La sommossa

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LA SOMMOSSA

Commedia in un atto

di GIOVANNI MOSCA

                                                          

PERSONAGGI

IL GOVERNATORE

IL MINISTRO

IL MAG­GIORDOMO

GIUSEPPE

I SIDERURGICI

La sala di lavoro e d'udienza del Governatore dell'isola di Corcira; molto ampia, molto alta, stucchi ori e spec­chi come nelle sale delle opere liriche. Il tavolo, ingombro di carte, e la poltrona, dallo schienale simile a quello d'un trono, sono a sinistra; la portad'ingresso è a destra, di modo che chi entra debba attraversare tutta la sala per giungere al tavolo. Dal centro del soffitto pende un grande, ricchissimo lampadario. Di fronte allo spettatore s'apre una amplissima finestra con balcone, cui fa da ornamentale cornice una tenda di velluto rosso frangiata d'oro, aperta a baldacchino. Prime ore d'un pomeriggio estivo: dal cielo e dal mare, che si vedono limpidi e purissimi, viene una chiara, splendida luce che illumina ogni angolo e qua e là brilla nei riflessi degli specchi e delle dorature.

(Al principio delVatto, il Governatore, alto, pallido, vestito dì velluto nero con bianchi ricami alla foggia dei gentiluomini del Seicento, è al tavolo di lavoro, curvo su libri e carte, e ora fogge e sfoglia, ora prende appunti. Così intento alla bisogna che non leva il capo ad un suono di tromba che s'ode d'improvviso, proveniente dalla sottostante piazza, ne al cadenzato passo di soldati manovranti in ordine chiuso, né ad un secondo ed ultimo squillo di tromba. Leverà il capo più tardi, e scuoterà un campanello d'argento Ch'è sul tavolo).

Il Governatore            - (al maggiordomo in livrea di velluto azzurro, bottoni d'oro, calze bianche, il quale appare sulla soglia) Ci sono altre cerimonie, oggi, oltre il cambio della guardia?

Il Maggiordomo         - (fermandosi a una certa distanza dal tavolo) Nessuna, Eccellenza.

Il Governatore            - Bene. Avremo silenzio fino a sera. Ne ho bisogno per il mio lavoro. Ma' domani una ceri­monia ci vuole: occorre divertire il popolo.

Il Maggiordomo         - (rispettosissimo) Eccellenza, il po­polo non si diverte più: ha visto tante di quelle cerimo­nie... Si diverte quando non ce ne sono: allora, lieto e danzando, si disperde per i campi e per i prati, e il mare, acceso dei fuochi di mille barche, gareggia col palpito delle stelle.

 Il Governatore           - Bisogna studiare cerimonie nuove.

Il Maggiordomo         - Le abbiamo studiate tutte. Secondo me...

Il Governatore            - (secco, e congedandolo con un brusco gesto) Non accetto suggerimenti.

Il Maggiordomo         - (esce).

Il Governatore            - (torna al lavoro, e per qualche istante regna in scena un silenzio perfetto, nel quale il fruscio delle pagine sfogliate si /avverte distintamente. Poi un nuovo incidente viene a turbare il lavoro del Governatore).

Il Maggiordomo         - (apparendo sulla soglia) Eccellenza, i siderurgici.

Il Governatore            - (colto alla sprovvista) Quali side­rurgici?

Il Maggiordomo         - I siderurgici dell'officina « 12 » che vostra Eccellenza aveva stabilito di ricevere oggi alle quattro. E sono appunto le quattro.

Il Governatore            - Già. E che «osa vengono a fare?

Il Maggiordomo         -  A esprimere i sensi della loro pro­fonda gratitudine.

. Il Governatore          - (come temesse d'aver inteso male) A chi?

Il Maggiordomo         - A vostra Eccellenza.

Il Governatore            - A me?

Il Maggiordomo         - Naturalmente.

Il Governatore            - E che favore ho reso io ai siderur­gici che mi debbano esprimere la loro gratitudine?

