La signora Dally

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LA SIGNORA DALLY

Titolo originale: Mrs. Daily

Commedia in due parti

di WILLIAM HANLEY

Traduzione: Paola Ojetti

PERSONAGGI

EVALYN

FRANKIE

SAM

Scena: Un appartamentino di New York City, vicino al­la ferrovia. È vecchio, ma ben tenuto e pulito guanto lo permettono le circostanze. La cucina è la stanza più grande e occupa il centro della scena; nella parete di fondo della cucina, a sinistra, una finestra che si affaccia sul cortile. A destra, la porta del bagno. In mezzo, una tavola e delle sedie. A destra, un arco, chiuso da una tenda, divide la cucina dalla camera da letto. A sinistra della scena s'in­travede un settore della stanza di soggiorno che ha, nel fondo, la porta d'ingresso.

Commedia formattata da

Parte prima

L'amante della signora Daily

Un pomeriggio di gennaio. Evalyn Daily è seduta sul letto, in penombra; fuma, languida; ha una vestaglia trasparente e le pantofole. Accende la lampada che è sul comodino: ve­diamo che ha i capelli rossi e ha passato la quarantina. Ma, tutto sommato, porta bene la sua età. Si alza e canta a mezza voce « Beautiful Dreamer »; poi va, a passi lenti, in cucina. Accende il gas sotto la cùccuma del caffè, poi torna in camera da letto. Sulla porta della stanza da ba­gno appare Frankie. Ha diciannove anni, e sta a torso nu­do. Afferra Evalyn, l'attira a sé lentamente: si baciano. Poi si staccano e lui si guarda attorno, cercando qualcosa.

Frankie                          - Che fine ha fatto la mia...? (Scopre la cami­cia, appesa allo schienale d'una sedia)

Evalyn                           - (avviandosi verso il bagno) Vuoi il caffè? È già sul fuoco.

Frankie                          - Grazie. (S'infila la camicia, poi l'osserva con curiosità, mentre Evalyn torna dalla stanza da bagno spaz­zolandosi, con metodo, i capelli) Toh, guarda qui.

Evalyn                           - Che c'è?

Frankie                          - I bottoni. Non ce n'è rimasto nemmeno mez­zo. (Evalyn si avvicina, osserva la camicia)

Evalyn                           - Sono stata io?

Frankie                          - Io no di certo.

Evalyn                           - (con sguardo un po' imbarazzato ma pur sempre provocante) Eh già, lo so: mi lascio trasportare dalla fretta. Tanto la casa nasconde ma non ruba. Ora li cer­chiamo e te li riattacco. (Guarda in terra e comincia a recuperare i bottoni; Frankie ne trova uno ma non sem­bra darsi molto da fare) Quanti devono essere?

Frankie                          - (conta gli occhielli) Sei. Sarà meglio che ci metta un chiusura lampo.

Evalyn                           - Tu quanti ne hai trovati? Io, quattro.

Frankie                          - Uno.

Evalyn                           - (carponi, cercando) Ne manca uno.

 Frankie                         - Eccolo.

Evalyn                           - Dov'è?

Frankie                          - Li, guarda, vicino al piede.

Evalyn                           - Accidenti, che occhi. Beh, per forza... (Sì alza in piedi. Frankie l'afferra di nuovo) Aspetta, vado a pren­dere l'ago e il filo. (Va verso un armadietto. Frankie os­serva la camicia senza bottoni, e scrolla il capo. Evalyn torna con la scatola da lavoro, una vecchia scatoletta da dolci, e si ferma ad osservare il ragazzo voltato di schiena. Gli si avvicina e gli mette le mani sulle spalle) Su tesoro, levatela. (Si divincola per sfilarsi la camicia, lei lo aiuta, gliela prende e gli bacia la spalla nuda. Poi va a sedersi accanto alla tavola mentre lui, non visto da lei, si asciuga con la mano la spalla baciata. Pausa) Frankie... Hai molte ragazze?

Frankie                          - Si, venti o trenta, ho perso il conto.

Evalyn                           - No, dico sul serio.

Frankie                          - Beh, una o due. Perché? (Ci accorgiamo ades­so che Frankie ha il vezzo di parlarle guardandola con la coda dell'occhio senza voltare la testa)

Evalyn                           - Niente, cosi. Guarda che stupida, ti lascio li mezzo nudo a prender freddo. Vado a prendere qualcosa da metterti addosso.

Frankie                          - No, non ce n'è bisogno. (Lei s'è già alzata) Lascia, sto bene cosi... (Lei è in salotto, davanti al cas­setto d'una scrivania)

Evalyn                           - Ho proprio quel che ci vuole. (Tira fuori dal cassetto un maglione da uomo, rosso acceso) Non è stato mai messo. E suo. Gliel'ho regalato io per la sua festa ma non se l'è neppure provato. Che bestione. Non ha classe, peccato. Non ha classe. Toh, infilatelo. (Lui se lo infila, ci sguazza dentro)

Frankie                          - È un po' grandino.

Evalyn                           - Che bestione... Ti sta bene, sai? Beh, voglio dire se fosse un pochino più piccolo.

Frankie                          - Già, appunto, è un po' grandino.

Evalyn                           - Fa rabbia veder sprecare un bel maglione cosi. Dice che lui non se lo metterà mai. Per via del colore. Gli ho detto che poteva metterlo per andar a lavorare. Ma dice che non si può portare un maglione di questo co­lore quando si guida una macchina di piazza. Gli ho detto: « Saresti il tassista più elegante e di classe di New York City ». Ma lui niente, figurarsi. Vuole che lo vada a cam­biare, che mi faccia dare un altro colore.

Frankie                          - (per consigliarla) Sarebbe una buona idea.

Evalyn                           - Io gliel'ho scelto cosi, e lui se lo tiene. Perché, non ti pare che sia un bel colore?

Frankie                          - Si, molto bello.

Evalyn                           - Giusto.

Frankie                          - Semmai... un po' vistoso. Per un uomo.

Evalyn                           - Già, ma pensavo che un bel rosso poteva farlo sembrare un po' più vivace, un marmottone come lui. Ma quello, niente. (Pausa. Lei cuce)

Frankie                          - Com'è che m'hai chiesto se ho delle ragazze?

Evalyn                           - Cosi, per curiosità.

Frankie                          - Credevi che con me non ci venissero?

Evalyn                           - No, non l'ho mai pensato.

Frankie                          - Sì che ci vengono.

Evalyn                           - No, volevo dire, hai nessuna ragazza che sia... carina con te?

Frankie                          - E come no?

Evalyn                           - (con circospezione) Voglio dire, carina come me?

Frankie                          - Come? se ci stanno? (L'espressione la lascia interdetta)

Evalyn                           - Ecco, si, più o meno.

Frankie                          - Eh, si, qualche volta. Per esempio, sul tetto. Perché?

Evalyn                           - Niente, cosi.

Frankie                          - Ma sono ragazzine. (Pausa)

Evalyn                           - Senti... io, ti piaccio?

Frankie                          - Hm, hai voglia!

Evalyn                           - No, sul serio, ti piaccio molto? Insomma, tu a me.,, ci pensi mai?

Frankie                          - Sicuro. Anche adesso.

Evalyn                           - Ma quando non sei qui, quando sei da un'al­tra parte, ci pensi a me?

Frankie                          - Per forza.

Evalyn                           - Che cosa pensi?

Frankie                          - Che cosa penso?

Evalyn                           - Non so, quando vai per la strada, e pensi a me, che cosa pensi?

Frankie                          - Ah, non lo so. Non ci ho mai pensato. Voglio dire, come fai a pensare a che cosa pensi?

Evalyn                           - Pensi che sono carina?

Frankie                          - Certo.

Evalyn                           - Pensi che ho un bel personalino?

Frankie                          - Accidenti!

Evalyn                           - Beh, diciamo la verità, tutto sommato, sono piuttosto in forma... Quando vado per la strada, se ho un vestito che mi sta bene, mi guardano ancora dietro, sai?

Frankie                          - Non Io dire a me. Sapessi quante volte t'ho guardato dietro.

Evalyn                           - E fischiano. Tu non hai mai fischiato.

Frankie                          - Beh, sai, stando nello stesso palazzo, non mi azzardavo.

Evalyn                           - È il bello di tutti questi cantieri. Con tanti operai. Hanno la specialità di farti capire che un'occhia-tina te la meriti ancora. Se una è giù di corda non ha che da fare una giratina qua attorno durante la pausa di mez­zogiorno. Io, ogni tanto, la faccio. Le parolacce no, quelle non mi piacciono. Una volta, ricordo che uno s'è messo a gridare « Oè, biondona! La vuoi una bottarella? »... Mi sono voltata e gli ho detto, a brutto muso: « Una botta­rella, a chi? » Avessi visto come c'è rimasto male. Non sapeva più dove andarsi a nascondere. Gli uomini! Tante chiacchiere, ma quando è al dunque...

Frankie                          - Ah sì, eh?

Evalyn                           - Esclusi i presenti.

Frankie                          - Se lo vuoi proprio sapere, ti dirò... ti dirò che per me sei uno splendore.

Evalyn                           - Ma va'! (Lui fa cenno di si col capo) Grazie, Frankie.

Frankie                          - Prego, non c'è di che. Credevo lo sapessi, che non ci fosse bisogno di dirlo.

Evalyn                           - Però, se ogni tanto lo dici non chiamo le guardie.

Frankie                          - Ha ragione mio padre: le donne trovano sem­pre il sistema di farsi fare un complimento.

Evalyn                           - Siamo seccanti, vero?

Frankie                          - Mamma dice che ognitanto gliene facessero qualcuno, lei non starebbe a chiederli. E papà le risponde che con lei i complimenti sarebbero sprecati. E allora si azzuffano, pare sempre che si scannino.

Evalyn                           - E carina, la mamma.

Frankie                          - La conosci?

Evalyn                           - Bongiorno e bonasera quando la incontro sul portone.

Frankie                          - Ah, credevo che foste amiche. Sarebbe da ri­dere. (Le sfugge l'occhiata triste di lei. Ci sono domande che fatte in un certo momento e in un certo modo sem­brano accuse. Per esempio, questa di Frankie) Lei, però, è più vecchia di te, no?

Evalyn                           - Sta' attento a come parli.

Frankie                          - Beh, che ho detto? che è più vecchia di te.

Evalyn                           - Vaia che hai capito benissimo.

Frankie                          - Ma guarda un po' come son buffe le donne quando si tocca questo tasto! Mamma è come te. Una volta le ho domandato quanti anni aveva e non c'è stato santi che me lo dicesse. Se lo so è perché sta scritto sulla mia fede di nascita. Come sarà?

Evalyn                           - Perché dicono che con gli anni si diventa più brutte. (Esita un momento, poi soggiunge) Io ne ho tren­tanove.

Frankie                          - Trentanove. Mi son fatto una vera donna.

Evalyn                           - Trovi?

Frankie                          - Eh, si, non so se mi spiego; età, esperienza. Però ti credevo più giovane.

Evalyn                           - (contenta) Ah si, perché?

Frankie                          - Sai, mamma ha trentotto anni ma sembra molto più vecchia di te. Forse per via dei figli. I figli in­vecchiano prima, non è vero? Voglio dire, chi ha dei figli invecchia prima.

Evalyn                           - Chi te l'ha detto? (Alla finestra, guardando giù nel cortile, Frankie fa un versacelo allegro) Che è?

Frankie                          - Le sorelle, stanno giocando giù in cortile.

Evalyn                           - Non ti far vedere.

Frankie                          - Che male c'è?

Evalyn                           - Come che male c'è? lo vedono, no?, che non sei in casa tua. Che cosa sono? gemelle?

Frankie                          - Si. Che matte! Fanno tutte quel gioco che usa ora, lo conosci? Ma si, loro giocano e guai a noi se non stiamo a sentire, tutti, mio fratello, io, mamma e papà. Noi seduti, buoni buoni, e loro in piedi sulla tavola di cucina a fare quel gioco. Lo chiamano « Concerto di rumori interessanti ». Fanno a turno dei rumoracci da matti, sentissi che versacci riescono a fare. Noi, allora, dobbiamo dare i voti e premiare il rumore più interessante. Che matte !

Evalyn                           - Sai che ti dico? C'è tanta gente che fa quel gioco, ma non sono bambini e non lo chiamano gioco.

Frankie                          - Come lo chiamano?

Evalyn                           - Conversazione.

Frankie                          - (gioca a nascondino dietro l'imposta della fine­stra) Cucù!

Evalyn                           - Che fai?

Frankie                          - Credo che m'abbiano visto... Si si, m'hanno visto. (Grida dalla finestra) Che cosa volete?

Evalyn                           - (angosciata) Frankie, t'ho detto di stare at­tento. (Le voci delle bambine si sentono debolmente, in­telligibili)

Frankie                          - Che?... Vogliono sapere che cosa faccio quas­sù... Sto aggiustando la ghiacciaia della signora!... Si, il suo frigorifero! Papà dice sempre ghiacciaia, e mam­ma dice che non è una ghiacciaia, è un frigo­rifero, e adesso i figli le fanno lo stesso scherzo... Che?... Si, l'ho sbrinata!... Che ve ne fate?... No, vi guastate l'ap­petito con le caramelle... eh? (Butta una moneta giù nel cortile) Toh! e non lo dite a mamma! Gina, fai a metà con Maria, capito?... Gina?... (Ma evidentemente sono andate via) Che matte!... Comincia a nevicare. (Chiude la finestra ma quando si volta trova una Evalyn col broncio) Che è stato?

Evalyn                           - T'avevo detto di stare attento, no?

Frankie                          - Sono bambine. Che cosa vuoi che sappiano?

