La signorina Giulia

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LA SIGNORINA JULIE

Scena unica

Di AUGUST STRINDBERG

PERSONAGGI

Il conte, che non viene in scena.

La signorina Julie, sua figlia, 25 anni.

Jean, servitore, 30 anni.

Kristina, cuoca, 35 anni.

PREFAZIONE

Già da gran tempo vado pensando che il teatro, come gene­ralmente ogni espressione d'arte, sia una Bibita pauperum; una bibbia illustrata ad uso di coloro che non sanno leggere né la parola scritta né quella stampata. Penso inoltre che il dramma­turgo non sia altro che un predicatore laico che espone, in forma popolare, le idee del suo tempo. Le espone, anzi, in una forma tanto popolare, da far si che il medio ceto, che è poi quello che frequenta il teatro, possa capire ciò che si vuol dire, senza un grave sforzo mentale. Pertanto il teatro è stato sempre una scuola popolare per i giovani, per le persone di media cultura e per le donne. Che è come dire per tutti coloro che dispon­gono della capacità inferiore d'ingannare se stessi o di farsi ingannare. In altri termini, per tutti coloro che s'illudono di accettare le idee dell'autore. Pertanto il teatro, come pure la religione, a causa del fatto che un'idea rudimentale e incom­pleta, espressa mediante la fantasia, sembra svilupparsi in rifles­sione, indagine e sperimentazione; il teatro, dicevo, essendo noi privi della capacità di sentirlo, si trova sul punto di adagiarsi in forme condannate a morire. A suffragio di codesta opinione, c'è il fatto evidente della crisi del teatro che imperversa in tutta Europa; non ne vanno immuni nemmeno quelle nazioni che ci hanno dato i più forti pensatori del nostro tempo; alludo all'Inghilterra e alla Germania, dove il dramma è morto defini­tivamente, come, d'altronde, la maggior parte delle belle arti.

Viceversa, in altri paesi, s'è creduto di poter creare un nuovo dramma, travasando in vecchie forme vicende affatto moderne. Se non che, vuoi che le nuove idee non avessero avuto il tempo di diventar tanto popolari, si che il pubblico fosse già capace d'intenderle; vuoi che le lotte dei partiti avessero acceso gli spiriti fino al punto di rendere impossibile un puro e disin­teressato diletto estetico -  giacché, in un caso, ci si sentiva con­trariati nel proprio sentimento; mentre, in qualche altro caso, la maggioranza del pubblico, o che applaudisse o che fischiasse, non mancava d'esercitare una pressione con tanta decisione, com'è possibile esercitarla soltanto in teatro; - vuoi, infine, perché le vecchie forme non potevano adattarsi al nuovo conte­nuto; è accaduto che il vino nuovo faceva scoppiare le vecchie botti.

In questo mio ultimo dramma non ho cercato di fare alcun­ché di nuovo - il che non sarebbe stato possibile - ma ho sol­tanto cercato di ammodernare le vecchie forme adattandole alle esigenze che, secondo me, gli autori dei nuovi tempi dovreb­bero imporre a quest'arte. In tale intento ho preso, o, per dir meglio, mi son lasciato prendere da un soggetto che può rite­nersi estraneo alle attuali lotte di partito, giacché la questione dell'ascesa o del decadimento sociale, quella dei rapporti fra inferiore e superiore, quella del migliore e del peggiore, dell'uomo o della donna, ebbero, hanno ed avranno sempre un particolare interesse.

Il soggetto di questo dramma l'ho preso dalla vita. Lo sentii raccontare, alcuni anni or sono, e ne rimasi, allora, fortemente impressionato. Mi parve molto adatto per esser ridotto in tra­gedia. Già; perché ancor oggi si resta profondamente impres­sionati quando si assiste al naufragio di un essere che, per l'innanzi, era stato favorito dalla sorte. Impressiona anche più assistere all'estinzione di tutta una stirpe. Nondimeno verrà forse un tempo in cui noi si sarà diventati così evoluti, così illuminati, da poter assistere, con indifferenza, allo spettacolo brutale, cinico e crudele che ci offre la vita. Gli è che avremo eliminato quell'inferiore e ingannevole meccanismo pensante che ha nome sentimento. Il quale diventa superfluo, anzi dan­noso, sempre che la nostra capacità di giudicare sia pervenuta a maturità. Che l'eroina del dramma desti la nostra compassione, ciò procede unicamente dal fatto che noi non possiamo resistere a quel senso di paura generato dal pensiero che lo stesso destino possa colpire anche noi. Nondimeno uno spettatore che fosse molto sensibile, ben potrebbe non ritenersi soddisfatto di questa compassione; come pure un uomo di domani, pieno di fede, potrà, forse, pretendere delle proposte positive capaci di portar rimedio al male. In altre parole potrà pretendere un programma. Se non che, anzitutto, il male, in, senso assoluto, non esiste, perché se una stirpe volge al tramonto, ciò rappresenta una fortuna per un'altra stirpe che riesce a salire sull'orizzonte. Ma l'alterna vicenda delle ascese e discese costituisce una delle mi­gliori attrattive della vita, giacché la felicità consiste solamente nel confronto. E quanto all'individuo che pretende un programma (il che equivale a pretendere di portar rimedio al deplorevole fatto che, mentre l'uccello di rapina è portato a divorare la colomba, il pidocchio è portato a divorare l'uccello di rapina), a quell'individuo vorrei domandare: perché vi si dovrebbe portar rimedio? La vita non è così stupidamente matematica che sol­tanto i pesci grossi divorino i piccoli; anzi, è il contrario! Accade, non meno spesso, che l'ape uccida il leone, o, quanto meno, lo renda frenetico.

Che se la mia tragedia desta, nei più, un'impressione dolo­rosa, è sui più che ricade la colpa. Quando saremo diventati non meno forti dei primi personaggi della rivoluzione francese, produrrà certamente una sana e gioiosa impressione lo spetta­colo dei giardini, già proprietà della Corona, liberati dagli anti­chi tronchi marci, che da troppo gran tempo ostacolarono la crescita di altri tronchi. I quali avevano anch'essi il diritto di vivere nel loro tempo. È una sana impressione, codesta; non diversa da quella che si prova quando si vede morire un malato di malattia incurabile.

Or non è molto, a proposito della mia tragedia intitolata Il padre, mi venne fatto l'appunto che essa è troppo triste. Ma guarda! Ci si aspettava, forse, una tragedia allegra? Ma già, ora si vuol gustare la gioia di vivere; cosicché gli impresari si danno ad ordinar farse agli autori drammatici! Si dovrebbe cre­dere che la gioia di vivere la si faccia consistere nell'essere degli stupidi e nel rappresentare gli uomini come affetti dal ballo di San Vito o dall'idiozia. Io, per conto mio, la gioia di vivere la trovo nelle dure e crudeli lotte della vita, e la mia gioia personale consiste nel pervenire alla conoscenza di qualche cosa: nell'imparar qualche cosa, insomma! È ben per questo che ho scelto un caso singolare, ma ricco d'insegnamenti. Si, un'ecce­zione; ma una di quelle eccezioni che confermano la regola, un soggetto che non potrà piacere a coloro che amano le bana­lità. E ciò che, per giunta, indisporrà i deboli di cervello, è la circostanza che la mia motivazione dell'azione drammatica non è semplice, come pure il suo aspetto non è unilaterale. Ogni accidente della vita - e ciò è una scoperta piuttosto nuova! - è ordinariamente determinato da un complesso di cir­costanze più o meno recondite; se non che, il più delle volte, lo spettatore sceglie quelle che riescono più accessibili al suo intelletto, più vantaggiose per l'onore del proprio discernimento. Si ha notizia di un suicidio. « Cattivi affari! », esclama il bor­ghese;... «amore infelice! », sentenziano le signore;... «una ma­lattia mortale! », pensano i malati;... « speranze deluse! », pro­clama il naufrago. Ma non potrebbe darsi che il vero motivo si trovasse in tutt'altro luogo? Oppure in nessun luogo? Il sui­cida può aver nascosto il motivo essenziale del suo gesto e averne accampato uno affatto diverso che mettesse in buona luce la sua memoria.

La tragica sorte della signorina Julie, io ho cercato di giusti­ficarla mediante un certo numero di circostanze: i congeniti istinti della madre; l'errato indirizzo educativo dato dal padre alla fanciulla; il suo stesso temperamento; la suggestione del fidanzato esercitata sul suo cervello debole e degenerato; e infine, ma più particolarmente, l'atmosfera festiva della notte di San Giovanni; l'assenza del padre; il disturbo mestruale della ragazza; la consuetudine con gli animali; l'eccitazione della danza; l'ombra della notte; il forte potere afrodisiaco del pro­fumo dei fiori; e finalmente il caso che sospinge i due amanti in una stanza remota. Senza poi contare l'intraprendenza del maschio.

Pertanto, il mio procedimento non è stato unicamente fisio­logico, ma neanche fanaticamente psicologico. Non ho, in modo semplicistico, fatto gravitare sulla fanciulla l'eredità materna; non ho addossato la colpa del fatto unicamente al disturbo me­struale o, esclusivamente, alla congenita « immoralità ». Non mi sono limitato a predicare la morale cristiana, e codesta funzione, in mancanza di un sacerdote, l'ho affidata ad una cuoca.

Ci tengo a menar vanto di codesta molteplicità di concause, come una circostanza che risponde alle condizioni del tempo nostro. Che se altri lo avessero fatto prima di me, allora potrei vantarmi di non trovarmi solo con i miei paradossi; perché è così che sogliono esser chiamate tutte le scoperte.

Quanto alle figure dei personaggi, dirò che le ho disegnate piuttosto come prive di « carattere » per i motivi che passo a esporre. La parola carattere, con l'andar del tempo, ha assunto un valore molteplice. In origine stette a significare i lineamenti fondamentali e predominanti nel complesso dell'anima umana; e fu scambiata col temperamento. In processo di tempo è andata diventando un'espressione del medio ceto per indicare gli automi. Cosicché una persona, la quale, una volta tanto, fosse restata aderente alla sua natura, o si fosse adattata a certe fun­zioni nella vita, e che - per dirla in breve - avesse cessato di svilupparsi, venne chiamata persona di carattere. Mentre colui che avesse continuato a svilupparsi, da esperto navigatore, sulla fiumana della vita; colui che non veleggiasse con le scotte fisse, e cedesse alla spinta dei venti, per poi orzare di bel nuovo; venne chiamato una persona priva di carattere. In senso dispre­giativo, beninteso, in quanto che una tal persona, riusciva un po' difficile intenderla, catalogarla e classificarla. Questo con­cetto, decisamente borghese, dell'immobilità dell'anima, venne portato sulla scena, dove ha sempre predominato una mentalità borghese.

Una persona di carattere era un signore già nato e sputato a cui, invariabilmente, non restava che comparir sulla scena, in funzione di ubriaco, buffone e pezzente. Perché lo si notes riconoscere, bastava affibbiargli un difetto fisico, come un piede deforme, una gamba di legno o un naso spugnoso. Oppure il personaggio doveva ripetere una frase insulsa, come, ad esempio: « Era una sciccheria! », « Barkis lo farà volentieri » o altra frase del genere. Codesto modo semplicistico di vedere l'umanità, lo vediamo ancora in onore presso il grande Molière Arpagone è soltanto un avaro; ma perché non avrebbe potuto essere, nel contempo, un finanziere eccellente? un ottimo padre di famiglia? un avveduto assessore comunale? Il peggio è che il « difetto » di Arpagone è soprattutto vantaggioso per la figlia e per il genero, suoi legittimi eredi; quindi costoro non dovreb­bero criticarlo, anche se, per sposarsi, son costretti ad aspettar qualche tempo. Se non che io non credo che i personaggi di un dramma debbano essere semplici; penso anzi che quei giudizi sommari, espressi dagli autori (questo è uno stupido; quello è un brutale; quell'altro è un geloso; quell'altro ancora è un tirchio; eccetera) debbano essere rigettati dai naturalisti. Costoro sanno bene quanto sia ricco e vario il complesso dell'anima, e capiscono che il « vizio » ha anche un altro aspetto. Il quale rassomiglia non poco alla virtù.

Le persone dei miei drammi, essendo gente moderna, hanno anche un carattere moderno; e poiché si trovano a vivere in un'epoca di transizione, la quale, se altro non fosse, è più fretto­losamente isterica della precedente, io ho dovuto rappresen­tarle più ondeggianti e frammentarie, impastate di vecchio e di nuovo. Né mi pare cosa inverosimile che le idee moderne, me­diante i giornali e la conversazione, siano andate infiltrandosi nello strato sociale in cui può vivere un servitore.

Le mie anime (caratteri) sono conglomerati di stadi di cul­tura passati e presenti: sono squarci di libri e di giornali, fram­menti di esseri umani, brandelli di vestiti domenicali diventati sudici stracci. Proprio come son costituite le anime che le per­sone del dramma possiedono. E quando dispongo le cose in modo che il più debole faccia sue, e ripeta, le parole del più forte, come pure quando dispongo che le anime prendano le « idee » Praia dall'altra, non faccio che la genesi di quelle anime. La signorina Julie è un carattere moderno; ma con ciò non si vuol dire che la mezza-femmina, odiatrice del sesso forte, non sia esistita in ogni tempo. Si vuol dire che soltanto adesso si è rivelata, si è fatta innanzi e s'è messa a far chiasso. La mezza-femmina è un tipo che se fino ad ora si vendeva per denaro, oggi si fa innanzi ed è pronta a vendersi per il potere, per le onorificenze, le distinzioni ed i diplomi accademici. E ciò è un indizio di degenerazione. Non è una specie sana e, quindi, non può durare; ma, purtroppo, si riproduce insieme con la sua miseria. Intanto gli uomini degeneri, benché incoscientemente, sembrano preferire codesta specie; ed è perciò che essa si molti­plica e genera un sesso dubbio che soffre della vita. Però decade, fortunatamente, o perché si sente in disarmonia con la realtà, o per l'inevitabile prorompere degli istinti repressi. O anche per la delusione di non poter mai pervenire ad essere un uomo. Codesto tipo è veramente tragico, in quanto ci offre lo spettacolo di una lotta disperata contro la natura. È tragico vedere in qual modo, nel nostro tempo, un'eredità del romanti­cismo venga sperperata dal naturalismo. Il quale può ben porre, come suo unico fine, la felicità a cui solo le razze sane e forti pervengono.

Se non che la signorina Julie è anche una rappresentante dell'antica nobiltà militare che ormai cede il passo alla nuova nobiltà dei nervi e del cervello; è una vittima della disarmonia prodottasi in seno a una famiglia, a cagione della « colpa » dì una madre. La signorina Julie è una vittima degli errori di un'epoca, delle varie circostanze, della sua congenita debolezza... Tutte cose che, nel loro insieme, equivalgono all'antico fato; ossia alla legge dell'universo, secondo gli antichi. Il naturalista ha scacciato Dio dall'universo, e, con ciò, ha eliminato la colpa; se non che le conseguenze di un'azione, ossia la pena, la pri­gione, o soltanto la paura di essa, il naturalista non potrà can­cellarle, per il semplice motivo che esse permangono; o che egli le assolva oppure no. E ciò spiega perché i mortali che, ingiustamente, hanno subito un danno, non sono altrettanto indulgenti come quelli che, non avendolo subito - e perciò, essendo estranei al fatto - ben possono essere indulgenti, con­tro un equo compenso. Quand'anche il padre, per forza mag­giore, desistesse dall'infliggere un castigo, è su se stessa che la figlia dovrebbe prender vendetta. Ed è così che essa fa, per quel senso dell'onore, innato o acquisito, che le classi più elevate ricevono in eredità. Ma da chi? Dalla barbarie, dal­l'antica patria ariana, dalla cavalleria medioevale? Tutte bellis­sime cose, ma non certo vantaggiose per la sopravvivenza della specie. È il harakiri a cui è tenuta la persona nobile; è l'intima coscienza del giapponese, che gli impone di squarciarsi il ventre quando un altro lo ha offeso. La quale usanza si vede perpe­tuata nel duello, che è, per l'appunto, un privilegio dei nobili.

Il che spiega come Jean, il servitore, possa vivere, mentre la signorina Julie non può vivere senza l'onore. Tale è il vantag­gio dello schiavo nei confronti del principe; che lo schiavo può ben esser scevro di quel pregiudizio mortale che ha nome onore. E in tutti noi ariani c'è alcunché del nobile o del Don Chi­sciotte; il che ci inclina alla compassione verso un suicida che abbia perduto l'onore a causa di un'azione disonorevole. E siamo ancora abbastanza nobili per soffrire alla vista di una grandezza caduta a terra, che vada disfacendosi come un cadavere. Esatta­mente come se il caduto potesse rialzarsi e riabilitarsi mediante azioni onorevoli.

