La storia della bambola abbandonata

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LA STORIA DELLA BAMBOLA ABBANDONATA

Commedia

Di GIORGIO STREHLER

PERSONAGGI

BAMBINI

FILIPPO

ROSA MARIA

GIOVANNI

CHIARA

MONICA

MAURO

SERGIO

GABRIELE

MARTA

VENDITRICE

MACCHINISTA

LOLITA

CANTASTORIE

GOVERNATORE

GOVERNATRICE

PRINCIPE

1° SOLDATO

2° SOLDATO

GRUSA

PACA

GABRIELLA

CIABATTINO

STRACCIVENDOLO

PORTIERE

AZDAK

LUCA

Commedia formattata da

Si può riproporre uno spettacolo come La storia della bambola abbandonata che appartiene alla nostra storia, che porta il segno del nostro impe­gno, della nostra identità, senza essere accusati di fare archeologia? Io penso di sì, tanto più che questo è un lavoro particolare, pensato per i bambini ma non solamente perché, pur rivol­gendosi a quelli che saranno gli spettatori di do­mani, ricerca anche il bambino che è in noi. Magari un po' smarrito, ma pur sempre presen­te nella sua intatta capacità di stupirsi, nella sua ansia di giustizia, nella sua ricerca di ciò che è buono e bello; qualche volta smarrito sotto la patina conformista di una vita «da grandi». Con la sua capacità di gioco, anche; e, dunque, di essere protagonista di uno dei giochi più antichi del mondo, quello del teatro. La nostra Storia della bambola abbandonata nasce da tutto que­sto, ma anche da altre riflessioni, da altre inelu­dibili coincidenze. In un momento di enorme confusione etica e civile, di perdita di certezze un tempo indiscutibili, di generale smarrimento, è necessario ribadire, difendere, battersi per quello in cui crediamo. I grandi valori della libertà e della tolleranza, innanzitutto, e, di riflesso, an­che il senso della dignità dell'arte, in un'epoca che sembra non accettare messe in discussione.

Come dire, come comunicare tutto questo agli spettatori più giovani? Come parlare ai bambini di ciò che è buono e giusto? Mai come in questo momento - è il caso di dirlo - i bambini ci guardano. E pensando soprattutto a loro, ma anche ai grandi che a loro stanno vicini, che li amano, che sentono la responsabilità della lo­ro formazione che riproponiamo oggi, alle so­glie del duemila, dell'epoca telematica, dei gio­cattoli elettronici, questa «favola» che ha per protagonista una bambola, due bambine, i loro amici e gente semplice, adulti che amano i bam­bini e che conoscono l'arte di narrare. Credo

 che il nostro sia uno dei Paesi che meno siano preoccupati e si preoccupino dei bambini, e che quando se ne occupano lo fanno nei modi più paternalistici e stupidi. E invece un teatro per l'infanzia - lo  pensavo anche sedici  anni fa quando andò in scena per la prima volta La sto­ria della bambola abbandonata - deve essere fatto con amore, con attenzione e, soprattutto, partendo da un punto di vista che a me pare l'u­nico giusto: il teatro per bambini deve essere un teatro per uomini «più piccoli», quindi un tea­tro nel quale gli altri, «i grandi», possono diver­tirsi. Così è successo, almeno, per questa nostra Bambola. Nel teatro, nelle ore di lavoro teatrale, i rapporti fra gli adulti e i bambini che hanno partecipato a questa nostra esperienza, sono sta­ti qualcosa di straordinario. Questi bambini so­no stati liberi e, credo, felici e hanno compiuto un lavoro di teatro proprio identico a quello che dovrebbero fare gli attori «grandi»: una specie di divertimento-gioco con la serietà e la responsa­bilità del lavoro. Lavoro collettivo di teatro e che,  fatalmente,  è diventato lavoro collettivo sulla società che ha a che fare con la democrazia formale e non formale.

Ma soprattutto, cari bambini, questo spetta­colo è fatto e pensato, oggi più di quella prima, lontana volta, per voi.

Siete voi gli spettatori di domani, i grandi che verranno dopo di noi. A voi affidiamo il nostro bagaglio di sogni, che, forse non siamo riusciti a realizzare e la nostra tenerezza. A voi affidiamo - con tutto il cuore! - il senso di que­sto lavoro che nasce da un libro per bambini pensato da uno scrittore, Alfonso Sastre, che per i suoi ideali di giustizia e di libertà ha dovuto sopportare, in anni terribili per il suo paese, la Spagna, il carcere più duro.

Una favola che nasce da un grande testo di Bertolt Brecht, nostro maestro, Il cerchio di gesso del Caucaso. In questa Storia della bambola ab­bandonata c'è tutto questo, ma anche il nostro modo di fare teatro, il nostro mondo di teatran­ti capaci ancora di stupirsi e di dire no. No a un mondo senza amore, senza giustizia. Lo diciamo come sappiamo, ricostruendo su di un palcoscenico magie, sguardi, parole, gesti. Così raccon­tiamo «favole», ma così colme di realtà e di con­sapevolezza, da trasformarsi, per incanto, in una vita vera. È questo il gioco che vogliamo gioca­re con voi.

Giorgio Strehler ottobre 1994

 Lo spettacolo La storia della bambola abbandona­ta (regia di Giorgio Strehler, musiche di Fiorenzo Carpi, scene e costumi di Luciano Damiani) è andato in scena la prima volta alla Piccola Scala nel dicembre 1976, replicato poi nel marzo del 1977 al Teatro dell'Arte, nel febbraio del 1978 al Piccolo Teatro e nell'ottobre 1994 al Teatro Stu­dio.

E stato ripreso nel 1995 e 1997 da Carlo Battistoni.

Nell'ambito del Festival dei bambini 2001 l'alle­stimento è stato curato da Barbara Calbiani e Giuseppina Carutti.

ATTO PRIMO

PRIMO TEMPO

All'inizio, con la luce ancora in sala, entrano a uno, a due o a tre i bambini del coro: prima Giovanni, poi Filippo, poi Daniele, poi Rosa Maria e Monica, poi Chiara e Marta, per ultimi Sergio, Luca e Mauro. La scena è ancora vuota, coi barattoli per terra e la roba di scarico. I bambini giocano dapprima da soli o a gruppi, poi lenta­mente giocano tutti insieme a un lento, monotono gioco di palla: il pubblico sta ancora entrando. L bambini si annoiano, la luce lentamente cambia, i ragazzi si siedono stanchi e annoiati sulla strada, si spegne la luce in sala, lo spettacolo comincia.