Evalyn                           - Ma la lingua ce l'hanno, no? E parlano, no?

Frankie                          - Non dicono niente.

Evalyn                           - Lo sai che succede, se lo viene a sapere qual­cuno?

Frankie                          - Non ci ho mai pensato.

Evalyn                           - Ci sono troppe cose alle quali non hai mai pensato.

Frankie                          - Beh, sto imparando... se ti dà tanto pensiero, perché lo fai?

Evalyn                           - Ottima domanda.

Frankie                          - Allora dammi un'ottima risposta.

Evalyn                           - Ci sto pensando. (Pausa. Riprende a cucire)

Frankie                          - Di, com'è che non hai figli, tu?

Evalyn                           - Oè, che fai? Svolgi un'inchiesta? per conto di chi?

Frankie                          - No, chiedevo. (Pausa)

Evalyn                           - Un bambino, l'ho avuto.

Frankie                          - Dov'è?

Evalyn                           - E morto.

Frankie                          - (commosso) Oh... mi dispiace.

Evalyn                           - E annegato. Aveva tre anni.

Frankie                          - Che peccato, accidenti... Perché non ne hai fatto un altro?

Evalyn                           - Eh, si, non potevo. Sai, non potevo più avere figli.

Frankie                          - Che peccato, accidenti.

Evalyn                           - Già. (Si alza di scatto) Si chiamava Alan. È un bel nome, non trovi?

Frankie                          - Si, è un bel nome.

Evalyn                           - Come Alan Ladd. L'hai visto mai « Il fuori­legge »?

Frankie                          - Che?

Evalyn                           - Il film « Il fuorilegge ». Con Alan Ladd. (Lui scrolla il capo, imbarazzato) Era una cannonata. M'è pia­ciuto tanto, con quell'impermeabile... C'era anche Vero­nica Lake.

Frankie                          - Chi?

Evalyn                           - Vuoi vedere la sua fotografia?

Frankie                          - Di Alan Ladd?

Evalyn                           - No! del bambino.

Frankie                          - Si. Certo.

Evalyn                           - Aspetta un momento. (Va in camera da letto e seguita a parlare mentre tira fuori uno scatolone dal­l'armadio e vi fruga dentro) Lui, naturalmente, non lo sa­peva che avevo chiamato il bambino cosi per via di Alan Ladd.

Frankie                          - Chi?

Evalyn                           - Lui. Il bestione. Gli ho detto solo che lo vo­levo chiamare Alan. Voleva chiamarlo col nome suo. Pare impossibile. Voglio dire, lo sai come si chiama?

Frankie                          - Sam.

Evalyn                           - Già, lo chiamano tutti Sam, e lui firma Sam, ma lo sai com'è il suo vero nome? Sansone. Te lo figuri uno che si chiama Sansone? Veramente è un nome fran­cese. Suo padre era francese.

Frankie                          - Ah si?

Evalyn                           - Discendente diretto da un re francese, lo sapevi?

Frankie                          - Ma vah! sul serio?

Evalyn                           - Si, si, è la verità. Ha tutti i documenti che lo provano. Dice che li tira fuori alla prima provocazione. A vederlo chi lo penserebbe! Il crollo dei potenti, mica no!

Frankie                          - Che vuol dire?

Evalyn                           - Lascia andare. (Si volta, e ha in mano un grande album fotografico, mentre lui è venuto a mettersi in piedi sulla soglia della camera da letto) Anzi, ti dirò che, per sposarlo, ho rinunciato a una bellissima carriera sul teatro.

Frankie                          - (impressionato) Chi? tu? Andavi sul teatro?

Evalyn                           - Una volta ho fatto ventisette settimane al Club Sedici. Un primato. Poi all'Ha Ha Club. Anche li, un altro primato: sedici settimane di fila. Ma quando ci siamo sposati ha voluto che smettessi. Diceva che una ra­gazza ci fa una figura da stupida a suonare il trombone.

Frankie                          - Tu suonavi il trombone?

Evalyn                           - (stanca di questa reazione che le è tanto familia­re) Eh si, suonavo il trombone.

Frankie                          - No, che c'è di male? era solo che...

Evalyn                           - E poi cantavo e ballavo. Si, tutto nello stesso numero. (Sorride) Chissà, una volta forse te lo faccio ve­dere. Ho fatto male a lasciare. Non sarei mai stata celebre, questo no, non sarei mai stata mondiale, lo so, ma...

Frankie                          - Ma?

Evalyn                           - Be'... sarebbe stata una cosa... Bisogna sem­pre fare una cosa... Io, invece, per il vecchio Sansone ho mollato tutto! Sansone, si, ma coi capelli rapati a zero, non so se mi spiego. I motivi ci sono, per forza. Vedi, una volta... ci sei?... una volta ho scoperto che si dava da fare con due signorine. Due. Per forza, quando veniva da me era uno straccio. (Fissa Frankie, poi gli passa una mano tra i capelli) Sei cosi giovane, cosi forte. (Lui cerca di baciarla, ma tra loro c'è l'album fotografico che glielo impedisce. Lei si siede sul letto, apre l'album alla prima pagina, poi lo richiude, indicandogli il nome che è scritto sulla copertina, in grande) Alan. Carino, no? Foglia d'oro a quattordici carati. (Riapre l'album mentre lui le si siede accanto) Guarda un po' che bel bambino!

Frankie                          - Anche tu non scherzavi!

Evalyn                           - Si, ma guarda che bel bambino!

Frankie                          - Un amore. (Volta pagina. È bianca. Ne volta un'altra, sfoglia tutto l'album, ma è vuoto) Non c'è altro? Una pagina sola? (Pausa. Lei osserva con sguardo vago l'album. Quando parla, la sua risposta è ovvia, eppure lei stessa ne sembra stupita)

Evalyn                           - È morto. (Pausa) Che sciocca, eh? Cosi grosso, lo avevo preso con tanti fogli perché gli durasse fino a vent'anni... Tu che farai, Frankie?

Frankie                          - Eh?

Evalyn                           - Si, nella vita.

Frankie                          - Mah, che ne so? Non ho ancora deciso.

Evalyn                           - Quando decidi?

Frankie                          - Come quando?

Evalyn                           - Lavorare di notte in una fabbrica non è vita.

Frankie                          - (sulla difensiva) Grazie, lo so. Ma è il primo lavoro che ho trovato, quando ho finito la scuola. Non ci starò mica tutta la vita, figuriamoci!

Evalyn                           - Tienla di conto, caro mio.

Frankie                          - Che cosa?

Evalyn                           - La vita. Tienla di conto per qualcosa che ne

 valga la pena.

Frankie                          - Per esempio?

Evalyn                           - Insomma, voglio dire., la vita non deve mai prendere la mano. Bisogna guidarla. Bisogna darci peso, alla vita.

Frankie                          - E come no? Una cosa voglio, voglio che la vi­ta mi serva a far un mucchio di soldi.

Evalyn                           - Perché?

Frankie                          - I soldi parlano.

Evalyn                           - L'ho sentito dire. Ma ci hai provato mai, tu, a far conversazione con un biglietto da dieci dollari?

Frankie                          - Che male t'hanno fatto i soldi?

Evalyn                           - Lo sai che cosa avrei fatto se fossi stata un uomo?

Frankie                          - Che cosa?

Evalyn                           - Avrei costruito dei ponti!

Frankie                          - Dei ponti? Che ponti?

Evalyn                           - Quelli che attraversano i fiumi.

Frankie                          - Che ci avresti fatto?

Evalyn                           - I ponti mi piacciono. Da quando ero bambina. Hanno un certo non so che.

Frankie                          - Ah si?

Evalyn                           - Hanno fascino, ecco che cos'hanno... stare in mezzo a un ponte è come... come avere due braccia lunghe lunghe che stringono forte la terra. Capisci, no? Io son na­ta a Washington, sulle colline, e dalla finestra di casa no­stra si vedeva il ponte George Washington. Sai che pensavo?

Frankie                          - No...

Evalyn                           - Pensavo che se non ci fosse stato quel ponte, il New Yersey sarebbe rimasto... sarebbe rimasto a mez­z'aria. (Ridono)

Frankie                          - Credo che se fosse sprofondato o se fosse vo­lato via, non sarebbe fregato un accidente a nessuno.

Evalyn                           - (dopo una pausa, sognante) Che bei ponti avrei costruito, se fossi stata uomo. Alan li avrebbe costruiti. (Accarezza l'album) Ho cominciato a metter da parte i soldi per farlo studiare da ingegnere che aveva appena sei mesi. Ma lui no, lui voleva che il suo bambino diventasse un campione di nuoto, perché lo era stato lui al tempo che andava a scuola. O nuota o va a fondo, diceva, o nuota o va a fondo. Beh... è andato a fondo.

Frankie                          - Oh Dio! Ma come? L'ha lasciato affogare?

Evalyn                           - No, no, per carità. Ma non ci è stato attento. Voglio dire, quando un bambino di tre anni nuota in pi­scina bisogna tenerlo d'occhio, non bisogna voltarsi di là. Ma io lo so com'è andata. Gliel'ho detto che lo sapevo, e alla fine l'ha dovuto ammettere. C'era una ragazza. Lui, quando c'è una ragazza deve tenerle gli occhi addosso, an* che dopo che ci siamo sposati. Ci ha pianto, ci ha pianto quando m'ha confessato ch'era andata proprio cosi, che stava a parlare con una ragazza. Piangeva, e poi m'ha pic­chiata. M'ha picchiata, a me. Ogni tanto capita anche ades­so. Ma io preferisco andar sotto le ruote d'un camion che prendere le botte da un uomo. Buffo, però, se in piscina non ci fosse stata tanta gente, qualcuno se ne sarebbe ac­corto che il bambino affogava. Ma c'era tanta gente, non hai idea di come sono affollate le piscine d'estate... non se n'è accorto nessuno. Pare impossibile, è affogato perché aveva troppa gente attorno...

Frankie                          - Già...

Evalyn                           - E cosi i soldi che avevo risparmiato per farlo studiare li ho spesi pel suo funerale. (Pausa)

Frankie                          - Me l'ero sempre domandato perché non avevi bambini. (Pausa) Se vuoi, forse ti posso dare una delle mie sorelline. (Lei sorride, tristemente divertita, e va in cuci­na; lui la segue) Sai, non credo che a mamma gliene im­porti molto. Dice sempre che la fanno diventar matta.

Evalyn                           - Ci son dei sistemi peggiori per diventar matti.

Frankie                          - E poi dice che se non fossimo cattolici non avrei né fratelli né sorelle.

Evalyn                           - Non lo dirà mica davanti ai bambini, no?

Frankie                          - Come no? lo dice proprio perché capiscano che sono di troppo e che devono rigare diritto.

Evalyn                           - Ora, però, smettiamola di parlare di tua ma­dre. Comincio a sentirmi un po' zia.

Frankie                          - (sincero) Tu non sei mia zia.

Evalyn                           - Meno male. Ci vorrebbe anche questa. (Si ri­mette a cucire)

Frankie                          - Che vuol dire "ci vorrebbe anche questa"?

Evalyn                           - Tu e io, no?

Frankie                          - Che c'è che non va?

Evalyn                           - (lo guarda per un momento, riflettendo) Sei buffo, lo sai?

Frankie                          - E allora? meglio far ridere che piangere, no?

Evalyn                           - Ma la tua età, tesoro. E la mia. Pare che non sia molto naturale.

Frankie                          - Pare? a chi pare? 87

 Evalyn                          - Agli altri, no?

Frankie                          - E a te?

Evalyn                           - (dopo un momento) A me no.

Frankie                          - Mica siamo sposati. Allora si, potrebbe sem­brare un po' strano, ma noi...

Evalyn                           - Un po' strano come?

Frankie                          - Be', cosi...

Evalyn                           - Chi ha detto che siamo sposati?

Frankie                          - Nessuno, facevo per dire...

Evalyn                           - Il marito ce l'ho.

Frankie                          - Lo so, facevo per dire...

Evalyn                           - To'. (Gli porge la camicia, bruscamente)

Frankie                          - Credi che questa volta reggeranno?

Evalyn                           - Non prometto niente. (Pausa. Lui si sfila il pullover, lo passa da una mano all'altra)

Frankie                          - Ma lui... lui ti piace?

Evalyn                           - Come mi piace?

Frankie                          - Si... non lo ami mica, vero?

Evalyn                           - Perché parli cosi?

Frankie                          - Come?

Evalyn                           - Parli d'amore. Ma ancora non sai nemmeno come si adopera quella parola. Perché lo vuoi sapere?

Frankie                          - Tanto per curiosità. E allora?

Evalyn                           - (col pullover in mano, lo guarda, appenata) Che peccato. Non ha classe, quel bestione.

Frankie                          - Perché lo chiami cosi?

Evalyn                           - Come?

Frankie                          - Bestione.

Evalyn                           - Non so, è un modo di dire come un altro.

Frankie                          - Ah.

Evalyn                           - Perché?

Frankie                          - A me non m'ha fatto quell'impressione.

Evalyn                           - Non si direbbe, vero?

Frankie                          - No, anzi...

Evalyn                           - Ma tu che ne sai?

Frankie                          - Io, niente, ma...

Evalyn                           - Appunto, niente.

Frankie                          - Dicevo solo che non m'ha fatto quell'impres­sione...

Evalyn                           - E allora non ne parlare, va bene?

Frankie                          - Ma che male c'è?

Evalyn                           - Non ne parlare!

Frankie                          - Hai una bella pretesa, però ! Sono appena usci­to dal suo letto!

Evalyn                           - Non lo dire!

Frankie                          - Che? Non è vero?