Il servitore Jean è un capostipite; è uno in cui può essere osservata l'evoluzione. Figlio di braccianti, s'è evoluto fino a rappresentare il futuro padrone. Ha potuto imparare facilmente; i suoi sensi (olfatto, gusto, vista) sono acuti e sviluppati e poi possiede il senso del bello. Egli si è già innalzato, ed è abba­stanza forte per non sentirsi umiliato quando accetta i servigi degli altri. È già un estraneo nel suo ambiente naturale, che egli disprezza come uno stadio superato, ma che teme e sfugge perché esso conosce i suoi segreti, spia le sue intenzioni; lo vede salire con invidia e attende, con piacere, la sua caduta. Da cui la doppiezza del suo carattere: è indeciso, è oscillante fra l'ammirazione per l'altezza, e l'odio per coloro che siedono in alto. È aristocratico, e lo dice lui stesso; ha imparato i segreti della buona società; si è tutto lisciato, ma è restato rozzo nel­l'animo. Indossa con degenza il frac, ma non ci dà alcuna sicurezza che si sia ben lavato.

Rispetta la signorina, ma della cuoca Kristina ha paura, per­ché questa conosce bene i suoi pericolosi segreti. È abbastanza insensibile da far si che gli avvenimenti della notte non scon­volgano i suoi piani per l'avvenire. Con rozzezza da schiavo, ma impavido come un dominatore, può vedere il sangue senza esser preso da convulsioni; può caricarsi sulle spalle un'avversità, ma può anche scaricarla in terra; cosicché esce incolume dalla lotta e finisce, almeno se lo propone, albergatore. Che se lui non potrà mai diventare un conte rumeno, almeno suo figlio potrà andare all'Università e diventare, forse, un procuratore del re. D'altronde le spiegazioni che egli fornisce sul concetto della vita, come la si vede dal basso, dalle classi inferiori, hanno la loro importanza, sempre che egli dica la verità. Il che non accade spesso, perché, più che il vero, egli dice ciò che gli accomoda. E quando la signorina Julie avanza il dubbio che tutti quelli che appartengono alle classi inferiori, sentano pesare l'oppressione dall'alto, Jean è d'accordo, naturalmente, in quanto egli vuole accattivarsi la simpatia di lei; se non che, non appena scorge il vantaggio che ne avrebbe, distaccandosi dal volgo, modifica subitamente il suo atteggiamento.

Jean, indipendentemente dalla circostanza che egli si trova sulla linea ascendente della parabola, è superiore alla signorina Julie per il semplice fatto di essere un uomo. Egli, a cagione della sua forza di maschio, nonché della raffinatezza dei suoi sensi e della sua capacità d'iniziativa, è sessualmente un aristo­cratico. Il suo stato servile dura, essenzialmente, perché s'è trovato a vivere in un determinato ambiente sociale, dal quale può sempre uscire, allo stesso modo che può spogliarsi della livrea.

Il suo animo servile si rivela nella sua venerazione per il conte, del quale rispetta persino gli stivaloni, e nella sua super­stizione religiosa. Ma la sua venerazione per il conte è deter­minata, essenzialmente, dal fatto che il conte, nella scala sociale, occupa un posto elevato cui Jean aspira. La qual venerazione permane anche dopo aver sedotto la figlia del padrone il cui bell'involucro ha trovato vuoto di contenuto.

Non credo che un rapporto amoroso, in senso « elevato », possa nascere fra due anime di contenuto tanto diverso; ed è per questo che ho disposto che l'amore della signorina Julie sia una sua invenzione portata in sua difesa o discolpa; come pure ho disposto che Jean supponga che il suo amore avrebbe potuto sorgere se la sua condizione sociale fosse stata diversa. Io sono dell'avviso che l'amore sia qualcosa come il giacinto, il quale, per fare uscir dalla sua boccia un fiore robusto, ha bisogno di mettere le sue radici al buio. Nel caso in esame, viceversa, l'amore esplode di un sol colpo e mette fiori e frutti; ed è per questo che muore così presto.

Quanto a Kristina, costei è un'autentica schiava; tutta sotto­missione e ottusità, acquistate davanti ai fornelli; rimpinzata di principi morali e di religione che le servono da maschera e da giustificazione. Essa frequenta la chiesa per scaricare su Gesù Cristo, speditamente e facilmente, tutti i furti che com­mette in casa, e per una nuova provvista di innocenza. D'al­tronde Kristina ha un'importanza secondaria fra le persone del dramma, ed è per questo che la sua figura è soltanto abbozzata. Non ho fatto diversamente col sacerdote e col medico nel dramma intitolato II padre. La mia intenzione era di rappre­sentare gente ordinaria, come appunto sono, il più delle volte, i parroci rurali e i medici condotti. Che se codeste persone secondarie sono sembrate, ad alcuni, piuttosto astratte, ciò procede dal fatto che la gente ordinaria è per l'appunto in certo qual modo astratta, nell'esercizio delle proprie attività. Intendo dire che è gente priva d'indipendenza e che, pertanto, mostra di sé solamente un lato; il quale è quello delle funzioni che adempie. E, sempre che lo spettatore non senta il bisogno di osservarla anche da qualche altro lato, la mia rappresentazione astratta risulta abbastanza giusta.

Quanto alla forma dialogica, mi sono alquanto allontanato da quella tradizionale, in quanto, delle persone del mio dram­ma, non ne ho fatti altrettanti catecumeni piantati lì a for­mular delle domande insulse nel solo intento di provocare repliche argute.

Ho inoltre evitato la simmetria matematica del dialogo co­struito alla francese, ed ho lasciato che i cervelli funzionassero a capriccio, come accade nella realtà. Infatti non v'è mai alcuna disputa che esaurisca bene a fondo un argomento; viceversa si dà spesso il caso che un cervello riceva da un altro cervello l'appiglio cui agganciarsi. È per questo che anche il dialogo procede a caso, accumulando, sin dalle prime scene, un mate­riale che, in seguito, viene elaborato, ripreso, sviluppato e arricchito, come il tema di una composizione musicale.

L'azione, nel suo complesso, è abbastanza tollerabile; e poi­ché, in fondo, non riguarda che due sole persone, mi son tenuto pago di esse, ed ho introdotto una sola persona secondaria: la cuoca. Sul tutto ho fatto aleggiare l'infelice spirito del padre della signorina Julie. Se ho operato in tal modo, è perché mi è parso di poter rilevare che, per le persone dei tempi nuovi, ciò che più interessa è l'evoluzione psicologica; e le anime nostre, avide di sapere, non si accontentano di veder accadere qualcosa; vogliono sapere perché essa accada. Noi si vuol vedere il filo conduttore; si vuol esaminare il meccanismo; si vuole studiare la scatola a doppio fondo; toccare l'anello magico per trovare l'incrinatura; controllare le carte da gioco per scoprire in qual modo siano state segnate.

Nel far questo, ho tenuto presenti al mio spirito i romanzi monografici dei fratelli Goncourt, i quali, di tutta la letteratura contemporanea, sono quelli che mi sono maggiormente piaciuti. Quanto alla tecnica della composizione, ho soppresso - in via di esperimento - la divisione in atti. Ho fatto ciò perché m'è parso che la nostra decrescente capacità d'illuderci poteva esser contrariata dagli intervalli; durante i quali lo spettatore si mette a riflettere, e, con ciò, viene a sottrarsi all'influenza suggestiva dell'autore-magnetizzatore. La rappresentazione del mio lavoro può durare, tutt'al più, sei quarti d'ora; e poiché si può bene ascoltare una conferenza, una predica, o una discus­sione in un congresso che duri altrettanto, o anche più, ho creduto che un'opera teatrale la cui rappresentazione durasse un'ora e mezza, non avrebbe potuto stancare. Sin dal 1872, in uno dei miei primi lavori teatrali - quello dal titolo II pro­scritto - avevo tentato una simile forma concentrata; ma con scarso successo. Quel lavoro, che prima era stato composto in cinque atti, doveva andare in scena, e soltanto allora ne rilevai l'inquietante frammentarietà. Buttatolo nel fuoco, venne fuori dalle sue ceneri un ampio e organico atto unico di cinquanta pagine di composizione a stampa. La sua rappresentazione po­teva durare un'ora. Siffatta forma non è del tutto nuova, ma si direbbe che a me sia congeniale e - forse a causa delle mutate leggi del gusto - ha in prospettiva di diventare la forma del nostro tempo. La mia aspirazione sarebbe quella di avere a disposizione, per l'avvenire, un pubblico così educato da soste­nere lo sforzo di una rappresentazione in un solo atto. Ma è una questione, codesta, che va ulteriormente studiata. Frattanto, per dare al pubblico e agli attori qualche momento di riposo, senza che lo spettatore sfuggisse all'illusione, ho adottato tre diverse espressioni d'arte, tutte connesse col dramma, benin­teso, e precisamente: il monologo, la pantomima e la danza. Le stesse forme cioè che, nell'antica tragedia, erano collegate. Ciò che, una volta, era monodia, adesso è diventato monologo, men­tre il coro è diventato danza.

I realisti nostrani hanno del tutto bandito il monologo dalle scene, ritenendolo inverosimile; ma alle volte si giustifica, e allora diventa verosimile. È quindi possibile adoperarlo con vantaggio. Non è perfettamente verosimile, ad esempio, che un oratore si metta a passeggiare, da solo, in una stanza e si ripassi, ad alta voce, un suo discorso? Non meno verosimile è che un attore provi, ad alta voce, la sua parte; che una serva si metta a chiacchierare col gatto; che una mamma balbetti le prime parole al suo bambino; che una zitellona insegni a par­lare al suo pappagallo; che un dormiente parli nel sonno... e altri casi consimili. E per dare, una volta tanto, all'attore l'oc­casione di creare la battuta indipendentemente dall'autore, e così esser libero, almeno per qualche istante, penso che sia meglio che la stesura dei monologhi non venga fatta integral­mente, ma soltanto accennata. È chiaro che ciò che si dice nel sonno, oppure al gatto o al pappagallo, è del tutto indifferente, in quanto non può avere alcuna influenza sull'azione. È ben possibile ad un attore di talento, che si trovi nel bel mezzo dell'atmosfera e della situazione drammatica, improvvisare le relative battute; forse lo farà meglio dell'autore, il quale non è in grado di calcolare anticipatamente quando e per quanto tempo si possano far delle chiacchiere, senza che il pubblico si sottragga all'illusione.

Com'è risaputo, il teatro italiano, in alcune sue scene, è tor­nato all'improvvisazione, e, in tal modo, ha creato attori capaci d'inventare adeguatamente alle direttive dell'autore. E poiché ciò può costituire un progresso, o una nuova forma d'arte sul nascere, si può ben parlare di arte creatrice.

Dove però il monologo poteva cadere nell'inverosimile, sono ricorso alla pantomima; e in ciò vengo a lasciare all'attore una maggiore libertà di creazione e di farsi onore indipendente­mente dall'autore. Nondimeno - per non stancare il pubblico oltre la sua capacità di resistenza - ho fatto in modo che la musica - pienamente giustificata dal ballo della notte di San Giovanni - eserciti la sua forza suggestiva durante la scena muta, e chiedo al direttore d'orchestra di curare attentamente la scelta dei brani musicali da riprodurre. Perché bisogna evitare che vengano evocati stati d'animo estranei alla vicenda teatrale, come sarebbero i ricordi di operette o di danze del repertorio corrente; o di melodie popolari di carattere troppo spiccatamente etnografico.

Il balletto che ho introdotto nel dramma non potrebbe esser sostituito da una cosiddetta scena popolaresca perché codeste scene, ordinariamente, si recitano male; e allora un mucchio di detrattori coglierebbero l'occasione per far dello spirito, e, con ciò, guastare l'illusione. Avendo considerato che il popolo non improvvisa le sue malignazioni, ma si serve di materiale già pronto che possa avere un doppio senso, non ho inventato la canzone beffarda, ma mi sono servito di un ballabile poco cono­sciuto, ma che io stesso ho sentito suonare e cantare nei din­torni di Stoccolma. Le parole non colpiscono esattamente nel segno, ma ci si avvicinano. Ed era proprio ciò che io cercavo, perché la perfidia, che è peculiare dello schiavo, non consente un'azione diretta. Pertanto, nella recita di un'azione seria, non m'è parso che fosse il caso d'introdurre dei buffoni. Nessuna smorfia grossolana in una situazione dove si chiude il coperchio della bara che contiene il cadavere di una stirpe.

Passando ora alla parte scenografica del dramma, dirò che ho preso in prestito dalla pittura impressionistica, l'asimmetria del­l'ambiente e la sua frammentarietà. Penso che ciò abbia fatto buon gioco per creare l'illusione; perché, a causa del fatto che la stanza non si vede interamente con tutti i suoi mobili, resta un margine all'immaginazione dello spettatore; intendo dire che gli si lascia la possibilità di mettere in moto la fantasia per integrare lo scenario. Anche da ciò credo di aver tratto qualche vantaggio; perché è restata eliminata la faticosa uscita dalle porte. Ordinariamente le porte degli scenari sono fatte di tela dipinta, e quindi hanno la pessima abitudine di ondeggiare alla più piccola pressione. Come si potrebbe servirsene, ad esempio, per aiutare ad esprimere la collera di un padre furibondo che, dopo un cattivo pranzo, esce dalla stanza sbattendo la porta? Lo sbattimento di una porta, in uno scenario fatto di tela dipinta, farebbe crollare l'intero casamento! Parimenti se mi sono limitato a uno scenario unico, è stato per permettere alle persone del dramma di adattarsi all'ambiente, e anche per rom­perla, una buona volta, con la varietà degli scenari. D'altronde quando si chiede un solo scenario si può pretendere che abbia almeno un carattere di verosimiglianza. Ciò nonostante, niente è più difficile che ottenere la rappresentazione di una stanza che, pressappoco, dia l'idea di ima vera stanza, da quegli stessi scenografi che ti sanno rappresentare un vulcano che manda fuoco e fiamme oppure una cascata come quella del Niagara. Lasciamo pure che le pareti di una stanza siano di tela, ma dovrebbe finalmente essere ora di piantarla con le mensole dipinte su cui fan bella mostra gli utensili da cucina, anch'essi dipinti. Sulla scena c'è già tanto di falso e di convenzionale, cui si ha da credere, che si potrebbe fare a meno di imporci lo sforzo di vedere delle vere casseruole, nelle casseruole dipinte. La parete di fondo l'ho disposta a sghembo, e con essa la tavola centrale. Con ciò si dà modo agli attori, quando siedono a tavola uno di fronte all'altro, di recitare di faccia o di tre quarti. Nell'opera Aida mi accadde, ima volta, di vedere un fondale messo di sghembo; con tal mezzo si avviava lo sguardo degli spettatori verso ignote prospettive. E non sembrava essere il portato di uno spirito di contraddizione verso la faticosa linea retta.

Un'altra novità, non inutile, forse, sarebbe la soppressione della ribalta. L'illuminazione della scena, proveniente dal basso, pare che abbia lo scopo di rendere più grasso il volto degli attori. Ma vorrei domandare: perché mai tutti gli attori dovreb­bero essere grassi in volto? La luce che viene dal basso non toglie forse grazia ad alcuni lineamenti della parte inferiore del volto? non altera la forma del naso? non getta ombre negli occhi? Ma quand'anche ciò non fosse, un'altra cosa è ben certa-gli occhi degli attori ne soffrono notevolmente. E con ciò va del tutto perduto il gioco efficace degli sguardi; perché le luci della ribalta colpiscono la retina in punti che, ordinariamente, sono al riparo. (Ciò non accade alla gente di mare la quale, ordina­riamente, vede il sole riflesso nell'acqua.) Con una tale dispo­sizione delle luci, si vede raramente un gioco di sguardi diverso dalle grossolane occhiate, dirette o di sghembo, o verso il log­gione, con cui si mostra agli spettatori della platea il bianco degli occhi! Forse è alla stessa causa che si deve attribuire il faticoso battere delle palpebre, specie nelle attrici. Che se qual­cuno, sulla scena, volesse parlare con gli occhi, non gli reste­rebbe che la cattiva risorsa di guardare direttamente il pub­blico della platea, col quale l'attore, o l'attrice, entra in diretto contatto, ma fuori dalla cornice delle quinte. Un malcostume, codesto, che, a torto o a ragione, lo si chiama « salutare i conoscenti ».

Non dovrebbe una luce, sufficientemente forte, proveniente dai lati (mediante riflettori o altrimenti poter far dono agli attori di questa nuova risorsa: rafforzare l'espressione del volto col suo mezzo più potente, il gioco degli occhi?