Filippo                           -  Mah!

Rosa Maria                    -  Mah!

Giovanni                       -  Cosa si fa?

Chiara                           -  Ci vorrebbe un giardino!

Monica                          -  Con il verde.

Mauro                           -  E gli alberi.

Sergio                            -  E tutto il resto.

Gabriele                        -  Qui giardini non ce né.

Bambini                        -  No, no, non ce né. 

Marta                            -  Qui c'è la strada e basta.

Giovanni                       -  E già la strada!

Bambini                        -  Mah...

Giovanni                       -  Però, qui c'è qualcosa di sbagliato.

Filippo                           -  Sì, in questo paese, c'è qualcosa di sbagliato.

Sergio                            -  Ci vorrebbe un giardino!

Marta                            -  Per i Bambini che vogliono giocare e stare insieme

Da fuori si sente la voce della Venditrice di palloni. I Bambini si scuotono e le vanno incontro verso il fondo. Il gruppo, al centro, si stringe affet­tuoso intorno alla venditrice.

Venditrice                     -  Palloncini gialli, rossi e ben gonfiati... Eccomi qua. Avete visto che sono venuta? Come va?

Bambini                        -  Insomma, così, così...

Venditrice                     -  Allora come va? Ho capito voi volete che vi racconti una storia!

Bambini                        -  Sì, sì. 

Venditrice                     -  Sono povera ma di storie ne conosco tante. Ne ho viste tante io! Dunque: cosa vi ho raccontato ieri?

Bambini                        -  La storia del cerchio di gesso ... del Caucaso.

Venditrice                     -  La storia del cerchio di gesso del Caucaso del signor Bertoldo. E chi era questo Bertoldo?

Bambini                        -  Era Bertoldo Brecht.

Venditrice                     -  Bravi. Sapete che, se fosse vivo, avrebbe, anno più anno meno, l'età dei vostri nonni? Il suo cognome era Brecht perché era tedesco. Ai tempi suoi c'erano guerre e dittatori. Quelli che sì, se non la pensi come loro finisci molto male, e così lui doveva scappare. Tutta la vita è scappato inseguito dai nemici e tutta la vita ha scritto e detto che sono uguali gli uomini al mondo.

Bambini                        -  Giusto.

Venditrice                     -  E poi diceva sempre che le cose sono di chi le lavora oppure di chi le migliora oppure di chi le ama e le difende non di quelli che le hanno avute 16  senza aver fatto niente per averle e tenerle.

Bambini                        -  Vero.

Venditrice                     -  Questo diceva Brecht. Il signor Bertoldo. Di lui vi ho raccontato ieri, la sua storia del cerchio di gesso.

Bambini                        -  Eh sì.

Venditrice                     -  E oggi ve ne racconto un'altra, e voi magari mi aiutate. E una storia che è capitata a me tempo fa. Ma non qui.

Bambini                        -  Dove?

Venditrice                     -  In un'altra città. Stavo un giorno seduta sotto un albero in mezzo a un bel giardino...

Giovanni                       -  Prendiamo un albero?

Filippo                           -  Facciamo un giardino? Dai.

Venditrice                     -  Buona idea, macchinista ce l'hai un albero? Vogliamo fare un bel giardino?

Macchinista                            -  Ne ho giusto uno qua. 

Il Macchinista appare con un albero, che sistema in scena inchiodandolo. I bambini, cantando, esco­no in quinta a prendere lenzuoli di prato che sten­dono sul palcoscenico.

Bambini                                   -  (cantando) Un albero, un prato, due prati, tre prati, quattro prati, cinque prati!... Tanti prati. La terra calda e buona e il sole e il vento il vento per giocare il sole per cantare.

I  Bambini poi si sdraiano e rotolano sul prato inven­tato, la  Venditrice si mette a sedere sotto l'albero.

Venditrice                               -  Ah come si sta bene qua sotto! Sembra proprio di essere in quel giardino della mia favola che si intitola La bambola abbandonata. In questo giardino, un certo giorno mi è venuta voglia di dormire. Mi stavo addormentando quando...

La Venditrice  si appisola per gioco: da una quinta precipita in scena una bambola, subito seguita dall'entrata della bambina Lolita.

Lolita                                        -  Questa bambola è brutta non la voglio più. E tutta sciupata. Bambole come questa, non servono più a niente. Si allontana verso il fondo poi si accorge della Venditrice di palloncini.

Lolita                                        -  Quei palloni li odio, quasi quasi ne buco uno. 

Lolita le va dietro senza farsi vedere, e con uno spil­lo buca un pallone. Gran colpo: i  Bambini in coro si divertono a imitare l'esplosione del palloncino.

Venditrice                     -  Oh dio cosa c'è? Chi ha bucato il mio pallone? Chi è stato? Chi?

Lolita                            -  Io.

Venditrice                     -  Perché l'hai fatto?

Lolita                            -  Perché i tuoi palloni, sono brutti e volgari.

Venditrice                     -  Chi sei tu? Dimmi come ti chiami. 

Lolita                            -  Io sono Lolita, son ricca e servita. Ho casa e piscina mio padre ha i milioni...

Venditrice                     -  Ma smettila, sfacciata!

Lolita                            -  E tu vattene con la tua roba!

Venditrice                     -  Stammi a sentire, sono una cittadina come gli altri, e porto i miei palloni per le strade e le piazze tu, tira fuori i soldi e pagami il pallone che hai bucato, spaccona e prepotente! 

Lolita                            -  Non ho spiccioli con me. Ho soltanto il libretto degli assegni.

Venditrice                     -  E allora fa' un assegno e cambialo in banca.

Lolita                            -  Quanto costa un palloncino?

Venditrice                     -  Cinquecento lire.

Lolita                            -  E per cinquecento lire fai tutto questo baccano?

Venditrice                     -  Bambina, cinquecento lire sono il mio pranzo: un panino che mangio in trattoria (che per me è casa mia) con una bella fetta di formaggio e una brocca d'acqua o una aringa salata o una mezza arancia.

Lolita                            -  Sta zitta vecchia, che non ho voglia di sentire il tuo menu. Adesso me ne torno a casa a nuotare nella mia piscina nuova. Ah, quella bambola te la puoi tenere in cambio del tuo palloncino tanto a me non serve più.

Venditrice                     -  Ma quale bambola?

Bambini                        -  Quella! Questa!

Venditrice                     -  Ah questa! 

Bambini                        -  Eh, sì, sì.

