La signora Rosa

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(1928)

Commedia in tre atti

diSabatino LOPEZ

Rizzoli Editore Milano - 1960

PERSONAGGI

LA SIGNORA ROSA

ARGENTINA

ANNETTA

IL FELICI, detto ZAZZERA

IL PANCANI, detto TOPO

IL MATURINI

MANFREDO

VAPORINO

NATALINO

GARIBALDO

A Lucca. Oggi.

A Corrado, mio fratello.

ATTO PRIMO

Una sala da gioco del « Circolo America » a Lucca. Una domenica sera d'agosto. Finestre spalancate.

ZAZZERA       (capelluto e baffuto, raccoglie di sul ta­volino le carte da gioco e depone il mazzo) Ve l'avevo pur detto prima. E voi no: dovete esser caparbio anche voi come me. (Leva in alto le carte ricomposte a mazzo.) Uno che mi vinca a questo gioco qui ancora ha da nascere. O Topo, tu se' testimone: le poche volte che tu mi ci hai visto, ho mai perso?

MATURINI     (sta per trarre il portafogli) Va bene, va bene... Si era detto cento a partita. Due partite... Vogliamo vedere la terza?

ZAZZERA       (calmo) Nossignore. Perché mi parrebbe di rubarveli di tasca.

MATURINI     (paga)    A voi.

ZAZZERA       E grazie. (Intasca i denari.) Mi rincre­sce che subito la prima sera...

MATURINI     Che c'entra? Se sono stato io a proporre!

ZAZZERA       Questo sì. Un'altra volta ci penserete a giocare... (Sorride.) O ce l'avete per vizio?

MATURINI     Io no. In America per mesi e mesi non toccavo una carta.

ZAZZERA       Allora, come il sottoscritto. - Quanto vi siete fermato in America?

MATURINI    Più di voi. (E sorride.)

ZAZZERA       (incredulo) Più di me? Io ventiquattr'anni. Vero, Topo?

TOPO            (un ometto piccolo, verdolino)   Tu dici.

ZAZZERA       Come « tu dici »?

TOPO            (ripete tranquillo) Tu dici. So che ci fosti; ma, per quanto tempo, io non c'ero a contare.

ZAZZERA       Ventiquattr'anni: dodici sulla costa e do-dici nell'interno del Brasile che valgono ciascuno per due, perché in postacci malfamati e malsani. Per resistere a quei climi laggiù dov'ero io, biso­gna averci la pelle conciata, che se no vi piglia un accidente a campana. E giudizio come si mangia, come si beve... e adagino anche con le donne. Epperò ogni due anni me ne venivo in Italia per rifia­tare aria bona.

MATURINI     O laggiù chi ci lasciavi? A curare gli interessi?

ZAZZERA       Chi ci lasciavo? ladri. Ma quando poi tornavo, rubavo io. (Attenua subito) Rubavo, no: facevo i miei affari... ma oh! tiravo fino il centesi­mo. - Sicuro! Ventiquattr'anni e ventisei traver­sate.

MATURINI     Io, traversate una sola (stupore) per­ché l'andata la feci e non la feci. Quando mi' madre partì era ancora incinta di me.

ZAZZERA       (ridente, ma un po' umiliato) O Topo... È più americano di noi. Che lo sapevi tu?

TOPO            Lo sapevo sì.

MATURINI     Son nato a Manaos, ma di padre e di madre lucchesi... Ossia, più precisamente, di Camaiore.

ZAZZERA       (con orgoglio) Ma io son lucchese più completo di voi e di lui: son nato in Fillungo e bat­tezzato in Sanmichele. E babbo mio vendeva il buccellato; e dunque era lucchese anche di mestie­re. Avrei dovuto anch'io stare al forno ma vidi tutti del casamento, uno dopo l'altro, che s'imbarcavano per l'America...

TOPO            Eh! l'America è un gran richiamo per la gen­te della Lucchesia... Solo che il lucchese magari va in capo al mondo... gira, gira... e poi torna qui.

ZAZZERA       E se non torna, è un bastardo. Per gua­dagnare ci vuole l'America, ma per spendere, Lucca... Bella la mi' Lucchina! Gli voglio bene come a una donna.

TOPO            (approva)    O io no?

ZAZZERA       La domenica attacco il cavallo al calesse, me la giro tutta fuori le mura; torno a casa, mi pare d'essere andato a riverire la mi' dama. E poi città tranquilla, che non ce n'è una compagna per riposare.

TOPO            Come se tu riposassi! Ma lavori anche qui!

ZAZZERA       (nega) Che dici? Roba da poche palanche, che se va bene ci guadagno i sigari - se va bene! - tu lo chiami lavorare? Meno di nulla a pa­ragone di quel che facevo in America: tutto il giorno a stroncarmi la vita.

MATURINI     (sentenzioso) L'America, chi non si stronca la vita non rende.

ZAZZERA        Voi che ci facevate?   

MATURINI     Io? Alabastri.

ZAZZERA       (a Topo)    Allora, come te.

MATURINI    Eh! già. E voi?

ZAZZERA       Io sono passato per tutti i mestieri. Giochi di prestigio... gelati alla napoletana... traffico di coloniali... imprese stradali... Di tutto. Enciclope­dico. Quel poco di risparmio (si asciuga la fronte col palmo della mano) me lo son sudato a sangue.

TOPO            Come me. Ero su? patapum, in terra un'altra volta. E io daccapo. Tanto, dicevo, più povero di quel che son venuto! Quando partii, pagato il viag­gio, ci avevo un foglio da cento.

ZAZZERA       (lo supera con la voce) I o, sessanta lire. In più, un buccellato che me lo diede mi' padre, e lo tagliai in tante fettine sottili, trasparenti - che me lo feci durare tutta la traversata per portarmi il  sapore di Lucca fino in America... Che possa per­der la vista degli occhi se non è vero. - Pure, dopo tre anni di Brasile mi riuscì di farci venire anche i miei. Ma loro non ci si potevan vedere. E sempre dicevano: « Noi, siamo vecchi, ogni fossa è bona; ma te, se ti riesce di metter da parte tanto da com­prarti la villetta e la palazzetta col su' bel giardino, tornatene a casa ».

MATURINI     E la palazzetta ce l'avete?

TOPO            Come no! Una bellezza...

ZAZZERA       Fu un'occasione. Ci trovai fino i pesci rossi nella vasca e una gatta pregna in cucina. In sovrappiù, duemila volumi tutti legati uno meglio dell'altro, con le sue dorature sulle costole che la scansia pare una vetrina di pasticciere; a due file, come i barattoli delle pastiglie. Quando rientro in casa ne piglio uno - quel che capita capita - una sera rosso, una sera verde, per farmi venire il sonno più presto.

MATURINI     Che lo cambiate ogni sera?

ZAZZERA       Ogni sera. M'è sempre piaciuto mutare: il mestiere, le cravatte, i paesi, le donne...

TOPO            Dove si vede la diversità dei caratteri. Invece io, alabastri ho cominciato alabastri ho finito; cra­vatte, mi piace sempre di un colore...

ZAZZERA       Si vede, si vede...

TOPO            (seguita) ... donne, ho preso moglie a vent'an-ni e torti, anche di quelli che non hanno importanza, li potrei contar sulle dita di una mano sola...

ZAZZERA       (fragoroso di voce) Perché tu non sai vi-vere. Sei un galantomo, ma non sai vivere.

TOPO            Ho a venire a scola da te?

ZAZZERA       Noe. Sarebbe inutile: tu sei zuccone.

TOPO            Perché tu sei furbo.

ZAZZERA       Io sì.

TOPO            (ci si arrabbia) Tutto te, tutto te. La super­bia che ti mangia vivo. Te ne accorgerai!

ZAZZERA       (ride largo) O che te la sei presa per ma­le? O grullo! Ci si beve sopra?

MATURINI     Io sono astemio.

TOPO            Io, lo sai pure, a pasto quanto tu vuoi -t'asciugo un barile - ma dopo...

ZAZZERA       Meglio così: bevo io. (S'alza, s'accosta alla porta e suona.)

NATALINO    (un bel ragazzino elegante, in uniforme) Chi mi comanda?

ZAZZERA       (vocione che lo fa scuotere, e lui ci ride) Io, ti comando. - Vieni qui, mezza porzione.

(Ma Natalino resta fermo.)

Portami un ponce.

(Natalino s'avvia; Zazzera lo chiama)

O Natalinoo!

(Natalino si ferma.)

Accidenti a quel maledetto vizio di cor­rere. - Qui dentro, o corsieri o lumache. - Dunque, tu va' giù dalla sora Rosa e gli dici che il ponce è per me, e dunque (quasi lo grida) soagné. (Gli fa cenno) Via.

(Natalino esce. Zazzera ripensa un ricordo recente e ci ride su, poi spiega il suo ridere)

L'ultima traversata che feci, c'era a bordo un can­chero di forestiero che a ogni cosa che chiedeva, ci aggiungeva sempre: soagné, come se tutta la roba meglio dovesse toccare solo a lui. Gli altri, spazzatura. Ordinava una costata di maiale? Soa­gné. Un bicchier d'acqua? Soagné. L'ultimo giorno per scendere giù dalla scaletta ti fece un ruzzolo­ne che se non si ruppe il muso si fu perché gli era tanto brutto che non aveva bisogno di sciupar­si dell'altro. Io che lo vidi - ma che non s'era fatto male  gli gridai dall'alto: soagné! Si drizzò che pa­reva mi volesse fulminare. - Ogni tanto mi torna a mente e ci rido.

(Natalino entra col vassoio del ponce.)

Sei già qui. O bravo! Glielo hai detto alla sora Rosa, soagné'?

NATALINO   Glie l'ho detto sì.

ZAZZERA       Ora sentiremo. (Guarda, si ferma) O la scorza di limone? Che te la sei mangiata te?

NATALINO    (spaventato)    Io? Che le pare!

ZAZZERA       Ah no? E allora torna giù a prenderla, e di' alla sora Rosa - c'era lei al banco?...

NATALINO   C'era sì.

ZAZZERA       ... che mandare il ponce senza la scorza non la riconosco più e gli fa vergogna. Hai inteso? diglielo. Via! 

(Natalino corre via.)

ZAZZERA       (guarda se il ponce è giusto di dose. A Maturini) Questo qui, per me - anche due - è tanta salute. (Ci ride.)

TOPO            (a Maturini) Ci sei ancora stato dalla sora Rosa? No? Ti ci ho a portare io.

ZAZZERA       (sbalordito, a Maturini) Non ci siete stato?

MATURINI     Io no... Ossia... Non lo so. O chi è la sora Rosa?

TOPO            La  trattoria La pantera.

ZAZZERA       Ma che Pantera!Quello è il nome uffi­ciale, ma la sora Rosa è la sora Rosa, e come si mangia lì... Dillo te, Topo.

TOPO            Sì, sì, è vero. Cucina che ci ha le mani d'oro.

ZAZZERA       Bella donna, che era ai suoi tempi! Dil­lo te, era o no la più bella donna della Lucchesia?

TOPO            Era. Modo imperfetto.

ZAZZERA       Sarebbe a dire?

TOPO            Ai miei tempi ero bello anch'io.

ZAZZERA       Nossignore. Tu se' stato sempre brutto.

TOPO            (ci gnocca)    E per questo lasciai fare a te.

ZAZZERA       Cioè? Spiègati.

TOPO            O che non ti piaceva la Rosa?

ZAZZERA       Mi piaceva sì. Ma se tu credi... Niente, parola santa d'onore. Né qui, né laggiù. (A Maturi­ni) Perché era in America anche lei, ma è di qui di Lucca.

TOPO            E il marito suo di lei è di Barga. Bell'omo anche lui...

ZAZZERA       Ma farabutto... Prima aprirono una trat­toria, poi si dettero a negoziare in olio e in vini.

NATALINO    (di ritorno) Ecco la scorza. Dice la sora Rosa che ora viene lei.

ZAZZERA       Ah, sì?

(Natalino depone un piattello con due o tre fette di limone sull'orlo del tavolino, e vorrebbe scappare, ma Zazzera lo ferma con la voce)

Vieni qui. Vieni qui, t'ho detto.

NATALINO    (Impaurito)    No, perché mi dà.

ZAZZERA       (ride)    Che ti dò?

NATALINO   O mi tira l'orecchi. E io ci patisco.

ZAZZERA       Vieni qui.

(Natalino s'avvicina esitante, Zazzera lo stringe alla vita.)

NATALINO   Ohi, ohi.

TOPO            (a mezza voce) Io non so che gusto tu ci provi.

ZAZZERA       (lo fulmina con un'occhiata) E chetati, scimunito.

(Ora che tiene Natalino per un braccio, si leva da una tasca dei pantaloni una carta da cin­quanta.)

Piglia, mezza porzione. E dalli a tu' ma­dre che l'ho vista co' piedi di fuori.

(Natalino af­ferra il foglio e scivola via senza ringraziare. Zaz­zera, a Maturini, come per giustificarsi)

Ai ragazzi uno strizzotto ogni tanto gli fa bene: crescono più in fretta. (Ci ride, afferra il bicchiere.) Alla salute. (Con una gozzata inghiotte il ponce.)

MATURINI     E dunque da questa sora Rosa ci si mangia bene?

ZAZZERA       È un godere. Sta qui in faccia. Mi me­raviglio che non abbiate visto l'insegna.

MATURINI    Ci anderò.

ZAZZERA       E mi ringrazierete. Aiutarla è anche una buona azione. Il marito, non se ne sa più nulla. Meglio perderlo che trovarlo... ma lei, la Rosa, come un cane che più lo bastoni e più ti lecca la mano. Fino a tanto che un giorno lui se ne scappò con una milanese, maritata anche lei, e si portò via i quattrini della cassa. La Rosa, gli si mise su una colletta, lei e i figlioli, per rimandarli in Italia. Tanto laggiù ormai...

LA ROSA        (da dentro) È permesso? (E si presenta fermandosi alla porta.)

TOPO            Eccola qui. Venga, venga.

ZAZZERA       Venite pure avanti.

LA ROSA        Buonasera, sor Pancani, buonasera sor Felici. (China il capo verso Maturini che non co­nosce, e viene avanti sorridendo.) O che è successo? Mi ha detto Natalino... non ho capito bene, che Lei ha detto che mi vergogni, che non mi riconosce... che so? Son venuta a sentire: di che m'ho a vergognare?

ZAZZERA       (ride) Di nulla, di nulla... Mancava la scorza. Dissi per chiasso. - O Rosa, dacché siete qui: questo è il sor Alfredo Matu...

MATURINI    Alfonso.

ZAZZERA       Alfonso? Mi piaceva più Alfredo... (Si rassegna) Alfonso Maturini, americano di Lucca anche lui.

LA ROSA        O senti! Ho piacere.

ZAZZERA       E questa è la Rosa di cui sopra. Si par-lava adesso di voi. (A Maturini) È una bella donna sì o no? Occhi sprillenti, prosperosa...

LA ROSA        (seguita ridendo)    ... stagionata...

ZAZZERA       Ma quel che c'è, si vede... E quel che si vede, c'è davvero. Tutta grazia di Dio. Senza ingan­ni e senza imbottiture.

LA ROSA        (scuote la testa ridendo) Al sor Felici gli piace di parlar di grasso.

TOPO            E mangiar di grasso.

ZAZZERA       Naturale! o che siamo in quaresima? (Alla Rosa) Oh, guardate, voi, che vi ho fatto la réclame anche per il mangiare. Vero, Topo?