Il Maggiordomo         - Non so, Eccellenza: forse, senza accorgervene... Oppure, «he i siderurgici, ogni tanto sen­tano il bisogno di esprimere la loro gratitudine, così, tanto per esprimerla... (Sentenzioso) Il cuore del siderurgico è sempre un mistero.

Il Governatore            - (rassegnato) Che entrino.

Il Maggiordomo         - (esce).

Il Governatore            - (mette ordine nelle carte, poi, dopo averla un poco studiata, assume sulla poltrona una posi­tura solenne e benevola al tempo stesso).

Il Maggiordomo         - (entra precedendo i siderurgici, che sono sei, tutti vestiti di verde da capo a piedi, con una tunica alla foggia russa, calzoni lunghi, e berretti con visiera tenuto sotto il braccio sinistro. Avanzano quasi militarmente, tre 'per tre. Giunti presso il tavolo del Governatore, s'inchinano simultaneamente).

Il Governatore            - (rimanendo seduto, li invita con un gesto a risollevarsi. Poi, benevolmente) I miei side­rurgici. (Pausa) lo penso spesso ai siderurgici.

Un Siderurgico           - (avanzando d'un passo) Lo so, Eccel­lenza, e a nome di mille e mille compagni ho l'onore di esprimervi tutta la profonda gratitudine della catego­ria. (Con slancio) Grazie, 'Eccellenza, per averci allevati, nutriti, educati, istruiti, resi abili alla lavorazione del ferro e degli altri -metalli. Tutto dobbiamo a voi: il sole che riscalda le nostre case, la luna che rischiara le notti, la pioggia che feconda i campi, la neve, la rugiada e tutte le altre principali precipitazioni atmosferiche. Grazie, Ec­cellenza, per le 'belle albe di cui ci fate dono' al mattino, e per ,i bei tramonti coi quali ^allietate il nostro riposo dopo le fatiche dell'officina. Prima di voi non c'era nulla; voi avete fatto tutto, anche l'elefante, che prima non c'era, e per le strade mai (che si vedesse passare un elefante: adesso, invece, ne sono piene, e il nostro cuore è gonfio di riconoscenza e d'orgoglio. Ancora grazie, Eccellenza, per aver favorito lin tal modo i siderurgici. (Arretra d'un passo, e torna fra i compagni).

Il Governatore            - (alzandosi, con grande benevolenza) Voi meritate ben altro, carissimi. (Per voi l'elefante è poco. Avrete di meglio. E ho dato disposizioni perchè entro il mese vengano migliorati anche  i tramonti. Volete altro?

Il Siderurgico              - Quanto avete fatto è già troppo, Ec­cellenza.

Il Governatore            - Bene. Potete andare. (Risponde gra­ziosamente al saluto dei siderurgici che, fatto un. milita­resco dietro-front, escono dalla sala. Poi, rivolgendosi al maggiordomo) Credete che siano in (buona fede?

Il Maggiordomo         - Chi, i siderurgici?

Il Governatore            - Si.

Il Maggiordomo         - Dipende. Se lo siete voi, lo sono anche loro.

Il Governatore            - (si fa pensieroso, abbassa il capo, e rimanendo in tale atteggiamento congeda con gesto mac­chinale il maggiordomo. Poi torna alle sue carte, ma è destino che non possacontinuare nel lavoro: dalla piazza sottostante vengono improvvisamente alte grida, prima confuse, poi chiare e distinte) « Abbasso i ricchi!»; «Viva l'uguaglianza!»; «Siamo stanchi di soffrire!». (Il Governatore scatta in piedi, quasi intimorito; muove verso il balcone, ma si arresta come stimasse imprudente o poco dignitoso, o, comunque, inopportuno affacciarsi; torna al tavolo e scuote il campanello).

Il Maggiordomo         - (di sulla soglia) Eccellenza.

Il Governatore            - (agitato) Avete sentito?

Il Maggiordomo         - Grida incomposte. Il solito: «Ab­basso i ricchi ». Si direbbe una sommossa, se….

Il Governatore            - Se...?