Venditrice                     -  E così sono rimasta con una bambola rovinata sulle ginocchia. (comincia a toccare la bambola) Più la guardavo e più mi dicevo: ma questa bambola è sporca, è un poco rovinata ma non è brutta per niente. Oh dio, ha la testa sfasciata però come son morbide le sue treccine. E vero che ha la spalla scucita, ma che cosa importa? Eh, bambolina? i vero che hai un braccino e una gambina che penzolano, ma con amore e abilità  tutto si può aggiustare.

Bambini                        -  Giusto!

Venditrice                     -  (cantando e cercando di aggiustarla) «Bambola, bambola voglio aggiustarti le braccia e le gambe io ti metterò a posto...» Volevo aggiustarla ma non c'ero riuscita, non sapevo come fare contenta quella povera bambola malata. Allora le dissi: bambolina ti voglio fare un regalo perché tu sia contenta.

Bambini                        -  Che regalo? 

Venditrice                     -  I palloncini.

Bambini                        -  I palloncini?

Venditrice                     -  Le regalai tutti i palloncini.

Bambini                        -  Tutti?

La Venditrice lega la bambola ai palloncini. Ma appena legata, la bambola vola via nell'aria.

Venditrice                               -  Oh dio! Cosa succede? Se n'è andata! E adesso piango sconsolata la bambola che è volata.

I Bambini e la Venditrice si siedono tristi per terra.

Venditrice                     -  Con l'umidità che c'è tra le nuvole nere!

Bambini                                   -  Tra le nuvole nere.

Venditrice                     -  Col freddo che fa vicino alle stelle!

Bambini                                   -  Vicino alle stelle.

Venditrice                     -  Col caldo che fa là nella stratosfera!

Bambini                                   -  Là nella stratosfera.

Venditrice                     -  Col buio che c'è tra le nuvole nere!

Bambini                                   -  Tra le nuvole nere.

Venditrice                     -  Senza bambini, né ospedali vicino alle stelle!

Bambini                                   -  Senza

Bambini                        -  né ospedali.

Venditrice                     -  Morirà di sicuro!

Bambini                                   -  Morirà.

Venditrice                     -  Addio, addio bambola.

Bambini                        -  Addio, addio!

Si sente rumore di vento e tuoni. Un temporale lon­tano, e a poco a poco aumenta, diventa più forte, e si trasforma in un specie di rumore di guerra: spa­ri, mitragliatrici, scoppi di palloni. La scena di­venta buia, i Bambini cercano di nascondersi sotto i lenzuoli.

Venditrice                               -  Ed ecco che si sentiva in lontananza un temporale che si avvicinava, si avvicinava, sempre di più, sempre di più, finché scoppiò... Il temporale cerca la bambola la sbatte di qua e di là, la colpisce, la ferisce, la uccide. Ed ecco che ora scoppiano i palloncini, uno, due...

Il temporale si allontana, si sentono scoppi di pal­loncini, i  Bambini si stringono intorno alla venditrice e guardano verso l'alto. Cantano.

Bambini                                                        -  Bambola, non cadere, bambola, resta su, anche se non hai più ali non cadere, non cadere bambola mia, bambola mia vola via, vola, vola via, vola via, bambola mia.

I Bambini tentano di sorreggere la bambola con le mani, ma non ci riescono. Improvvisamente si sen­te un ultimo scoppio di palloni e la bambola, feri­ta, precipita attaccata a un paracadute di seta, sul palcoscenico addosso ai  Bambini e alla venditrice. I Bambini sbucano dal paracadute tenendo delica­tamente in mano la bambola.

Venditrice                     -  Raccoglietela adagio, non fatele male. Prendetela e mettiamola lì  la bambolina malata adagio. Con amore, distendono la bambolina, giù dal pal­coscenico, in un angolo e la coprono con un sacco che trovano per terra.

Venditrice                               -  Lasciamola riposare un poco la bambolina e intanto che riposa volete riposare anche voi?

Appena i Bambini si sono addormentati si sente una musica di flauto e tamburelli e qualche cam­panello fuori scena che si avvicina.

PRIMO INTERMEZZO

Cambia la luce, entra un portale di carta stagnola. Inalbero va via. Entrano dalla platea il Cantastorie e i musicisti vestiti all'orientale, con turbanti e maschere semplici di cartapesta. Entrano pure il Governatore, la Governatrice, un Principe,  due Soldati, un bambino in una culla dorata. La  Venditrice intanto, voltata di spalle, si mette in testa un nastro con le trecce di Grusa del cerchio di gesso.

Cantastorie                                       -  In tempi antichi, tempi sanguinosi comandava su questa città chiamata la città maledetta, un Governatore ricco e cattivo di nome Georgji... Abasvili! (Nome del Caucaso) Era sua moglie bellissima e cattiva. E aveva un figlio di nome Michele. La mattina del giorno di Pasqua il Governatore e la sua famiglia tornarono dalla chiesa.

Il  portale si apre, la Governatrice porta in braccio una cesta dorata con un bambino, spariscono nel portale insieme agli altri. Il portale si chiude. Tre soldati restano fuori a fare la guardia. 

Cantastorie                              -  La città era calma in quel giorno di Pasqua, le colombe giocavano sull'aia. Ma perché, ma perché ma perché ma perché sul portone tre uomini armati? Ma perché questo palazzo, ahia! sembra una fortezza?

Primo Soldato                        -  Di' tu, hai sentito cosa dice la gente?

Secondo Soldato                   -  Cosa?

Primo Soldato                        -  Che ci sarà la rivoluzione.

Secondo Soldato                   -  Quale rivoluzione? 

Primo Soldato                        -  La rivoluzione contro il Governatore. L'altra sera si sono riuniti il Granduca e i suoi Governatori, vogliono scacciare il Governatore di adesso.

Secondo Soldato                   -  Il Governatore di allora e il Governatore di adesso: tutti la stessa razza. Per noi non cambia niente, cambia solo il padrone. Il turno è finito, andiamo via.

Cantastorie                                       -  Nulla sapeva di tutto questo, il Governatore. I grandi sono ciechi. Camminano alti sulle schiene curvate degli oppressi solo fidando nella violenza che dura purtroppo da tempo  immemorabile. Ma immemorabile non è eterno, (rumori) oh mutamento dei tempi, speranza dei popoli.

Si sente in scena, dietro il portale, un colpo di can­none, poi scoppi e grida e rumore di catene: il por­tale si apre di colpo e appare il Governatore in catene portato via da due soldati.

