La sonata dei fantasmi

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LA SONATA DEI FANTASMI

Commedia in tre atti

di AUGUST STRINDBERG

PERSONAGGI

IL VECCHIO, direttore Hummel

LO STUDENTE, Archenholz

LA RAGAZZA DEL LATTE (apparizione)

LA PORTINAIA

IL MORTO, Console

LA SIGNORA IN NERO, figlia del Morto e della Portinaia.

IL COLONNELLO

LA MUMMIA, moglie del Colonnello

LA SIGNORINA, di nome Adele, creduta la fi­glia del Colonnello,

in verità figlia del Vecchio.

IL SIGNORE DISTINTO, di nome Barone Skanskorg,

promesso sposo della figlia della Por­tinaia

LA FIDANZATA, un tempo promessa sposa ad Hummel,

una vecchia dai capelli bianchi

JOHANSSON, servitore di Hummel

BENGTSSON, domestico del Colonnello

LA CUOCA del Colonnello

ATTO PRIMO

 Piano a terra e primo piano della facciata di una casa moderna; ma se ne vede soltanto l'an­golo, che al piano a terra termina con una salone rotondo e al primo piano con un balcone, donde sporge un'asta di bandiera. Attraverso la finestra aperta del salone roton­do, quando le tende siano riunite ai lati, si vede la statua in marmo bianco di una giovane don­na; la statua è circondata dì palme e illuminata vivamente dai raggi del sole. Alla finestra a si­nistra vi sono vasi di giacinto, azzurri, bianchi, rossi. Sulla ringhiera del balcone al primo piano è buttata una coperta da letto in seta azzurra e due cuscini bianchi. Le finestre a sinistra sono coperte con lenzuola bianche[1]. È una chiara mattinata domenicale. Dinanzi alla casa, sul primo piano della sce­na, vi è una panchina verde; a destra, ugualmen­te sul primo piano della scena, una fontana pub­blica; a sinistra una colonna da affissioni. A sini­stra, nel fondo della scena, la porta d'ingresso della casa, e si intravvede la scalinata; i gradini sono di marmo bianco, la ringhiera è di mogano con la sbarra d'ottone; all'esterno, da ciascun lato della porta vi sono alberi d'alloro in vasi orna­mentali. A sinistra della porta di casa vi e una fi­nestra con uno specchio a riflettore. L'angolo ov'è il salone rotondo da su di una strada trasversale, che si perde nello sfondo. Quando si leva il sipario si ode di lontano il suono delle campane di varie chiese. Ambedue i battenti del portone di casa sono aperti; la Si­gnora in nero sta immobile sulla scalinata. La Portinaia scopa l'andito; poi ella pulisce gli ot­toni della porta; quindi innaffia le piante d'alloro dinanzi ad essa. In una carrozzella a sdraio, presso la colonna delle affissioni, e seduto il Vec­chio, che legge i giornali; ha capelli bianchi e barba bianca, e porta occhiali. La Ragazza del latte se ne viene dall'angolo della strada, por­tando la bottiglia in un paniere di filo di ferro; è vestita con abiti estivi, scarpe scure, calze nere e un berretto bianco.

La ragazza                     - (si toglie il berretto e lo appende alla fontana; si asciuga il sudore della fronte, beve un sorso dal ramaiuolo della fontana, si lava le mani, riordina i capelli e si specchia nell'acqua. La campana di un piroscafo suona, e le note basse dell'organo di una chiesa vicina giun­gono di quando in quando nel silenzio d'attorno).

Lo studente                   - (dopo un minuto di profondo silenzio, quando la Ragazza ha terminato di ac­conciarsi, entra da sinistra ancora mal desto, non si è fatta la barba; va alla fontana. Pausa). Posso avere il ramaiuolo?

La ragazza              - (tira a sé il ramaiuolo).

Lo studente             - Non hai ancora finito?

La ragazza                     - (lo fissa, spaventata).

Il vecchio                - (a parte) Con chi parla? Non vedo nessuno! È pazzo? (Pro­segue a considerarlo con grande stupore).

Lo studente                   - Perché mi fissi così? Ho un tale aspetto da far spavento?... Sì, non ho dormito stanotte e natu­ralmente tu credi che io sia stato fuori di casa a spassarmela...

La ragazza                     - (come sopra).

Lo studente             - E che io abbia bevuto? odoro di alcool?

La ragazza              - (come sopra).

Lo studente             - Non mi son fatta la barba, lo so... dammi un sor­so d'acqua, ragazza, lo merito! (Pausa) Eh, ti debbo dunque dire che tutta la notte ho bendato feriti e vegliato malati; di fatti ieri sera c'ero anch'io dov'è crollata la casa... Ora lo sai! (La Ragazza riempie il ramaiuolo e gli offre da be­re) Grazie!

La ragazza              - (rimane immobile).

Lo studente                   - (lentamente) Vuoi farmi un grande servizio? (Pausa) Ecco qua: i miei occhi sono infiammati, come vedi, ma le mie mani hanno toccato feriti e morti; perciò non posso senza pericolo lavarmi gli oc­chi: vuoi prendere il mio fazzoletto pulito, inu­midirlo di acqua fresca e bagnarne i miei po­veri occhi? Vuoi? Vuoi essere la buona sa­maritana?

La ragazza                     - (con timidezza fa ciò ch'egli le chiede).

Lo studente             - Grazie, cara bimba! (Toglie di tasca il portamo­nete).

La ragazza              - (ha un gesto di rifiuto).

Lo studente                   - Perdona la mia sbadataggine, ma sono ubriaco di sonno...

La ragazza                     - (esce).

Il vecchio                - (allo studente) Mi scusi se le rivolgo La parola, ma sento che lei ha assistito ieri alla catastrofe... Stavo appun­to leggendo nei giornali...

Lo studente                   - È già sui giornali?

Il vecchio                      - Sì, tutto! ed anche la sua fotografia, ma ci si la­menta di non sapere il nome del coraggioso stu­dente...

Lo studente                   - (guarda il giornale) Ah, sì? Infatti sono io, sì!

Il vecchio                      - Con chi parlava or ora?

Lo studente                   - Non ha visto? (Pausa).

Il vecchio                      - Sarebbe indiscreto chiederle il suo nome?

Lo studente             - A quale scopo? Non mi piace la pubblicità; si è lodati, ma si è anche biasimati! L'arte della diffamazione è in gran fiore... d'altronde io non chiedo alcun compenso...

Il vecchio                      - Forse lei è ricco?

Lo studente                   - Per niente, al contrario: sono povero!

Il vecchio                      - Ascolti un po'... credo di aver già udita altre vol­te la sua voce... Avevo un amico di giovinezza... Lei non sarebbe forse imparentato con il grande commerciante Archenholz?

Lo studente                   - Era mio padre.

Il vecchio                      - Mirabili sono le vie del destino... Vidi lei quand'era un bimbetto, e per il vero in circostanze particolarmente penose...

Lo studente                   - Sì, a quanto pare venni al mondo durante un fallimento...

Il vecchio                      - Per l'appunto!

Lo studente                   - Posso pregarla forse di dirmi il suo nome?

Il vecchio                      - Sono il direttore Hummel...

Lo studente                   - Lei è... Oh, mi ricordo!

Il vecchio                      - Ha udito di sovente pronunciare il mio nome in casa sua?

Lo studente                   - Sì!

Il vecchio                      - E forse con qualche animosità?

Lo studente             - (tace).

Il vecchio                      - Oh, lo immagino! Si diceva che io avevo rovi­nato suo padre? Di solito, quelli che si rovinano con stupide speculazioni pretendono di esser sta­ti rovinati da chi non si è lasciato infinocchiare. (Pausa) In verità le cose stanno così: suo padre mi derubò di diciassette mila corone, ch'erano allora tutti i miei risparmi.

Lo studente             - È strano che una vicenda possa essere raccon­tata in due modi tanto diversi.

Il vecchio                      - Ma lei non vorrà credere che io dica il falso?

Lo studente                   - Che cosa debbo credere? Mio padre non men­tiva!

Il vecchio                      - È vero; un padre non mentisce mai... ma anch'io sono padre e quindi...

Lo studente                   - Che cosa ne conclude?

Il vecchio                      - Ho salvato suo padre dalla miseria e me ne ri­compensò con il tremendo odio, che proviene da un obbligo di riconoscenza... insegnò alla sua fa­miglia a sparlare di me.

Lo studente                   - Forse lei lo rese ingrato, avvelenandogli il be­nefizio con umiliazioni inutili?

Il vecchio                      - Qualsiasi benefizio è umiliante, signore.

Lo studente                   - Che cosa vuole da me?

Il vecchio                      - Non domando danaro, ma se vuoi rendermi qual­che piccolo servigio, mi riterrò ben pagato. Lei vede, sono infermo: alcuni dicono per mia col­pa, altri ne accusano i miei genitori, io crederei piuttosto che colpevole sia la vita stessa con le sue insidie; si evita uno dei suoi trabocchetti e si cade in un altro! Così io non posso salire di corsa le scale e neppure tirare i cordoni dei cam­panelli; e perciò le dico: mi aiuti!

Lo studente                   - Che cosa posso fare?

Il vecchio                      - Per prima cosa: spinga la mia poltrona più vi­cino alla colonna, sicché io possa leggere gli af­fissi; voglio vedere che cosa si da stasera a teatro...

