LA STAGIONE DEL GAROFANO ROSSO
di
Luigi
Lunari
PERSONAGGI
Louis Dujardin, primo ministro
Anita, sua figlia
Perrotin, deputato socialista
Laïc Libre Travail Rossi, vecchio socialista
Il dottor Aragon
Quattro personaggi polifunzionali: politici, pagliacci, gangster
I.
Lo studio del Primo Ministro all'Hôtel Matignon. Arredamento di adeguata
serietà, ma in via di completamento, come quando in un ufficio subentra un
nuovo titolare. Due facchini stanno infatti portando alcuni scatoloni: quadri,
soprammobili… che dispongono o lasciano seguendo le istruzioni di Anita: una
bella ragazza sui vent'anni, fresca e pulita come la sua giovinezza.
ANITA - Questi libri lì, sulla scrivania…. Quella stampa… là dietro… Le
fotografie lasciatele lì: ci penso io… Ha piantato il chiodo? Ah, c'è già!
Bene. Le do subito il quadro.
(Da uno scatolone tira fuori una stampa incorniciata: è un ritratto di Carlo
Marx. Anita ne spolvera il vetro con uno straccio, poi lo porge all'uomo che
attende in piedi su una sedia o su una scaletta.)
E' all'altezza giusta? … Sì, mi pare di sì.
(Il ritratto è appeso. Attorno al quadro rimane visibile l’impronta di un
quadro più grande, che evidentemente era stata appeso lì per anni, prima
dell'arrivo del nuovo inquilino.)
Oddìo, povero Marx: con quella macchia intorno sembra un appestato in
quarantena. Bisognerà far tinteggiare la parete…
Va bene così. Mi pare ci sia tutto. Portate via la scala, per piacere; e anche
gli scatoloni… Grazie.
(Escono i facchini. Anita riordina oggetti sulla scrivania e per la stanza.
Entra l'onorevole Paul Perrotin; un giovanotto che sembra appena uscito da una
fabbrica di manager o di funzionari di partito. Come entra e vede il ritratto,
allibisce.)
PERROTIN - Per l'amor del cielo, che cos'è quella roba?
ANITA - E'… è Karl Marx.
PERROTIN - Lo so che è Karl Marx! Ma siamo matti? Via, via subito di lì.
(In piedi su una sedia, toglie il ritratto dalla parete.)
Si può sapere cosa diavolo t'è saltato in mente?…
ANITA - Perché? E' il ritratto che papà aveva in camera sua quand'era ragazzo!
Sono andata apposta dai nonni, a prendermelo. E sono sicura che gli farebbe
piacere.
PERROTIN - Ma tu sei pazza! Marx! E perchè non anche Trotsky?... Con la fatica
che abbiamo fatto a liberarcene!
(Spiega, con pazienza:)
Anita: un conto è la stanzetta di un ragazzo, che fa il liceo classico, che
studia filosofia, che comincia a interessarsi di politica, pieno di entusiasmi
giovanili, di inevitabili eccessi… Un conto lo studio del primo ministro…
ANITA - … socialista!
PERROTIN - Sì, sì, socialista: ma non esageriamo.
ANITA - E io lì cosa ci metto adesso? Robespierre?
PERROTIN - Se vuoi proprio metterci un socialista, prendi uno di quelli… che
non fanno paura.
ANITA - Gesù Cristo?
PERROTIN - Lascia perdere!
ANITA - Allora dimmi tu: Socrate? Beethoven? Zidane?
(Perrotin alza le spalle, infastidito)
Io dico che lì ci sta bene un ritratto.
PERROTIN - Okay, ma non è così facile come credi. Li hai mai visti gli occhi di
Beethoven? Bene: domani viene qui la televisione per un'intervista a tuo padre,
lo inquadra con Beethoven dietro la testa, e la gente guarda soltanto
Beethoven. E i capelli? Se uno di quei maledetti vignettisti da strapazzo si
accorge che Beethoven ha più capelli di tuo padre, da quel momento non lo molla
più.
ANITA - Un manifesto del Partito? Di quelli storici: questo, per esempio.
(Mostra alcuni poster della rivoluzione sovietica)
E' di Majakovski.
PERROTIN - Non lo conosco.
ANITA - O questo: rivoluzione sovietica. Adesso che l'Unione Sovietica non c'è
più…
PERROTIN - Per carità! A me, poi, non mi sono mai piaciuti quegli operai tutti
muscoli, sempre lì con le incudini, i martelli…. Le fiamme delle fonderie, i
carrelli delle miniere! Basta, basta!
ANITA - E perché?
PERROTIN - Perché sì. Come se il lavoratore fosse solo quello che spacca le
pietre! Lavoratore oggi è anche l'impiegato, anche lo studente: anch'io sono un
lavoratore! Anche l'intellettuale, anche il rentier! Sissignora: anche chi vive
di rendita è un lavoratore: perché consuma, alza la domanda interna, rilancia
la produzione, crea posti di lavoro.... Anche il capitalista!..
ANITA - Vuoi che metta un ritratto di Berlusconi?
PERROTIN – Berlusconi?!
ANITA – Beh, è un lavoratore di quel tipo lì, no?
PERROTIN - Ecco! Lei quando non sa cosa dire svicola nel paradosso! Metti quello
che vuoi. Ma sta attenta a cosa rappresenta.
ANITA - Cioè?
PERROTIN - Oddio, non lo so: cerca di capire! Qualcosa che non possa - un
domani - prestarsi a battute!
ANITA - Dio, com'è difficile vivere!
PERROTIN - Che cosa c'è da ridere?
ANITA - Niente, niente! Ma tu, non ridi proprio mai?
PERROTIN - Beh, lo sai: me l'hanno sconsigliato.
ANITA - Me lo immagino.
PERROTIN - Troppo giovane, mi hanno detto. E poi….
ANITA - E poi?…
PERROTIN (modestamente) - Beh… troppo… sì: troppo bellino.
ANITA - Perché: bisogna essere Frankestein per ridere?
PERROTIN - Dio, queste battute di merda! Lo fai apposta perché sai che…
(Con pazienza, come a convincere della ragionevolezza della cosa)
Non è sbagliato, Anita! Non è un capriccio, o una cosa assurda! Me l'ha
consigliato la Thompson & Thompson: la stessa agenzia di PR che cura
l'immagine di Saint Laurent e del Sauterne: dopo un'accuratissima indagine di
mercato che mi è costata tra l'altro una barca di soldi, per fortuna non miei.
ANITA - Del partito.
PERROTIN - Sì….in parte… in buona parte. Tu guardami un po' i capelli, gli
occhi, il profilo del naso… Ecco: se appena appena sorrido... io sono il
ragazzino che al massimo può cantare le canzoni di Charles Trenet. Ma io sono
un uomo politico, Anita! Avviato come sono, domani sono uno statista: come tuo
padre! Pensa che adesso che lui è il Primo Ministro, sono io che raccolgo
l'eredità del partito. Sono il delfino: che cresce, che balza in primo piano. E
in vista di questo ruolo si esige la costruzione di un'immagine adeguata. Il
che comporta dei sacrifici: uno dei quali è che - per adesso - non devo ridere!
Per adesso: non necessariamente per sempre. La Thompson & Thompson me l'ha
detto espressamente, mi ha fatto un programma graduato, a lungo termine. Come
cominciano un po' di rughe, qui, attorno agli occhi, come per Richard Gere; qui
un po' più di peso; se appena appena mi si stempia un po' il ciuffo, una
spruzzata di grigio sulle tempie… dicono alla Thompson & Thompson… potrò
cominciare a sorridere. Anzi: dovrò sorridere, perché le esigenze saranno tutte
diverse. Da un lato la notorietà ormai acquisita, l'aspetto vissuto..
dall'altro lato - con la capacità di sorridere - la freschezza interiore, la
simpatia, l'aria familiare… Non prima dei cinquanta, cinquantadue anni, comunque.
E' tutto ben studiato, niente lasciato al caso. Ma per adesso… gravità. Non so
se hai visto, l'altra sera, la mia intervista alla televisione…
ANITA - No.
PERROTIN - Hai perso qualcosa. Alla Thompson & Thompson erano molto
contenti. Il giornalista mi faceva le domande, io ascoltavo… (avevo chiesto una
particolare attenzione per i miei piani d'ascolto) … e tenevo gli occhi fuori
fuoco, otre la telecamera: così.
(Esemplifica)
ANITA - Tipo "pesce stracco"!
(Poco dopo, Anita esce, indaffarata in altri preparativi. Perrotin continua
imperterrito)
PERROTIN (senza raccogliere) - Le labbra un po' strette, quasi mordicchiando il
labbro inferiore, leggermente accennando con la testa, mentre quello poneva la
domanda…. Così!
(Esemplifica)
Il pubblico decodifica il messaggio: attenzione e concentrazione (gli occhi!),
vigile volitività (le labbra!), conoscenza del problema (la testa che fa di sì,
come a dire "lo so, lo so"!). Poi, finita la domanda, un attimo di
pausa. Mai avventarsi sulla risposta! Domanda… un attimo di pausa… un respiro,
come a ponderare (dal latino pondus) la gravità della cosa. Parole nette,
precise, pronunciate lentamente, senza sì o no troppo sbrigativi e trancianti,
che creino l'impressione di risposte troppo facili, di conclusioni troppo poco sofferte.
"Sì sì" o "no no lo dicano i radicali, i verdi…
ANITA (rientra con un mazzo di fiori, e cita, un po' a riflesso condizionato) -
"Sia il vostro dire sì, sì… no, no…" Chi è che l'ha detto?
PERROTIN - Bah, uno che non faceva politica.
ANITA - "… il resto è del demonio." Credo sia nel Vangelo, da qualche
parte.
PERROTIN - L'altro giorno mi hanno chiesto quale sarebbe stato l'atteggiamento
del partito socialista in caso di elezioni anticipate.
ANITA - Papà ha detto che piuttosto si fa tagliare le palle.
PERROTIN - Bah!
(Con un gesto della mano allontana la battuta, come poco degna della serietà dl
tema.)
Io ho detto, testualmente: "L'ipotesi ha un suo grado di ipoteticità, che
è quello consentito dalla situazione, la quale è quella che è e non altro. Comunque…"
Sta bene attenta! "…non è impossibile negare che possa esservi qualcosa di
vero anche in chi volesse affermare non essere del tutto falsa l'ipotesi
contraria."
Eh?
ANITA - Scusa, scusa?… Non ho capito l'ultimo concetto.
PERROTIN - In poche parole: "può darsi di no". Però, "può darsi
di no" è una cosa che sanno dire tutti. Io rispondo "può darsi di
no", e la gente pensa: "Beh, così facile? Capace anch'io!" Ma se
invece dico: "Non è comunque del tutto impossibile…."
(Improvvisamente:)
Oddio, le sei!
ANITA - Che cosa c'è?
PERROTIN - Il telegiornale!
(Si è già precipitato ad accendere il grande televisore che si trova nello
studio)
IL TELEVISORE - "… ultimo ad arrivare all'Eliseo il primo ministro
incaricato, l'onorevole Monjardin, ed immediatamente ha avuto luogo la
cerimonia protocollare del giuramento, pronunciato da tutti i membri del nuovo
governo nelle mani del Presidente della Repubblica. Con questo atto formale -
dopo la fiducia ottenuta alla Camera e al Senato - il primo governo Dujardin è
in carica, nella pienezza dei poteri che al governo sono affidati dalla
Costituzione. Un significativo particolare, che ha di questo giorno una data in
certo senso storica, è che si tratta del primo governo a direzione socialista
nella storia della Repubblica."
ANITA - E' ancora quello di un'ora fa, di due ore fa, di tre ore fa…. Che cosa
seguiti ad ascoltarlo?
PERROTIN - Bah, non si sa mai. (Anita ha spento il televisore)
ANITA - Mi sembra tutto a posto. Tu cosa ne dici? Il quadro va bene?
PERROTIN - Che cos'è?
ANITA - Una natura morta: abbastanza neutro?
PERROTIN (guardando) - Libri… un violino… una candela…. Bah, speriamo bene!
ANITA (dopo una pausa) - Ma senti: tu… non sei emozionato?
PERROTIN - Per che cosa?
ANITA - Per quello che sta succedendo. Per quello che significa questo giorno
per mio padre, per te, per il partito…
PERROTIN - Sì, diciamo che…
ANITA - Io lo sento molto.
PERROTIN - Sì, sì, capisco. Ma sai… per te questa è come la conclusione di un
bel film… Per me, questo è semplicemente il risultato di anni e anni di lavoro
paziente, duro, quotidiano, teso alla formazione di quel quadro politico, di
rapporti, di alleanze, che è il solo a poter garantire..
ANITA (interrompendolo) - Dimmi quello che pensi davvero! Dimentica una volta
tanto la Thompson & Thompson, e parla come mangi, come respiri, senza tanto
ragionare, e disquisire…! Ma tu, accidenti!, il giorno che avrai un figlio -
che nasce, e tu lo vedi per la prima volta - non penserai in quel momento che
tuo figlio è il più bel bambino del mondo, che da grande sarà un grande
scienziato, e vincerà alle Olimpiadi, e il premio Nobel per la letteratura… o
penserai che è la logica conseguenza del fortuito incontro di un tuo
spermatozoo con un ovulo della tua donna…
PERROTIN - Mah, sai… In prima approssimazione, quel che tu dici non è del tutto
destituito di fondamento. Ma un momento politico è una realtà complessa, che
porta sempre in primo piano il problema del "dopo"…
ANITA - Oh, senti: vaffanculo!
PERROTIN - Ecco, vedi: tu minimizzi, obliteri…
(Il suono di una sirena della polizia, e rumori d'automobili)
ANITA (correndo alla finestra) - Papà…. Sta arrivando…
PERROTIN - Bene! Senti, Anita… Forse è meglio che tu adesso te ne vada.
ANITA - Perché?
PERROTIN - Beh, qui ci saranno un sacco di cose da fare. Visite di prammatica,
rappresentanze politiche, credo anche che ci sarà al più presto una riunione di
gabinetto… Insomma: mi pare che tu non ti renda conto che oggi è una giornata
un po' particolare!
ANITA - Ma io… Io sono sicura che papà sarà contento di vedermi qui.
PERROTIN - E dàgliela! Il "papà" non c'entra, la vuoi capire? Questo
è l'Eliseo, quello che sta per entrare è tuo padre, d'accordo, ma permetti che
sia anche e soprattutto - e qui, direi, esclusivamente - il primo ministro.
ANITA - Dovrò chiamarlo "signor primo ministro"?
(Perrotin alza le spalle, rinunciando infastidito.)
(Entra il Primo Ministro)
Papà!…
DUJARDIN - Anita!
(Un abbraccio. Un breve istante di silenzio, in una sintonia dalla quale
Perrotin è totalmente escluso.)
ANITA - Non so come si dica, papà. Congratulazioni?
DUJARDIN - Non dire niente, Anita.
PERROTIN - Ehm!… Congratulazioni… Ehm… A nome mio, particolarissime, e a nome
di tutto il Partito. Abbiamo ricevuto telegrammi augurali da tutte le sezioni:
è un grande giorno per il Socialismo!
DUJARDIN - Grazie, Perrotin.
(Si guarda in giro. Pareti, scrivania…)
Qui c'è la tua mano, Anita!… I miei libri… la mia agenda privata… La fotografia
della mamma, la tua… I manifesti della rivoluzione… Questi fiori… Grazie.