TOPO            Verissimo. Ancor io.

ZAZZERA       E dunque il sor Maturini che si ferma a Lucca potrebbe essere un cliente novo per la trat­toria, se ve lo sapete conservare.

LA ROSA        Lasci fare a me: solo che ci venga una volta... come si dice? « chi l'assaggia ci torna ».

ZAZZERA       (serio)    Si parla del mangiare, si capisce.

LA ROSA        (ride)    Il mangiare, il mangiare.

ZAZZERA       Ecco. (A Maturini) Ma voi, vi consiglio per il vostro bene: guardare e non toccare. Perché se la Rosa si mantiene alla costumanza di quando era in America...

LA ROSA        (ride)    Sisì, mi mantengo.

ZAZZERA       Ridere gli piace ridere, ma se niente niente uno allunga la mano, risica di pigliare un ceffone.

TOPO            (scherza)   O Zazzera, tu n'hai presi?

ZAZZERA       (né sì né no) Non me ne ricordo. - Ma tu no di certo. Sei una pappafredda.

LA ROSA        (a Maturini) Allora il signore ha sentito? Il sor Felici - bontà sua - ha portato in alto la mia trattoria: faremo il possibile, io e la figliola, per non sbugiardarlo.

MATURINI     Se pure non è domani, presto ci vengo.

ZAZZERA       (a Rosa)   Voi poi mi darete la senseria.

LA ROSA        (ride) Sissignore; per aiutarla. Poveretto com'è!

TOPO            O a voi come vi vanno gli affari?

LA ROSA        Si campa. Contentarsi. Quando c'è la sa­lute...

ZAZZERA       Quella c'è: si vede. (E va per alzarle il viso.)

LA ROSA        (senza sdegno) Giù le mani... (E fa il ge­sto del ceffone ridendo.)

ZAZZERA       (a Maturini)    Ve l'avevo detto?

LA ROSA        Ora, col permesso dei signori, vado via.

ZAZZERA       O che avete premura?

LA ROSA        È già tardi, faccio i conti e chiudo. Buonasera e grazie. - E mi scusino dell'ardire. (Fa un inchino ed esce.)

TOPO            (un po' esitante)   O Zazzera...

ZAZZERA       Di'.

TOPO            A proposito della sora Rosa...

ZAZZERA       Di'.

TOPO            Ossia, non propriamente di lei, ma anco di lei... ti vorrei fare un discorsino. Ma non c'è pre­mura. Ti dirò.

MATURINI    Dite, dite: io vado a letto.

TOPO            Non c'è premura.

MATURINI     Non è per questo: è la mia ora.

ZAZZERA       O che vi ritirate così presto voi?

MATURINI     Io sì. M'è rimasta la costumanza di laggiù.

ZAZZERA       Io no. Dacché son tornato a Lucca son tardigrado. (Topo ride.)  O di che ridi, scemo? Non si dice così?

TOPO            (quasi glielo urla)   Si dice nottambulo.

ZAZZERA       Neanco per idea. Nottambulo è un'altra cosa: è uno che cammina la notte. Io la notte sto fermo: fino a tanto che non chiudono, sono qui al Circolo, e dunque son tardigrado, sor maestro dei miei stivali!

MATURINI     (porgendo la mano a Zazzera)  Ho pia­cere di avervi conosciuto.

ZAZZERA       Ancor io. (E gli dà la mano.)  Vi fate so­cio e dunque ci rivedremo qui.

TOPO            (si unisce a Maturini)  O Zazzera, l'accompa­gno alla porta e torno.

ZAZZERA Vai, vai, t'aspetto. (Quando i due sono usciti si vuol liberare dal colletto d'un colpo.)  Qui si crepa. (Gli salta via il bottone.)  Accidenti ai bot­toni! (Si china a cercarlo. In quella posizione lo ritrova Topo quando rientra.)

TOPO            O che fai?

ZAZZERA       M'è saltato via un bottone.

TOPO            È  d'oro?

ZAZZERA       Sie! È d'osso. (Lo guarda di sotto in su.)  Quattro palanche in bottega, tre sui banchetti. (Si leva.)  Che mi avevi a dire della sora Rosa?

TOPO            Ora, ora. - Come tu l'hai trovato il Maturini?

ZAZZERA       Un grullo. O se non sa nemmeno come si mischian  le  carte!

TOPO            Eh, già, come giochi te nessuno sa giocare...

ZAZZERA       Nessuno.

TOPO            Tu t'intendi di donne, tu t'intendi d'affari, tu t'intendi di politica, te nessuno t'imbroglia...

ZAZZERA       (con un lieve sorriso, ma convinto)  Nes­suno.

TOPO            E magari, invece, sei più citrullo d'un altro.

ZAZZERA       D'un altro... può essere; di te no di sicuro.

TOPO            Di me, anco di me. Lo vuoi sapere? Te la fanno in barba fino i ragazzi.

ZAZZERA       Sarebbe a dire?

TOPO            Prima tu parlavi della Rosa... (Sospende.)

ZAZZERA       Avanti: dilla tutta.

TOPO            Io avevo sempre creduto che in altri tempi... quando s'era tutti in America... tu m'hai capito.

ZAZZERA       Invece no. Avanti.

TOPO            ... e siccome l'aiutasti a venirsene via, avevo immaginato tu l'avessi fatto per levartela di torno. Prezzo di liquidazione.

ZAZZERA       E invece no: fu carità cristiana. Per ora, lo vedi, il citrullo séguiti a essere te, non io.

TOPO            Aspetta. Tu ci hai il su' figliolo in banco: Manfredo.

ZAZZERA       Carità  cristiana  anche quella.

TOPO            Ti serve bene?

ZAZZERA       Benissimo. Poco c'è da fare, ma quel poco... Ha una bella scrittura, chi viene in banco lo riceve con garbo, è svelto...

TOPO            Insomma, tu te ne fidi.

ZAZZERA       Me ne fido. (Ora sospetta.)  Perché?

TOPO            Io... denari in mano non gliene darei.

ZAZZERA       Non gliene dò... O per lo meno... Però... (Con gli occhi negli occhi)  Fuori! Butta fuori quel che tu sai.

TOPO            (a mezza voce)  S'è messo con una del Va­rieté. Quella bruna, magrettina... col neo qui...

ZAZZERA       So assai del neo. Io non ci vado al Va­rieté.

TOPO            Io sì, ci andai per accontentare la mi' moglie.

ZAZZERA       Come tu la tiri lunga! E dunque?

TOPO            Ti ho detto. È con una del Varieté. Quelle donne lì, costano.

ZAZZERA       A te costerebbero.

TOPO            Anco a lui. (Zazzera s'intorbida.)  Iermattina cambiò un foglio da mille.

ZAZZERA       Suo di lui?

TOPO            Crederei. (Incalzando)  E stamani lui e lei, Manfredo e la su' bella, erano insieme dal Carra­dori e lui le provava in dito un anello con una pie­tra. Io c'ero con la mi' moglie, e li vidi...

ZAZZERA       Dal Carradori?

TOPO            Dal Carradori. Lui, Manfredo, tirò fuori il portafogli e pagò. Quanto, non ho visto. E se eran denari suoi o di lei o di un altro non ti so dire, perché sui biglietti di banca non c'è scritto sopra la proprietà. Ma il portafogli era suo.

ZAZZERA       Corpo d'un... Se li ha presi da me, lui, lei, la madre, qualcuno li risputa. E se no il sor Manfredo va diritto diritto in galera che non ce lo leva nemmeno Vittorio Emanuele.

TOPO            (è soddisfatto)  Lo vedi che anche a te, te la fanno davanti agli occhi?

ZAZZERA       Domattina, domattina subito mi assicuro... Perché glieli può aver dati la Rosa di suo... (Topo sorride)  Mi pare difficile, ma pure...

TOPO            Comunque, io t'ho voluto avvisare.

ZAZZERA       Tu hai fatto bene. (Riflette.)  O a me, o a su' madre: non se n'esce.

TOPO            Io te l'ho detto non tanto per oggi che ti può aver fatto poco guasto, se pure, quanto per il se­guito. Oggi è un buchetto, domani trovi una tana.

ZAZZERA       (quasi non gli bada)  Oltretutto la figura che ci faccio. Non tanto per i denari come per la figura.

TOPO            (leggermente canzonatorio)    Tu che sei furbo!

ZAZZERA       (minaccioso)    Domattina, domattina...

TOPO            (un po' spaventato)  Però, però... Io sarei del parere tu ne parlassi con la madre, perché se la madre...

ZAZZERA       (approvando)  Tu dici? Sissignore. Par­leremo colla madre.

TOPO            (spaventato)  Parleremo? parlerai. Me non mi c'immischiare...

ZAZZERA       (si corregge)  Parlerò, parlerò. Non ti ci mischio.

TOPO            Povera donna anco lei! La mattina il giorno la sera sempre a sfacchinare... e poi il figliolo che glieli finisce in quel modo! Mi dispiace per lei.

ZAZZERA       (risentito)  Per lei se li ha rubati a lei, ma se l'ha rubati a me... Ma non gliela perdono, sai: se nulla nulla il sor Manfredo si fosse messo in mente che io gli mantenga la ganza, un po' di reclusione gli schiarisce le idee.

TOPO            (pauroso)  O Zazzera, mi raccomando: dici la cosa ma non dici di me.

ZAZZERA       Naturale!

TOPO            Anche perché la mi' moglie mi aveva detto « Tu non ti ci immischiare »...

ZAZZERA       Ah sì, eh?

TOPO            (comincerebbe un discorso lungo)  La mi' mo­glie...

ZAZZERA       (per troncare)     Salutamela tanto.

TOPO            Buonanotte, Zazzera.

ZAZZERA       Buonanotte. Topo. (Di lontano)  Domani sera ti faccio sapere qualche cosa.

TOPO            (torna indietro)  Ecco. Perché potrei essermi ingannato. Visto, l'ho visto; ma alle volte, se lui...

ZAZZERA       (lo congeda)  Sì sì. Buonanotte. Anche alla tu' moglie.

(Topo esce. Zazzera siede, giocherella con le carte, le mischia automaticamente, le butta via, accende un sigaro, dà una gran boccata di fumo, mugola un canto malinconico, s'alza d'un tratto e mentre suona il campanello dice contem­poraneamente) 

Chi c'è di là?

VAPORINO    (prima se ne sente la voce)  Ci son io.

(È un vecchio cameriere, malizioso e giocondo, che si trascina un po' a stento sui piedi dolci.)  

Che mi comanda?

(Zazzera è pensieroso. Vaporino gli va quasi sotto.) 

Sor Felici, ha chiamato?

ZAZZERA       (si riscuote)    Ah! O che se' tu, Vaporino?

VAPORINO   Sissignore, son io.

ZAZZERA       E il ragazzo?

VAPORINO    Natalino? Cascava dal sonno, l'ho man­dato a casa. Tanto! si fa per dire: per il servizio ci son io, e ci son di troppo. (Ride)  Di soci c'è solo che Lei; e a quest'ora non ne viene più altri, an­che perché...

ZAZZERA       (l'interrompe)  A piedi tu stai male, ma a lingua! - O senti un po' me (brevissima esitazio­ne): quando tu ci hai un dente che ti dole, tu che fai? te lo levi oggi o aspetti domani?

VAPORINO    (lo guarda e ride)  Io? O che vuol che mi levi? Se non ce n'ho quasi più denti! Me ne son rimasti tre o quattro in tutto, e ballerini!

ZAZZERA       Io me lo levo stasera. - Guardami un po' di là se al caffè della sora Rosa si vede ancora luce.

VAPORINO    Sissignore, c'è. (E non si muove.)  Or ora c'era...

ZAZZERA       Or ora non vuol dir nulla. Guarda adesso.

VAPORINO    Sissignore. Volo. (Pare un palmipede che si allontani. Esce.)

ZAZZERA       (conclude al alta voce un ragionamento) Non ce lo leva nemmeno Vittorio Emanuele!

VAPORINO    (rientra: di su la porta)  C'è luce; glie l'avevo detto! Son l'undici e quaranta: fino a mez­zanotte...

ZAZZERA       Be', va' giù e di' alla Rosa che quando chiude - o se ci ha la figliola a badare, anche su­bito - come vuole lei - torni su un momento, che ho da scambiarci due parole. Vai, Vaporino: svelto.

VAPORINO   Volo. (Esce.)

ZAZZERA       (gira per la stanza, poi riprende il sigaro, le carte, le distende, mugola)  La figura! - Anche i quattrini, sissignore. Ma il peggio è la figura.

VAPORINO    (torna)    Due minuti e viene!

ZAZZERA       Bravo.

VAPORINO    M'ha domandato se c'erano ancora quel­l'altri signori. - Dico: «Non c'è che lui ». - « Allora », dice, « vengo subito ». - Sor Felici, stasera l'hanno proprio lasciato solo. Anco domenica passata, quant'erano? quattro, cinque... ma come stasera non era mai capitato in tant'anni. (Ride non si sa di che.)  Sono tutti a Viareggio.

ZAZZERA       (così per dire)     Sì,eh?

VAPORINO    (a mezza voce)  Sono andati tutti a ve­dere i fochi. Sono tornate di moda le girandole, e la gente ci corre. (Ride.)  Il sor Branchini, lui solo, fra omini e donne n'ha messi sei sull'automobile.

ZAZZERA       (lo guarda, secco)  Basta che non li met­ta sotto al ritorno.

VAPORINO    Speriamo di no! - Oh, lo sa Lei quanto fini per perdere ieri sera il Branchini?

ZAZZERA       No: quanto?

VAPORINO    Dodicimila. Ma fossero anco venti, an­co trenta, anco cinquanta (ridacchia)  come se io perdessi un nichelino. Ma è tanto un bravo signore il Branchini. Sì davvero! (Abbassando la voce)  I meglio spogli me li dà per i figlioli... Anche stamani mi ha regalato un vestito. L'ho messo addosso a Pietrino, pareva un milordo.

ZAZZERA       (lo guarda)  Sie, sie, ho capito... Passa da casa mia uno di questi giorni: si guarda se ci fosse un qualche capetto per te.

VAPORINO    Sor Felici, Lei è un angiolo. Un angiolo piovuto dal cielo! - Quando ho da venire?

LA ROSA        (entra, si ferma sulla porta con la faccia ridente)  Sor Felici, ribuonasera. Sono qui ai Suoi comandi. E magari non una volta, ma due. E se due non bastano...

ZAZZERA       Accomodatevi, Rosa. (A Vaporino)  Tu vieni... vieni... Domani no: o martedì o mercoledì. Nella mattinata. Fra le dieci e le dodici.

VAPORINO   Sissignore. Io pregherò per Lei.

ZAZZERA       Prega, prega. Ora vai.

(Vaporino esce. Zazzera si volge a Rosa) 

O che siete rimasta in piedi?

LA ROSA        (sorride)  Non mi stia a badare. Io sono come gli uccelli, che non siedono mai. Sarà un discorso lungo?

ZAZZERA       Non crederei. Vi ho a fare una domanda. Potevo scendere giù io...

LA ROSA        S'immagini! - Ma che ha? Non mi pare più quello di prima.

ZAZZERA       (senza interrompersi)  ... ma qui c'è più libertà di parola. Perché siamo soli. Giù ce la fi­gliola, vien gente...

LA ROSA        Gente no. A quest'ora e con questi calori!

ZAZZERA       Comunque si discorre meglio. Dunque... (Esita un secondo.)  Mi dà fastidio vedervi in piedi. (E le porge una sedia.)