Il Maggiordomo         - Se non fossero tutti calmi, discipli­nati, e, iquel;che più conta, tutti vestiti di verde.

Il Governatore            - Non credete forse che il vestito possa molto?

Il Maggiordomo         - Molto, ma non tutto. Altrimenti il mondo apparterrebbe ai sarti.

Il Governatore            - Quante guardie abbiamo a palazzo?

Il Maggiordomo         - Il doppio della popolazione.

Il Governatore            - Facile, dunque, impadronirsi degli insorti, disarmarli e condurli alla mia presenza.

Il Maggiordomo         - Facilissimo. '(Tornano a udirsi le grida: «Abbasso i ricchi,» ecc.).

Il Governatore            - Le grida si rinnovano. Provvedete immediatamente.

 Il Maggiordomo        - (s'inchina ed esce).

Il Governatore            - (preoccupato, misura in lungo e largo la sala passeggiando nervosamente, e fermandosi ogni tanto presso il balcone. D'un tratto le grida cessano. Come liberato da un 'peso, il Governatore riprende la sua calma e torna a sedersi al tavolo).

Il Maggiordomo         - (rientra).

Il Governatore            - (ansioso) Ebbene? Gli insorti?

Il Maggiordomo         - Uno solo, Eccellenza.

Il Governatore            - E gli altri?

Maggiordomo             - Quali altri?

Il Governatore            - (irritato) Quelli ch'erano con lui! Fuggiti?

Il Maggiordomo         - Non c'era nessuno con lui.

Il Governatore            - (fra stupito e sdegnato) Solo?

Il Maggiordomo         - Solo.

Il Governatore            - (c. s.) E da solo faceva la sommossa?

Il Maggiordomo         - (spalancando le braccia) Così sem­bra, Eccellenza. Volete vederlo?

Il Governatore            - (Naturalmente. '(Tornando a stupirsi) Ed era lui che mandava tutte quelle grida? Lui solo?

Il Macciordomo          - (Lui solo.

Il Governatore            - (dopo )un certo silenzio) Fatelo en­trare.

Il Maggiordomo         - (si fa da un lato, e appare sulla soglia un uomo piccolo e calvo, dell’età di cinquantanni, pove­rissimamente vestito, che reca nella mano destra un ma­nico di scopa cui in cima le legato uno straccio di colore indefinibile; nella sinistra tiene un largo cappello aran­cione con una lunga piuma celeste. Un piccolo, ma 'bal­danzoso uomo, il quale, però, alla vista della splendida sala e della distanza che lo 'separa dal Governatore, su­bito perde ogni baldanza e si arresta intimidito. E a nulla valgono i ripetuti cenni che il Governatore gli fa di venire pure avanti senza timore, tanto che il maggior­domo, a un certo punto, si decide a sospingerlo verso il tavolo. Giunto dinanzi al Governatore, il ribelle, inca­pace di sopportarne lo sguardo, abbassa il capo, e sembra un timido e impaurito scolaretto dinanzi al maestro).

Il Governatore            - (severo) Siete voi l'autore della som­mossa?

Giuseppe                     - Eccellenza, io...

Il Governatore            - (interrompendolo con un gesto) Più tardi le giustificazioni. Vi domando se ammettete di es­sere voi l'autore della sommossa.

Giuseppe                     - Sì, io.

Il Governatore            - (irritato) E si fanno così le som­mosse? Da soli? Con i isoliti gridi che ormai non signi­ficano più nulla: « Abbasso i ricchi », « Vogliamo l'ugua­glianza »? Ma lo sapete voi come si fa una sommossa, oggi?

Giuseppe                     - (umilmente) Eccellenza, se proprio devo confessarlo, no. E' la prima volta che faccio delle som­mosse. (Candidamente) D'altra parte ho sempre sentito dire che per fare le sommosse bisogna gridare: «Abbasso i ricchi » e « Vogliamo l'uguaglianza ». (Cambiando di tono e indicando il manico di scopa con lo straccio) Scusate, dove posso poggiare la bandiera?