PERROTIN - Quel quadro è una natura morta.
DUJARDIN - Ho visto una commedia, una volta: Il giardino dei ciliegi, di
Cechov. Il protagonista era un contadino arricchito (non mi ricordo neanche
come si chiamasse…) che un bel giorno comperava questo bellissimo giardino,
citato perfino nelle enciclopedie, nella tenuta dove suo padre e suo nonno
erano stati… schiavi! Ricordo il momento in cui entrava nella casa degli
antichi proprietari - che, pieni di debiti, avevano "dovuto vendere"!
- ad annunciare, nel bel mezzo di una festa da ballo, che il nuovo padrone era
lui! Non lo diceva subito: aspettava! E gli altri, che sapevano che proprio
quel giorno c'era stata l'asta, si chiedevano: "Ma chi l'ha
comperato?" E lui zitto: si teneva tutto dentro, si comprimeva, si
vedevano le mani che si stringevano a pugno, le labbra che si muovevano in
silenzio, come a provare le parole… finchè alla fine scoppiava: l'ho comprato
io, io, sono io il nuovo padrone del giardino dei ciliegi! E saltava di gioia,
ballava, rovesciava le sedie… una gioia selvaggia, tutta la rabbia di suo padre
e di suo nonno…
PERROTIN - Per la verità, non è lui il protagonista del Giardino dei ciliegi.
Protagonisti sono i vecchi proprietari… Lei, in particolare…
DUJARDIN - Il protagonista è il contadino!
PERROTIN - Mi spiace, non vorrei insistere, ma…
DUJARDIN - Non capisci niente. Oggi il protagonista è il contadino! E io, oggi,
capisco il contadino! La sua gioia, feroce, io l'ho sentita entrando qui!
L'Eliseo è il nome che sentivo da giovane: per me era l'Olimpo, lontano,
inafferrabile. "L'Eliseo! L'Hôtel Matignon" Il potere, la casa degli
altri: e noi… fuori! I nemici, i pezzenti, i malguardati, i rossi: quelli che
non possono entrare, se no sporcano i tappeti! E oggi invece sono qui! Il primo
ministro sono io, quella poltrona è la mia, e quelli che per tanti secoli mi
hanno guardato dall'alto al basso, me e mio padre e mio nonno, venuto dalla
campagna con le pezze al culo, oggi mi dicono "Buongiorno,
presidente!" E il rettore dell'università, che un giorno mi ha detto "Giovanottoooo!…"
perché dalla tasca dell'impermeabile mi spuntava l'Humanité… eh, chissà se lo
rivedessi adesso! E il professore del liceo, che chiama mio padre e gli fa:
"Suo figlio sta prendendo una piega che mi piace poco: discute,
discute…" Dio!, dio Cristo! Quando ho dteto "Lo giuro" mi si è
annebbiata la vista. Mi son tremate le ginocchia, mi sembrava quasi di non aver
fiato abbastanza: Nessuno se ne è accorto, ma io ho pensato - in un lampo - qui
non ce la faccio! Pensa che figura: un Primo Ministro che sviene pronunciando
il giuramento. Poi, sempre in un lampo, mi son detto: se ce l'han fatta tutti,
devo farcela anch'io. Però gli altri - ho pensato, sempre in quel lampo -
c'erano abituati, per loro era normale, se lo passavano di mano in mano, il
potere: oggi a me, domani a te… Una torta in famiglia! Ma io sono il primo, dei
nostri!… Il primo! Io potrei davvero… svenire! Tutto questo ho pensato, in un
attimo, lampi nel cervello… E intanto avevo detto "lo giuro"…
ANITA - Sei stanco, papà?
DUJARDIN - Sì.
ANITA - Povero papà!
PERROTIN - Ehm… temo che per qualche giorno ancora la stanchezza non potrai
permettertela. Hai visto l'elenco degli impegni? La gente in lista? Partiti,
sindacati, ambasciatori, il nunzio apostolico…
DUJARDIN - No, no, mi dispiace, oggi non vedo nessuno. Ditegli che… che sono
svenuto.
PERROTIN - Ma…
DUJARDIN - Stasera torno a casa, e non esisto più per nessuno. Suono la
chitarra, chiacchiero con mia moglie, bevo una camomilla, e alle undici sono a
letto!
PERROTIN - Presidente, scusa se insisto.
DUJARDIN - Domani! Domani tutto e tutti, oggi niente e nessuno!
(Scorre la lista che Perrotin gli ha messo in mano)
Rossi?… Chi è questo Rossi?
PERROTIN – Rossi?
DUJARDIN - Non sarà per caso…
PERROTIN (dopo un’occhiata alla lista) – Eh?… Ah, no, niente: è un vecchio
compagno della Federazione di Marsiglia, che a tutti i costi ha voluto essere
messo in lista. E non c'è stato niente da fare: è lì. Naturalmente non…
DUJARDIN - Ma allora… è il Laïc Rossi!..
PERROTIN - E chi sarebbe il Laïc Rossi?
DUJARDIN - E' il segretario della sezione di Rue de la Paix, dove mi sono
iscritto io… quando avevo sedici anni! Un fuoruscito italiano… cacciato via dal
fascismo, nel 1930! Ma è impossibile! Era già vecchio allora!… A meno che non
sia un suo nipote… Infòrmati se è lui!
PERROTIN - E se è lui?
DUJARDIN - E se è lui, lo fai venire qui: e con tutti gli onori.
PERROTIN - Eh già! Rimando indietro il nunzio apostolico…
DUJARDIN - … e fai entrare il compagno Laïc Rossi, sissignore! E mi lasciate
solo con lui, perché oggi è un giorno fatto così: non ricevo nessuno, eccezion
fatta per il compagno Laïc Rossi: che non si chiama soltanto Laïc, ma anche
Libre e Travail.
PERROTIN (al citofono) - Signorina?… Quel Rossi che è in sala d'attesa da
stamattina: veda se è Laïc… Se si chiama Laïc e se viene da Marsiglia.
VOCE AL CITOFONO - Sì, onorevole. Laïc Rossi, da Marsiglia…
DUJARDIN - Età?…
PERROTIN (al citofono) - Giovane o vecchio?
VOCE AL CITOFONO - …Beh... vecchio, vecchio...
DUJARDIN - E' lui! Fuori! Via tutti, non voglio nessuno! Uscite, e mandatemi
dentro il compagno Laïc Libre Travail Rossi! Questi sì che sono nomi, tu che se
mai avrai dei figli li chiamerai al massimo Jean Loup o Antoinette! Cinque
figli ha il Rossi, e tutti con la stessa donna, come si usava una volta:
Spartacus, Usine, Guernica, e poi due gemelli: Faucille e Marteau! Ah!
Segretario della sezione di Rue de la Paix: tutta una vita per il partito,
tutta una vita a sollecitare quote, a far fare le sottoscrizioni, a vendere i
distintivi per pagare la luce! Senza mai chiedere niente per sé, neanche il
rimborso dei detersivi per lavare le scale una volta ogni tre mesi!
PERROTIN - Bah, tu sai che per me questo volontarismo alla Lavallière…
DUJARDIN - Sta zitto, cretinetto! Non osare! Il socialismo potrebbe esistere
anche senza di te e senza di me: ma non senza la gente come il Rossi!
PERROTIN - Bah!
DUJARDIN - E adesso fuori: anche tu! E si accomodi, con tutti gli onori, il
compagno Rossi di Marsiglia!
ANITA (con un baciO sulla guancia) - Grazie, papà!
DUJARDIN - Perché grazie?
ANITA - Così! Stasera suoniamo la chitarra.
DUJARDIN - Certo!
PERROTIN - Bah!
(Escono Perrotin e Anita.)
DUJARDIN - … sono il padrone del giardino dei ciliegi….
II.
(Bussano. Il Primo Ministro si ricompone. E' in piedi, accanto alla scrivania,
involontariamente in posa.)
DUARDIN - Avanti!
(Entra - scivola dentro - il Rossi, quasi appoggiandosi allo stipite per non
cadere. La posa del presidente si scioglie immediatamente)
Rossi!…
ROSSI - … Louison!…
DUJARDIN (affettuosamente, andandogli incontro) - Rossi, vieni avanti!…
ROSSI - Louison… Louison… Oh, crincio d'un dio, Louison!
DUJARDIN - Ma cosa c'hai, Rossi?… Ma cos'è che fai: piangi?
ROSSI - Oh, lasciami stare, Louison, lasciami stare! Oh, crincio d'un dio,
crincio d'un dio, Louison!…
DUJARDIN - Vieni qui, vieni qui…. Bevi qualcosa, te'…. Te', bevi…
ROSSI - Mi scusi, sa… Io non so…. Lei è il primo ministro…
DUJARDIN - Rossi, ma tra compagni ci si dà del lei?
ROSSI - Oh, Louison! Io lo sapevo, sai, che mi avresti ricevuto! Tutti a dirmi:
"Ma cosa vai a Parigi a fare! Ma figurati se quello!…." Ma io lo
sapevo, Louison!…
DUJARDIN - Ma perchè piangi?
ROSSI - Per l'emozione, solo per questo… Scusami!…
DUJARDIN - Adesso ti calmi: ci sediamo qui, chiacchieriamo un momento!… Mi hai
fatto piacere, sai? Oggi… non ho niente da fare… Ecco: sediamoci qui, in
poltrona…
(Prima di sedersi, con gesto di distratta abitudine, il Primo Ministro spolvera
con la mano il cuscino della poltrona. Anche Rossi guarda la poltrona su cui
sta per sedersi, e poi, con la mano, accuratamente, si spolvera il fondo della
schiena. Siedono.)
Il compagno Rossi! Eccolo qui!… Quanti anni, eh?.. Quanti anni è che hai?
Novantacinque?
ROSSI - Novantaquattro, prego. Novantacinque ci manca ancora un mese.
DUJARDIN - E come stai? Benissimo!
ROSSI - Eh, magari! Ho un'artrosi al piede… L'altro giorno ero lì a casa della
Faucille, c'erano i miei nipotini che giocavano al futboll in corridoio…. Gli
ho detto: cià, che ti tiro un rigore! Bastato un colpetto al pallone…. Ho visto
le stelle, Louison! Le stelle!
DUJARDIN - I nipotini, eh? E così sei nonno.
ROSSI - Bisnonno! Quei lì, erano i nipotini della Faucille.
DUJARDIN - Devi avere una bella famiglia, tra figli, nipoti, bisnipoti…. Tutti
bene?
ROSSI - Sì, sì, benissimo! L'è morto il Spartaco, l'è morta l'Officina… i miei
primi due: però… già anziani. Così com'è, c'ho tre figli, dodici nipoti,
trentaquattro - dico trentaquattro - bisnipoti… Non so neanche tutti come si
chiamano. Ma tutti nomi… Ricky, Peter, Daiana… Tutti nomi così! Però… tutti
iscritti al partito! Anche un marito di una mia nipote: un intellettuale di
merda, che vota Poujade! Iscritto anche lui: sezione di Rue de la Paix. Tanto
per far star zitto il vecchio, capito? Ma intanto… paga la quota e c'ha
l'abbonamento a Liberation! Te', il poujadista!
(Gesto classico, all'altezza del gomito.)
DUJARDIN - La sezione ti deve molto, Rossi, lo so! Ma dimmi un po': sei ancora
segretario?
ROSSI - Non fammi parlare, Louison.
DUJARDIN - No, dimmi: perché? C'è qualcosa che non va?
ROSSI - Niente, niente!…
M'hanno dato il benservito, Louison! Sei anni fa: perché ero troppo vecchio!
Pensa te: troppo vecchio, a ottantott'anni! Hanno messo sù il Trenet: uno di
quegli sbarbati, buoni da niente, chiacchieroni, che non si capisce mai niente
di quel che dicono! E perché? Perché è il cognato di un pezzo grosso della
federazione! Non farmi parlare, Louison! Oggi no!
Ohei, sai che mi ricordo, quel giorno che era la prima volta che sei venuto in
Sezione? C'avevi i calzoni alla zuava! Pensa te quanti anni sono! I calzoni
alla zuava: e hai sgarrato sull'età per poterti iscrivere. E io ho fatto finta
di niente: ho firmato la tessera… e oggi…
DUJARDIN - E oggi ce l'abbiamo fatta, vero, Rossi? E' questo che vuoi dire?
ROSSI - Sì, crincio d'un dio! E io lo sapevo; e sai perché, Louison? Perché una
volta, nel '44, m'han preso i tedeschi, e m'han portato in Rue Lauriston, dove
che c'era la milizia di Laval, e m'han messo in una cantina, e hanno cominciato
“porco d'un socialista” di qua, e “rosso di merda” di là, e mi hanno dato tante
di quelle botte, ma tante di quelle botte, che alla fine il più intelligente di
loro ha detto: basta, l'è morto.
E invece io ero ancora vivo, e mi son detto: Faccio un voto alla madonna,
orcodio!, e non muoio da questo mondo finchè voi, fascisti del cazzo, non siete
spariti tutti quanti, e non c’è al governo un socialista come me! E quando che
racconto questa storia c’è sempre nei paraggi un qualche pirla che ride, ma
intanto eccomi qui: io vivo, loro andati, e te sei al governo! Ho vinto il voto
con la madonna, e adesso posso anche morire: era nei patti... Vorrei soltanto
vedere... Louison... magari anche solo per un giorno... le cose che cambiano!”
DUJARDIN - Cioè?...
ROSSI - Le cose che cambiano, Louison... vuol dire... che si capisca bene che
sono cambiate, o che stanno cambiando. E che stanno cambiando perché siamo
andati sù noi, e perché noi siamo fatti diversi! Ohei, ma ti rendi conto? “I
socialisti al governo”! E’ una roba che a sentirla fa venire i brividi; ai
sfruttatori, ai nemici del popolo per un verso, a noi per un altro! E questo si
deve capire, Louison: una svolta da far girare la testa: il mondo che imbrocca
finalmente la strada giusta: giù i ricchi, padroni e preti... e sù i
lavoratori. Non è mica questo, Louison? Eh? Io è questo che aspetto, da tutta
una vita, e che vita! Ho fatto due guerre, due rivoluzioni, dieci anni di
galera, quarant’anni di matrimonio... Ho preso tante di quelle botte che le
ultime non mi facevano neanche più effetto! E tutto per questa idea che c’avevo
sempre davanti agli occhi: il sole che finalmente el ven sù... e fine della
notte! Vederlo davvero, questo sole, Louison. Capire che è venuto sù davvero, e
poi basta. Poi vado via, e non ci disturbo più a nessuno!
(Breve pausa. Il citofono suona.)
DUJARDIN (al citofono) - Sì?
VOCE AL CITOFONO - Scusi, presidente, c'è il dottor Aragon… insiste perchè la
avverta che è qui.
DUJARDIN - Gli dica che oggi non ricevo nessuno. Che mi scusi, ma…
VOCE AL CITOFONO - Il dottor Aragon insiste per essere ricevuto…
VOCE MASCHILE AL CITOFONO - Presidente, scusa: sono io. Bisogna proprio che ci
vediamo un attimo…
DUJARDIN - E va bene…. Tra cinque minuti.
(Chiude il citofono. Ritorno al Rossi.)
ROSSI - Louison, dimmi di sì!
DUJARDIN - Beh, certo, Rossi... Qualcosa faremo, e… non sarà acqua fresca.
