vieni a travestirti.

Dra. Eh, in queste cose bisogna sgranchire, lui.

Sen. Ma l' un'invenzione curiosa questa di travestirti da

leggenda jo.

Dra. Come volevi fare? Qui era necessario far sapere al

signor Flaminio e alla signora Berenice l' appuntamentcvwfee.

ho con Pasquina, d'essere a due ore di notte questa sen

sotto la sua finestra, per ricever quella roba, che mi v

dare. come averesti fatto tu, se in casa difficilissimo en-

trarvi, senza che ella lo sappia? In questi casi bisogna ricor-

rere all'invenzioni.

Sen. Ma chi ci assicura di poter ci fare?

Dra. Oh non vuoi che, al sentir cantare, o Brunetta, o

la signora Jacinta non s'affacci? Le ragazze son curiose, chi

le vuol tenere?

Sen. E vero, lui: ma come avvertirglielo?

Dra. Oh si, che sono un gonzo. Questo un viglietto che

spiega tutto, che le si dar, come se fosse una canzonetta di

queste che si cantano. Pasquina non sa leggere....

Sen. Sicuro, sicuro. E il modo che devon tenere, per far

credere ad Arnolfo che Berenice quella che d via la roba,

lo dice il viglietto?

Dra. Certo. Egli di ragione doverebbe lasciarsi indurre a

venire a chiarirsi della verit, e, se ci viene, la vuol esser bella.

Sen. Animo, non perdiam pi tempo.

. Dra. Alziamo il banco per poter arrivare alla finestra.

(Alfano il banco.)

Sen. E questo quadro da ciarlatano, dove l'hai buscato?

Dra. Me lo son fatto imprestare da un leggenda jo, sic-

come, la canzonetta; ella un po' antica veramente, ma fa-

ceva troppo a nostro proposito, e ci aggiunteremo ancora,

bisognando. (Spiegano il quadro.)

Sen. Montiamo sul teatro. (Montano sul banco.) Uh che

bella cosa!

Dra. suonano: e poi siegue. Canzonetta bella e curiosa

d' una vecchia, che vuol maritarsi, in cui si vede qualmente

ella ingannata da un giovine, che finge sposarla. Documento

morale per que' vecchi, che hanno tal pazzia in testa. State

a sentire, signori, ed imparate all'altrui spese.

CANZONETTA.

Sentiticelo e Dragoncello cantano: e mentre cantano,

Dragoncello, che ha una bacchetta in mano, va accennando

con essa i fatti diversi che sono dipinti nel quadro.

Una vecchia sgraziata,

Del diavolo pi nera,

Pi brutta di Megera vuol marito.

La povera meschina

Si strugge, si tapina,

Che non trova chi attenda al suo partito.

(La prima parte d'ogni strofa va replicata.)

Dra. guardando verso la finestra. Brunetta, Brunetta.

Non si vede un'anima nata: avanti.

Tra quante vecchie furo,

Quest' la pi muffosa,

Quest' la pi stizzosa ed arrogante.

Con tutti ella s' azzuffa,

Stride, s'arrabbia e sbuffa,

E par giusto uno scheretr ambulante.

E par giusto ec,

Dra. Brunetta? Brunetta? (A Sennuccio:) Costei non viene.

Sen. Al vedere, la gente di questa casa non si diletta troppo

di musica..

Dra. Non mi voglio perder d'animo per, seguitiamo.

Ma un giovine ha trovato,

Che le promette fede.

Ella si fida, e crede con suo danno;

Perdi* ei le vende fole,

E con finte parole

La tira, come brama, nell' inganno.

SCENA DECIMAQUARTA

Brunetta alla finestra e detti.

Vedete qoai gli dona.... ( Vedono Brunetta.)

Ma Brunetta venuta

La giovinetta astuta alla finestra.

Vada il canto da parte,

Giacch tutta nostr'arte

E di scoprirle la fatta minestra.