Il Governatore            - Quale bandiera?

Giuseppe                     - Questa, oh, lo so, è «no straccio, ma si fa quel che si può. Piacerebbe tanto anche a me fare una sommossa con una bella, grande bandiera, di molti colori, spiegata al vento; ma non ho i mezzi, Eccellenza. Sono povero. (Indicando un angolo) Posso poggiarla là? (Depone la bandiera, e torna dinanzi al Governatore).

Il Governatore            - (impedendo il discorso) Povero? Come vi chiamate?

Giuseppe                     - Giuseppe.

Il Governatore            - Come mai un nome così cattolico?

Giuseppe                     - Eccellenza, sono nato prima che saliste al potere.

Il Governatore            - Va bene. Giuseppe. E poi?

Giuseppe                     - Basta.

Il Governatore            - Come basta?

Giuseppe                     - (alzando le braccia e scrollando il capo) Basta. Sono così povero, Eccellenza, che non ho nem­meno il cognome. (Pausa) Giuseppe, e null'altro.

Il Governatore            - (rimane un poco in silenzio, poi al maggiordomo che è rimasto, muto testimone, a rispettosa distanza) Chiamatemi il ministro. (Il maggiordamo esce. Il Governatore osserva a lungo Giuseppe, meravi­gliandosi della sua povertà e quasi scandalizzandosene. Poi, seccamente, indicandogli una poltrona) Accomodatevi.

Giuseppe                     - (s'accosta alla poltrona, ma, sembrandogli troppo bella, esita).

Il Governatore            - (in tono perentorio) Accomodatevi.

Il Ministro                   - (che indossa un lussuoso costume di vel­luto simile a quello del Governatore, ma verde; entrando) Eccellenza.

Giuseppe                     - (si leva di scatto in piedi).

Il Governatore            - (senza dare al ministro il tempo d'ar­rivare sino al tavolo) Conoscete quest'uomo? (Indica Giuseppe).

Il Ministro                   - (sorridendo, come chi crede in uno scher­zo) iNaturalmente no, Eccellenza. (Nell'isola di Cor-eira, da quanto tutti sono diventati uguali, non c'è più uno straccione. Evidentemente è uno straniero.

Il Governatore            - Giuseppe, di dove siete?

Giuseppe                     - Di Corcira, Eccellenza.

Il Governatore            - (al ministro) Come vedete, non è uno straniero: è un corcirese come me e come voi, e io, signor ministro, ho qui una relazione firmata di vostro pugno (sceglie fra le carte del tavolo, ne prende una e, dopo averla rapidamente scorsa, fissa severamente il ministro) nella quale mi si assicura ohe fra gli abi­tanti di Corcira, la più grande delle cinque « Isole del­l'uguaglianza », non vi sono più né poveri né ricchi, che sono tutti uguali, tutti vestiti di verde, e tutti della stessa opinione. (Indicando Giuseppe) Guardate: qui c'è un cittadino di Corcira ohe è povero, che non è vestito di verde, anzi, ha un cappello arancione con una piuma ce­leste, e in più fa la sommossa. (Pausa) Ora, io, signor ministro, vi nomando: devo credere alle relazioni che mi si fanno, o non devo credere?

Il Ministro                   - Dovete credere, Eccellenza.

Il Governatore            - Anche quando i fatti dimostrano che non rispondono al vero?

Il Ministro                   - E’ allora, (Eccellenza, che dovete cre­dere ancora di più.

Il Governatore            - Ma in tal modo io non saprò mai la verità.

Il Ministro                   - Sì, ina in compenso non avrete mai di­spiaceri. (La verità è una brutta donna nuda, Eccellenza: le relazioni la abbelliscono, la vestono, la adornano di mille colori, di mille gioielli. Che importa se fuori piove, nevica, se l'uragano sradica le foreste e porta via i tetti, quando in casa avete un barometro guasto che segna eter­namente « bello stabile »? Chiuse le porte e le finestre, voi, in mezzo all'uragano, potete immaginarvi i più tran­quilli mari, i più limpidi cieli, e non una foglia si muove delle meravigliose, tranquille foreste che potete imma­ginare. E nel bel mezzo dell'inverno, godersi i fiori e il tepore di maggio. Le relazioni, Eccellenza, sono come il barometro guasto, segnano eternamente il « bello stabile ».