Tuttavia… ci muoviamo in una situazione complessa, dobbiamo ricercare
equilibri, fare i conti con gli altri....
ROSSI - Per l’amor di dio, Louison, per piacere… Non cominciare anche tu come
il Trenet e i suoi parolai, che parlano di confronti programmatici, di
convergenze… e vanno avanti così piano che bisogna puntellarli se no vanno
indietro...
DUJARDIN - In fondo siamo al governo con una coalizione. La maggioranza
assoluta non l'abbiamo. Non è così facile.
ROSSI - Ma neanche così difficile, Louison. Giustizia, lavoro per tutti, una
casa ciascuno, le tasse a chi che c'ha i soldi, basta con le armi, e piuttosto
ospedali, pensioni e bambini... La gente non aspetta altro, Presidente. Io non
ti chiedo di bruciare i preti o di far impiccare i padroni: perché io non ho
mai odiato nessuno, neanche quelli che mi picchiavano. Loro picchiavano, e io
pensavo: povere bestie, chissà cos’è che c’hanno in testa! Ma qui non puoi
dirmi di no, Louison: un po’ di socialismo, di quello vero, d’annata, come il vino
novello, come il Beaujolais!..
DUJARDIN (un po' a disagio con la piega che ha preso il discorso) - D'accordo,
Vedrai!
(Si alza. Anche il Rossi si alza, ma continua.)
ROSSI - Tu sei il secondo, di primi ministri che ho visto.
DUJARDIN - Lo so, Rossi…
ROSSI - Il primo è stato quando ero ancora in Italia. Anche lui era un
socialista che aveva fatto carriera: si chiamava Benito Mussolini.
DUJARDIN - Lo so, Rossi, me lo ricordo.
ROSSI - Io lo conoscevo perché gli avevo fatto da fattorino quando appunto era
socialista e dirigeva il giornale del partito. Come è diventato primo ministro,
io ho preso sù e son andato a Roma: e lui mi ha ricevuto, talis etequalis come
che hai fatto te... Perché in fondo non era cattivo. L’ha rovinato il fascismo.
DUJARDIN - Lo so, Rossi, me l’hai già raccontato...
ROSSI - Io però quella volta non mi sono mica commosso! In primis perché ero
più giovane, e poi perché lui aveva già preso una brutta piega. Quindi sono
andato là a muso duro, e gli ho detto: Sta attento, Benito, perché se vai
avanti così finisci appeso per i piedi a un distributore di benzina: te e tutti
i tuoi gerarchi, e la tua amante sporcacciona...
DUJARDIN - Lo so, Rossi, me l’hai già raccontato tante volte...
ROSSI - E lui com’è che è finito? Appeso per i piedi, a un distributore di
benzina...
DUJARDIN - Lo so, Rossi...
ROSSI – ... con tutti i suoi gerarchi e la sua amante sporcacciona
DUJARDIN – Ho capito, Rossi....
ROSSI – Nel 1922, Louison, io avevo già previsto tutto!
DUJARDIN - Va bene, Rossi, vedrò di non finire così anch’io!
ROSSI - No, tu sei diverso, Louison! E è per questo che ti raccomando: un po’
di socialismo! E dà retta a me: è facile, Louison! Così facile che uno non se
lo immagina neanche!... Basta provare!
DUJARDIN - Rossi, tu stasera vieni a cena a casa mia, e domanti di faccio
accompagnare a Marsiglia in macchina.
ROSSI - Oh, no, no.
DUJARDIN - E' un ordine!
ROSSI - In macchina no, Louison! Sta attento: è abuso di macchine d'ufficio.
Conflitto di interessi. E tu lo sai come è che sono gli avversari politici:
sempre pronti…
DUJARDIN - Non me ne frega niente, Rossi! Tu domani torniu a Marsiglia con la
macchina della presidenza del consiglio dei ministri. Che adesso ti accompagna
a casa mia!
ROSSI - Oh, presidente!..
DUJARDIN - Io non sarei qui, Rossi, se non ci fosse stata al mondo un po' di
gente come te!
ROSSI (commosso) - Oh, Louison, se ti sentissero in Sezione!…
(Dujardin gli porge la mano, Rossi si china a per baciargliela)
DUJARDIN - Rossi, vergognati!
ROSSI - Hai ragione: scusa!…
(Si erge per quanto possibile, alza il braccio con la mano chiusa a pugno, e
scivola fuori cedendo in extremis alla commozione.
Breve pausa.)
III.
(Dujardin si avvicina al citofono)
DUJARDIN - Avanti il dottor Aragon.
(Entra il dottor Aragon. Dujardin lo accoglie un po' bruscamente)
Che cosa 'è? Che cos'è tutta queta urgenza? Non potevi aspettare domani, anche
tu, come gli altri?
ARAGON - Calma, calma! O adesso che sei primo ministro devo farmi dei riguardi
particolari?
DUJARDIN - Vieni avanti.
ARAGON - Come stai?
DUJARDIN - Politicamente, o cosa?
ARAGON - Sono il tuo medico curante, so che non hai tempo da perdere, e
neanch'io ne ho. Quindi la domanda non è politica. Ripeto: come stai?
DUJARDIN - Bene. Sono state giornate pesanti, sono probabilmente un po' stanco,
ma sono anche troppo euforico per accorgermene.
ARAGON - Le pillole che ti ho dato, le prendi?
DUJARDIN - Quando me lo ricordo.
ARAGON - Quindi, quasi mai. Gliel'ho detto anche a tua moglie, di starti
attento; ma pare che ti veda solo in televisione.
DUJARDIN - Senti: sei venuto per farmi la predica?
ARAGON - Sono venuto a portarti le analisi.
DUJARDIN - Quali analisi?
ARAGON - Non se lo ricorda neanche! Quelle che t'ho fatto fare quindici giorni
fa.
DUJARDIN - Ah, quelle! Sì, mi pare. Beh, e che cosa dicono?
ARAGON - Non andiamo mica tanto bene, sai?
DUJARDIN - Cioè?
ARAGON - Ti dico che non andiamo per niente bene!
DUJARDIN - Oh dio, Aragon, so già dove vai a finire: devo lavorare meno,
prendermi un periodo di riposo, seguire una cura, fare vita più regolare e meno
stressante. Non posso, Aragon! In questo momento non posso!
ARAGON - Sono dieci anni che dura questo momento.
DUJARDIN - E speriamo che duri almeno altri dieci,
ARAGON - Sarà un po' difficile, se non mi dai retta.
DUJARDIN - Insomma, cosa c'è? Azotemia? Colesterolo? I trigliceridi? Sentiamo:
che cosa devo fare: un'operazione, una dieta?…
ARAGON (sventolando un foglio di carta) - Qui c'è un'analisi istologica che ha
dato risultati positivi, amico mio.
DUJARDIN - Positivi? Benissimo!
ARAGON - Uff!… Quando si cerca una malattia e non la si trova l'analista scrive
"esito negativo". E scrive "positivo" quando la si trova.
DUJARDIN - Ho capito: positivo per la malattia, negativo per me. E' così.
ARAGON - Sì.
DUJARDIN - E allora? La smetti di farti cavare le parole di bocca una alla
volta? Vuoi dirmi che cos'ho?
ARAGON - Una volta mi hai detto, tanti anni fa…
DUJARDIN - …di dirmi tutto quel che c'era da dirmi, senza giri di parole, senza
tanti riguardi.
ARAGON - Vale ancora?
DUJARDIN - Certo.
ARAGON - Un tumore.
(Pausa. Dujardin prende il foglio dalle mani di Aragon. Lo legge con distratta
attenzione.)
Adesso… non farne una tragedia.
IL P.M. - Io? Cose che capitano, suppongo.
(Indica qualcosa sul foglio)
E' questo?
ARAGON - Sì.
DUJARDIN - Elegante!…
Va bene, Aragon: dimmi tutto, con calma, senza agitarti.
ARAGON - Mi dispiace, Monjardin, ma la situazione è seria. Molto seria. Il
tumore ha preso il fegato. E' molto avanzato.
DUJARDIN - Si può operare?
ARAGON - Io non te lo consiglio.
DUJARDIN - (non senza nervosismo) - Che cosa vuol dire "io non te lo
consiglio"? Ti ho chiesto se si può operare o no.
ARAGON - No.
DUJARDIN - Si può curare… in qualche modo.
ARAGON - Sì, certo. Le cure si possono sempre fare.
DUJARDIN - Ho paura che tu non sia abbastanza brutale, Aragon. Non dire
"le cure si possono sempre fare". Lo so anch'io che non sono
proibite. Quel che voglio sapere lo sai benissimo.
ARAGON - Le cure possono rallentare il decorso: non possono arrestarlo. E meno
che mai…
DUJARDIN - Ho capito.
(Pausa)
Di che cure si tratta?
ARAGON - Beh… le solite che si fanno in questi casi: farmaci, cobalto…
DUJARDIN - Il cobalto è quello che gonfia, che fa cadere i capelli, che fa
cadere i denti…
ARAGON - Beh, ha degli effetti collaterali non sempre piacevoli.
DUJARDIN (con un sorriso, non senza sarcasmo) - "Ha degli effetti
collaterali non sempre piacevoli". Bello! Parli anche tu come un politico.
ARAGON - Volevo dire…
DUJARDIN - Ho capito.
(Conclusivo, restituendogli il foglio)
Allora, Aragon: voglio i due preventivi: con le cure… e senza le cure.
ARAGON - Con le cure…. Uno o due anni, forse qualcosa di più.
DUJARDIN - E le cure… cosa comportano?
ARAGON - Significa lasciare ogni attività…. Fare lunghi periodi in clinica….
Fare l'ammalato, insomma.
DUJARDIN - E senza le cure?
ARAGON - … sei mesi al massimo.
DUJARDIN - Una cosa veloce.
ARAGON - Mi dispiace, Dujardin. Mi dispiace molto.
DUJARDIN - Proprio oggi!
ARAGON - Avrei potuto dirtelo ieri o l'altro ieri… Ma ho preferito lasciarti
concludere quello che stavi facendo. Ma di più non potevo aspettare.
DUJARDIN - Hai fatto bene.
Dio del cielo, sono entrato qui un'ora fa che avrei fatto i salti dalla gioia.
E adesso… con tutte le cose che avevo in mente di fare…
Una cosa voglio chiederti: nessuno lo deve sapere.
ARAGON - Nessuno dove? Nel mondo politico, in famiglia?…
DUJARDIN - Stavo pensando alla famiglia, in questo momento… Ma anche mel mondo
politico, certo! Nessuno deve saperne niente, mi raccomando.
Strano che prima di tutto abbia pensato alla famiglia! Si vede che sono ancora un
essere umano… o che quando si arriva al dunque emergono altri valori…
ARAGON - Nessuno lo saprà sta tranquillo!
DUJARDIN (quasi tra sé, con l'accento e le espressioni del suo colloquio con
Rossi) - Crincio d'un dio, propri incoeu!
ARAGON - Eh?
DUJARDIN - Proprio oggi! Con tutte le cose che avevo in mente di fare! E
adesso?
(Gli porge la mano, come per congedarlo)
Grazie, Aragon.
ARAGON - Dovrai dirmi che cosa intendi fare.
DUJARDIN - Tu che cosa mi consiglieresti?
ARAGON - Due anni sono più di sei mesi. Un medico è sempre per la vita.
DUJARDIN - …sarebbe vita?
ARAGON - Non certo come la intendi tu. Ma anche i medici hanno le loro
deformazioni professionali. Finchè il cuore batte…
DUJARDIN - Finchè c'è vita c'è speranza.
ARAGON - Anche al di là della speranza.
DUJARDIN - .. come in questo caso!…
(Quasi tra sé)
Proprio oggi! Con tutte le cose che aveva in mente di fare!…
(Con altro tono, ad Aragon, accompagnadolo alla porta)
Ci penserò.
Grazie.
(Aragon esce. Dujardin rimane solo, nello studio in cui è ormai scesa la sera.
Siede su una poltrona, faccia al pubblico, al proscenio, ad un lato della
scena. Si sporge un poco in avanti, come se di fronte avesse un grande
specchio. Dall'alto scende una grande lente d'ingrandimento: è lo specchio in
cui egli si osserva. Lo vediamo passarsi lentamente una mano sul viso, come a
scoprire tracce e sintomi della malattia. Anche il pubblico vede - ingrandito e
forse deformato dalla lente - il suo volto esplorato dalle dita.
Un lungo, lunghissimo monologo silenzioso, mentre le luci si attenuano fino al
buio.)
PRIMO INTERMEZZO
(Uno “tschindrarà” violento e improvviso introduce un’allegra e chiassosa
marcetta da circo equestre. Ottoni, tamburi, pifferi, e la luce clamorosa della
pista. Irrompono in scena due pagliacci, il Domatore e l’Acrobata, tutti
vestiti secondo il loro ruolo e l’iconografia più tradizionale, e con i gesti
del loro repertorio.
Il quartetto accompagna l’ingresso di un furgone o camioncino, che avanza a
fatica, fumando e traballando. La carrozzeria è variopinta, ma vi predomina il
bianco-rosso-blù, com macchie d’altri colori e di sporco. Sulla fiancata del
furgone, o su un cartello che lo sormonta, si legge la scritta “Grand Circus
Allons enfants!”. O qualcosa del genere.
Al volante, l’autista è il Direttore del Circo: veste la divisa del ruolo:
stivali, polpe, giacca con gli alamari, un cilindro. Il Direttore sta cercando
di mantenere il motore acceso e la macchina in corsa. Gli altri quattro cercano
di spingere il furgone, con grida d’accompagnamento a soggetto.
Ma tutto è inutile: al centro della scena il furgone si arresta, con una serie
di colpi di tosse, un ultimo singulto, un ultimo sbuffo di fumo dal motore. Un
pezzo di carrozzeria cade, una gomma potrebbe anche afflosciarsi... E’ proprio
una rovina.
Come la macchina si ferma, il Direttore scende, alza le braccia per dare
l’ordine, quasi ce ne fosse bisogno:)
IL DIRETTORE – Aaaaaaalt!
L’ACROBATA – Cosa c’è?
IL DIRETTORE – La macchina non va più! Bisogna fermarsi!
PRIMO PAGLIACCIO – A me pare che siamo già fermi!
(Grande risata sguaiata del Secondo Pagliaccio, ed eventuale lazzo.)
IL DOMATORE – Questo è un bel guaio!
L’ACROBATA – Che cosa facciamo?
IL DIRETTORE – Qui bisogna fare qualcosa: non si può andare avanti così.
PRIMO PAGLIACCIO – Intanto potremmo mangiare.
SECONDO PAGLIACCIO – Mangiare si può sempre.
IL DIRETTORE – E va bene! Preparare per il pic nic! Ma ricordarsi che non si
può risolvere tutto mangiando!
(Il Domatore e l’Acrobata scaricano dal furgone l’essenziale per un picnic: un
tavolino, scatole di cibarie, bevande in lattina, forse un fiasco di vino. I
due pagliacci invadono il proscenio, con i consueti lazzi del loro repertorio:
capriole, sgambetti, spintoni; dando vita a un dialoghetto disossato e assurdo,
eventualmente a soggetto, di cui qui si fornisce una ipotesi:)
PRIMO PAGLIACCIO – Si mangia!
SECONDO PAGLIACCIO – Si mangia!
PRIMO PAGLIACCIO – Evviva!
SECONDO PAGLIACCIO – Evviva!