Lo studente             - (spinge la carrozzella) Non ha un domestico?

Il vecchio                      - Sì, ma doveva fare una commissione... ritorna subito... Lei è medico?

Lo studente                   - No, studio le lingue; del resto non so che cosa diventare...

Il vecchio                      - Oh! Sa di matematica?

Lo studente                   - Sì, abbastanza.

Il vecchio                      - Bene! Vorrebbe forse avere un impiego?

Lo studente                   - Eh, perché no?

Il vecchio                      - Bene! (Legge un manifesto) Danno la « Walkiria » in mattinata... Il Colonnello con sua figlia vi sarà, sempre allo stesso posto, nelle ultime poltrone della sedicesima fila; ed io scelgo per lei il posto vicino al loro... Voglia andare nel chiosco del telefono e fissare una poltrona nella sedicesima fila, numero 82!

Lo studente                   - Debbo andare all'opera, oggi?

Il vecchio                      - Sì! e deve ubbidirmi, e sarà bene per lei! Voglio farla felice, ricco e onorato! Ieri ha agito co­raggiosamente durante l'incendio, come un sal­vatore, il che domani la farà celebre, e il suo nome avrà valore.

Lo studente                   - (va verso il chiosco del telefono) Ecco un'avventura divertente...

Il vecchio                      - Lei è uomo sportivo?

Lo studente                   - Sì, per mia sventura...

Il vecchio                      - Ebbene, ciò ormai le porterà fortuna! Ora tele­foni! (Legge il giornale). (La Signora vestita di nero è uscita in istrada e parla con la Portinaia. Il Vecchio ascolta, ma il pubblico non ode).

Lo studente             - (ritorna).

Il vecchio                      - Ha preso il posto?

Lo studente                   - Sì.

Il vecchio                      - Vede codesta casa?

Lo studente                   - Sì, l'osservavo ieri passando di qui, mentre il sole ne illuminava le finestre... e immaginavo tutta la bellezza e il lusso che vi deve essere là dentro e dissi ad un camerata: Oh, abitare in codesta casa, al quarto piano, assieme ad una giovane e bella moglie e due graziosi bimbi, e aver venti­mila corone di rendita...

Il vecchio                      - Lei disse così? così? Veda un po', la casa piace anche a me...

Lo studente                   - Lei specula sugli stabili?

Il vecchio                      - Eh... sì! ma non come lei crede!

Lo studente                   - Conosce chi vi abita?

Il vecchio                      - Tutti: alla mia età si conosce tutti; i padri, i nonni, e in qualunque modo si è sempre impa­rentati con loro... Ho da poco compiuto gli ottant'anni, ma nessuno mi conosce veramente - io mi interesso del destino degli uomini... (Si aprono le tende nel salone rotondo; il Co­lonnello compare dinanzi alla finestra, in civile; guarda il termometro, poi di nuovo si ritira, e si ferma davanti alla statua di marmo).

Il vecchio                      - Vede? Ecco il Colonnello; oggi siederà vicino a lui, a teatro...

Lo studente                   - Costui è il Colonnello? non capisco nulla di ciò; mi sembra una favola...

Il vecchio                      - La mia vita è come un libro di fiabe, signore, e benché le fiabe siano tutte diverse, sono unite da un filo, e il motivo essenziale ne ritorna re­golarmente.

Lo studente                   - Quella statua chi rappresenta?

Il vecchio                      - La moglie, naturalmente...

Lo studente                   - Era davvero tanto leggiadra?

Il vecchio                      - Hem, sì, sì!

Lo studente                   - Si spieghi francamente!

Il vecchio                      - Non possiamo dar giudizio di nessuno, mio caro ragazzo! E se dicessi ch'egli la batteva, ch'ella lo abbandonò, che poi ritornò da lui, che si rispo­sò con lui di nuovo, e che ora se ne sta là den­tro, come una mummia e venera la propria sta­tua, lei penserebbe ch'io sia pazzo.

Lo studente             - Non so capire!

Il vecchio                      - Lo credo bene! E poi ecco la finestra decorata da giacinti! Vi abita la figlia... è uscita a cavallo, ma fra poco ritornerà a casa...

Lo studente                   - Chi è la signora in nero che parla con la por­tinaia?

Il vecchio                      - Già, ecco, codesta faccenda è piuttosto compli­cata, ed è in rapporto con il morto lassù, dove vede quelle lenzuola bianche...

Lo studente                   - Chi era costui?

Il vecchio                      - Un uomo come noi, ma ciò che più ne appariva era la sua vanità... Se lei fosse dotato di una se­conda vista come i bimbi nati la domenica, lo vedrebbe fra poco uscire dal portone della casa per considerare la bandiera del consolato a mezz'asta, poiché era Console ed amava le corone, i leoni rampanti, le insegne e le decorazioni..

Lo studente                   - Lei parlava di bimbi nati la domenica - ma io sono proprio nato di domenica...

Il vecchio                      - No, davvero?... me lo immaginavo... Lo vidi dal colore dei suoi occhi... Ma allora può vedere quel che gli altri non vedono, non se n'è accorto?

Lo studente                   - Non so che cosa gli altri vedono, ma a volte... sì, di queste cose non si parla!

Il vecchio                      - N'ero già press'a poco persuaso! A me può par­lare di queste cose... perché io la capisco...

Lo studente                   - Ieri, ad esempio! Qualcosa mi trasse verso quel­la strada appartata, ove poi la casa crollò... giun­si colà e mi fermai dinanzi all'edificio, che pur non avevo mai prima veduto. Ed ecco osservai una fessura nel muro, udii lo scricchiolio dei soffitti... mi buttai innanzi e afferrai un bimbo, che camminava lungo la parete. Un attimo dopo la casa crollava... io ero salvo, ma nelle mie brac­cia, ove credevo di stringere il bimbo, non vi era nulla...

Il vecchio                      - Debbo dirle che... Mi spieghi una cosa: perché or è poco, presso la fontana, gestiva tanto? e per­ché parlava da solo?

Lo studente                   - Non ha visto la ragazza del latte con la quale parlavo?

Il vecchio                      - (inorridito) La ragazza del latte?

Lo studente             - Sì, certo, che mi offrì da bere!

Il vecchio                      - Davvero? così dunque?... Io non so vedere, ma son capace d'altro... (Ora una donna con i capelli bianchi siede alla finestra ove lo specchio a ri­flettore). Vede la vecchia alla finestra? La vede? Bene! un tempo fu la mia promessa sposa, or sono sessant'anni! Io avevo vent'anni! Non abbia timore, non mi riconosce! Ci vediamo ogni giorno, ma senza che io ne abbia la minima im­pressione, benché allora ci fossimo giurati a vi­cenda eterna fedeltà, - eterna!

Lo studente             - Lei fu allora assai imprudente! noi non parlia­mo più così alla nostra ragazza!

Il vecchio                      - Ci perdoni, giovanotto; noi non sapevamo far di meglio! Ma lei può vedere che quella vecchia fu giovane e bella?

Lo studente             - No, non lo si vede più! Però lo sguardo è bello; gli occhi non li vedo! (La Portinaia esce con una cesta e sparge per terra rami di pino).

Il vecchio                      - Già, la portinaia! La signora in nero è sua fi­glia, avuta dal morto, e perciò il marito ottenne il posto di portiere... Ma la signora in nero ha un pretendente, che è un signore distinto, ed ella spera di diventar ricca... Egli sta appunto divor­ziando dalla moglie, che gli regala una casa per liberarsi di lui. Codesto distinto pretendente è genero del morto e lei vede che lassù, sul bal­cone, si da aria alla sua coperta da letto e ai cuscini... Tutto ciò è complicato, temo!

Lo studente             - Terribilmente complicato!

Il vecchio                      - Sì, lo è, interiormente ed esteriormente, anche se può sembrar semplice.

Lo studente             - Ma chi è dunque il morto?

Il vecchio                      - Me lo chiese or è poco e le risposi: se lei potesse vedere sino al di là dell'angolo, ov'è la scala di servizio, vedrebbe una folla di poveri, ch'egli soccorreva, quando se ne ricordava...

Lo studente             - Era dunque un uomo misericordioso?

Il vecchio                      - Sì, a volte.

Lo studente                   - Non sempre?

Il vecchio                      - No!... così sono gli uomini! Spinga un poco più oltre la carrozzella costà al sole, per favore, ho talmente freddo; quando non ci si può muovere, il sangue si coagula... Debbo morire presto, lo so, ma prima ho qualcosa ancora cui dare ordi­ne... Mi dia la mano, senta come ho freddo.

Lo studente             - Oh, davvero non poco! (Arretra).

Il vecchio                      - Non mi lasci! Sono stanco, sono solo, ma non lo fui sempre, mi comprenda! Ho dietro di me una vita lunghissima - interminabilmente lunga - resi infelici altri uomini, altri mi resero infelice; l'una cosa deve pareggiare l'altra. Ma prima di morire voglio vedere lei felice... Il mio de­stino e il suo sono intrecciati assieme, per il tra­mite di suo padre, - e per altre ragioni ancora...

Lo studente                   - Ma lasci la mia mano! Lei mi toglie ogni forza; mi agghiaccia. Che cosa vuole?

Il vecchio                      - Pazienza: lo vedrà e comprenderà... Ecco la si­gnorina...

Lo studente                   - La figlia del Colonnello?