Il Governatore            - (pensieroso) Forse avete ragione. Ma, relazioni o no, qui ci troviamo di fronte a un corei-rese che è povero e ribelle, ribelle in tutto, nella povertà, nelle grida sediziose, nel cappello arancione con la piuma celeste. Giustificatevi, signor ministro.

Il Ministro                   - Me ne guardo bene, Eccellenza. Giusti­ficarmi, significa ammettere la mia colpa, e se sono col­pevole vengo fucilato. Quest'uomo non è povero a mia insaputa: sono io che Mio lasciato così, povero, per dare a tutti gli altri corciresi l'illusione del benessere e dell'a­giatezza. Azzardando l'ipotesi, Eccellenza, che fossimo tutti onesti, avremmo sempre bisogno di un disonesto per accorgerci della nostra onestà. Questo povero è utilissimo all'isola di Corcira. Se non ci fosse bisognerebbe inven­tarlo. Gli uomini non tanto si lamentano dei cento che stanno meglio di loro, quanto si consolano dell'unico che sta peggio. Persuadetevi, Eccellenza, che se costui è po­vero, è per il bene della comunità.

Il Governatore            - (severissimo, a Giuseppe) Perchè siete povero? (Pausa) Sapete che nella nostra isola, dove tutti sono uguali, né ricchi, né poveri, la povertà è ribellione? Come, d'altra parte, ribellione sarebbe la ricchezza.

Giuseppe                     - Lo so. E io ho scelto la forma più econo­mica di ribellione: la povertà.

Il Governatore            - Ma come fate a esser povero se terre e denari sono stati distribuiti a tutti in parti uguali?

Giuseppe                     - Il giorno della distribuzione, io mi son dato malato, Eccellenza.

Il Governatore            - (al ministro) E dov'è la parte che gli spettava?

Il Ministro                   - E' stata incamerata, Eccellenza.

Il Governatore            - Ma nella relazione economica non risulta.

Il Ministro                   - Naturalmente. Non può la reazione economica contraddire a quella politica, altrimenti addio tranquillità, addio tepore di maggio nel bel mezzo del­l'inverno.

Il Governatore            - Chi custodisce la somma?

Il Ministro                   - Io, Eccellenza.

Il Governatore            - Intera?

Il Ministro                   - No, perché ogni semestre ne sottraggo l'importo delle tasse, e lo verso disciplinatamente sn un'altra cassa.

Il Governatore            - E' un'irregolarità che non posso ammettere. Prendete la somma e distribuitela in bene­ficenza.

Il Ministro                   - Ma a ohi, «e non ci sono più poveri?

Il Governatore            - A costui. (Indica Giuseppe).

Il Ministro                   - Ma costui non la vuole.

Il Governatore            - (a Giuseppe) Vi ostinate nel rifiuto?

Giuseppe                     - Mi ostino, Eccellenza.

Il Governatore            - Potrei farvi (fucilare.

Giuseppe                     - Ma non lo farete, tanto c'è bisogno d'un povero nell'isola di Corcira. Sapeste come sono tristi i vostri sudditi, tutti uguali, tutti vestono di verde, il buono e il cattivo, l'intelligente e lo stupido, l'onesto e il disonesto, e l'unica cosa, che li consoli è la vista dei miei stracci e della mia miseria. C*è perfino qualcuno, ogni tanto, che mi offre danaro per indossarli almeno per un'ora, i miei stracci, invece dell'elegante vestito verde.

Il Governatore            - E voi?

Giuseppe                     - Io rifiuto, perchè se prendo danari non sono più povero.

Il Governatore            - Vi piace la povertà?