IL DIRETTORE – Ci siamo tutti?
PRIMO PAGLIACCIO – Ci siamo tutti?
(Il Secondo Pagliaccio si volge nella direzione in cui si trova – immobile
sulla sua poltrona – il Primo Ministro: ma solo “nella direzione”, senza
rivolgersi chiaramente a lui, e parlandogli sempre da dietro le spalle!)
SECONDO PAGLIACCIO – Ehi! Voulez-vous jouer avec môa?
(Più forte, gridando)
Voulez-vous jouer avec môa?...
PRIMO PAGLIACCIO – Ma che cosa gridi, che non c’è più nessuno!
SECONDO PAGLIACCIO – Non c’è più Nessuno? Allora Nessuno non c’è più!
(Scoppia a piangere: consueti lazzi del fazzoletto strizzato, etc.)
PRIMO PAGLIACCIO – Che cosa c’è da piangere?
SECONDO PAGLIACCIO – Uah, uah, Nessuno non c’è più! Nessuno è morto!
PRIMO PAGLIACCIO – Allora se nessuno è morto bisogna essere allegri!
SECONDO PAGLIACCIO (come colto da un’idea improvvisa, smette di piangere) –
Ohei! Io lo so dove è andato nessuno? Te lo sai dove è andato nessuno? E’
andato in America.
PRIMO PAGLIACCIO – In America? Quale America?
SECONDO PAGLIACCIO – Come “quale America”!
PRIMO PAGLIACCIO – Non lo sai che di Americhe ce ne sono tante? L’America del
sud, quella del nord, l’America dell’est e quella del far west.
SECONDO PAGLIACCIO – Lui è andato nell’America del Nord.
PRIMO PAGLIACCIO – E perchè?
SECONDO PAGLIACCIO – Perchè il padrone del Circo è un mericano del nord. Si
chiama Zio Sam, fa lo sceriffo e c’ha la bomba tomica!
PRIMO PAGLIACCIO – E è il padrone del circo?
SECONDO PAGLIACCIO – Sicuro!
PRIMO PAGLIACCIO – Del nostro circo?
SECONDO PAGLIACCIO – Di tutti i circhi del mondo!
IL DIRETTORE (ha sentito, e interviene infuriato) – Chi è mette in giro queste
voci? Vergognatevi! Siete proprio dei pagliacci! Il nostro circo è nostro, e
solo nostro, e lo dirigo io, e qui comando io! L’America non c’entra. E lo Zio
Sam è amico nostro, e ci aiuta, e ci protegge!
SECONDO PAGLIACCIO – Da che cos’è che ci protegge?
IL DIRETTORE – Ve lo siete dimenticato, quando ci proteggeva dai circhi russi:
prepotenti, invadenti, che ci facevano concorrenza sleale?
PRIMO PAGLIACCIO – Beh, ma quelli ormai hanno fatto fallimento.
SECONDO PAGLIACCIO – Ma allora adesso da chi è che ci protegge?
IL DIRETTORE – Ci protegge, ci protegge!.. Lo so io da chi ci protegge!
PRIMO PAGLIACCIO – Sì, però ce la fa pagare a noi, la protezione!
SECONDO PAGLIACCIO (come colto da un’idea improvvisa) – Ehi! E se ci
proteggessimo da soli?
SECONDO PAGLIACCIO – Da soli, da soli!
IL DIRETTORE – Basta! Qui il circo lo dirigo io! E decido io quello che si fa!
(Con tono imperioso si rivolge al Domatore)
Tu!
IL DOMATORE – Yes, sir?
IL DIRETTORE – Mettili in riga! Che la smettano di pensare e di far tante
storie, e che vengano a tavola!
IL DOMATORE (agitando e facendo schioccare la frusta) – Okay, boys! Take it
easy now! You... come down from there.... Come here! Take a sit and don’t move!
Atta boy!... Quiet... quiet.... Jolly good... This is a nice little monkey...
PRIMO PAGLIACCIO (prima di prendere posto a tavola, torna a rivolgersi – come
prima – nella direzione di Dujardin) – Voulez vous manger avec môa?
(Più forte, gridando)
Voulez vous manger avec môa?
(Nessuno risponde. Il Primo pagliaccio alza le spalle e siede. Lazzo degli
sgabelli)
SECONDO PAGLIACCIO – Buon appetito!
ALTRI – Buon appetito! Grazie! Altrettanto!
(Mangiano, abboffandosi.)
IL DIRETTORE – Voi non pensate ad altro che a mangiare! E intanto qui siamo in
crisi! Il circo non funziona più! Per quarant’anni ci ha dato da vivere, ha
divertito il pubblico e lo ha fatto ridere... ma adesso la gente comincia ad
averne abbastanza, non compra i biglietti, preferisce andare al mare o guardare
la televisione, e qui non abbiamo neanche i soldi per riparare il furgone!
C’è qualcuno che ha qualcosa da dire?
PRIMO PAGLIACCIO (parla a bocca piena, al punto che non si capisce quel che
dice) – I... ic... c’è... qlcs... nnn va.
IL DIRETTORE – Eh ?
SECONDO PAGLIACCIO – Maleducato: non si parla con la bocca piena!
(Gli rifila uno scappellotto sulla nuca: il primo pagliaccio sputa il cibo.)
PRIMO PAGLIACCIO – Io dico che c’è qualcosa che non va.
IL DIRETTORE – Mi pare un’osservazione esatta. Un solo episodio, signori:
durante l’ultimo spettacolo i leoni avevano fame, ed hanno mangiato un
pagliaccio. Il pagliaccio doveva porgere il trapezio a un acrobata, ma non ha
detto niente a nessuno, così l’acrobata non ha trovato il trapezio e si è
schiantato al suolo.
SECONDO PAGLIACCIO – E la rete? Dov’era la rete?
IL DIRETTORE (evasivo) – La rete... la rete non c’era!...
L’ACROBATA – E perchè non c’era?
IL DIRETTORE – Beh... non so.... qualcuno se la sarà dimenticata... cose che
possono succedere...
L’ACROBATA – Io esigo un’inchiesta! L’opinione pubblica dev’essere informata!
IL DIRETTORE – Certo, certo! Esamineremo il problema...apriremo un’indagine...
nomineremo una commissione...
IL PRIMO PAGLIACCIO (corre quasi al proscenio, parla in direzione di Dujardin e
del pubblico) – Lo sanno tutti perchè la rete non c’era: perchè era stata usata
per fare un’amaca, per la cavallerizza, che è l’amica del Direttore!
L’ACROBATA (aggressivo, con le mani sui fianchi, al direttore) – Ah, è così!
IL PRIMO PAGLIACCIO – Oddio, oddio, adesso farà uno scandalo!
(Il secondo Pagliaccio accompagna la scena con un rullo di tamburo in
crescendo)
L’ACROBATA – Si sacrifica una rete di protezione per fare un’amaca acciocchè
l’amica del direttore si rilassi e prenda il sole! Sono lieto che la mia
fermezza abbia condotto a far piena luce sull’accaduto...
IL PRIMO PAGLIACCIO (sempre a Dujardin, che rimane come sempre immobile ed
impassibile) - Ahi, ahi! Qui siamo alla crisi di governo! E’ la fine! Fine del
nostro circo!
(Il rullo di tamburo è al massimo)
L’ACROBATA - ... Mi dichiaro completamente soddisfatto!
(Il rullo di tamburo si conclude con i piatti.)
I DUE PAGLIACCI – Niente crisi! Evviva!
PRIMO PAGLIACCIO (si avvicina con un microfono al direttore) – Una
dichiarazione per la stampa?
IL DIRETTORE (stentoreo, ufficiale) – La crisi è risolta! Ha prevalso il buon
senso! Abbiamo evitato un salto nel buio!
PRIMO PAGLIACCIO – Grazie!
SECONDO PAGLIACCIO – Però il circo continua a non andare. Di chi è la colpa?
IL DIRETTORE – E se i colpevoli fossero proprio gli acrobati?
L’ACROBATA – Ah, no! Protesto e nego! Ma signori, ma basta guardarli! Basta
vedere con quali acrobazie svettano da una parte all’altra, con quali
equilibrismi superano i passaggi più insidiosi! Di palo in frasca, da un
trapezio all’altro, pronti a porgersi l’un l’altro la mano, rilanciandosi verso
l’altro proprio quando la parabola giunge al punto più basso, oscillando a
destra, a sinistra, da sinistra a destra, da destra a sinistra, quasi
scherzando il centro, quasi sfidando ogni legge di gravità o d’altro!... Ah,
no, signori: gli acrobati del nostro circo sono davvero tra i migliori del
mondo!
Diamo piuttosto un’occhiata ai domatori!
IL DOMATORE – I domatori? Ah, no, qui mi oppongo io! Se c’è un reparto
efficiente nel nostro circo, è proprio quello dei domatori: a contatto per
giunta con una classe lavoratrice non sempre facile e arrendevole. Abbiamo
concesso alle tigri lo stesso trattamento dei leoni, agli elefanti è stata
riconosciuta la settiamana corta, le scimmie possono scegliere tra noccioline
di tre diversi tipi di tostatura... Riforme che hanno avuto il loro prezzo, ma
che sono garanzie di un ordine e di una pace sociale che tutti i circhi ci
invidiano. No, signori: se si vuole trovare un responsabile, cerchiamo semmai
tra i prestigiatori e gli illusionisti.
IL DIRETTORE – Ah, qui si perde il senso delle proporzioni! Ma che cosa sarebbe
il nostro circo se non ci fossero prestigiatori capaci di far sparire le carte
sotto il naso del pubblico? C’era una carta? Non c’è più! Un mazzo di carte?
Sparito! Un intero incartamente, un dossier, un archivio?... Pfiut!... E gli
illusionisti? “Va tutto bene! Avete capito? Vi sembra che vada male? Non è
vero! Siamo i campioni del mondo, si o no? Opplà! Volete che ve lo canti?
Volete che ve lo balli?”
(Canta e balla, sulle parole “Va tutto bene, Opplà!”)
Togliere gli illusionisti!? Sarebbe come eliminare dal mondo le fabbriche dei
sogni: concorsi di bellezza, lotterie, buoni premio... la televisione!!!
Diamo piuttosto un’occhiata ai pagliacci!
PRIMO PAGLIACCIO ( parla seriamente, in modo non pagliaccesco, magari anche
liberandosi di qualche attributo del costume, come ad esempio una parrucca
rossa) – A noi?! Spero vogliate scherzare! Ma ci avete mai visto quando
entriamo in pista, con le scarpe lunghe un metro, i calzoni a scacchi, le
maglie a righe, e il naso rosso, e la faccia tinta: con i cascatoni, le
capriole, le botte in testa... che perfino i bambini scattano in piedi ad
applaudire! Noi il nostro dovere lo facciamo fino in fondo! Noi facciamo ridere
tutto il mondo! Siamo il punto di forza del nostro circo! La force de frappe
siamo noi!
(I due pagliacci danno un saggio della loro bravura con qualche rapido lazzo)
IL DIRETTORE – Va bene, va bene! Ma allora, scusate: se tutto va bene come mai
tutto va male? Qui occorre un colpo di genio: qui bisogna inventare qualcosa.
Un’astuzia, un escamotage!
TUTTI – Un colpo di genio! Un colpo d’astuzia! Un escamotage!
SECONDO PAGLIACCIO – Ti aiuto io!
(Alle spalle del Direttore, gli toglie il cappello, e gli “coltiva” la testa:
la annaffia, la pettina, la lucida come a fargli partorire un’idea. Intanto il
Primo Pagliaccio torna a rivolgersi – come prima – nella direzione di Dujardin)
PRIMO PAGLIACCIO – Voulez vous escamoter avec môa?
(Più forte, gridando)
Voulez vous escamoter avec môa?
(Nessuno risponde. Il Primo pagliaccio alza le spalle e abbandona l’impresa.)
IL DIRETTORE – Trovato! Quello che occorre, signori, è un mutamento apparente!
Come sempre si fa quando si finge si cambiare tutto senza cambiare niente. Il
nostro circo non piace più? Benissimo, scriveremo “Nuova gestione”, e per
qualche tempo il circo lo dirigerà un altro. Il pubblico penserà che sia tutto
cambiato, e tornerà.
L’ACROBATA – Calma, calma! Un altro... chi?
IL DIRETTORE – Oh, non ha importanza: qualcuno che conti poco, ma che dia
l’impressione della novità! E che quando la buriana sarà passata, spediremo via
senza tante storie!
(Perplessità per qualche istante, poi reazioni positive)
GLI ALTRI – Può essere una buona idea!... Un direttore fantoccio... Che ci cavi
le castagne dal fuoco... Un uomo nuovo!... Non un pagliaccio!... Neanche un
acrobata... O un illusionista!.. Un uomo nuovo!... Per una svolta epocale!...
Epocale... ma finta!
IL DIRETTORE – Lasciate fare a me.
(Si rivolge verso la quinta)
Ehi, buon uomo!... Ehi, quel giovine!...
(Entra un ometto, recando a mano una bicicletta. E’ vestito più o meno da
quarto stato: operaio o contadino... Assomiglia moltissimo al Laïc Libre
Travail Rossi visto in precedenza.)
L’OMETTO – Dice a me?
IL DIRETTORE – A lei, sì! Lei... ha mai lavorato in un circo?
L’OMETTO – Io?! Mai!
IL DIRETTORE – Benissimo! E qual’è la sua presente occupazione?
L’OMETTO – Veramente... sono disoccupato.
IL DIRETTORE – Ottimamente. Le offriamo un lavoro.
L’OMETTO – Un lavoro?
IL DOMATORE – La direzione di un circo!
L’ACROBATA – Un circo equestre, di grande successo!...
L’OMETTO – Ma io... non ho mai...
IL DIRETTORE (ai suoi) – Ma no, ma no, non così!...
(All’ometto)
Si tratta solo di guidare un’automobile. Lo vede quel furgone? E’ facilissimo:
lei siede al volante, gira la chiavetta... A bordo ci saremo anche noi, le
diremo noi dove andare...
(L’Ometto viene spinto e issato al volante.)
GLI ALTRI – E’ un posto di grande responsabilità... di grande soddisfazione...
Molto influente!... Potrà dare lavoro a tutti i suoi parenti... Basterà una sua
raccomandazione...
(Sono tutti saliti a bordo)
L’OMETTO – Eh, ma il motore non parte!...
IL DIRETTORE – E allora scenda!... Sù, non stia lì a perder tempo!... Scenda!
La vede quella corda? Ecco, bravo! Tiri, tiri! Un po’ faticoso, sì, ma per un
posto importante come il suo qualche sacrificio bisogna pur farlo! Tiri,
tiri!....
(L’Ometto ha preso la grossa gomena che aggancia il furgone e comincia a
tirare, con la corda sulla spalla, con un battelliere del Volga. Il furgone si
muove.)
I QUATTRO (a bordo) – Si parte! Si riparte! Il circo è di nuovo in marcia! Il
circo è salvo! La patria è salva! Evviva! “Allons enfants de la patrie...”
(Esce il furgone, nel clamore chiassoso dell’inno suonato nello stile del
circo.)
IV.
(La scena circense si è dissolta; siamo ora di nuovo nello studio del Primo
Ministro. Dujardin è ancora seduto in poltrona, immobile, assorto,
nell’identica posa del suo silenzioso monologo, prima del “sogno”.
Entra Anita: e il suo ingresso è il ritorno della realà.)