Evalyn                           - Si, verissimo!

Frankie                          - E come no?!

Evalyn                           - Vero, verissimo, più che vero, e chi lo nega? Tutti dicono la verità, tutti hanno ragione, e tutti si ser­vono della verità e della ragione per frustare gli altri a sangue !

Frankie                          - Chi l'ha detto?

Evalyn                           - Io!

Frankie                          - T'avevo fatto una domanda semplicissima, tut­to qui.

Evalyn                           - (dopo un attimo, più calma) Semplicissima per te, magari... o per una delle tue qualche-volta-per-esempio-sul-tetto, non per me.

Frankie                          - Non ho mai detto che tu eri una di loro!

Evalyn                           - Non hai mai detto che non lo ero.

Frankie                          - Se vuoi, lo dico adesso... (Affettuoso) Va bene? (Pausa)

Evalyn                           - Senti... ti sei mai chiesto se lo avevo fatto prima?

Frankie                          - Che cosa?

Evalyn                           - Questo. Tu e io. Te lo sei mai chiesto? (Lui si stringe nelle spalle, scrolla la testa, ma non molto jer-mamente) No, mai. Sono sposata da quindici anni. Te lo dico nel caso tu pensassi che per me è un'abitudine.

Frankie                          - Non l'ho mai pensato.

Evalyn                           - (sovrappensiero) Però poteva essere molto di­verso.

Frankie                          - Che cosa?

Evalyn                           - Una volta pensavo che le cose tra noi s'erano messe cosi perché avevamo perso il bambino. Ma sbagliavo. Ero io che dentro di me lo biasimavo. L'ho sempre biasi­mato. È terribile sapere che si dovrebbe perdonare e non riuscirci. Sai, se avessi potuto averne degli altri sarebbe stato diverso. Oggi non ci penseremmo più, a quello. Vista cosi, la colpa è mia... se siamo uno qua e uno là. Hai ca­pito, no?

Frankie                          - Avevi detto che non ne dovevo parlare.

Evalyn                           - (debolmente) Già. (Pausa) Sai ora che cosa vorrei fare?

Frankie                          - No...

Evalyn                           - Una bella passeggiata. Magari lungo il fiume.

 Frankie                         - È per dirmi che tolga l'incomodo?

Evalyn                           - Dicevo una passeggiata con te, stupidone. Tut­ti e due insieme.

Frankie                          - Ah.

Evalyn                           - Ti rendi conto che non siamo mai stati insie­me fuori di qui?

Frankie                          - Che bisogno ce n'è? Si sta tanto bene qui.

Evalyn                           - Non vai mai a spasso con una ragazza?

Frankie                          - Si, ma è un'altra cosa.

Evalyn                           - Perché è un'altra cosa?

Frankie                          - Eh, si... tu ed io... è un'altra cosa.

Evalyn                           - Ti parrebbe strano?

Frankie                          - Come?

Evalyn                           - Andare in giro con me?

Frankie                          - In giro dove?

Evalyn                           - Non so... A spasso. Al cinema. Al museo...

Frankie                          - AI museo?!

Evalyn                           - Rispondi, Frankie. Ti vergogneresti? con me?

Frankie                          - Io, no, ma... ma se ci vedesse qualcuno?

Evalyn                           - (dopo una pausa, sconfitta) Già, forse non va­le la pena di correre questo rischio.

Frankie                          - Non si sa mai, potrebbero vederci.

Evalyn                           - Non dicevo per questo, dicevo che potrebbero pensare guarda carino quel ragazzone con la sua mamma.

Frankie                          - (affettuoso) Non dire cosi

Evalyn                           - Perché? Chissà quante volte l'hai pensato.

Frankie                          - (deciso) Mai.

Evalyn                           - (incredula) Si, va be', va be'.

Frankie                          - Ti dico che non ci ho mai pensato! che non mi è mai passato per la testa. Una passeggiata... Come potevo indovinare che avevi voglia di fare una passeggia­ta? Per solito è d'un'altra cosa che hai voglia.

Evalyn                           - Non sempre,

Frankie                          - Va bene. Ora lo so. Dunque, vuoi che uscia­mo? Dimmi dove ci dobbiamo incontrare e ti raggiungo.

Evalyn                           - No.

Frankie                          - Perché no?

Evalyn                           - Te l'ho detto perché.

Frankie                          - Io me ne frego di quello che pensano gli altri !

Evalyn                           - Io no.

Frankie                          - Dimmi dove vuoi che c'incontriamo. Nella cit­tà bassa, verso il fiume?

Evalyn                           - Basta! (La sua veemenza lo zittisce subito) Dovevo pensarci prima.

Frankie                          - E allora ricordati che sei stata tu a non vo­ler uscire.

Evalyn                           - Va bene, me ne ricorderò.

Frankie                          - Sarà meglio che vada, no? (Lei gli dà una occhiata rapida) Fra poco torna lui.

Evalyn                           - Lo sai che non torna mai a casa prima delle sei.

Frankie                          - Credevo che volessi farmi tagliare la corda.

Evalyn                           - No. Siamo stati cosi bene insieme.

Frankie                          - Finché non hai cominciato a fare le storie. E a parlare di passeggiate e di musei.

Evalyn                           - Tu non ci sei mai stato in un museo, vero?

Frankie                          - Certo che ci sono stato. Al Museo di Storia Naturale, Quando facevo la sesta. Sono andato con tutta la classe.

Evalyn                           - Quando facevi la sesta. Lo dicevo io.

Frankie                          - Però, non m'è piaciuto.

Evalyn                           - Ah no, eh?

Frankie                          - Ma, che ti devo dire? era tutto... morto. (Lei ride) Eh si, morto.

Evalyn                           - Ma io non parlavo di quel museo. Io ti farei vedere una cosa viva.

Frankie                          - Ah si?

Evalyn                           - Una cosa che è una meraviglia. Una tazza.

Frankie                          - Che?

Evalyn                           - Si, una specie di tazza. L'ha fatta un certo Celimi un italiano, tanto tempo fa.

Frankie                          - Allora sarà bella per forza.

Evalyn                           - Sta' a sentire com'è... Una tazza... tutta d'oro, d'oro massiccio. Coperta di pietre preziose di tutti i tipi, brillanti, rubini, smeraldi, e che so io. Ma questo, pazien­za. C'è dell'altro. C'è una perla. La tazza ha una specie di manico che viene su, come un ricciolone, fino a metà del­la tazza e da quel ricciolone pende una perla, proprio a perpendicolo sulla tazza. Una perla neppure tanto grande, ma sai che? Quella perlina è appesa in modo che seguita sempre a dondolare, senza fermarsi mai. La tazza sta sotto una campana di vetro, come una reliquia, e non si può toc­care, chissà quanto tempo è che sta li fermo immobile, ma la perla si muove. Trema. Ha un equilibrio cosi perfetto che sente tutte le vibrazioni, anche quelle che noi non pos­siamo sentire. Insomma, se sbatte una porta all'altro capo della terra... la perla ne risente.

Frankie                          - Che forza quell'italiano, eh?

Evalyn                           - È un miracolo, un prodigio, non capisci? È riuscito a fare una cosa che non si ferma mai. Una cosa viva.

Frankie                          - Quasi quasi la vado a vedere.

Evalyn                           - Davvero? Ci vai?

Frankie                          - Se vieni con me.

Evalyn                           - Senza di me, no? . Frankie            - Be', se ti fa piacere...

Evalyn                           - Come sarei felice!

Frankie                          - Ah si? Perché?

Evalyn                           - Perché certe cose bisogna averle viste. Quan­do l'avrai vista... capirai che cosa voglio dire.

Frankie                          - Sarò buffo, no?, li, da solo, a guardare la-perlina senza pace.

Evalyn                           - Che discorsi!

Frankie                          - Tu, alle volte, vai in visibilio per certe fesse­rie! Be', non lo sapevo che eri un tipo da museo.

Evalyn                           - No, eh?

Frankie                          - Che gusto ci trovi?

Evalyn                           - Be'... c'è fresco, c'è silenzio. Ci sono tante me­raviglie. C'è gente che le sa apprezzare... Per me è la feli­cità. Tu, quand'è che ti senti felice?

Frankie                          - Io?

Evalyn                           - Si, tu.

Frankie                          - Che ne so?

Evalyn                           - Non sei mai stato felice in vita tua?

Frankie                          - E come no?

Evalyn                           - Ecco, ma perché? Che cosa ti faceva felice?

Frankie                          - Non me lo ricordo.

Evalyn                           - È stato molto tempo fa?

Frankie                          - No, macché. Insomma, che te ne frega?

Evalyn                           - È importante, credi a me. A che serve essere felici se non ci si ricorda perché lo si è stati?

Frankie                          - Io me lo ricordo, hai voglia!

Evalyn                           - E allora perché non me lo dici?

Frankie                          - Perché è una fesseria. Mi vergogno a dirla! (Pausa)

Evalyn                           - Ah... non volevo farti vergognare. Scusami. (Pausa. Frankie sta soprappensiero)

Frankie                          - Prima, a starti a sentire, ero felice. (Lei lo guarda, senza capire) Il versetto che facevi. Di là. Con me.

Evalyn                           - (dopo un momento, sottovoce) Ora mi vergo­gno io.

Frankie                          - L'hai voluto sapere.

Evalyn                           - (dopo una pausa, che non riesce a parlare) So­no contenta di essere stata buona a farti felice.

Frankie                          - Di' un po', com'è?

Evalyn                           - Che cosa?

Frankie                          - L'hai detto tu: che non l'avevi mai fatto pri­ma. Come mai, ora si?

Evalyn                           - Sai... certa gente è come una bomba a orolo­geria. Al momento buono, scoppia.

Frankie                          - Ti dispiace?

Evalyn                           - Si fa peccato. E io ci penso.

Frankie                          - Allora vatti a confessare, e passa tutto.

Evalyn                           - Tesoro, mi sono confessata tante volte di te. Tutte le settimane. Adesso padre Shields s'è stufato.

Frankie                          - Che ho di speciale, io? Se non l'avevi mai fat­to prima...

Evalyn                           - (dopo una pausa) Qualcosa di speciale ce l'hai.

Frankie                          - Io si? E un altro no?

Evalyn                           - Nessuno sa rispondere a una domanda come questa. (Soggiunge, canzonando se stessa) Neppure io, con tutta la mia intelligenza. (Si alza di scatto, seccata) Non lo so, non sei neppure bello.

Frankie                          - Che ti gira?

Evalyn                           - Niente, non mi gira niente.

Frankie                          - Però, non sono neanche tanto brutto, no?

Evalyn                           - Ne ho visti di più brutti.

Frankie                          - Grazie, molto gentile.

Evalyn                           - Scherzavo, bambinone.

Frankie                          - Meno male, stavo per ritirare quello che ave­vo detto sulla bellezza tua.

Evalyn                           - Quello che è detto è detto.

Frankie                          - Ma se non è sincero è come non detto.

Evalyn                           - (dopo una pausa) Perché... di, non era sincero?

Frankie                          - Ma che ti salta in mente?! Certo che era sin­cero. Io non posso scherzare, non posso? (La bacia)

Evalyn                           - Senti... Non me la dirai mai una cosa che non pensi, vero?

Frankie                          - Perché te la dovrei dire?

Evalyn                           - È molto importante.

Frankie                          - Una bugia non la direi mai.

Evalyn                           - Una cosa che non pensi non me la devi dire mai.

Frankie                          - Va bene.

 Evalyn                          - È importante.

Frankie                          - Di' un po', ci sei stata davvero sul teatro?

Evalyn                           - Come?

Frankie                          - Hai detto che una volta facevi la...

Evalyn                           - Hai sentito o non hai sentito quello che ho detto? È molto importante...

Frankie                          - Si! Ho sentito! Non ti dovrò mai dire una co­sa che non penso! Va bene. Ho sentito. (Pausa. Alla fine lei sorride, con tristezza, gli accarezza il viso, si allontana da lui) Sicché, ci sei stata davvero?

Evalyn                           - Dove?

Frankie                          - Sul teatro. (Lei annuisce) Facevi proprio... co­me si dice?... una parte?

Evalyn                           - Non mi credi?

Frankie                          - Certo che ti credo. (Lei annuisce. Soggiungen­do) Hai detto che forse mi fai vedere qualcosa.

Evalyn                           - Si, te la farò vedere.

Frankie                          - Quando?

Evalyn                           - Bisogna che mi rimetta in esercizio.

Frankie                          - Hai già provato?

Evalyn                           - Dopo tanti anni che non faccio niente, pre­tendi che mi ci metta senza un po' di preparazione?

Frankie                          - E allora, dai.

Evalyn                           - Si.

Frankie                          - Su, avanti, subito.

Evalyn                           - Quando? Adesso?

Frankie                          - Avanti, su! Chissà quanto tempo è che ti pre­pari!

Evalyn                           - Si, ma ancora non va bene.

Frankie                          - Per me va benissimo.

Evalyn                           - (non molto decisa) No. (Pausa)

Frankie                          - Come vuoi. Non insisto.

Evalyn                           - Ma allora ci tieni proprio? (Lui la guarda, esa­sperato) E va bene. (Si avvia verso la camera da letto) Bada, però, che se avessi potuto studiare un pochino di più sarebbe stato meglio. (Va in camera da letto e prende nell'armadio l'astuccio del trombone)

Frankie                          - Vuoi aiuto?

Evalyn                           - No, voglio solo che tu non abbia troppe pre­tese.

Frankie                          - No, dicevo se vuoi che ti tiri giù le tapparelle delle finestre.