Giuseppe                     - No, ima è un segno di distinzione. Nei giorni di festa, quando tutti partono per i divertimenti obbligatori, sudando, spingendosi, contendendosi i posti coi gomiti e coi pugni, io vado a piedi sulla cima d'un monte e di lassù vedo la spiaggia e le campagne formi­colanti di gente vestita di verde che aspetta il turno per entrare in acqua, per cogliere i fiori, per fare all'a­more. Gente che si odia a vicenda. Ciascuno, nei giorni di festa, vorrebbe la morte del vicino per avere un po' più di posto. Tutti uguali, tutti le stesse opinioni, e bì, odiano: in treno non parlano, nelle enormi case di venti piani dove tutti, alla stessa ora, fanno le stesse cose compiendo gli stessi movimenti, i coinquilini evi­tano di conoscersi, di salutarsi. Ieri, nei pressi della mia montagna, è morto un vecchio pastore, l'ultimo corcirese che incontrando uno sconosciuto per la campagna, gli diceva « Buongiorno », « Buonasera », « Felice not­te.». Nessuno, oggi, dice più « Felice notte, Eccellenza ». Sarebbe una finzione. « Notte », e basta: ne felice né infe­lice: tutti dormono, o vegliano allo stesso modo, con i pochi pensieri permessi, uguali nel vestito e nelle facce. L'altra notte, un uomo, rincasando, entrò per isbaglio in un altro appartamento: vide se stesso e cacciò un urlo di paura, e corse per tutti gli appartamenti continua­mente perdendo e ritrovando se stesso, e tutti comin­ciarono a cacciare urli di paura, e per ritrovarsi, per rico­noscersi, chi si metteva un nastro colorato intorno alla gamba, chi si ornava d'una piuma, chi si tingeva la fac­cia, chi si feriva una mano per riconoscersi alla cica­trice. Tutti uguali, Eccellenza: né poveri né ricchi, né onesti né disonesti, né buoni né cattivi, né felici né infelici, e gli uomini hanno bisogno dell'infelicità per non vivere come bestie, per non tramutarsi nelle pecore d'un gregge, e la cercano, disperatamente, ma nell'isola di Corcira non esistono più né le «ose belle né le cose brutte, né le cose buone né le cose cattive: solo cose medie, grige; non c'è più l'invidia, ma non c'è più nemmeno la pietà; è sparito il dolore, ma è sparito anche il piacere; abolita l'ingiustizia, ma è morta anche la giustizia. I vostri sudditi hanno tutti la stessa voce, Ec­cellenza: la voce bassa di chi ha paura; ascoltate, e sono i discorsi più innocenti del mondo; la paura non c'è più, ma è diventata una tradizione, un abito morale. Chi canta, la notte, in campagna? Un canto, nell'isola di Corcira, sembrerebbe un'insurrezione. Chi prega, nell'i­sola di Corcira? Avete proibito Iddio, Eccellenza, e la gente, dopo averlo cercato qualche notte, segretamente, sfidando la polizia, fra le stelle, ora non lo cerca più, e sente dentro un vuoto, e vorrebbe riempirlo con un pensiero che non (fosse di questa terra, ma ha paura, paura dell'occhio della polizia che gli entri nell'anima e vi trovi, piccolissimo, nascosto in un angolo, un Gesù Bambino. Non passerà molto, Eccellenza, e i vostri sudditi, tramutati in buoi, muggiranno, e io, sulla cima della mia montagna, vedrò, nei giorni di festa, arrivare l'armento, abbeverarsi ai ruscelli, godersi l'ombra sotto gli alberi. Io sono l'unico, Eccellenza, a non far parte dell'armento. Oh, non fatemi fucilare: anzitutto, come ha già detto il signor ministro, sono utile alla comunità e poi non faccio niente di male: ribelle si, ma un ribelle buono, mite, che fa piccole sommosse, da solo, nemmeno con una bandiera, ma con uno straccio, e manda le so­lite innocue grida...