Il vecchio                      - Sì, la figlia! La guardi! vide mai un simile ca­polavoro?

Lo studente                   - Assomiglia alla statua di marmo là dentro...

Il vecchio                      - Sì, quella è sua madre!

Lo studente                   - Ha ragione, mai vidi una simile donna, che fosse nata da donna... Felice l'uomo cui sia concesso di condurla all'altare ed in casa propria.

Il vecchio                      - Lei è capace di veder la sua bellezza! Non tutti lo sanno intendere... Bene, così è scritto.

La signorina                  - (entra da sinistra, in costume di amazzone, alla moda, e lentamente s'inoltra, sen­za guardare nessuno, sino al portone di casa; colà si ferma e dice alcune parole alla Portinaia; poi entra in casa).

Lo studente                   - (si copre gli occhi con la mano).

Il vecchio                      - Piange?

Lo studente             - Soltanto la disperazione rimane a chi non può sperare.

Il vecchio                      - Posso aprire porte e cuori, pur ch'io trovi un braccio ubbidiente al mio volere... Mi serva e dominerà...

Lo studente             - È forse un patto, questo? debbo vendere la mia anima?

Il vecchio                      - Non deve vendere niente! Mi capisca: duran­te tutta la mia vita io ho preso; ora anelo a donare! donare! ma nessuno vuoi ricevere... So­no ricco, ma senza eredi, salvo un tanghero che mi tormenta a morte... Mi sia lei come un figlio, sino a quando sono in vita - goda lei la vita mentre io la contemplo, sia pure di lontano...

Lo studente             - Che cosa debbo fare?

Il vecchio                      - Dapprima andare alla « Walkiria »!

Lo studente             - È già deciso... e poi?

Il vecchio                      - Stasera lei sarà nel salone rotondo.

Lo studente             - E come è possibile?

Il vecchio                      - Ascoltando la « Walkiria »!

Lo studente             - Perché lei ha scelto proprio me per farle da medium? mi conosceva già?

Il vecchio                      - Sì, naturalmente; da lungo tempo il mio sguar­do la segue... Ma veda, veda là sul balcone: la donna di casa alza la bandiera, però a mezz'asta, perché il Console è morto... E poi rovescia la co­perta del letto e i cuscini. Vede la coperta az­zurra? Sotto di essa un tempo due hanno dor­mito ed ora soltanto uno...

La signorina                  - (appare con un altro abito alla finestra e innaffia i giacinti).

Il vecchio                      - Ecco la mia figlioletta: la guardi, la guardi! par­la coi fiori - e lei stessa non è simile al giacinto azzurro? da loro da bere, soltanto acqua pura, ed essi trasformano l'acqua in colore e profu­mo... Ora ecco il Colonnello col giornale - e le mostra il crollo della casa... Ecco... le indica il ritratto del salvatore, ed ella non vi è indif­ferente... legge della sua azione... Mi pare che il cielo si rannuvoli; e se piovesse? sarei in un bell'impiccio qui, se Johansson non torna presto... (Il cielo si rannuvola e si oscura; la vecchia allo specchio a riflettore chiude le finestre).

Il vecchio                      - Ora la mia sposa chiude la finestra... ha settan­tanove anni... Lo specchio a riflettore è l'unico di cui ella faccia ancora uso, poiché non vi si guarda, ma vede soltanto il mondo esteriore, e da due lati; ma il mondo la può vedere, ed a ciò essa non ha pensato... Una bella vecchia don­na, del resto...

Il morto                         - (in abito mortuario appare alla soglia della casa).

Lo studente             - Signore Iddio, che cosa vedo?

Il vecchio                      - Che cosa?

Lo studente             - Non vede il morto all'ingresso della casa?

Il vecchio                      - Non vedo nulla, ma mi ci attendevo! Racconti...

Lo studente                   - Esce in istrada... (Pausa) Ora leva il capo e guar­da la bandiera...

Il vecchio                      - Che cosa le avevo detto? e di sicuro conterà le corone di fiori e leggerà i biglietti da visita... Guai a coloro che mancano!

Lo studente             - Ora gira l'angolo della strada.

Il vecchio                      - Vuoi contare i poveri rimasti all'ingresso di ser­vizio... uno stuolo di poveri è decorativo: «Le benedizioni di molti poveri lo accompagnava­no... ». Ma la mia benedizione non gliela do! Era un gran briccone... detto fra di noi.

Lo studente                   - Ma benefico...

Il vecchio                      - Un briccone benefico, che pensò sempre a predisporsi un bel funerale... Quando sentì di esser vicino a morire si affrettò ancora a rubare allo Stato cinquantamila corone... Ora sua figlia si riposa e vorrebbe sapere se l'eredità... Il bric­cone ascolta tutto ciò che diciamo, e gli sta be­ne! Ecco Johansson!

Johansson                      - (entra da sinistra).

Il vecchio                      - Fammi il tuo rapporto.

Johansson                      - (parla sottovoce).

Il vecchio                      - Dunque, non in casa? Sei un asino! E il te­legrafo? Nulla! Prosegui! Alle sei di sera? bene! Edizione straordinaria? II nome intero! studente Archenholz, nato il... da... be­nissimo. Temo che cominci a piovere... Che essa disse? Già, così, eh? non vuole? Ma dovrà! Viene qui il signore distinto! Spingimi sino all'angolo, Johansson, così da udire quel che dicono i poveri... E lei, Archenholz, mi aspetti qui... capito? Affrettati, presto!

Johansson                      - (spinge la carrozzella sino all'an­golo).

Lo studente                   - (immobile, guarda la Signorina che cura i fiori).

Il Signore distinto         - (in lutto, s'inoltra e parla alla Signora in nero, che passeggia sa e giù per il marciapiedi) Sì, che cosa ci si può fare? Dobbiamo atten­dere!

La signora                     - Io non posso attendere!

Il Signore distinto   - Così sta la cosa? vai in campagna.

La signora                     - Non voglio!

Il Signore distinto   - Vieni qui, altrimenti si sente ciò che diciamo. (Vanno dietro la colonna delle affissioni e pro­seguono il colloquio, senza che lo si oda).

Johansson               - (da destra, allo studente) 11 mio padrone la prega di non dimenticare l'al­ tra faccenda!

Lo studente             - (lentamente) Mi dica un po': chi è il suo padrone?

Johansson                      - Già! È tante cose ed è stato di tutto...

Lo studente                   - È in senno?

Johansson                      - Già, che cosa dire? per tutta la sua vita cercò un ragazzo nato di domenica, dice, ma può darsi che non sia vero...

Lo studente             - Che cosa vuole? è avaro?

Johansson                      - Vuole dominare... L'intero giorno se ne va in giro nella sua carrozzella come il dio Thor sul suo carro... esamina le case, le abbatte, apre strade, costruisce piazze; ma inoltre penetra nelle case, vi scivola dentro per La finestra, gioca con la sor­te degli uomini, uccide i suoi nemici, e non per­dona mai. Può immaginarsi lei che codesto po­vero paralitico fu un Don Giovanni, benché sia sempre stato abbandonato dalle sue donne?

Lo studente             - E come si può spiegare che lo abbandonassero?

Johansson                      - È talmente astuto da riuscire a persuadere le donne ad andarsene, quando ne è stanco... Ma ora è come un ladro ad un mercato di mercé umana; e ruba uomini, in vari modi... Ad esem­pio, mi ha letteralmente rubato dalle mani della giustizia... Avevo commesso un errore, ehm! del quale egli solo era a conoscenza: invece di but­tarmi in prigione, fece di me il suo schiavo; lo servo e ne ho per compenso il solo vitto, e non il migliore...

Lo studente             - Che cosa vuoi fare in codesta casa?

Johansson                      - Non lo vorrei dire! È talmente complicato...

Lo studente             - Credo che per me sia meglio andarmene...

Johansson                      - Non vede che la signorina ha perduto il suo brac­cialetto? le è caduto dalla finestra... (La Signo­rina ha infatti lasciato cadere il suo braccialetto dalla finestra aperta).

Lo studente             - (lentamente si avvicina, prende il braccialetto e lo porge alla Signorina, la quale ringrazia piuttosto seccamente; quindi egli se ne ritorna presso di Johansson).

Johansson                      - Dunque lei vuole andarsene?... non è facile come si crede, quando il vecchio abbia buttato la sua rete attorno a qualcuno... costui non teme nulla in cielo e in terra., cioè una cosa teme, o meglio una persona...

Lo studente             - Aspetti, forse io so di chi teme!

Johansson                      - Come lo può sapere?

Lo studente             - Lo indovino! Ha paura... di una piccola lattivendola!

Johansson                      - Volge sempre il viso, quando incontra un carro del latte... e poi parla in sonno; e fu di sicuro una volta ad Amburgo...

Lo studente             - Si può credere ad un tale uomo?

Johansson                      - Di lui si può credere... tutto!

Lo studente             - Che cosa fa ora costà all'angolo?

Johansson                      - Spia i poveri... butta una parola, lascia cadere una pietra, e poi la casa precipita... detto figu­rativamente... Vede, io sono un uomo colto e sono stato libraio... Ora lei vuoi andarsene?

Lo studente             - Mi riesce penoso essere ingrato... Quest'uomo sal­vò mio padre, un tempo, ed ora mi chiede in con­traccambio soltanto una cortesia...

Johansson                      - E che cosa vuole?