Ma benché si tratti di cosa particolarmente desiderabile, non mi faccio illusioni sulla possibilità di ottenere che gli attori si limitino a recitare per il pubblico e non con il pubblico. Nem­meno m’è permesso di sognare di vedere un attore, per tutta la durata di una scena importante, completamente di spalle. E non mi resta che augurarmi di non vedere le scene madri svolgersi davanti alla buca del suggeritore; come fanno i can­tanti, quando hanno da cantare dei duetti destinati a far colpo sulle platee e a provocare gli applausi a scena aperta. Vorrei che codeste scene venissero recitate nel luogo più conveniente alla situazione rappresentata. Nessuna rivoluzione, dunque, ma soltanto piccoli ritocchi; perché con lo scenario di una stanza cui manca la quarta parete (e nella quale una parte dei mobili volterebbero le spalle al pubblico), si sarebbe ottenuto, nel caso in esame, un effetto conturbante.

Se poi mi mettessi a discorrere della truccatura degli attori, non sarebbe il caso di sperare di essere ascoltato dalle signore; queste ci tengono a essere belle piuttosto che vere! Se non che l'attore dovrebbe chiedersi sino a che punto gli converrebbe, mediante la truccatura, di dare al suo volto un carattere astratto che gli restasse fisso sul volto come una maschera. Cerchiamo di immaginarci un attore che, fra i due occhi, si fosse tracciata,col nerofumo, una marcata ruga collerica; e supponiamo che costui, così costantemente accigliato, dovesse spianare il suo volto e sorridere, in risposta a una battuta di un altro attore; che smorfia spaventosa ne verrebbe fuori? E in qual modo, vice­versa, potrebbe una fronte posticcia, levigata come una palla di biliardo, corrugarsi improvvisamente per esprimere la collera?

In un dramma psicologico moderno, dove i più delicati moti dell'anima debbono riflettersi più nel volto che nel gesto o nelle parole, la cosa migliore potrebbe essere di tentare la rappre­sentazione su di una piccola scena con forte illuminazione late­rale, con attori non truccati o, almeno, col minimo trucco necessario.

Che se poi potessimo fare a meno di un'orchestra visibile, con quei suoi lumi che disturbano e con quei volti che guar­dano il pubblico; se si avesse una platea sopraelevata, in modo che gli occhi degli spettatori si trovassero, al massimo, al livello dei ginocchi degli attori; se potessimo eliminare i palchi di proscenio (occhi di bue) con le dame sogghignanti, reduci da cene o da banchetti; se potessimo fare il buio completo nella sala durante lo spettacolo; e se, finalmente, come prima ed ultima cosa si potesse disporre di una piccola scena e di una piccola sala; può darsi che ne verrebbe fuori una nuova arte drammatica e che il teatro potrebbe tornare a essere un'istitu­zione per il piacere delle persone colte. In attesa di un tale teatro, possiamo scrivere drammi da conservare nel cassetto preparando così il repertorio dell'avvenire!

Io ho voluto fare un tentativo. Se non è riuscito, c'è ancora tempo per farne un altro.

SCENA UNICA

Lo spettacolo si svolge nella cucina del conte la notte di San Giovanni.

 Una vasta cucina il cui soffitto e le pareti sono rivestiti di tappezzeria e decorazioni. La parete di fondo è disposta a Sghembo sulla sinistra della scena. Sulla stessa parete, ancora a sinistra, due mensole con recipienti di rame, ottone, ferro e stagno. Le mensole sono adornate di carta colorata, a smerli. Alquanto a destra si scorge, per tre quarti, una grande porta ad arco con due battenti, a vetri, attraverso cui si scorgono una fontanella, sormontata da un amorino, cespugli di lilla fioriti e alcuni pioppi. A sinistra della scena si vede un cantuccio di un grande focolare, a mattoni, e una parte della cappa. Valla destra sporge una parte della tavola da pranzo per la servitù, in abete bianco, circondata da alcune seggiole. Il focolare è ornato con ramoscelli di betulla e il pavimento è cosparso di rami di ginepro. Sulla tavola un grosso vaso giapponese con rami di lilla fioriti. Un recipiente col ghiaccio, una brocca per l'acqua e uno sciacquatolo. Accanto alla porta, un grosso campanello all'antica, alla cui sinistra è disposto un portavoce. Kri­stina, in piedi davanti ai fornelli, frigge qualcosa in una padella. Indossa un vestito di cotone chiaro, con un grem­biale da cucina. Entra Jean, in livrea, portando un paio di stivaloni speronati che depone sul pavimento, bene in vista.

Jean                                    - La signorina Julie è ammattita di nuovo, questa sera!... Proprio matta del tutto!

Kristina                              - Ah si?... ma guarda!

Jean                                    - Ho accompagnato il conte alla stazione, e quando ne sono tornato, passando davanti al fienile dove si ballava, sono entrato a far due salti. E... pensa! non ti vedo la signo­rina che guidava la danza insieme col guardaboschi? E, appena ha visto me, mi si è precipitata incontro e m'ha invitato al valzer delle dame. E avessi visto come lo ha ballato!... Non avevo veduto mai niente di simile, io!... È proprio matta!

Kristina                              - Matta lo è stata sempre, ma non quanto in questi ultimi quindici giorni... dopo la rottura col suo fidanzato.

Jean                                    - Già, ma com'è andata questa storia? Era un giovane in gamba, quel fidanzato, anche se non era ricco. Oh!... gliene frullano per la testa, a questa gente! (Siede alla tavola.) Comunque è curioso che una signorina per bene resti in casa con la servitù, invece di accompagnare il padre quando va a trovare i suoi parenti.

Kristina                              - Deve sentirsi molto frastornata dopo quella scenata col fidanzato.

Jean                                    - È probabile, ma quello era un uomo e ce l'aveva la testa sotto il cappello!... Lo sai, Kristina, come andò quella storia? Io ho potuto vederla con i miei occhi... benché abbia fatto finta di nulla!

Kristina                              - No!... l'hai veramente veduta?

Jean                                    - L'ho proprio veduta, ti dico... Una sera stavano giù vicino alla scuderia e la signorina lo « allenava », come essa stessa diceva... E lo sai come faceva? Si, lo faceva saltare sul suo scudiscio come fosse un cagnolino. Due volte lo fece saltare e ogni volta gli applicò una scudisciata... Ma la terza volta, lui, strappatole di mano lo scudiscio, lo fece in mille pezzi... E poi se la filò!

Kristina                              - Ah si?... Andò cosi?... È veramente incredibile!

Jean                                    - Si, proprio cosi!... Ma dimmi, Kristina, non avresti nulla di buono da darmi? Kristina (prelevando qualche cosa dalla padella e mettendola davanti a Jean). Ah ah, eccoti un pezzetto di rognone! l'ho sottratto dall'arrosto di vitello.

Jean                                    - (annusando). Deve essere squisito! È la mia più grande délice, questo! (Riempiendo il piatto.) Avresti anche potuto scaldare il piatto, però!

Kristina                              - Ah ah!... È più schifiltoso del conte, costui, quando incomincia... (Lo afferra amichevolmente per i capelli.)

Jean                                    - (indispettito). Li vuoi lasciare stare, i miei capelli?... Lo sai bene quanto sono sensibile!

Kristina                              - Via, via: non era che amorevolezza; questo lo sai bene!

Jean si mette a mangiare; Kristina stappa una bottiglia di birra.

Jean                                    - Birra la sera di San Giovanni?... No, mille grazie! Ho qualcosa di meglio, io! (Apre un cassetto e ne cava una bottiglia di vino rosso, chiusa con ceralacca gialla.) Ceralacca gialla!... La vedi? E adesso dammi un bicchiere! Un bicchiere a calice, naturalmente, quando si beve del vin pur!

 Kristina torna indietro e mette sul fuoco una piccola casseruola.

Kristina                              - Che Dio assista chi avrà per marito un uomo simile! Un tipo così schizzinoso!

Jean                                    - Ma che sciocchezze! Saresti ben contenta d'aver per marito una persona fine come me!... E del resto, non credo che tu sia troppo malcontenta che mi si chiami il tuo fidan­zato! (Degusta il vino.) Buono! molto buono! Dovrebbe essere un po' più temperato! (Riscalda la bottiglia con le mani.) Questo fu comprato a Digione; ce lo fecero pagare quattro franchi il litro. Senza il vetro, beninteso, e poi ci fu da pagare la dogana!... Cos'è che stai cucinando?... Puzza come può puzzare soltanto il diavolo!

Kristina                              - Ah ah! ed è infatti robaccia diabolica che la signo­rina Julie vuole avere per la sua Diana.

Jean                                    - Tu, Kristina, dovresti esprimerti con maggior garbo. Ma come ti viene in mente di cuocere qualcosa per una cagna in una sera festiva? È forse malata?

Kristina                              - Si, è malata! Perché è andata a imbrogliarsi col cane danese del guardiano. E adesso si trova nei guai, natu­ralmente. Perché la signorina non ne vuol sapere di simili imbrogli.

Jean                                    - Quella signorina, talvolta, si tiene sulle sue e talvolta è troppo alla mano; proprio come la contessa sua madre, ai suoi tempi! Si trovava completamente a suo agio in cucina e nella scuderia, ma quando usciva in carrozza, pretendeva l'attacco a due cavalli; se ne andava attorno con i guanti sporchi, ma voleva vedere la corona comitale su tutti i bottoni della servitù. E, quanto alla signorina, mi sembra che non abbia troppa cura della sua persona! Quasi sarei portato a dire che non è abbastanza fine. Poc'anzi, quando ballava nel fienile, ha strappato il guardaboschi dal fianco di Anna e s'è messa a ballare con lui. Nemmeno noi faremmo mai qualcosa di simile! Così vanno le cose, e quando ci si abbassa sino al volgo... si diventa volgari... Ma è diabolica­mente bella nell'aspetto! È magnifica!... E che spalle... E che... eccetera! eccetera!

Kristina                              - E via!... Basta con gli elogi! Lo so bene com'è fatta! Me lo dice Klara!... Non è lei che la veste?

Jean                                    - Lascia stare ciò che ne dice Klara; siete sempre invidiose, voi donne. Posso saperlo meglio io che sono stato a cavalcare con lei!... E poi come balla!...

Kristina                              - Ascolta, Jean, non vorresti venire a ballare con me quando sarò pronta?

Jean                                    - Si, certo che lo voglio!

Kristina                              - Me lo prometti?

Jean                                    - Promettere? Quando dico di voler fare una cosa, la faccio sempre! Già. E grazie per lo spuntino... mi hai proprio rifocillato! (Ritappa la bottiglia.) La signorina Julie si fa sulla soglia della porta e parla verso l'interno dell' appartamento.  

La signorina                       - Torno subito! Voi potete continuare!...

Jean nasconde la bottiglia nel cassetto e si alza rispetto­samente; la signorina entra in cucina e va verso Kristina che si trova presso i fornelli.

La signorina                       - Dunque, siamo in ordine?

Kristina fa notare, con un cenno, alla signorina la pre­senza di Jean.

Jean                                    - (con galanteria). Hanno dei segreti, le signore?

La signorina                       - (colpendolo in viso col fazzoletto). Questo si chiama essere curioso!

Jean                                    - Oh, che buon odore di violette!

La signorina                       - (con civetteria). Sfacciato!... S'intende anche di profumi, costui? Balla bene, però. Ma non guardate, e filate via! Jean (impertinente e cortese). Non- è un filtro magico che queste signore stanno preparando per la festa di San Gio­vanni? Qualcosa che insegni a leggere nelle stelle? Qualcosa che faccia vedere il futuro?

La signorina                       - (con asprezza). Per vedere tutto ciò, occorrerebbe possedere buoni occhi. (A Kristina.) Versa il tutto in una bottiglia e tappala per bene!... E voi, Jean, venite di là a ballare con me una danza scozzese.

Jean                                    - (esitando). Non vorrei essere scortese... ma questo ballo l'avevo promesso a Kristina...

La signorina                       - E via! Essa può averne un altro... non è vero Kristina? Vuoi darmi in prestito il tuo Jean?

Kristina                              - Questo non mi riguarda. Se la signorina si degna, non sta bene dire di no. Vacci pure, Jean, e ringrazia per l'onore.

Jean                                    - Non vorrei mostrarmi scortese con lei, signorina, ma la gente chiacchiererebbe se la vedesse ballare due volte con lo stesso cavaliere. Lei lo sa: qui la gente non tarda a fare commenti...

La signorina                       - (indispettita). Come? Quali commenti? Che in­tende dire, costui?

Jean                                    - (con rispetto). Quando la signorina non vuole intendere, occorre che io parli più esplicitamente. Non fa buona impres­sione che lei preferisca uno dei suoi dipendenti ad altri... che aspettano lo stesso insolito onore!

La signorina                       - Preferire? Che cosa vi viene in mente? Mi meraviglio! Io, la padrona di questa casa, non posso che onorare, con la mia presenza, il ballo della servitù; e se mi degno di ballare, posso ben farlo con uno che sappia con­durre... perché non voglio espormi al ridicolo, io!

Jean                                    - Come la signorina comanda! Io sono il suo servitore!

La signorina                       - (affabile). Non dovete prenderlo come un ordine, Jean! Alla festa di questa sera... saremo tutta gente allegra e non si baderà a chi è più e a chi è meno! Adesso offritemi il braccio!... Non essere inquieta, Kristina, non penso di portarti via il tuo fidanzato!

Jean offre il braccio alla signorina e l'accompagna fuori.

PANTOMIMA

Va eseguita come se l'attrice fosse veramente sola nella cucina; e quindi, occorrendo, può voltare le spalle al pub­blico. Non guarderà in platea, né si affretterà, a costo di spazientire il pubblico.

Kristina                              - Sola. Si ode, in lontananza, il suono dei violini che intonano la danza scozzese. Kristina canta sottovoce accompagnando la musica; sparecchia la tavola, lava qualche piatto, lo asciuga e lo mette sulla mensola. Poi si toglie il grembiale, prende uno specchietto dal cassetto della tavola, lo appoggia ritto sul piano, sostenuto dal vaso giapponese, e si mette a far toletta. Accende una candela e, alla sua fiamma, riscalda le forcine con cui si arriccia i capelli sulla fronte. Quindi si fa sulla soglia della porta e si mette in ascolto. Torna alla tavola. Vi trova il fazzoletto dimenticato dalla signorina; lo prende e lo annusa. Quindi lo spiega sulla tavola, come sopra pensiero, lo tende ben bene, e torna a ripiegarlo in quattro ecc.

Jean                                    - (rientrando da solo). È decisamente matta, costei! Ma come ballava!... E intanto la gente resta incantata a guar­darla. Ma poi sghignazza, dietro le porte!... Che ne dici Kristina?

Kristina                              - Dico che, siccome le sono venute le sue regole, va diventando sempre più strana! Dunque, vuoi venire a ballare con me, adesso?

Jean                                    - Non sei mica arrabbiata con me perché t'ho mancato di parola?

Kristina                              - Non mi arrabbio per così poco... questo lo sai. So stare al mio posto, io!

Jean                                    - (cingendole la vita con un braccio). Tu sei una ragazza assennata, Kristina, e diventerai una brava moglie. Prima o poi.

Entra la signorina Julie e si mostra spiacevolmente sorpresa.

La signorina                       - (con fare volutamente scherzoso). Siete un cava­liere compito! È così che si pianta in asso la propria dama!

Jean                                    - Al contrario, signorina Julie, è per correttezza che sono tornato indietro, come lei può vedere.

La signorina                       - (mutando tono). Davvero sapete ballare come nessun altro!... Com'è che indossate la vostra livrea in una sera di festa? Toglietevela subito!

Jean                                    - Allora debbo pregare la signorina di farsi un momento da parte, perché i miei vestiti sono là. (Indica a destra.)

La signorina                       - Avete dunque soggezione di me? E questo per cambiar di giacca? Ma allora ritiratevi di là; poi tornerete qui! Oppure potete anche restar qui; io mi volterò da un'altra parte.

Jean                                    - Col suo permesso, signorina. (Si ritira a destra. Dalla platea si può scorgere un braccio nudo mentre cambia vestito.)

La signorina                       - (a Kristina). Ascolta, Kristina, è tuo fidanzato, Jean, per potersi prendere con te certe confidenze?

Kristina                              - Mio fidanzato? Già, così si dice. Ci chiamano appunto cosi!

La signorina                       - Ah! è così che vi chiamano?

Kristina                              - Anche la signorina ha avuto un fidanzato, e...

La signorina                       - Già, è vero: eravamo proprio fidanzati!

Kristina                              - Ma poi non se n'è fatto nulla!...

Jean rientra in scena in abito da passeggio, scuro, con un cappello duro nelle mani.