Cantastorie                          -  Oh Eccellenza, guardati attorno ancora un volta, oh cieco! Ti piace ciò che era tuo? Ciò che avevi rubato al tuo popolo? e abbassa quella testa eccellenza. Non vai verso un palazzo, ma verso una piccola fossa donde nessuno torna. Addio, addio ex Governatore. Ed ora attenti, attenti. La Governatrice, era disperata,  poi si era ripresa e aveva deciso che era venuto il momento di andarsene via. Portandosi poca roba e portandosi il figlio il figlio e la roba.

Nel portale la Governatrice rinvenuta, si precipi­ta fuori.

Governatrice                                  -  Via via le ceste! Portatele tutte nel terzo cortile. Viveri per cinque giorni. Bisogna partire. Ah il mio bambino! Quasi lo dimenticavo! (Torna dentro e prende la cesta e la porta fuori dal portale; poi la lascia lì, ritorna dentro e grida) Solo l'indispensabile. Vi dirò io quello che dovete mettere dei vestiti solo quello verde. Però naturalmente quello bordato di pelliccia, e poi quello coi bottoni di madreperla. Correte, mettete tutto nella carrozza e poi venite qui a prendere il bambino.   No, prima i vestiti nella carrozza e fate presto (rumore) Ah, brutte canaglie, hanno lasciato cadere una cesta, e ora si è sparso tutto per terra. Adesso vado io e gli faccio vedere io.

(Entra nel portale e poi esce di scena infuriata Uno scoppio e poi altri scoppi di tamburo)

Cantastorie                          -  Tra, scoppi, tuoni, vestiti, da portare via la Governatrice aveva dimenticato il bambino!

Appare Grusa, a piedi nudi.

Grusa                                                         - Andati tutti via. Mi hanno lasciata sola nel palazzo. 

Cantastorie                    -  Era una serva, una delle tante, il suo nome era Grusa. Mentre stava davanti al portone udì o credette di udire un flebile richiamo, il bambino la chiamava non con vagiti, ma con parole sensate. Donna, diceva, Donna aiutami! Donna aiutami!

Grusa                            - Hanno dimenticato il bambino! Ma come? T'hanno dimenticato? E adesso cosa si fa. Io non ti posso tenere. (Sta per andarsene ma poi torna e si siede davan­ti al bambino)

Cantastorie                    -  Non lo voleva. Non era suo. Era povera. Ma a lungo sedette accanto al bambino finché venne la sera finché scese la notte, finché spuntò l'alba. Non sapeva che fare.

La luce cala fingendo la notte e poi torna l'alba e  Grusa è sempre là. Dal fondo si sente la voce di un banditore che passa. Poi la voce si avvicina.

Cantastorie                    -  E allora

Grusa                            - udì un tamburo lontano e la voce di un banditore che diceva: (imita voci lontane) Quella voce si avvicinò e allora

Grusa                            - intese chiaramente: A tutta la popolazione chiunque trovi un bambino di nome Michele figlio del fu Governatore lo deve consegnare al palazzo. Pena la morte.

Grusa ascolta e le viene spontaneo di nascondere con la gonna il bambino a terra. Ma poi si ritrae,  lo fissa ancora.

Cantastorie                              -  Terribile è la tentazione della bontà! Troppo a lungo sedette Grusa. Troppo a lungo lo guardò: Finché, verso la mattina la tentazione la travolse ed ella si alzò, si chinò e sospirando prese il bambino e se lo portò via come una ladra scivolò via.

Grusa esegue. Mentre la musica e il piccolo corteo del cerchio di gesso del Caucaso con il cantore sono spariti, è sparito il portale della favola, è riappar­so l'albero del teatro al centro della scena e la  Venditrice di palloni è tornata al suo posto sotto l'al­bero. I  Bambini si svegliano uno a uno, con mo­vimenti diversi. La luce è tornata chiara.

Venditrice                               -  Ehi, bambini, su sveglia!   Avete dormito? Avete sognato? Cosa avete sognato?

I Bambini fanno dei gesti vaghi, qualcuno dice parole vaghe.

Bambini                                   -  La favola di ieri.

Gabriella                                               - E tu facevi la parte di Grusa, sì tu, proprio tu.

Venditrice                               -  Io facevo la parte di Grusa? Ma che bella idea! Allora mi avete fatto ritornare giovane. E tutti avete sognato la stessa cosa? (I Bambini dicono di sì) Sono importanti i sogni. Ma torniamo alla tua  storia di oggi, quella della bambola, che abbiamo lasciata lì, a dormire sotto il sacco in mezzo alla roba vecchia, sulla strada. La bambola era lì malata che dormiva, quando da una cucina uscì una bambina di nome Paca. Era una bambina povera, il contrario di Lolita, la ricca.

Paca                              - lavava i piatti, tutto il giorno. Non aveva giocattoli né niente.

Entra dalla platea Paca, che si avvia lungo la ribalta. 

Quando passò davanti alla bambola abbandonata si accorse di qualcosa e si fermò.

Paca si ferma, cerca sotto il sacco, trova la bambo­la, la tira fuori, gioca un attimo, non le piace. Se ne va, poi ritorna, la guarda, si mette in ginocchio, davanti alla bambola, come Grusa nella favola, la mette a sedere, la pettina, l'accarezza, poi la pren­de tra le braccia, comincia a cullarla e infine le canta una ninna nanna. Paca canta.

Paca                              - Bambola rotta dormi, dormi mio amore, sei tutta un dolore occhi più non hai dalla testina rotta trabocca il cotone dormi amore mio che penso a tutto io, che penso a tutto io. Dormi dormi.  (Si alza con la bambola in braccio e chiama) Ciabattino, ciabattino! Non c'è. Ciabattino! Vieni qua, vieni qua.

Ciabattino                     - Eccomi qui. Paquita cosa c'è? Cosa c'è?

Paca                                          - Oh, ciabattino! Guarda qui la mia bambola malata, vedi è tutta consumata. Se me la curi, però, io non ho niente da darti, solo un bacio.

Ciabattino                                          - D'accordo Paca. Io sono un grande Ciabattino tutti mi chiamano  Lorenzo il ciabatti gran dottore di scarpe porto sempre di tutto, la lesina, il martello, il trapano, cerotto, aspirina, colla, lecca lecca, chiodini, bende, vernici, tutto il meglio che c'è. Adesso andrò a curare la tua bambola malata. Dopo la mia cura, vedrai, sarà risuscitata. Mettila tu, mettila tu. (Prende la bambola con cura) Adesso dovrò visitarla. Sentiamo prima il polso. (La stende al suolo, sotto un asciugamano e la esamina come fanno i dottori) Eh sì, è molto molto malata dovrà essere operata!