( Qui la prima parte non va replicata. )

Bru. Costoro non cantan male.

Dra. Brunetta, Brunetta, non ci conosci?

Bru. Oh diamine! Vedete chi sono! E che fate, matti

che siete?

Sen. Sta 7 cheta, che siam qui per farti avvertita d' un in-

trigo che abbiam fatto.

Bru. Che cosa c' di nuovo?

Dra. Devi sapere che son restato d'accordo con la serva

d'essere a due ore sotto la finestra del cortile, per pigliar

certa roba, che mi vuol dare.

SCENA DECIMAQUINTA

Pasquina e detti.

Pas. in strada. Oh vedete dove questi birbanti hanno al-

zato il loro triocco.

Sen. sottovoce a Dragoncello, che parla con Brunetta.

Pasquina, Dragoncello, Pasquina.

Dra. Oh diavolo!... (Si pone subito ad accennar colla

bacchetta sul quadro, parlando a proposito della canzo-

netta:) Ecco qua il caso strano ed impensato....

Pas. Quello non gi Brunello? E esso sicuro.

Dra. finge di non aver veduta Pasquina, e segue il suo

discorso. Da questo si pu vedere quante pazzie ed inganni

seguano nel mondo.

Pas. Oh meschina me, <jcerusico s' messo a fare il

ciarlatano.

Dra. Chi si vuole accompagnare (i) di questa vera e bella

istoria? Chi compra? a mzzo grosso, chi compra?

Pas. Brunello, Brunello?

Dra. fingendo di vedere allora Pasquina, scende con

fretta. Adesso, adesso. (D il viglietto a Sennuccio:) Piglia

queste storie, e dlie via a buon mercato. ,

Pas. a Dragoncello. Che novit questa?

Dra, piano. Zitta, zitta, una finzione. (Forte:) SeV. S.

vuol comprare la nostra canzone, ci trover di belle cose.

(Sottovoce a Pasquina:) Io avevo bisogno di parlarvi per

sapere, se veramente stasera o dimanassera che devo venire.

Pas. Stasera, stasera, ve l'ho pur detto a lettere di scatola.

(In questo mentre Sennuccio discorra con Brunetta, mo-

strando d'in/ormarla del negozio, ma che ci mostri di

fare con precauzione.)

Dra. Non avevo inteso bene.

Pas. E questo vostro compagno .... (Si volta, e vede Bru-

netta discorrere.) Oh, e che fai tu costi, pettegola?

Bru. Che non si pu stare a sentir cantare?

Pas. Mi par che tu stii a discorrere, # a me.

Bru. Volevo comprar la canzonetta.

Pas. Che canzonetta, che canzonetta ? Signora no. Via le-

vati di li.

Dra. piano a Pasquina. Lasciategliela pigliare per non

parere ....

Bru. E che male fo a comprare una storia?

Pas. Pigliala dunque, e vattene via presto.

Bru. prende il biglietto da Sennuccio. Uh quanto mi vo T

spassare con questa bella storia! (Parte.)

Dra. a Pasquina. Di pi vi volevo dire che sarebbe ben

fatto che voi dste da credere al signor Arnolfo, che la si-

gnora Berenice ha cominciato a dar via della roba di casa; e

questo perch, in caso che si venisse, a scoprire, che quella

che date a me ci manca, egli si possa supporre che l'abbia

presa lei.

Pas. Buon pensiero. Mi piace. Lasciate fare a me, che la

cos' ander bene. Ma, e questo vostro compagno? {Lo guarda.)

Mi par di conoscerlo.

Dra. Questo un francese amico mio, col quale ho fatto

il viaggio da Francia a qui:

Pas. Non gi mons Big sarto?

Dra. Per V appunto. Lui medesimo. Ei sa suonare e can-

tar bene, e me ne posso fidare; e per questo l'ho fatto

venir meco.

Pas. Ma che gli avete confidato il negozio?