ANITA – Papà!...
DUJARDIN – Anita!...
ANITA – Papà, che cosa fai ancora qui? Eravamo in pensiero...
DUJARDIN – Mi sono addormentato. Mi ero seduto qui un momento a riposare... e
mi sono assopito. Poi mi sono messo a pensare...
ANITA – Ma è successo qualcosa?
DUJARDIN – Successo qualcosa? No, perchè? Che cosa dovrebbe essere successo?
Non è successo niente. O forse.... Sì, sì: è successo qualcosa. E’ successa...
una cosa strana...
Anzi: hai fatto bene a venire... perchè potrei chiedere consiglio a te.
ANITA – A me ?!
DUJARDIN – Sì, perchè no? A volte da fuori si vedono le cose con più chiarezza
di quando ci si è dentro. E’ quello che gli inglesi chiamano “fresh approach”.
Bello, vero?... Ecco: tu potresti avere questo... “fresh approach”, che io
ovviamente non ho... e darmi magari il consiglio giusto.
(Pausa)
E’ successo che... oggi, proprio oggi, persone molto potenti, mi hanno mandato
un avvertimento. Mi hanno fatto sapere che... come si può dire?... Ecco: il
governo! Mi hanno fatto sapere che questo governo... il mio governo... beh,
insomma, sì: avrà vita breve. Purtroppo!
ANITA – Oh, ma come possono....? Il primo governo socialista del nostro
Paese...
DUJARDIN (correggendo) – A “direzione” socialista, Anita. Siamo una coalizione,
e non è proprio la stessa cosa. E poi... i veri padroni del vapore – “al di
sopra” del governo - rimangono gli altri. E per quanto possa cercare di fare,
dovrò per forza tenerne conto. Loro... me lo hanno ricordato in tutte lettere.
ANITA – Ma che cosa ti hanno detto?
DUJARDIN – Mi hanno dato sei mesi.
ANITA – Sei mesi?!
DUJARDIN – Oppure due anni. Ma... se rigo dritto, se rigo molto dritto!, se
lascio perdere quello che voglio e faccio tutto quel che vogliono loro.
ANITA – Loro chi, papà? Chi sono?
DUJARDIN – Beh, puoi immaginartelo.
ANITA – I cattolici?
DUJARDIN – Eh? Beh, sì... diciamo: in quell’area.
ANITA – Ma è una vergogna, papà! Ma come possono?
DUJARDIN – Oh, se è per questo possono, Anita! L’avvertimento viene da molto in
alto: dove ci sono le vere lever del potere, dove veramente si fa quel che si
vuole.
ANITA – Mi dispiace, papà. Ma io...?
DUJARDIN – Tu devi darmi un consiglio, Anita. Dirmi, secondo te, che cosa
dovrei fare.
ANITA – Oh, non lo so, papà. La politica è una cosa così complicata!... Io ne
sono fuori, è vero: ma forse “troppo” fuori.
DUJARDIN – Non pensare alla politica. Fa finta.... ecco: fa finta – tocca
ferro, naturalmente! – che sia il medico a dirmi: lei ha i giorni contati! Sei
mesi se va avanti così, a fare di testa sua; due anni se si lascia curare, se
si fa ricoverare in clinica, se fa tutto quel che vogliono i dottori...
rinunciando però a lavorare, a darsi da fare... rinunciando praticamente a
tutto. Ecco: tu che cosa sceglieresti?
ANITA – Ah, io sei mesi, papà! Non avrei dubbi!
DUJARDIN (quasi tra sè, con il tono di un’amara constatazione ) – Eh già! Tu
sei giovane!...
ANITA – L’hai detto tu, papà: rinunciando praticamente a tutto. Ma che vita
sarebbe? Per due anni? Meglio sei mesi: ma pieni!
DUJARDIN – Eh già!
(Pausa. Poi, come per un secondo pensiero:)
Ma pieni... di che cosa?
ANITA – Non lo so... dovrei pensarci.
DUJARDIN – Pensaci! Che cosa faresti: ti butteresti a divertirti?
ANITA – No, non credo che avrei molta voglia di divertirmi, tutto sommato. Non
ti pare?
DUJARDIN – Allora?... Cercheresti di fare qualcosa di grande? A te piace
scrivere: scriveresti magari un romanzo, delle poesie, da lasciare ai posteri,
per passare alla storia?
ANITA – No, non credo che mi importerebbe molto neanche dei posteri! Forse...
vivrei giorno per giorno, farei le cose che ho sempre fatto... gustandole di
più, ecco: dando loro un’importanza diversa. Oppure... oh questo sì, papà! Mi
caverei delle voglie, sì: dei sassolini dalle scarpe. Darei della strega alla
zia Lidia!
DUJARDIN – Alla zia Lidia? E perchè?
ANITA – Perchè ce l’ho qui da quando avevo tre anni: da quel giorno che mi ha
tenuta un pomeriggio su una sedia, a vedere gli altri giocare, perchè avevo sù
le scarpine bianche che mi aveva regalato lei! Ah, papà, che bello dare della
strega alla zia Lidia! E andare da professore di statistica a dirgli che è un
coglione! E dire al tuo tirapiedi che mi fa la corte che mai mi metterò con
lui, e che ho una gran voglia di prendere l’aereo, tornare in Marocco, e
cercare quel berbero stupendo che ci faceva da guida in pullman, te lo ricordi?
DUJARDIN – Come no! Anche tua madre ogni tanto me lo dice!
ANITA – Ecco: farei tutto quel che ho voglia di fare. Tanto, cosa me ne
importa? Tra sei mesi devo andarmene!...
DUJARDIN (quasi tra sè)– “Tra sei mesi devo andarmene!...”
E io?
ANITA – E tu... Non ti piacerebbe dire quel che pensi, a quei signori che ti
hanno concesso sei mesi? Dire a tutti, quel che pensi di loro? Alla Thatcher, a
Blair, a Berlusconi.... Dire in faccia a Bush quello che dicevi l’altro giorno
di lui, a me e alla mamma?
DUJARDIN – Zitta, zitta, per l’amor di dio!
ANITA – Tanto che cosa te ne importa? Tra sei mesi devi andartene!... Non hai
sassolini nelle scarpe? Non hai voglie represse?
DUJARDIN – Mah, sai... un uomo politico è tanto abituato a reprimersi le
voglie, che alla fine non sono neanche più represse!
ANITA – O un sogno di gioventù! Sì, ecco: un sogno di gioventù. Che cosa
sognavi, papà, quand’eri giovane?
L’altro giorno, quando sono andata a Marsiglia, dai nonni, a prendere la tua
roba... mi sono fermata un momento nel tuo studio. Ho visto la tua scrivania, i
tuoi libri... le stampe: il ritratto di Marx, di Trotsky, di Jaurès... Che cosa
sognavi, papà, quand’eri giovane? Di diventare primo ministro?
DUJARDIN – No. O forse sì. Ma no, non ha importanza: non era per me, il sogno.
Sognavo...
ANITA – Che cosa?
DUJARDIN – Quasi mi vergogno a dirlo. Sognavo.... il socialismo.
ANITA – E perchè ti vergogni?
DUJARDIN (ancora quasi tra sè, e di nuovo riecheggano gli accenti e le parole
del vecchio Rossi) – ... Libertà, fraternità, eguaglianza... giustizia... pane
e lavoro per tutti... le tasse a chi c’ha i soldi... basta con le guerre... il
sole che sorge, e fine della notte!
ANITA – Ma papà, è bellissimo! Perchè te ne vergogni?
DUJARDIN – Perchè sono parole, Anita.
ANITA – Sono parole finchè rimangono parole, papà.
DUJARDIN – Non c’è riuscito neanche Gesù Cristo, Anita.
ANITA – E’ vero... Però ha lasciato il segno!
DUJARDIN – Indubbiamente ha lasciato il segno.
ANITA – E poi non è detto, papà. Dove uno non riesce, può riuscire un altro.
DUJARDIN – Ti ringrazio per la fiducia, Anita, ma non esageriamo!
ANITA – Perchè, papà? Gesù Cristo parlava a poca gente, soffocarlo era facile.
Oggi tu puoi parlare alla televisione... a tutti. Parli con la gente, e i
giornali ascoltano e scrivono... e tutti leggono. Io credo che la gente non
aspetti altro. Forse... è più facile di quel che sembra.
DUJARDIN (di nuovo evocando) – Forse... basta provare.
ANITA – Tanto, tra sei mesi devi andartene!
DUJARDIN – Certo! Tra sei mesi devo andarmene...
ANITA – E così li freghi tutti!
DUJARDIN – E così li frego tutti...
Credo proprio che tu mi abbia dato una buona idea, Anita! Grazie!
ANITA – Prego, presidente! Non vieni a casa?
DUJARDIN – Mi fermo ancora un momento. Vorrei pensarci ancora un poco.
ANITA (confidenziale, come per un segreto, indicando un armadio o altro) – Là
dentro... c’è il ritratto di Marx. Quello che avevi in camera tua. Perrotin non
l’ha voluto... ma è lì.
DUJARDIN – Okay, ma non ce n’è bisogno.
ANITA – Ciao, papà.
(Si avvia per uscire, ma sulla soglia si ferma e si volta)
Papà.... fregali tutti!
(Esce)
V.
(La stessa scena, oppure comunque la sala in cui si riunisce il consiglio dei
ministri: o il gabinetto di presidenza, che raccoglie i rappresentanti dei
partiti della coalizione. Ma non c’è bisogno di precisione più che tanto. Di
fatto, sono in scena Quattro signori, in evidente e nervosa attesa. Uno
passeggia avanti e indietro fumando, un secondo legge il giornale, un terzo sta
facendo una telefonata con il portatile, oppure spremendo un caffè da un
distributore di bevande calde, etc, etc.
Dopo un lungo istante di descrizione dell’attesa...)
PRIMO (al proscenio, in osservazione) – Bah!
SECONDO – Niente ancora?
PRIMO – Io non vedo niente e nessuno.
TERZO – Questa è un’intollerabile mancanza di riguardo! Sono passati venti
minuti...
QUARTO – Diciamo pure dieci giorni dall’ultima, e unica, riunione del consiglio
dei ministri. Quando ci ha ascoltato sbadigliando e se ne è andato senza dire
una parola. E dall’insediamento del governo è passato più di un mese!
PRIMO – Del “suo” governo, come dice lui.
SECONDO - Io ve l’avevo detto! L’uomo è arrogante! Paziente, manovriero, capace
d’ingoiare tutto finchè c’è un risultato da raggiungere: ma una volta
installato al potere, sprezzante e prepotente come un monarca assoluto!
TERZO – Come un padrone! Anzi: un padrino!
PRIMO – Il fatto è che da quando è primo ministro, nessuno praticamente lo ha
visto più!
QUARTO – E’ ammalato, ha fatto dire in giro.
SECONDO – Ammalato, bah! Quando era io a capo del governo non mi sono ammalato
un giorno solo!
TERZO – E comunque, se fosse ammalato dovrebbe stare tranquillo! Invece si
agita come un’anguilla: interviste, dichiarazioni, programmi, promesse... tutto
buttato lì senza sentire nessuno!
PRIMO – Battute, sciocchezze, provocazioni...
QUARTO (smanacciando un giornale) – L’ultima di oggi. “Io gli eserciti li
abolirei: quelli piccoli perchè non servono niente in caso di guerra, e quelli
grandi perchè non servono a niente in caso di guerriglia.”
PRIMO – Certo! E io, stamattina, ho già ricevuto una telefonata dalla
Confindustria!
SECONDO – Una telefonata?
PRIMO – Diciamo pure.... una ramanzina con i fiocchi: che l’industria bellica è
fondamentale, e che se chiudono loro vuol dire recessione, disoccupazione, ...
E di ricordarci che noi sia qui per rappresentare i loro interessi. “Anche” i
loro interessi, han detto: ma quell’”anche” era di pura cortesia.
SECONDO – Stessa telefonata dalla Confcommercio, per quel che ha detto l’altro
giorno sul consumismo!
TERZO – Idem dalla Confagricoltura!
QUARTO – E l’Unione Bancaria? Quando l’altro ieri l’innominabile ha detto che
il vero delitto non è “sfondare” una banca, ma “fondare” una banca? Un
telefonata da togliere i peli dal sedere! Di ricordarci che siamo qui dietro un
loro tacito mandato, e che questo andare a ruota libera vuol dire crisi di
fiducia, crolli in borsa... E pitipì e pitipà!...
PRIMO – No, no: che “pitipì e pitipà!” Traduca, traduca!
QUARTO – Beh, le solite manfrine: che il governo è una bellissima cosa,
perfettamente rispettabile, con tanti bei ministri e sottosgretari, ma che i
padroni del vapore sono loro! E che anche il primo ministro – al limite – non
conta un bel niente!
PRIMO – Come i partiti, suppongo!
QUARTO – .... Come i partiti, come le Camere, come tutto il resto. Noi possiamo
riunirci, discutere, presenziare, inaugurare fiere, visitare enti pubblici,
volare a Washington a sentire che aria tira, andare a Bruxelles a difendere
vini e formaggi doc.... e pitipì e pitipà...
PRIMO – E dàgliela! Le hanno detto “pitipì pitipà” quando le hanno telefonato?
E allora: sia chiaro, sia preciso!
QUARTO - Il succo è questo, ed è il solito: ovviamente i veri padroni della
baracca sono loro, e il governo è un bel pennacchio colorato che si mette in
cima alla baracca, ma che può venir giù da un momento all’altro. Basta che loro
schiaccino un bottone... e noi si va tutti a casa. Di ricordarcelo bene!
(Pausa di riflessione.)
(Rompe il silenzio il Primo.)
IL PRIMO (con tono dimesso, come per una imbarazzante confessione) – Io... dopo
la ramanzina della Confindustria... gli ho telefonato....
(Tutti si voltano a guardarlo con curiosità e attesa)
Gli ho chiesto una rettifica: una rettifica formale su tutto quello che aveva
detto contro l’industria bellica, contro le banche... e pitipì e pitipà....
UN ALTRO – E lui?
PRIMO – Ha detto che la questione delle rettifiche sarebbe stata ampiamente
superata dal discorso che sta preparando.
GLI ALTRI – Un discorso?! – Sta preparando un discorso? – Ma un discorso da
fare a chi?
PRIMO – Al... al popolo, ha detto.
GLI ALTRI (stupefatti) – Al popolo?! – Ma quale popolo? – Al popolo francese,
per caso?
PRIMO – Non lo so! Confesso che l’espressione “al popolo” mi ha lasciato
perplesso. Forse voleva dire alla televisione!...
GLI ALTRI – Ah, bisogna impedirglielo!... – Un discorso alla televisione!... –
In queste condizioni!...
(Confusione e bagarre, presto interrotta dal Quarto, che richiama l’attenzione
degli altri su un qualcuno che sta per entrare.)
QUARTO – Attenti! Attenti! E’ lui!
(Tutti si voltano nella direzione attesa.)
SECONDO – No, è il suo delfino!...
(Entra in effetti Paul Perrotin.)
PERROTIN – Signori, buon giorno. Chiedo scusa per il ritardo.
QUARTO – Il primo ministro?
PERROTIN – Ammalato.
QUARTO – Perrotin, niente finte tra noi, in un momento come questo. E’ vero che
è ammalato, sì o no?