Bambini                                   -  Operata? 

Ciabattino                               - Sì operata. Ma non le faccio male. Sarà addormentata. E voi aiutatemi un po' fatemi gli assistenti. Dalla valigia trae guanti di gomma, maschere bianche che i Bambini prendono allegri. Paca fa l'assistente. I  Bambini anche loro. Presto elettricisti, luci! Sala operatoria, via l'albero, su, guanti, mascherine, il carrello. Cloroformio. La anestesia. Niente paura fa solo dormire per non sentire il male. Per favore bisturi, sega, chiodini, martello, colore, pennello, largo all'artista. Carminio per le gote. Occhi azzurri. Così. Filo. E qui sul culetto mettiamo un cerotto. Il lecca lecca per prendere la temperatura. Temperatura normale, polso, tum tum tum tum. Polso normale. Per me è guarita. E meglio di prima.

Tira su la bambola avvolta nell'asciugamano, la fa stare in piedi, la bambola è addormentata. I Bambini se la passano e la guardano.

Paca                                                                                                                         - E come nuova ed è bella. Come sei bella bambola mia! (Al ciabattino) E quanto ti devo dare? 

Ciabattino                     - Niente per te sei povera come me! ah no, un momento non mi avevi promesso un bacio? E allora dammi un bacio.

Paca                                          - (gli si avvicina e gli dà un tenero bacio) Grazie buon Ciabattino grazie. Ne vuoi un altro?

Ciabattino                     - Grazie no. Sono stanco dopo l'operazione ci vuole un po' di distensione magari un po' di musica magari una bella canzone. Stacca la musica fuori.   I Bambini      cantano: «Bambola vola» con altre parole. Bravi, bravi. Adesso io me ne ritorno    48  49  al mio angolo che è un angolo stupendo e silenzioso io lì cucio e rappezzo rappezzo e cucio; insomma, io lì lavoro. Ciao bambini!

Bambini                                                 -  Ciao!

Esce rapido con la valigetta. Paca ha ripreso la bambola guarita ed e andata verso la ribalta, al suo posto.

Venditrice                               -  E così la Paca aveva guarito la bambola e se l'era tenuta. Adesso bisognava vestirla. Ma vestiti la Paca non ne aveva. Solo l'asciugamano del dottore. Allora pensò  di farlo diventare un vestito. Paca nei rifiuti trova una forbice, e incomincia a fare un vestito alla bambola. E così l'aveva vestita di bianco, ma adesso mancavano le scarpe. Trovò un vecchio guanto di lana Paca esegue. le fece due scarpine. Adesso la bambola era più bella di quando era nuova.

Bambini                        -  (soggetti) Cammina. Hai visto? Che bello!  Risuona il tema della ninna nanna e la Paca culla la sua bambola.  Vedete già la differenza di coscienza tra Lolita e Paquita. Ma? Ma cosa successe poi? Successe che improvvisamente, fra grida e pianti, tornò la Lolita in strada per reclamare la sua bambola. Ma qui faccio finire la prima parte della mia storia. La commedia è sul punto di diventar tragedia. Quello che succederà lo vedrete più tardi. Noi facciamo l'intervallo?

Bambini                                   -  Sì.

Venditrice                               -  E va bene, facciamo l'intervallo anche per voi, se volete.  Si accendono le luci in sala. Si spengono le luci sul palcoscenico. I Bambini e la  Venditrice di pallonci­ni si alzano e insieme calmi chiacchierando vanno via. Il Macchinista controlla l'albero che sia a po­sto. Il direttore di scena mette a posto i teli verdi pulisce il palcoscenico.

Giovanni                                 -  Facciamo dieci, quindici minuti d'intervallo. 

ATTO Secondo

I Bambini e la  Venditrice rientrano ai loro posti. Aggiustano il giardino finto e poi si sdraiano come prima. La Venditrice ricomincia a parlare mentre si spengono le luci in sala.

Venditrice                     -  Dunque, dicevamo? Ah, già! Vedete la differenza di coscienza fra Lolita e Paquita. Mentre la Paca era li che cullava la sua bambola che aveva curata vestita e salvata, ritornò Lolita. Eccola qua.

Lolita entra, rapida e preoccupata.

Lolita                                        -  Dov'è la mia bambola?

Venditrice                               -  La tua bambola? Quale bambola?

Lolita                                        -  Quella che ho regalato a te. Ridammela subito.

Venditrice                     -  Neanche per sogno.

Lolita                                        -  La mamma mi ha sgridato perché ho buttato la bambola e mi ha detto che se non la trovo con la frusta mi picchia.

Bambini                        -  (soggetti) Bene. Farebbe bene. Brava!

Venditrice                               -  Ma io non ce l'ho bambina mia e anche se l'avessi non te la ridarei.

Lolita                                                               -  (infuriata) Brutta vecchia dimmi subito cosa è successo della mia bambola.

Venditrice                               -  (ridendo) La tua bambola? Se la son portata via i palloncini lassù, nella stratosfera.

Lolita                                        -  I palloncini! Ma se non hanno la forza per portare la bambola su nel cielo!

Venditrice                               -  Ti assicuro che ce l'hanno. Hanno la forza di portare nella stratosfera anche te. Ecco.

Lolita                                        -  (pausa) Senti un po', vecchia facciamo allora un affare. La mia mamma mi dà ogni domenica cinquemila lire da spendere nelle cose buone della festa: andare sulle giostre insomma, eccetera eccetera.  Se non ritrovo la bambola la mamma certo mi ritira l'aiuto finanziario. Aiutami nella ricerca, fammi trovare la bambola e io domenica ti darò diciamo duemila. (La Venditrice non risponde) Facciamo tremila. (La Venditrice non risponde) Beh, te ne darò quattromila.

Venditrice                     -  Mah, io vendo palloncini di affari non me ne intendo!

Lolita                                        -  Ho capito, e va bene ti darò tutto. Intanto la Paca si e alzata, voltando le spalle alla Lolita e alla venditrice. Poi si avvia lungo la ribalta sempre con la sua bambola in braccio. Lolita la vede.

Lolita                                        -  Ma chi è quella bambina? Ah già, è la figlia di quella che lava i piatti in casa mia. Come ha fatto a comprarsi una bambola così bella? Ehi tu, fai vedere quella bambola.

