La società del mastice

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LA SOCIETA’ DEL MASTICE

Un atto

Di FERENC MOLNAR

Traduzione di Stefano Rökk-Richter

PERSONAGGI

IL PROFESSORE

BOKA

WEISS

UN RAGAZZO

BOROVSZKY

BARABAS

CSELE

LESZIK

Credo che sia preferibile rappresentare la società del Mastice al momento del suo scioglimento. La scena di questi avvenimenti è la sala del Consiglio del Ginnasio, ove il vice-pre­side ha fissato l'interrogatorio per l’una e mez­zo, I membri della Società del Mastice sono tutti scolari della prima classe, che all'una non sono usciti con gli altri. Sono vergognosi e tristi, at­torno al tavolo verde. Il professore è seduto in un saggio e fuma un sigaro. L'interrogatorio in­comincia.

Il Professore                  - Andiamo per ordine. Prima di tutto voglio sapere chi ha fondato la So­cietà, malgrado io abbia detto chiaramente che non tollero la fondazione di alcuna so­cietà. Chi l'ha fondata? (Silenzio pieno di riserbo).

Il Professore                  - Dunque? Decidetevi a parlare.

Un ragazzo                    - E' stato Weiss.

Il Professore                  - Weiss, non sai presentarti da te?

Weiss                            - Sì...

Il Professore                  - Allora, perché sei stato zitto? (Silenzio dignitoso).

Il Professore                  - Andiamo dunque per ordine, dimmi anzitutto che cosa è questo Mastice?

Weiss                            - (tira fuori dalla saccoccia un enorme pez­zo di mastice e lo depone sulla tavola) Que­sto è il mastice.

Il Professore                  - E che cosa è?

Weiss                            - Questa è una pasta con la quale i ve­trai fissano i vetri delle finestre. Il vetraio lo impiastriccia contro il legno e il vetro, e noi lo tiriamo via con le unghie.

Il Professore                  - E questo lo hai grattato tu?

Weiss                            - Nossignore. Questo è il mastice della Società.

Il Professore                  - Come?

Weiss                            - Questo lo hanno raccolto i soci e il comitato la ha affidato a me in custodia... Prima lo custodiva Boka, che era il cassiere, ma a lui si è seccato perché non lo mastica­va mai.

Il Professore                  - Bisogna masticarlo?

Weiss                            - Sì, perché altrimenti si indurisce e non si può premerlo. Io l'ho masticato ogni giorno.

Il Professore                  - Perché proprio tu?

Weiss                            - Perché è detto nello statuto che il presidente è obbligato a masticare ogni gior­no, almeno una volta, il mastice della società, altrimenti indurisce. (Piangendo) E il pre­sidente sono io!...

Il Professore                  - E dove avete raccolto questo grosso pezzo? (Silenzio imbarazzato).

Il Professore                  - Boka! Dove l'avete raccolto?

Boka                             - L'abbiamo già da un mese. Io l'ho ma­sticato una settimana, ma allora era più piccolo. Il primo pezzo l'ha portato Weiss, e così abbiamo fondato la società. E' andato a passeggio con suo padre e l'ha grattato dai vetri della vettura. Aveva le unghie insangui­nate. Quando nella sala di canto si è rotta la finestra, sono andato ad attendere tutto il po­meriggio che venisse il vetraio... E alle cinque il vetraio è venuto, io gli ho chiesto un po' di mastice, ma egli non mi ha risposto, perché non poteva rispondere, perché aveva il muso pieno di mastice...

Il Professore                  - Che modo di parlare è que­sto? Il muso lo ha solo il cavallo.

Boka                             - Allora aveva la bocca piena. Anche lui lo masticava. Poi gli sono andato vicino e gli ho chiesto che mi lasciasse guardare fin che metteva il vetro a posto. Mi ha fatto cenno di sì. E io guardavo e lui metteva a posto il vetro. E quando ha terminato io sono andato vicino alla finestra e ho grattato il mastice e l'ho preso tutto. Non l'ho rubato per me, ma per la Società, (incomincia a piangere).

Il Professore                  - Non piangere.

Weiss                            - (confuso) Piange subito...