Evalyn                           - (affacciandosi tra la tenda che separa la cucina dalla camera da letto) Che cosa credi che faccia? (Tor­na all'astuccio del trombone, ne tira fuori lo strumento e vi soffia qualche suono a caso, come per scaldarsi; poi con lo spirito di chi suona una fanfara entra in cucina, attra­verso la tenda, tenendo alto il trombone senza suonarlo ma pronto per essere appoggiato alla bocca. Frankie ap­plaude) Dovrei essere vestita.

Frankie                          - Per me stai bene anche cosi.

Evalyn                           - Tutta di lamé oro. (Lui annuisce) Con le scar­pine di raso rosso.

Frankie                          - Bello.

Evalyn                           - Vengo al proscenio con la banda dietro. (In­dica con un gesto dove sta la banda) Prima, naturalmente, c'è la presentazione. Poi qualche gag, qualche scherzo sul­la banda, che sono dei pezzenti, eccetera. Poi il presenta­tore dice che vorrebbe dare inizio allo spettacolo con una vecchia canzone prediletta dal pubblico... Si dice sempre che una canzone scritta qualche anno prima è la predi­letta del pubblico... e attacca la musica dietro a me... (Lei accenna a bocca chiusa l'introduzione orchestrale, poi co­mincia a cantare. La canzone è "After you've gone", uno slow moderato. Dopo il primo ritornello lei alza il trom­bone e attacca il motivo molto vivace, a rataplan. Frankie si lascia trasportare dal ritmo e comincia a tamburellare con le dita sulla tavola; per fortuna, ha il senso del rit­mo e l'effetto non è brutto. Lei finisce con un fortissimo. L'applauso di Frankie è entusiasta e lei lo accoglie goffa­mente, e ringrazia un po' sul serio e un po' comicamente) Tanto per darti un'idea.

Frankie                          - Che schianto! Il tuo ritorno alle scene fareb­be epoca! (Si rendono improvvisamente conto che dall'ap­partamento di sopra qualcuno bussa: è dalle ultime battu­te del trombone che bussano, ma loro non se ne sono ac­corti. Fissano il soffitto; il rumore cessa di colpo)

Evalyn                           - La signora Schmidt preferisce di no. (Imba­razzata e un po' vergognosa si avvia verso la camera da letto)

Frankie                          - Una vera cannonata!

Evalyn                           - Ma ci vuole il vestito adatto.

Frankie                          - No, ho capito benissimo anche cosi.

Evalyn                           - Se fosse stato nel cinema, avrei avuto un'or­chestra invisibile di mille strumenti.

Frankie                          - Lo dico sul serio, sai? Sei un asso. (È da­vanti al frigorifero, e ne tira fuori una boccetta di birra; mentre l'apre si accorge che sopra al frigorifero c'è un li­bro. Lo prende in mano e ne studia il titolo nel momento in cui Evalyn torna dalla camera da letto) Questo che è? Poesie d'amore di John Donne. (Pronuncia il nome com'è scritto)

Evalyn                           - (cauta) Non son cose che t'interessano, dam­melo.

Frankie                          - Perché? che roba è?

Evalyn                           - Una raccolta di poesie. È chiaro, no? (Allunga una mano per prendere il libro)

Frankie                          - Chi è questo John Donne?

Evalyn                           - (correggendolo) Donn. L'è non si pronuncia, è inglese. Un poeta.

Frankie e Evalyn           - (all'unisono) È chiaro, no?

Evalyn                           - Dai qua, per favore. (Camminano lentamente per la scena; Frankie ha in mano il libro aperto)

Frankie                          - Perché? che sono tutti questi misteri? È un libro pornografico?

Evalyn                           - No, per carità, non c'è niente di male, è che non può interessarti. L'ho lasciato li sopra, cosi, per caso. Dai...

Frankie                          - Tu leggi un sacco di libri, vero? qua c'è sem­pre un libro in giro.

Evalyn                           - Su, avanti, dammi quel libro.

Frankie                          - (legge, stentato) "Guarda la pulce, pulcetta da niente, / Rubare lei può quel che negasti a me. / Prima succhiò me ora ha succhiato te, / ...".

Evalyn                           - Basta, te ne prego!

Frankie                          - "In questa pulce il sangue nostro s'è mischia­to, in lei è racchiuso adesso un gran segreto. / Non è pec­cato né vergogna, intatta hai ancora la tua verginità...". Un po' sporchetto, eh?

Evalyn                           - La vuoi smettere?!

Frankie                          - (volta pagina) "In verità mi chiedo che fa­cemmo tu ed io prima d'amarci. / Ancora addormentati succhiavano piaceri campagnoli, da neonati? / O con le lab­bra sbuffando..." (Smorza la voce, accorgendosi che lei è sul punto di piangere per la rabbia) Ma perché ti stranisci cosi?

Evalyn                           - Non sai neanche come va letto.

Frankie                          - Perché? non lo leggevo?

Evalyn                           - Lo sfottevi, non lo leggevi! Dovresti amarlo!

Frankie                          - Io non lo sfottevo per niente... Si vede che non so come va letto.

Evalyn                           - Sarà la prima volta che vedi una poesia.

Frankie                          - (semplicemente) No. A scuola ci facevamo leg­gere tante poesie. i7 Paradiso Perduto di Milton. Ho do­vuto perfino impararne dei brani a memoria. Vuoi sentire?

Evalyn                           - Grazie lo stesso.

Frankie                          - Va be', vuol dire che non so come si legge una poesia.

Evalyn                           - Bravo! non sai come si legge.

Frankie                          - (sfida affettuosa) E tu si, invece?

Evalyn                           - Io si.

Frankie                          - Chi te l'ha detto?

Evalyn                           - Certe cose si sanno fare o non si sanno fare, ecco tutto.

Frankie                          - Va bene. (Le porge il libro, aperto) Avanti, sentiamo. (Lei non si muove) Leggi.

Evalyn                           - Tu non mi credi mai.

Frankie                          - Lo dici sempre che io non credo a quello che dici tu. E invece ti credo. Voglio sentire la differenza. (Lei esita. Alla fine prende il libro, con apprensione, nel timo­re che lui la voglia canzonare. Poi comincia a leggere; e legge bene)

Evalyn                           - "In verità mi chiedo che facemmo tu ed io pri­ma d'amarci. Ancora addormentati succhiavam piaceri cam­pagnoli, da neonati? O con le labbra sbuffando dormivam tra i Sette Nani? Ma si, che il piacer del ricordo è fan­tasia."  - (Alza gli occhi dalla pagina e va avanti a memoria) "E se bellezza vidi e desiderai e presi, era sogno di te. Salutiam adesso l'anima nostra che si desta, l'un l'altro vigilando timorosa. Che ogni amor controlla ciò che l'altro sguardo ama, e un piccolo cantuccio fa d'ognidove."        - (Eva­lyn seguita a muovere la bocca, ma non declama più. So­no immobili, e Frankie l'osserva senza batter ciglio)

Evalyn                           - (cont.) Che gran sognatrice son io.

Frankie                          - Perché?

Evalyn                           - Una volta t'ho detto una bugia.

Frankie                          - Ah si?

Evalyn                           - Sono anche più vecchia di quello che t'ho detto.

Frankie                          - (dopo una pausa) Pazienza.

Evalyn                           - E t'ho amato, Frankie. (Aspetta che lui parli) Che stupida, eh?

Frankie                          - (alla fine) Per quel che sono io, si. Voglio di-90 re, non so perché amare proprio me.

 Evalyn                          - Non te lo dovevo dire, so che...

Frankie                          - Perché no?

Evalyn                           - Perché certe cose se si dicono, finiscono.

Frankie                          - Non finisce nulla.

Evalyn                           - Non basta essere amati, tesoro mio. Bisogna sapere che cosa farsene, dell'amore.

Frankie                          - Secondo te, che cosa me ne dovrei fare? (Lei si limita a sorridere, dolorosamente) Be', non guardarmi come se fossi un imbecille! Rispondi!

Evalyn                           - Ma non posso dirti che cosa te ne dovresti fare. Nessuno può dirlo. (Pausa. Lui ha capito) Sono stata buona con te, non è vero?

Frankie                          - Altro che.

Evalyn                           - T'ho dato tante cose.

Frankie                          - Te le restituisco tutte, sta' tranquilla.

Evalyn                           - A me? (Lui fa cenno di si) No... Le passerai a un'altra, semmai... e sarà lo stesso. (Pausa) È come quel gioco che facevo da bambina... o che fanno ancora all'o­steria: la Passatella. Questi col vino, noi con una parola o con un gesto. Si diceva o si faceva una cosa al bambino che ci stava accanto, e quello lo passava al vicino. Qualche volta era un complimento, qualche volta era un pizzicotto. In fondo, vivere è sempre un po' giocare.

Frankie                          - Da bambino, lo giocavo anch'io.

Evalyn                           - Giocalo ancora.

Frankie                          - (sorridendo) Basta che non sia un pizzicotto.

Evalyn                           - Anche un pizzicotto, anche un pugno, bisogna passarlo al vicino... Ti ricordi che m'hai chiesto perché proprio te e non un altro?

Frankie                          - Hai detto che non lo sapevi.

Evalyn                           - Già, ma so perché ho voluto che tornassi una seconda volta e tante altre volte ancora.

Frankie                          - Perché?

Evalyn                           - Ti sei mai accorto che spesso due persone si parlano in un certo modo che è come se parlassero con un'altra? Non è stato quasi mai cosi tra te e me. Ma ogni tanto nella vita qualcuno parla con me ma a un'altra per­sona. Si, parla. È una musica dolcissima, devi starla a sentire, per tutta la vita, sai? Stalla a sentire           - (Lo bacia con tenerezza) Adesso, vai, che è meglio.

Frankie                          - (sorride) Perché proprio adesso?

Evalyn                           - Vai, bamboccione, dammi retta. (Lei va nella stanza di soggiorno, prende la giacca di lui. Suona il te­lefono; lei alza il ricevitore e risponde) Pronto... Salve... Eh?... Un'altra volta? È almeno la terza in un mese. Sa­rebbe ora che te lo cambiassero, quel bidone... Allora, quan­do sarai a casa?... Tanto tardi?... Perché vuoi che vada al cinema? Si, lo so, ma l'ho già visto... ho visto anche quel­lo, ho visto tutti i films che ci sono qua attorno... Va bene-Si, t'aspetto qua. (Riaggancia e sembra stupirsi di avere ancora sul braccio la giacca di lui. Va in cucina, dove Frankie è in attesa. Si guardano a lungo e si ha l'impres­sione che lei poserà la giacca di lui e che lui si tratterrà ancora un poco con lei; ma lei gli va accanto porgendogli la giacca)

Frankie                          - Ti vedo domani?

Evalyn                           - Ti aspetto qua.

Frankie                          - Mi ami davvero? (Pausa)

Evalyn                           - Perché non porti la cravatta? Non puoi portare la cravatta, non puoi vestirti bene perché sei un operaio? (Lo abbraccia d'impeto; una pausa) Uno di questi giorni tu lo dirai e io no.

Frankie                          - Che cosa?

Evalyn                           - Dirai ti vedo domani e io no.

Frankie                          - Perché?

Evalyn                           - Ricordati quello che t'ho detto: ascolta la mu­sica e... passala a chi ti sta accanto. (Lui si stacca da lei, lentamente, e va alla porta; l'apre, guarda fuori sul piane­rottolo, poi esce, e chiude la porta. Lei va in camera da letto, si siede sul letto e prende la spazzola dei capelli. Comincia a spazzolarsi i capelli, piano piano)

Parte seconda

Festa Nazionale

Una mattina di luglio.

Sono stati fatti dei tentativi per rallegrare l'alloggio: nuove stoffe, nuove tende, piante fiorite; e alla finestra, delle « veneziane » invece della solita tapparella.

Sulla scena non si vede nessuno. Dopo un momento, si odono dei rumori attraverso la finestra aperta: piccoli botti secchi e ripetuti, come petardi; poi un fischio e lo

 scoppio d'un razzo, poi un botto isolato, più forte e di nuovo la serie di botti secchi, a ripetizione.

Silenzio.

Sam Daily viene dentro dalla finestra, calandosi dalla scala di ferro esterna. È un uomo tarchiato, poco più che quarantenne, a piedi scalzi, coi pantaloni e la canottiera. Ha il braccio sinistro ingessato dalle nocche al gomito; e una piccola fasciatura sulla spalla destra. È intorpidito, con gli occhi assonnati; guarda l'orologio della cucina, va alla porta del bagno, bussa, guarda dentro; poi va alla camera da letto, alza la tenda che la separa dalla cucina, e guarda se c'è nessuno; è solo in casa. Torna verso la fi­nestra, socchiude gli occhi per ripararsi dal sole del mat­tino, abbassa la « veneziana » per far ombra. Poi va al­l'acquaio, si versa un bicchier d'acqua, si sciacqua la boc­ca. Si ode il rumore d'una chiave nella serratura della porta; poi la porta si apre e Evalyn entra in casa. Ha vi­stosamente cambiato pettinatura. Ha due grossi sacchet­ti di vettovaglie, e il Daily News. Trova Sam sulla porta della cucina.

Evalyn                           - Ah, sei alzato! Buon Quattro Luglio! (Sam sputa nell'acquaio l'acqua che aveva in bocca. Lei gli passa davanti. Dal cortile sale il fracasso di nuove detonazioni. Sam si volta, tira su la « veneziana » e strilla nel cortile)

Sam                               - Basta con i botti ! Vogliamo dormire in pace, smet­tetela ! Basta, via! Via ! (Abbassa la « veneziana », non vi­sto da Evalyn che aspetta, di spalle, ansiosa, preoccupata dall'atmosfera chiaramente tesa. Sam va oltre lei, borbot­tando, senza guardarla, e sparisce nella stanza da bagno)

Evalyn                           - Ora ti preparo una colazione coi nocchi.