La signorina                       - Très gentil, monsieur Jean! Très gentil!

Jean                                    - Vous voulez plaisanter, mademoiselle!

La signorina                       - Oh! vous parlez francais Dove l'avete imparato?

Jean                                    - In Svizzera, signorina, quando facevo il dispensiere in uno dei più grandi alberghi di Lucerna.

La signorina                       - Avete proprio l'aria d'un gentleman nella vostra redingote! Cesi charmant qa! (Si siede davanti alla tavola.)

Jean                                    - Oh! Lei mi lusinga!

La signorina                       - (piccata), lo lusingare voi?

Jean                                    - La mia naturale modestia mi vieta di credere che lei voglia far dei complimenti a uno come me; e perciò mi sono permesso di supporre che lei esageri... che lei mi lusinghi, come si usa dire.

La signorina                       - Dove avete imparato a scegliere parole così fini? Siete stato molto a teatro?

Jean                                    - Si, anche questo! Oh, sono stato in molti luoghi, io!

La signorina                       - Ma siete nato da queste parti, però!

Jean                                    - Si, mio padre era al servizio dell'avvocato erariale che abitava qui accanto; cosicché ho potuto veder spesso la signorina, quand'era bambina; ma la signorina non si è certo accorta di me!

La signorina                       - No!... davvero?

Jean                                    - Posso ricordarmi che una volta... ma questo non posso dirglielo.

La signorina                       - Ma si, ditelo! Ditelo, una volta tanto!

Jean                                    - No, non posso! Sarà per un'altra volta!

La signorina                       - Un'altra volta non ci crederò. Ma è così difficile a dirsi?

Jean                                    - No, non lo è, ma è che lo farei malvolentieri! No!... Guardi quella li! (Indica Kristina che, seduta sopra unaseggiola accanto ai fornelli, s'è addormentata profondamente.)

La signorina                       - Dovrà essere una moglie divertente, quella, quan­do l'avrete. Russa anche, per caso?

Jean                                    - No, non russa, ma parla dormendo.

La signorina                       - (cinicamente). To': come fate a saperlo?

Jean                                    - (sfacciato). Lo so perché l'ho sentita.

Pausa durante la quale i due si osservano.

La signorina                       - Ma perché non vi mettete a sedere?

Jean                                    - Non oso permettermelo, in sua presenza!

La signorina                       - E se io ve lo comandassi?

Jean                                    - Allora obbedirei!

La signorina                       - E allora: sedetevi!... Ma... un momento!... Non potreste darmi, prima di tutto, qualcosa da bere?

Jean                                    - Proprio non so cosa ci sia nello stipo... Credo che non ci sia che birra.

La signorina                       - E che importa che non ci sia che birra? Sono di gusti semplici, io; e la preferisco al vino.

Jean va allo stipo, ne cava una bottiglia di birra e la stappa; prende dallo stipo anche un bicchiere e un piattino, e serve.

Jean                                    - Eccola servita.

La signorina                       - Grazie! E non volete anche voi qualcosa da bere?

Jean                                    - Non sono un grande amico della birra, ma se la signorina me lo comanda...

La signorina                       - Comandare? Credo che, da cortese cavaliere, potreste anche bere insieme con la vostra dama.

Jean                                    - Questo è molto giusto.

(Prende un'altra bottiglia e un bicchiere. )

La signorina                       - E adesso bevete alla mia salute! (Jean esita.) Si direbbe che il maturo giovanotto sia un po' timido!

Jean                                    - (inginocchiandosi e alzando il bicchiere). Alla salute della mia sovrana!

La signorina                       - Bravo!... Adesso, per fare ogni cosa come va fatta, baciatemi lo scarpino!

Jean esita, ma poi afferra il piede della signorina e lo bacia leggermente.

La signorina                       - Ottimamente! Avreste dovuto fare il comme­diante!

Jean                                    - (rizzandosi). Non si può andare oltre, signorina; se venisse qualcuno e ci vedesse, pensi!...

La signorina                       - E che avverrebbe?

Jean                                    - La gente vi farebbe sopra delle belle chiacchiere: questo avverrebbe! Se sapesse, signorina, come, poc'anzi, dimenavano la lingua, quelli là fuori...

La signorina                       - Cosa dicevano? Ditemelo!... Sedetevi!

Jean si siede.

Jean                                    - Non vorrei offenderla, ma usavano espressioni che face­vano sospettare che... Si, questo lo può capire- da se stessa! Non è più una bambina, lei! E quando si sorprende una signora che se ne sta sola con un uomo... di notte, sia pur esso un servitore, e beve con lui... allora...

La signorina                       - Che allora e allora!... Del resto non siamo soli... qui c'è anche Kristina!

Jean                                    - Già, ma dorme!

La signorina                       - E allora la sveglierò. (Alzandosi.) Cosa fai, Kristina, dormi?

Kristina                              - (nel sonno). Bla... blo... bla...

La signorina                       - Kristina!... Dio, come dorme!

Kristina                              - (sempre nel sonno). Gli stivali del conte sono luci­dati... Metti a bollire il caffè! presto! presto! presto! oh, oh!

Puah!

La signorina                       - (prendendola per il naso). Ti vuoi svegliare, finalmente!

Jean                                    - (severo). Non si deve disturbare chi dorme!

La signorina                       - (dura). Come?

Jean                                    - È stata a cucinare l'intera giornata e quando arriva la notte, ha tutto il diritto d'essere stanca... Il sonno va rispettato!

La signorina                       - (cambiando tono). Questo è un nobile pensiero e vi fa onore... Vi ringrazio dell'avvertimento. (Tendendogli la mano.) E adesso venite fuori con me e coglietemi alcuni rami di lilla!

Durante le battute seguenti, Kristina si desta, ma, ancora assonnata, si avvia a destra per andarsene a letto.

Jean                                    - Insieme con la signorina?

La signorina                       - Si, insieme con me!

Jean                                    - Questo non va! Assolutamente non va!

La signorina                       - Non arrivo a capire che cosa vi passa per la testa. Sarebbe possibile che vi facciate delle idee?

Jean                                    - Non io... ma la gente!

La signorina                       - E cosa si penserà? Che io mi sia innamorata d'un servitore?

Jean                                    - Non sono un presuntuoso, io... ma si son dati dei casi... così singolari... E, del resto, per il volgo, non c'è mai nulla di sacro!

La signorina                       - Si direbbe che vi sentiate un aristocratico!

Jean                                    - Si, mi sento di esserlo!

La signorina                       - Ed io mi abbasso e...

Jean                                    - Non si abbassi, signorina! Dia retta a me: nessuno sarà disposto a credere che lei si abbassi benevolmente; tutti diranno che lei cede.

La signorina                       - Non lo credo: la mia opinione sulla gente è migliore della vostra. Possiamo farne subito la prova. Venite con me, venite! (Cerca di adescarlo con lo sguardo.)

Jean                                    - Lo sa che è veramente strana, lei?

La signorina                       - Può darsi, ma lo siete anche voi!... Tutto è strano, del resto: la vita, gli uomini, tutto!... È come il fango che se ne va alla deriva sull'acqua, sinché cola a fondo e sparisce. Ho sognato, talvolta, una cosa che adesso mi torna in mente... Ho sognato di trovarmi appollaiata sulla cima d'una colonna senza sapere come fare per discenderne; anche perché, guardando in basso, mi girava la testa. Tuttavia dovevo scenderne, ma mi mancava il coraggio di buttarmi giù. Non avevo nulla cui aggrapparmi e mi auguravo di cadere, ma non cadevo. Sentivo tuttavia di non poter aver pace se non quando fossi in basso; di non poter avere alcun riposo finché non fossi a terra. Ma poi, una volta in basso, avrei voluto sprofondare sotto terra! Avete mai provato qualcosa di simile?

Jean                                    - No, a volte io sogno di trovarmi sotto un albero alto in una foresta oscura. Voglio arrampicarmi su quell'albero per godere la vista del paesaggio circostante, tutto luminoso e splendente di sole, e per impossessarmi del nido di un uccello dalle uova d'oro. Mi affatico e mi affatico, senonché il tronco è troppo grosso e sdrucciolevole; il ramo più basso è sempre troppo lontano da me. Ma so che se raggiungessi quel ramo, dopo arriverei facilmente alla cima dell'albero, come se salissi per una scala a pioli. Non l'ho mai raggiunto, quel ramo; ma so che lo raggiungerò; quand'anche non dovesse essere che in sogno!

La signorina                       - E io che me ne sto qui ad ascoltare i vostri sogni? Venite fuori con me a fare un giro nel parco! (Lo prende per il braccio e si avviano.)

Jean                                    - Questa notte, signorina, dormiremo sui nove fiori freschi di mezz'estate, e conosceremo la verità!

La signorina e Jean, giunti sulla porta si voltano. Jean si copre un occhio con la mano.

La signorina                       - Posso vedere cosa vi è entrato nell'occhio?

Jean                                    - Oh, non è che un bruscolo... se ne andrà subito.

La signorina                       - Forse è stata la manica del mio vestito che vi ha sfiorato l'occhio... Sedete qui e lasciatemi guardare. (Lo prende per le braccia e l'obbliga a sedersi, quindi gli prende la testa e gliela piega all'indietro, mettendosi a nettargli l'oc­chio con un lembo del suo fazzoletto.) State fermo, adesso, assolutamente fermo! (Gli dà un colpo sulla mano.) Ecco!... si deve obbedire!... Ho l'impressione che tremiate!... Questo tipo così grande e forte!... (Tastandogli le braccia.) ...e con queste braccia.

Jean                                    - (ammonendola). Signorina Julie!...

La signorina                       - Cosa, monsieur Jean?

Jean                                    - Attention! Je ne suis qu'un homme! après tout!

La signorina                       - Volete star fermo! Ecco fatto, finalmente! Bacia­temi la mano e ringraziatemi!

Jean                                    - (alzandosi). Signorina Julie! Mi ascolti... ora che Kristina se n'è andata a dormire... vuole?

La signorina                       - Ma prima dovete baciarmi la mano!

Jean                                    - Mi dia retta!

La signorina                       - Prima baciatemi la mano!

Jean                                    - Si, ma dopo ne incolpi se stessa!

La signorina                       - Di cosa?

Jean                                    - Di cosa? È ancora una bambina, benché abbia venticinque anni sulle spalle! Non lo sa che è rischioso giocare col fuoco?

La signorina                       - Non per me: sono assicurata, io!

Jean                                    - (con audacia). No, signorina, non lo è! E quand'anche lo fosse, c'è del materiale un po' troppo infiammabile nelle vicinanze!

La signorina                       - Che sareste voi?

Jean                                    - Già! E non perché si tratti di me, ma perché sono giovane, io!...

La signorina                       - ...e di bella presenza... Oh!... quanta presun­zione! Un don Giovanni forse? Oppure un casto Giuseppe? Scommetto, sull'anima mia, che si tratta proprio d'un casto Giuseppe!

Jean                                    - Lo crede davvero?

La signorina                       - Direi che quasi lo temo!

Jean si fa innanzi audacemente e vuol cingerle la vita per baciarla.

La signorina                       - (dandogli un ceffone). To'!...

Jean                                    - Fa sul serio oppure scherza?

La signorina                       - Faccio sul serio!

Jean                                    - Ma allora faceva sul serio anche poc'anzi! Lei gioca sempre un po' troppo sul serio, e questo è rischioso! Ma adesso io mi sono proprio stufato di questo gioco, e la prego di volermi scusare se torno al mio lavoro. Il conte vuole aver di buonora i suoi stivali, e la mezzanotte è passata da un pezzo.

La signorina                       - Buttateli via, quegli stivali!

Jean                                    - No! Questo è il servizio che ho l'obbligo di fare; non quello di essere il suo compagno di giochi. Il che non potrà mai essere perché mi ritengo superiore al gioco.

La signorina                       - Siete orgoglioso, a quel che pare!

Jean                                    - Si, in alcuni casi. E non in altri, purtroppo!

La signorina                       - Siete mai stato innamorato?

Jean                                    - È una espressione, codesta, che non si usa fra noi servi, ma ho voluto bene a molte fanciulle, questo si, anzi una volta mi sono ammalato perché non potevo avere la donna che volevo... già, ammalato, vede. Ammalato come uno di quei principi delle Mille e una notte che, per amore, non potevano né mangiare, né bere.

La signorina                       - E chi era costei? Jean tace. Chi era costei?

Jean                                    - Non può costringermi a confessarglielo!

La signorina                       - E se ve ne pregassi come se foste un mio pari, come se foste... un mio amico? Chi era?

Jean                                    - Era lei!...

La signorina                       - (sedendosi). Oh, questa si che è carina!...

Jean                                    - Si, se così vuole! Era addirittura grottesca!... E questa, vede, era la storia che poc'anzi non volevo raccontarle, ma adesso gliela racconterò! Lo sa, lei, come appaiono le cose viste dal basso? No, non lo sa. Accade come per gli sparvieri e i falchi il cui dorso non si può vedere perché, ordinaria­mente, si librano molto in alto. Io abitavo in una capanna, insieme con sette tra fratelli e sorelle e... un maiale, in un tetro podere dove non cresceva nemmeno un albero; senonché, da quella capanna, si poteva scorgere il muro del parco del conte con i meli che lo sopravvanzavano. Era quello, per me, il paradiso terrestre, ma molti angeli cattivi, con spade fiammeggianti vi facevano la guardia. Ciò nonostante, io ed altri ragazzi trovammo il verso di arrivare a quell'albero, all'albero della vita!... E adesso lei mi disprezza, non è vero?

La signorina                       - E perché? Il rubar mele è mestiere di tutti i ragazzi!

Jean                                    - Le è facile dir questo, adesso; ma lei mi disprezza in ogni modo! Non importa! Una volta, insieme a mia madre, entrai in quell'orto per sarchiare le cipolle. Accanto all’orto c'era un padiglione alla turca, circondato da alberi di gelso e tutto rivestito di caprifoglio. Non sapevo a che cosa servisse, ma non avevo mai veduto un edificio così bello. La gente vi entrava e ne usciva e, un giorno che la porta era restata aperta, m'intrufolai là dentro e potei vedere che le sue pareti erano tappezzate di ritratti di re e d'imperatori. Le tende delle finestre erano di velluto rosso con frange... Può capire, adesso, a che cosa penso? Io... (Spezza un ramoscello di lilla e lo mette sotto il naso della signorina.) ... Io non ero mai stato in quel castello; soltanto la chiesa avevo visto, e questa non era così bella come il castello. Il mio pensiero, anche senza volerlo, tornava sempre li. A poco a poco cominciai a essere invaso da un desiderio folle di godere, almeno una volta, di tutte quelle cose che... Enfin, mi cacciai li dentro: guardai e ammirai. Ma sentii venire qualcuno. Per i signori non c'era che una sola porta; ma per me ce n'era anche un'altra; e io non esitai a presceglierla! La signorina lascia cadere sul tavolino il ramoscello di lillà. Allora mi misi a correre; mi buttai attraverso una siepe di lamponi, calpestai tutta un'aiuola di fragole e arrivai sul terrazzo delle rose. Fu là che scorsi un vestitino color di rosa e un paio di calze bianche... era lei, signorina. Mi rimpiattai sotto un mucchio di erbacce e... come può figu­rarselo, non ci si stava comodi. C'erano dei cardi pungenti e del terriccio bagnato che mandava un pessimo odore. Comunque di là potei ammirare quella bambina che si aggi­rava tra le rose e andavo pensando: « Se è vero che anche un ladrone può andarsene in cielo e trovarsi fra gli angeli, è molto strano che Dio non consenta al figlio di un contadino di entrare nel parco del castello e di giocare con la figlia del conte! ».

La signorina                       - (elegiaca). E voi credete che tutti i bambini poveri avrebbero pensato alla stessa maniera?

Jean                                    - (prima esitante, quindi con convinzione). Se tutti... i poveri?... Ma si, naturalmente!... Naturalmente!

La signorina                       - Dev'essere davvero una gran disgrazia l'essere poveri!