LA ROSA        Come Lei vuole. (Siede.)

ZAZZERA       Dunque... (Par che cerchi le parole poi sbotta secco, duro)  Ho saputo or ora la novità: che il vostro figliolo ci ha la ganza.

LA ROSA        (ha un rapido sussulto)  Come dice? (Si rimette subito. Infastidita, piuttosto che preoccu­pata)  Ma già! ci voleva anche questa. Sono ra­gazzi e già si perdono dietro alle donne. Scimunito anche lui! Se ne accorgerà che son dispiaceri. - Sì. me lo dissero che era a giro con una di quelle del teatro.

ZAZZERA       Ah, ve lo dissero.

LA ROSA        Sicuro! Che vuole, sor Felici, certe cose se non me lo vengono a raccontare, io né le so né le vedo. Io son giù in trattoria tutto il giorno. (Scuote il capo, indulgente.)  Benedetti figlioli! fan­no male, che tante volte non ne vale nemmeno la pena. - Lei la conosce? Dice che è bellina, ma che deve aver fatto le sue campagne. (Ha, ripensandoci, l'accenno di un sorriso.)  Ma giusto appunto perché sono ragazzi non si può pretendere che non faccia­no le sue buscherate anche loro... Dico male? Ai suoi tempi, anche Lei, sor Felici, avrà fatto le Sue, no?

(Zazzera è impenetrabile; la Rosa è meno si­cura via continua a guardarlo.) 

Io, non creda, gli ho parlato chiaro, gliel'ho detto: - «Bada, bambi­no, che se lo viene a sapere il sor Felici... ».

ZAZZERA       (come se la fermasse con la mano)  « Il sor Felici » no; gli avrete detto « lo Zazzera ».

LA ROSA        (sorride)  Eh sì... ha ragione Lei; dissi proprio lo Zazzera. Che vuole mai? lo chiaman tutti a quel modo. Se l'ha per male?

ZAZZERA       Andate pure avanti. Gli diceste?

LA ROSA        « Se lo Zaz... Se il padrone lo viene a sapere, c'è caso che la butti giù male. Non che sia un delitto »  - gli uomini, si sa - (sospira)  « ma insomma, i padroni son sempre padroni ».

ZAZZERA       (secco)     E lui?

LA ROSA        Lui... i giovani credono d'aver sempre ra-gione loro!... lui dice: « Anche se glielo raccontano, non gliene importa. Quando io vado in banco alle sue ore, come difatti ci vado » - c'è sempre venuto, vero? - « lui di quello non se n'occupa e non ci ha niente a che vedere ». - Gli ho anche detto: « Allora fallo per me ». - Mi ha risposto: « O che ti levo qualche parte del mio bene? Te sei te, e lei è lei ». - Così mi ha risposto.

ZAZZERA       (duro)  Insomma, non la vuole lasciare. E voi lì, pare che ne siate contenta.

LA ROSA        Io?

ZAZZERA       Ma sì, come si trattasse di una gran prodezza.

LA ROSA        Io? Tutt'altro. Ma mi dica Lei che ho da fare! Tante volte a contrastare è peggio perché si ostinano. Sono vapori di gioventù che come vengono se ne vanno. Se non è oggi è domani, la ra­gazza finisce di lavorare in teatro - che è? scianteuse, danzeuse, che so io? - insomma è una di passaggio. E fra una settimana o due il capriccio gli è bell'e svanito. - La conosce Lei la Biasutti? quella che ha il marito controllore sul tram? Be', mi rac­contava la Biasutti che un  suo figliolo ci aveva anche lui una di teatro che pareva non si potesse liberare, e invece dopo dieci, dodici giorni, se n'era bell'e dimenticato. - Dice: « Dammi retta, queste cose qui non bisogna prenderle sul tragico .

ZAZZERA       Ah! sì, eh? O brava la sora Biasutti. (Aspro, con la faccia vicino alla faccia)  Ma i fogli da mille chi glieli dà al vostro figliolo? Glieli date voi?

LA ROSA        (con un balzo)     Quali fogli da mille?

ZAZZERA       Ah, ecco, ora vi scuotete anche voi. I fogli da mille per comprargli l'anelli. Voi lì, più che la fede al dito altro non ci dovete avere; lei invece, la scianteuse, ci ha di più e di meglio, per­ché glieli ha comprati il vostro figliolo, coi denari miei, miei, miei di me, che me li ha portati via.

LA ROSA        (con un grido)  No... Sor Felici, no... Que­sto no, non può essere... non è capace... Sor Felici, sor Felici....

ZAZZERA       O de' miei o de' vostri. E anche fossero dei vostri, stavolta li avrebbe presi a voi, domani li prende a me.

LA ROSA        No, no... non può essere, non può essere.

ZAZZERA       Come non può essere? Spesi li ha spesi. O a voi o a me: non se n'esce. Se non glieli avete dati voi... (Le pianta gli occhi in viso.)  Glieli avete dati voi?

LA ROSA        (con la gola riarsa, a mezza voce, abbas­sando gli occhi)    Sissignore.

ZAZZERA       (stupito, disorientato)  Glieli avete dati voi?

LA ROSA        Io.

ZAZZERA       Voi!  Quando?

LA ROSA        Giovedì scorso.

ZAZZERA       Quanto?

LA ROSA        Non mi stia a chiedere. Ho fatto male.

ZAZZERA       Dite quanto.

LA ROSA    ... Duemila.

ZAZZERA       Spesi bene! E poi ci si stupisce se i figlioli crescono alle forche.

LA ROSA        (si scusa, lenta, dimessa)  Ho fatto male... Ha ragione...

ZAZZERA       (sarcastico)  Vuol dire che ne avete dapparte di molti... E io che credevo! Mi congratulo!

LA ROSA        (umilissima)  No, sor Felici, no... Ma son suoi... Un giorno o l'altro...

ZAZZERA       Benone! sempre meglio! (Più alto di vo­ce)  Ma stavolta, oh, non siamo più in America: chi affoga affoga, e salvataggi non se ne fanno. Guà! ognuno ha i suoi gusti: si vede che a voi piace di farvi spogliare dagli uomini di casa, e lui... Eh! già: il sangue non è acqua. Vero figliolo di su' padre: talis patris...

LA ROSA        (rialza la testa. Non altezzosa, ma ferma)  Suo padre Lei lo lasci stare dov'è.

ZAZZERA       Io? Chi ve lo tocca! - E dov'è? - Silenzio! Magari non lo sapete neppure voi, dov'è. - Del resto, se siete contenta voi... Perché io credevo di peggio: che il vostro signorino avesse messo le mani sul mio... - Non ho altro a chiedervi. Per stasera, alme­no. - Buonanotte. (E la congeda col gesto.)

LA ROSA        Buonanotte. (Fa un passo, torna indie­tro.)  Chi gliel'ha detto? Sor Felici... a Lei chi gliel'ha detto? dell'anello.

ZAZZERA       Perché?

LA ROSA        O gliel'ha visto Lei? Quanto può valere?

ZAZZERA       Eh! già: a questo non ci avevo pensato, e tutto è lì. Proprio vero che son rimbecillito! Quanto può valere. Perché voi gli avete dato due. mila lire... - glie le avete proprio date?

LA ROSA        Glie l'ho date.

ZAZZERA       ... ma se il vostro ragazzo ha fatto le cose da gran signore - io l'anello non l'ho veduto - ci vuol altro che duemila lire!

LA ROSA        Ah! no... Sarà un gingillo da poco... Me lo disse - « Tanto perché abbia un mio ricordo »... Che so? sarà un cerchio... metta pure con una pie­tra... Ma ce ne sono di tutti i prezzi... Certo è una cosa da poco...

ZAZZERA       Speriamo. Perché se fosse diverso, se non s'è fermato all'anello... e se c'è in più la toalette... se paga lui l'albergo, può aver messo di mezzo anche me: parte voi, diciamo di buona gra­zia, parte io di rapina...

LA ROSA        Ma no, ma no, sor Felici.

ZAZZERA       (freddo)  Ripeto: speriamo. Domani vedo. Speriamo. Ma, oh, parole poche: se Manfredo ha rufolato nei miei cassetti...

LA ROSA        (si raccomanda)     No, no, sor Felici...

ZAZZERA       ... io ve lo piglio per il bavero della giac­ca, e ve lo deposito dal commissario.

LA ROSA        No, no, non mi dica questo! Manfredo! il mio Manfredo! Come può essere! Mi son aperta il petto per lui... li ho cresciuti col fiato, lui e la sorella... ma forse, Dio mi perdoni, più lui... Perché è il primo... mi nacque che non c'eravamo an­cora sposati... è il vero figlio dell'amore... No, no, sono sicura che non l'ha fatto. Ora vado a casa subito e gli domando... Ma son sicura... Meglio morire tutti e due... Dico giusto, sor Felici?

ZAZZERA       (sempre freddo, sfiduciato)     Speriamo.

LA ROSA        Ma se non è quello che credeva... se Lei, sor Felici, s'è ingannato, non me lo butti in mezzo alla strada... - L'amore... è la sua età. Son ragaz­zate. Basta che abbia la testa a lavorare; il resto... gli metta paura per un'altra volta, ma lo continui a tenere in banco. Lei sor Felici è buono... ho letto anche ieri, sul giornale... Migliaia e migliaia di lire per le vedove in onore dei Suoi poveri morti.... e dunque...

ZAZZERA       Sissignore. Migliaia di lire. Ma regalo di mio, se voglio, quando voglio, e quanto voglio. Altro è lasciarsi portar via. - Anche per la figura. La figura dell'imbecille, no. E se un gatto selvati­co mi ruba nel pollaio (prende la mira e spara un fucile immaginario)  pum!... (Tranquillo)  Buonanotte, Rosa.

LA ROSA        (lenta, con la voce dolce)  Eh!.. la figura? O chi mai vuole che sappia? Si fa per dire: non è, ma anche fosse... se sta zitto Lei...

ZAZZERA       (tronca)  Buonanotte, Rosa. Speriamo bene.

LA ROSA        (si avvia, dopo qualche passo barcolla, brancola un istante, sta per cadere, s'aggrappa al tavolino, alla sedia più prossima. A mezza voce)  La testa...  Mi gira la testa... (Serra gli occhi.)

ZAZZERA       Giù. Giù, a sedere. O che avete? Bevete qualcosa. (Chiama)  Vaporino!

LA ROSA        (riapre gli occhi)  Niente. Non è niente. Non è niente. Ogni tanto mi fa. (Vorrebbe sorri­dere)  Son caldane... E poi subito pare di scioglier­si in acqua.

ZAZZERA       (a Vaporino che entra)  Porta un cognacchino, una sciartrosa, un liquore spiritoso in­somma, per la Rosa qui che non si sente bene.

VAPORINO    (istintivamente curioso sporge il viso verso la Rosa)    O che ha?

ZAZZERA       (con uno scoppio di voce)  Via. Vola. (Vaporino ha un trasalto, obbedisce, esce.)  ORosa, se vi volete slacciare io vado di là. (E quasi s'av­via.)

LA ROSA        No no, grazie. (Gli afferra una mano, gliela stringe.)  Sia bono... Sor Felici, sia bono.

ZAZZERA       Volete che vi chiami la figliola?

LA ROSA        Grazie. La chiamo io, se permette... Ma non dica nulla Lei di Manfredo... (Si muove verso la finestra, si affaccia, chiama)  Argentina! (Con più fiato)  Argentina!

LA VOCE DI ARGENTINA    Oo!

LA ROSA        Quando tu hai chiuso...

LA VOCE DI ARGENTINA   Chiudo ora...

LA ROSA        ... vieni un momento su.

LA VOCE DI ARGENTINA   Ancor io?

LA ROSA        Sisì. (Quando si volta, che Zazzera non la vede, pare una Mater Dolorosa. Zazzera adesso la fissa e la Rosa si sforza a sorridergli a mezza bocca.) 

Ora viene. - Ma guarda che cosa mi va a capitare stasera! - Sor Felici, sia bono... sia bono...

(Vaporino dai piedi dolci entra col vassoio e un bicchiere di cognac, traballante.)

ATTO  SECONDO

In casa della Rosa. Una stanza modesta, da lavoro e da ricevere, che dà sulla strada, a un primo piano sopra  la  trattoria.  Finestra spalancata; è mattina.

ARGENTINA (è sola e lavora alla macchina da cu­cire attorno a una camicia già imbastita, e canta) 

« Moretto, moretto - stasera t'aspetto... » (Sospen­de, guarda se il lavoro procede bene e riprende il canto)   « Moretto,  moretto - stasera t'aspetto... ».

UNA VOCE D'UOMO (chiama dalla strada)  Gentina. O Gentinaa!

ARGENTINA   (si alza, va alla finestra e risponde)  Che vuoi, Cecco?

LA VOCE D'UOMO   O chi è il Moretto?

ARGENTINA   (ride)  Che te ne importa chi è? Non te ne occupare.

LA VOCE D'UOMO Eh no! Perché se non arriva lui, stasera... tu potresti pigliarmi me al suo posto.

ARGENTINA   (non sa se ridere o indignarsi)  Teee? Piuttosto vado su e mi butto dal quarto piano. (E chiude la finestra.)

LA VOCE D'UOMO (esagerata di spasimo)  O biondaaa! come tu sei crudele!

ARGENTINA   (ride, scuote il capo)  Come tu se' im­becille. (Torna al lavoro, canta; la macchina ri­prende il suo ticchettio.)  « Moretto, moretto - sta­sera t'aspe... ».

(Non finisce perché sente una chia­ve che gira attorno a una serratura e la porta che si chiude. Senza muoversi domanda) 

Chi è venuto? Sei tu, Manfredo?

LA ROSA        (prima di entrare)  No, son io.

(Entra; ha in mano una borsa con la spesa; si lascia andare sulla prima sedia che trova.) 

Credevi che fosse il tuo fratello? Non s'è ancora visto?

ARGENTINA   No, non s'è visto.

LA ROSA        Di giù - di trattoria - non è passato; su non è venuto... io non arrivo a capire...

ARGENTINA   Verrà, non ti dar pena.

(Silenzio breve. Argentina bada alla sua macchina.)

LA ROSA        Ma stanotte, che soffoco! Un po' il caldo, un po' il pensiero di Manfredo, non ho chiuso oc­chio. A una cert'ora... saranno state le tre... mi so­no alzata, ho aperto la finestra, ho girato per casa.. Mi avrai sentito.

ARGENTINA   Io no.

LA ROSA        E non hai sentito neppure i rovesci d'acqua, stamani presto?

ARGENTINA   (ride)    Neppure.

LA ROSA        Meglio così. Dio ti mantenga libera di pensieri. - Manfredo non ti aveva detto nulla, che non sarebbe venuto?

ARGENTINA   Nulla. (Sorride.)  Ma vedrai, non l'ha preso nemmeno lui l'acquazzone. Era al coperto, ci puoi giurare.

LA ROSA        Che ne sai?

ARGENTINA   O che vuoi? che passeggi anche la notte con la... Tumistufi? Noe, noe. A una certa ora si ritirano anche i colombi. L'amore si fa meglio in casa.

LA ROSA        (si raccomanda che taccia)  Argentina, ti prego...

ARGENTINA   (schietta)  Dicevo per metterti in cal­ma, che tu t'agiti senza ragione. Per me, c'è, non c'è, va, sta, la Tumistufi o la Tumistafi... è tutto uguale. Ci ha a pensare lui. Una volta che gli ac­cennai... m'ebbe a mangiar viva. E io zitta. Se non dà retta a te... - Torni ora del mercato?