PERROTIN (allarga le braccia, sospira, come in segno di resa) – Questo è quello
che dice lui. Si è dato ammalato! Io non posso che prenderne atto. Riconosco
però che non ne ha l’aria, e che non si comporta certo come se lo fosse....
SECONDO – Adesso dov’è?
PERROTIN – E’ andato dal dottore.
QUARTO – Visto? E’ ammalato e va a spasso!
PRIMO (a Perrotin) – Ma lei si rende conto degli imbarazzi che questa
situazione ci crea?...
PERROTIN – Devo dire a questo proposito, che la posizione ufficiale del partito
che qui rappresento, messa a fuoco dopo matura riflessione e dopo aperto e
leale confronto ...
QUARTO (lo interrompe) – Perrotin, la smetta di parlare come un comunicato
stampa. Guardiamoci in faccia e diciamo pane al pane e vino al vino: la verità
è che qui siamo nella merda fino al collo!
GLI ALTRI – Anche più sù!. – E “nella merda” vuol dire “nella merda”! – Qui non
si arriva a Natale!
PERROTIN (interrompe il breve subbuglio) – Signori! Signori! Calma!... La
situazione – lo ammetto – è seria e preoccupante, ma il terremoto che ha
investito la coalizione di governo potrebbe anche non toccarci più che tanto!
GLI ALTRI – Come, non toccarci! – E le telefonate che abbiamo ricevuto? – Se la
Confindustria ci ritira il suo appoggio... – E l’Unione Bancaria? – Qui andiamo
tutti a casa! – Qui va al governo la destra!...
PERROTIN - Signori, guardiamo in faccia la realtà! E' vero: quelli che
comandano sono - diciamo così - i poteri forti, non per questo noi restiamo a
mani vuote. Loro governano, è vero: noi però… sottogoverniamo! Loro pensano in
grande: noi abbiamo i piedi ben saldi per terra! Tutta quella rete di posti, di
incarichi, di sinecure, di prebende… siamo o non siamo noi che la gestiamo? Non
è lì che abbiamo sistemato tutti i nostri: fratelli, figli, mogli,
collaboratori, portaborse… amanti? Le "nomine". Le famose
"nomine": sono i poteri forti che le fanno?
(Chiama in causa uno dei quattro)
Lei: quel suo cugino un po' scemo, che adesso dirige la Cassa di Risparmio
dell'Aquitania: chi è che l'ha messo lì? L'Unione Bancaria? O non siamo stati
piuttosto noi? Questa è la nostra forza, signori: e non è questo che a noi
interessa? Spartire la torta, dividere il grisbì…
GLI ALTRI - Ma questo lo abbiamo fatto e strafatto! - Ci siamo spartiti tutto!
- Io, sì, avrei ancora un cognato da sistemare, ma… -
QUARTO - Perrotin, quello che lei dice è anche giusto, ma effettivamente ormai
ci siamo spartiti tutto.
PERROTIN (con aria furbesca, come di chi prepara il colpo di scena) - Ne è ben
sicuro?
SECONDO - Ci sarebbe la Presidenza dell'Ente per la protezione del muflone
della Camargue…. però…. bah!, il muflone della Camargue si è estinto nel 1400,
e poi…
TERZO - … e poi i mufloni non votano! Che cazzo ce ne frega del muflone?
PERROTIN (ecco finalmente il colpo di scena) - E…. e la nazionale di calcio?
GLI ALTRI (stupefatti, dopo una pausa) - La nazionale di calcio?!
PERROTIN - Titolari, riserve, allenatore, accompagnatori ufficiali… sono decine
e decine di posti su cui possiamo allungare le mani! Cose molto in vista, posti
che danno grande visibilità….
GLI ALTRI - Molto interessante!… - Veramente geniale!… - Alla nazionale di
calcio non avevo proprio pensato! - Io ho giusto un cognato che potrebbe
benissimo… - Complimenti!…
PERROTIN - Grazie!
SECONDO - Possiamo procedere subito!… Io chiederei senz'altro…
PERROTIN (lo interrompe) - Credo che la paternità dell'idea mi dia diritto a un
minimo di precedenza. Per il Partito socialista chiedo pertanto il posto
dell'allenatore, e i ruoli del portiere, del libero, di un terzino d'ala, e di
almeno due attaccanti…
QUARTO - Ehi, calma calma! E poi? Ma lo avete sentito? E perché non tutta la
squadra, eh?
TERZO - L'allenatore, mai!
PRIMO - La fascia sinistra direi che spetta "naturaliter" ai
comunisti!
SECONDO - Il libero ai verdi è quasi tautologico.
TUTTI (litigio a soggetto) - Inaccettabile, assolutamente inaccettabile! - E a
noi cosa verrebbe: la panchina? - C'è anche la nazionale di pallacanestro! -
Perché in omaggio alle vostre origini popolari non vi prendete le bocce?
(Quando il battibecco raggiunge il culmine, entra Dujardin.)
DUJARDIN - Disturbo?
QUARTO (dopo un attimo di stupore) - Ah, chi non muore si rivede!
DUJARDIN - Mio caro amico, lei non immagina quanta verità c'è in questa frase!…
TERZO - La sua salute?
DUJARDIN - La mia salute?!… Ah, sì, già: bene, grazie. Il raffreddore è
passato. … Lor signori stavano lavorando?
PERROTIN - Sì…
DUJARDIN - Allora… "Bon appétit, messieurs!"
PRIMO - Buon appetito?! Come sarebbe a dire?
DUJARDIN - Chiedo scusa: è Ruy Blas..
PRIMO - Chi?…
DUJARDIN - Non lo conosce?
"Bon appétit, messieurs ! - ô ministres intègres !
Conseillers vertueux !…
Donc vous n' avez pas honte et vous choisissez l' heure,
l' heure sombre où l' Espagne agonisante pleure !
Donc vous n' avez ici pas d' autres intérêts
que remplir votre poche et vous enfuir après!
ALTRI - Che cosa dice?… - La Spagna? - Cosa czz c'entra la Spagna?
DUJARDIN - Non importa! Dicevamo che state lavorando: la materia del
contendere?..
PERROTIN - Beh… la nazionale di calcio.
DUJARDIN - Ah, sì, già: la nazionale di calcio. Un'idea di Perrotin, sì
veramente geniale, sì, ma… ripensandoci, forse è meglio che la nazionale di
calcio venga sottratta alla pratica della divisione della torta…
PERROTIN (non senza irritazione) - Non vedo perché, scusa. Sono parecchie
decine di posti, tutti molto in vista: un centro di potere non trascurabile…
DUJARDIN - Sì, ma… Lei, onorevole, si fiderebbe di più di un portiere scelto da
un tecnico, o di un mio cugino, imposto da me?
QUARTO - Mah… io non so come giochi suo cugino…
DUJARDIN - Male, male.
QUARTO - Beh, oddio, in questo caso…
PERROTIN - Potrà anche non essere il massimo, ma anche la fedeltà al partito ha
il suo valore!
DUJARDIN - Eh, lo so: molti enti pubblici funzionano così! Non importa se uno
sa il suo mestiere, importa - appunto - la fedeltà al partito: che
all'occorrenza, possa dare una mano, essere utile… Il risultato lo sappiamo:
soldi buttati dalla finestra, cose che non funzionano… Ma questo non ha importanza:
pochi lo sanno, pochi se ne accorgono! Anzi: più il posto è importante, e meno
è in grado la gente di valutare se quello che lo occupa è all'altezza. Cosa
volete che ne sappia, la gente, di come dovrebbe funzionare un ente atomico, o
un grande istituto di credito! Lì, abbiamo carta bianca: lì sì, possiamo
mettere chi vogliamo, per incompetente che sia! Ma… mio cugino in porta,
vorrebbe dire la rivoluzione. Perché il popolo francese, cari amici, di calcio
se ne intende!
(Poi, improvvisamente, come se si sovvenisse.)
Meritocrazia! Ecco la parola che non mi veniva in mente! Meritocrazia! Perfino
negli incontri di pugilato si dice "vinca il migliore"! Figuriamoci
quando è in gioco il buon funzionamento dello stato, della nostra vita
quotidiana. Vi sembra un'idea poco democratica?
Perrotin?
PERROTIN - No, no…indubbiamente…
DUJARDIN (di volta in volta agli altri) - Il partito comunista?… Un'idea
conservatrice o reazionaria?
PRIMO - Non potrei certo affermarlo…
DUJARDIN - E i verdi? Un'idea che inquina il nostro vivere civile?
SECONDO - Beh… no… no, no.
DUJARDIN - Avversa ai diritti civili dei radicali?
TERZO - Se è per questo… tutt'altro.
DUJARDIN - Forse per i cattolici… anticristiana?
QUARTO - Dio ce ne guardi!
DUJARDIN - Grazie, signori: sono lieto di trovarvi d'accordo.
(Pausa. Dujardin si guarda in giro, ironico e soddisfatto.)
Bene! E adesso… vi lascio al vostro lavoro.
(Fa per andarsene.)
TERZO - Ehi, un momento…. Dove va?
Questo orientamente meritocratico… è per caso uno dei temi che lei intende
affrontare in quel discorso…di cui tanto si parla…
DUJARDIN - Il primo.
TERZO - Ah! E… gli altri?
DUJARDIN - La solita roba: giustizia, fisco, difesa… Solo… con premesse e
conclusioni un po' diverse.
QUARTO (diffidente) - Esempio?
DUJARDIN - Esempio… Il bilancio della difesa, per esempio. Sa quante scuole,
ospedali, case si potrebbero fare con i soldi che si spendono in armamenti?
TUTTI (sbuffando, infastiditi) - Ma questa è demagogia! - Ma che banalità! -
Neppure gli anarchici dell'Ottocento… - Populismo, populismo puro!
DUJARDIN - Non siamo tutti contro le guerre?
TERZO - In teoria…. certo.
DUJARDIN - Beh, si tratta soltanto di esserlo anche in pratica. E le tasse?
"Le tasse le pagano chi ha i soldi."
TUTTI (di nuovo, coro come sopra)
SECONDO - Ma ci sono le leggi, caro Dujardin! Uno può avere dieci ville in
tutto il mondo, e risultare nullanente! Andiamo!
DUJARDIN - Bene: non gli si crede! E se quello insiste, si dice ai suoi operai
(perché uno che ha dieci ville ha almeno anche diecimila operai…) di accomodarsi
nelle sue ville, che tanto non sono sue.
TUTTI - Basta! - Io a questo livello non scendo! - Questa non è più politica! -
Questo è populismo! - Anarchia culturale! - Uno sfoggio di demagogia! -
Banalità, pure e semplici banalità!
DUJARDIN (come cedendo, con rassegnazione) - Eh, sì! Qui avete ragione! Ho
proprio paura che sarà un discorso terribilmente banale! Ovvio, scontato,
demagogico, populista… quasi come i dieci comandamenti, o la dichiarazione dei
diritti dell'uomo… Non uccidere, non rubare, non dire bugie… non fare agli
altri quello che non vorresti fosse fatto a te (o un passo più in là: fa agli
altri quello che vorresti fosse fatto a te…), a ciascuno secondo i suoi meriti
(o anche qui: un passettino più in là: a ciascuno secondo i suoi bisogni…)…
Eh, sì, avete ragione! Fino a qualche giorno fa mi sarei messo a ridere
all'idea di concepire nel cervello idee così semplicistiche.
(A poco a poco, la battuta di Dujardin si trasforma - o già si è andata
trasformando - in un discorso non più diretto ai quattro in scena, ma a sé
stesso, oppure a una più vasta platea: il pubblico, il mondo…)
E poi sono stato folgorato da un'idea,
come Paolo sulla via di Damasco,
come Archimede nella sua vasca da bagno,
come Newton che vede cadere una mela….
Un'idea semplicissima, rivoluzionaria:
… E perché no?
Chi l'ha detto, di no?
Chi ha detto che giustizia non si può fare?
Chi l'ha detto che ogni tanto
bisogna fare una guerra?…
Ho cominciato a guardarmi intorno,
senza i paraocchi della politica,
ho cominciato a parlare con la gente
senza - come si suol dire
"consultarmi con le forze sociali";
ho annullato - sentitemi bene! -
la distanza abissale che separa
le stanze dei bottoni dalla gente comune,
dal popolo.
Forse potrà sembrare strano,
ma... così facendo
ho scoperto il socialismo anch’io!
Sì, il socialismo, ma senza retorica,
senza la Esse maiuscola.
Dicevo alla gente:
"Ma non siete socialisti, a casa vostra?
Davvero i vostri figli
li trattate secondo quel che rendono?
O non forse secondo i loro meriti?
Ma cosa dico!:
proprio se avete la disgrazia
di avere un figlio "che non rende"
- perché malato -
o che non ha nessun merito
- perché finito male... -
non è proprio a lui che dedicate
più cure e soldi,
più solidarietà, più amore?...
E perché
se questo è giusto
lo si fa solo tra i piccoli confini
della nostra famiglia?
Perché non lo allarghiamo
ai nostri vicini,
e poi ai condittadini,
ai compatrioti,
a tutti gli uomini del mondo?"
Questo discorso faceva breccia
soprattutto nelle donne,
che per questo hanno nel loro grembo
i destini del mondo.
Gli uomini avevano orecchie
Per un altro discorso:
"Siete proprio sicuri che sia meglio
competere che collaborare?
Il vantaggio
di mandare in rovina il tuo concorrente,
vale davvero il rischio
che sia lui a mandare in rovina te?
Siete proprio sicuri
che non abbiano ragione i somari,
che se devono tirare un carretto
lo tirano tutti e due dalla stessa parte,
e non uno di qua e uno di là?
E se questo lo capiscono i somari,
che cosa ha distratto
gli uomini dal capirlo?"
Banalità da avanspettacolo, lo so:
da varietà del sabato sera…
Avrei voluto, sì, fare un discorso
- come si dice? -
di altissimo profilo.
Illustrare il socialismo
con un'analisi profonda,
storica, sociale…
L'analisi economica delle sperequazioni sociali....
Il concetto keynesiano della ridistribuzione del reddito… La globalizzazione
dei problemi…
L'organizzazione mondiale del lavoro!...
Ma poi di queste cose,
come per fare le prove del discorso,
parlavo con la gente,
in giro per la strada…
E il mio discorso si semplificava,
si riduceva ad una serie
di battute ad effetto:
Chi lo ha detto che se tu hai il frigorifero pieno,
e io ho fame e ti rubo una mela...
il ladro sono io?
Se a questo mondo c'è spazio per tutti,
come mai c'è chi soffoca?
Se le banche sono piene di soldi:
come mai c'è chi stenta la vita?
Perchè i paesi civili vendono armi
ai paesi in via di sviluppo?
Di che sviluppo si tratta?
E' il colore della pelle
che rende obesi i bianchi
e denutriti i negri?...
Dio mio, che vergogna!
Sognavo un grande discorso sul socialismo,
e mi ritrovavo a fare queste battutaccie,
ad affondare in questa
ridicola demagogia!
E va sempre peggio!
Tanto che nei miei sonni
un incubo mi coglie ogni notte:
io,
in una grande piazza,
piena di gente, venuta lì a sentire
la parola nuova,
del primo ministro ad un tratto impazzito…
e io che non riesco a dire nulla,
del mio grande discorso preparato,
ma solo tre ridicole banalità:
"Non mentire neppure in nome della loro giustizia!
Non rubare neppure in nome del loro Dio!
Non uccidere neppure in nome della loro pace!"
VI.