Boka                             - (singhiozza straziante).

Weiss                            - Non piangere, (anch'egli incomincia a piangere).

(Il professore fuma a lunghe boccate il si­garo).

Csele                             - Scusi, signor professore, anch'io ho portato del mastice alla società, (sguardo di orgoglio).

Il Professore                  - Da dove?

Csele                             - A casa ho rotto la vaschetta da bagno degli uccellini, e quando la mamma l'ha fat­ta riparare io ho levato subito il mastice. L'acqua poi colava sul tappeto quando l'uc­cellino si bagnava. Che bisogno ha di bagnar­si quell'uccello? I passerotti non si bagnano mai e restano sporchi tranquillamente.

Il Professore                  - Sei di buon umore, Csele. Ora ti do il fatto tuo! Boka, continua.

Boka                             - (singhiozzando e tremando) Che co­sa devo continuare?

Il, Professore                 - Da dove avete preso il resto?

Boka                             - L'ha detto ora Csele. E la Società mi ha dato una volta una corona e venti perché ne portassi anch'io.

Il Professore                  - Ne avete comperato anche per denaro?

Boka                             - Nossignore. Il mio papà è medico e la mattina va in vettura. Una volta mi portò con se e io tolsi il mastice dai finestrini, ed era un mastice molto molle. Allora la Società mi diede una corona e venti perché prendessi io stesso lavettura. Io la presi nel pomeriggio e mi feci portare per una corona e venti di percorso. Tolsi tutto il mastice dai quattro finestrini, e poi ritornai a casa a piedi.

Il Professore                  - Questo fu quando ti incontrai lungo i viali?

Boka                             - Sissignore.

Il Professore                  - E ti ho parlato... e tu non mi hai risposto.

Boka                             - Sì, perché avevo il muso... la bocca piena di mastice, (incomincia a piangere).

Weiss                            - Piange sempre, (anch'egli piange).

Il Professore                  - Bella società! Chi era il pre­sidente ?

Weiss                            - (ad un tratto smette di piangere) Io...

Il Professore                  - E chi era il cassiere?

Weiss                            - Boka.

Il Professore                  - Dammi il denaro che è ri­masto.

Boka                             - Eccolo (depone sulla tavola un fiori­no e quarantacinque, due francobolli da due soldi, una cartolina con risposta, due march da bollo di una corona, otto pennini e una pallina di vetro colorato).

Il Professore                  - Dove avete preso il denaro?

Boka                             - Dalle quote. Ognuno ha pagato ogni settimana quattro soldi.

Il Professore                  - Che bisogno avevate del de­naro?

Boka                             - Tanto perché le quote fossero pagate in ordine. Weiss ha rinunciato allo stipendio presidenziale.

Il Professore                  - Quanto era lo stipendio?...

Boka                             - Due soldi la settimana. I francobolli li ho portati io, la cartolina con risposta Barabas, e le marche da bollo Borovszky. Suo padre... da suo padre...

Il Professore                  - Ha rubato. Eh? Borovszky!

Borovszkt                     - (silenzio tragico).

Il Professore                  - Le hai rubate?

Borovszkt                     - (rimane muto, ma annuisce).

Il Professore                  - Che depravazione! Che cosa fa tuo padre?

Borovszkt                     - Dottore Ernesto Borovszky, avvocato civile e penale. Ma la società ha restituito poi le marche.

Il Professore                  - Come? Come?

Borovszkt                     - Perché io ho rubato a papà le marche, ma poi avevo paura e la Società mi ha dato una corona e io ho comperato un'altra marca da bollo e l'ho rimessa di nascosto sulla scrivania. E papà mi ha acciuffato, non quando l'ho rubato, ma quando l'ho rimessa e mi ha sculacciato…

Il Professore                  - Che parola!

Borovszky                     - Mi ha battuto, e oltre a ciò mi ha schiaffeggiato perché l'ho restituita, e mi ha chiesto dove l'avevo rubata. Io non osa­vo dirgli che l'avevo rubata a lui, perché mi avrebbe schiaffeggiato ancora, e perciò ho dello che l'avevo ricevuta da Boka, e papà mi disse: « Restituiscila subito a Boka, perché (quello l'ha rubata certo da qualche par­te). Io l'ho riportata a Boka e perciò la Società ha due marche da bollo.