Il Governatore            - «Abbasso i ricchi », «Vogliamo l'u­guaglianza »... Ma, scusate: siete matto? Se c'è un ne­mico dell'uguaglianza siete voi, e gridate «Viva l'ugua­glianza »?

Giuseppe                     - (sorridendo) Perchè nelle .sommosse non si grida mai quello che si vuole: le grida, o te le im­pongono i capi o te le scegli, così, a caso, e ripeti le più comuni, le solite, quelle lette nei libri o nei vecchi giornali. Ma quel che »i grida non conta: conta fare la sommossa...

Il Governatore            - (stupito) Senz'armi, senza bandiera?

Giuseppe                     - Le mie sommosse sono sommosse innocue, tanto per rompere l'ambiente, per spezzare la monotonia. Vedete? Sono l'unico, fra tutti i corciresi, a non portare il cappello verde: ne porto uno arancione e con una piuma celeste. Bello? Né bello né brutto. Diverso, diverso dagli altri, perciò mi piace, perciò mi sembra il più bel cappello del mondo, e il colore della piuma somiglia a quello del cielo, ma non è proprio come quello del cielo, per­chè se lo fosse mi piacerebbe meno. Io, prima, Eccel­lenza, non credevo in Dio: adesso ci credo, e sono an­dato sulla cima della montagna per stargli più vicino. Tutte le sere, alla «olita ora, accende le sue stelle, e io lo aiuto accendendo quella intorno alla mia cima. Non ci siamo mai parlati, ma ci vogliamo bene, e credo che il mio cappello arancione con la piuma celeste gli piac­cia. E appunto perchè non faccio parte della collettività voglio bene agli uomini, e se ne incontro uno, gli dico « Buongiorno », « Buonasera », « Felice notte » con tutto il cuore, e se un bambino piange mi dispiace, e se un uomo muore m'addoloro sinceramente, profondamente: non faccio come tutti gli altri die, alla notizia d'una morte, « Poveraccio », dicono, e basta, e non gliene im­porta niente; e «e posso aiutare il mio prossimo lo aiuto: non aiuto di danari, perchè sono povero, ma quello spirituale, che vale di più. Si chiama prossimo, ma mai lo senti così lontano come quando sei costretto a vivergli continuamente vicino. Invece, sulla cima d'una montagna, allora diventa veramente prossimo e lo ami, e soffri dei suoi dolori. Eccellenza, davvero volete farmi fucilare perchè sono povero, perchè voglio bene alla gente, perchè accendo le stelle intorno alla montagna, perchè ho un cappello arancione con la piuma celeste?

Il Governatore            - (pensieroso) Quel cappello è una sommossa.

Giuseppe                     - (sorridendo) Una sommossetta. Così. Come «piccare un salto quando tutti «i trascinano pesantemente, come cantare quando tutti sussurrano, come camminare nel buio tenendo una lucciola in mano. Per una lucciola, Eccellenza, mi vorreste far fucilare?

Il Governatore            - No. (Pausa) E se vi dessi tanto danaro da fare d'un tratto del povero Giuseppe un si­gnore?

Giuseppe                     - Non sarei più povero, Eccellenza.

Il Governatore            - Ma saresti ricco, e potresti distin­guerti ugualmente.

Giuseppe                     - (quasi tentato) Però, non potrei più fare commosse.

Il Governatore            - Naturalmente, no.

Giuseppe                     - Già, strano: i ricchi avrebbero tutto per far bene le sommosse: quattrini per le armi, quattrini per una bella, grande bandiera dai vari colori, e invece non possono farne appunto perchè sono ricchi. No, Ec­cellenza, ho deciso: rimango povero. (Preso da un su­bito pensiero) No. Ho deciso. Fate di me quel che volete, Eccellenza: imprigionatemi, e potrò giocare con le stelle attraverso le sbarre della prigione; fatemi fucilare, e, morto che sia, volete che Dio, col quale sono tanto in amicizia, non mi faccia un po' di posto vicino a lui? Toglietemi la bandiera (indica lo straccio poggiato nel­l'angolo) e me ne farò un'altra, più piccola, ma sempre una bandiera; toglietemi il cappello arancione... No, questo non toglietemelo, Eccellenza: vedete, la piuma, come è celeste? Com'è diritta? Come va su, verso le nu­vole, come un'anima, la mia anima, nata per cantare quando tutti tacciono, per saltare quando tutti dormono, per adornarsi d'una lucciola quando tutti sono nelle tenebre?