Dra. Guarda! Gli ho dato ad intendere che volevo fere

una burla.

Pas. Chiamatelo. Giacch qui, gli voglio parlare; egli

il mio sarto, sapete?

Dra. Me ne rallegro. {A Sennuccio:) Mons Big, scendete,

scendete.

Seti. Tutt'allor. Mons adesse dessande.

Pas. Buona sera, mons Big.

Seti. Oh, oh, madame, coman diable vui siete qui?

Pas. Son venuta a sentir la vostra bella musica.

Seti. Vui amate la musiche ? Par ma fo, vus ave le chior

noble, avet l'anim noble.

Pas. Eh, vi piace il ben dire. Ma voi suonate, e cantate

bene, sapete, me ne son maravigliata.

Seti. Ah, ah, non siete sol a me stimar. Tutte Parisge

conviene di queste. Je son le primier homm pur cantar. (Qui

cantarella.) La, la, ra, fa, ra, la, ra.

Pas. Bravo, mons.

Seti. E per sgiocare di violone. Morbieu ! Baste de vu dir

che je ho appres a sonar a tutt 1 le scieche del Pontenef.

Dra. Oh, i Francesi per cantare e suonare....

Sen. Oh*, oh, oh, oh; nus otre Franscese gheiet, gheiet

allegresse, allegresse. Cusi non se more sgiammai.

Pas. Vi son nel cuore. Ma ditemi un poco : il mio

abito ....

Sen. Che sci ? Non vu torna bien?

Pas. Oh, in quanto a questo si, si, ne son contenta; ma

volevo ben domandarvi, se a portarlo di notte farebbe bene

quanto di giorno, j

Sen. Benissfme, madame. O contrarie, a le adornar con

delle sgioje, paretr une sciarme, une incante, sert.

Pas. Oh, di queste non me ne manca.

Sen. Tante meglie pur vui.

Dra. a Pasquina. Si fa tardi, ricordiamoci del negozio.

Pas. a Dragoncello. Uh si, avete ragione; me ne vo

adesso. Alle due ore, tenete a mente. Addio, monsu.

Sen. Madame, vui sci abbandonate?

Pas. Si, ho da fare, sapete? (Parte.)

Sen. Bon vojasge donch. ( Quand' partita : ) Alle forche.

Dra. Ora che ne dici? Sono andate bene le cose?

Sen. Per verit non potevano andar meglio, . e ci siamo

divertiti.

Dra. Se va il resto cosi, ci divertiremo anche di pi.

Sen. Quando non avessimo altra mancia che questo pia-

cere, potremmo anche contentarci. ( Via.)

SCENA DECIMASESTA

Anticamera.

Berenice, Jacinta, Flaminio e Brunetta.

Ber. Discorriamola un po' meglio, perch, se questo im-

broglio va giusto, si doverebbe finalmente ottenere il nostro

intento.

Bru. Voi avete gi sentito da me tutto quel che mi ha

detto Sennuccio. E il viglietto parla chiaro.

Pia. Quei due giovani hanno dello spirito, e certo hanno

ordinato V intrigo a maraviglia bene.

Jac. Debbo dunque dire al signor padre ' che la signora

Berenice d della roba fuor di casa nascostamente, e che

l'ho inteso da una donna, che le tien mano?

Fla. Cosi giusto.

Ber. lo per a questa finzione non mi ci accordo troppo-

di buon animo.

Fla. O perch, signora?

Ber. Perch primieramente questo mi parrebbe andar

contr' acqua, e poi la mia riputazione....

Fla. E che temete forse che possa restar denigrata in

qualche parte? No, no, signora, non vi pigliate di ci al-

cuna pena.

Bru. Eh sicuro: la verit sar scoperta di subito.

Fla. Ora voi, Jacinta, andate pure a ritrovare il signor

padre, perch l'ora si avvicina.

Jac. Adesso vado.

Fla. Eh, avvertite di saper fnger bene.