(Dujardin incontra la figlia)
ANITA – Papà!
DUJARDIN – Anita.
ANITA – Oh, papà! E’ morto! E’ morto il vecchietto!...
DUJARDIN – Il Rossi?
ANITA – Sì, poverino, è morto! Lo stavamo accompagnando a Marsiglia, quando a
un certo punto ha voluto fermarsi. Ha chiesto dove eravamo. “Quasi a Lione”,
gli ho detto. Allora ha detto che Lione andava bene, che tanto a Marsiglia non
sarebbe arrivato. Ci siam fermati in un’area di servizio, e lui ha detto che
non c’era niente da fare, e che era inutile che lo tormentassimo a curarlo,
perchè quella era la sua ora.
Era lucido, capiva tutto, non soffriva. Sentiva solo un po’ di freddo ai piedi,
e la vita che se ne andava assieme alla forza e alla voglia di vivere. Abbiamo
reclinato il sedile, e lui se ne stava lì in macchina con la portiera aperta,
ad aspettare la morte. Perchè – ha detto – l’ora era quella, ma quale fosse il
minuto esatto non lo sapeva.
Faceva caldo, ma lui adesso aveva freddo alle gambe, e l’abbiamo coperto con un
plaid. C’era un prete, lì vicino, che si è accorto di tutto, ed è venuto a
parlargli. Si è seduto al volante, hanno cominciato a discutere, e alla fine si
sono scaldati un po’, perchè ciascuno dei due voleva assolvere l’altro. Il
prete a un certo punto ha detto: “Ti assolvo da tutti i tuoi peccati”: ma l’ha
detto piano perchè il vecchio non sentisse, e il segno della croce glielo ha
fatto in modo che neanche lo vedesse. Ma lui deve avere immaginato qualcosa,
perchè ha detto: “E io ti perdono d’essere un prete, perchè tanto a me non mi
puoi far più niente.”
Dopo di che si è assopito, e ogni tanto apriva gli occhi per dire che aveva
freddo. Gli ho messo la mano sotto la coperta, e aveva i piedi di ghiaccio:
sono risalita sù per le gambe, e anche le gambe erano di ghiaccio. A un certo
punto è sembrato risvegliarsi: ha avuto una scossa, come una frustata, poi si è
calmato. Ha detto... “Che bella vita che ho fatto!” Poi... in italiano... “Mamma,
mamma!”... ...ed è spirato.
(Una pausa)
DUJARDIN – Grazie, Anita.
(Lentamente Anita fa per allontanarsi, poi si ferma e si volta)
ANITA – Davvero, papà, aveva fatto una bella vita?
DUJARDIN – No.
Ma ha visto un sogno diventare vero...
O lo ha creduto. E tanto è bastato!
(Exeunt. Forse sull’inizio della scena seguente.)
SECONDO INTERMEZZO
(Un “ra-ta-ta-ta-ta” minaccioso e violento, che pare quasi una raffica di
mitra. Invece è una saracinesca che si apre o si chiude su un garage, al centro
del quale si trova una tavola imbandita con ricchezza popolare e paesana.
Tovaglia bianca, fischi di vino, grosse portate.
E’ una riunione di gangster nel classico stile della Chicago anni Trenta. I
convitati arrivano, preceduti e seguiti dal “ratatatatà” della saracinesca.
Sono cinque: sotto il gessato, il panama, le ghette bianche, le scarpe bicolori
e le cravatte vistose, l’osservatore attento non mancherà di individuare i
cinque politici delle scene precedenti e i cinque pagliacci del primo
Intermezzo.
A mano a mano che i cinque arrivano, depositano da qualche parte pistole o
mitra a canna mozza, poi alzano le mani e le braccia a dimostrazione del loro
essere disarmati: il che non impedisce – poichè fidarsi è bene ma non fidarsi è
meglio – che un paio di famigli li perquisiscano palpandoli con indiscrezione.
Grandi abbracci, baci sulla bocca, esclamazioni sperticate di amicizia. Lo
stile è quello delle riunioni di mafia, abbondantemente divulgate dal cinema e
dalla narrativa.
TUTTI – Compare! Don Domenico! Baciamo le mani! Sempre schiavo di vossignoria!
Carissimo! Veneriamo, veneriamo!....
(Fino a che il padrone di casa, ovvero don Amilcare Capone...)
CAPONE – Compari, i maccheroni aspettano!
(Tutti siedono a tavola.)
TUTTI – Buon appetito! Alla salute vostra! Voscienza, che torni in buon sangue
a voi e in tanto veleno per i nemici vostri! Ringraziamo, ringraziamo!
(Poi, il più anziano prende la parola)
GANGSTER ANZIANO – Paisà! Mi permettete anzitutto di ringraziare don Amilcare
Capone, che ha voluto questa riunione, e in particolare Johnny Giuliani, che ha
accettato l’invito senza tirarsi indietro, dimenticando anzi i due figli che
don Capone gli ha fatto fuori, sia pure naturalmente in cambio del padre e dei
tre cugini che don Giulini ha fatto fuori a lui!
(Capone e Giuliani si alzano e si scambiano complimenti a bocca piena e a
bicchieri levati.)
CAPONE – Compare, per i vostri figli mi dispiace assai!
GIULIANI – Compare, vostro padre mi era pure simpatico, ma questa è la vita!
(Si baciano, tra gli applausi.)
GANGSTER ANZIANO – Ci ritroviamo qui, senz’armi e a mani nude...
TUTTI – Nude, nude... Io tutto fuori ho lasciato.... Neanche un temperino...
Ecco qua: la lametta per le unghie...
GANGSTER ANZIANO – Ci ritroviano qui, senz’armi e a mani nude, perchè un comune
nemico ci minaccia. A monte dunque i vecchi dissapori e sia pace vera tra noi.
E mentre ci mangiamo questi squisitissimi maccheroni, opera incomparabile della
mani fatate di donna Concetta Capone....
(Applausi e complimenti a soggetto.)
... Johnny Giuliani, che soffre di stomaco e coi maccheroni deve andarci
piano,...
(Risate e ammicchi cordiali)
... farà il punto della situazione, che come sapete non c’è niente da
scherzare.
(Silenzio gravido d’attesa. Johnny Giuliani prende la parola)
GIULIANI – Compari, la situazione è che davvero non c’è niente da scherzare. I
fatti son presto detto: l’anno scorso io ho avuto un giro d’affari di dieci
milioni di dollari, quest’anno potrò accendere un cero a Santa Rosalia se
arrivo a un milione! Se a qualcuno le cose vanno meglio di così, io mi inchino,
bacio le mani, e gli chiedo se mi vuole assumere.
(Risatine amare)
La ragione, la sapete tutti. Un fetentone, un verme rinnegato, un serpente
traditore, un giuda iscariota vomitato dall’inferno, un eminentissimo bucaiolo
e figlio di mignotta... fino a ieri amico nostro, compare fidatissimo, e oggi
improvvisamente degenerato... si è messo a fare la rivoluzione in casa nostra
come se fosse esclusivamente cosa sua!
TUTTI – Vero, vero!
GIULIANI – Basta dire, compari, che questo signore – questa merda, chè altro
non mi viene alle labbra! – va in giro dicendo a tutti che noi non serviamo a
niente, che non c’è bisogno alcuno della nostra protezione, che ciascuno può
fare il mestiere suo senza l’approvazione e la tutela nostra, che l’ordine che
noi abbiamo costruito e che giorno per giorno manteniamo è solo sopraffazione e
che si può fare benissimo e anche meglio senza, e che l’unico pericolo siamo
noi, noi, noi!, perchè la nostra onorata società sarebbe – a suo dire – una
macchina spremi-soldi e succhia-sangue: che con una mano offre protezione, con
l’altra mano ti schiaccia: anche se questo schiacciare consiste nell’appiccare
un sacrosanto incendio al salumiere che non paga, sfregiare la puttana che vuol
fare di testa sua e che così impara, buttare a mare con una bella pietra al
collo il compare disonesto che ci fa lo sgarro.
(Mormorii di commiserazion e di rincrescimento.)
Ma le parole sarebbero niente, compari, anche se queste calunnie ci fanno
sanguinare il cuore! Quello che davvero ci turba, ci fa male, ci ferisce... in
una parola, quello che ci rompe i coglioni, è che per effetto di questi inviti
alla ribellione i nostri profitti si sono ridotti del settantacinque,
dell’ottanta per cento! Peggio che se avessimo giocato in borsa!
(Mormorii di approvazione e di sgomento.)
Rocky Maccione, parlate voi.
MACCIONE – Parole santissime. La riscossione del pizzo incontra difficoltà
sempre crescenti, e ormai è un dialagare di gente che rifiuta la nostra
protezione e conseguentemente si nega di pagare. E i primi a cominciare non
sono stati – pensate – i grandi supermercati, i centri commerciali... No! Sono
stati i pesci piccoli: panettieri, lattai, pizzaioli... In principio sembrava
una rivolta di straccioni, ma poi si sono accodati anche gli altri: ditte di
trasporti, carrozzerie e officine, abbigliamento.... per finire con quelli che
erano sempre stati i più docili e sensibili: slot machines e night clubs!
Dicono che se noi non li minacciamo nessuno li minaccia... e non pagano!
(Pausa e mormorio desolato.)
GIULIANI – Tony Maltagliato!..
MALTAGLIATO (presentandosi) – Puttane, travestiti e affini. Confermo la
tendenza, don Giuliani stimatissimo e compari tutti! I marciapiedi si
rivoltano, per non parlare degli erossenter, del commercio di cassette porno,
spaccio di droga e sesso via telefono! Abbiamo provveduto agli avvertimenti
tramite intimidazioni di primo grado, ma la decenza mi vieta di riferire qui a
tavola le risposte che abbiamo avuto! Vi basta sapere che ormai controlliamo
solo gli extracomunitari? E solo gli ultimi arrivati, perchè come imparano ce
lo mettono in quel posto anche loro!
(Espressioni di rammarico solidale)
GIULIANI – Don Vincenzo Macaluso, a voi. Che ci dite dell’ediliza?
MACALUSO – Edilizia, lavori pubblici, appalti! Idem con patate! Nemmeno sugli
appalti riusciamo più ad avere una tangente! Per non parlare delle iniziative
collaterali, tipo sgombero dei rifiuti solidi, riciclaggio di danaro sporco,
etecetera etecetera. Solo un dato: quest’anno il bilancio del settore chiude in
rosso!
GIULIANI – Confessioni religiose, opere pie, chiesa cattolica...? Don Johnny
Caputo.
CAPUTO (si alza, vorrebbe parlare, ma non sa cosa dire, oppresso dalla in
sostenibilità della situazione: scuote alla testa, allarga sconsolato le
braccia, sta forse per piangere. Poi dice tutto quello che sa dire:) – Non c’è
più religione!...
(A soggetto,- dopo questa teatrale testimonianza - espressioni di disperazione
e di rammarico. Giuliani ottiene la calma e dà la parola al Gangster Anziano.)
GANGSTER ANZIANO – Compari, queste sono le testimonianze, questa è la
situazione! Ma il guaio peggiore, compari, è che questa fetentissima
rivoluzione eversiva, anzichè gettare la città nell’anarchia e nel terrore...
bisogna riconoscere, sia pure giocoforza e a denti stretti, che la popolazione
sta meglio, diciamo pure sta bene, quasi fosse vero quel che dice
l’innominabile figlio di mignotta: che noi non serviamo a niente, facciamo solo
danni, e meglio sarebbe che neanche ci fossimo! Gli affari rifioriscono: i
negozi, con i soldi che risparmiano per la nostra protezione, si sono rifatti a
nuovo, sono più belli, sfolgorano di luci. I ristoranti sono pieni di gente,
perchè nessuno ha più paura di far tardi alla sera. Alle slot machines ci vanno
anche i bambini, che prima le mamme se li tenevano attaccati alle sottane per
il terrore di chissà che cosa!
MALTAGLIATO – Le puttane fanno gli straordinari, dicono che è come se gli
avessero tolto le tasse, e hanno pure abbassato le tariffe! Se vi dicessi che
cosa costa oggi farsi fare un...
TUTTI – Non facciamo più paura a nessuno!... Abbiamo perso credito!... La gente
fa senza di noi!...
(Il Gangster anziano con un pugno sul tavolo, ottiene silenzio)
GANGSTER ANZIANO – Amici, basta parole! Abbiamo parlato anche troppo! Qui ci
vogliono fatti, perchè senza fatti in capo a tre mesi siamo fottuti! I nostri
introiti finiranno a zero, e la bella vita possiamo scordarcela per sempre. Tu,
Maltagliato, che ti piacciono tanto le belle donne! A casa con tua moglie, a
scopare solo il sabato sera e la vigilia delle feste comandate! E tu, Macaluso:
fine delle belle macchine e dei week end a Las Vegas! E per tutti, fine del
rispetto degli altri: la gente che si scappella al passaggio, il posto d’onore
ai banchetti, l’eccellenza di qui, e il vossignoria di là! Tra tre mesi...
niente più onorata società, tutti noi uguali a tutti gli altri! E’ questo che
vogliamo?
TUTTI – No, no!
GANGSTER ANZIANO – E allora... bando alle vane ciance! Qui c’è una sola cosa da
fare: quell’uomo deve morire!
TUTTI – Sì, sì, a morte!... Dov’è?... Lo uccido subito, con le mie mani!...
Bisogna beccarlo dal barbiere!... Una bomba! Una bomba collegata alla messa in
moto!
GANGSTER ANZIANO – Calma, calma! Questa vostra approvazione mi conforta...
ma...non siamo dei selvaggi. Mettiamo la proposta ai voti!
TUTTI – Ai voti, ai voti!... Ma ce n’è bisogno?... Mi pare una perdita di
tempo!... Per quel che costa!... Ai voti, ai voti!
(Il Ganster anziano si toglie il cappello, e lo rovescia tenendolo in mano.)
GANGSTER ANZIANO – Ecco qui. Chi approva la condanna a morte del fetentone
traditore metterà nel cappello un biglietto da dieci dollari: chi è contrario,
un biglietto da un dollaro! Chiaro?....
TUTTI – Ai voti, ai voti!
(Ma con improvvisa ribellione uno dei commensali si alza in piedi, si toglie il
tovagliolo sbattendolo con violenza sul tavolo, rovescia la sedia, e si fa
avanti al proscenio, come a rivolgersi al pubblico. Egli ha abbandonato la
caratterizzazione del gangster, ed ha ripreso in tutto il tono, i gesti, gli
accenti, il sussiego di un uomo politico del nostro tempo.)
I. – Ah, no! Questo è troppo! Io non ci sto! Ma che diamine, noi non siamo poi
dei gangster! Non esageriamo: il gioco è bello se dura poco e se non passa il
segno!...
Si può non essere d’accordo con qualcuno, discrepanze anche profonde possono
dividerci, ma non per questo dev’essere lecito ricorrere alla violenza!
Riconosco che l’uomo è nocivo, sono il primo ad affermare che il suo modo di
comportarsi fuori degli schemi mina alla base i principi stessi della nostra
democrazia... Ma ho l’onore di militare in una corrente di pensiero che si
richiama ai valori del cristianesimo, e che pone quindi al primo posto il
concetto della sacralità della vita! Posso giungere ad auspicare un sollecito
intervento della Provvidenza, ma non mi sento di sostituirmi ad essa. La vita
umana appartiene a Dio e solo a Lui! Non mi sottraggo alla prassi democratica
del voto, ma dichiaro la più netta contrarietà del mio gruppo alla proposta che
ci è stata fatta.