Paca si ferma e la fa vedere orgogliosa.

Lolita                                        -  Ma quella è la mia bambola! Quella che avevo dimenticato qui e che tu mi hai rubato.

Paca                                                                 - (grida) No. Questa bambola è mia. Non l'ho rubata. L'ho trovata per strada! L'ho salvata e curata. 

Lolita                            -  E io ti dico che quella bambola è mia.

Paca                                          - (piangendo) No. Questa bambola è più mia che tua!

Lolita                            -  Oh brutta bugiarda! Ridammela subito o chiamo qualcuno.

Paca                                          - La bambola è mia mia mia!

Lolita                            -  Ah sì eh! E io adesso chiamo qui la polizia.

Lolita esce. Lolita è uscita.  Paca è rimasta in scena con la sua bambola. Non sa come nasconderla. P0i corre alla ribalta, prende il sacco che era rimasto da un lato in mezzo ai rifiuti, avvolge la sua bam­bola e fugge via da un lato.

Venditrice                               -  Tre giorni scappò la Paca con la sua bambola stretta fra le braccia. Non sapeva cosa fare, non sapeva dove andare. Provò allora a nascondersi sotto i vagoni dei treni, alla stazione. Ma i treni andavano e venivano e lì Paca aveva tanta paura. Allora andò in riva al fiume dove ci sono le barche. E dentro una barca si nascose. Ma faceva troppo freddo e di notte l'umido dell'acqua bagnava lei e la bambola  e la faceva tremare. Per mangiare poi era un problema. Trovò qualche mela in un orto, un poco d'uva, una pannocchia di granoturco e basta. Dopo tre giorni di fame e di freddo, la

Paca                              - pensò che forse i poliziotti s'erano dimenticati di lei. E ritornò a casa.

Rientra dal fondo  Paca lentamente e si ferma stanca. Si mette in ginocchio per terra. Mette la bambo­la, davanti a sé e la pettina e le accomoda il vestito.

Paca                                          - Devi essere bella adesso che siamo tornate a casa. Tu sarai la più bella bambola del mondo.

Di corsa dalla parte opposta, gridando, entra Lolita. La Paca si alza e prende la bambola tra le braccia.

Lolita                            -  Eccoti qua, finalmente! Cosa credevi? Che ti avessi dimenticata? Sono stata tre giorni alla finestra per vedere se tornavi. E adesso che sei tornata ridammi la mia bambola.

Paca                              - No.

Lolita                            -  Dammela subito brutta ladra!

Paca                              - No. 

Lolita                            -  Dammi la bambola subito!

Paca                                          - No.

Lolita                            -  Ah no! E allora...

Lolita si fa sotto alla Paca e afferra la bambola per strappargliela. Paca la difende. Le due bambine rotolano a terra picchiandosi.

Venditrice                     -  (intervenendo) Basta. Basta. Fermatevi! Non è questo il modo di risolvere le cose. Ci vuole il modo giusto. Oh! Qui ci vuole un vero processo con il suo bravo giudice. 

Straccivendolo                       - (fuori campo) Straccivendolo, stracci, compero stracci.

Venditrice                               -  Ecco l'uomo che ci vuole per fare chiara  la questione.

Entra lo Straccivendolo vestito come uno spaz­zacamino con tuba, viso nero, scala e sacco.

Straccivendolo                  - Salve, amici, salve. Io sono lo Straccivendolo e anche spazzacamino. Io sono un cercatore. Cerco nelle carbonaie la brace per il fuoco. Mi arrampico sui tetti per cercare quello che cade dal cielo nei camini la carta e i giornali  nelle strade vecchie latte e bottiglie (mette nel sacco barattoli e bottiglie) che subito vendo. Però, però però però, m'intendo anche un poco di legge e ascoltando da fuori la vostra contesa mi son detto: Questa la risolvo io in modo perfetto. Ma prima di cominciare ho bisogno un momento di pensare. Voi intanto fate quello che volete.

Lo Straccivendolo si mette a pensare profondamen­te. I Bambini sbadigliano e dopo un po' comincia­no a dormire.

Secondo INTERMEZZO

I Bambini si addormentano di nuovo.  Cambia luce. Esce l'albero. Entra adagio un drappo, dipinto con una montagna azzurra e con la cima coperta di neve. Il drappo ondeggia, si sentono i tuoni e i fulmini fatti con un bidone di latta. Grusa, con il fagotto del bambino in braccio, cammina salen­do la montagna. Il Cantastorie è entrato cantando

Cantastorie                              -  Preso il bambino lasciò la città, Grusa. Tre lunghi giorni camminò e si avviò sulle montagne del nord le spaventose, deserte montagne del nord e si arrampicò più su, sempre più su. Notte e giorno giorno e notte, lontano sempre di più. E intanto i corazzieri del Governatore la seguivano. A piedi nudi, come si può sfuggire ai corazzieri, ai cani assetati di sangue, alle trappole tese? Gli inseguitori non conoscono la stanchezza. 

Grusa stanca si addormenta col bambino

I macellai hanno il sonno breve.

Grusa e il bambino. Cade la neve. Grusa copre il bambino col suo vestito e si toglie la sciarpa per nasconderlo meglio. Luce di notte. Torna la luce di giorno.

E di nuovo si mise in viaggio, Grusa e incontrò un fiume

II drappo è un fiume impetuoso. Grusa l'attraver­sa tenendo alto il bambino.

Allora Grusa riprese il suo cammino e passò su ponti tesi sull'abisso.

Grusa esegue

Grusa                            - Ce l'abbiamo fatta, figlio. E adesso avanti nel mondo!   

Cantastorie                    -  Tre anni camminò Grusa crescendo il figlio che non era suo traversando ghiacciai visitando paesi sconosciuti soffrendo e penando per fare grande e forte il suo bambino!

Grusa esce da dietro il drappo. Ritorna fuori dalla parte opposta e accompagna tenendolo per mano un bambino di tre o quattro anni.

Finché un giorno decise di tornare. Diceva: saranno cambiati si saranno dimenticati ormai di noi!

Fermandosi a sedere a terra

Grusa                                                          - Eh! Siamo ritornati. È bello essere dì  nuovo a casa. Ma adesso tu devi stare attento. Non devi parlare con nessuno. Non devi dire niente. Capito? Se ti chiedono il tuo nome tu devi dire che ti chiami Simone. Il vecchio nome, Michele, quello che avevi prima non ce l'hai più. Adesso sei Simone, il figlio mio. Hai capito? Hai capito proprio? Sta attento, ecco i soldati.