Lo studente             - Che io vada a udir la « Walkiria »...

Johansson                      - Non so capire... Ma ha sempre nuove fantasie... Vede, ora parla con la guardia di città... è sem­pre in buon accordo con la polizia, vi ricorre di continuo, la fa entrare nelle sue faccende, la lega con promesse false e con illusioni, e di continuo ne ottiene informazioni. Vedrà che prima di not­te riuscirà a farsi ricevere nel salone rotondo!

Lo studente                   - Ma per quale scopo? che cos'ha con il Colon­nello?

Johansson                      - Lo intuisco, ma non lo so! Lei stesso vedrà, poi­ché lo seguirà nella casa.

Lo studente                   - Non potrò mai entrarvi! Vada alla « Walkiria »!

Johansson                      - Ciò dipende da lei!

Lo studente                   - Questa è la via?

Johansson                      - Si, s'egli l'ha detto. Guardi, lo guardi sul suo carro di guerra, condotto in trionfo dai mendi­canti, che non ne ricevono neppure un centesi­mo, soltanto un cenno, che forse, al suo fune­rale, lascerà loro qualcosa!

Il vecchio                      - (se ne ritorna, in piedi sulla car­rozzella, tirata da un mendicante, mentre gli al­tri seguono) Fate onore al nobile giovane, che con pericolo della propria vita ha salvato tanta gente, nella catastrofe di ieri! Evviva Archenholz!

I mendicanti                  - (si scoprono, ma senza gridare evviva).

La signorina                  - (alla finestra, saluta agitando il fazzoletto).

Il colonnello                  - (dalla sua finestra fissa la scena).

La vecchia              - (si affaccia alla sua finestra).

La ragazza                     - (sul balcone, alza tutta la ban­diera).

Il vecchio                      - Applaudite, cittadini! Veramente è domenica, ma l'asino alla fontana e le spighe nel campo ci as­solvono; e benché io non sia nato di domenica, ho spirito divinatore e conosco l'arte di guarire, e una volta richiamai alla vita una donna anne­gata... sì, fu ad Amburgo, in una mattinata dome­nicale, come oggi...

La ragazza                     - (appare, veduta però soltanto dal vecchio e dallo studente; allunga le braccia ver­so l'alto come chi affoghi e fissa il vecchio).

Il vecchio                      - (siede, rattrappito per lo spavento) Johansson! portami via! Presto! Archenholz, non dimentichi la « Walkiria »!

Lo studente                   - Che cosa significa tutto ciò?

Johansson                      - Oh, vedrà, vedrà!

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

II salone rotondo. Nel fondo, una stufa in ma­iolica con specchio, pendola e candelabri. A de­stra, il vestibolo da su di una camera verde con mobili di mogano; a sinistra la statua, all'ombra delle palme; e può esser nascosta da una tenda. A sinistra nel fondo una porta conduce alla ca­mera dei giacinti, ove la Signorina è seduta e legge. Si vede il Colonnello, seduto e, volgendo la schiena, occupato a scrivere nella camera verde. Bengtsson, il domestico in livrea, entra dal vestibolo con Johansson in frack e cravatta bianca.

Bengtsson                     - Ora deve badare al servizio, Johansson, mentre io appenderò i mantelli. Ne è capace?

Johansson                      - Di giorno, come lei sa, conduco un carro di guer­ra, ma la sera sono solito servire a tavola in so­cietà e fu sempre il mio sogno di entrare in que­sta casa... Sono gente strana, è vero?

Bengtsson                     - Sì, sì, piuttosto insolita, si può dirlo!

Johansson                      - È una serata di musica, o che cosa?

Bengtsson                     - L'abituale pranzo degli spettri, come si usa chia­marlo! Bevono té, non dicono una parola; al più il Colonnello parla, lui solo, e frattanto gli altri rosicchiano biscotti, tutti assieme; e si sente quel rosicchiare come se fossero topi nel solaio.

Johansson                      - Perché lo chiamate: il pranzo degli spettri?

Bengtsson                     - Sembrano spettri... e la cosa dura da venti anni, sempre con la stessa gente; dicono le stesse cose o tacciono, per non doversi vergognare.

Johansson                      - Non vi è anche una padrona di casa?

Bengtsson                     - Sicuro, ma è pazza: se ne sta seduta in un came­rino, che serviva da guardaroba, perché i suoi occhi non sopportano la luce... È costì... (Mostra un uscio dissimulato nella parete).

Johansson                      - Là dentro?

Bengtsson                     - Sì! lo dissi che è stramba!

Johansson                      - Ma che aspetto ha?

Bengtsson                     - Sembra una mummia... La vuoi vedere? (Apre l'uscio nella parete) Eccola!

Johansson                      - Dio del cielo!

La mummia                   - (borbottando) Perché apre la porta? Non dissi che deve restar chiusa?

Bengtsson                     - (imitandola) Ta, ta, ta, ta! La pazzerelli deve esser savia e avrà qualcosa di buono. Bel pappagallo, cocò!

La mummia                   - (come un pappagallo) Bel pappagallo, cocò! Giacobbe è costì? Currre!

Bengtsson                     - Crede di esser un pappagallo e può ben darsi, poiché si comporta come se lo fosse... Polly, fi­schiaci qualcosa!

La mummia             - (fischia).

Johansson                      - Ho veduto molte cose, ma come questa, mai!

Bengtsson                     - Quando una casa invecchia, ammuffisce, e quan­do degli esseri umani se ne stanno a lungo as­sieme e si tormentano a vicenda, imbecilliscono. Questa donna, la padrona di casa - silenzio, Polly! questa mummia durante quarant'anni è stata qui: lo stesso marito, gli stessi mobili, gli stessi parenti, gli stessi amici... (Chiude l'uscio del camerino ove la Mummia) E quel che è ac­caduto in questa casa, non ne so molto... Vede quella statua? è la signora, quand'era giovane.

Johansson                      - Signore Iddio! questa è La mummia?

Bengtsson                     - Sì! C'è da piangere! Ma questa donna, per forza d'immaginazione o non so come altrimen­ti, ha acquistate alcune qualità dell'uccello chiac­chierone... Non sa sopportare gli infermi, i ma­lati... neppure sua figlia, perché è malata...

Johansson                      - La signorina è malata?

Bengtsson                     - Non lo sapeva?

Johansson                      - No! E il Colonnello, chi è costui?

Bengtsson                     - Lo vedrà!

Johansson                      - (guarda la statua) È tremendo il considerare... Quanti anni ha ora la signora?

Bengtsson                     - Nessuno lo sa... ma si narra che quando aveva trentacinque anni ne dimostrasse non più di di­ciannove... e fece credere al Colonnello che ave­va compiuto allora diciannove anni... Qui in ca­sa... Sa a che cosa serve quel paravento giappo­nese nero, là, presso la poltrona a sdraio? Si chiama il paravento della morte, e lo si pone dinanzi a chi sta per morire, come negli ospe­dali...

Johansson                      - Ma questa casa è spaventosa... E lo studente de­siderava di entrare qui come se fosse il para­diso...

Bengtsson                     - Quale studente? Ah, già, quello che deve venire stasera... Il Colonnello e la signorina lo incon­trarono all'Opera e ambedue ne sono entusiasti... Hem!... Ma ora spetta a me il domandare: chi è il suo padrone, il direttore dalla carrozzella?

Johansson                      - Viene anche lui?

Bengtsson                     - Non è invitato.

Johansson                      - Allora, se del caso, verrà senza essere invitato...

Il vecchio                      - (appare nel vestibolo; è in redin­gote, cilindro e con le stampelle; striscia avanti e ascolta).

Bengtsson                     - Ha da esser un vecchio briccone, non è vero?

Johansson                      - Oh, sì!

Bengtsson                     - A vederlo, sembra il diavolo in persona!

Johansson                      - Ed è di sicuro uno stregone... perché passa attra­verso le porte chiuse...

Il vecchio                      - (viene avanti e prende Johansson per un orecchio) Manigoldo, bada a te! (A Bengtsson) Annunci al signor Colonnello la mia visita.

Bengtsson                     - Ma si aspettano ospiti...

Il vecchio                      - Lo so! Ma la mia visita è... attesa, seppure non desiderata.

Bengtsson                     - Ah, sì? e com'è il nome? il signor direttore Hummel?

Il vecchio                      - Appunto!

Bengtsson                     - (attraversa il vestibolo, va nella ca­mera verde, della quale chiude la porta dietro di se).

Il vecchio                      - (a Johansson) Tu, vattene!

Johansson                      - (esita).

Il vecchio                      - Vattene.

Johansson                      - (esce, attraversando il vestibolo)

Il vecchio                      - (esamina la stanza; si sofferma di­nanzi alla statua, preso di ammirazione) Amelia! È lei... lei!    - (Gira per la stanza, tocca i soprammobili, ricompone la sua parrucca dinan­zi alla specchiera; ritorna a veder la statua).

La mummia                   - (dal camerino) Be-el pappagallo, cocò!

Il vecchio                      - (trasalendo) Che cosa c'è? vi è un pappagallo nella stanza? Non lo vedo!

La mummia                            - Giacobbe, sei costì?

Il vecchio                      - Ci sono gli spiriti!

La mummia                            - Giacobbe!

Il vecchio                      - Ho paura! Di tali segreti hanno in questa ca­sa! (Considera un quadro e volta le spalle al camerino) È lui! lui!