Il Ministro                   - (dopo una lunga pausa, al Governatore) lo direi, Eccellenza, di lasciarlo andare. E' innocuo. E lo avremo sempre nelle nostre mani: basterà, occor­rendo, spezzargli la piuma celeste, ch'è la sua anima. E di sommosse, finché son queste, può farne quante vuole.

Il Governatore            - (convincendosi a poco a poco) Sì, ma, per disciplinarle, rilasciamogli un permesso perma­nente di sommossa. (Prende un foglio di carta e scrive) Si rilascia a Giuseppe...

Giuseppe                     - Eccellenza, no! Le sommosse, se voi mi date il permesso di farle, io non le faccio più. Ormai mi

 conoscete, Eccellenza, non «ono io tipo da sommossa autorizzata. Se voi me lo permettete...

Il Governatore            - Ci sei caduto, Giuseppe. Com'hai ben detto, ormai ti conosco: con in tasca il permesso (glielo porge firmato) di fare le sommosse e di portare il cappello arancione, tu, domani stesso, indosserai il vestito verde ed entrerai finalmente nella .comunità.

Giuseppe                     - (avvilito, prende il permesso, ma non lo intasca).

Il Governatore            - (al ministro) Consegnategli, signor ministro, la parte di danaro e di proprietà che gli spetta, come membro della comunità.

Il Ministro                   - (imbarazzato) Subito, o domani?

Il Governatore            - Subito.

Il Ministro                   - Vedete, Eccellenza... (Sembra che non sappia dire più nulla, confuso com'è, e preoccupato, ma improvvisamente un pensiero lo rianima) Permettete, Ec­cellenza, che parli a voi solo?

Giuseppe                     - (si scosta, e va verso Pangolo dov'è la ban­diera).

Il Ministro                   - (indicando Giuseppe) E' l'unica anima, Eccellenza, che sia rimasta nell'isola idi Corcira. Non soffochiamola. Fra tante migliaia di corpi, un'anima si può lasciarla. E Iddio, poi, noi lo sappiamo, esiste: Giuseppe è suo amico, la sera si fanno compagnia. Non si sa mai. Lasciamogli fare le sommosse. (Vede che il Go­vernatore è convinto, e rivolgendosi a Giuseppe) Resti­tuiscimi il permesso, Giuseppe. Sua Eccellenza il Gover­natore ti lascia andare, e non gl'importa che tu faccia sommosse o no.

Giuseppe                     - (restituisce il permesso) Posso andare dav­vero? Col mio cappello?

Il Governatore            - (fa cenno di sì).

Giuseppe                     - Con la mia bandiera? (\La prende).

Il Governatore            - (fa cenno di sì).

Giuseppe                     - (commosso) Grazie, lo dirò a lui, stasera, sulla cima della montagna. (Leva una mano verso il cielo, intendendo dire che lo dirà a Dio).

Il Governatore            - A...?

Giuseppe                     - Sì, a Dio.

Il Governatore            - (in un impeto) Sentite, Giuseppe: volete una bandiera nuova, una bella, una grande ban­diera con la quale fare delle bellissime sommosse?

Giuseppe                     - (tentato) Colorata?

Il Governatore            - Colorata.

Giuseppe                     - (sembra che accetti. Poi, commosso) Vi chiedo scusa, Eccellenza; perdonatemi tanto, ma prefe­risco lo straccetto mio. (S'avvia verso la porta; trascorsa lentamente la sala, esce).

Il Ministro                   - (dopo una lunga pausa, al Governatore, pensierosissimo, che non lo ascolta) Perciò, Eccellenza, il danaro posso tenerlo?

FINE