Entrano due soldati.

Primo Soldato               -  Di un po' non ti pare di riconoscere questa ragazza?

Secondo Soldato                   -  Mi pare proprio di sì.   

Primo Soldato                        -  Mi ricorda qualcuno, qualcuno che è scappato con il bambino dell'ex Governatore.

Cantastorie                    -  Non avevano dimenticato. La rabbia dei potenti è molto lunga non dimentica mai!

Primo Soldato               -  Non ti chiami per caso Grusa?

Grusa                            - Sì, Grusa.

Secondo Soldato          -  E dove sei stata?

Grusa                            - Son stata via, a lavorare all'estero, tre anni son stata via. 

Primo Soldato                        -  E questo è tuo figlio?

Grusa                                                              - Sì, mio.

Secondo Soldato                   -  E come si chiama?

Grusa                                                              - (in fretta) Simone.

Primo Soldato                        -  Ah, Simone?

Secondo Soldato                   -  O Michele?

Grusa                                                              - Ho detto Simone.    

Primo Soldato               -  (al bambino) Lascialo dire a lui. Ti chiami per caso Simone?

Secondo Soldato                   -  O ti chiami Michele?

I due soldati guardano Grusa.

Primo Soldato                        -  Come va questa storia? Si chiama Simone o Michele come il figlio dell'ex Governatore?

Secondo Soldato                   -  Qui bisogna vederci chiaro. Uno non può avere due nomi. Io sospetto che sia Michele, figlio e erede del defunto Governatore.

Grusa                            - (disperata)  Lasciatelo, vi prego, è mio, è mio!

Primo Soldato                        -  Voi due venite con noi.

Secondo Soldato                   -  Qui ci vuole un processo per chiarire le cose. Via.

I soldati portano via brutalmente Grusa e il bam­bino.

Cantastorie                              -  (uscendo) Un processo? E come sarà il giudice? Sarà buono o cattivo? II problema è sempre e tutto lì.

1 due soldati hanno portato via Grusa e il bambi­no. Il Cantastorie e i musici sono usciti dalla platea. Ritorna la luce del giardino in scena. Lo straccivendolo ritorna al posto insieme con la venditri­ce. Poi si stira.

Straccivendolo                       - Ho pensato. Ehi bambini! Bambini! (Batte le mani, i Bambini si scuotono) Siete pronti anche voi per il processo? Adesso procedo all'interrogatorio delle parti. S'introducano le parti. La bambola. La Venditrice porta avanti le due. Bambine, di chi è questa bambola?

Lolita                            -  Mia! 

Paca                                          - Mia!

Lolita                            -  Mia!

Paca                                          - Mia!

Straccivendolo              - Non può essere di tutte due allora, bambine, riflettete. Di chi è questa bambola?

Paca                                          - Mia!

Lolita                            -  Mia!

Paca                                          - Mia!

Lolita                                        -  Mia!

Straccivendolo              - Così non si può andare avanti. Ora sì che siamo a posto. Questa lite di piccoli è in realtà un problema di grandi. Cerchiamo di vedere come lo spiegano. Hai le prove che è tua? Mostrami qualche cosa una fattura, una ricevuta...

Lolita                                        -  Mio padre la ha comprata a Roma e l'ha pagata ventimila lire. Ho un testimone importante io.

Straccivendolo                       - Fallo venire a deporre.

Lolita                                        -  Testimone! Testimone! 

Entra il portiere.

Portiere                                    - Sì io sono un testimone importante. Sono il Portiere di tutta la proprietà sono andato in congedo col grado di generale pluridecorato in battaglia, per avere subito quattrocentocinque ferite. Ho perso una gamba un braccio, un occhio e tre dita e taccio il resto. Dichiaro solennemente che ho assistito alla nascita della bambola smarrita.

Venditrice                     -  Abbandonata vuoi dire.

Portiere                                    - Ho detto smarrita. Me lo ricordo come fosse ieri. Fu in autunno, il quattro novembre, battaglia delle Alpi. Andavo a consegnare non so più che pacco, alla graziosa Lolita, quando sentii che gridava. Guardai da una fessura: aprendo una porta, Lolita si era pizzicata le dita. Mi avvicinai allora e vidi con i miei occhi, va bene, col mio occhio di falco, che tirava fuori dalla cassa la bambola con le sue proprie mani. Così affermo e confermo e sono pronto a sottoscrivere con la mia firma.

Straccivendolo                       - E tu cosa dici? Aiuto sotto cuoca. 

Paca                                          - Dico che è mia. Stava per terra, l'avevano buttata là. Tutta rotta, e allora io l'ho fatta vivere e l'ho curata con tutto il mio cuore. E adesso se qualcuno vuol farle del male io lo picchio. Per questo dico, signor Straccivendolo che questa bambola è mia.

Straccivendolo              - Mi sa allora che per risolvere la questione non ci resta che fare la prova famosa del piccolo cerchio di gesso. Però ci vuole spazio, bambini, qui bisogna sgomberare il vostro giardino. Bambini, disegnate col gesso per terra un bel cerchio.

I  Bambini applaudono.

Benissimo, adesso prendete la bambola e mettetela nel centro del cerchio.

I Bambini eseguono.

Adesso Lolita               prendile un braccio e tu Paca, prendile quell'altro e tirate. La vera padrona della bambola avrà la forza di tirare la bambola fuori dal cerchio dalla sua parte, pronti.

Portiere                         - Aaaaalt! Si sospenda la prova. Non sono affatto d'accordo. Questa qua è abituata a pulire i pavimenti ed ha molta forza nelle braccia.

Venditrice                               -  Ma quella là fa ginnastica,  nuota e mangia carne e uova.

Straccivendolo              - Noi decidiamo che le parti hanno entrambe forze uguali. Pronti: cominciamo. Tirate.

Lolita tira. Paca lascia, la bambola resta fuori cerchio nelle mani di Lolita.

Portiere                                    - Molto bene, signorina, molto bene. La classe vince sempre. Complimenti.

Straccivendolo                       - Ma tu,

Paca                              - non hai tirato per niente. Perché non ci metti un po' di forza?

Paca non risponde.

E va bene.

Paca                                                                 - Così non vale. Si ripeta la prova.

Portiere                                    - Dovrei obiettare, ma mi rimetto alla giustizia.

Straccivendolo                       - La giustizia sono io, faccio quello che voglio. Si ripeta la prova.

Si rimette la bambola al centro del cerchio e la stessa scena di prima si ripete.

Pronti, via!