La mummia                   - (si avvicina al vecchio e gli tira la parrucca) Curre. Questo è Curre?

Il vecchio                      - (sussultando) Signore Iddio del Cielo! Che cos'è questo?

La mummia                   - (con voce umana) Sei tu, Giacobbe?

Il vecchio                      - Mi chiamo davvero Giacobbe.

La mummia                   - (commossa) E io Amelia!

Il vecchio                      - No, no, no... Gesù, Signore!

La mummia                            - Sì, così sono ora... ed ecco come ero! (Accenna alla statua) È edificante il vivere... vivo il più del tempo in questa guardaroba, per non veder nulla e per non esser veduta... Ma tu, Giacobbe, che cosa cerchi qui?

Il vecchio                      - La mia bimba, la nostra bimba...

La mummia                            - È là!

Il vecchio                      - Dove?

La mummia                            - Là, nella stanza dei giacinti!

Il vecchio                      - (guardando la Signorina). Sì, è lei! (Pausa) Che cosa dice suo padre! vo­glio dire il Colonnello, tuo marito.

La mummia                            - Un giorno ch'ero in collera con lui, gli dissi tutto...

Il vecchio                      - E così?

La mummia                            - Non mi volle credere, ma rispose: « Così dicono tutte le donne, quando vogliono uccidere il ma­rito! ». Comunque, fu un delitto atroce. Tutta la sua vita è falsa, anche la sua tavola genealogica! A volte leggo l'annuncio della nobiltà e penso: « Ha fatto un certificato civile falso come una ser­va; il che vien punito con i lavori forzati ».

Il vecchio                      - Molti fanno lo stesso: mi ricordo che tu mentivi il tuo anno di nascita...

La mummia                            - Mia madre mi aveva insegnato - non era colpa mia! Ma del nostro delitto tu hai la maggior colpa!

Il vecchio                      - No, tuo marito provocò questo delitto, quando mi prese la mia sposa! Ero fatto così da non sa­per perdonare prima di aver punito - consi­deravo ciò come un dovere imperioso... e così faccio ancora.

La mummia                            - Che cosa cerchi in questa casa? che cosa vuoi? coinè hai fatto ad entrare? Si tratta di mia figlia? Se la tocchi, dovrai morire.

Il vecchio                      - Voglio il suo bene.

La mummia                            - Ma devi rispettare suo padre.

Il vecchio                      - No!

La mummia                            - Allora devi morire in questa camera, dietro quel paravento!

Il vecchio                      - Può darsi... ma non posso lasciare la preda, quan­do l'ho fra i denti...

La mummia                            - Vuoi sposare la bimba con lo studente. Perché? non è nessuno e non ha niente!

Il vecchio                      - Lo farò ricco.

La mummia                   - Sei invitato, stasera?

Il vecchio                      - No, ma penso di farmi invitare al pranzo degli spettri.

La mummia                   - Sai chi sono gli invitati?

Il vecchio                      - Non precisamente.

La mummia                   - II barone... che abita qui sopra e il cui suocero fu sepolto oggi a mezzodì...

Il vecchio                      - Che vuoi divorziare per sposare la figlia della portinaia... e che fu il tuo amante!

La mummia                   - E poi ci sarà la tua promessa sposa di un tem­po, quella che fu sedotta da mio marito...

Il vecchio                      - Una bella riunione...

La mummia                   - Dio, se potessimo morire, se potessimo morire!

Il vecchio                      - Ma perché conservate i rapporti tra di voi?

La mummia                   - Delitti, segreti, colpe ci legano gli uni agli al­tri! Abbiamo rotte le relazioni, ci siamo sepa­rati innumeri volte - ma poi qualcosa ci riav­vicinava ancora...

Il vecchio                      - Mi pare che venga il Colonnello...

La mummia                   - Io vado da Adele... (Pausa) Giacobbe, pensa ciò che fai! risparmialo!... (Pausa. Ella esce).

Il colonnello                  - (entra, freddo, riservato) Prego, s'accomodi.

Il vecchio                      - (si siede, lentamente). (Pausa).

Il colonnello                  - (fissa il vecchio) Lei mi scrisse questa lettera?

Il vecchio                      - Sì.

Il colonnello            - Lei si chiama Hummel?

Il vecchio                      - Sì. (Pausa).

Il colonnello                  - Poiché ora so che lei ha acquistate tutte le mie cambiali e le mie obbligazioni, debbo riconosce­re di essere nelle sue mani. Che cosa vuole?

Il vecchio                      - Voglio esser pagato, in un modo o nell'altro.

Il colonnello                  - In qual modo?

Il vecchio                      - Un modo semplicissimo - non parlo di dana­ro - : mi riceva come ospite, in casa sua.

Il colonnello                  - Se una tale piccolezza le può esser utile...

Il vecchio                      - Grazie!

Il colonnello                  - E poi?

Il vecchio                      - Deve congedare Bengtsson!

Il colonnello                  - Perché mai? il mio fedele domestico, che ha tra­scorsa tutta la vita al mio servizio e che ha ot­tenuta la medaglia nazionale concessa ai servi­tori fedeli... perché lo dovrei congedare?

Il vecchio                      - Tutte queste belle cose esistono soltanto nella sua fantasia; egli non è quale sembra!

Il colonnello                  - E di chi non si potrebbe dire la stessa cosa?

Il vecchio                - (con un gesto di consenso) Questo è vero! Ma Bengtsson deve andarsene!

Il colonnello                  - Lei vuoi far da padrone in casa mia?

Il vecchio                      - Sì! poiché possiedo tutto ciò che si può vedere qui: mobili, tende, vasellame, biancheria... e più ancora...

Il colonnello                  - Che cosa ancora?

Il vecchio                      - Tutto! Tutto ciò che vi si vede lo possiedo, è mio!

Il colonnello                  - Bene, tutto ciò le appartiene! ma il mio blasone e il mio buon nome sono pur sempre miei!

Il vecchio                      - No, neppur questo! (Pausa) Lei non è nobile.

Il colonnello                  - Si vergogni!

Il vecchio                - (si toglie un documento di tasca) Se vuoi leggere questo estratto dalle cronache delle famiglie nobili, vedrà che la famiglia di cui lei porta il nome si è estinta da un secolo.

Il colonnello                  - (legge) Mi erano giunte voci di tal genere, ma ho ere­ditato il nome e il titolo da mio padre... (Legge) È vero: lei ha ragione... Non sono nobile! Nep­pur questo!... E quindi mi tolgo l'anello con il sigillo nobiliare. È vero, le appartiene... Prego!

Il vecchio                      - (intasca l'anello) E proseguiamo: lei non è neppur Colonnello!

Il colonnello                  - Non lo sono?

Il vecchio                      - No! Lei fu per qualche tempo colonnello in un corpo di volontari americani, ma dopo la guerra di Cuba e la riorganizzazione dell'armata tutti i vecchi gradi furono aboliti...

Il colonnello                  - Davvero?

Il vecchio                - (ponendosi la mano in tasca) Vuoi leggere?

Il colonnello                  - No, non occorre!... Chi è lei per aver il diritto di spogliarmi in tal modo?

Il vecchio                      - Lo saprà! Ma quanto allo spogliare, - lo sa chi è lei?

Il colonnello                  - Ma non si vergogna?

Il vecchio                      - Si tolga la parrucca e si guardi nello specchio, ma si tolga anche la dentiera, si rada i baffi, si faccia levare da Bengtsson il busto di ferro - e poi vedremo se Xyz, il domestico scroccone in una certa cucina... potrà riconoscersi!

Il colonnello                  - (vuoi afferrare il campanello posato sul tavolo, ma il Vecchio lo previene).

Il vecchio                      - Non tocchi il campanello, non chiami Bengtsson, o la faccio arrestare... Ora giungono gli ospiti - stia tranquillo, e continueremo a recitare la no­stra parte, come prima!

Il colonnello                  - Chi è lei! riconosco lo sguardo e il tono della voce...

Il vecchio                      - Non indaghi: taccia e ubbidisca!

Lo studente                   - (entra e s'inchina al Colonnello) Signor Colonnello!

Il colonnello                  - Benvenuto in casa mia, giovanotto. Il nobile con­tegno nella grave catastrofe ha fatto conoscere il suo nome a tutti ed io considero un onore il po­terla ricevere in casa mia...

Lo studente                   - Signor Colonnello, la mia umile origine... Il suo nome illustre e la sua nobile nascita...

Il colonnello                  - Permetta che la presenti: il signor candidato Archenholz, il signor direttore Hummel... Vuole sa­lutar le signore, signor Archenholz? io debbo ter­minare un colloquio con il signor direttore...

Lo studente                   - (è introdotto nella stanza dei gia­cinti e lo si vede conversare timidamente con la Signorina).

Il colonnello                  - Un ottimo giovane, musicista, canta, scrive poe­sie... Se fosse nobile e di condizione uguale, non avrei nulla in contrario...

Il vecchio                      - A che cosa?

Il colonnello                  - Si, mia figlia...

Il vecchio                      - Sua figlia! — A proposito, perche se ne sta sempre in quella stanza?

Il colonnello            - Se non è fuori di casa, deve rimanere sempre nella stanza dei giacinti, è una sua originalità... Ecco la signorina Beata di Holsteinkrone... una deliziosa personcina... proprietaria di fondi e con una rendita pienamente consona alla situazione sociale e alle relazioni...