Sam                               - Che?

Evalyn                           - Dicevo. Ora ti preparo una colazione coi fiocchi.

Sam                               - Perché?

Evalyn                           - Cosi... perché mi va. È una ricetta speciale che ho trovato nel mio nuovo libro di cucina. Si chiama proprio « Colazione del Quattro Luglio ». Le uova strapaz­zate e la pancetta si presentano come una bandiera ame­ricana.

Sam                               - Prendo solo il tè.

Evalyn                           - Solo il tè?

Sam                               - Si.

Evalyn                           - Faccio presto. Sentirai che buono. Una spe­cialità !

Sam                               - (sulla porta del bagno, mentre s'infila la camicia) Solo tè. (Va in camera da letto. Delusa, lei va verso la finestra, tira su la « veneziana », fa entrare il sole. Butta una cartaccia nel secchio dei rifiuti che è in terra, e si ferma: ha visto che nel secchio c'è una bottiglia di whisky vuota, e la prende in mano. L'osserva attentamente, poi la lascia nuovamente cadere nel secchio, in fretta, perché Sam sta venendo dalla camera da letto. Lei va nella stanza da bagno mentre Sam si siede accanto alla tavola; sbatte gli occhi disturbato dalla luce, va a chiudere la « veneziana » e poi si rimette a sedere. Evalyn torna dalla stanza da bagno)

Evalyn                           - Come va il braccio?

Sam                               - Bene.

Evalyn                           - Ti prude molto?

Sam                               - Roba da matti.

Evalyn                           - Mi dispiace di non poter far niente...

Sam                               - Lo puoi grattare?

Evalyn                           - Come faccio a grattarlo?

Sam                               - E allora pazienza. (Lei l'osserva per un momento, poi si allontana di nuovo, va a tirar su la « veneziana » e passa nella stanza di soggiorno per mettere un libro sullo scaffale. La luce improvvisa disturba nuovamente Sam. Questi si alza, va adagio verso la finestra, afferra il cor­done con gran decisione e lo tira con tanta violenza che la « veneziana » si stacca dalla finestra e va in terra con gran fracasso. Evalyn torna rapidamente indietro, piroet­tando su se stessa. Dopo un momento di silenzio, parla con gran calma)

Evalyn                           - Giornataccia oggi, eh?

Sam                               - (furibondo) Che aveva la vecchia tapparella? Non potevi lasciarla dove stava?

Evalyn                           - Con questa entra più luce. Più sole. (Si siede di nuovo e con la mano cerca di proteggersi gli occhi dal sole che entra generoso)

Sam                               - Lo sai, no? che il sole della mattina non lo sop­porto.

Evalyn                           - E allora siediti da questa parte. (Gli indica il proprio posto dall'altra parte della tavola. Lui ci pensa un attimo, poi si alza e si siede voltando le spalle alla finestra. Lei si siede davanti a lui mentre lui spiega il gior­nale. Pausa)

Sam                               - (borbottando) Fatti vedere. (Alza gli occhi, la guarda, finalmente: lei si tocca i capelli, sorridendo)

 Evalyn                          - Bene?

Sam                               - Bene, bene. (Pausa)

Evalyn                           - Non dici altro?

Sam                               - Che diavolo t'è preso, si può sapere?

Evalyn                           - Mi chiedi solo che cosa m'è preso?

Sam                               - Che vuoi che dica? Son rimasto a bocca aperta, questo si. Ma è carino, ti sta bene.

Evalyn                           - Ecco, aspettavo che mi dicessi questo. Mi so­no alzata all'alba per farti la sorpresa quando ti svegliavi. Però, non è che ti piace molto, di la verità.

Sam                               - E come no? È...

Evalyn                           - Tanto per cambiare un po', non ti pare? Era tanto tempo che non cambiavo pettinatura. La varietà è il pepe della vita, non trovi?

Sam                               - Sai, ci vorrà un po' prima che mi abitui. Sei tutt'un'altra cosa.

Evalyn                           - (con speranza) Ah si?

Sam                               - Già.

Evalyn                           - Sto meglio?

Sam                               - Che vuoi dire, meglio?

Evalyn                           - Si, come si dice... mi dona... più sexy.

Sam                               - Be', si.

Evalyn                           - Una volta dicevi che la donna bionda è più sexy della bruna.

Sam                               - È vero, ma il colore dei capelli non basta, ca­pirai...

Evalyn                           - (rigida) Capisco.

Sam                               - Te la sei fatta da sola?

Evalyn                           - Mi son alzata all'alba. Ho pensato che fosse divertente cominciare la giornata cosi. Eh già.

Sam                               - Ma è carino, sai? mi piace.

Evalyn                           - Già.

Sam                               - Ma che t'aspettavi? che ti sbattessi giù sul pavi­mento della cucina, tutt'a un tratto, solo perché hai cam­biato pettinatura?

Evalyn                           - Son passati quei tempi. (Va in camera da let­to) Sai che ti dico? Non vedo l'ora che ti guarisca quel braccio cosi torni a lavorare. Non è bene né per te né per me che tu ciondoli per casa dalla mattina alla sera.

Sam                               - Senti, cara, se ti sei stancata di avermi tra i pie­di, dillo chiaro perché ci sono tanti posti dove posso an­dare, e essere ben accolto. Tanti.

Evalyn                           - Non ne dubito.

Sam                               - Che vuoi dire?

Evalyn                           - Lo sai quello che voglio dire.

Sam                               - Sarà una delle tue solite cattiverie.

Evalyn                           - O insinuazioni.

Sam                               - Ma è possibile che cominci a farmi lambiccare il cervello di prima mattina? Cristo santo! (Pausa. Lei torna in cucina)

Evalyn                           - Ma via, Sam, ci vuol tanto a star tranquilli... Basterebbe un po' di gentilezza, qualche parola carina. Non dico che possiamo essere ragione di vita o di morte l'uno per l'altro, ma possiamo almeno non darci fastidio. Giusto?

Sam                               - Che vuol dire essere ragione di vita o di morte l'uno per l'altro? (Pausa. Lei si stringe nelle spalle, scrolla il capo)

Evalyn                           - Quando ci devi andare dal dottore?

Sam                               - Domani.

Evalyn                           - Credevo oggi.

Sam                               - Oggi è festa.

Evalyn                           - Però sono convinta che dovrebbero decorarti al valor civile; o che so io.

Sam                               - Basta che sia venuto sul giornale, no? Vuoi che mi diano anche una medaglia?

Evalyn                           - Ridillo un po' com'è andata.

Sam                               - Che cosa?

Evalyn                           - La tua avventura. Ridillo un po'.

Sam                               - Ma via, sai quante volte te l'ho già raccontata?

Evalyn                           - Mi piace sentirtelo dire. Avanti, Sam. Raccon­ta. Ti prego. (Pausa. L'attenzione di Sam resta fissa sul giornale mentre riferisce la sua avventura in tono piatto e indifferente)

Sam                               - Erano le due del mattino. Facevo il turno di notte. Sale un cliente. Mi dà un indirizzo di Avenue A. Al­la seconda traversa mi appoggia un coltellaccio sotto l'orec­chio e mi ordina di fermare e di dargli i soldi. Mi fermo, mi volto per dargli i soldi e lo piglio nel petto. Lui mi ficca il coltello nella spalla. Salta giù dallo sportello di dietro. Io salto giù dallo sportello davanti. Lui mi sbatte lo spor­tello di dietro sul braccio. Il braccio mi si spezza. Lui si mette a correre. Io gli salto addosso e gli spezzo tutt'e due le braccia. Grido aiuto. Accade il miracolo: c'è una guardia nei paraggi. Porta in galera quel tizio. Fine.

Evalyn                           - Chissà perché danno premi e medaglie a chi salva la vita degli altri, e non danno niente a chi salva la propria. Te lo sei mai domandato?

Sam                               - No, cara, mai, ma ti prometto che me lo do­manderò.

Evalyn                           - Perché sei tanto scontroso?

Sam                               - (ci pensa sopra un momento, poi con un vago im­barazzo) Non lo so. (Lei accende la sigaretta con la cic­ca di quella che ha appena finito di fumare)

Sam                               - (cont.) Lo sai che fumi troppo?

Evalyn                           - Si.

Sam                               - Sarà per questo che hai sempre i nervi.

Evalyn                           - Credi?

Sam                               - Non ci sarebbe da meravigliarsi. (Lei ha vuotato uno dei sacchetti di vettovaglie. Durante il dialogo se­guente vuota il secondo, e lava la frutta e la verdura cha conteneva. In uno dei sacchetti mette i rifiuti: pezzetti di carota, foglie marce della lattuga, del cavolo, eccetera. La verdura pulita e lavata la mette nel primo sacchetto che ha vuotato)

Evalyn                           - Sam... Guarda, Sam... (Sam alza gli occhi e vede che lei si tiene ritto sulla testa un gambo di sedano)

Sam                               - Smettila, vaia.

Evalyn                           - Avanti, dillo... Dillo.

Sam                               - (senza tono) Oè, signora, le sta crescendo un gam­bo di sedano sulla testa.

Evalyn                           - Davvero? Che strano, avevo piantato il ra­barbaro.

Sam                               - Oh Dio...

Evalyn                           - Sam... che hai fatto stanotte quando sei uscito dal letto?

Sam                               - (ovvio) Sono andato a dormir fuori.

Evalyn                           - Ma subito, appena alzato.

Sam                               - Non lo so, forse sono rimasto un momentino di qua.

Evalyn                           - A far che?

Sam                               - Niente. A pensare.

Evalyn                           - Cosi, senza far altro?

Sam                               - Si.

Evalyn                           - Il sole la mattina ti fa male agli occhi soltanto se la notte hai bevuto.

Sam                               - Si, avrò bevuto un paio di whisky.

Evalyn                           - La bottiglia sta nella spazzatura, ma ieri se­ra era mezza piena.

Sam                               - Benissimo! Mi sono sbronzato! Contenta? Ecco che cosa guadagna chi va a frugare tra la spazzatura.

Evalyn                           - Hai detto una sciocchezza.

Sam                               - Ma tu che vorresti? Farmi passare per un al-coolizzato? E poi qua dentro si dorme male perché fa caldo e per di più tu russi. (Pausa)

Evalyn                           - Sta male dire certe cose a una donna, la metti in imbarazzo. E poi che colpa ne ho, io? Ho una de­viazione del setto nasale, è una malformazione.

Sam                               - Non ci piangere, Evi, per carità... Accidenti, hai preso il vizio di piangere anche se ti casca un capello. (Tra le lacrime, Evalyn chiude i due sacchetti, quello con i ri­fiuti e quello con la frutta e la verdura già pronte. Apre il frigorifero e mette uno dei sacchetti sulla mensoletta su­periore; poi va alla porta con l'altro sacchetto e lo mette in terra sul pianerottolo. Sam la guarda. Lei torna all'ac­quaio) Se non sbaglio, hai messo l'immondizia nel frigo­rifero.

Evalyn                           - Come?

Sam                               - Dacci un'occhiata, non vorrei che tu me la ser­vissi a pranzo. (Lei apre lo sportello del frigorifero, tira fuori il sacchetto, lo apre, va alla porta, lo mette sul pia­nerottolo, ritira quello che ci aveva messo prima e ripone questo nel frigorifero)

Sam                               - (cont.) Scusa, sai?, per la spiritosata di prima. Certo, perdio, se avessi il setto nasale deviato russerei anch'io. E poi, siamo giusti, chi ho sposato, io? Un setto nasale o una donna?

Evalyn                           - Adesso, però, basta.

Sam                               - Scherzavo. (Lei lo guarda fisso) Davvero. (Lei ammicca, più calma) Lo sai che scherzo sempre.

Evalyn                           - Aspettavo tu tirassi fuori la solita Battaglia dei Sessi.

Sam                               - Bisogna riconoscerlo, è una battaglia che dura da...

Evalyn                           - Non ho ancora capito perché ripeti sempre la stessa cosa: la battaglia è finita, hanno vinto gli uomini. (Va alla tavola con una tazza di tè e si mette a sedere. Sam si è nuovamente tuffato nel giornale. Lei prende un tovagliolino di carta, lo spiega e, poi, adagio adagio, senza badare a quello che fa, ne strappa via una prima striscio-lina; poi una seconda; e cosi di seguito, mentre...) La si­gnora di sopra ha un cancro.

Sam                               - Ah si? Hai altre buone notizie da darmi?

Evalyn                           - Me l'ha detto il marito. Lei ancora non lo sa, dunque non dire niente.

Sam                               - Mi dispiace, era simpatica quella signora.

Evalyn                           - Sai che dovresti fare?

Sam                               - No...

Evalyn                           - Un po' più di sport... Perché non giochi a golf?

Sam                               - A golf?

Evalyn                           - Si, il moto fa molto bene alla salute. (Pausa. Sam la fissa, sibillino)

Sam                               - Sei sicura che non ti dà di volta il cervello? Co­minci a farmi paura.

Evalyn                           - E allora come non detto. Non ci pensare.

Sam                               - Magari.

Evalyn                           - Al golf?

Sam                               - Non ci pensare. (Soggiunge) Al golf, naturalmen­te. Perdio. Dimmi una cosa, per piacere: ti sembro un tipo da golf?

Evalyn                           - Che c'entra? Pensi che un autista di piazza possa solo giocare a bocce? Ci sono tanti sport più carini. A bocce giocano tutti.