LA ROSA        Sono entrata in chiesa un minuto... Ma un minuto. Speravo di trovarlo qui.

ARGENTINA   Che ci hai preso al mercato?

LA ROSA        Lo sai pure com'è in questi giorni: poco si trova e quel poco caro assaettato. Tutto per Viareggio e per il Forte.

ARGENTINA   Fanno bene: a Lucca d'agosto non c'è nessuno. Si potrebbe chiudere e ci si guadagne­rebbe un tanto.

LA ROSA        Eh! sì. Proprio per non sviare quei po­chi che sono qui a catena come noi.

ARGENTINA   (con gli occhi che le sfavillano)  Ci pensi: poter chiudere, sia pure otto giorni?

LA ROSA        Per farsene, poi?

ARGENTINA   Riposarsi. E divertirsi. Andare al ci­nema, ballare... (Ride.)  Mamma, lo faresti un bal­letto? (Balza in piedi, le fa fare un mezzo giro.)  Zuntetiero, zuntetiero...

LA ROSA        (non ha voglia di ridere)  Ferma lì!  Ancora un minuto e poi scendo. Due scale: ci credi, mi sento le gambe peggio che se avessi salito una montagna. Come si invecchia, bimba mia!

ARGENTINA   Chi? tu? Mi fai ridere.

LA ROSA        Vecchia, vecchia: mi sento vecchia.

ARGENTINA   Non lo dire che nessuno ti crede. Mammetta, mammona, mammussi... Tu se' una gran civettona. Ci son tante più giovani di te che ne pagherebbero! Senti me piuttosto: è lunedì; a pranzo - forse - ci verrà qualche povero infelice, ma a colazione più che i pensionanti... Se tu vuoi restare in casa, buttarti sul letto un'ora... anche due, anche tre, non c'è guasto di sicuro. Dammi retta. Scendo io in trattoria: basta che tu ci sia per la mezza.

LA ROSA        (la ferma con la voce e col gesto)  No no: piuttosto, se viene Manfredo mi chiami subito su o gli dici che passi lui giù. Ma che non si dimentichi, e non vada in banco prima di avermi visto, che gli ho da fare un'ambasciata... Te ne ricordi, vero? Che non vada. E tu torna al tuo lavoro. (E l'accompagna alla macchina.)  È l'ultima, vero? (Guarda la camicia.)

ARGENTINA   Sì, l'ultima.

LA ROSA        (gaia)  Lo vedi? Pareva che non dovesse mai venire quel giorno... Hai fatto svelta. Sei contenta, no?, di aver finito?

ARGENTINA   Il corredo c'è. Non ci manca che lo sposo.

LA ROSA        Verrà, verrà.

ARGENTINA   Ma sì. (Canta)  « Moretto, moretto, - stasera t'aspe... ».

LA ROSA        (fonda, drammatica)  Se Dio mi fa la grazia che il tuo fratello...

ARGENTINA   Non ti ci fissare, gli passerà.

(La Rosa non è convinta.) 

Gli passerà. A noi no, ma ai maschiacci un po' prima un po' dopo gli passa.

LA ROSA        (sorride appena)  Che vuoi sapere tu che sei nata ieri?

ARGENTINA   Diciamo ieri l'altro... E anche fosse, ho imparato in casa fin da quando ero bimba, ma bimba davvero. Tu che piangevi e babbo...

LA ROSA        (col gesto oltreché con la parola)  Sta' zitta. Pare che tu lo faccia apposta.

ARGENTINA   (per giustificarsi)  Ma no... tu doman­di, e io chiarisco. Ma esser nata omo, che bel mon­do! O diversamente essere una di quelle che non stanno a badare, oggi vanno con quello, domani con questo. Una Tumistufi, ecco.

LA ROSA        Ma Argentina, lo sai quel che dici?

ARGENTINA   (sorride)  Ti spaventi? No, no: di far-lo non sono capace e dunque lasciami almeno sfo­gare a parole. Gli uomini - beati loro - sì, il giorno lavorano - quelli che lavorano - ma poi la sera si divertono, spasseggiano, giocano... Hai visto iersera al Circolo? - Giusto: almeno stamani me lo spie­ghi un po' che cosa voleva lo Zazzera che ti fece chiamare così di premura?

LA ROSA        Niente, niente.

ARGENTINA   Mica roba di Manfredo?

LA ROSA        No, no: roba sua di lui. Voleva certe informazioni di una persona.

ARGENTINA   O me, perché mi chiamasti?

LA ROSA        Ci credi, non lo so neppur io. Così! Mi venne fatto.

ARGENTINA   Fu iniziativa tua, insomma.

LA ROSA        Mia, mia.

ARGENTINA   Perché sai che ti ho a dire? Lo Zaz­zera, non m'è riuscito punto simpatico.

LA ROSA        (un po' delusa)  Ah! no? O che non lo conoscevi già?

ARGENTINA   Sì. ma ci avevo scambiato venti, trenta parole in tutto. Non mi garba.

LA ROSA        In altri tempi ci fece del bene. Se non era lui ad aiutarci...

ARGENTINA   Lo so; ma non mi garba lo stesso. Come devo dire? Per signore non è fino, e per uno qualunque, mette soggezione; forse perché si sa che è quattrinaio. (Riattacca con la macchina.) 

« Moretto, moretto, - stasera t'aspetto... ».

LA ROSA        (secca)  Non cantare.

(Argentina sospende canto e lavoro per guardarla stupita.) 

Scusami,stamani tutto mi dà fastidio. Non mi sento bene. (Un breve silenzio.)  Sì, sì, fammi questo piacere di scender tu; poi vengo.

ARGENTINA   (copre la macchina)  Una volta tanto che mi dài retta. Fa' un po' di nannina se ti riesce.

(S'avvia. La Rosa, quando Argentina le passa da­vanti, le afferra le mani, la piega a sé, la bacia in fronte. Argentina sorride e dice gaiamente) 

Questo è il mio guadagno.

LA ROSA        Di che?

ARGENTINA   Che Manfredo non c'è e si porta male. Non li puoi dare a lui: baci me. Doppia por­zione. La sua e la mia.

LA ROSA        Se tu sapessi... (Si ferma.)  Vai vai.

ARGENTINA   (si avvia. Indica col viso la macchina)  Il corredo c'è. Non ci manca che lo sposo. (Ride ed esce.)

LA ROSA        (la segue con lo sguardo. Quand'è uscita si muove lenta a fatica per la stanza, mette a posto le sedie per un'abitudine d'ordine. Si sente girare la chiave alla porta. Allora si ferma, assume un at­teggiamento fermo e chiuso) 

Ecco. (E rigida aspetta.)

MANFREDO   (entra cauto. Quando vede la madre ha un sussulto)  O che sei qui tu? Ti credevo...

LA ROSA        (tronca)  Invece no. - Hai incontrato tua sorella?

MANFREDO   No. Perché?

LA ROSA        Meglio. È scesa adesso. Sì, sono qui per aspettarti. Tutta la notte ti ho aspettato!

MANFREDO   (per prendere il sopravvento)  Io di­co...

LA ROSA        Zitto, eh. (L'afferra per la giacca. A mez­za voce)  Da ieri mattina che sei uscito! Dove sei stato? Rispondi. Già lo so: a scialare con quella poco di buono.

MANFREDO   Mamma...

LA ROSA        A sciuparti la salute - che sei pallido, magro che pare t'abbiano succhiato le streghe...

MANFREDO      Mamma...

LA ROSA        Ma ora, quest'ultimi giorni, chi te li dà, i denari? Dove li hai presi i denari, per comprarle l'anello?

MANFREDO   Mamma, che dici? (Cerca di liberarsi. Sempre sfrontato.)  Non mi tenere... Era meglio se non salivo, se partivo senza vederti...

LA ROSA        « Partivo? » . Con quella là?

MANFREDO   (senza badarle)  Non mi tenere. Tan­to non c'è più rimedio... Né con le buone, né con le cattive. Sono matto... Sono diventato matto... E dunque lasciami andare...

LA ROSA        (che lo tiene ancora, sempre a mezza vo­ce)  Matto? No: ladro.

(Manfredo come fulminato indietreggia. Ora Rosa lo lascia.) 

E li rubi a tua madre: perché poi così finisce: che pago io. - Sem­pre io, sempre io. Non ho fatto altro che pagare, tutta la vita. O di tasca o di persona. Gli altri a go­dere, io a pagare. È un destino! (Indica.)  Anche stanotte, su quella sedia dicevo: « No, non può es­sere, non può essere - ma non ci credevo a quello che dicevo. Tu mi avevi chiesto denari, io te li ave­vo negati - dove li piglio io? chi me li dà? - e tu... (Energica, imperiosa)  A chi li hai presi?

MANFREDO   Non li ho presi.

LA ROSA        Come no?

MANFREDO   Me li hanno prestati.

LA ROSA        (con un grido)  Non è vero. (A mezza vo­ce tutto il resto.)  Non è vero. Chi? chi te li deve fidare? A un ragazzo, di famiglia povera, a uno perso dietro a una donna... perché lo sanno tutti: ti ci sei fatto vedere assieme. Tu li hai presi allo Zazzera... Di'... Di'... (Lo riafferra, lo scrolla.)  O... o... o...  Che fai? Anche lo strafottente? (Gelida)  Ah! vuol dire che ti piace andare in galera. Guar­da, apro la porta, ti lascio scender le scale... Manco di un'ora ti pigliano i carabinieri.

MANFREDO   (grida)     No.

LA ROSA        Sì: te li manda lo Zazzera. Me l'ha detto lui. iersera.

MANFREDO   Ha scoperto?

LA ROSA        (ha un trasalto, soffoca un grido. Amarissima)  Ha scoperto. (Suda freddo e si asciuga la fronte.)  Non era proprio sicuro, ma oggi fa le ve­rifiche e trova. L'hanno messo sull'avviso. E non avrà pietà: me lo ha detto iersera. D'altronde tu non gli sei parente, né sei uno che si meriti ri­guardi, dunque... (Ha ragionato e concluso per sé. più che per lui.)  Senti qui: se ci si arriva, quel po­co che ho io, quel poco che ha tua sorella... palan­che, lo sai... pur di non mandarti in prigione... non per te: per lei, per me... se ci si arriva, ci si mette una toppa. A tua sorella, se proprio non sei uno senza vergogna, un giorno o l'altro li renderai... Quanto hai preso? Ci si può arrivare? Parla. Quan­t'è? Parla.

MANFREDO   (convulso)  È di più... è di più... di più. Ho perso la testa. Prima il foglio da cento... Poi... Mi conoscevano... firmavo la ricevuta... L'ultima è la più grossa... Ho perso la testa. Come se fosse un altro a chiedere, a scrivere... Ho perso la testa. (Quasi piagnucola da ragazzo smarrito.)  Lasciami andare... Prima che vengano i carabinieri, mi ammazzo.

LA ROSA        (quasi calma)  No no. Io, ti ammazzo. Perché tu lo dici ma non lo fai. Io - per esser sicu­ra - con queste mani mie. « Meglio morto che tor­to ». Meglio al camposanto che in carcere. . Voglio vedere se c'è un giudice che mi potrà condannare. Ma io dico di no. E anche se mi condanna... No, no, se una madre per salvare l'onore della casa ar­riva al punto... (D'un tratto ha uno scoppio di pian­to nella voce)  Ma cosa salvo? Cosa salvo? Non c'è più niente da salvare. Niente.

MANFREDO   Mamma, hai ragione. Niente. Non c'è più niente da fare. Mi ha piantato. È scappata.

(Rosa alza gli occhi lacrimosi.) 

È scappata, capi­sci... Dopo che io... E lei lo sa... Anzi, appunto per questo... Mi ha detto: - « È meglio che ci lasciamo. Tanto non si potrebbe durare. E bada, non mi se­guire che è peggio ». - Lo sapeva prima, che io non ero un signore! - E perché io insistevo a voler sa­pere dove andava, mi ha gridato sulla faccia: - « No, no, con te non ci sto: con un ladro non ci sto »... E se ho rubato ho rubato per lei. Mamma mia, mamma mia, mamma mia... (Piange sul petto della madre.)

LA ROSA        (ha dimenticato tutto. Con la mano libera gli carezza i capelli, poi lo bacia senza rimuoverlo) 

Bimbo, bimbo mio... Lo vedi? . Non ci pensare... non ci pensar più a quella lì... Sei con la tua mam­ma... Lei non ti lascia... Su, Manfredo... su, bello mio... non ci pensar più... La lezione tu l'hai avuta. - In un modo o in un altro rimedieremo.

(Si suona alla porta. I due si staccano atterriti.) 

Vengono per arrestarti... Va' via.

MANFREDO   (perduto)     E dove? dove?

LA ROSA        Dove tu vuoi. Nasconditi.

MANFREDO   Mi trovano... mi pigliano lo stesso. (Si suona ancora.)

LA ROSA        No... no... prova... si, prova... di là. (Qua­si lo butta fuori. Va ad aprire.)  Ooh! tu sei? Annetta!

(E precede l'Annetta. Più forte perché l'altro senta e si rassicuri) 

Sei l'Annetta! Avanti, avanti, Annetta. - Che volevi?

ANNETTA      (entra stupita)  O Rosa, che t'eri ad­dormentata che non mi sentivi? L'Argentina mi aveva detto che tu eri in casa, epperciò son salita. Dormivi?

LA ROSA        No no. Hai fatto bene a salire.

ANNETTA      Tu mi guardi a un modo... Hai una fac­cia curiosa.

LA ROSA        Io? Che faccia ho? allegra?

ANNETTA      Non direi... Sbalordita.

LA ROSA        (leggera di tono)  Mah... Hai sonato for­te... Ho preso uno spavento... A volte ci si sgomen­ta di nulla. - Volevi? Di'.

ANNETTA      Scusami, sai, ma se non ci si aiuta fra noi... Bada veh, soldi non te ne chiedo. Respiri?

LA ROSA        Va' avanti. Di' quello che hai a dire.

ANNETTA      Tu, sei sempre bene con lo Zazzera?

LA ROSA        (aggrotta le ciglia, esita un momento)  Sì perché?  (Attenua)  Bene... secondo. Lo conosco.

ANNETTA      Lo sai Nando.. il mio cognato? Era il suo giardiniere, dello Zazzera...

LA ROSA        Sì, mi ricordo.

ANNETTA      L'ha mandato via, saranno domani otto giorni!

LA ROSA        (s'interessa)    Ah, perché?

ANNETTA      Perché una mattina che lui, lo Zazzera, pare s'era levato con la luna di traverso, gli disse senza motivo che era andato tardi, che quello si chiama rubare la paga... Nando - è un uomo anche lui, no? - gli rispose secco. E lo Zazzera lo mise fuori su due piedi. Finora non ha preso nessuno al su' posto, ma chiamare non lo richiama, e Nan­do che l'ha in pratica dice che quando s'è lasciato sfuggire una parola, non lo rimovi nemmeno a cannonate.

LA ROSA        Ma Nando ha riconosciuto il suo torto... sì, insomma, gli ha chiesto scusa?

ANNETTA      Altroché! Poco meno che in ginocchio. Niente.

LA ROSA        (quasi tra sé, per sé. desolata)     E allora?

ANNETTA      Ma se ci si mette una persona di mez­zo, forse.... Ma chi? E dunque la mia sorella avrebbe pensato a te.

LA ROSA        A me? E come posso io...?