Il vecchio                      - (a parte) La mia promessa sposa...

La fidanzata            - (ha i capelli bianchì e sembra non essere in senno).

Il colonnello            - Damigella di Holsteinkrone, il direttore Hummel...

La fidanzata                  - (s'inchina e siede).

Il signore distinto          - (entra: è di aspetto misterioso e in lutto; siede).

Il colonnello                  - Barone Skanskorg...    

Il vecchio                      - (a parte, senza alzarsi) Credo che sia il ladro di gioielli... (Al Colonnello) Faccia entrare La mummia, e così la riunione sarà al completo...

Il colonnello            - (alla porta della stanza dei giacinti)  Polly!

La mummia                   - (entra) Curr-e!

Il colonnello                  - Deve esserci anche la gioventù?

Il vecchio                      - (a parte)     No! Non la gioventù; dev'essere risparmiata!

(Tutti siedono in cerchio, muti).

Il colonnello                  - Vogliamo prendere il té?

Il vecchio                      - A quale scopo? a nessuno di noi piace il té e  non vogliamo fingere!

(Pausa).

Il colonnello                  - Allora, vogliamo conversare?

Il vecchio                      - (lentamente e con pause) Parlare del tempo che fa, quando già ci è noto, domandare a ciascuno come sta, quando già lo sappiamo? preferisco il silenzio; si odono i pen­sieri e si vede il passato; il silenzio non permet­te di nascondere ciò che le parole nascondono! In questi giorni mi accadde di leggere che la di­versità delle lingue presso i popoli primitivi ori­ginò realmente dal proposito di nascondere ad una tribù i segreti dell'altra. Le lingue sono adun­que cifrari, e chi ne trova la chiave capisce tutte le lingue del mondo! Il che però non vieta che si possano rivelare i segreti anche senza la chiave, e particolarmente nel caso che si tratti di pro­vare la paternità. La prova dinanzi a un tribu­nale è un'altra faccenda: due falsi testimoni co­stituiscono una prova completa, quando siano concordi. Invece in una scorreria, al modo come io intendo, non si prendono con sé i testimoni! La stessa natura diede all'uomo un sentimento di vergogna, per cui si cerca di nascondere ciò che deve essere nascosto. Nondimeno accade di pe­netrare nell'intimo della situazione, senza pur volerlo, e a volte si presentano occasioni nelle quali ciò che vi è di più segreto viene discoper­to, all'impostore è tolta la maschera, e si iden­tifica il briccone... (Pausa. Tutti si considerano a vicenda, in silenzio). Quale silenzio si è fatto! (Lungo silenzio). Ad esempio qui, in questa pre­giata casa, in questa graziosa dimora, dove bellezza, cultura e benessere sono riuniti... (Lungo silenzio). Noi tutti, che ci troviamo qui, noi sap­piamo chi siamo... non è vero?... Non occorre il dirlo... E voi mi conoscete, seppure fingete di non conoscermi... E là, in quella stanza vi è mia figlia, la mia, voi sapete anche questo... Aveva perduto l'impulso a vivere, senza saperne il per­ché... appassiva in quest'aria densa di colpe, di inganni, di ogni specie di falsità... e perciò le scelsi un amico vicino al quale possa sentire la luce e il calore, che emanano da nobile azione... (Lungo silenzio). Tale era il mio compito qui: toglierne l'erbe cattive, smascherare le colpe, chiudere la partita, perché la gioventù possa ri­principiare una nuova vita in questa casa, che io le dono. (Lungo silenzio). Ora concedo libera uscita a ciascuno, ma in ordine; e chi rimane, lo faccio arrestare! (Lungo silenzio). Udite il tic­chettio della pendola, simile al battere dell'oro­logio della morte entro di noi! Udite che cosa dice? « II tempo, il tempo! ». Quando, fra un istante, l'ora scoccherà, il vostro tempo sarà fi­nito, voi ve ne dovrete andare; ma non prima. Oh, dapprima minaccia soltanto, poi batte: udi­te? L'orologio vi avverte: «L'ora sta per bat­tere! ». Anch'io posso battere! (Batte con le stam­pelle sul tavolo) Sentite? (Silenzio).

La mummia                   - (va all'orologio a pendolo e lo fer­ma; poi, con voce chiara e seria) Ma io posso fermare la corsa del tempo - io posso annullare il passato, fare che l'avvenuto sia non avvenuto! Ma non con imbrogli, non con mi­naccia, sibbene con il dolore ed il pentimento! (Si avvicina al vecchio). Siamo povere creature, lo sappiamo: abbiamo peccato, abbiamo errato, noi come tutti! Non siamo quelli che sembriamo essere, ma in fondo siamo migliori di noi stessi, poiché condanniamo le nostre colpe. Ma che tu, Giacobbe Hummel, con il tuo falso nome, ti eri­ga a giudice, ciò dimostra che sei peggiore di noi poveretti! Tu pure non sei quel che sembri es­sere! Sei un ladro di uomini: un tempo mi rubasti con le tue false promesse; hai ucciso il Console, che oggi fu sotterrato, l'hai strozzato con le sue cambiali; hai rubato lo studente, le­gandolo a te con immaginari debiti del padre, che non ti fu mai debitore neppure di un soldo...

Il vecchio                - (ha tentato di alzarsi e di prender la parola, ma è ricaduto sulla sedia, ove si ripie­ga su di sé e si rattrappisce sempre più nel pro­seguire dell'azione).

La mummia                   - Ma vi è nella tua vita un punto nero, che io non conosco interamente, e che però immagino... Credo che Bentgsson ne sappia qualcosa! (Suo­na il campanello che è sul tavolo).

Il vecchio                      - No! Bengtsson no, lui no!

La mummia                   - Ah, ah, lui sa! (Suona di nuovo). (Ora la Ragazza del latte compare nel vestibolo, a tutti invisibile, eccetto che al vecchio, che se ne spaventa. La lattaia sparisce quando entra Bengtsson).

La mummia                   - Conosci questo signore, Bengtsson?

Bengtsson                     - Sì, lo conosco, ed egli mi conosce! La vita è mu­tevole, come sappiamo, ed ho servito in casa sua, ma egli un tempo era domestico in casa mia. Du­rante due anni interi mangiò nella mia cucina. Poiché alle tre doveva andarsene, alle due il pranzo doveva esser pronto - e tutta la casa era costretta a mangiare il cibo riscaldato e i resti di codesto bestione. Egli beveva tutto il brodo, e bisognava poi allungarlo con l'acqua - se ne stava là come un vampiro, succhiava tutto il sugo della casa, e noi dimagrivamo, così da essere ri­dotti a scheletri; e quasi ci fece buttare in pri­gione quando accusammo la cuoca di essere una ladra! Poi ritrovai quest'uomo ad Amburgo, e aveva un altro nome. Colà faceva l'usuraio, oh! succhiava le sue vittime a sangue! ed anche era accusato di aver condotta con sé sul ghiac­cio una ragazza, per annegarla; costei aveva as­sistito ad un delitto, ch'egli temeva si venisse a scoprire...

La mummia                   - (passa la mano sul viso del vecchio) Ecco chi sei! Ora, fuori la cambiale e il testa­mento!

Johansson                      - (appare alla porta del vestibolo e assiste con grande interesse a quanto avviene, poiché ciò lo libera dalla schiavitù).

Il vecchio                - (trae di tasca un pacco di carte e le butta sul tavolo).

La mummia                   - (accarezza la schiena del vecchio) Cocò! Giacobbe è qui?

Il vecchio                      - (rifacendo il pappagallo) Giacobbe è qui! Caladora! Dora!

La mummia                   - L'ora può battere?

Il vecchio                      - (chiocciando) L'ora può battere. (Imita l'orologio a cucù) Cucii! cucù! cucù!

La mummia                   - (apre la porta che da nel camerino) Ora l'ora è scoccata. Alzati, entra nella guar­daroba ove io rimasi per vent'anni a piangere sulla nostra colpa... Una corda vi pende, che può rappresentare quella con la quale hai strozzato il Console, qui sopra, come volevi strozzare il tuo benefattore... Vai!

Il vecchio                - (entra nella guardaroba).

La mummia                   - (chiude la porta) Bengtsson! Disponi costà il paravento della morte!

Bengtsson               - (pone il paravento dinanzi alla porta).

La mummia                   - Tutto è compiuto! Dio abbia pietà della sua anima.

Tutti                              - Amen. (Lungo silenzio. Nella stanza dei giacinti si ve­de la Signorina accompagnare con l'arpa il canto dello Studente. Preludio e canto).

Lo studente             - (canta) Mi parve, se guardai il sole di vedere colui che si nasconde; Nostro è il premio dell'opera, beato chi opera il bene. Il male che tu compiesti espialo con umiltà; consola chi affliggesti, e ti giovi la tua bontà. Chi peccò vive in angoscia, dolce è il vivere senza colpa!

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Una camera di stile piuttosto bizzarro, con mo­tivi orientali. Ovunque, giacinti di tutti i colori; sulla stufa di porcellana vi è un grande Budda nel cui grembo è posata una radice, donde si erge lo stelo di uno scalogno (allium ascalonicum) che porta una infiorescenza a forma di pal­la con bianchi asteri. In fondo, a destra, una porta da nel salone rotondo, ove si vedono se­duti, senza far nulla, silenziosi, il Colonnello e la Mummia; e si può scorgere anche un lembo del paravento della morte. A sinistra, una porta da in sala da pranzo e quindi in cucina. Lo Stu­dente e la Signorina al tavolo; ella con l'arpa, egli in piedi.