Jac. Far quel che sapr. {Parte.)

Bru. Ma vuol esser la bella cosa ! Mi scappan le risa, sola-

mente a pensarci. Ah, ah, ah, ah.

Ber. In questo caso non avrebbe quell'astuta donna a

trovar ripieghi per iscusarsi.

Fla. No certo, ed il signor padre dovrebbe finalmente di-

singannarsi. Ma ditemi, signora Berenice, madonna Geva

poi venuta, come le avevate ordinato?

Ber. Si signore. Sta presentemente ascosa nel mio ga-

binetto.

Bru. Merita una buona mancia ancor lei.

Fla. Certamente, perch le notizie che ci ha date son

servite di fondamento alle astuzie di Sennuccio e Dragoncello.

Ber. Signor Flaminio, non perdiam tempo in questi inu-

tili ragionamenti.

Fla. Avete ragione; necessario prepararci a ci che si

deve fare. {Partono.)

Bru. Se quella diavola sbalza di casa, vo' fare una me-

renda a tutte le cameriere del vicinato per allegrezza. (Parte.)

SCENA DECIMASETTIMA

Arnolfo e Jacinta.

Arn. Chi l'avrebbe mai creduto? E sta cosi veramente,

figliuola mia?.

Jac. Signor padre, non glie lo direi.

Arn. Non mi maraviglio che ci ho veduto in casa quella

Gva, che prima ci veniva ogni giorno; non gi lei che le

tien mano?

Jac. Mi servir dell'occasione. Lei appunto.

Arn, Vedete se l'ho indovinata? Eh, subito che io ce la

vidi, mi diede cattivo bere (1): pareva che il cuore me lo

dicesse, che ella non c'era per ben nissuno.

Jac. Eh, signor padre, la prego a non mi nominare, veda,

me, perch non vorrei....

Arn. Non ti dubitare, non ti dubitare. Perch tu sappia,

Pasquina ancora me l' ha detto, che costei aveva cominciato

a dar via la roba; e sa s'io la credevo una nuora di garbo!

Jac, Anche Pasquina glie l'ha detto?

Arn. Ancor lei la buona donna : eh, la tien gli occhi aperti

lei, pel ben della casa.

Jac. Signor padre, le due ore s'avvicinano, che non

iscappi poi l'occasione di pigliarla in fatto, se si trattiene

davvantaggio.

Arn. Tu dici il vero. Adesso scendo nel cortile. (Par-

tendo.) Quella Geva ladra, briccona era venuta per altro, che

per dare il mi rallegro!

Jac. Manco male; la cosa riuscita meglio che non

credeva.

SCENA DECIMOTTAVA

Notte Cortile.

Cleante, Sknnuccio, Dragoncello con lanterna serrata,

e Pasquina alla finestra.

Cle. Ma se quel vecchio non ha voluto dar fede alle loro

persuasioni, come si far?

Sen. Voi vi perdereste in un bicchier d'acqua chiara.

Qualche intrigo si trover.

Dra. Alla peggio ricaver la roba da Pasquina, e poi si

penser a far conoscere in qualche maniera al signore Ar-

nolfo la bricconeria di costei. Ma, zitti, mi par di sentire aprir

la finestra.

Pas. alla finestra. Le due ore son battute : Brunello do-

vrebb' esser Venuto: come potrei fare che mi vedesse, con

quest'abito nuovo?

Sen. lei senza dubbio.

Cle. (Come faremo, che il vecchio non si vede?

Sen. Accostati tu, Dragoncello.

Dra. State attenti, ed avvisatemi quand'egli viene.

Pas. si spurga, e Dragoncello le risponde nella mede-

sima maniera. Brunello, Brunello. (Sottovoce.)

Dra. Signora Pasquina, siete voi?

Pas. Si, si, son io.

Dra. Avete la roba pronta?

Pas. Certo. Ci sono alcuni pezzi d'argenteria, e certe

gioje che vagliono un tesoro.