ANNETTA      Intanto tu lo pratichi da un pezzo. Tu ci hai il figliolo in banco suo. Poi lui viene spesso a mangiare alla tua trattoria...

LA ROSA        Sì, ma che conta?

ANNETTA      Conta. (Maliziosetta nell'apparente sem­plicità.)  Lo sai bene gli uomini come si tengono: o con la gola o con le moine. Fossi giovane e bella ci andrei io... Ma di me che se n'ha a fare?

LA ROSA        (come tra sé)     Vero, è vero.

ANNETTA      Tu ci hai tanto garbo... Che lo so? fra un piatto e l'altro (sorride)  gli servi anche un discorsino: « Lei che è tanto bono, Lei qua, Lei là »... Se il pranzetto è gustoso digerisce anche quello. Ti provi: non dico che ti riesca. Faresti un'opera santa: la mia sorella non fa che piangere.

LA ROSA        (pensa a sé)  Con lui, dunque, con tuo cognato è stato irremovibile?

ANNETTA      Irremovibile.

LA ROSA        Figurati se gli avesse portato via roba sua, denari suoi!

ANNETTA      In galera; lo mandava in galera. (Quasi offesa della supposizione)  Oh, ma che pensi? Qui non è il caso. Né uno spillo, né un centesimo. Nando è un galantomo.

LA ROSA        (ora la vuol mandar via)  Lo so. Vai, vai, non dubitare; la prima volta che lo vedo, se posso... Non ci spero - che vuoi sperare? - ma mi proverò.

ANNETTA      Grazie, Rosa. Dio ti compenserà.

LA ROSA        (quasi le getterebbe le braccia al collo)  Nina mia, n'ho tanto bisogno!

ANNETTA      (incuriosita si sofferma)  O che? c'è qualche novità, ci hai qualche guaio? Mi dispiace.

LA ROSA        No, niente, niente. (E la sospinge.)

ANNETTA      Per il tuo figliolo... con quella france­se? E lascialo divertire! Finché son giovani! Cor­bellone noi che non l'abbiamo fatto quando si poteva... - Allora, posso dire a mia sorella...?

LA ROSA        Sì, sì, non dubitare.

(Esce con lei. Rientra.  Bisogna aver la testa a posto e non commuo­versi. - Chiama con voce ferma) 

Manfredo, Manfredo...

MANFREDO   (rientra)     Mamma.

LA ROSA        Era l'Annetta. Voleva...

MANFREDO   Ho sentito.

LA ROSA        Tutto, hai sentito? anche di quel suo co­gnato? - Dunque per noi non c'è da sperare. Se con quello lì... per una parola... immagina con te! Biso­gna che tu vada lontano per ora. Dove tu credi meglio...  dove pensi d'essere più al sicuro. Se lo Zaz­zera si persuade... si contenta di promesse, d'im­pegni a un tanto al mese... e allora tu potresti tor­nare. Se no, resti lontano se ti riesce. In carcere no: mi pare che piuttosto ti vorrei vedere tra due torce che in carcere... - Bada, non mi scrivere. Scrivono: e così si fanno prendere. Vuol dire che io non saprò dove tu sei... Uno e uno due; come tu' padre.

(Ha un brivido. Un breve silenzio.) 

Denari... te n'è rimasti punti?

(Manfredo tace.) 

Ho capito. Ti ha strizzato e poi...

(Pausa breve.) 

Ora tu vai giù in trattoria e mi mandi su l'Argentina... Ma non le dici niente di te. Dici che ho bisogno di lei: ci parlo io. Giù nel cassetto del banco a sinistra c'è il portafogli (gli dà la chiave.)  ci trovi due fo­gli da cinquecento. Denari liquidi, in casa non c'è altro. Ne pigli uno per i primi giorni. - Uno, eh? - Biancheria, vestiti, no, perché se ti vedono per istrada con la valigia...

MANFREDO   (si commuove)     Ma voi due... voi due?

LA ROSA        Zitto. In qualche modo faremo. . Ora mandami l'Argentina.

MANFREDO   (ha un singhiozzo)  Mamma, perdonami. Dimmi che mi perdoni.

LA ROSA        Zitto. I pianti non servono a nulla. Vai, obbedisci.

(Manfredo esita un momento. Le prende una mano abbandonata, gliela bacia. La mano rica­de come morta. Manfredo esce. La Rosa non si vol­ta. Poi ha come un rigurgito di pianto: lo soffoca col fazzoletto. Si sente come un mugolio; si placa. Va alla finestra: si alza in punta di piedi per veder lontano in istrada il figliolo. Così la sorprende Ar­gentina che entra tranquilla.)

ARGENTINA   Sempre con la testa nelle nuvole quel Manfredo! ha lasciato la porta aperta. - Ti sei fatta sentire con lui? Che dice?

LA ROSA        (con la gola secca alle prime parole, senza gesti)  Gentina, vieni qua. In breve, perché non c'è tempo che avanzi. - Manfredo ha fatto malanni.

ARGENTINA   (colpita ma non troppo sorpresa)  Ah! Per quella sudicia... C'era da immaginarselo.

LA ROSA        Non so precisamente di quanto, ma grossi. Siamo nelle mani dello Zazzera; è in poter suo di mandarlo in galera. E ne ha tutta l'intenzione, a quanto mi fece capire iersera.

ARGENTINA   Ah! fu per questo che ti fece chiama­re di furia? Tu non sapevi...

LA ROSA        No, Manfredo ha confessato ora. - Che si fa? che si fa? Iersera lui, Zazzera, mi fece intendere che non perdona.

ARGENTINA   No?

LA ROSA        No. Anche se mi strascino per terra a supplicarlo, io non lo rimuovo. Oltre tutto, credo, m'ha rancore perché tant'anni fa, lui voleva... e io non volli. Lui come gli altri; e io, né lui né altri... Tuo padre... Non significa nulla: io dovevo stare al mio giuramento. - Dunque: se si lascia passar la giornata senza vederlo, senza parlargli, non c'è rimedio; quello lo denunzia. Che si fa?

ARGENTINA   Tu dici che non riusciresti a nulla...

LA ROSA        A nulla.

ARGENTINA   Pagarlo non è possibile...

LA ROSA        Con quali? Avessi il modo d'impegnare quel po' di roba, di riscuotere attorno... tutto no... ma una parte... forse. Ma bisogna avere il tempo davanti a sé. Quella è la prima cosa.

ARGENTINA   E allora?

LA ROSA        Non so. - Se tu andassi da lui, in banco, e tu gli parlassi, lo pregassi...?

ARGENTINA   Io?

LA ROSA        ... gli dici che lui è un signore e quindi per lui non è la rovina, che è già stato generoso una prima volta, sia generoso ancora...

ARGENTINA   Ma non gliel'hai detto tu? Se glielo ripeto io non muta.

LA ROSA        Chi sa mai! Almeno tentare. Ora è ina­sprito, ma di natura non è cattivo. E te forse ti ascolta. Certo più che me. Sei un'altra voce, hai un'altra faccia. Non ti vorrà rovinare.

ARGENTINA   Povera mamma, come tu t'illudi! - Pianti e parole, quand'anche, non servono. Se non gli piaccio, mi butta fuori di casa, se gli piaccio... come con te allora.

LA ROSA        Ma no, ma no, Gentina. Che dici? Che vai a pensare?

ARGENTINA   È un vizioso, un donnaiolo. Lo sapevo, gli si vede negli occhi, l'hai detto te ora...

LA ROSA        No, no... Possibile che davanti a una po­vera ragazza che si raccomanda, uno pensi subito a profittarne? Vorrei che tu provassi, almeno provassi.

ARGENTINA   Mamma, come tu se' rimasta inge­nua! - No, io non ci vado dallo Zazzera. Non mi sento, mi ripugna.

LA ROSA        Anche ripugnandomi, se io fossi al tuo posto...

ARGENTINA   Perché sei al tuo, dei posti. Si fa presto a dire. Tu ti chiudi gli occhi, gli orecchi per non vedere, per non sentire, perché si tratta di Manfredo, che t'è figliolo, che è il maschio, che è il primo, che è il preferito...

LA ROSA        No, no, no; non mi mettere anche que­sta spina in una giornata come questa d'oggi. Siete tutti e due uguali, tutti e due. Si trattasse di te sarebbe il medesimo. Mi dicessero: « Mettiti un sasso al collo, e giù - e Manfredo torna a casa rav­veduto e lavoratore », lo farei subito. Cosi per te, se tu fossi sviata come è lui. - Per il bene dei fi­glioli tutto è lecito, tutto è pulito: per salvarli dal­la morte, dalla vergogna del carcere che è peggio, anche rubare, anche ammazzare. Tutto.

ARGENTINA   Va bene: tu sei madre. E sei nata con quella smania di strapparti tutto di dosso, oro, vestiti, pelle, carne, tutto per gli altri... Ma hai pur visto quello che ci si guadagna: che ti passano coi piedi sul capo.

LA ROSA        L'ho visto: non vuol dire.

ARGENTINA   Prima il marito, poi il figliolo.

LA ROSA        Non vuol dire. In quei casi anche il soffrire è un godere.

ARGENTINA   Ma io... - Te ti rispetto e ti venero... gli altri... - Scontare i peccati degli altri, patire, avvilirsi per gli altri, no. - Io, io, io: voglio vivere, io. Per me. Non ancora ho vent'anni. Ho diritto.

LA ROSA        (quasi le brillati gli occhi)  Di': e se ti sposasse? Perché ti potrebbe sposare. Non è detto, perché tu sei povera... Ne ha tanti lui!

ARGENTINA   No. Neanche se mi sposasse. Noi siamo di quelle che non ci si vende né per poco né per molto. L'uomo che gli si vuol bene: quello si vuole. E allora anche i pianti, anche gli stenti, anche la fame è saporosa. Siamo di quelle: non s'in­ganna. I maschi di casa nostra son viziosi, le donne no. Non c'è promessa, non c'è somma, nulla che ci rimuova... (Ora quasi ride, quasi grida festosa)  Lo vuoi sapere? Sono innamorata, io.

LA ROSA        Tu?

ARGENTINA   Ma non di Zazzera; d'un altro. Pove­ro in canna, come me, peggio di me. . « Non vuol dire » è la tua frase. Zazzera può avere i milioni di... di non so chi, mi volesse in isposa potrebbe piangere, supplicare... no, no, lui non lo vorrei. (E canta)  « Moretto, moretto... ».

LA ROSA        Diventi matta? Di chi ti sei innamorata? E non mi dicevi nulla!

(Suonano furiosamente. Trasalisce.) 

Questo è lui di certo. Che Dio ci aiuti. Gli parlo io. Apri.

ARGENTINA   (esce. Si sente la voce di dentro)  Buongiorno, sor Felici.

LA VOCE DI ZAZZERA (brusca)    Chi c'è in casa?

LA VOCE DI ARGENTINA   C'è la mamma.

LA VOCE DI ZAZZERA   Sola?

LA VOCE DI ARGENTINA    Sola.

LA ROSA        Entri, entri.

(Zazzera entra; anche Argentina riappare, titubante).

(All'Argentina)  Tu scendi pur giù.

ARGENTINA   (guarda ora l'uno ora l'altra. Si è fat­ta più tenera, più affettuosa. Ha paura, non sa di che.)     Mamma... se tu mi vuoi mi chiami.

LA ROSA        Sì, sì.

ARGENTINA   (a mezza voce)  Riverito, sor Felici. (Esce, richiude.)

ZAZZERA       (è furioso)     Dunque?

LA ROSA        (calma)  Mi dica Lei. Ci son novità? S'accomodi.

ZAZZERA       Non mi fate la scema voi. Basta iersera. - Novità! L'ultima novità è questa: che il vostro figliolo oggi non s'è visto in banco. E, dunque è scappato con la francese...

LA ROSA        (sempre calma)     No, sor Felici...

ZAZZERA       Io dico di sì; o diversamente l'avete avvisato de' miei sospetti e gli avete dato una mano a scappare. (Con uno slancio di voce e di mezza la persona)  E quanto ha portato via, lo sapete? ve l'ha detto? Ventimila lire. È uno steccolo! Se pure non ne saltano fuori dell'altre. (Quasi la gira col braccio.)  Oh! chi me li rende? Son passato dall'al­bergo, a cercare della ballerina, della sciantosa... quello che è. Se ce la trovavo gli facevo fare un balletto io da ricordarsene tutta la vita. E quel che ha avuto lo ributtava fuori. Se no in gattabuia an­che lei, perché lui è minorenne e si è approfittata. A farsi compagnia. - Invece niente: ha filato via anche lei. Stanotte. - Vi siete messi tutti d'accordo per corbellarmi.

LA ROSA        Questo no: che le pare?

ZAZZERA       (seguita imperterrito)  Oh! se niente niente mi gira, vi faccio chiudere la trattoria e così finite di avvelenare gli avventori, compreso quell'imbecille di sottoscritto che ci veniva non si sa perché. Polli, vino, prosciutti, quello che c'è ve li sequestro e me li pappo io. Almeno quello!

LA ROSA        (calma)     Ha terminato?

ZAZZERA       (smontato d'un tratto)  Come sarebbe a dire?

LA ROSA        Sì, domando, se ha avuto il Suo giusto sfogo.

ZAZZERA       Cioè? Secondo quello che mi si risponde. Ho terminato, ma sono pronto a ricominciare. Qui sono in ballo i fogli da mille.

LA ROSA        Appunto. Ora mi lascia parlare? - Il mio figliolo, se oggi non è venuto... la responsabilità è mia.

ZAZZERA       Ah!

LA ROSA        Gli ho detto io di non farsi vedere fino a tanto che non si fosse accomodata ogni cosa tra noi due.

ZAZZERA       (si rimonta)  Accomodare che? Accomo­dare come? Qui si tratta...

LA ROSA        (sempre più calma)  Lei non avrà da ri­mettere un centesimo.  Si fida della mia  parola?

ZAZZERA       Cioè? Spiegarsi.

LA ROSA        L'accetta una cambiale a sei mesi?

ZAZZERA       (rifiuta con la testa, con la mano, con la voce)  Niente cambiali. Cambiali, malvolentieri, per affari. Ma qui è rubalizio. Io voglio le mie ventimila lire. Biglietti di banca.

LA ROSA        E Lei li avrà. In contanti.

ZAZZERA       Di dove vi piovono? Vostro marito s'è rifatto vivo?

LA ROSA        Lei non se n'occupi. Basta che vengano. Quel che s'ha a pagare, si pagherà. Così va bene? è contento? S'accomodi. (Semplice, volutamente ingenua)  Quanto mi dà di tempo?

ZAZZERA       (che s'era accomodato si leva ancora in piedi)    Non dò tempo: ve l'ho detto.

LA ROSA        Nemmeno una settimana? 66

ZAZZERA       Nemmeno.

LA ROSA        (sbalordita)     Ah!

ZAZZERA       Nemmeno. Perché voi m'avete imbro­gliato. Voi peggio del vostro figliolo.

LA ROSA        Io?

ZAZZERA       Sì; che iersera mi diceste: « Glieli ho dati io » e non era vero.

LA ROSA        L'avrebbe fatto anche Lei. - S'accomodi! se no, a questo modo non c'intendiamo. (Zazzera risiede.)  Dunque, cambiali non ne vuole.

ZAZZERA       Che si torna daccapo? (Secco)  No. Ri­sposta esplicita e breve.

LA ROSA        (dolce, insinuante)  Allora senta un po'. Si fa così: le scrivo una carta con tutte le ga­ranzie che i guadagni della trattoria fino alla con­correnza di ventimila lire...