La signorina                  - Canti per i miei fiori!

Lo studente                   - È il fiore caro alla sua anima?

La signorina                  - L'unico! Le piacciono i giacinti?

Lo studente                   - Più di ogni altro fiore; amo la loro forma ver­ginale, che si eleva, slanciata e diritta, dalla ra­dice, posata sull'acqua, e butta le sue bianche ra­mificazioni nel liquido incolore; amo i suoi co­lori: bianco come la neve, puro e innocente, ado­rabilmente giallo color del miele, roseo e giova­nile, rosso e maturo; ma più di tutti gli altri amo il giacinto azzurro, azzurro come rugiada, come un occhio profondo e fedele... Li amo più che l'oro e le perle; li amai da quando ero un bimbo, li ammiravo, perché possiedono tutte le buone qualità che mi mancano... Eppure...

La signorina                  - Eppure?

Lo studente                   - II mio amore non è corrisposto, poiché questi bei fiori mi odiano.

La signorina                  - Come mai?

Lo studente                   - II loro profumo, forte e puro, contesto dei primi venti primaverili trascorsi sopra la neve che si scioglie, mi acceca, mi costringe a uscire di stan­za, mi colpisce con frecce avvelenate, che mi fanno male al cuore e al capo! Conosce il segre­to di questi fiori?

La signorina                  - Me lo dica.

Lo studente                   - In primo luogo il loro significato: la cipolla ro­tonda, la radice, che riposa nell'acqua o nel mu­schio, è la terra; lo stelo s'innalza come l'asse del mondo e al suo estremo superiore fioriscono le stelle a sei punte...

La signorina                  - Sopra la terra le stelle! Oh, è un grande pensie­ro! Da chi lo ha saputo? dove l'ha veduto?

Lo studente                   - Mi lasci pensare! Nei suoi occhi! È adunque una immagine del cosmo... Perciò Budda siede tenendo sul grembo la radice, che è la terra, e medita, lo sguardo immobile, onde vederla cre­scere verso l'alto e trasformarsi in cielo... La po­vera terra deve diventare cielo! Questo il Bud­da attende!

La signorina                  - Ora intendo : il fiore del bucaneve non è anch'es­so a sei punte come il giglio e il giacinto?

Lo studente                   - Ha ragione! E perciò i fiori del bucaneve sono stelle cadenti...

La signorina                  - E il bucaneve è una stella di neve... cresciuta dal­la neve!

Lo studente                   - Ma Sirio, la maggiore e più bella fra le stelle del firmamento, gialla e rossa, è il narciso, con il suo calice rosso e giallo e i sei raggi bianchi...

La signorina                  - Ha veduto fiorire lo scalogno?

Lo studente                   - Sì, di certo l'ho veduto! porta i suoi fiori in una palla, una sfera simile al globo celeste tem­pestato di stelle...

La signorina                  - Sì, oh, mio Dio, com'è bello! Di chi era questo pensiero?

Lo studente                   - Tuo!

La signorina                  - Tuo!

Lo studente                   - Nostro! Abbiamo assieme creato qualcosa, sia­mo uniti...

La signorina                  - Non ancora...

Lo studente                   - Che cosa occorre?

La signorina                  - Attendere, sopportare prove, pazientare!

Lo studente                   - Rene! Mi imponga prove! (Pausa) Mi dica, per­ché i genitori siedono colà tanto silenziosi, sen­za dire una sola parola?

La signorina                  - Non hanno nulla da dirsi; l'uno non crede ciò che l'altro dice. Mio padre, a questo proposito, ha detto: a quale scopo parlare, se non ci pos­siamo più ingannare?

Lo studente                   - È una cosa orrenda a udirsi...

La signorina                  - Ecco la cuoca... veda come è grande e grassa...

Lo studente                   - Che cosa vuole?

La signorina                  - Mi vuoi chiedere gli ordini per i pasti; mi oc­cupo di dirigere la casa, dacché mia madre è malata...

Lo studente                   - Cosa abbiamo a che fare noi con la cucina?

La signorina                  - Dobbiamo pur mangiare... Guardi la cuoca, io non la posso vedere...

Lo studente                   - Chi è codesta gigantessa?

La signorina                  - È una della famiglia di vampiri Hummel; ci di­vora...

Lo studente             - Perché non la si congeda?

La signorina                  - Non se ne va! Non abbiamo alcun potere su di lei, ci fu inviata per i nostri peccati... Non vede che noi deperiamo, ci struggiamo...

Lo studente             - Non vi da mangiare?

La signorina                  - Sì, ci manda in tavola molte pietanze, ma ne è stata tolta ogni sostanza... Cuoce la carne in mo­do da dare a noi soltanto le fibre e l'acqua, mentr'ella ne beve il brodo; e quando vi è l'arro­sto, ne estrae tutto il succo, ne asciuga la salsa, ne beve il sugo. Tutto ciò ch'ella tocca, perde ogni forza; è come se ci suggesse con gli occhi; ci da il fondo del caffè, che lei ha bevuto; beve le bot­tiglie di vino e le riempie d'acqua...

Lo studente             - Bisogna cacciarla via!

La signorina                  - Non possiamo!

Lo studente                   - Perché?

La signorina                  - Non sappiamo! Non se ne va! Nessuno ha po­tenza su di lei, ci ha tolta ogni energia!

Lo studente             - Permette che io la scacci?

La signorina                  - No! Tutto ha da essere così com'è! Eccola! Mi chiede che cosa vogliamo mangiare a mez­zodì; io rispondo questo e quello; ella obbietta qualcosa e finalmente fa quel che vuole.

Lo studente             - E allora la lasci decidere lei stessa!

La signorina                  - Non vuole.

Lo studente             - Una strana casa è questa: è stregata!

La signorina                  - Sì! Ma ecco, ora se ne va, perché ha veduto lei!

La cuoca                       - (sulla soglia dell'uscio) No, non per questo! (Fa una smorfia per cui le si vedono i denti).

Lo studente                   - Vattene, donna!

La cuoca                       - Quando lo vorrò io. (Pausa) Ora voglio andar­mene. (Dispare).

La signorina                  - Non si riscaldi! Sappia pazientare! Costei fa parte delle prove che dobbiamo subire qui in casa! Ma abbiamo anche una cameriera; e tutto ciò che fa, noi lo dobbiamo rifare!

Lo studente             - Ora io sprofondo! Cor in aethere! In alto i cuori! Cantare!

La signorina                  - Aspetti!

Lo studente                   - Cantare!

La signorina                  - Pazienza! Questa stanza si chiama la camera delle prove: - è bella a vedersi, ma tutto vi è difettoso...

Lo studente                   - Incredibile, ma vi si deve pur badare! è bello, qui, ma vi fa un po' freddo! Perché non si ri­scalda?

La signorina                  - La stufa da fumo.

Lo studente             - Bisogna pulire il camino!

La signorina                  - Non giova... Vede lo scrittoio, costà?

Lo studente                   - Assai bello!

La signorina                  - Ma è zoppo! Ogni giorno metto un disco di su­ghero sotto il piede; la cameriera me lo toglie quando fa pulizia, ed io ne debbo ritagliare uno nuovo. Il porta penne e le penne ogni mattina sono sporche di inchiostro, e dopo che la ca­meriera se n'è servita, ogni mattina, al sorger del sole, io li debbo lavare. (Pausa) Qual è la peggior cosa che lei conosca?

Lo studente             - II contare la biancheria sporca: oh!

La signorina                  - È il mio lavoro: oh!

Lo studente                   - E poi?

La signorina                  - Durante la notte esser disturbata nel sonno e dover alzarsi e assicurare le persiane, perché la cameriera ha dimenticato di farlo.

Lo studente                   - E poi?

La signorina                  - Salire su di una scala e riannodare il cordone della chiave della stufa, che la cameriera ha strappato.

Lo studente                   - E poi?

La signorina                  - Seguirla, e scopare dov'ella ha scopato, togliere la polvere, accendere il fuoco nella stufa, perché colei vi pone soltanto la legna! Aggiustare la chiave della stufa, asciugare i bicchieri, sparec­chiare la tavola, sturare le bottiglie, aprir le fine­stre e dar aria alla stanza, rifare ancora una vol­ta il mio letto, lavare la bottiglia dell'acqua quan­do diviene verde per il putridume; comprare fiammiferi e sapone, che in casa mancano sem­pre; pulire le lampade e togliere il lucignolo, perché non abbiano a far fumo; e perché le lam­pade non si spengano, quando riceviamo visite, debbo io stessa riempirle...

Lo studente                   - Cantare!

La signorina                  - Attenda! Dapprima le fatiche e il lavoro, - per tener lontano da sé tutto ciò che è impuro, nella vita.

Lo studente             - Ma lei è ricca, ha due domestici!

La signorina                  - Non serve a nulla, e neppure se ne avessi tre! È faticoso vivere, e spesso io ne sono stanca. Immagini se vi fosse anche una camera per i bimbi!

Lo studente             - La gioia maggiore di tutte!

La signorina                  - La più costosa... merita che ci si dia tanta pena?