Cle. a Sennuccio. E quel vecchio non viene.

Sen. Pazienza.

Dra. a Pasquina. Ed al signore Arnolfo gli avete dato

ad intendere quello che vi dissi della signora Berenice?

Pas. Senza dubbio, e V ha mandata gi come bere

un uovo.

SCENA DECIMANONA

Arnolfo e detti.

Sen. a Dra. Il vecchio venuto.

Dra. Ritiratevi dunque da parte.

Arti. Se me ne chiarisco bene!

Pas. Non sento pi Brunello: zi, zi.

Arti. Eccola alla finestra, che chiama la corrispon-

dente.

. Pas. Zi, zi.

Arti. Non ci nissuno, mi voglio accostar io. Eh,

eh, zi, zi. (Altera la voce.)

Pas. Ah, voi ci siete?

Arn. Ci so', ci so'. Si crede che sia l' amico. Questa

buona.

Dra. (a Sen. e Cle.) Lasciamo fare la commedia a lui.

Pas. Gli argenti ve li caler con una fune, e le gioje, che

tengono poco luogo, le porter meco.

Arn. Come vi piace. Sentite le briccona.

Pas. Accostatevi pi sotto a pigliarli.

Arn. Eccomi: calateli pure. (Cala gli argenti, e Arnolfo

li piglia.)

Pas. Guardatevi che non vi caschino, perch farebbon

rumore.

Arn. Non dubitate. Ma il signore Arnolfo?

Pas. Vi dico che di quel vecchio barbogio non c' da

temere; non sospettate di niente. Lasciate fare a me, glie ne

far vedere delle pi belle.

Arn. Ah furfantona,, se la potessi fare scenderei Ma

* non sarebbe meglio che scendeste alla porta a darmi le

gioje adesso?

Pas. No, perch potrei esser veduta.

Arn. E da chi? Non c' pericolo. Mi pare che voi so-

spettiate ....

Pas. Io sospettare? E di che?

Arn. Ma se voi.... ;

Pas. Vengo adesso, via. Non lo vo' disgustare; intanto,

se ha un po' di lume, mi vedr l'abito. (Parte dalla

finestra. )

Arn. Se viene, s' ha da porre in chiaro la sua furfanteria

in maniera, che non potr dir di no. Vedremo un poco se

io son barbogio, e chi ne sapr far vedere delle pi belle

Uh, meschino me ! Quando Pasquina sapr tutte queste cose.

Questo stato il parentado! (Esce Pasquina.) Queste sono

spose 1

Pas. Statene pur sicuro che il mio sposalizio non vi pre-.

giudicher punto. Cercher di provedermi bene in questa casa.

Arn. E la gioje? dove sono le gioje?

Pas. Son dentro in questa scatola. Pigliate. (Arnolfo piglia

la scatola, e tenendo forte Pasquina, grida : ) Lumi, lumi,

ajuto, tradimento.

Pas. Che cosa questa, Brunello mio?

, Arn. Ajuto, lumi, tradimento.

SCENA VIGESIMA

Flaminio, Berenice e Brunello con lume da una parte, dopoch

Cleante, Dragoncello e Sennuccio sono venuti con lanterna dal-

l' altra, e detti.

Cle. Ecco ajuto. Che tradimento c', signore Arnolfo?

Arn. Questa scellerata della mia nuora.... (Conoscendo

Pasquina, la lascia, e resta come insensato.)

Pas. Ah meschina me! Ora si che son rovinata.

Ber. Che dite della vostra nuora, signore Arnolfo?

Arn. Che cosa questa? Son fuori di me? Son nell'al-

tro mondo!

Fla. Signor padre, ella non n fuori di questo mondo,

n sar fuori di s, se vorr credere agli occhi proprj, ed

alle nostre parole. Adesso venuta l'occasione di conoscer

veramente chi sia Pasquina.

Pas. Che avete ordinato contro di me qualche altra mac-

china per discreditarmi al vostro solito?