ZAZZERA       No. Han da venirmi tutti e subito.

LA ROSA        (senza alterare la voce)  La ringrazio! Un'amicizia di quasi vent'anni che finisce a questo modo.

ZAZZERA       (dà fuori)  Amicizia? Quale amicizia? chi sarebbe l'amico? Sareste voi? Sarebbe vostro ma­rito? Non vi devo niente, io. Quali prove mi avete dato? - Io sì a voi... che quando lui, il vostro amato sposo, che appena uno ve lo nomina vi prende la tarantola, vi lasciò in mezzo a una strada, io, io vi misi assieme quanto ci voleva per farvi rimpa­triare voi e i vostri figlioli, e vi detti anche qual­che migliaretto di lire. - Voi diceste: « Glieli rende­rò ». - Nossignore, vi dissi: la carità non la faccio a prestito. Quel che è dato è dato. - E in allora non ce n'avevo mica tanti da scialare! - Torno a Lucca, vi ci ritrovo, il vostro ragazzo gira per le strade, più che lavare i piatti non è bono, ve lo prendo in banco mio, gli dò due volte il doppio di quel che si merita... e lui mi ruba! E voi - prima - (imitandola grossolanamente)  « No, non è vero, non può esse­re » - e poi, l'aiutate a scappare. Accidenti agli ami­ci! Questa è truffa: voi e il vostro figliolo.

LA ROSA        (fredda, secca)  Dal momento che le dò i denari, si risparmi le offese.

ZAZZERA       Che mi date? Non mi date niente.

LA ROSA        Come no?

ZAZZERA       (senza badarle)  Li promettete... Ce ne corre! A sospiro... « I guadagni della trattoria ». Ma che si fa la burletta? - Ventimila lire: ci vo­gliono dieci anni. Se non me li fate sparire. - O che mi dovrei mettere io dietro il banco a sorvegliare?

LA ROSA        Va bene, va bene. - Può aspettare ventiquattr'ore? Ventiquattr'ore le dànno a un condan­nato a morte... Se domani Lei non avrà le Sue ven­timila lire, Lei farà la sua brava denunzia: il ragaz-zo... (non può terminare)  e noi donne bruche peg­gio di quando ci fece la carità in America, ch'era molto meglio che ci lasciasse morire di fame; cen­to volte meglio.

ZAZZERA       (dopo un breve silenzio)  Che vi devo di-re? Mi dispiace. O che credete, che non mi dispiac­cia? Ma cosa vi dissi anco iersera? « La figura ». Insomma, ognuno ha il suo amor proprio. Senza contare che ho passato la pratica in mano dell'av­vocato.

LA ROSA        (come sbalordita)    Che dice?

ZAZZERA       Eh! cara mia, ogni offesa vuole il suo sfogo. Vuol dire che l'avviserò: che aspetti fino a domattina.

LA ROSA        (reagisce)  Siamo già nelle mani dell'avvocato? - E se ha fatto la denunzia?

ZAZZERA       No no. Lo sa che prima venivo da voi. Ora ci passo.

LA ROSA        Ci vengo anch'io per assicurarmi. Chi è mai?

ZAZZERA       Il Rucetti.

LA ROSA        (indignata)  Chi? Uno che per cinque franchi manderebbe su' madre alla forca!

ZAZZERA       Apposta. L'ho scelto apposta col pelo lungo.

LA ROSA        (aspra)  Ha fatto bene, ha fatto proprio bene... Ma quando Lei era povero... sì, intendo quando non era provvisto così com'è adesso, Lei aveva più cuore. Proprio vero che i quattrini gua­stano.

ZAZZERA       Nossignore. Io non chiedo che il mio... Poi magari lo regalo...

LA ROSA        (sarcastica)  No no, questi no... dia retta a me, questi non li regali. Se li goda. Almeno che glieli veda godere.

ZAZZERA       Voi non ve ne occupate... Voi pensate a provvederli: spenderli è affar mio. Come voglio io. - E se no, li serbo, li metto in disparte, perché io la penso diverso da voi: i quattrini non hanno mai guastato nessuno. Invece voi, cinque ne avete, spendereste dieci.

LA ROSA        Io?!

ZAZZERA       (prosegue imperturbato)  Pare di sì. Se in quella vece voi aveste avvezzato il figliolo all'economia, al risparmio...

LA ROSA        (non lo lascia finire)  Io! come se fossi io! (Triste)  Vengono su come vogliono loro, i figlioli. Chi non ce n'ha, è bono a dire: « Quello è storto: se fosse mio anderebbe diritto... . Storie! (Mezzo a lui, mezzo per sé)  I figlioli! quando mai sono vostri? Fino a cinque, sei anni, sì son vostri, di voi. roba vostra come il vestito che ve lo potete lavare, adattare, disfare... come la farina che la impastate voi e ci date la forma, come il vino che ve lo met­tete qui, lì, in cantina, sulla tavola... Ma quando crescon d'età... (Scuote la testa con un desolato sorri­so.)  Vostri i figlioli! Voi sì, siete di loro fino all'ul­timo, ma loro sono di tutti - di tutti diventano! - dei compagni di scuola, dei maestri, dei capopar­tito, di qualunque sporca donnaccia che incontrano per la strada... di tutti: meno che di voi. Voi, vi guardano con diffidenza, come se foste il carcerie­re, il nemico. - Gli date il fiato? - « È poco » ... Vi tagliate una mano per loro?... . « E quell'altra? ». . Tutte e due le vogliono! tutte e due.

(Un breve silenzio.)

ZAZZERA       O la ragazza? com'è la ragazza? Quella almeno vi aiuta. Mi pare seria... Fino selvatica. Ieri sera avrà detto sì e no dieci parole. È un po' mutria, no?

LA ROSA        (per giustificarla)  È timida.

ZAZZERA       Uhm! Pareva fosse su' pruni (la rifà alla meglio) « Mamma, è tardi ». « Mamma, andiamo a dormire ». - Più di questo non disse.

LA ROSA        (sempre per scusarla)  Era stanca. Tutto il giorno in piedi...

ZAZZERA       Sie, sie. Ma è una ragazza che non sa ridere. O al più al più deve ridere a denti stretti. Ha la bocca di su' padre. Non ha la bocca vostra, che quando vi conobbi pareva una balconata che s'aprisse, tutta rose e gerani.

LA ROSA        O bravo Lei! Non sapevo che facesse an­co il poeta.

ZAZZERA       Che c'entra! Ora siete un po' sciupata… ma quando v'ho conosciuta la prima volta... . giu­sto avevate la bimba al petto - pareva di vedere una madonna... E poi allegra, festosa, che si sa­rebbe detto foste il ritratto della salute.

LA ROSA        (che sia la salvezza? Forse! Tentare. Così ora gli dà filo)  Be' tempi eran quelli! Si ricorda quella sera, laggiù, che io cantai li stornelli, e Cecco Sbravi m'accompagnò con la chitarra? Bella festa! Saremo state cinquanta tra ragazze e spose.

ZAZZERA       E la meglio eravate voi... senza confronti.

LA ROSA        (smentisce a mezzo)     Questo no.

ZAZZERA       Come no? Parola santa d'onore. Mi guardai attorno - mi pare ora - tutti gli uomini stavano con gli occhi fuori che pareva ognuno vi volesse per sé.

LA ROSA        (conferma e non conferma)  Perché ci avevo una bella voce.

ZAZZERA       Altro che voce! E invece quel vostro... marito ci aveva già la relazione con la moglie del Trusiani. (Rievocando)  C'era anco lei, c'era la Venturini, c'era la moglie di Pappataci... (Ride, si accosta.)  O che ne sarà successo di Pappataci? Noi giovanotti si chiamava Pappataci perché portava le corna in silenzio, con dignità.

(Ride; ride con uno sforzo anche la Rosa. Zazzera cambia tono, sta per alzarsi.) 

Allora glielo posso dire all'avvocato: le ventimila lire me le fate avere entro domani?

LA ROSA        (in fretta)  Entro domani. (E lo ferma col braccio; maliziosa, a mezza voce quasi soffiandoglielo.)  Verdiana. La moglie di Pappataci si chia­mava Verdiana. Se lo ricorda?

ZAZZERA       Come no?

LA ROSA        Eh! non si sa mai. Gli uomini sono così facili a dimenticare... Povera Verdiana! per Lei, ci aveva preso la cotta.

ZAZZERA       (lo sa, ma se lo vuol far ripetere)  Per chi?

LA ROSA        Andiamo, via, Zazzera: non faccia il va­nesio. - L'ho veduta fin piangere. Mi fece le sue confidenze. (La imita, dolcissima)  « Non mi vuol più. Lo Zazzera non mi vuol più ».

ZAZZERA       (lusingato)  Ah! sì?

LA ROSA        Altroché! E io a dirle: - « Bada al tuo uomo. Non ci star più a pensare allo Zazzera, dammi retta. O che speravi? Non lo vedi che è co­me il gallo nel pollaio? una ne lascia, una ne becca? ».

ZAZZERA       Gli diceste...? (Ma gli torna a gola un vecchio rancore.)  Già, ma intanto voi, che ci avrei tenuto più che a tutte le altre riunite insieme, niente. Peggio del sasso. (Schietto, canoro)  E per avervi una volta sola qua dentro (apre e chiude le braccia)  vi avrei buttato dietro tutti i miei risparmi.

LA ROSA        (come lusingata)    Ora esagerate, via.

ZAZZERA       Parola santa d'onore. Foste peggio del sasso.

LA ROSA        (si scusa)  Io non potevo. Avevo marito.

ZAZZERA       Che marito, che marito! Quando si vuol bene...

LA ROSA        Marito e figlioli.

ZAZZERA       I figlioli queste cose non l'hanno da sa­pere. - Figlioli, che il più grande avrà avuto due anni.

LA ROSA        Che vuol dire? Ma c'erano! - Vi piacerebbe a voi che la vostra moglie...

ZAZZERA       Io moglie non ce l'ho. Ringraziando Dio.

LA ROSA        Ma sareste sempre in tempo. Siete ancora un bell'omo.

ZAZZERA       (nega, ma è lusingato)  Buscherate. Al­lora, tanto tanto... ma adesso...

LA ROSA        Anche adesso. Un omo alla vostra età e col vostro portamento! Siete in gamba più e me­glio di un giovanotto. È che qualche volta vi tra­scurate, non vi tenete su. Come per esempio, se vi tagliaste quei baffacci (ride e glieli sfiora con la mano)  stareste anche meglio.

ZAZZERA       (ride, sornione)  O che mi vorreste rasato come i preti? È la moda, ma non mi garba. Mi piace all'antica: gli omini e le donne. Come voi, che non avete cambiato. (Pittoresco, un po' ecci­tato.)  Coi suoi capelli lunghi che a certi momenti si sciolgono, i fianchi prosperosi, il petto... . Le pollastrine d'oggi? Tutte voce e penne. Se le assag­gi, non sanno di nulla... Quando ci si leva di tavo­la... (Ride.)  O Rosa... diciamo tavola? (e le dà il go­mito)  ci s'ha più appetito di prima.

LA ROSA        (ride)  Sì, eh? (E ridendo gli mette una mano sulla spalla.)

ZAZZERA       Parola santa d'onore! (E le afferra la mano e se la porta al petto.)  O Rosa! (Appassio­nato)  Avere vent'anni! io e voi! ci pensate?

LA ROSA        Non siamo più a tempo. Bisognerebbe rinascere, e allora...!

ZAZZERA       Le fareste anco voi le vostre pazzie?

LA ROSA        Chi lo può mai sapere?

ZAZZERA       (contento)  State per dire che le fareste. (Acceso)  Ma sì. Che se c'è l'inferno, almeno ci si vada per qualche cosa di bello. Tanto più... credete a me... quei peccati lì, sarà, io credo che non contino.

LA ROSA        Credete di no? (E ride.)

ZAZZERA       (sicuro)  Non contano, non contano. Far male al prossimo, quello sì è peccato grosso... Ma fargli bene... Perché quello lì è fargli bene...

LA ROSA        Chetatevi, birbante che siete! (Ride.)

ZAZZERA       (incalza, sempre più tra scherzoso e cu­pido)  I religiosi, si capisce, dicono di no, che non si deve, ma quel precetto, noi secolari non ci ri­guarda... - E ancora di loro qualcheduno... qualcheduno ne scantina.

LA ROSA        Andiamo, Zazzera, non dite spropositi.

ZAZZERA       Per farvi ridere.

LA ROSA        (troppo seria d'un tratto)  Sono seria io, altro che ridere.

ZAZZERA       Fate vedere. Fate vedere!

(Le volta la faccia, gliela alza. La Rosa lo fissa enigmatica. Zaz­zera, con gli occhi febbrili, le mormora con desiderio quasi dentro la bocca) 

Vent'anni, Rosa... ave­re vent'anni!... tutti e due... tutti e due. (L'avvolge, la stringe, la bacia.)

LA ROSA        No... Zazzera... no... (Guarda come impaurita la porta.)  Qui no...

ZAZZERA       Sì... sì... tu hai ragione... (Istintivamente si tira su i baffi. Prende il cappello. Di lontano, fe­stoso, innamorato, a mezza voce.)  O Rosaa...?

LA ROSA        (in tono minore, più con la testa che con la parola)  Sì... sì... A rivederci.

(Zazzera è già via. La Rosa è rimasta immobile, muta. La porta di ca­sa si chiude. Rosa ricade sulla sedia. Con la mano sinistra, lenta, si pulisce le labbra.)


ATTO TERZO

Un salotto al piano terreno che dà sul giardino della villetta di Zazzera.

VAPORINO    (in giacca di colore, ma panciotto e pantaloni di un vecchio frac; è in piedi e racconta ani­matamente a Zazzera, che s'interessa alla relazione) 

Non esagero, sor Felici, non esagero. Saranno state le dieci o le dieci e mezza... - Gostino dice « le venti­due »; a me non mi riesce. Quand'ero giovane io, non si diceva; e così...

ZAZZERA       Non ti perdere in divagazioni. « Saran­no state le dieci... ».

VAPORINO    Saranno state le dieci... (Ci ripensa.)  Forse forse le dieci e mezza... Sì, sì. - Già, Lei lo sa, di queste sere i signori soci - quei pochi che ven­gono - fino a tardi non si vede nessuno. . T'entra il Papeschi...

ZAZZERA       Il padre o il figliolo?

VAPORINO    Il padre: il sor Angiolo. Il figliolo è sempre ai bagni di mare con la sposa. (Con aria di compatimento)  È andato a Livorno, perché alla signora gli piace lo scoglio: Viareggio gli garba poco perché c'è la rena. - Sor Felici, dica Lei che è una persona istruita:  o non è tutt'acqua compagna? Benedette donne! - Dunque il sor Angiolo, anco lui - del sor Giardini gliel'ho detto - come se si fossero dati la parola tutti quanti! si guarda attorno e domanda, anco lui: « O Zazzera?... ». . Scusi, veh!... faccio per ripetere come disse il sor Angiolo; il sor Angiolo disse Zazzera e io...

ZAZZERA        Va' avanti. Come tu se' lungo!

VAPORINO    « O Zazzera », dice, « non s'è ancora visto? ». - Nossignore, dico io. - « Noo? O che succede? ». - Mah! - E allora subito anco lui avventa l'ipotesi che sia malato. Ma il sor Fantoli che infrattanto era sopraggiunto col Pancani dice: « No no. Non è possibile... Amenoché » - scherzava, sa! « dalla vita alla morte è breve il passo... ».