Il Professore                  - Perché avete comperata una nuova marca quando potevate restituire quel­la che avevate?

Boka                             - Perché dal rovescio aveva il timbro della società,

Il Professore                  - C'è anche un timbro? Dov'è il timbro?

Boka                             - Barabas è il guardasigilli.

Barabas                         - Eccolo, (depone sulla tavola un timbro dì gomma con la scatoletta dell'in­chiostro).

Il Professore                  - (leggendo) « Società per la collezione del Mastice, Budapest ». Imbe­cilli!

Barabas                         - (tenta di riprendere il timbro).

Il Professore                  - Che cosa vuoi ?

Barabas                         - La prego, io ho fatto giuramento che difenderò il timbro anche con la mia vita, ma non l'abbandonerò.

Il Professore                  - Ragazzaccio, (mette il timbro nel cassetto).

Barabas                         - Allora la prego di portare via a Csele anche il tricolore.

Il Professore                  - C'è anche un tricolore? Dam­melo.

LE                                 - (tira fuori dalla saccoccia una piccola bandiera di carta rossa bianca verde, attac­cata a un'asta di fil di ferro. Sulla bandiera è scritto: « Società per la collezione del Ma­stice, Budapest. Giuriamo di volere lei libertà ».

Il Professore                  - Che ragazzacci!

Boka                             - Scusi, Barabas ha fatto male a tradire la bandiera!

Barabas                         - Poiché mi hanno preso il timbro, la Società è finita.

Il Professore                  - Fate silenzio! Vi darò il fat­to vostro. D'ora in poi la Società è sciolta e voglio eh» non commettiate più simili sciocchezze. Avrete tutti cinque in condotta, Weiss zero perché era il presidente.

Weiss                            - Scusi, oggi era proprio l'ultimo gior­no di carica, perché doveva esserci oggi la assemblea e abbiamo designato Boka per questo mese.

Il Professore                  - Fa lo stesso. Domani sarete trattenuti fino alle due e scriverete i cinque­cento indirizzi degli annunzi di fidanzamento di mia sorella. Vi darò il fatto vostro! E ora tutti via, birichini scapestrati!

Tutti                              - Riverisco.

Weiss                            - (allunga la mano verso il mastice).

Il Professore                  - Lascialo stare.

Weiss                            - Non ci rida il mastice?

Il Professore                  - No. Anzi chi ne ha me lo dia subito, e se saprò che a qualcuno ne è rima­sto ancora, lo espellerò.

(Viene avanti Leszik, che finora era stato in silenzio, tirando fuori dalla bocca un pezzo di mastice che unisce alla palla della Società, con cuore dolente e mano sporca).

Il Professore                  - Non c'è altro?

Leszik                           - (spalanca la bocca e mostra che l'ha tolto tutto).

Il Professore                  - E che non senta ancora una volta che fondate delle Società! Via a casa! (Tutti filano via).

Leszik                           - (saluta separatamente poiché prima, quando gli altri dicevano in coro « riveri­sco » egli aveva la bocca piena) Riverisco. (Fuori, sulla strada).

Boka                             - Gli servono il fiorino e quarantacin­que! Ci ha rubato il nostro denaro.

Weiss                            - Dopo gli esami gli farò un processo. (Bighellonando, tristi).

Csele                             - Guarda... Mentre vi interrogava... io stavo vicino la finestra... Ecco! (tira fuori un mucchio di mastice fresco che ha tolto ora: gli occhi di tutti luccicano. Csele intasca svel­to il mastice. Silenzio meditabondo. Weiss pensa alla bandiera della Società. Boka in­comincia a piangere).

Weiss                            - Piange subito!... anch'egli si mette a piangere. La neve comincia a fioccare e le sei piccole figure nere si incamminano ciondo­lando nell’annuvolato pomeriggio invernale, sulla strada nevosa, serrati tragicamente uno all'altro, come coloro che la cosa sacra e la tristezza comune tiene uniti fino alla tomba).

FINE