Lo studente             - Secondo quel che ne attendiamo... Io non mi spa­venterei di nessuna pena, pur di ottenere la sua mano di sposa...

La signorina                  - Non parli così! Non mi potrà mai avere!

Lo studente                   - Perché no?

La signorina                  - II perché non me lo deve chiedere! (Pausa).

Lo studente             - Le cadde il braccialetto dalla finestra...

La signorina                  - Perché la mia mano si è fatta troppo sottile...

La cuoca                 - (appare con in mano una bottiglia di Soya giapponese).

La signorina                  - Guai a noi! ecco colei che divora me e tutti noi!

Lo studente             - Che cos'ha in mano?

La cuoca                       - Questa è la bottiglia di colorante, l'elisir diabo­lico con le lettere dello scorpione; questa è la strega Soya, che trasforma l'acqua in brodo e so­stituisce la salsa già succhiata; con la quale si fa cuocere il cavolo e se ne fa la zuppa di tarta­ruga.

Lo studente                   - Fuori di qui!

La cuoca                       - Voi ci rubate tutto il nostro succo e noi il vostro; noi suggiamo il sangue e voi ricevete in cambio acqua con il colorante. Questo è il colorante! Ora me ne vado; ma rimango qui sino quando voglio! (Esce). (Pausa).

Lo studente             - Perché Bengtsson ha una medaglia?

La signorina                  - Per i suoi grandi meriti.

Lo studente             - Non ha difetti?

La signorina                  - Sì, grandissimi, ma per questi non si riceve la medaglia. (Sorridono).

Lo studente             - Avete molti segreti qui, in casa...

La signorina                  - Come tutti! Lasciateci i nostri segreti... (Pausa).

Lo studente             - Lei ama la sincerità?

La signorina                  - Moderatamente!

Lo studente                   - Mi prende a volte un pazzo desiderio di dire tut­to ciò che penso, ma so che il mondo precipite­rebbe nel caos, se fossimo veramente sinceri... (Pausa). In questi giorni assistii ad una cerimonia fune­bre, in chiesa: una bella e solenne cerimonia...

La signorina                  - Per i funebri del direttore Hummel?

Lo studente                   - Sì, del mio benefattore! Alla testa del corteo e presso la bara vi era un vecchio amico del morto; il prete, particolarmente, mi fece una grande impressione per il suo contegno digni­toso e per le sue parole commoventi! Io pian­gevo, tutti piangevano. Dopo, andammo in trat­toria... Colà venni a sapere che il vecchio amico, che era stato alla testa del corteo funebre, aveva amato il figlio del morto...

La signorina                  - (lo guarda per intendere il sen­so delle parole).

Lo studente                   - ... e che il morto si era fatto prestar danaro dall'ammiratore di suo figlio... (Pausa) L'indomani il sacerdote fu arrestato, perché aveva rubato dalle casse della chiesa! Bella faccenda! ,

La signorina                  - Oh! (Pausa).

Lo studente                   - Sa che cosa io penso ora di lei?

La signorina                  - Non lo dica, altrimenti debbo morire!

Lo studente                   - Lo debbo dire, altrimenti io stesso muoio!

La signorina                  - Nelle case di salute si dice tutto quel che si pensa...

Lo studente                   - Appunto! Mio padre morì al manicomio...

La signorina                  - Era malato?

Lo studente             - No, era sano di corpo, ma pazzo! il che dimo­strò un giorno in questa circostanza... Come tutti, anch'egli viveva in una cerchia di gente, che per brevità chiamava amici: una banda di miserabili, naturalmente, come Io sono il più degli uo­mini; ma doveva pure aver qualche relazione, non poteva vivere solo. D'altronde non si dice alla gente ciò che si pensa di lei, non abitualmente almeno, ed anch'egli non lo diceva; sapeva be­ne quanto fossero falsi, conosceva a fondo la loro perfidia... ma era un uomo saggio e ben educato, e perciò era sempre cortese. Un giorno, ad un ri­cevimento in casa sua, vi era molta gente; era la sera; egli era stanco del lavoro del giorno e dello sforzo di tacere o far vane chiacchiere con i suoi ospiti...

La signorina                  - (si spaventa)

Lo studente                   - Finalmente egli batte sul tavolo, prega di tacere, alza il suo bicchiere e fa un discorso... Ad un trat­to allora le barriere caddero ed egli, in un lungo esposto, smascherò i presenti, l'uno dopo l'al­tro, e rinfacciò a ciascuno tutta la loro falsità. Poi sedette, sfinito, nel bel mezzo del tavolo, e pregò gli ospiti di andarsene al diavolo!

La signorina                  - Oh!

Lo studente                   - Ero presente, e non dimenticherò mai ciò che av­venne!... Mio padre e mia madre presero a batter­si, gli ospiti si precipitarono verso l'uscita... e mio padre venne portato al manicomio, ove morì! (Pausa) Con il tacere troppo a lungo si forma una acqua stagnante, che imputridisce; e così avviene in questa casa. Qui vi è qualcosa di putrido! E io credetti che fosse il paradiso, quando per la pri­ma volta vidi lei entrare qui... Me ne stavo una mattina di domenica qui fuori e guardavo den­tro; vidi un Colonnello, che non era affatto un Colonnello; avevo un nobile benefattore, che era un bandito e dovette impiccarsi; vidi una mummia che non era tale, ed una vergine fan­ciulla ricca per eredità o per guadagni... del re­sto, ove si può trovare verginità? Io l'ho vista solo al museo anatomico, nell'alcool a 90 gradi. E dov'è la bellezza? nella natura e nella mia ani­ma, se abbigliata a festa! Dov'è la fedeltà e la fede? nelle favole e negli spettacoli per bimbi! Dove troverò qualcosa che non mi deluda e man­tenga quanto ha promesso? nella mia fantasia! Ora i suoi fiori mi hanno avvelenato e a mia volta ho avvelenato lei... La pregai di esser mia moglie in una casa mia; dicemmo poesie, can­tammo e giocammo - ed ecco entrò la cuoca... Sursum corda! Tenti ancora una volta di far sgorgar dall'aurea arpa fuoco e porpora... oh, tenta ancora, te ne prego, te lo ordino, inginoc­chiandomi dinanzi a te... Bene, lo farò io stesso! (Prende l’arpa, ma le corde non danno suono) È muta e sorda! Perché i fiori più belli sono tanto velenosi, sono i più velenosi? la maledi­zione pesa su tutta la creazione e su tutta la vi­ta... Perché lei non vuoi essere mia sposa? in lei anche la sorgente della vita è malata... Ora sen­to che il vampiro che è in cucina comincia a suggermi; credo che sia un lamia, che allatta i bim­bi - sempre in cucina, i bimbi della famiglia sono tormentati e colpiti sino al cuore... quando ciò non accade nella camera da letto... Vi sono veleni che indeboliscono la vista ed altri che la rendono più acuta - io sono di certo nato con quest'ultimo veleno in me, poiché non mi è possibile di illudermi che il brutto sia bello né so dire bene il male - non posso! Gesù Cristo discese all'inferno, e fu questo il suo viaggio sul­la terra, nell'asilo dei pazzi, nella casa di pena e nella fossa dei morti, che è la terra - e gli in­sensati lo uccisero, lui, che li voleva liberare; ma il ladrone lo si lasciò libero, oh, il ladrone ha sempre per sé tutte le simpatie! Guai, guai a noi tutti! Redentore del mondo, salvaci, noi an­diamo a perdizione!

La signorina                  - (viene meno e sembra che stia per morire; suona).

Bengtsson                     - (entra).

La signorina                  - II paravento, presto, io muoio!

Bengtsson                     - (porta il paravento, che apre at­torno alla signorina, nascondendola).

Lo studente                   - II liberatore giunge! Benvenuto a te, pallido sonno. Tu, bella, infelice, innocente, condannata senza colpa al dolore, dormi senza sogni; e quando ti risveglierai, ti saluti un sole, che non brucia, in una casa senza polvere, ti salutino parenti sen­za infamia e un amore non delittuoso... Tu, sag­gio e dolce Budda, attendi che un cielo sorga dal­la terra, tu donaci pazienza nelle prove, purezza nel volere, perché la speranza non si trasformi per noi in vergogna! (Un sussurrio sorge dalle corde dell'arpa; la stan­za si riempie di bianca luce) Mi parve, se guardai il sole, di veder colui che si nasconde; nostro è il premio dell'opera, beato chi opera il bene. Il male che tu compiesti espialo con umiltà, consola chi affliggesti, e ti giovi la tua bontà. Chi peccò vive in angoscia, dolce è il vivere senza colpa. (Si ode un gemito dietro il paravento) Tu, po­vera piccola bimba, bimba di questo mondo dell'illusione, della colpa, della sofferenza e del­la morte, del mondo dell' eterno mutamento, delle delusioni e del dolore! Che il Signore del cielo ti conceda grazia, nel tuo viaggio... (La stan­za sparisce; nel fondo della scena appare l'Isola dei morti di Bòcklirì) E Dio asciugherà tutte le lagrime dai suoi occhi; e la morte non esisterà più, e le sofferenze, le urla, il dolore più non esisteranno, poiché la prima vita è trascorsa. (Una leggera musica, dolcemente triste, proviene dall'isola dei morti).

FINE


[1] Secondo il costume svedese, nelle case ov'è un morto. (Nota del traduttore).