ZAZZERA       Crepi l'astrologo!

VAPORINO    (conferma)  Scherzava! - « Non è possi­bile perché, saranno state le tre, lo vidi dal profu­miere che sceglieva una bottiglia d'odore ». - Che vuole, sor Felici? Tutto si sa, tutto si ripete. Anco a voler tenere nascosta una cosa qualunque, non ci si riesce. Tu la copri? loro te la riscoprono.

ZAZZERA       Ma io non ho niente da nascondere.

VAPORINO    Lo so bene: non dicevo per Lei. Si fa per dare un esempio. - E allora salta su il Pancani: « Domani lo vado a trovare ». - C'è stato? No? non s'è anche visto? Capiterà da un minuto all'altro. -Insomma i soci parevano tante anime sperse: la Sua mancanza fu un semilutto. Fu deplorata, ecco.

ZAZZERA       (un po' lusingato)  Sie, sie, tu lo fai per darmi burro.

VAPORINO    No, in verità santa: parevano spersi. Andarono via tutti prima di mezzanotte.

ZAZZERA       (vanitosetto)  Anche loro sono bei tipi! O che sono obbligato a venire tutte le sere al Cir­colo? Se una volta tanto ci avessi qualche altro impegno... o mi piacesse di restarmene a casa - se tu senti la sera qui in giardino, è una delizia - o non son padrone?

VAPORINO    (ride e approva)  Lo dice a me? L'ha a dire a loro. - Io son venuto perché Lei mi ci auto­rizzò - si ricorda? - l'altra sera che mi mandò a chiamare la Rosa... Per quei capi di vestiario... si ricorda?... che Lei disse...

ZAZZERA       Sì, sì, me lo ricordo.

VAPORINO    Lei me li dà oggi, me li dà domani, quando crede meglio, quando non la disturba trop­po. Ma io, dovevo venire oggi per non parere sco­noscente: eh! sì. - « Il sor Felici t'ha detto martedì o mercoledì alla più lunga: se tu lasci passare i giorni senza farti vedere, lui ha tutto il diritto di credere che non ti preme. E invece ti preme. Tu fa il tuo dovere, lui poi farà quel che vuole ». - Io ragiono così.

ZAZZERA       (era distratto)  Senti un po', Vaporino: tu mi avresti a fare un piacere.

VAPORINO    Fatto. Se è nella mia potestà, lo con­sideri fatto. Dal gran desiderio che ho di contentarlo.

ZAZZERA       Bravo. (E un po' come impacciato)  Tu mi avresti a dire... Mica ha da servire per me... Tu conosci Lucca più e meglio di me... io son stato fuori tanti anni... Case sfitte, quartierini liberi, ce ne sarebbe? Perché ci ho un mio amico - non è di qui - ossia, ora è qui, ma non è di qui - e c'è una signora forestiera... una di riguardo... Come tu di­cevi prima?  « Tutto si sa, tutto si riscopre »... E invece non sarebbe il caso. Né per lui né per la signora, che, ti ripeto, sono persone di molto ri­guardo. Tu non le conosci. - Mi spiego?

VAPORINO    (serio serio: fin troppo)  S'è spiegato. s'è spiegato...

ZAZZERA       Anche se fosse un quartierino da pren­dere per un anno... anche due; lui non ci bada. Perché è uno di quelli che spendere non gli pesa. Mi ha dato carta libera. Dice: « Fai te ».

VAPORINO   Sissignore.

ZAZZERA       Sai che ce ne sia disponibili? Elegantino, sai?

VAPORINO    Si trova.  Si gira e si trova. (Un po' misterioso)  Lo vuole in centro o fuori mura? Il Suo amico.

ZAZZERA       Dov'è possibile... forse fuori mura sarebbe meglio... Ma prestino, eh: una cosa alla svelta. Si capisce che lui, quel signore forestiero, per mano mia, se tu trovi, ti farebbe un regalo per il tuo disturbo.

(Suonano di fondo al giardino.) 

Guarda chi è.

VAPORINO    (guarda di fuori, si rizza sulla punta dei piedi per vedere lontano. Un breve silenzio.)  È Topo. (Si corregge subito.)  È il sor Pancani. Non glielo avevo preannunziato?

ZAZZERA       Allora tu t'informi - presto eh? - mi rife­risci, e io...

VAPORINO    Fino a quanto vuole spendere? Quel signore forestiero.

ZAZZERA       Cento più cento meno... Non saranno milioni!

GARIBALDO   (entra)     C'è il signor Pancani.

ZAZZERA       Che venga.

(Garibaldo esce.) 

VAPORINO    (quasi prima che entri)  Sor Pancani...

TOPO            (si sofferma sull'usciale a vetri. A Zazzera)  Beato chi ti vede! Iersera fummo quasi in pensieri.

ZAZZERA       (secco)  Lo so. (E non si muove da sedere.)

TOPO            E perciò ero venuto...

ZAZZERA       Lo so. Me l'ha riferito Vaporino. Ora se ne parla.

VAPORINO    (a Zazzera)  Sor Felici, ha comandi da darmi?

ZAZZERA       Di nulla. - Quanto ai vestiti torna do­mani se puoi - capito? - che avrò fatto lo spoglio e messo da parte.

VAPORINO    La ringrazio tanto. E non dubiti. (A Topo)  O Lei, sor Pancani, ha comandi? No? Allora posso andare.

ZAZZERA       Vai vai.

VAPORINO    Volo. (Esce.)

TOPO            (poiché Zazzera tace, s'arrischia a comincia­re)     Non ti devi sorprendere se tu mi vedi qui.

ZAZZERA       Come difatti non mi sorprendo.

TOPO            Sono rimasto in curiosità di sapere come è andata a finire la storia di cui ti parlai. E quella cosa di non averti visto al Circolo iersera...

ZAZZERA       (tronca)  T'ha mandato la tu' moglie?

TOPO            (né sì né no)    Perché?

ZAZZERA       Figurati se tu non glie l'hai raccontato!

TOPO            Gliel'ho raccontato sì.

ZAZZERA       E lei?

TOPO            Lei... lei... Lei disapprovò.

ZAZZERA       Cosa?

TOPO            Disapprovò. Dice: « O che ti vai a immischiare? ».  -  Ma come? con lo Zazzera siamo amici o non siamo amici? Se siamo amici...

ZAZZERA       S'è persuasa?

TOPO            (esita un momento)  Uhm! Direi di no. Ma è entrata anco lei in curiosità.

ZAZZERA       Ah! sì? È entrata in curiosità. - Be', mi dispiace tanto, ma ci resta.

TOPO            O perché?

ZAZZERA       Perché di sì. Perché non ti posso dire nulla.

TOPO            (quasi aggressivo)  Ma era vero o non era vero, dell'anello?

ZAZZERA       Non ti posso dire nulla. Saprai a cose finite. E per questo, perché tu non mi avessi a chiedere, non sono venuto iersera al Circolo.

TOPO            (semplice)  O senti! (Soddisfatto)  La mi' mo­glie aveva indovinato.

ZAZZERA       (con un mezzo sorriso)  È una gran don­na! Tientela da conto.

TOPO            (insinuante)  Ma con la Rosa ci hai parlato?

ZAZZERA       Ci ho parlato.

TOPO            E che ti disse?

ZAZZERA       Mi disse:  « Buonasera ».

TOPO            Non mi far restar sulla corda... « Buonase­ra » e poi?

ZAZZERA       Noe. Li hai visti i pesci rossi nella vasca?

TOPO            Sì, l'ho visti.

ZAZZERA       Be', son diventato un pesce rosso ancor io. Sono muto. Fino a domani... o dopodomani... o anco un'altro giorno... - Insomma tutto è rimandato.

TOPO            (s'è un po' riscaldato)  Ma il ragazzo te li ha presi i quattrini o non te li ha presi?

ZAZZERA       (svia)  Con chi hai giocato iersera? Chi ha vinto?

TOPO            Ho guadagnato duecento lire al Fantoli.

ZAZZERA       Ci ho piacere. E l'amico Ciliegia è ve­nuto iersera?

TOPO            Chi? il Maturini? Non l'ho più incontrato da quando lo lasciai domenica sera al Circolo. - Dun­que tu non mi vuoi dir niente?

ZAZZERA       Pesce rosso.

TOPO            (a un tratto)  Come tu se' profumato! O che roba è?

ZAZZERA       (ride)  Non ti basta fare l'interrogatorio: ora m'annusi. È un profumo nuovo. Vien da Pari­gi. Ti piace? Ne vuoi un po' sul fazzoletto? (Si alza per togliersi di tasca il fazzoletto.)

TOPO            (energico, lo ferma)  Sta' lì! - Se niente niente mi fiuta la mi' moglie, crede che io sia stato da una qualche donna.

ZAZZERA       Allora nulla. (Leggermente canzonato­rio)  Del resto, dopo tant'anni che tu l'hai sposata non lo sa che tu sei fedele e morigerato?

TOPO            Sì, ma è meglio non ne parlare. - Come va oggi il cambio?

ZAZZERA       Non ho visto. M'importa assai del cam­bio!

TOPO            (esterrefatto)  O Zazzera, di' la verità: tu ci hai qualche ripesco.

ZAZZERA       (sorride) Perché?

TOPO            Così. Iersera tu sei sparito, oggi puzzi di pacciulì che ti si avverte lontano un miglio; te ne imbuscheri degli affari... Ci devi aver qualche ri­pesco. È di qui o di forivia? Ogni quindici giorni ce n'hai una nova!

ZAZZERA       (chiassoso, giovanile)  Ogni quindici gior-ni no, non è vero. Ma oggi sì. Sissignore, una nova. Io son nato gatto e non topo. Son ancora in gamba, io. Me l'hanno detto ieri. Guardami i denti (mo­stra la bocca): neanche uno rimesso. Sentimi la muscolatura. (E sporge il braccio.)  Anco stamani mi ci son provato: alzo un quintale senza che mi s'inturgidisca una vena. Crepare si crepa tutti, ma io non voglio aver rimorsi. Voglio godere fino all'ultimo.

(Suonano di fondo al giardino. Stizzito) 

Ancora? Ma che succede? O che oggi tutta Lucca si è data appuntamento in casa mia! (Guarda fuo­ri e dice con una certa sorpresa)  To', è la Rosa.

TOPO            Allora ti lascio. Ma mi prometti che questa sera ci si vede?

ZAZZERA       Ci si vede. Ma ora vattene.

(Garibaldo entra.)

GARIBALDO   Sor padrone, c'è la Rosa.

ZAZZERA       (duro)  O che è questa confidenza? Si dice: « C'è la signora Rosa ».

GARIBALDO   C'è la signora Rosa.

ZAZZERA       Va bene: che entri.

GARIBALDO   (esce, ma se ne sente la voce)  « Che entri ».

TOPO            (a Rosa che viene avanti tranquilla)  Buon­giorno, sora Rosa.

LA ROSA        (si è voltata alla voce)  Oh! che c'è anche Lei, signor Pancani? Col riverbero del sole non l'a­vevo vista, mi scusi. Sta bene Lei? Già si vede. E la Sua signora?

TOPO            Sta bene, grazie. - Arrivederci, Zazzera.

LA ROSA        Che la faccio scappare? Se lo fa per me, rimanga pure quanto vuole. Se hanno ancora qual­cosa da dirsi, non ho premura. L'Argentina è sce­sa e posso aspettare. Magari ritornò più tardi. Come vuole il sor Felici. (E quasi accenna a riti­rarsi.)

TOPO            (a malincuore)  No no, abbiamo finito.

LA ROSA        Mi son permessa di dir così perché col sor Felici non ho segreti. (Sorride.)  Magari ce n'a­vessi! - Sor Felici, l'ha poi visto l'avvocato? Ci ha potuto parlare?

ZAZZERA       Sì, l'ho visto.

LA ROSA        E che ha detto? Aspetta, vero? Non s'è ancora mosso?

ZAZZERA       Aspetta, aspetta.

LA ROSA        Ah! bene. (A Topo)  Perché a volte que­sti benedetti avvocati hanno più premura dei clien­ti. Si tratta di un certo tale che sostiene gli devo denari e non mi vuol dar respiro. Vedremo, è da discutersi. E il sor Felici per bontà sua ci si è messo di mezzo.

TOPO            Allora, tanti auguri (E, pur esitante, le dà la mano.)

LA ROSA        Vuol proprio andare... Arrivederla. I miei rispetti alla signora Costanza. Me la vidi passare davanti l'altra mattina, svelta, diritta... È sempre una bella signora.

TOPO            (guardando lei e lui)  Addio, Zazzera.

(Zazzera gli dà la mano, ma è come distratto, smemorato.) 

Non ti disturbare, so la strada. (Esce.)

LA ROSA        Sor Felici, ho fatto male?

ZAZZERA       (indeciso)  Di che?

LA ROSA        A venire in casa. (È tranquilla.)  Ma son passata di banco, ho domandato, Lei non c'era. Dice: « Forse non viene ». Mi scusi se mi son fatta ardi­ta, ma l'urgenza serve a giustificarmi. Mi ero preso l'impegno entro il termine di ventiquattr'ore e perciò... Mi permette, siedo? Dalle sei che giro. (Siede.)  Erano, mi disse, ventimila lire. C'è altro? È saltato fuori altro?

ZAZZERA       (la guarda curioso, incerto)    Uhm!

LA ROSA        Speriamo non ci sia altro. Be'. (Trae un involtino dal seno e lo tiene serrato in una mano.)  Queste intanto sono cinquemila lire. Tremila lire me le ha date la Gentina. Erano sue di lei: tutto quanto aveva messo insieme... Povera figliola! sul primo momento pareva non volesse far nulla per aiutare, ma poi mi ha dato il suo libretto. Me l'ha consegnato senza che le avessi detto una parola, senza un rimpianto da parte sua. Per il suo fratel­lo! - Altre duemila le ho riscosse che le avanzavo da un pezzo dal Guerridoni. Ci son passata due volte: la prima, iersera, non c'era; stamani - glie l'avevo lasciato detto - si è fatto trovare e ha pagato. (Apre il cartoccetto.)  Li conti. (Depone sul tavolino il rotoletto aperto. Ora esita, trema un po'.)  E questa è una cambialina a tre mesi. Se posso glie li darò anche prima della scadenza; se non tutti, la parte maggiore. Ma questa le serve di garanzia. (Poiché Zazzera è immobile, distende la cambiale)  Guardi un po' se sta bene.

ZAZZERA       (esce dal suo mutismo e scoppia furioso)  Voi siete pazza!

LA ROSA        (sorpresa, ma cortese)  Che dice, sor Felici?

ZAZZERA       Dico che tu sei pazza. Non te ne ricordi più di ieri? Io sì me ne ricordo. Io t'ho dato un ba­cio e tu l'hai preso. Anzi, tu mi ci hai spinto. Ero venuto a casa tua come un creditore, ma tu mi hai mandato via con una promessa, come un amante. S'è finito col parlare d'amore; non più di denari. I denari? E chi ci ha più pensato ai denari? Tu, for­se. Io no. Ma anche tu sei parsa dimentica di tut­to. Per me tu eri ritornata la Rosa di tanti anni fa, di quando avevo perso il sonno per te... perché tu non lo sai. non te lo dissi perché tu non ti volevi piegare - io mordevo i lenzuoli la notte pensando a te che dormivi con un altro.

LA ROSA        Un altro? Col mio marito.

ZAZZERA       (conferma)  Col tuo marito. - Marito o no, era un altro. - Dimmi un po': il tuo di ieri era un calcolo per salvare il figliolo?