Jean                                    - (con profondo dolore, studiatamente esagerato). Oh, signo­rina Julie! Oh!... Un cane può accucciarsi sul divano di una contessa; un cavallo può sentirsi accarezzar le froge dalla mano d'una fanciulla... ma un servitore!... (Cambiando tono.) Cioè: in qualcuno di essi può anche trovarsi la capacità per arrivare in alto nel mondo; è vero però che accade così di rado!... Frattanto sa, lei, cosa feci? Saltai giù, tutto vestito, nella gora!... Dopo, naturalmente, venni ripescato e... pic­chiato di santa ragione. Senonché la domenica seguente, quando mio padre e tutti i miei uscirono per andare a far visita alla nonna, feci in modo da restare solo in casa. Mi lavai ben bene con acqua calda e sapone, indossai il mio vestito più bello, e andai in chiesa dove avrei potuto veder lei. E la vidi infatti; quindi me ne tornai a casa deciso a morire. Però volevo morire di una bella e dolce morte; ed essendomi ricordato che era pericoloso mettersi a dormire sotto un cespuglio di sambuco e che nel nostro podere ce n'era uno tutto in fiore, lo sfrondai completamente e mi preparai un lettuccio nella cassa dell'avena! L'ha mai notato, lei, com'è liscia, com'è morbida l'avena? A toccarla si direbbe pelle umana!... Abbassai il coperchio di quella cassa, chiusi gli occhi e mi addormentai profondamente. Quando mi sve­gliai, ero ammalato; ma proprio sul serio. Però, come lei può vedere, non morii. Cosa volessi far di me... non glielo saprei dire! Tentare di conquistare lei, non v'era nemmeno da pensarci... Per me, lei era il simbolo, il simbolo della impossibilità di uscire dalla cerchia di persone in cui ero nato.

La signorina                       - È davvero charmant il vostro modo d'espri­mervi! Siete forse stato a scuola?

Jean                                    - Poco, a dire il vero, ma ho letto molti romanzi e sono stato a teatro. Inoltre ho sempre ascoltato i discorsi delle persone distinte ed è soprattutto da queste che ho imparato!

La signorina                       - Il che vuol dire che state ad ascoltare alle porte!

Jean                                    - Be', come vuole. E ho udito molte cose, io! Specialmente quando sedevo a cassetta o vogavo nella barca. Una volta, anzi, udii parlare la signorina Julie con una sua amica...

La signorina                       - Ah!... E che cosa udiste?

Jean                                    - Be', non è opportuno riferirglielo; è certo però che ne restai un po' stupito: non arrivavo a spiegarmi come mai lei avesse potuto imparare tutte quelle parole. Può anche darsi che non ci sia quella differenza che si crede fra una persona e l'altra!

La signorina                       - Oh, vergogna! Noi non ci comportiamo certo come voi quando siamo fidanzati!

Jean                                    - (fissandola). Ne è proprio sicura?... Già, con me non mette conto che la signorina faccia l'ingenua...

La signorina                       - Colui al quale alludete, era un miserabile! E io mi ero messa ad amarlo.

Jean                                    - Si dice sempre cosi... dopo.

La signorina                       - Sempre?

Jean                                    - Credo sempre, già; la stessa frase, nelle stesse circostanze, l'ho udita dire tante volte!

La signorina                       - In quali circostanze?

Jean                                    - In quelle che lei sa! L'ultima volta...

La signorina                       - Tacete! Non voglio sentire altro!

Jean                                    - Nemmeno lei lo voleva... e questo è ben strano. Ma adesso le chiedo il permesso di ritirarmi e di andarmene a letto.

La signorina                       - (amorevole). Oh! Che idee! andarsene a letto la notte di San Giovanni!...

Jean                                    - Ma si, perché non mi piace affatto andarmene a ballare lassù, con quella gentaglia!

La signorina                       - Prendete le chiavi della rimessa della barca e portatemi fuori sul lago; voglio assistere al sorgere del sole!

Jean                                    - Le sembra saggio, questo?

La signorina                       - Parlate come se fosse in gioco la vostra repu­tazione!

Jean                                    - E se così fosse? Non ho alcuna voglia di rendermi ridicolo, e anche meno di farmi licenziare senza un benservito! E ciò proprio adesso che vorrei sistemarmi. Senza contare che credo di avere qualche dovere verso Kristina.

La signorina                       - To'!... adesso viene in ballo anche Kristina?...

Jean                                    - Si, è anche di lei che si tratta! Faccia come le dico: se ne vada di sopra e si metta a letto!

La signorina                       - E io dovrei obbedire a voi?

Jean                                    - Per questa volta, si!... Ed è per il suo bene che io la prego! È notte inoltrata. Non si sa mai ciò che si fa, quando si è stanchi; e talvolta si finisce per perdere la testa! Se ne vada di sopra e si metta a letto, adesso!... D'altronde... se non m'inganno, quella gente sta venendo qui per cercarmi... e se ci trovano insieme, lei è spacciata!...

 

Si ode il coro che si avvicina cantando.

Due fanciulle venivan dal bosco

 (trallerallero e trallerallà...) ed avevano i piedi bagnati,

 (tralleraìlero e trallerallà...) discutevan di talleri cento

 (trallerallero e trallerallà...) ma uno solo ne avevano in tasca,

 (trallerallero e trallerallà...) la ghirlanda ti voglio donare

 (trallerallero e trallerallà...) ma per il resto ci debbo pensare

 (trallerallero e trallerallà...).

La signorina                       - La conosco la mia servitù e le voglio bene come essa vuol bene a me! Lasciate che vengano e vedrete.

Jean                                    - No, signorina Julie, non le vogliono bene! Mangiano il suo pane ma ci sputano sopra. Mi creda! Li senta!... senta che cosa cantano!... Ma no: è meglio che non li ascolti!...

La signorina                       - (ascoltando). Cosa cantano?

Jean                                    - Una canzone beffarda!... su di lei e su di me!

La signorina                       - Gli infami! Oh, come sono vigliacchi!

Jean                                    - È sempre vile, la marmaglia! E quando si lotta con essa, non resta che fuggire.

La signorina                       - Fuggire? E dove? Non possiamo uscire di qui; e non possiamo rifugiarci nemmeno da Kristina.

Jean                                    - In camera mia, allora! Necessità non ha legge! E poi di me si può fidare: sono il suo vero, sincero e devoto amico, io!

La signorina                       - Pensiamoci bene, però! E se venissero a cercarvi là?

Jean                                    - Sprangherò l'uscio, e se volessero sfondarlo, mi metterò a sparare! Venga! (S'inginocchia.) Venga!...

La signorina                       - (con intenzione). Mi promettete che...

Jean                                    - Glielo giuro!

La signorina esce frettolosamente a destra. Jean la segue con impeto.

BALLETTO

Entrano frotte di contadini in costume festivo e con cap­pelli infiorati. Sono preceduti da un suonatore di violino. Collocano sulla tavola un barilotto di birra e un barilotto d'acquavite. Si tirano fuori i bicchieri e si beve. Poi i contadini si dispongono in cerchio tenendosi per mano. Si mettono a ballare e a cantare la canzoncina Due fanciulle venivan dal bosco. Dopo ciò se ne escono cantando. La signorina entra in scena, sola; vede il disordine fatto in cucina e congiunge le mani. Poi cava di tasca una scatola di cipria e, con un piumino, se la passa sul volto.

Jean                                    - (entrando in scena esagitato). Lo vede cosa hanno combi­nato? E non li ha sentiti? E lei crede che sia possibile restarcene qui?

La signorina                       - No, questo non lo credo! Ma dove potremmo andare?

Jean                                    - Fuggire!... Partire!... Andar lontano di qui!

La signorina                       - Partire?... Si, ma per dove?

Jean                                    - Per la Svizzera; per i laghi italiani! Non c'è mai stata, sui laghi italiani?

La signorina                       - No! È bello laggiù?

Jean                                    - Oh!... è un'eterna primavera! Gli aranci! i lauri! Oh!... cose meravigliose!

La signorina                       - Ma quando saremo laggiù che cosa faremo?

Jean                                    - Io metterò su un Grand’Hotel, di prima classe, benin­teso; con roba di prima classe beninteso e con clienti di primissima classe, beninteso!

La signorina                       - Un albergo?

Jean                                    - Quella si che è vita! Voglia credermi; continuamente nuove facce, nuove parlate; non un solo minuto disponi­bile per la malinconia o per i nervi! Non occorre cercare un'occupazione... Il lavoro si presenta da sé: campanelli che squillano notte e giorno; treni che filano; diligenze che arri­vano e partono; e... belle monete d'oro che piovono nel cassetto. Quella si che è vita!

La signorina                       - Si, quello si chiama vivere! Ed io?

Jean                                    - La sovrana della casa, lei! L'ornamento della ditta! Con la sua bellezza... e con le sue maniere... Oh!... il successo è assicurato! successo colossale! Lei seduta alla cassa, come una regina sul trono, preme un bottone elettrico e gli schiavi accorrono; frattanto sfilano gli ospiti davanti al suo trono e, timidamente, depositano sul banco il loro obolo... Lei non se lo può nemmeno immaginare come tremi la gente quando prende nelle mani... un conto da pagare! Il quale sarà ben salato, a cura del sottoscritto; e sarà bene inzuc­cherato, col più bel sorriso, a cura sua, signorina! Oh, partiamo di qui! partiamo presto! (Toglie di tasca un orario ferroviario.) Presto! col primo treno! Ecco qui: alle sei e trenta a Malmö; alle otto e quaranta, ad Amburgo! Un giorno da Francoforte a Basilea! Quindi, con la ferrovia del Gottardo, eccoci a Como!... Vediamo un po': quand'è che vi saremo? Fra tre giorni! Tre giorni!...

La signorina                       - Oh, com'è bello tutto ciò!... Ma tu, Jean, devi farmi coraggio! Devi farmi sentire che m'ami! Vieni qui e abbracciami!

Jean                                    - (esitando). Vorrei, ma non oso! Non l'oso più, in questa casa! Certo che l'amo! Potrebbe mai dubitarne, lei?

La signorina                       - (con timidezza femminile). Lei!... Mi dai ancora del lei?... È del tu che mi devi dare! Non ci sono più bar­riere fra di noi, ormai! Dammi del tu!

Jean                                    - (tormentato). Non posso!... Vi saranno sempre delle bar­riere, fra di noi, fino a tanto che ci troveremo in questa casa! C'è il passato! c'è il conte! non ho mai incontrato un altro uomo che m'incutesse tanta soggezione! Basta che io scorga i suoi guanti abbandonati sopra una seggiola per sentirmi piccolo, piccolo! Basta che io senta squillare quel campanello, per spaventarmi come un cavallo che s'adom­bra! E anche in questo momento, alla vista dei suoi stivali, ben ritti e orgogliosi, mi sento un gelo nella schiena! (Dà una pedata agli stivali.) Si, lo so, sono superstizioni, pregiu­dizi... Ci sono stati insegnati sin dall'infanzia; tuttavia si possono facilmente dimenticare; basta andare in un altro paese; in una repubblica, per esempio. Ed ecco che la gente si prosternerà, col naso a terra, davanti al mio portinaio in livrea! Lo vedrà! Ma io questo non lo farò. Non sono nato, io, per prosternarmi col naso a terra! C'è della stoffa, in me, c'è del carattere!... E basta che io riesca ad afferrare quel primo ramo, sarò presto sulla cima! Si, oggi sono un servitore, ma l'anno prossimo sarò un proprietario! Fra dieci anni vivrò di rendita e infine me ne partirò per la Romania dove mi farò dare una decorazione e potrò -  noti bene quel potrò -  potrò diventare un conte!

La signorina                       - Oh, che bellezza! che bellezza!

Jean                                    - In Romania, il titolo di conte si può anche comprare, e così lei sarà sempre contessa; la mia contessa!

La signorina                       - Cosa vuoi che m'importi di codeste cose? Pro­prio adesso che me ne sono liberata!... Dimmi che mi ami! altrimenti... Ma già!... altrimenti... cosa posso fare?

Jean                                    - Mille volte glielo dirò! Pili tardi, però, e non qui! Niente sentimentalismi, se non vogliamo perdere ogni cosa. Freddi dobbiamo essere!... come la gente assennata. (Tira fuori un sigaro, lo spunta e l'accende.) Si metta a sedere là! Bene!... io mi metterò a sedere qui e così potremo discorrere come se nulla fosse accaduto.

La signorina                       - (disperata). Oh, Dio mio! non avete nessun sen­timento!

Jean                                    - Io? Ma se non c'è nessun uomo che abbia più senti­mento di me!... Però mi so dominare.

La signorina                       - Poc'anzi mi baciavate lo scarpino... e adesso!

Jean                                    - (con durezza). Già, poc'anzi era cosi! Ma adesso abbiamo altro cui pensare!

La signorina                       - Non parlatemi con durezza!

Jean                                    - Ma no; è con assennatezza che le parlo. È stata com­messa una follia; cerchiamo di non farne una seconda. Il conte può essere qui da un moménto all'altro, e, prima che egli arrivi, il nostro destino deve essere segnato. Cosa ne pensa dei miei piani per l'avvenire? Li approva?

La signorina                       - Mi sembrano molto buoni, ma mi domando soltanto questo: per un'impresa così grandiosa occorrono grandi capitali. Ne avete?

Jean                                    - (masticando il sigaro). Io? Ma certo! Ho la mia compe­tenza tecnica, la mia enorme esperienza, la mia conoscenza delle lingue! Sono capitali di qualche valore, questi!

La signorina                       - Si, ma sono capitali con cui non ci si può com­prare nemmeno un biglietto ferroviario!

Jean                                    - Questo è assolutamente vero! Ma appunto per questo cerco un finanziatore; uno che anticipi i fondi.

La signorina                       - Dove lo troverete, così sui due piedi?

Jean                                    - Ma il denaro spetta a lei trovarlo, se vuole diventare mia socia!

La signorina                       - E dove potrei trovarlo? Di mio non posseggo nulla, io!

Pausa.

Jean                                    - Allora tutto va in fumo!

La signorina                       - E...

Jean                                    - ... tutto resta com'era!

La signorina                       - E voi credete che io possa restare sotto questo tetto come vostra concubina? E voi credete ch'io possa tol­lerare di essere mostrata a dito dalla gente? E voi credete che io possa alzare gli occhi davanti a mio padre dopo ciò che è accaduto? Oh, no! portatemi via di qui, liberatemi dall'onta e dal disonore! Oh, cosa ho mai fatto! Dio mio! Dio mio! cosa ho fatto! (Piange.)

Jean                                    - Ed ecco che ci siamo con la solita canzone!... Cos'ha fatto, dopotutto? Ha fatto ciò che hanno fatto tante altre donne prima di lei!

La signorina                       - (gridando convulsamente). E adesso voi mi di­sprezzate, per giunta! Oh, sono una donna perduta, io! cado! cado!

Jean                                    - E cada pure tranquillamente sino al mio livello, in modo che io possa risollevarla!

La signorina                       - Quale forza terribile m'ha trascinato fino a voi? È il fascino che fa andare il debole verso l'uomo forte? Colui che cade verso colui che sale? Oppure si tratta di amore? Ma è veramente amore, questo? Voi lo sapete cosa sia l'amore?

Jean                                    - Io? Certo che lo so! Crede forse, lei, che io non mi sia trovato prima d'ora in un caso simile?

La signorina                       - Ma che linguaggio parlate? Che pensieri sono mai i vostri?

Jean                                    - Questo è ciò che ho imparato, e così son fatto, io! Non si faccia prendere dai nervi, adesso, e non si dia delle arie, perché, adesso, noi siamo due buoni camerati!... To', mia piccola bambina, vieni qui, che io t'inviti a bere un bic­chiere di vino extra! (Apre il cassetto del tavolino, ne cava una bottiglia di vino e ne versa nei due bicchieri già ado­perati. )

La signorina                       - Dove avete preso questo vino?

Jean                                    - In cantina!

La signorina                       - Il borgogna di mio padre!

Jean                                    - Forse che non è troppo adatto per suo genero?

La signorina                       - Io bevo birra, io!

Jean                                    - Il che sta a provare che lei ha dei gusti peggiori dei miei!

La signorina                       - Ladro!

Jean                                    - Pensa di denunziarmi, forse?

La signorina                       - Oh, oh! e io dovrei essere complice di un ladro domestico? Ma ero dunque ubriaca? Fio dunque sognato, questa notte? Nella notte di San Giovanni? Nella festa dei giochi innocenti?

Jean                                    - Be'... innocenti... ehm...

La signorina                       - (camminando nervosamente su e giù per la stanza). Si può trovare, sulla terra, in questo istante, una persona più infelice di me?

 

Jean                                    - Ma perché tutto ciò? Dopo una conquista di questo genere! Pensi a Kristina che si trova là dentro. Non crede che anch'essa senta qualcosa?

La signorina                       - L'ho creduto poc'anzi, ma adesso non lo credo più! Oh no! un servo è sempre un servo!...

Jean                                    - E una sgualdrina è sempre una sgualdrina!

La signorina                       - (cadendo in ginocchio con le mani congiunte). Oh, Dio del cielo! toglimi da questa vita miserabile! da questa sporcizia in cui affondo! Salvami, salvami!

Jean                                    - Mi fa davvero pena, non lo posso negare! Quando la guardavo nel giardino, tenendomi rimpiattato nella cassa delle cipolle... lo posso ben dire, adesso... pensavo... le stesse porcherie che pensano tutti i monelli.