Sam                               - Proprio per questo gioco a bocce. Certe persone sono tutti, altre sono qualcuno. Tu cerchi un qualcuno. Rassegnati una buona volta, e sarai mille volte più fe­lice. Perché vuoi sempre cambiare il prossimo?

Evalyn                           - Io?

Sam                               - Si, tu. Cerchi sempre di trasformarlo in quello che non è.

Evalyn                           - Alle volte è necessario.

Sam                               - Prima volevi che lavorassi in banca. Te lo ricor­di? È roba di tanto tempo fa. Poi hai pensato che dovevo occuparmi di pubblicità. Adesso vuoi che giochi a golf. Come quei signori di sopra, sempre a dirgli che dovevano viaggiare, vedere tutta l'America, proprio perché non sono mai usciti da New York City. Non parliamo poi del tor­mento che dai a quella poveraccia di tua madre.

Evalyn                           - (prende il giornale) Va bene, Sam, ho capito.

Sam                               - Ha sessantacinque anni, e vuoi che si metta a di­pingere.

Evalyn                           - C'è una pittrice famosa che s'è messa a di­pingere a ottant'anni suonati!

Sam                               - È un'eccezione.

Evalyn                           - Come fai a sapere che era un'eccezione? Que­sto voglio dire, capisci?

Sam                               - Quello che vuoi dire, io non lo capisco.

Evalyn                           - Insomma, io non voglio affatto trasformare la gente in quello che non è.

Sam                               - Ah no?

Evalyn                           - No, perché non si può sapere che cos'è.

Sam                               - La gente, cara mia, è quello che è. Io guido un tassi, punto e basta. Tu governi una casa, punto e basta.

Evalyn                           - No. Io penso che tanta gente potrebbe fare delle cose importanti.

Sam                               - Quando facevo le elementari la maestra mi disse che sarei potuto diventare Presidente degli Stati Uniti d'America. Ma non lo sono diventato. Punto e basta.

Evalyn                           - Vedo che non mi capisci. Voglio dire, quan­do mi vedi non pensi mai che avrei potuto essere qual­cos'altro?

Sam                               - Per esempio, concertista di trombone.

Evalyn                           - Oh, Sam!

Sam                               - E allora che cosa?

Evalyn                           - E allora? e allora? Che c'entra! Qualcosa... non so... qualcosa di meglio.

Sam                               - Nessuno è meglio d'un altro. (Fa schioccare le dita, indica il giornale. Lei lo guarda, glielo porge)

Evalyn                           - Hai mai pensato di leggere il New York Ti­mes?

Sam                               - Per la precisione: ci ho pensato una volta.

Evalyn                           - E allora?

Sam                               - Dopo mezzo minuto l'ho buttato via.

Evalyn                           - (sospira) Qualche volta penso che avrei fatto meglio a seguire il consiglio di mia madre.

Sam                               - Cioè? (Nessuna risposta) Che t'aveva consigliato?

Evalyn                           - Di farmi monaca!

Sam                               - Questa poi, questa poi è bella.

Evalyn                           - Si, si, ma per tua fortuna non ho mai avuto questa vocazione. Tante donne sposate hanno tendenza ad andare in convento!

Sam                               - A andare dove?

Evalyn                           - In convento.

Sam                               - Scusa, cara, ma non capisco niente. Del resto, non è la prima volta.

Evalyn                           - Voglio dire che molte donne sposate sono piut­tosto avare dei loro favori.

Sam                               - Come lo sai? hai fatto indagini?

Evalyn                           - Si parla.

Sam                               - Chi?

Evalyn                           - Le mie amiche e io. Resteresti a bocca aperta se sapessi come stanno le cose.

Sam                               - Vuoi dire che vi mettete sedute in circolo e par­late della nostra vita sessuale?

Evalyn                           - Che male c'è? è un argomento interessantis­simo.

Sam                               - Ma anche molto riservato.

Evalyn                           - Si, però non sai come sei fortunato. Tua mo­glie è molto diversa dalle altre.

Sam                               - Ah si? in che cosa?

Evalyn                           - Forse t'interesserà sapere che io sono, a quan­to pare, molto meno... inibita di tante donne sposate.

Sam                               - Ma va'?!

Evalyn                           - Figurati, quando ho riferito che tu ed io, nei primi quattro anni di matrimonio, facevamo l'amore qua­si tutte le sere, ancora un po' svenivano, dalla prima al­l'ultima.

Sam                               - Io domando e dico se son discorsi da farsi in pubblico !

Evalyn                           - Una di loro m'ha chiesto come ho fatto a sop­portarti. Allora ho detto che secondo me da quando mondo è mondo il posto naturale della donna è sotto l'uomo che ama.

Sam                               - Ci saran rimaste secche. (Pausa)

Evalyn                           - Io non ti do più gusto, vero, Sam?

Sam                               - Che vuoi dire?

Evalyn                           - Beh, ieri sera, per esempio... Neppure dopo tanto tempo. Perché, si, ne passa del tempo tra una volta e l'altra.

Sam                               - Lo so.

Evalyn                           - Poi, alla fine, ti saltano i nervi, e vai a dormire sulla scala di sicurezza. (Sam apre la bocca per parlare) Va bene, va bene, siamo in piena estate, e fa caldo. Ti ri­cordi quando facevamo l'amore prima di cena? Ti ricordi? (Lei aspetta) Non te lo ricordi più?

Sam                               - Le cose cambiano, cara mia.

Evalyn                           - Perché?

Sam                               - Come?

Evalyn                           - (atta finestra) Perché cambiano? (Un'altra se­rie di botti: lei chiude la finestra, rabbiosa, con un colpo secco) Questi botti mi fanno diventar matta!

Sam                               - (dopo una pausa, pronto) Ci farà un po' caldo qua dentro con la finestra chiusa, non credi? (Lei riapre la finestra)

Evalyn                           - Tu, sogni mai?

Sam                               - Io, che cosa?

Evalyn                           - Sogni mai? Quando dormi. (Prende un tovagliolino di carta e comincia a farne tante striscioline)

Sam                               - Si che sogno. Tutti sognano.

Evalyn                           - Che cosa?

Sam                               - Io?

Evalyn                           - Si.

Sam                               - Per esempio... sogno che qua c'è stata una guerra atomica, e che per uno strano caprìccio del destino tutte le donne di questo mondo si sono salvate ma io sono l'unico uomo rimasto.

Evalyn                           - Ma via, figuriamoci!

Sam                               - Solo il lunedi, mercoledì e venerdì. Il martedì, giovedì e sabato...

Evalyn                           - Smettila, su!

Sam                               - Il martedì, giovedì e sabato sogno che bussano alla porta di casa, io vado a aprire e ci trovo quella bella diva italiana, non faccio nomi, bagnata zuppa dalla pioggia che cerca di ripararsi in un posto asciutto. La situazione ha degli sviluppi piuttosto interessanti.

Evalyn                           - Oh, Sam, ti prego!

Sam                               - Questo dal lunedi al sabato. Quello che sogno la domenica non te lo posso neppure raccontare.

Evalyn                           - Come sei carino quando scherzi cosi.

Sam                               - Ma tu perché vuoi sapere quello che sogno io?

Evalyn                           - Perché i sogni di una persona sono molto si­gnificativi, non lo sapevi?

Sam                               - Veramente no.

Evalyn                           - Certo. Sono indicativi della vita reale. (Un breve silenzio. Sam la fissa)

Sam                               - Mi sa che hai letto un altro libro.

Evalyn                           - Come sei sarcastico. Si, a dir la verità uno dei libri che sto leggendo ora si chiama « L'interpreta­zione dei sogni secondo Sigmund Freud e... »

Sam                               - Lui si, l'avevo già sentito nominare.

Evalyn                           - Che ne sai?

Sam                               - Tante cose.

Evalyn                           - Scusa se te lo dico, ma non ti puoi permettere di riderne. Nel suo genere, è un grand'uomo.

Sam                               - Io mi meraviglio soltanto che ti lascino prendere certi libri dalla biblioteca.

Evalyn                           - L'ho comprato al Supermercato per mezzo dollaro. Ho preso anche « Voi e i vostri sogni », non ricordo chi l'ha scritto. È un libro molto istruttivo. Tu, per esempio, lo sapevi che il carro dei pompieri quand'è rosso vuol dire sesso?

Sam                               - È buffo sentirlo dire da te.

Evalyn                           - Perché?

Sam                               - È quello che sogno la domenica.

Evalyn                           - Ma via, Sam, non sto mica scherzando.

Sam                               - E come no?! Il carro dei pompieri. Cristo santo. (Va verso la stanza da bagno)

Evalyn                           - Va bene, come non detto.

Sam                               - Magari!

Evalyn                           - Tu, però, mi dovresti dire una cosa... Me la dici? (Lei aspetta che lui le dia retta) Me, mi sogni mai?

Sam                               - Non ricordo quello che sogno. Perché?

Evalyn                           - Niente, cosi. Mi piacerebbe essere sognata. Ma tu non mi sogni mai, vero?

Sam                               - Lo sai qual'è il tuo male?

Evalyn                           - (senza tono) No, dimmelo.

Sam                               - Tu vorresti sempre entrare... dentro agli altri. Chiedi a tutti che cosa ne pensi, che effetto ti fa, che te ne pare di questo, che te ne pare di quello.

Evalyn                           - Devo essere una peste.

Sam                               - Adesso vuoi entrare nei miei sogni.

Evalyn                           - E invece dovrei starmene decisamente fuori, vero?

Sam                               - Brava! Non lo sai che la gente ha i suoi segreti? Ha dei... posticini privati? che non riguardano nessuno? È semplicissimo, non so perché non ti riesce di capirlo.

Evalyn                           - Sono proprio i « posticini privati » che con­tano.

Sam                               - La gente vuol essere lasciata in pace.

Evalyn                           - No, non è vero. E poi, non parliamo della « gente », parliamo di te.

Sam                               - Che vuoi dire, parliamo di me? Tu parli di me, io non parlo di me. Anzi, hai una bella fortuna a cavartela cosi a buon mercato. Hai molto... si, hai un certo fascino, e te la cavi sempre bene, ma uno di questi giorni trovi chi ti sputa in un occhio e ti dice di non impicciarti dei fat­ti suoi.

Evalyn                           - C'è chi l'ha già fatto.

Sam                               - Ah si? Chi?

Evalyn                           - Uno dei ragazzi che sta in questa casa. M'ha detto di non impicciarmi dei fatti suoi. Non m'ha sputato in un occhio, questo no, ma forse dovrei essergli grata per avermi fatto questa concessione.

Sam                               - (con orgoglio) Bene, cosi hai capito quello che voglio dire. (Pausa)

Evalyn                           - Accidenti, però, qualche volta sei proprio un bestione. (Pausa)

Sam                               - (controllandosi) Come, un bestione? Lo dici spesso. Che cosa vuol dire bestione, per te?

Evalyn                           - Non lo so.

Sam                               - Tutto sommato non credo che tu conosca un altro bestione il quale abbia per antenato un re. È un par­ticolare, ma bisogna tenerne conto. E tu lo dimentichi spes­so. Chissà, poi, se ci credi.

Evalyn                           - Sai bene che ci ho sempre creduto.

Sam                               - Ho scoperto anche un'altra cosa. Ma tu te ne in­fischi.

Evalyn                           - Non è vero. Dimmela.

Sam                               - È inutile, tanto non t'interessa.

Evalyn                           - Perché dici cosi? Ti assicuro che m'interessa.

Sam                               - Beh, se vuoi... Dunque, stavo parlando con un ragazzino giù al garage, ogni tanto lavora con noi, ma fa l'attore. Ha recitato a Broadway in tre commedie. Cosi, parlando, gli ho detto che ero un discendente diretto di Re Carlo Sesto di Francia e sai che m'ha detto? che Re Car­lo Sesto di Francia sta anche in una tragedia di Shake­speare.

Evalyn                           - Shakespeare? Mai sentito nominare!

Sam                               - Ma allora lo fai apposta? Hai detto che t'inte­ressava.

Evalyn                           - Certo che m'interessa. Scherzavo. E allora?

Sam                               - Tutto qui.

Evalyn                           - Ah.

Sam                               - Però quella tragedia l'ho letta.

Evalyn                           - Ma va'!

Sam                               - Si. È l'Enrico Quinto. E c'è anche Re Carlo Sesto. È molto bella, m'è piaciuta, che tu lo creda o no. (Pausa. Evalyn è sbigottita) Dico sul serio. E tu non fare storie.

Evalyn                           - Non ho fiatato.

Sam                               - Ecco, m'ha interessato molto.

Evalyn                           - Di un po', ne hai lette altre? di opere di Sha­kespeare?

Sam                               - (con tono poco consiliante) No, non ne ho lettealtre. Non ne farai mica una questione di stato, vero?

Evalyn                           - Me ne guardo bene... Ma in un certo senso è peccato... Il « Macbech », per esempio, credo che t'inte­resserebbe. C'è una moglie che non si contenta di quello che è.

Sam                               - Mi basta la mia, non vado davvero a cercare quelle degli altri.

Evalyn                           - Non si sa mai. Potrebbe venirti voglia di leg­gere qualcos'altro di suo...

Sam                               - Non c'è perìcolo.

Evalyn                           - Aspetta. Non dirlo. Alle volte certi interessi nascono per caso...

Sam                               - Ti ho già detto di non farne una questione di stato, va bene?

Evalyn                           - Si si. Dicevo solo che...

Sam                               - Ti garantisco che in vita mia non leggerò mai più una riga di Shakespeare. Soddisfatta?

Evalyn                           - Lo fai per farmi dispetto. È sciocco.

Sam                               - Non puoi pretendere che la gente sia quello che tu pensi dovrebbe essere!

Evalyn                           - (subito, a se stessa) Quello che potrebbe essere.