(Con gesto sicuro pone una banconota nel cappello che nel frattempo – sempre
rovesciato – il Gangster Anziano ha messo al centro della scena. Si fa avanti
un altro, per un’analoga dichiarazione di voto.)
II. (esita un poco, ma solo perchè sta cercando parole sufficientemente chiare ed
univoche. Scuote la testa poi, decisissimo ed eroico:) - ...No! Il partito
comunista – che qui rappresento - ha già da tempo voltato le spalle alla teoria
e alla prassi dell’eliminazione fisica dell’avversario. L’attuale, incresciosa
situazione può anche farci rimpiangere questa storica svolta, e farci pensare
che qualche volta, beh...ecco.... insomma... sì...
(La tentazione è forte, ma recupera in fretta)
... ma il nuovo volto umano, tollerante e democratico con il quale ci
presentiamo alla comunità internazionale, ci vieta nel modo più assoluto un
voto che non sia inequivocabilmente negativo.
(Vota. Gli subentra il terzo.)
III. – Il mio partito che da sempre si batte sui grandi temi della vivibilità
dell’ambiente, vede certamente con preoccupazione l’inquinamento della vita
politica che il dissennato comportamento di questa cellula impazzita ci
procura. Avremmo certamente applaudito e difeso, a suo tempo, la decisione dei
suoi genitori di abortire – anche qui in coerenza con le nostre battaglie – ma
questa decisione non c’è stata, ed ora è troppo tardi. Per la loro stessa fede
nella qualità della vita, di cui la vita tout court è componente ineliminabile,
i Verdi dichiarano il loro voto negativo.
(Vota. Gli subentra il quarto: è il più giovane e bellino: e l’attento
spettatore non faticherà a cogliere le somiglianze con il Perrotin visto in
precedenza.)
IV. – Per me maestro e padre, prima ancora che compagno, credo che nessuno
potrebbe negarmi la propria approvazione se mi rifiutassi di non aderire a
un’azione che difficilmente si potrebbe definire – senza inutili trionfalismi –
diametralmente opposta a quanto potrebbe essere non inesatto bollare di
illegittimità. Queste – in poche e limpide parole – le irremovibili ragioni del
“no” socialista.”
(Vota. Gli subentra il Gangster Anziano, anch’egli con i toni e i gesti della
politica moderna.)
IL GANGSTER ANZIANO – Grazie. Ringrazio gli oratori che mi hanno preceduto per
questo concorde richiamo ai valori umani e civili che animano la coalizione di
governo. Anche se una soluzione radicale.... rientrerebbe nel DNA del partito
radicale che io qui rappresento, siamo frutto della terra che ha dato i natali
a Montaigne e a Descartes, a Pascal e a Montesquieu, e che agli orrori della
Rivoluzione del 1789 ha risposto liberando Parigi dai nazisti! Non possiamo
dimenticarlo!
(Vota.
Poi prende il cappello, e ne svuota il contenuto sul tavolo.
Al pari degli altri, è ridiventato immediatamente gangster.
E prima di procedere allo spoglio, ricorda le condizioni:)
Allora è chiaro: un dollaro no, dieci dollari sì.
(Procede rapidamente allo spoglio:)
Dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta dollari.
La proposta è approvata, all’unanimità.
Ringrazio i compari.
(La scena si dissolve)
VII.
(Dujardin solo)
DUJARDIN - Leggero!
Mi sento leggero!
Quando mi sveglio alla mattina,
o alla sera, quando vado a letto,
mai, mai direi di avere
pochi mesi di vita!
Sono un po’ dimagrito, questo è vero;
ma siccome ero prima un po’ ingrassato,
ecco che il conto torna per il meglio.
Sono in forma perfetta: e proprio adesso...
Peccato! Eh sì, peccato!
Mi stavo quasi divertendo!
Non guardo in faccia più nessuno
- ora ho ben altro cui guardare in faccia! –
e dico tutto quello che mi passa
per la testa – cervello, cuore, nervi...
Dopo decenni passati a misurare
le parole e i pensieri... a soppesare
implicazioni e conseguenze d’ogni gesto...
ah, che sollievo poter dire pane
al pane e vino al vino,
rispondere di sì o di no, senza ricorrere
a giri di parole,
equilibrismi,
acrobazie,
senza curare la diplomazia,
ciò che è opportuno politicamente,
i tatticismi di partito o di corrente...
E’ bastato provare! E’ facilissimo!
Ho trent’anni di meno, e anche quel groppo
che avevo sempre qui tra cuore e stomaco,
anche lui se n’è andato, liquefatto
- come si dice? – come neve al sole.
E l’aria fresca che respiro
che mi gonfia i polmoni
mi dà una nuova vita...
...proprio mentre il male me la toglie.
Come mi piacerebbe, in questi istanti,
essere buono! E invece l’imbarazzo,
lo sgomento degli altri
mi dà una gioia un po’ cattiva. Forse
un filo di sadismo è necessario.
Non si può voler tutto dalla vita...
e forse neanche dalla morte.
Vedo tutto come quando ero ragazzo:
la verità!
la “cosa” semplice e lineare,
che pure – e chissà mai perchè –
resta così difficile da fare!
(Ripete piano, tra sè, come una poesia imparata a memoria nell’infanzia)
Non uccidere...
Non rubare...
Vivi e lascia vivere...
Quello che avete in più datelo ai poveri...
Quello che avete in meno toglietelo ai ricchi...
(Riprende.)
Facilissimo: e pensare che c’è gente,
- santi ed eroi, poeti e scopritori
di mondi insospettati -
che è passata alla storia
per il coraggio, ridicolo ed enorme,
banale, disumano,
di dire
che due più due fa quattro,
che il fuoco scotta,
che la pioggia bagna...
La gente mi capisce:
mi fermano per strada,
mi stringono la mano,
“Finalmente!” mi dicono;
sono tutti d’accordo,
“E’ così, è così, questo è vero!”
Gli altri
– gli amici di una volta, i miei colleghi –
ormai mi fanno il vuoto intorno. Sono il mostro,
sono il diverso, il tarlo insidioso,
il complice che è fuggito via dal coro,
da isolare al più presto,
da eliminare, via!, da cancellare...
Neppure sanno che non ne avranno il tempo!
Perchè purtroppo... farò più presto io!
(Entra Anita)
ANITA – Papà... ti sei dimenticato il ricevimento all’Eliseo?
DUJARDIN – No, certo che no.
ANITA – Ricordati che mi hai promesso di farmi ballare.
DUJARDIN – Me lo ricordo.
ANITA – Andiamo?
DUJARDIN – Andiamo.
(Exeunt)
VIII.
(Un largo valzer viennese accompagna l’ingresso dei cinque onorevoli, che
compaiono in scena danzando tra le braccia di manichini femminili, o con
piattini e forchettine da buffet. Salutano con freddi cenni del capo il
Presidente del Consiglio, poi si raccolgono al proscenio, da un lato, a
complottare.)
PRIMO – Ogni tanto... ha l’abitudine di isolarsi... e si affaccia alla
finestra...
SECONDO – Basterà una leggera spinta... al più sollevarlo per i piedi...
PERROTIN – “Defenestrazione”: storicamente, si dice così.
TERZO – In casi estremi, è una cosa che si fa.
QUARTO – Tireremo a sorte, come i congiurati nel “Ballo in maschera”.
PRIMO – Non facciamoci capire.
SECONDO – Uno per tutti...
GLI ALTRI – ... tutti per uno.
PRIMO – Non diamo nell’occhio: balliamo.
(Cresce il valzer. Ballano, circondando la coppia formata da Dujardin e da
Anita. Dujardin ad un certo punto di ferma, e per mano conduce Anita da parte,
in primo piano.)
DUJARDIN – Anita... ma tu li vedi?
ANITA – Sì...
DUJARDIN – Dico... li vedi come li vedo io?
ANITA – Credo di sì, papà.
DUJARDIN – Ero così anch’io?
ANITA – Qualche volta... credo di sì, papà.
DUJARDIN – ... Balliamo...
(Ma hanno appena ripreso a ballare – o non l’hanno ancora fatto – che irrompe
in scena il dottor Aragon.)
ARAGON – Presidente...Presidente...
(Il dottor Aragon strappa Dujardin dalle braccia di Anita e lo trascina da
parte.)
Ah, dio del cielo! Un errore, Dujardin: un errore! Un errore terribile... ma
una gran bella notizia!
(Fatica a parlare per l’emozione. Riesce solo a spiegare a brandelli e a
bocconi.)
Le lastre.... sbagliate!.. Una distrazione incredibile!... Un imperdonabile
scambio di buste!... Quelle analisi.... non c’entri: non erano le tue!.. Hai
capito? Tu stai benissino, Dujardin!... Non hai niente: altro che tumore! Non
hai proprio un cazzo di niente! Scoppi di salute! Sei sano come un pesce!
Camperai cent’anni! Ci seppellirai tutti!...
DUJARDIN (ancora senza capire troppo) – Un errore?...
ARAGON – Sì, sì, sì! Come te lo devo dire? Un analista che non sa il suo
mestiere! Tra l’altro.... uno dei soliti, messi lì dai partiti, che dobbiamo
tenerci in ospedale! E pensa che comica: è un socialista, uno dei nostri! Il
posto spettava ai socialisti, e Perrotin c’ha messo un amico suo. Non è
divertente?... Comunque, amen!, pace!, non ha più importanza! L’importante è che
tu non hai niente, Presidente! Sano come un pesce! Tu ci seppellisci tutti!
DUJARDIN (attonito, quasi sgomento) – E tu... adesso, me lo dici?
ARAGON – Appena l’ho saputo! E per puro caso, pensa! Perchè un tizio, a cui non
era stato trovato niente di niente, è morto di cancro stamattina. “L’altro”,
evidentemente: capisci? Quello dello scambio! Incredibile, no? Non è
divertente?... Salvo che per quell’altro, si capisce!...
DUJARDIN (sgomento) – Oh, dio del cielo! E adesso? Che cosa faccio io adesso?
ARAGON – Adesso?! Ma adesso puoi vivere, non lo capisci? Adesso puoi non aver
più paura di niente!
(Pausa. Dujardin rimane attonito, mentre i cinque si ritrovano in primo piano,
e Anita gli si avvicina.)
ANITA – Papà, e allora: non mi fai ballare?
DUJARDIN (ad Aragon, distrattamente, come trasognato) – Aragon, ti prego... fa
ballare mia figlia.
ARAGON (porgendo il braccio ad Anita) – Vivere, presidente! Vivere!...
(Si allontana con Anita, ballando)
(I cinque, al proscenio. Perrotin stringe nella mano alcuni fili di paglia o
bastoncini o altro.)
PRIMO – Tireremo a sorte! Chi avrà la paglia più lunga.... sa quel che deve
fare...
(Ciascuno prende un filo di paglia. Il più lungo rimane al Secondo)
Tocca a me... Lo sapevo!
PERROTIN – Tornerai qui gridando: “Il presidente si è gettato dalla finestra!”
QUARTO – Come nella “Cavalleria rusticana”!...
(Riprendono le danze. Dujardin è ad un lato della scena, attonito, come
perduto. A mano a mano che i”congiurati” gli passano accanto, si rivolge a
ciascuno di essi, con tono debole, quasi vile: sconfitto.)
DUJARDIN – Amico, una parola...
PRIMO – Adesso?!…
DUJARDIN – La prego, solo un minuto...
SECONDO – Mi sembra un po’ tardi, mio caro...
DUJARDIN – Almeno lei, mi ascolti…
TERZO – E’ molto tardi, mi dispiace...
DUJARDIN – Perrotin, figlio mio...
PERROTIN – Troppo tardi, compagno...
(Tutti si rituffano nella danza. Vicino a Dujardin passa ora la coppia di
Aragon e Anita.)
ARAGON (con euforia) – Vivere, Dujardin! Vivere!... Vivere!...
(Si allontanano. Mentre la danza prosegue, affievolita, nel fondo della scena,
Dujardin rimane in primo piano: di fronte al pubblico, solo con se stesso.
Forse scende dall’alto la stessa grande lente già scesa a suo tempo. Dujardin
vi si specchia, ancora una volta passandosi le mani sul viso, come a sincerarsi
di se stesso.)
DUJARDIN – Vivere! Oh, vivere?!
Troppo difficile, vivere!
Mi sento pesante,
svuotato,
come se un granchio enorme
mi si fosse piombato sulla schiena
ed ora mi stringesse qui alla gola!..
Oh, perchè me l’hai detto?
Leggero, mi sentivo!
Leggero come all’alba della vita!
Chiara la volontà, sereno il cuore!
Forte per ogni vena ed ogni fibra!
Ora invece mi si piegano le gambe,
le idee sono confuse,
non so più quel che sono. Ed il coraggio
che l’idea della morte
mi aveva dato, sparisce, non resiste
allo spauracchio di questo avvenire
che come un baratro nero e senza fondo
mi si spalanca ora davanti!
Ah, quanto più crudele,
questa condanna è dell’altra!
E come è strano tutto questo!
Solo quando tutto è ormai perduto
sappiamo esser coerenti con noi stessi,
e trovare la forza della fede,
ed il coraggio della verità?
La vita è dunque solo un compromesso,
un mercato, una farsa?
Di fronte al nulla ed all’eternità
sappiano essere eroi:
vili e meschini diventiamo invece
se ci attende il quotidiano misurarci
nelle piccole quotidiane cose
di questo breve passaggio sulla terra?
Soltanto liberandoci di noi,
di noi stessi,
di questo corpo,
di questi stracci,
di queste parvenze di potere,
siamo davvero liberi
di pensare, di agire, di volere?
Ecco: ho avuto il mio attimo fuggente:
per un attimo ho sfiorato con la mano
la semplice, divina verità.
Ma la coscienza di dover durare
ha fiaccato ogni fibra del mio corpo,
ha svuotato la mente...
Ah, veramente
troppo difficile è vivere!
Molto più facile morire!...
(Si avvia verso il fondo, facendosi largo quasi a fatica, tra le coppie che
ballano.
Il valzer cresce, è nel suo momento più glorioso e pieno quando – da fuori
scena – echeggia un grido di allarme, che interrompe le danze e paralizza tutti
i presenti.
Entra dal fondo il Secondo.)
SECONDO – Il primo ministro! Aiuto!... Dujardin si è gettato dalla finestra!...
(Tutti rimangono immobili e impassibili, pur con un ben recitato “Oh!” di
sorpresa e di orrore.)
Il primo ministro si è gettato dalla finestra!... Fate qualcosa!... Aiuto!...
PERROTIN (con freddezza, tra i denti) – Si è gettato dalla finestra! Abbiamo
capito!... Adesso basta!
PRIMO (piano, tra i denti) – E non esagerare, perdio!
SECONDO – Ma no, no... Ho detto che il primo ministro si è gettato dalla
finestra!.. Avete capito?...
PERROTIN – Abbiamo capito! Il primo ministro si è gettato dalla finestra...
(Il Secondo allarga le braccia, in gesto di resa.)
(Perrotin si fa avanti al proscenio.)
Del resto era molto stanco ultimamente. Era strano, esaurito... Non sembrava
nemmeno più lui. Non c’è neanche da stupirsene troppo.
Per adesso... sipario.
Fine della commedia.
Domani si ricomincia.
S I P A R I O