(La Rosa tace.)

O che credi? ch'io non l'abbia pensato? Non sono mica un citrullo, io. Ma non mi ci sono voluto fer­mare su quel sospetto. Via! (E fa il gesto di cac­ciar quell'idea.)  E mi sono anche detto che se c'era quel calcolo, non significava nulla, non guastava, perché non si può pretendere tutto in un giorno. Da ieri mi sento come fossi tornato un ragazzo... Stamani ero solo, e mi son sorpreso che mi guar­davo allo specchio e ridevo. Come se tu m'avessi levato di dosso vent'anni. Lo sai? se non lo sai te lo dico io; io te lo dico: anche l'uomo più vizioso, che ha praticato più donne, ce n'ha una in fondo al suo sentimento, dentro la sua carne, che sarebbe stata la sola. Se ne ha cercate dell'altre gli è perché quella - quella lì - non l'ha potuta avere. Così son io. - La vedi la casa? ti piace? O ne vuoi un'altra per te e per i tuoi figlioli? Se ne cerca un'altra. Se invece questa ti piace ci vieni a stare. Sei la padro-na. diventi la padrona. Meno che la moglie, perché non si può, tutto il resto uguale: come se tu fossi mia moglie. - Di che hai paura? Del tuo marito? Non c'è più. È sparito. E non si farà più vedere ormai. E anche apparisse, non ha più diritto su te. Ha fatto il  suo comodo? E tu fai il tuo. - Ti vergogni della gente? Voglio vedere chi mai - quando tu fossi ac­canto a me - oserebbe avventare una parola. Mi vedi? Oe, sono ancora buono di atterrare un uomo con un pugno, io. - Le ventimila lire? Ci sputo so­pra, se tu mi vuoi bene. Io voglio te.

LA ROSA        (che ha seguito con una certa ansia, a occhi chiusi, con un lieve tremito nelle mani le pa­role di Zazzera violente e appassionate, ora che Zazzera ha finito risponde calma con la voce più dolce)  La ringrazio, sor Felici; la ringrazio... Mi ha detto delle cose... delle cose... Ma non si può.

ZAZZERA       Come, non si può?

LA ROSA        Sor Felici, io non posso. Ieri... fu un cal­colo, una prova, fu... non so dire... come uno che affoga e si agguanta senza badare dove, senza ba­dare a chi, pur di non affogare. - Io... a quell'omo... gli ho voluto tanto bene... a lui solo. L'ho sposato, ho giurato... Lui poi ha fatto quel che ha fatto, è quello che è...

ZAZZERA       (rapidissimo)  Ah! ecco.

LA ROSA        ... ma io, non posso rompere il mio giu­ramento. (Ora scaldandosi è insieme appassionata e persuasiva: non lo vuole irritare od offendere, lo vuoi convincere.)  E anche fosse... anche fosse che io non l'avessi più nel cuore, nel sangue come dice Lei di me - lo vede che non voglio mettere in dubbio quello che Lei sente per me - anche fosse... Lei ha detto ora che si è come levato di dosso vent'anni di ieri... Vero? Lei sì... ma io no. Io li sento tutti i miei anni, anzi di più, il doppio di più di quelli che ho. Da ieri, dall'altra sera. Che se ne vuol fare di questa carne vecchia, stanca?  di questa donna che si sente finita? Io e Lei, l'opposto: da quarantott'ore... quante sono? dall'altra sera che seppi, come se fossero passati dei secoli. L'ultima mazzata. -Mi ci son guardata anch'io allo specchio: mi son sorpresa che i capelli non mi fossero diventati bianchi. - Che se ne farebbe di questa donna che non ha più di vivo se non questo sentimento di madre, e non è più altro che una madre dolo­rante, spasimante? Mi sento tutta pesta come... come se m'avessero camminato sulla testa, sul petto... Ieri avevo provato... Tutta la sera, tutta la notte ci ho pensato, e ho sentito vergogna di me... peggio che se avessi anch'io messo le mani avanti per rubare ancor io... Eravamo due a rubare! (Si passa la mano sul viso.)  Sor Felici, mi perdoni... mi son portata male con Lei. Sor Felici, mi perdoni, sia bono.

ZAZZERA       No no. (A voce più alta, decisiva)  No. -Sarebbe anche il vostro bene: finireste di strusciar­vi la vita. (Testardo)  E poi no: per me, parlo per me. Voi m'avete ripreso: io sono tornato com'ero laggiù. Voi per me siete come quando eravate lag­giù. Non vi voglio perdere. - Non volete che si ri­sappia? Mi terrò il segreto come un segreto di mor­te. Quando Zazzera promette... non ha che una parola.

LA ROSA        (calma, ma decisa)    Non è possibile.

ZAZZERA       Ah! no? Testarda voi, testardo anch'io. Vi ho nelle mani, vi tengo.

LA ROSA        (si leva e indietreggia lenta)  Come sa­rebbe a dire? Parli chiaro. « Mi ha nelle mani... » Cioè? Che vuol fare? Perché mi son fidata a venire a casa Sua, si approfitterebbe...?

ZAZZERA       No. Noe! Violenza no. Niente per forza. Ma ora lo scherzo è finito. Si ricomincia da capo perché siamo ritornati al punto di prima. Ripren­detevi l'acconto perché non è sufficiente. (Le apre a forza una mano, le rimette dentro denari e cam­biale, gliela richiude.)  Ieri ve lo dissi: oggi ve lo ripeto. Io voglio tutto quello che mi spetta. Tutto fino a un centesimo. Se non l'ho avuto prima di sera, quello che ho detto, faccio.

(Si suona di fondo al cancello. Zazzera dà in un grido d'impazienza) 

Ma chi è? (Balza alla vetrata e guarda.)  Ahahah! (Fissa bene in faccia la Rosa.)  Dite la verità: vi siete messi d'accordo?

LA ROSA        Di che? Mi lasci vedere. (Va verso la vetrata, ma Zazzera la allontana.)

ZAZZERA       Ora no. Voi non sapete niente?

LA ROSA        Ma di che?

ZAZZERA       Adesso sentiamo. Andate di là. (Per un braccio la trascina alla porta laterale, la spinge dentro, richiude la porta.)

GARIBALDO   (entra)     Signor padrone, è venuto...

ZAZZERA       (prima che finisca)  Lo so. Fallo venire avanti. E tu vattene. Che entri da sé.

GARIBALDO   Sissignore. (Ed esce).

(Un breve silen­zio di attesa. Zazzera ha gli occhi fissi alla porta.)

MANFREDO   (apparisce e subito si ferma sull'uscio)  Sor Felici, sor Felici...

ZAZZERA       (brusco)  Avanti. Vieni avanti. (E poiché l'altro non si muove)  Vieni dentro. (L'afferra e lo porta innanzi.)  Dopo che tu hai fatto quello che hai fatto, ti sei sentito il coraggio di comparirmi dinnanzi? Dimmi un po': vieni anche tu a propormi le proroghe, le cambialine, il trenta per cen­to?... Ma che m'avete preso proprio per uno scimu­nito? Chi è che t'ha consigliato a venire da me? T'ha mandato tu' madre, vero?

MANFREDO   (a mezza voce)    Nossignore.

ZAZZERA       No? Io direi di sì.

MANFREDO   No, in parola... (E sta per giurare con la mano al petto.)

ZAZZERA       (gli butta giù la mano)  Parola di che? Tu non hai più l'onore. È stata tu' madre?

MANFREDO   Io non l'ho più vista da ier mattina.

ZAZZERA       No? Fingiamo di crederci. Lei no: allora chi? Un qualche avvocato imbroglione più peggio di te o un qualche tuo collega dalle mani lunghe? Nemmeno? Ispirazione tua. Ammettiamo. Ammettiamo per ipotesi. E che tu speri? Che io sia tanto baggeo da dare di frego al tuo debito e magari di riprenderti in banco perché tu mi rubi dell'altro? No, sai.

MANFREDO   Io non spero nulla. Sono venuto a co­stituirmi.

ZAZZERA       (Sorpreso)  Ohoh! Davvero? E perché non sei andato diritto alla caserma dei carabinieri?

MANFREDO   Perché prima dovevo venire da Lei. Ho mancato con Lei e dunque...

ZAZZERA       Va', va', tu se' venuto per strizzarti gli occhi, frignare qualche poco e provarti a commuo­vermi con la finzione del pentimento.

MANFREDO   Nossignore. Con Lei ho mancato, e Lei... faccia come vuole Lei.

ZAZZERA       Ah! sì? Guarda, ti contento subito. (Chiu­de la vetrata del giardino a chiave.)

MANFREDO   Ha voluto chiudere... Ma scappare non scappo.

ZAZZERA       Tu l'hai fatto una prima volta; non mi fido più.

MANFREDO   (sempre umile di tono)  Si può fidare. Non lo vede? Se volevo restare uccel di bosco non tornavo qui a mettermi in gabbia. Volare non volo più... Tanto! la ragazza non mi vuole più lei, forse non la vorrei più io, ché mi si sono aperti gli occhi... È una di quelle da mettergli in mano cin­quanta lire e poi... Ero come briaco: mi è passata la sbornia. E anche se non fosse passata di suo, deve passare. A fare a rimpiattarello con la forza pub­blica, a girare il mondo con un nome falso tra rimescolii di sangue, non ci son nato. Lavorare... chi mi prende senza le carte in regola? Dovrei fare... come feci con Lei. (Si copre gli occhi con le mani.)  Peggio che con Lei... Una volta ci può cascare anche un galantuomo, ma due, ma tre...

ZAZZERA       Ah! perché tu ti credi un galantuomo.

MANFREDO   Nossignore: ero.

ZAZZERA       Meno male che lo riconosci. E dunque a darti retta, tu a casa tua non ci se' più tornato. O perché non ci sei tornato?

MANFREDO   Perché... ieri la mamma non volle che mi lasciassi pigliare... Ma io ci ho ripensato sopra e ho deciso diverso. Tanto lo so: oggi o domani ci cascherei. Mi legano. A fare la lepre, glie l'ho detto, non son buono. Pagare, io non ce n'ho e la mam­ma anche se cerca non li troverebbe in nessuna parte. Chi mai glieli deve dare? E se li trova a pre­stito, a strozzo, si rovina lei, rovina la mi' sorella. Dunque: meglio che mi rovini solo io.

ZAZZERA       Ma il tuo destino lo sai?

MANFREDO   (sconsolato)  Lo so, lo so. - Quando vuol andare, andiamo.

ZAZZERA       Dove?

MANFREDO   Dal commissario di polizia.

ZAZZERA       E ti ci devo accompagnare proprio io? (Ha un moto di ripugnanza, lo vince.)  Ma sì; fa­remo anche questa. Però, però, senza premura. Ora più ora meno, tu non perdi nulla. - Dunque: se a casa non sei tornato, che hai fatto? Sei corso die­tro alla ganza?

MANFREDO   Nossignore. Avevo già preso il bigliet­to per Bologna. (Sospensione breve per frugarsi in tasca.)  Guardi, ce l'ho ancora. (E lo mostra.)  Ma poi ebbi paura che mi agguantassero in treno... mi sgomentai... (Rivive quei momenti e si ferma.)

ZAZZERA       E allora?

MANFREDO   Allora son rivenuto fuori dalla stazio­ne e ho preso la via di Ponte a Moriano.

ZAZZERA       A piedi?

MANFREDO   Sissignore, a piedi. Parte sulla strada maestra, parte per i viottoli ho camminato miglia e miglia sino alla mezzanotte.

ZAZZERA       Dove sei arrivato?

MANFREDO   Fin quasi alle Fornaci di Barga. In una macchia mi son buttato per terra, ma non mi è riuscito dormire. Ero tutto in sudore, poi tutto in fiamme. Pensai alle mie donne, la Gentina che l'avevo lasciata all'oscuro di tutto, la mamma che pareva Maria dalle sette spade... e mi dissi: meglio fare un pianto solo e non pensarci più. - Stamani ho preso il treno per Lucca, e sono venuto da Lei.

ZAZZERA       (ha tuttora qualche dubbio)  Uhm! sarà. Mi sa di favola.

MANFREDO   (lamentoso)  Ma scusi, o perché non mi vuol credere?

ZAZZERA       Questa è la tu' condanna.  Cosa frughi ora?

MANFREDO   (che si cercava in tasca, estrae un bi­glietto di banca)  Son cinquecento lire che m'ave­va dato la mamma per i primi giorni. Non ne ho più bisogno. Per qualche annetto non avrò più bi­sogno di nulla. Le pigli Lei prima che me le seque­strino. (E gliele sporge.)

ZAZZERA       (le rifiuta)  Al commissario, al commis­sario.

MANFREDO   Come vuole Lei. Io non ho altro.

ZAZZERA       (dopo una pausa)  Ma poi, quando avrai finito il tuo tempo in carcere, che farai? Ci hai pensato?

MANFREDO   Ci ho pensato. Vado a Viareggio... o a Livorno, e m'imbarco sopra una nave a vela per l'America.

ZAZZERA       Anche te? Dopo una condanna?

MANFREDO   Non sarò il primo. Né l'ultimo. Lucca è piccinina e si risanno le malefatte di tutti, ma laggiù... N'avrà conosciuti anche Lei di quelli che non avevan la fedina pulita e pur fecero fortuna.

ZAZZERA       (colpito)  Io?... (Si torce i baffi.)  Sì, sì. Insomma, il tuo programma l'hai in testa. Completo!

MANFREDO   Che vuole mai? Stanotte non ho dor­mito. Ne ho avuto tempo a pensare!

ZAZZERA       (faccia a faccia, curioso, come innanzi a un problema)  Ma allora, se tu non sei tutto ba­cato, come mi vuoi dare a credere, se ci hai solo una màcola, perché tu hai fatto quello che hai fatto?

MANFREDO   (umile, sconsolato)  Lo sa pure: l'amore...

ZAZZERA       Tu lo chiami amore? Pulito!

MANFREDO   Alla mia età è tutto amore: non si di­stingue il sudicio dal pulito.

ZAZZERA       Sei tu che l'hai insudiciato con la tua mala azione.

MANFREDO   No no. Mi sono, sì, rovinato, ma puli­to non era. Anche se non rubavo. (Lento, sicuro)  Se una ti si dà per un guadagno qualsiasi, o anche viceversa, se tu la pigli per un tuo interesse qual­siasi, l'amore è sudicio.

ZAZZERA       (è scosso; trasalisce, ondeggia; ma non vuol cedere ancora)  Ah! sì? Come ragioni bene! Tu mi sei diventato anche filosofo.

MANFREDO   (semplice)  Che vuole? Una giornata come quella di ieri, e una notte sopra, ti fanno vedere quello che tu non hai mai visto.

(Zazzera tace, pensa, risolve e va alla porta della camera.) 

O che fa adesso?

ZAZZERA       (lo guarda dalla testa ai piedi)  Tu ve­drai. (Apre la porta, grida dentro)  Venite avanti voi. È qui.

(Manfredo istintivamente ha un gesto come di chi stia per essere preso.) 

Manfredo è qui.

LA ROSA        (apparisce, dà un grido)     Ah!

MANFREDO   (sbalordito)  Mamma, mamma... (Si buttan le braccia al collo. Un gran pianto.)

ZAZZERA       (li guarda tutti e due dalla testa ai pie­di, poi brusco, si tira i baffi)  Portàtevelo via. Bel capo! Ve lo regalo.

Apre la vetrata del giardino per lasciarli uscire.)  Via!

F I N E