Sam                               - Se tu passi le giornate con un libro in mano o in giro per i musei, non significa che io sono un deficiente!

Evalyn                           - Non ho mai detto una cosa del genere.

Sam                               - Non dici sempre quello che credi di dire.

Evalyn                           - Hai ragione. Scusa. (Pausa) Un discendente diretto di Re Carlo di Francia. Ci credo. Qualche volta si stenta a crederlo, ma io ci credo... Hai pensato a questo, stanotte, fino alle tre? Al tuo sangue reale?

Sam                               - (guardandola bene in faccia) Se proprio lo vuoi sapere, pensavo al bambino.

Evalyn                           - (dopo una pausa) Ah.

Sam                               - Vuoi che ti dica perché ci pensavo?

Evalyn                           - No.

Sam                               - Eh già. Tu vuoi sapere quello che penso solo se ti fa comodo, va bene?

Evalyn                           - No, Sam. È morto da troppi anni per pensarci ancora. Ormai, a che serve pensarci?

Sam                               - Brava. Ma conservi quello stupido album grosso cosi, per una sola fotografia... e poi dici che non ci pensi.

Evalyn                           - Ma per me non è tanto brutto pensarci.

Sam                               - Perché non sei stata tu ad ammazzarlo.

Evalyn                           - Non dire questo.

Sam                               - Perché no? Tu l'hai detto per un pezzo.

Evalyn                           - È molto tempo che ho smesso di dirlo.

Sam                               - Dovevi smettere prima. Si, perché hai fatto in tempo a convincermi.

Evalyn                           - Perdonami... Non ne parliamo mai più, va be­ne? (Pausa)

Sam                               - Sai che cosa penso? Penso che le cose sarebbero diverse. Tra te e me. Se avessimo ancora il bambino. Non credi?

Evalyn                           - Non so.

Sam                               - È più o meno quello che pensavo stanotte. Anzi, ti dirò una cosa... Vuoi che ti dica una cosa?

Evalyn                           - Dipende...

Sam                               - È una cosa che ti farà saltar per aria. Una cosa che non te la immagini nemmeno.

Evalyn                           - Davvero?

Sam                               - So perché l'hai chiamato Alan.

Evalyn                           - Ah si?

Sam                               - L'ho sempre saputo. Con tutte le storie che fa­cevi ogni volta che vedevi un film con Alan Ladd, appena ci è nato un maschietto l'hai voluto chiamare Alan. Chia­ro, no? Non sono mica un cretino, sai?

Evalyn                           - Non t'è dispiaciuto, no?

Sam                               - Si, m'è dispiaciuto... Ma che diavolo, con tutto il fastidio che m'ha dato, da quando sono al mondo, chia­marmi Sansone, volevi che chiamassi cosi anche mio figlio? Figuriamoci! Del resto, per com'è andata a finire, poteva anche chiamarsi Sansone!            - (Pausa)

Evalyn                           - Son cose tanto vecchie.

Sam                               - Come le altre, no?

Evalyn                           - Senti, Sam...

Sam                               - Sai qual'è stato il male? Sono stato rilasciato troppo presto. Non dovevo essere assolto.

Evalyn                           - Smettila, Sam.

Sam                               - Mi faccio il processo da solo. Sapessi quante volte me lo son fatto! Ti meraviglia, vero? Ma solo quand'ho bevuto. Si, si, è come un film. Un tizio con un vestito da duecento dollari e un fiore all'occhiello mi chiede se ho portato mio figlio, di anni tre, alla piscina pubblica. Gli dico di si. E lui, allora. Per insegnargli a nuo­tare? Gli dico Si, appunto. E lui, insistendo. Ce l'ha messo lei nell'acqua? Io dico si. E lui. Risponda Si l'ho messo io nell'acqua! E io Si, l'ho messo io nell'acqua.

Evalyn                           - Sam...

Sam                               - E lui Gli ha voltato le spalle? Li per li non rispondo e tutti stanno zitti, tutta l'aula è in silenzio, allora lui ripete Gli ha voltato le spalle? Risponda alla domanda! Si! Dico io, si! Ed è annegato? è annegato?... Si, è an­negato. (Pausa. Piange in silenzio) Lo senti il bestione? (Evalyn gli si avvicina, sta per toccarlo, ma si ferma. Pausa) Perché non la piantiamo?

Evalyn                           - Di far che cosa?

Sam                               - Questo.

Evalyn                           - (dopo una pausa) Vuoi?

Sam                               - Sarebbe una buona idea, pensavo.

Evalyn                           - (con semplicità) Perché sei rimasto mio ma­rito?

Sam                               - Come faccio a rispondere?

Evalyn                           - Insomma, hai detto Perché non la piantiamo? Sarebbe una buona idea, pensavi. E allora mi domandavo perché no. Piantala.

Sam                               - E tu no? (Pausa. Lei si siede)

Evalyn                           - Devo dirti una cosa. (Prende un tovagliolino di carta e lo fa in tante striscioline) Credi che una persona possa amare qualcuno... senza saperlo? Voglio dire... che pensi di non amare una persona che invece ama?

Sam                               - Non lo so.

Evalyn                           - Perché una volta... per qualche tempo ho cre­duto di non amarti più. Forse era proprio cosi, non lo so.

Sam                               - Non lo sai? Eppure certe cose si devono sa­pere, no?

Evalyn                           - Si dovrebbero sapere.

Sam                               - E allora che cos'hai deciso?

Evalyn                           - Non è questo, no. Volevo dirti una cosa.

Sam                               - Che sei stata a letto con un altro? (Pausa)

Evalyn                           - (calma, cauta) Perché dici una cosa del genere?

Sam                               - M'è venuto in mente a sentirti dire Sam, voglio dirti una cosa.

Evalyn                           - Non sapevo che pensassi certe cose di me. Eppure le pensi, eh?

Sam                               - Ognitanto mi passano per la testa.

Evalyn                           - No, non è questo che ti volevo dire.

Sam                               - Meno male, perché non m'avresti mai più rivisto lo sai, vero? Se l'avessi fatto.

Evalyn                           - Si, lo so.

Sam                               - Va bene.

Evalyn                           - Quello che ti volevo dire è che ti amo. (Lui aspetta, pensa che ci sia dell'altro) È molto tempo che non te lo dico. Come ti spiegavo, per un po' ho per­fino pensato di no. Ma invece si. Tu sei mio marito e io ti amo. Te lo volevo dire. Ora che lo so di nuovo con certezza.

Sam                               - Forse lo pensi. Come pensavi il contrario.

Evalyn                           - Devi credermi sulla parola. Sai per quale mo­tivo non voglio piantarla? Perché ti amo, solo per questo... Suppongo che il tuo motivo sia un altro.

Sam                               - Vuoi sentirla la mia filosofia? Dopo dieci anni che sono sposati, marito e moglie non dovrebbero più chiedersi se si amano. A meno che cerchino rogna.

Evalyn                           - È una bruttissima filosofia, almeno per me.

Sam                               - Sai perché pensi cosi?

Evalyn                           - (secca) No, perché?

Sam                               - Perché sei molto romantica. Ma lo sai che cosa succede in questo mondo alle persone romantiche?... Lo sai?

Evalyn                           - Qualcosa di orrendo, ci giurerei.

Sam                               - Si fanno mettere i piedi addosso. E lo sai per­ché si fanno mettere i piedi addosso? Perché il loro at­teggiamento... non è... come dire?... non è realistico. (Pausa)

Evalyn                           - Non avevo mai saputo che fossi filosofo.

Sam                               - È la verità, pensaci e vedrai che ho ragione.

Evalyn                           - Una volta, però, non la pensavi cosi.

Sam                               - (come se fosse una virtù) Sempre. Io sono tutto d'un pezzo, non cambio mai.

Evalyn                           - Quando eravamo appena sposati dicevi spesso delle cose romantiche. Forse te ne sei scordato. Può ca­pitare a tutti. È facile dimenticare quello che si era, come si era una volta. Ma si trova sempre chi se ne ri­corda. Io, per esempio, ricordo tutto. Adesso ti sei con­fuso, perché...

Sam                               - Confuso! Confuso, io? Non sono affatto confuso!

Evalyn                           - Va bene, va bene, va bene. (Pausa. Sam, scrol­lando il capo, si avvia verso la stanza da bagno, borbot­tando) Si, l'idea l'hanno presa dalla gente, non c'è dubbio. Lo sai come funziona una bomba atomica?

Sam                               - (dal bagno) Che?

Evalyn                           - L'idea l'hanno presa dalla gente.

Sam                               - Che?

Evalyn                           - L'idea della bomba atomica. Sai, la bomba atomica è fatta cosi: dentro, la roba che scoppia è in due pezzi divisi, e finché stanno separati va tutto bene, non succede niente. Ma se si uniscono, quelle due parti for­mano quella che si chiama una... massa critica. Lo sapevi? E allora la bomba scoppia. Solo se le due parti si uni­scono. Pam! Una catastrofe!

Sam                               - E questa bella cosina dove l'hai imparata?

Evalyn                           - In una rivista che stava nell'anticamera del dottore, ma rende l'idea, vero? Proprio come certa gente. Finché stanno uno qui e uno li, va tutto bene. Ma poi (batte le mani una contro l'altra) Pam! La catastrofe! Giusto?

Sam                               - (s'affaccia sulla porta, con un asciugamano al collo, mezza faccia insaponata e un barattolo di crema da barba in una mano) Che hai detto?

Evalyn                           - Ho detto finché stanno uno qui e uno li...

Sam                               - Nell'anticamera di che dottore? Stai male?

Evalyn                           - (dopo una pausa) Ho detto questo?

Sam                               - Stai male?

Evalyn                           - (evasiva) No.

Sam                               - E allora com'hai fatto a leggere della bomba ato­mica nell'anticamera d'un dottore?

Evalyn                           - Beh, sai, mi son fatta fare una visita di con­trollo. Ero un po' esaurita, sai com'è, allora...

Sam                               - No, non so niente.

Evalyn                           - Be', si, sono andata. Per un controllo.

Sam                               - E cosi?

Evalyn                           - Basta. Tutto qui.

Sam                               - Non hai niente, no?

Evalyn                           - No, niente, sto bene, sana come un pesce.

Sam                               - Stai bene.

Evalyn                           - Perfettamente bene.

Sam                               - E cosi ci hai rimesso quanto? Una quindicina di dollari?

Evalyn                           - Come, rimesso? Vuoi dire che se mi avessero trovato il beri-beri o che so io, sarebbe stato giusto aver speso quindici dollari?

Sam                               - Non so neanche che cos'è il beri-beri.

Evalyn                           - È una malattia tropicale, ecco che cos'è.

Sam                               - E si prende a New York City?

Evalyn                           - Ma via, lo dicevo per darti un esempio! Oh che bestione sei qualche volta.

Sam                               - (ruggendo) Smettila di chiamarmi cosi! (Afferra la spalliera di una sedia) Non sai dir altro! Non sono un bestione! (Solleva la sedia, la scaraventa sulla tavola; la sedia va in frantumi. Silenzio. Lui butta in terra il pezzo di sedia che gli è rimasto in mano. Silenzio) Non sono mica un pezzo di legno. Certe cose fanno male anche a me.

Evalyn                           - Lo so, caro. Scusami.

Sam                               - Pensi che se non si sta tutto il giorno con un libro di versi in mano, non si senta niente?

Evalyn                           - No, caro, non lo penso affatto.

Sam                               - Pensi che se invece di andare al museo come fai tu si va a una partita al pallone come faccio io, non si senta niente?

Evalyn                           - Che sciocchezze. Non voglio dire affatto quello che credi tu, te l'assicuro.

Sam                               - Ho anch'io una sen-si-bi-li-tà !

Evalyn                           - Non lo metto in dubbio. (Soggiunge) Anzi, pen­so che tu sia un uomo molto sensibile... Ma qualche volta non lo dimostri, questo si... altrimenti non spaccheresti i mobili. (Sorride, conciliante)

Sam                               - Scusa per la sedia.

Evalyn                           - (raccogliendo i pezzi della sedia) Ho visto dei bellissimi mobili da cucina in acciaio inossidabile, a noi forse convengono più di questi. Ci siamo montati l'uno con l'altra, non ce n'era bisogno. Io non dovevo tirar fuori la storia del dottore. Avevo stabilito di non dirti niente, almeno per ora. Poi una parola tira l'altra.

Sam                               - A questo punto, il discorso devi finirlo. Sono preoccupato.

Evalyn                           - Non è il caso di agitarsi.

Sam                               - Agitato io? (Scrolla il capo)

Evalyn                           - Va bene. Si tratta di questo ; t'ho detto che sono andata dal dottore perché ero un po' esaurita. Non è vero. Non sono andata da un medico qualsiasi.

Sam                               - Che vuol dire?

Evalyn                           - Si, non sono andata dal medico che cura gli esaurimenti.

Sam                               - E da chi sei andata?

Evalyn                           - Be'... ti sarai accorto che in questi ultimi tempi ho i nervi a pezzi.

Sam                               - Per forza, stai tutto il giorno con una tazzina di caffè in una mano e una sigaretta nell'altra. Che pretendi?

Evalyn                           - (paziente) Senti. Ti racconto queste cose per­ché tra noi non ci devono essere segreti. Ti prego, però, di non interrompermi per fare lo spiritoso, e di lasciarmi finire. Intesi?