La signorina                       - E dire che volevate morire per me!

Jean                                    - Nella cassa dell'avena? Non erano che frottole, quelle!

La signorina                       - Menzogne, dunque!

Jean                                    - (che comincia a cadere dal sonno). Si, pressappoco! Era una storiella letta in un giornale... di non so che spazzaca­mino che s'era rimpiattato in una cassa piena di lilla perché lo avevano citato per il soccorso dei bambini...

La signorina                       - Ah, è cosi?...

Jean                                    - E che altro potevo inventare? È sempre con le chiac­chiere che si accalappiano le donne!

La signorina                       - Miserabile!

Jean                                    - Merde!

La signorina                       - E adesso avete potuto vedere la schiena del falco...

Jean                                    - Be', non precisamente la schiena...

La signorina                       - Dunque, io avrei funzionato da primo ramo...

Jean                                    - Si, e quel ramo era tutto marcio!

La signorina                       - E avrei dovuto fare l'insegna dell'albergo?...

Jean                                    - Ed io... l'albergo!...

La signorina                       - ... e sedere alla cassa? adescare i vostri clienti? falsificare i vostri conti?...

Jean                                    - A questo avrei pensato io...

La signorina                       - Chi l'avrebbe mai pensato che l'anima di un uomo potesse esser così profondamente sporca!

Jean                                    - Le dia una risciacquata!

La signorina                       - Servitore, lacchè, tiratevi su quando vi rivolgo la parola!

Jean                                    - Concubina del servitore, sgualdrina del lacchè, tappati la bocca e levati dai piedi! Proprio tu dovevi venire a rimproverarmi di essere un rozzone! Così volgare come te questa sera, nessuna delle mie pari lo era stata mai. Credi che una serva qualunque cerchi il maschio come lo cerchi tu? Hai mai veduto qualche ragazza della mia categoria darsi come ti sei data tu? Una cosa simile l'ho veduta acca­dere soltanto fra le bestie e le puttane.

La signorina                       - (annientata). È giusto! Schiaffeggiatemi, calpe­statemi; non ho meritato niente di meglio! Sono una mise­rabile, io; ma aiutatemi! Aiutatemi a uscire dalla mia miseria, seppure ne esiste il modo!

Jean                                    - (più mansueto). Non voglio svergognarmi sino al punto da rinunziare all'onore di averla sedotta; ma crede lei che un uomo della mia condizione avrebbe osato levare gli occhi su di lei, se lei stessa non l'avesse provocato? Io ne sono ancora così frastornato...

La signorina                       - ... e orgoglioso!

Jean                                    - E perché no? Benché debba convenire che è stata una troppo facile vittoria per potersene vantare!

La signorina                       - Schiaffeggiatemi ancora!

Jean                                    - (alzandosi). No. Anzi, voglia perdonarmi tutto ciò che mi è uscito di bocca. Io non uso colpire una persona inerme e molto meno una donna. Nondimeno non posso negare che mi fa piacere aver costatato che ciò che quaggiù ci abbaglia non è che oro falso; che la schiena del falco è anch'essa bruna; che le nobili guance sono rosse di belletto; che le unghie rilucenti sono orlate di nero e che il fazzolettino di fine batista è tutto sudicio, anche se è profumato alla vio­letta... D'altronde mi mortifica vedere che ciò cui io stesso aspiravo non è né alto né saldo; mi mortifica vederla caduta così in basso, da trovarsi al disotto della sua cuoca; mi mor­tifica come lo scorgere i fiori autunnali abbattuti dalla pioggia e trasformati in luridume!

La signorina                       - Mi andate parlando come se già vi trovaste al disopra di me!

Jean                                    - E mi ci trovo infatti perché, veda, io ben potrei far di lei una contessa, mentre lei non potrà mai far di me un conte.

La signorina                       - Ma io sono stata generata da un conte, e que­sto voi non lo sarete mai!

Jean                                    - Questo è vero; ma io ben potrei mettere al mondo dei conti qualora...

La signorina                       - Ma voi siete anche un ladro, mentre io non lo sono!

Jean                                    - Essere un ladro, non è la cosa peggiore! Se ne trova di gente peggiore! E, d'altronde, quando io sono servo in una casa, mi ritengo, in certo qual modo, come appartenente alla ' famiglia, come un figlio di casa; e nessuno considera ladrocinio se un figlio coglie una bacca matura da un cespu­glio che ne è pieno. (È ripreso dalla passione.) Ma lei, signo­rina Julie, è una donna magnifica! ed è troppo fine per un uomo come me! Lei è stata vittima di una fuggevole ebbrezza, e vorrebbe giustificare l'accaduto immaginandosi d'essere innamorata di me. Ma non è cosi. A meno che non si senta attratta dal mio aspetto esteriore... Nel qual caso il suo amore non sarebbe migliore del mio... Ma io non potrò mai appagarmi d'essere, per lei, soltanto un animale, senza poter mai destare il suo amore.

La signorina                       - Ne siete sicuro?

Jean                                    - Lei intende dire che potrebbe accadere che... Che io possa innamorarmi di lei può accadere senza dubbio... per­ché lei è bella, è fine, è... (Avvicinandosi a lei e prendendole una mano.) ...istruita! Può anche essere amorevole, quando lo vuole, e... l'incendio che può destare nell'animo di un uomo non può spegnersi mai! (Cingendole la vita con un braccio.) Lei è come un vino caldo e aromatico, e, con un suo bacio, può... (Cerca di condurla fuori, ma essa si svin­cola dolcemente.)

La signorina                       - Lasciatemi! Non è in codesto modo che mi potrete conquistare.

Jean                                    - E allora in quale modo?... Non in questo modo!... Non con carezze e con belle parole; non con progetti per l'avve­nire; non con la liberazione da ogni umiliazione... In quale modo, allora?

La signorina                       - Come? come? come?... Ma io non lo so!... In nessuno di tutti codesti modi!... Voi mi fate ribrezzo come mi fanno ribrezzo i topi; tuttavia non posso staccarmi da voi.

Jean                                    - Fugga con me!

La signorina                       - (rizzandosi). Fuggire? Si, fuggiamo pure!... Ma sono così stanca! Datemi un bicchiere di vino!

Jean le mesce da bere.

La signorina                       - (guardando il suo orologio). Ma prima dob­biamo parlare; abbiamo ancora un po' di tempo. (Vuota il bicchiere e quindi lo porge per farselo riempire di nuovo.)

Jean                                    - Ma non beva così smoderatamente, signorina, altrimenti si ubriacherà!

La signorina                       - E che importa?

Jean                                    - Che importa?... Importa che non sta bene ubriacarsi! Ma che cosa mi voleva dire?

La signorina                       - Che fuggiremo; ma che prima dobbiamo discor­rere. Cioè sarò io a parlare, perché, sinora, avete parlato soltanto voi! Mi avete raccontata la vostra vita; adesso vi racconterò la mia e così potremo dire di conoscerci a fondo prima che si vada in giro per il mondo.

Jean                                    - Un momento!... Mi scusi. Voglia prima riflettere! Per­ché non abbia a pentirsi di aver abbandonato ad altri tutti i segreti della sua vita.

La signorina                       - Non siete voi il mio amico?

Jean                                    - Certo, talvolta! Ma non bisogna far conto di me.

La signorina                       - Lo dite tanto per dire, e, d'altronde, li cono­scono tutti i miei segreti. Mia madre, vedete, non era nobile di nascita, anzi, a dire il vero, veniva da gente assai modesta. Era stata allevata con le idee del suo tempo circa l'egua­glianza dei sessi, la libertà della donna e tutto il resto. E, per giunta, era decisamente avversa al matrimonio! Cosic­ché, quando mio padre la chiese in moglie, essa gli dichiarò subito che non lo sarebbe mai divenuta. Senonché... dopo un certo incidente, fini per divenirlo. E io fui messa al mondo... Ma non desiderata da mia madre, com'è facile capire. Comin­ciò col pretendere che venissi allevata come una figlia della natura e che imparassi tutto ciò che impara un ragazzo. Vo­leva provare sperimentalmente come una donna possa valere quanto un uomo. Mi fece indossare vestiti maschili, dovetti imparare a governare i cavalli e fui appena dispensata dall'occuparmi dei buoi. Dovevo strigliare i cavalli, imbrigliarli, sellarli e andare a caccia. Volle persino che seguissi un corso d'agraria. E, nella nostra fattoria, erano gli uomini che dovevano disimpegnare i lavori femminili, mentre le donne quelli maschili. Col bel risultato che l'intera fattoria se ne stava andando in malora. Noi diventammo lo zimbello della intera regione! Finalmente mio padre, liberatosi da ogni incantesimo, si ribellò e volle che tutto venisse cambiato a suo talento. Mia madre ne fece una malattia; una malattia che non so che cosa fosse... Aveva frequenti convulsioni e spesso andava a rimpiattarsi in soffitta! Oppure se ne andava a spasso per l'orto, restando fuori l'intera notte. Fu allora che si sviluppò quel grande incendio di cui certo avete sentito parlare. La casa, la stalla e la scuderia bruciarono completamente e in circostanze tali che si sospettò che si trattasse d'un incendio doloso, tanto più che si produsse il giorno seguente la scadenza del premio d'assicurazione trime­strale. Il quale premio, a cagione della negligenza di un fattorino, era stato versato in ritardo. (Si riempie nuova­mente il bicchiere e lo beve d'un fiato.)

Jean                                    - Non beva più, signorina!

La signorina                       - Oh, cosa importa!... Dicevo dunque che venim­mo a trovarci senza tetto. Figuratevi che ci riducemmo a dormire nelle carrozze! Mio padre non sapeva dove trovare il denaro necessario per ricostruire la casa, e fu allora che mia madre gli suggerì di rivolgersi ad un suo amico d'infan­zia. Era costui un fabbricante di mattoni, non molto lontano di qui. Ma la cosa più curiosa fu che, su quel prestito, non si dovevano pagare gli interessi. Mio padre ne restò grandemente meravigliato, tuttavia la casa fu ricostruita. (Beve nuovamente.) E sapete voi chi era stato a incendiare la fattoria?

Jean                                    - La sua signora madre!

La signorina                       - E sapete voi chi era il fabbricante di mattoni?

Jean                                    - L'amante della vostra signora madre.

La signorina                       - E sapete voi di chi era il denaro?

Jean                                    - Mi ci lasci pensare; no, questo no: non so immagi­narmelo.

La signorina                       - Era di mia madre!

Jean                                    - Che è come dire che era dello stesso conte, se non c'era un patto di separazione totale dei beni.

La signorina                       - No, non c'era; e la piccola dote di mia madre, non essendo amministrata da mio padre, era stata investita presso... l'amico.

Jean                                    - Il quale se la mangiò.

La signorina                       - Esatto! Tutta questa storia fini per esser capita da mio padre, il quale non poteva certo impiantare una lite con l'amante di sua moglie! E, del resto, come avrebbe potuto provare che il denaro era di sua moglie? Tale fu la vendetta di mia madre, perché mio padre aveva voluto prendere nelle sue mani l'amministrazione dell'azienda. Mio padre voleva uccidersi; anzi, corse voce che lo avesse tentato senza riu­scirvi. Comunque si riprese e mia madre dovette scontare le sue malefatte. Potete immaginarvi come passarono, per me, quei cinque torbidi anni. Io avrei dovuto propendere per mio padre, naturalmente; invece, ignorando le varie circostanze, parteggiai per mia madre. D'altronde, era lei che mi aveva insegnato a diffidare e a odiare gli uomini. Già, perché essa, come vi ho detto, li odiava a morte. Dovetti anche giurarle che non sarei mai diventata la schiava di un uomo.

Jean                                    - Dopo di che si fidanzò col magistrato!

La signorina                       - Si, ma intendevo farne il mio schiavo!

Jean                                    - Senonché lui non volle saperne...

La signorina                       - No, l'avrebbe voluto, ma non ne ebbe il tempo; perché ben presto mi stancai di lui!

Jean                                    - Già, potei rendermene conto nel cortile della scuderia!

La signorina                       - In che modo?

Jean                                    - Potei vedere... in che modo lui ruppe il fidanzamento!

La signorina                       - Questo non può esser vero... perché fui io a romperlo! Ha forse detto d'essere stato lui, quel miserabile?

Jean                                    - Non mi pareva che fosse un miserabile, quello! Ma lei, signorina, li odia tutti gli uomini?

La signorina                       - Si!... quasi tutti! Nondimeno qualche volta-quando sono presa dalla noia... Ma che schifo, però!

Jean                                    - Dunque odia anche me?

La signorina                       - Immensamente! Vorrei farvi scannare come una bestia!...

Jean                                    - Come quando si spara a un cane arrabbiato, non è cosi?

La signorina                       - Per l'appunto!

Jean                                    - Per il momento, però, non essendoci qui nessun cane arrabbiato, non si può sparare a nessuno. E allora che cosa facciamo?

La signorina                       - Viaggiare!

Jean                                    - Per morderci l'uno con l'altro?

La signorina                       - No!... per godere! Due giorni, otto giorni, per quanti più giorni potremo godere e poi... morire!...

Jean                                    - Morire?... Che follia! Non sarebbe meglio metter su quel tale albergo?...

La signorina                       - (interrompendo Jean). ... sul lago di Como, dove splende sempre il sole, dove, a Natale, verdeggia l'alloro e rosseggia l'arancio, dove...

Jean                                    - Il lago di Como non è che una grondaia per la pioggia, e quanto alle arance, non si vedono che nelle botteghe dei fruttivendoli. Tuttavia è un luogo assai comodo per i fore­stieri, perché ci sono molte ville che si cedono in affitto alle coppie di amanti! È un'industria molto redditizia, e vuol saperne il perché?... Perché quelli che stipulano un contratto della durata di mezzo anno, dopo tre settimane battono il tacco!

La signorina                       - (ingenuamente). E perché dopo tre settimane?

 

Jean                                    - Perché dopo tre settimane ci si accapiglia, inevitabilmente. Ma il prezzo d'affitto lo si deve pagare in ogni caso! E allora il proprietario può affittare la villa di nuovo, e così di seguito. Già, perché d'amore se ne trova sempre in abbondanza, anche se di breve durata!

La signorina                       - E voi non vorreste morire con me?

Jean                                    - Io? Ma io non voglio affatto morire! Anzitutto perché amo la vita, e poi anche perché ritengo il suicidio un delitto contro la Provvidenza. La quale ci ha dato il bene del vivere.

La signorina                       - E voi credete in Dio, voi?

Jean                                    - Certo che ci credo! E ogni domenica vado a sentir messa... Ma parliamoci chiaro: sono stanco di starmene qui, ormai, e voglio andarmene a letto.

La signorina                       - Ah, è cosi? E voi credete che io m'appaghi di questo? Non lo sapete qual è il dovere di un uomo verso la donna che ha disonorata?

Jean cava di tasca il portamonete, ne preleva una moneta d'argento e la butta sul tavolo.

Jean                                    - Ecco, signorina, lo conosco il mio dovere e non voglio avere debiti con nessuno!

La signorina                       - (senza rilevare l'insulto). Voi sapete che la legge dispone...

Jean                                    - ... dispone, purtroppo, che la donna non debba pagare alcuna penalità per aver sedotto un uomo!

La signorina                       - Conoscete altra via all'infuori di quella di par­tircene, sposarci e poi divorziare?

Jean                                    - E se io rifiutassi questa mésalliance?

La signorina                       - Mesaillance?...

Jean                                    - Si, mésalliance da parte mia! Perché, vede, i miei antenati sono migliori dei suoi! Nella mia famiglia, infatti, non c'è mai stato un incendiario!

La signorina                       - Come fate a saperlo?

Jean                                    - Lo si può sapere dai registri della polizia. È là che si trova l'albero genealogico della povera gente! E quanto alla sua genealogia, lo vuol sapere, signorina, chi fu il capostipite della sua famiglia? Io l'ho appreso in un libro che trovai sul tavolo del suo salotto: ebbene, il suo più lontano antenato fu un mugnaio la cui moglie, durante la guerra di Danimarca, fu trovata, una notte, a dormire nel letto del re! Di codesti antenati io non ne possiedo; anzi, non ho alcun antenato, ma nulla vieta che io stesso divenga un illustre antenato.

La signorina                       - Ecco cosa mi tocca per aver aperto il mio cuore a un essere indegno! per avergli affidato l'onore della mia famiglia!...

Jean                                    - Il disonore, voleva dire! Vede, signorina, gliel'avevo pur detto: non si deve bere troppo, altrimenti si chiacchiera troppo, e quando si chiacchiera troppo si dicono delle scioc­chezze!

La signorina                       - Oh, come me ne pento! come me ne pento! Se almeno mi amaste!