Ber, La macchina te la sei ordinata da te, donna maliziosa.

Ora come vorrai scusarti di non aver voluto votar la casa

de' padroni ? Il signor Arnolfo si chiarito pure una volta da s.

Arti, lo non mi rinvengo ! Alla finestra chi e 1 era, Pasquina,

o Berenice?

Fla. Pasquina era alla finestra, ed essa quella che ha

calato gli argenti, per dargli al suo creduto Brunello a conto

di dote, al quale gi aveva promesso di sposarsi. Egli qui,

e da lui se ne 'pu sapere la verit.

Pas. Uh che linguacce d'inferno! lo sposare il mio ni-

pote! Lo dica lui, si, lo dica lui.

Dra. Ho da parlar io?

Pas. Si, parlate, parlate pure, e sbugiardate costoro.

Dra. Signora Pasquina mia cara, compatitemi; voi siete

rimasta finalmente alla trappola. Per dire la verit mi bisogna

sbugiardar voi. Sappiate che io non sono altrimenti Brunello,

ma bens Dragoncello, amico qui di Sennuccio, che voi avete

creduto monsu Big vostro sarto. Tutti e due ci siamo ac-

cordati di fnger quelli che ci siamo finti, per far costare al

signore Arnolfo la vostra infedelt e malizia.

. Pas. Ah diavoli, voi mi ci avete clta. ( Vuol partire.)

Fla. Piano, piano, adesso bisogna star qui per un poco.

Arti. Ma alla finestra.... Jacinta, dov' Jacinta?

Bru. Vado or a chiamarla.

Ber. Fa' venire ancora madonna Geva. (Brunetta parte.)

Cle. Signore Arnolfo, io pure, che son venuto qui prima-

che voi scendeste, con questo mio servitore e Dragoncello

suo compagno, posso esser testimonio di tutto ci che stato

asserito con verit contro Pasquina. Ella gli aveva dato l' ap-

puntamento d' esser qui alle due ore per prender quegli ar-

genti, che poi noi, venuto che siete stato, gli abbiamo lasciati

prendere a voi.

Seri. Cosi ; ed io sono stato quello che le ho fatto quel

bell'abito nuovo.

SCENA ULTIMA

Jacinta,; Geva, Brunetta e detti.

, Arn. Jacinta? Dov' questa Jacinta?

Jac. Eccomi, signor padre.

Arn. Alla finestra, per dar via la roba, chi c'era? non

era Berenice?

Jac. Se dico la verit, promettete di perdonarmi?

Arn. Di' su pure, ti perdono, ti perdono. Non posso star

pi nelle spine.

Jac. Io veramente vi ho detto una falsit, a dir che do*

veva essere la signora Berenice: perch in verit sapeva che

Pasquina era quella che voleva dar via la roba.

Arn. Ah bricconcella ! Perch dirmi una bugia simile?

Ber. Glie V abbiamo ordinato noi, per indurvi una volta a

chiarirvi della verit,

Pas. Ah signor padrone, voi vedete che questo un in-

ganno per fare....

Fai. Taci: questo un inganno per far conoscere le tue

bricconerie. Signor padre, sappiate che questa scellerata .

un gran tempo che ha avuto voglia di rimaritarsi, ed a que-

sto fine il Ciel sa quanta roba ha dato al garzone del nostro

macellaio, oltre all'altra data alla sue commari, e a diversi.

Pas. Io, io?

Ber. Madonna Geva?

Gev. Voi, voi, signora si, e a me avevi confidato il tutto,

signora si.

Pas. Ancor tu bugiarda strega....,

Gev. Eh non accade far la faccia 'nvetriata. Le to' furfan-

terie le son venute a luce una oilta.

Arn. Jacinta? E questa Geva?

Jac. Anche quel che vi dissi di lei era una falsit.

Ber. Certo. Anzi questa buona donna stata essa che ci

ha dato i primi lumi della perversit di Pasquina.