 Sam                              - A te la parola. (Gliela concede con un gesto)

Evalyn                           - Veramente, non dovevo dire nervi a pezzi. Si tratta, piuttosto, d'uno stato depressivo. Ormai è parecchio tempo che mi sento gravemente depressa. Certi giorni, non riesco a star seduta per più di cinque minuti di fila. Cam­mino. Cammino sempre. Da qui nel soggiorno e viceversa. Avanti e indietro, avanti e indietro, magari per un'ora di fila. Altre volte, sto li davanti all'acquaio e tutt'a un tratto, senza nessuna ragione, mi metto a piangere. Cosi, di punto in bianco, mentre sto studiando il sistema per mandar via il grasso dal tegame, giù un gran pianto. Sai che ho fatto qualche settimana fa? Sono andata in centro a fare delle spesette ma invece sai che ho fatto? Sono andata alla stazione dei pullman, e ho comprato un biglietto.

Sam                               - Che hai fatto?

Evalyn                           - Sono andata allo sportello e mi son fatta dare un biglietto per San Paolo nel Minnesota. Io, a San Paolo nel Minnesota, non ci conosco nessuno; in vita mia, come sai, non sono mai stata a San Paolo nel Minnesota, ma ho preso un biglietto per San Paolo. Cosi, senza neppure un vestito di ricambio, o una valigetta, niente. Ho comprato un biglietto per San Paolo nel Minnesota e sono andata a sedermi sulla panchina; quando l'altoparlante ha annun­ciato la partenza del pullman per San Paolo mi sono alzata e sono andata a presentare il biglietto al controllore che stava davanti allo sportello. Lui l'ha preso, io ho fatto die­tro-front e sono venuta a casa. Una ventina di giorni fa. Poi guarda qui. (Prende una manciata di tovagliolini di carta fatti a striscioline) Ne strappo più di mezza scatola al giorno in media. Sai come vanno a finire queste cose, lo sai?

Sam                               - Quand'è che mi permetti di dire una parola?

Evalyn                           - Che cosa vuoi dire?

Sam                               - Voglio dire che forse hai bisogno d'un po' di svago. I soldi ci sono. Possiamo fare un viaggetto. Andiamo a Miami Beach.

Evalyn                           - È meglio che tu mi lasci finire. Altro che sva­go!... Un giorno mi sono detta: Cara mia, qua ci vuole un rimedio. È bastato dire cosi perché tutto mi si chiarisse davanti: non c'erano dubbi, stavo impazzendo. Andavo via di cervello.

Sam                               - Dove le hai lette tutte queste balle?

Evalyn                           - Altro che balle! Prendi un giornale e vedrai che quasi tutti i giorni una donna manda i bambini a scuola, lava le tazze del caffè e latte e poi infila la testa nel forno. O qualcosa di simile. Il giornale lo leggi anche tu. Dicono sempre che nessuno aveva mai sospettato nulla. Poi, alla fine dell'articolo, riferiscono che, a quanto ha detto il marito, la poveretta soffriva di gravi depressioni. Sempre la stessa parola. Depressioni. Io non sono arrivata al punto di ficcare la testa nel forno, questo no. Perché mi piace la vita. Qualche volta la odio, ma il più delle volte l'amo, dunque vuol dire che il guasto ce l'ho nel cervello... Cosi ho telefonato a Harry, mio cugino, e gli ho raccontato come stavano le cose.

Sam                               - Perché proprio a lui? Lo conosci appena.

Evalyn                           - Perché è medico ed è mio cugino, anche se lo conosco poco. Mamma mia lo ha sempre detto: i panni lavali in casa, e ha ragione.

Sam                               - Harry sarebbe il dottore dal quale sei andata?

Evalyn                           - No. Mi ha mandato da un dottore che conosce lui. (Pausa) La settimana prossima comincerò ad andarci regolarmente. È uno psichiatra. (Sam è esterrefatto, poi sbotta)

Sam                               - Uno psichiatra!

Evalyn                           - (calma) Bada che se cominci a spaccare i mobili mi butto dalla finestra.

Sam                               - Uno psichiatra! Che cosa sei, tu, una stella del cinema?

Evalyn                           - Si vede che tu, di certe cose, hai un'idea molto sbagliata.

Sam                               - Lascia perdere, che le mie idee sono giustissime! Sei tu che sballi! Da mattai

Evalyn                           - Certo, da matta.

Sam                               - Non rivoltare la frittata a tuo favore! Sai benis­simo quello che voglio dire! E la spesa? Vuoi che andiamo a finire all'ospizio?

Evalyn                           - È una clinica. Tre dollari per volta, cioè nove dollari la settimana. È una fortuna che mi ci lascino andare.

Sam                               - Una fortuna!?

Evalyn                           - Una fortuna che sia una clinica. Di solito biso­gna aspettare almeno un anno, non t'immagini neppure lon­tanamente la fila che c'è, e quanta gente ha bisogno di aiuto, ma Harry ha potuto favorirmi perché è amico di quel dot­tore, non è un favore da poco.

Sam                               - Un favore ! Digli pure che io lo considero tutt'altro che un favore.

Evalyn                           - Forse verrà giorno in cui dovrai essergli mol­to grato.

Sam                               - Fai sempre dei discorsi misteriosi, ma io non ci provo neppure a capire quello che ti frulla nel cervello.

Evalyn                           - Volevo solo dire che il favore lo fa anche a te.

Sam                               - E io ti rispondo che per me è tutta fatica sprecata perché il giorno in cui, secondo te, dovrò essergli grato non sarò più qui. (Va con grande foga in camera da letto)

Evalyn                           - Come non sarai più qui? (Nessuna risposta) Che vuoi dire?

Sam                               - (cercando d'infilarsi una camicia) Basta, questo è il colmo, non ci mancava altro! È un pezzo che mando giù, che mando giù, che ti lascio dire una stupidaggine dopo l'altra, ma questa è troppo grossa! Ora basta!

Evalyn                           - (sulla porta della camera da letto) Si può sapere che cosa fai?

Sam                               - Me ne vado, ecco che cosa faccio! Questa volta te la sbrogli da sola!

Evalyn                           - (calma) Come questa volta?

Sam                               - Che?

Evalyn                           - Ho detto come questa volta?

Sam                               - (entra in cucina con un scarpa al piede e una in mano a sottolineare i suoi gesti) Ho mandato giù tutto! Ma adesso non ce la faccio più! Nessuno può accusarmi d'essermi tirato indietro, di non aver accettato le mie re­sponsabilità !

Evalyn                           - E adesso?

Sam                               - C'è un limite a tutto!

Evalyn                           - Non vorrai mica andar via da casa, no?

Sam                               - Mi par di sentirli gli amici, quando sapranno que­sta storia. « Oè, hai saputo della moglie di Sam Daily? » (Si tocca la tempia col gesto di chi vuol indicare un ramo di pazzia) « Ecco che cosa succede a chi pensa troppo ». Altro che! Altro che, mi par di sentirli!

Evalyn                           - Sam, non vorrai mica andar via da casa, no?

Sam                               - Non lo vedi quello che faccio? (Si siede per infilare l'altra scarpa)

Evalyn                           - Non puoi lasciarmi adesso. Proprio adesso. Proprio adesso che...

Sam                               - E come no ! Adesso ! Subito ! Da oggi te la sbrogli da sola!

Evalyn                           - E tu?

Sam                               - Non ti preoccupare per me! (Gli si spezza un lac­cio della scarpa) Cristo!

Evalyn                           - Senti caro... (Lui si sfila la scarpa e la scaraven­ta contro la porta. Il colpo che fa la scarpa è seguito im­mediatamente dal ronzio del campanello)

Sam                               - Ecco, sarà il tuo dottore che viene a vedere se hai già infilato la testa nel forno. Toh! (Prende un mucchio di tovagliolini di carta che sono sulla tavola e li butta per aria) Divertiti! (Va in camera da letto per finire di vestirsi. Bussano di nuovo alla porta)

Evalyn                           - Sam!

Sam                               - Non ho finito.

Evalyn                           - Lo sai che cosa succede se mi lasci?

Sam                               - Si! Ci godiamo tutti e due un po' di pace prima di crepare! Ecco che cosa succede! (Bussano di nuovo)

Evalyn                           - (verso la porta) Un momento! (Verso la ca­mera da letto) Aspetta un minuto, per favore! (Si avvia verso la porta) Un minuto solo, che devo dirti una cosa. Chi è? (Sam, intanto, continua a vestirsi, ma ha una scarpa sola perché l'altra è rimasta in cucina. Tira fuori una valigia dall'armadio, poi la butta sul letto, seguitando a brontolare. Evalyn apre la porta di casa, ma solo per uno spiraglio, cosi che udiamo una voce ma non vediamo nessuno)

Voce                             - Signora Evalyn Daily?

Evalyn                           - Si...

Voce                             - Firmi qua, per favore. (Evalyn prende il libretto che le porge il fattorino, lo firma in fretta e ritira uno scatolone di fiori)

Evalyn                           - Non ho spicci, mi dispiace. (Al fattorino che se ne va, mentre chiude la porta) Grazie altrettanto, salve! (E imbarazzata da quell'omaggio inaspettato, posa lo sca­tolone sulla tavola e ignorandolo entra in camera da letto) Devi riconoscere...

Sam                               - Quindici anni! Tu che ne pensi? Tu che ne dici? Che sogni fai? Che sogni faccio! Cristo santo! (Tira fuori da un cassetto, insieme ad altri indumenti, il maglione rosso; lo spiega, lo osserva attentamente, scrolla il capo) Criiisto! (Sam lascia cadere il maglione, si accorge... o ricorda... d'essere senza una scarpa, e va in cucina, a pie zoppo, per prenderla)

Evalyn                           - (inseguendolo) Ascoltami.

Sam                               - Sai che bella coppia, la pazza e il suo dottore, fin­ché regge... (S'interrompe perché lo sguardo gli cade sulla scatola del fioraio. Schiocca la lingua, calmissimo. Eva­lyn guarda la scatola; poi il marito; poi, di nuovo, la scatola)

Evalyn                           - Che è? (Sam si affloscia tutt'a un tratto. Eva­lyn, imbarazzata, apre la scatola, legge il biglietto. Pausa) Oh, Dio... sei tu...

Sam                               - Si, appunto.

Evalyn                           - Non te n'eri dimenticato. Credevo te ne fossi dimenticato, ero sicura che te ne fossi dimenticato. Quando li hai ordinati?

Sam                               - (dopo un momento) Ieri.

Evalyn                           - Credevo te ne fossi dimenticato che oggi è il mio compleanno.

Sam                               - Come faccio a dimenticarmene? Siete andati a nascere proprio il 4 luglio, tu e Giorgio Coen, due yankee purosangue che più yankee di cosi si muore! (Evalyn to­glie i fiori dalla scatola e mentre la scatola cade in terra abbraccia i fiori e si mette a piangere) Piangi per dei fiori?... Allegro, come compleanno.

Evalyn                           - Non te ne vai, vero? Non te ne vai... (Silenzio. Sam è davanti alla porta che Evalyn, evidentemente, non ha ben chiuso perché ora lui, piano piano, la spinge la­sciandola scattare con un rumore secco, piuttosto forte. Poi va in cucina) Scusami se son fatta cosi ma non è colpa mia.

Sam                               - (quasi supplichevole) Ma perché non ti accontenti di quello che hai?

Evalyn                           - Perché mi fa paura. M'è sempre parso che quando si è contenti di quello che si ha, non rimane più niente da desiderare. Solo la morte. Ci son tante cose da desiderare, tante.

Sam                               - Credi a me, Evi, è sbagliato desiderare quello che non si può avere.

Evalyn                           - Già, bravo! Come fai a sapere che cosa puoi avere se non lo chiedi? Hai visto mai cartellini che stanno in certe vetrine? « Se quello che desiderate non è esposto, chiedetelo ». Spesso, quello che desideri sta nel retrobot­tega, coperto di polvere... in attesa di qualcuno che lo chieda... Hai capito, no? (Aspetta) È possibile che nessuno capisca quello che voglio dire? (Lui la tocca per la prima volta, affettuosamente)

Sam                               - Io lo so quello che vuoi dire. Non piangere, Evi. Senti, vogliamo andar a cena fuori, stasera? Eh?

Evalyn                           - (contenta) Alla Lanterna Azzurra?

Sam                               - Be', non saprei. Tutte le volte che ci sono stato ho dovuto mangiare la puree di patate con le impronte digitali del cameriere.

Evalyn                           - È un posticino di lusso.

Sam                               - Sarà, ma la puree di patate ha le impronte digi­tali del cameriere.

Evalyn                           - Fatti portare il tonno alla griglia, lo servono con le patatine fritte.

Sam                               - Allora, tanti auguri, eh?

Evalyn                           - Quarantatre anni. Figurati! Ti rendi conto che ho fatto quarantatre volte il giro del sole?

Sam                               - Che hai fatto?

Evalyn                           - Quarantatre anni. Vuol dire che ho fatto qua­rantatre volte il giro del sole. Non ci avevi pensato, eh?

Sam                               - È un viaggio lungo, per chi sta fermo.

Evalyn                           - Questa, forse, era la giornata.

Sam                               - Che giornata?

Evalyn                           - Non so, l'hai detto tu... hai detto, che ce la saremmo sbrogliata da soli... Questa, forse, era la giornata, o mai più... Una volta, ricordi? m'hai raccontato d'un tizio che era in guerra con te e tutti i giorni si diceva « Se non la becco oggi, non la becco più. » E non l'ha mai beccata, vero? Alla fine della guerra è tornato a casa sano e salvo?

Sam                               - E vispo come un grillo.

Evalyn                           - (annuisce) Si vede che non era giornata. (Si­lenzio. Lei resta seduta, ferma ferma, a cullarsi i suoi fiori. In distanza, si odono le detonazioni dei soliti petar­di: un punto fermo che conclude gli eventi)

FINE