Jean                                    - Per l'ultima volta: cosa vuole che io faccia?... Che pian­ga?... Che rida?... Che salti sullo scudiscio?... Che la baci? Che si viva l'incanto di tre settimane sul lago di Como? E poi?... Che cosa debbo fare, insomma? Questa faccenda comin­cia a diventare un po' troppo seccante! Ma così accade quando ci si confonde con le donne! Signorina Julie! lo vedo bene che lei si sente infelice, lo so bene che soffre maledettamente, ma non riesco a capirla. Noi, povera gente, non abbiamo tante fisime per la testa, non esiste odio nel­l'anima nostra. Noi amiamo per divertirci, quando il nostro lavoro ce ne lascia il tempo. Senonché il nostro tempo dispo­nibile per il divertimento, non dura, come per voi, l'intera giornata e l'intera nottata! Io credo che lei sia ammalata, signorina, anzi lei è certamente ammalata!

La signorina                       - Dovete esser buono con me; adesso si che par­late umanamente!

Jean                                    - Si, ma sia umana anche lei! Prima mi sputa addosso, e poi pretende che io non mi pulisca strofinandomi a lei!

La signorina                       - Aiutatemi, aiutatemi; ditemi soltanto ciò che debbo fare... dove debbo andare!...

Jean                                    - Oh, se lo sapessi io stesso, in nome di Dio!

La signorina                       - È stato un delirio, una follia, ma deve pur esserci una via di salvezza!

Jean                                    - Può rimanersene qui e starsene tranquilla! Non c'è nes­suno che sappia ciò che è accaduto fra di noi!

La signorina                       - Impossibile! La gente se lo immagina, e, comun­que, lo sa Kristina!

Jean                                    - No, che non se lo immaginano: chi potrebbe credere una cosa simile?

La signorina                       - Ma... potrebbe accadere che di nuovo...

Jean                                    - Questo è vero!

La signorina                       - Inoltre potrebbero esservi delle conseguenze!

Jean                                    - (spaventato). Le conseguenze!... Già: dove avevo la testa che non m'è venuto in mente? Ma, allora, non vedo che una sola via... partirsene di qui! E subito! Senza di me, natural­mente, che allora tutto sarebbe perduto! Sola deve partire! Andarsene via! Andarsene dove meglio crede!

La signorina                       - Sola? E dove? come potrei farlo?

Jean                                    - Deve farlo! E prima che il conte rientri. Se lei restasse qui... lo capisce bene come andrebbe a finire! Quando si è peccato una prima volta, si vuol continuare a peccare. E... cosa fatta capo ha; è così che si dice. Poi si diventa sempre più audaci e si finisce per essere scoperti! Se ne parta, dun­que! Poi scriverà una lettera al conte confessandogli tutto... Non però che... l'altro sono stato io, beninteso. Questo il conte non potrà indovinarlo di certo, e, d'altronde, non credo che ci tenga a saperlo.

La signorina                       - E allora partirò, se voi mi accompagnate.

Jean                                    - Ma cosa le viene in mente! La signorina Julie che se ne scappa col suo servitore! Dopo, domani, la notizia appa­rirebbe su tutti i giornali e il conte non potrebbe soprav­vivervi!

La signorina                       - Non posso partire! Non posso restare! Aiutatemi! Oh, come sono stanca! terribilmente stanca! Impartitemi i vostri ordini! Mettetemi in movimento! Che io non posso più né agire né pensare!

Jean                                    - Non lo vede, adesso, com'è disgraziata? E allora perché tanto orgoglio come se fosse la sovrana del mondo? Ebbene le darò degli ordini: vada di sopra, si metta in ordine, si provveda del denaro per il viaggio, e poi torni qui.

La signorina                       - (sottovoce). Accompagnatemi di sopra!

Jean                                    - In camera sua? Ma le dà nuovamente di volta il cervello? (Esita un istante.) No, questo non va! Vada subito di sopra! (La prende per mano e la conduce fuori.)

La signorina                       - (avviandosi). Se almeno mi parlaste con genti­lezza, Jean!

Jean                                    - Un ordine non può esser mai garbato! Lo vede, lo vede?

Jean, rimasto solo, trae un sospiro di sollievo e si mette a sedere davanti al tavolo. Toglie di tasca un taccuino e una matita e si mette a far dei conti, dicendo, ogni tanto, qualche parola ad alta voce. Scena muta fino all'entrata in scena di Kristina la quale è vestita a festa per recarsi in chiesa. Ha nelle mani un colletto e una cravatta bianca.

Kristina                              - Oh, Gesù mio, che muso hai fatto! Che diavolo avete combinato, qui?

Jean                                    - Ah, è stata la signorina che ha lasciato entrare quella gente! E tu hai dormito della grossa se non hai sentito nulla!

Kristina                              - Si, ho dormito come un ceppo!

Jean                                    - E sei già pronta per andare in chiesa?

Kristina                              - Certo!... Ma non mi avevi promesso di venire oggi alla comunione?

Jean                                    - Sì, questo è vero; e vedo che hai la mia bardatura di gala! E allora vieni. (Si mette a sedere e Kristina comincia a mettergli il colletto e la cravatta bianca.)

Pausa.

Jean                                    - (sonnolento). Qual è il vangelo d'oggi, Kristina?

Kristina                              - Sarà sulla decapitazione del Battista, penso.

Jean                                    - Allora sarà terribilmente lungo! Accidenti!... Non vedi che mi strozzi? Oh che sonno! Ho proprio un gran sonno, sai.

Kristina                              - Lo capisco! Cosa avete fatto l'intera notte? Hai una cera verde!...

Jean                                    - Sono restato qui a conversare con la signorina Julie.

Kristina                              - A conversare? Proprio non le conosce le convenienze, quella figliola!

Pausa.

Jean                                    - Ascolta, Kristina, tu che...

Kristina                              - Ebbene?

Jean                                    - Comunque è veramente straordinario, quando ci si pensa. Lei!

Kristina                              - Cosa c'è di tanto straordinario?

Jean                                    - Tutto!

Pausa.

Kristina                              - (osservando i bicchieri, pieni a metà, rimasti sulla tavola). Avete anche bevuto insieme a quel che pare.

Jean                                    - Si!

Kristina                              - Oh!... guardami un po' negli occhi!

Jean                                    - Si!...

Kristina                              - Ma è possibile? ma è possibile?

Jean                                    - (dopo breve riflessione). Già, è stato possibile!

Kristina                              - Che schifo!... Questo poi non l'avrei creduto! Proprio no! Puah! Puah!

Jean                                    - Non sarai mica gelosa di lei!

 

Kristina                              - No, di lei no! Si fosse trattato di Klara o di Sofia, ti avrei cavato gli occhi!... Si, è così che sento! Non so perché... Ma no!... Oh, che cosa schifosa!...

Jean                                    - Ce l'hai con lei, però!

Kristina                              - Non con lei, ma con te! Avete fatto male, molto male! Povera ragazza!... No... vuoi saperlo? Non voglio più restare in questa casa; quando non si può più aver rispetto per i propri padroni!

Jean                                    - E perché dovremmo rispettarli?

Kristina                              - Già! tu dici così perché sei furbo! Ma neanche tu vorresti stare a servizio di gente che non si comporta come si deve. Che ne pensi? Si finisce per perdere la stima di se stessi; è così che penso io!

Jean                                    - Si, però fa sempre piacere costatare che quegli altri non sono migliori di noi!

Kristina                              - No, questo non lo credo; perché se non fossero migliori non varrebbe la pena d'affaticarsi per innalzarsi! Pensa al conte! pensa a lui che ha già tanto sofferto! No, non voglio più restare in questa casa! Pensa! confondersi con uno come te! Se almeno fosse stato quel magistrato! se fosse stato un altro signore...

Jean                                    - Che intendi dire?

Kristina                              - Ah si; tu come tu, sei abbastanza a posto, ma comunque c'è sempre una certa differenza fra una persona e l'altra. No, questo non potrò mai scordarmelo! La signorina che era così orgogliosa, così sprezzante con gli uomini! Chi lo avrebbe mai creduto che si sarebbe concessa... a chi? Proprio lei che voleva fare ammazzare quella povera Diana perché se n'era scappata col cane danese del guardiano! Già, proprio lei! No, qui non ci voglio più restare: adesso mi licenzierò e, il ventiquattro ottobre, me la filo!

Jean                                    - E dopo?

Kristina                              - Dopo, già che siamo in discorso, sarebbe ora che tu ti cercassi un altro posto. Perché, finalmente dovremo pure sposarci!

Jean                                    - E che posto dovrei trovarmi? Quando fossi sposato, un posto come questo non potrò più averlo!

Kristina                              - Questo s'intende. Ma potresti procurarti un posto di portinaio, oppure di usciere in qualche ufficio. Il pane del re è un po' scarso, ordinariamente, ma è pane sicuro! Senza poi contare che la moglie e i figli possono aver la pensione.

Jean                                    - (con una smorfia). Bellissima cosa, codesta! Senonché non è troppo nei miei gusti pensare di morire per la moglie e i figli! Ti confesserò che, veramente, avevo delle aspirazioni un po' più alte, io!

Kristina                              - Già, le tue famose aspirazioni! Ma hai anche dei doveri; e devi pensarci.

Jean                                    - Non mi fare andare in bestia parlandomi dei doveri; lo so ben io ciò che debbo fare! (Tende l'orecchio all'esterno.) Ma per meditare su questo ne abbiamo del tempo! Va' a prepararti, ora, così potremo andare in chiesa.

Kristina                              - Ma chi è che cammina qui sopra?

Jean                                    - Non ne so nulla, io! A meno che non sia Klara.

Kristina                              - (avviandosi). Non sarà mica il conte! Che sia rientrato senza che lo abbiamo sentito?

Jean                                    - (spaventato). Il conte? No, non credo; altrimenti avrebbe suonato il campanello.

Kristina                              - (uscendo). Che Dio ci aiuti! Non mi sono mai trovata in un caso simile!

Il sole si è levato e illumina le cime degli alberi del parco. La luce va spostandosi a poco a poco, e finisce per entrare di sghembo attraverso le finestre. Jean va sulla porta e fa un cenno. Entra la signorina in abito da viaggio; porta nelle mani una gabbia da uccelli, coperta con un fazzoletto. La posa sopra una seggiola.

La signorina                       - Eccomi pronta!

Jean                                    - Zitta! c'è Kristina!

La signorina                       - (estremamente nervosa). Ha sospettato qualcosa?

Jean                                    - Non sa assolutamente nulla! Ma Dio!... che aspetto ha lei!

La signorina                       - Come? Il mio aspetto?

Jean                                    - È pallida come una morta, lei!... E poi... mi scusi, ma lei ha tutto il viso sporco!

La signorina                       - E allora lasciate che mi lavi. (Va allo sciacquatoio e si lava la faccia e le mani.) Datemi un asciugamano!... To', ecco che sorge il sole!

Jean                                    - E il folletto scompare.

La signorina                       - Già, il folletto che ha imperversato qui l'intera notte![1] Ma ascoltate, Jean, ora potete venire con me: ne ho

i mezzi.

Jean                                    - (dubbioso). Sufficienti?

La signorina                       - Basteranno per cominciare! Venite con me; d'altronde non posso viaggiare sola, questa notte. Pensate! la notte di San Giovanni, in un treno afoso, pigiata da una massa di gente che sta a guardare; aspettare nelle stazioni quando si vorrebbe volare! No, non posso, non posso! E poi sopraggiungono i ricordi. I ricordi della mia infanzia quando, per San Giovanni, si andava in chiesa; una chiesa adorna di fiori e di fronde. Fronde di betulla, fiori di lilla! E la colazione con la tavola riccamente apparecchiata per i parenti e gli amici! E il pomeriggio nel parco con i fiori, la musica, i balli, i giochi!... Oh, si fa presto a fuggire; ma le memorie ci incalzano... accompagnate dal pentimento e dal rimorso!

Jean                                    - E allora verrò con lei... ma subito, in questo istante; prima che sia troppo tardi. Proprio in questo istante!

La signorina                       - E allora preparatevi. (Prende la gabbia.)

Jean                                    - Ma senza bagaglio; che altrimenti saremmo scoperti!

La signorina                       - No, niente bagaglio!... Soltanto quello che si può portare in vettura.

Jean                                    - (prendendo il cappello). E lei cosa porta con sé? Cos'è quello?

La signorina                       - È soltanto il mio lucherino! Questo non lo posso abbandonare!

Jean                                    - Ma guardate che idee! Adesso dovremmo portarci dietro la gabbia! S'è proprio ammattita? Lasci stare la gabbia!

La signorina                       - È la sola cosa che mi appartenga e che porto via dalla casa; il solo essere vivente che mi voglia bene, da quando Diana m'è stata infedele. Non dovete essere crudele e dovete lasciarmela portare!

Jean                                    - Lasci la gabbia, le dico... e non parli ad alta voce... Kristina ci potrebbe sentire.

La signorina                       - No, non lo lascio in mani estranee, il mio uccel­lino! Piuttosto ucciderlo!

Jean                                    - Allora dia qui, che gli schiacci la testa.

La signorina                       - Si, ma senza fargli del male!... No, non posso.

Jean                                    - Dia qui, che so io come va fatto.

La signorina                       - (toglie l'uccellino dalla gabbia e si mette a baciar­lo). Oh! il mio piccolo coccolino! Adesso dovrai morire e lasciare la tua mammina?

Jean                                    - Sia buona e non faccia storie; ne va della sua vita, del suo bene! Via! Presto! (Le strappa l'uccellino, lo porta sul ceppo e impugna il coltellaccio da cucina. La signorina si volta dall'altra parte)

Jean                                    - Avrebbe dovuto imparare a tirare il collo ai pollastri, anziché esercitarsi nel tiro della pistola! (Colpisce l'uccellino.) E allora non le piglierebbe uno svenimento, alla vista di una goccia di sangue!

La signorina                       - (gridando). Ammazzate anche me! Ammazzatemi! Voi che potete uccidere una bestiolina innocente, senza che vi tremi la mano! Oh!... io vi odio, vi aborrisco! C'è del sangue fra di noi, ormai! Maledico l'istante in cui vi ho veduto per la prima volta; maledico l'istante in cui fui concepita nel grembo di mia madre!

Jean                                    - A che giovano tutte codeste maledizioni? Se ne vada}

La signorina si avvicina al ceppo dove giace morto l'uccel­lino, come attiratavi suo malgrado.

La signorina                       - No, non voglio andarmene! Non ancora! Non potrei; debbo prima vedere... Zitto! Passa una carrozza li fuori! (Tende l'orecchio verso l'esterno ma tenendo sempre lo sguardo rivolto al ceppo e al coltellaccio.) Voi credete che io non possa vedere il sangue? Mi credete tanto de­bole?... Oh! ma io vorrei vedere il tuo, di sangue, e tutto il tuo cervello sopra un ceppo!... Tutto il tuo sesso vorrei vederlo galleggiare in un lago di sangue!... E credo che potrei bere nel tuo cranio; che potrei immergere i miei piedi nelle tue viscere; che potrei sfamarmi col tuo cuore arrostito allo spiedo!... Tu credi che io sia debole, credi che t'ami, perché il mio grembo ha desiderato il tuo seme; credi che io voglia portare la tua discendenza sotto il mio cuore, nutrendola col mio sangue... credi che io intenda partorire un figlio tuo cui verrebbe imposto il tuo nome!... Ascolta: come ti chiami? Io non l'ho mai sentito, il tuo nome di famiglia!... credo anzi che tu non ne abbia nessuno! E io dovrei diventare la signora portinaia... oppure la signora lava­piatti... perché tu -  cane che porti il mio collare, servitore che porti il mio stemma sui bottoni -  possa farmi rivale della mia cuoca, concorrente della mia cameriera? Ah, ah, ah!... Dunque, tu ti immagini che io sia una vigliacca?... Dunque, tu credi veramente che io voglia fuggire?... No!... è qui che intendo restare, quand'anche dovessi cader fulmi­nata! Mio padre tornerà a casa; troverà il suo scrigno forzato e il denaro sparito! Suonerà il campanello: due colpi per il servitore!... Gli ordina di andare a chiamare la polizia... cui io racconterò tutto. Tutto!... Oh, sarà bello da vedere!... purché si finisca. Allora a mio padre gli piglierà un accidente e ne morrà!... E si finirà tutti insieme... e vi sarà la pace...

 la quiete... l'eterno riposo!... Il blasone andrà in pezzi su quella bara... la stirpe dei conti si estinguerà e la razza dei servi, il cui rampollo si troverà in un brefotrofio... conquisterà i suoi allori in una fogna e finirà per morire in galera!