Gev. E' mi parea d'aello sopra coscienza, s' P non l' aessi

detto.

Arn. Qui non e' altro,, tutto chiaro. Uh povero me,

che cosa mi son ridotto a vedere! {A Pasquina.) Via, via,

manigolda, scappami fuor di qua.

Pas. Ma, signor padrone, non lo conoscete che lo dicon

perch mi voglion male? *

Gev. E' non bisognaa torna' tante oilte a i lardo chi non

ci 'olea lascia' lo zampino.

Arn. No, non pi. Fuora, fuora. Ladra senza coscienza,

ingannatora. ,

Pas. E vi dar il cuore di mandar via senza ragione la

vostra Pasquina, che ha tanto affetto alla vostra casa?

Gev. Alla so' roba, alla so 7 roba.

Fla. Senza ragione? E quanta di pi ne vorresti dare?

Pas. Non lo conoscete che le dicon , tutte per astio que-

ste cose? Non mi ci posson vedere pi in casa vostra v gP in-

vidiosi.

Arn. Nemmen io ti ci posso veder pi. Mi son chiarito da

me, ladra assassina.

Pas. Eh, signor padrone, siete pur burlone ! Io ci ho tutti

i miei gusti con voi. Faresti tanto ridere alle volte.

Ber. Sentite che impertinente!

Arn. Pu esser ancora che ti faccia piagnere.

Pas. Avete una maniera cosi graziosa a burlare, che par

che diciate davvero. Quanto e 1 di buono, io, che vi conosco,

non me la piglio.

Arn. Non te la pigli? Non te la pigli? Te la far pigliar

io la strada di andar fuori di casa mia.

Cle. Eh .le vate ve la davanti, signore Arnolfo.

Pas. Che fuor di casa? M'ha da esser prima mantenuta

la parola del testamento; e poi non voglio che segua pi il

parentado della vostra figliuola. Ve Pho fatto far io....

Cle. Com' entri tu in questi affari, donna maliziosa e

perversa?

Pas. Si signore, si signore, voglio....

Arti. Ed io non voglio far niente di quello che volete, far

voi, signora padrona spadronata.

Fla. Questa insolente non la finirebbe mai.

Cle. h levatevela davanti.

Fla. Signor padre, con vostra buona licenza. ( Caccia via-

Pasquina.) Di qua si va, per andar lontan da casa nostra.

Pas. Che.... Io.... Voglio che mi siano mantenute le

promesse.

Arri. Levatemela di qui, che non la posso pi vedere.

Fla. A noi, fuori di questo cortile.

Pas. A quest'ora mandar via una povera serva eh?

Dra. Signora sposa, la casa mia sta aperta per lei.

Seti, fon vojasge, madame, bon vojasge. Avete vu bisogne

d'un altr'abfte de spos?

Fla. Via di qua, dico, iniquissima donna.

Pas. Ah gentaccia maledetta! Ma chi sa? chi sa? {Parte

scacciata da Flaminio.)

Gev. Ella ha fatto come ghi zuffoli di montagna. La 'oilse

manda 7 via di casa me, ora la se n' ita lei.

Ber. Sia lodato il cielo.

Jac. Una volta ce ne siamo liberati.

Arti. Uh povero me, quanto mi ha ingannato!

Fla. Signor padre, meglio che ci ritiriamo, acciocch pi-

gliate un po' di riposo, e per parlar con quiete de' nuovi af-

fari col signor Cleante.

Arti. Si, si, andiamo. Ho paura che m'abbia appestate le

stanze, voglio fare imbiancar per tutto. Figliuoli miei, vi rin-

grazio che m'avete Una volta fatto aprir gli occhi, e cono*-

scere il mio male.

Sen. Impariamo noi altri servitori a non ci far padroni

perch all' ultimo si va a quella bella villa fra Prato e Mon-

temurlo; (1) al Barone.

Il Fine.

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