Portiere                                    - Molto bene. Il trionfo della forza.

Straccivendolo                       - La prova è finita.  Mia Paca, mi dispiace. Io, Giuliano Straccivendolo patentato, dichiaro che la bambola e quello che ha dentro appartiene a Lolita sua legittima proprietaria e vincitrice della prova del cerchio di gesso. Il processo è finito.

Portiere                                    - Le mie congratulazioni, signor giudice, non avevo dubbi sulla giustizia del nostro paese. (esce) Viva la giustizia, viva la giustizia!

Straccivendolo                       - E voi pensateci su se volete. Magari ci sarebbe un'altra soluzione ma io, per ora, non l'ho ancora trovata. Stracci, straccivendolo, bottiglie, roba vecchia...

Esce col suo grido. I Bambini restano immobili pen­sierosi e guardano davanti a loro con gli occhi aper­ti. Escono tutti gli altri. E nella scena nuda cambia la luce.

Venditrice                               -  Palloncini colorati, rossi, verdi e ben gonfiati... E così finisce la mia storia di oggi, quella della bambola abbandonata... Non vi convince, eh?

Bambini                                   -  Per niente.

Venditrice                               -  Veramente neanche a me.  Luca A me piace più la fine di quell'altra.

Venditrice                               -  Allora rivediamo insieme quell'altro processo, quello del cerchio di gesso, e poi daremo il nostro giudizio. Musica!

TERZO INTERMEZZO

Azdak                         - L'udienza è aperta, parlate!

Governatrice               -  Un destino profondamente crudele mi obbliga a chiedervi di restituirmi il mio figlio diletto. Non sta a me descrivervi le torture del mio animo materno, i tormenti, le notti insonni. Senza un tetto senza beni. 

Azdak                         - Come senza beni? Non sei la moglie dell'ex Governatore, quello ladro? I ladri rubano, quindi i beni ce li hanno.

Governatrice               -  Oggi non posso nemmeno pagarmi gli avvocati.

Azdak                         - Non puoi pagarti gli avvocati? (a Grusa) E tu gli avvocati li hai?

Grusa                          - No, non posso pagarli. Mi difendo da sola.

Azdak                         - (alla Governatrice) Allora vedi? Siete pari. Ah... Avanti. E i legami di sangue? Non hai ancora parlato dei legami del sangue.

Governatrice               -  Ah, sì certo, i legami del sangue! Un figlio concepito nell'estasi dell'amore portato in grembo nutrito del mio sangue. Partorito con dolore.

Azdak                         - ... partorito con dolore. E tu cosa dici?

Grusa                          - Dico che è mio.

Azdak                         - Perché dici che è tuo?

Grusa                          - Perché l'ho allevato come meglio potevo. 89  Ho sempre trovato qualcosa da mangiare. Ho passato ogni sorta di guai per salvarlo. Ho fatto molte spese. Non ho badato ai miei comodi. Gli ho insegnato ad essere gentile con tutti e fin da principio gli ho insegnato a lavorare come meglio poteva.

Governatrice               -  Ma dei vincoli del sangue non ne parli, ah, non puoi. Non è tuo.

Grusa                          - E più mio che tuo.

Governatrice               -  Ma guarda come è vestito, di stracci è vestito!

Grusa                          - (quasi piangendo)  Non è vero. Non mi hanno dato il tempo di mettergli la carnicina buona.

Governatrice               -  Si vede che lo teneva nel porcile.

Grusa                          - Non sono un porco, io! Porci sono gli altri. E tu, dove l'hai lasciato tuo figlio?

Governatrice               -  Ah, brutta serva schifosa! Adesso ti insegno io il rispetto.

Azdak                         - Basta, fermatevi! (Prende il bastone e le bastona) Il vostro caso è complesso e questa corte non ha ancora stabilito quale sia la vera madre    del bambino. Allora, poiché vedo qui per terra un cerchio disegnato col gesso, facciamo la prova del cerchio di gesso del Caucaso. Una specie del giudizio di Salomone quello che voleva tagliare in due un bambino per darlo metà a una madre e metà all'altra. Roba d'altri tempi. Noi siamo più civili. Tu e tu, portate il bambino, mettetelo nel centro del cerchio e voi prendetelo per un braccio o una mano e tirate. Il bambino appartiene a quella che riesce a tirarlo fuori dal cerchio dalla parte sua. Tirate!

Le due donne tirano, Grusa lascia andare il bam­bino e resta impietrita,

Azdak                           - Ma cosa succede? 

Grusa                            - Volevo tirare. Ma non ho potuto.

Azdak                           - Bene, per vizio di forma ripeterò la prova. Si ripeta la prova. Tirate!

Le due donne tirano. Grusa lascia andare il bam­bino.

Grusa                            - Non posso. Non posso. L'ho allevato io. Non posso fargli del male!

Cantastorie                    -  E adesso udite, udite il giudizio di Azdak, Giudice supremo e grande ubriacone. Che di legge non capisce niente, che confonde le cose ma che i potenti non riescono ad ungere e così i poveretti con lui se la cavano spesso, come nei processi normali invece mai avviene!

Azdak                           - (beve un ultimo sorso. La bottiglia e vuota) Vieni avanti ex Governatrice, perché la corte ha stabilito qual è la madre del bambino. La vera madre è Grusa. Prendi il bambino. E tu vattene, tu, sparisci prima che ti condanni per truffa. E anche voi due, fuori. Fuori! Ordino che i beni del defunto Governatore diventino di proprietà pubblica e siano convertiti in giardini per l'infanzia. I Bambini ne hanno bisogno.

Tutti cominciano a uscire. Azdak si leva il mantello da giudice e resta in camicia a piedi nudi. Esce dal fondo da solo. Grusa esce per ultima cul­lando il suo bambino. Gli altri Bambini pensiero­si sulla scena cominciano a muoversi, mentre la luce cambia.

Venditrice                     -  Siete sempre convinti che la ragione sia della parte di Grusa?

Bambini                        -  Sì, sì.

Venditrice                     -  Allora rifacciamo il finale. Lolita, Paca, venite qui. Io,

Venditrice                     -  di palloni patentata, giudice unico di questa strada, dico che la bambola non venga data a Lolita            che l'ha abbandonata, ma alla Paca che l'ha tanto amata. (musica)   

Paca                              - (canta) Bambola mia dormi, dormi mio amore, Dormi amore mio. Dormi, dormi, dormi, dormi, dormi. (Al pubblico) Ssssssst. Si è addormentata.

FINE