Jean                                    - Adesso è il sangue regale che ha parlato! Brava signorina Julie! Non resta che sistemare il suo antenato mugnaio!

Entra Kristina vestita a festa, con il libro dei salmi nelle mani. La signorina accorre verso di lei e le si getta nelle braccia come per cercarvi rifugio.

La signorina                       - Aiutami, Kristina! Aiutami contro quest'uomo!

Kristina                              - (imperturbabile). Che scenate sono queste, nel giorno di San Giovanni! (Guarda il ceppo.) Com'è che avete sporcato tutto, qui? Che significa tutto questo?... E perché tutto questo baccano?

La signorina                       - Kristina! tu che sei una donna e mi sei amica, guardati da questo miserabile!

Jean                                    - (alquanto timoroso e confuso). Mentre le signore discor­rono, io vado a farmi la barba. (Sparisce a destra.)

La signorina                       - Tu mi puoi capire, Kristina; stammi dunque ad ascoltare.

Kristina                              - No, io proprio non le capisco certe porcherie. Dove se ne va, in abito da viaggio? E lui com'è che aveva il cappello in testa?... Cosa c'è?... Cosa c'è?...

La signorina                       - Ascoltami, Kristina; ascoltami, che voglio raccon­tarti tutto...

Kristina                              - E io non voglio saper nulla...

La signorina                       - Tu devi ascoltarmi!

Kristina                              - Di che cosa si tratta? Vuole raccontarmi le sue scioc­chezze con Jean? Se si tratta di questo, sappia che non mi interessano affatto: sono cose che non mi riguardano! Che se poi pensasse d'incontrarlo, persuadendolo a fuggirsene con lei, allora ci metteremo tanto di catenaccio!

La signorina                       - (nervosissima). Cerca di calmarti, Kristina, e stammi ad ascoltare. Io non posso più restarmene qui, e nemmeno Jean può restarvi; dunque dobbiamo partire...

Kristina                              - Uhm!...

La signorina                       - (rischiarandosi). Guarda!... M'è venuta una bella idea, adesso!... Se ce ne partissimo tutti e tre... per l'estero?... In Svizzera, per esempio, e là impiantassimo insieme un albergo?... Il denaro io ce l'ho, vedi... ed io e Jean dirige­remmo ogni cosa!... E tu, ora che ci penso, potresti incaricarti della cucina... Non sarebbe una bella cosa? Dimmi di si, Kristina, vieni con noi e così tutto è a posto... Dimmi di si! Via!... (Abbraccia Kristina e le dà dei colpetti sulle spalle; essa resta fredda e pensierosa.)

Kristina                              - Uhm!... .

La signorina                       - (parlando in fretta). Tu non hai mai viaggiato, Kristina, e devi pure uscir di qui e conoscere il mondo! Non puoi farti un'idea di quanto sia piacevole viaggiare in treno!... Veder facce nuove... nuovi paesi... e così arriveremo ad Amburgo, dove potremo visitare il giardino zoologico... quello ti piacerà di certo. Poi ce ne andremo a teatro per sentire l'opera... e quando saremo a Monaco, visiteremo i musei!... Rubens, Raffaello, grandissimi pittori, come ben sai... Hai di certo sentito parlare di Monaco, dove abitava re Luigi... quel re che diventò matto, come sai. E potremo visitare i suoi castelli. Si, perché ci sono ancora dei castelli, arredati come nelle fiabe!... E di là, per recarci in Svizzera, non sono che due passi. E vedremo le Alpi, pensa!... quelle Alpi dove c'è la neve anche in piena estate... È là che crescono gli aranci e i lauri che sono sempre verdi tutto l'anno!... Jean compare fra le quinte, a destra, intento ad affilare un rasoio sopra una striscia di cuoio, le cui estremità egli tiene una fra i denti e una nella mano sinistra. Ascolta, con compiacimento, il discorso della signorina, e, di quando in quando, fa cenni d'approvazione. Giunti là, impianteremo un albergo... Io me ne starò alla cassa, mentre Jean se ne starà sulla porta per ricevere gli ospiti... Farà gli acquisti... terrà la corrispondenza... Quella si che sarà vita, credimi... il treno che fischia... le diligenze che arrivano... i campanelli che squillano... e chiamano al ristorante. I conti li farò io, beninteso, e li farò salati! Per­ché non te l'immagini come io sappia farli salati... E nemmeno puoi immaginarti quanto siano timidi gli ospiti quando deb­bono saldare i loro conti!... Quanto a te... siederai come sovrintendente alle cucine. Tu, si capisce, non dovrai certo stare davanti ai fornelli, potrai esser calzata e vestita elegan­temente quando ti presenterai davanti alla gente... E, data la tua bella presenza... si, non credere che ti aduli... non ti sarà difficile un bel giorno, accalappiare un marito! Per esempio un ricco inglese, si... perché quella, vedi (lenta­mente), è gente che si accalappia facilissimamente! E allora eccoci diventati ricchi!... Ci possiamo fare senz'altro una villa sul lago di Como... dove piove spesso, questo è vero, ma, (esausta) talvolta, si vedrà anche qualche raggio di sole, mi immagino... benché faccia buio presto... e... già, altrimenti si potrà anche tornarcene a casa... tornare indietro, volevo dire... (Pausa.) Qui o altrove...

Kristina                              - Ascolti, signorina, ci crede, lei, a tutta codesta storia?

La signorina                       - (disfatta). Se ci credo... io?...

Kristina                              - Già.

La signorina                       - (stanca). Non lo so; non credo più a nulla, io! (Si lascia cadere sulla panca, appoggia le braccia sul tavolo e vi piega sopra la testa.) Più a nulla, assolutamente a nulla, io credo!...

Kristina                              - (voltandosi a destra verso Jean). E così pensavate di svignarvela, eh?...

Jean                                    - (tutto sconcertato, depone il rasoio sul tavolo davanti a sé). Svignarmela? Questo è dir troppo! Non l'hai sentito il progetto della signorina? Benché sia stanca dopo la... veglia notturna, è un progetto che si può sempre attuare.

Kristina                              - Ma senti che roba! Intendi dire che io dovrei diven­tare la cuoca di quella li!...

Jean                                    - (duramente). Sei pregata di usare un linguaggio più cor­retto quando parli della tua padrona, hai capito?

Kristina                              - La padrona?

Jean                                    - Certo!

Kristina                              - Ma sentilo!...

Jean                                    - Senti tu, piuttosto. E ne hai molto bisogno perché chiac­chieri sempre troppo. La signorina Julie è la tua padrona. Che, se tu la disprezzi per il motivo che sai, dovresti comin­ciare col disprezzare anche te per lo stesso motivo!

Kristina                              - Ma io mi sono rispettata sempre, io!

Jean                                    - ... per poter mancare di rispetto agli altri!

Kristina                              - ... non mi sono mai abbassata al disotto del mio stato. Vienimi a dire se la cuoca del conte s'è mai abbassata fino a confondersi con il porcaro o con lo stalliere! Vieni a dirmelo!

Jean                                    - È che tu hai avuto la fortuna d'incontrarti con una persona dabbene!

Kristina                              - Bravo!... Secondo te è persona dabbene chi rivende l'avena rubata nella scuderia del conte?...

Jean                                    - Guarda chi parla! Una che piglia la percentuale dai bottegai... una che sì fa corrompere dal macellaio!... una che...

Kristina                              - Cosa intendi dire?

 

Jean                                    - E saresti tu quella che rispetta i propri padroni? Tu? tu? tu?...

Kristina                              - Vieni ad accompagnarmi in chiesa, adesso! Una buona predica può farti bene!

Jean                                    - No, io, oggi, in chiesa non ci vado: devi andarci da sola e confessare tutti i. tuoi imbrogli!

Kristina                              - Ci andrò sola! E quando tornerò a casa, arriverò con tanto di perdono che potrà bastare anche per te! Il Salvatore ha patito ed è morto sulla croce a cagione di tutti i nostri peccati, quindi se ci accostiamo a Lui con spirito pentito, Egli prende su di sé tutte le nostre colpe.

Jean                                    - Anche quelle che tu commetti dai bottegai?

La signorina                       - Ma tu ci credi a questo, Kristina?

Kristina                              - Questa è la mia fede sincera, com'è vero che mi reggo sui due piedi; questa è la mia fede da bambina, me la sono tirata appresso per tutta la mia giovinezza, signorina Julie! E, del resto, dove sovrabbonda il peccato, sovrabbonda anche la grazia!

La signorina                       - Oh, se io potessi avere la tua fede! Se potessi...

Kristina                              - Già, ma vede, essa non si può avere senza una spe­ciale grazia divina, che non tutti possono ricevere.

La signorina                       - Chi è che la riceve?

Kristina                              - Questo è il grande mistero della grazia, signorina, e Dio non guarda al grado delle persone; anzi, gli ultimi saranno i primi...

La signorina                       - Ma, se è cosi, vuol dire che Egli usa dei riguardi per gli ultimi!

Kristina                              - (continuando). ... ed è più facile che un cammello passi per la cruna d'un ago, che un ricco entri nel regno di Dio! È proprio cosi, signorina Julie! Ora però me ne vado... tutta sola; e, trovandomi a passare, dirò allo stalliere che non lasci uscire nessun cavallo... nel caso che... qualcuno volesse partire prima che torni a casa il conte. Arrivederla! (Esce.)

Jean                                    - Una simile diavolessa!... E tutto ciò a cagione d'un misero lucherino!

La signorina                       - (apatica). Lasciate perdere il lucherino, adesso!... Sapete qualche via d'uscita, un modo qualunque per finirla?

Jean                                    - (riflette un istante). No!

La signorina                       - Che cosa fareste al mio posto?

Jean                                    - Al suo posto? Aspetti un po'... Be', come nobile, come donna, come... caduta... Non lo so!... Ma si: adesso lo so!

 La signorina prende il rasoio e fa il gesto di tagliarsi la gola.

La signorina                       - Cosi?

Jean                                    - Si, proprio cosi. Ma io, badi bene, io non lo farei! Perché c'è una certa differenza... fra di noi!

La signorina                       - Forse perché voi siete un uomo e io una donna? Che differenza può esservi?

Jean                                    - La stessa differenza che c'è fra uomo e donna!

La signorina                       - (impugnando il rasoio). Io lo voglio! Ma non posso! Neanche mio padre lo potè... quando l'avrebbe dovuto!

Jean                                    - No! lui non doveva farlo, lui! Prima avrebbe dovuto vendicarsi!

La signorina                       - E adesso mia madre, attraverso me, si prende una nuova vendetta.

Jean                                    - Non gli ha voluto bene, a suo padre, lei, signorina?

La signorina                       - Ma si, immensamente. L'ho anche odiato, però. L'avrò fatto senza avvedermene! Senonché è stato proprio lui a inculcarmi il disprezzo per il mio sesso, allevandomi mezzo uomo e mezzo donna. Su chi ricade la colpa di ciò che è accaduto? Su mio padre? su mia madre? su me stessa? Me stessa?... Ma io non posseggo nulla di mio! Non ho nep­pure un pensiero che non abbia ricevuto da mio padre! Neppure una passione che non abbia ricevuto da mia madre! E l'ultima mia idea, quella che tutti gli uomini sono eguali... l'ebbi da lui! dal mio fidanzato. Appunto per questo l'ho definito miserabile! Come potrebbe esser colpa mia? Dovrei scaricare la colpa su Gesù, come usa fare Kristina? No, sono troppo intelligente e troppo orgogliosa per far questo! E lo debbo a mio padre... Che un ricco non possa entrare nel regno dei cieli, è pura menzogna! E, del resto, Kristina che ha soldi in banca, non c'entrerebbe nemmeno lei. E allora su chi ricade la colpa? Cosa importa stabilire su chi ricada la colpa? Però tocca a me portarne la pena, subirne le conseguenze...

Jean                                    - Si, ma...

11 campanello suona forte due volte. La signorina balza in piedi; Jean si cambia in fretta la giacca.

Jean                                    - Il conte è in casa! E Kristina che non c'è... pensi!... (Va al portavoce, parla e ascolta alternativamente.)

La signorina                       - Ha guardato nello scrigno?

Jean                                    - Si, signor conte, sono Jean! (Si mette in ascolto. Gli spettatori non possono udire ciò che dice il conte.)

Jean                                    - Si, signor conte! (Ascolta.) Si, signor conte, subito! (Ascolta.) Immediatamente, signor conte! (Ascolta.) Certo! Fra mezz'ora! Non dubiti!

La signorina                       - (estremamente angosciata). Cos'ha detto? Oh, Gesù mio, cos'ha detto?

Jean                                    - Ha detto che vuole avere gli stivali e il caffè fra mez­z'ora!

La signorina                       - Dunque... fra mezz'ora! Oh, come mi sento stanca! Non sono più capace di nulla: né di pentirmi, né di fuggire, né di restare, né di vivere, né di morire! Aiutatemi, adesso! Comandatemi e io vi obbedirò come un cane! Fatemi quest'ultima grazia: salvate il mio onore, salvate il suo nome! Voi lo sapete ciò che dovrei volere, ma non riesco a volerlo... Vogliatelo voi per me e comandatemi di farlo!

Jean                                    - Non ne so il perché, ma adesso non lo posso nemmeno io!... Non arrivo a capire! Sarà forse questa livrea che porto addosso... che fa si che io non possa comandare... Non appena il conte m'ha parlato... non so... non posso spiegarmelo: sarà forse questa maledetta natura servile che mi sta nelle midolla. Credo che se il conte adesso scendesse qui e mi ordinasse di tagliarmi la gola lo farei immediatamente!

La signorina                       - Ma allora potremmo far cosi: voi vi compor­terete come foste lui, e io mi comporterò come fossi voi. Credo che la sappiate recitar benissimo questa parte nella commedia: poc'anzi non mi stavate qui davanti, in ginocchio, atteggiandovi a gentiluomo?... Oppure aspettate: lo avete mai veduto, in teatro, un ipnotizzatore? Jean fa un cenno di assenso. L'ipnotizzatore dice a uno: « Prendi la scopa! » e quello la prende; poi dice: « Spazza questa stanza! » e quello si mette a spazzare!...

Jean                                    - Però costui deve trovarsi in stato di sonno ipnotico.

La signorina                       - Ma io sto già dormendo... tutta la stanza mi sta davanti come in una nube di fumo... e voi mi apparite come una stufa di ferro... Somigliate a un uomo vestito di nero con un cappello a cilindro sulla testa... I vostri occhi mandano luce come bragia sul punto di spegnersi... il vostro volto è una macchia biancastra come di cenere...  I raggi del sole hanno invaso il pavimento e investono Jean. Oh com'è bello, il sole, e com'è caldo!... (Si stropiccia le mani come se le scaldasse davanti al fuoco.) E com'è lumi­noso... e com'è calmo!...

Jean prende il rasoio e lo mette nelle mani della signorina.

Jean                                    - « Ecco la scopa! » Mentre fa chiaro, se ne vada nel pagliaio e... (Le bisbiglia qualcosa in un orecchio.)

La signorina                       - (riavendosi). Grazie! Adesso mi avvio verso la quiete. Soltanto... vi prego di assicurarmi che anche ì primi possono avere il dono della grazia. Ditemelo, anche se non lo credete!

Jean                                    - I primi? No, questo non posso assicurarglielo! Ma... un momento, signorina Julie, adesso lo so: lei non si trova più fra i primi; lei si trova fra gli ultimi!

La signorina                       - Già, è vero! Mi trovo fra gli ultimi, io! Sonò proprio l'ultima assoluta! Oh!... Ma non posso più andare... adesso! Comandatemi ancora una volta di andare...

Jean                                    - No, neppure io posso, adesso! Non posso!

La signorina                       - E i primi saranno gli ultimi!

Jean                                    - Non pensi, non pensi! Lei toglie anche a me ogni forza e mi fa diventar vile... Cos'è? Mi pareva che il campanello si fosse mosso! No! lo terremo fermo con un batuffolo di carta... E dire che ho paura d'un campanello! Già, ma non si tratta soltanto d'un campanello! C'è una mano che mette in moto il campanello! e c'è qualcuno che mette in moto quella mano!... e c'è qualcun altro che mette in movimento quel qualcuno! Ma si tappi le orecchie, signorina, si tappi le orecchie! Si, ma a che serve se suona peggio di prima? E seguiterà a suonare fino a tanto che si risponda... e allora... allora sarà troppo tardi... Allora arriverà la polizia!... e... Due forti squilli di campanello. Jean trasale; poi si riprende. È terribile!... Ma non c'è altra via d'uscita!... (Alla signorina.) E allora vada!... vada!

La signorina si avvia verso la porta, risolutamente.

FINE


[1] Secondo le leggende nordiche, i folletti che si lasciano cogliere dal primo raggio di sole sono destinati a perire.