LA TENTAZIONE POETICA
Monologo
di ALDO NICOLAJ
PERSONAGGI
SILVANO
Commedia formattata da
SILVANO
Un magazzino, squallido e sporco. Su delle casse, mucchi di libri, una cassa con uno sgabello serve da scrivania, tra fiaschi e bottiglie vuote, un sacco a pelo. Qualche brutta pittura pop alle pareti. Silvano è un bel ragazzo sui 30 anni.
Certo… la mia vita, prima, era molto diversa… Migliore o peggiore? Non riesco ancora a capirlo. Per esempio, questo magazzino, chi lo riconoscerebbe più? Un anno fa dalle pareti pendevano prosciutti e salami… sulle scansie c'era ogni ben di Dio… forme di formaggio… fusti di olio… tonnellate di scatolame… barili di acciughe… Allora mi occupavo della vendita all'ingrosso di prodotti alimentari. Guadagnavo, avevo un commercio avviato, un'ottima clientela, ero un commerciante stimato… insomma, una vita serena. Troppo, secondo Mazi la mia ragazza. Lavoravo come un dannato tutto il giorno, preoccupato di non perdere un affare, dimenticavo persino, a volte, di mangiare… Ma mi divertivo anche: alla sera andavo al cinema a vedermi un western o a giocare a carte con i miei amici… parlavamo di sport… di donne… Alla domenica partivo con la spider e andavo a farmi una bella mangiata in un ristorante di campagna… Ma la mia ragazza detestava questo mio modo di vivere… Diceva che la mia vita era ripugnante, perché non avevo interessi spirituali: vivevo come uno schiavo, come una bestia, senza capire perché vivevo. E non solo al mio lavoro si ribellava, ma anche al mio modo di divertirmi. Secondo lei, io ero una specie di bruto che si accontentava di nutrire il corpo, lasciando morire di fame lo spirito. Una scimmia sull'albero faceva una vita più intelligente di me. Così mi diceva. Ed insisteva perché mi mettessi a vivere come un essere razionale. E così decise di istruirmi lei. Arrivava con delle bracciate di libri, qui, al magazzino, quando io stavo per chiudere, si metteva in un angolo, mi costringeva a leggere e a studiare per ore e ore. Poi mi interrogava. Se non avevo capito qualcosa, me la spiegava lei, me lo faceva ripetere… Così, proprio per farla contenta, ho cominciato a farmi una cultura. I sonetti di Shakespeare, le poesie di Rimbaud, i russi, i francesi, i tedeschi, la civiltà degli Ittiti, quella dei Maya, la pittura primitiva, Proust, Kafka, Joyce… Per il week-end, invece mi portava ai cine-club a vedere opere di avanguardia… a sentire conferenze… mi conduceva dentro scantinati dove si facevano strani esperimenti culturali impegnatissimi, come danza, canto, recitazione e musica… mi portava a sfilare per il centro per dimostrare o a protestare, di fronte a qualche ambasciata… Non è che capissi quello che lei pretendeva, ero innamorato da non capire più niente. Mi bastava stare con lei, sederle vicino, tenere tra le mie la sua mano, sfiorarla con il ginocchio la gamba… Lei si arrabbiava. Diceva che io ero un bruto, che mi lasciavo trasportare dal sesso, un epicureo non civilizzato e che la mia vita doveva essere rifatta da capo. Io la lasciavo dire. Tanto, dopo le conferenze o le proiezioni, non mi diceva mica di no e a letto con me ci veniva volentieri. Ed era questo che, in fondo, a me importava. Per il resto, ero orgoglioso di avere una ragazza colta, intellettuale ed impegnata, che conosceva tanta gente importante ed era introdotta dappertutto. Di solito le ragazze colte sono tutte brutte. Invece, Mazi era bella, anzi bellissima, alta, slanciata, con dei capelli biondi, e un sorriso che incantava. Riusciva ad essere carina, anche con quei vestiti stravaganti che portava: pantalonacci… gonne cortissime o lunghissime… camicette dei tempi di sua nonna… o di plastica… o di metallo… Qualunque cosa si mettesse addosso, la portava con stile. Ed era così bellina che, quando passava, gli uomini si voltavano… Devo ammettere che non aveva torto quando mi diceva che, culturalmente, valevo poco… Non leggevo che i libri-mastro del magazzino, le fatture, i giornali sportivi e qualche fumetto… Così, anche per accontentarla e crescere nella sua stima, cominciai sul serio a leggere e a studiare. Poi, lei, mi interrogava, felice per tutto quello che avevo imparato. Cominciò a presentarmi ai suoi amici: gente un po' strana, ma simpatica. Chi scriveva, chi scolpiva, chi dipingeva… Tutti artisti. Mazi diceva, che in fondo, anch'io se avessi voluto, qualcosa avrei potuto fare. L'intelligenza non mi mancava e ora che cominciavo ad avere un poco di cultura… Sarebbe bastato che mi ci fossi messo con lo stesso impegno con cui vendevo aringhe. Sempre meglio un artista, anche mediocre, piuttosto che un venditore all'ingrosso. Io cercavo di spiegarle che, se lavoravo, lo facevo per guadagnare. Lei mi rispondeva che guadagnare era immorale, che i soldi non servono a niente, che bisogna prendere esempio dagli uccelli del cielo che volano in alto felici e non vendono aringhe. Il lavoro, secondo lei, era una depravazione dell'uomo, che col lavoro aveva inventato la guerra, la civiltà dei consumi, la segregazione razziale e la violenza. Certo, vendere uno stock di aringhe o di scatolame era meno faticoso che scrivere un verso o dipingere un quadro. Perciò, se io mi rifiutavo di diventare un artista, era perché ero pigro oppure perché la società del benessere mi aveva fagocitato. A furia di dire e di insistere, successe che, una sera, mentre ero in attesa di una telefonata importante, che mi avrebbe permesso di guadagnare milioni, mi venne in mente un verso e cominciai a scrivere una poesia. Ci misi tanto entusiasmo, che quando il telefono suonò, non risposi. Il giorno dopo, lo raccontai a Mazi, e lei, felice, mi buttò le braccia al collo. Non tanto perché avevo cominciato a scrivere, quanto perché avevo perduto milioni. I miei versi non le dispiacquero affatto. Mi disse che se i miei versi fossero stati più socialmente impegnati sarebbero stati passabili. Incoraggiato, cominciai a trascurare i miei affari, per mettermi a scrivere. E Mazi cominciò ad invitare i suoi amici nel mio magazzino, per sentire i miei versi. Mentre si parlava di cultura, loro si facevano fuori i miei prosciutti… addentavano i miei formaggi e i miei salami… Io ero al settimo cielo. E Mazi era ancora più felice di me. In fondo aveva ragione lei: gli uccelli volano in alto e mica vendono aringhe. Perché gli uccelli devono essere più intelligenti di noi? Fu un periodo meraviglioso. Cominciavo a capire tante cose, che non avevo mai capito prima. Mi entusiasmava andarmene in giro a dimostrare per la pace, a vedere i negri ballare, i film d'avanguardia, a sentire conferenze impegnate… Cambiai il mio modo di vestire: niente più vestiti di flanella, camicia e cravatta, ma maglioni, camiciotti colorati, pantaloni di tela… Mi lasciai crescere i capelli e vendetti il mio guardaroba. Mazi mi era sempre accanto ad incoraggiarmi, orgogliosa. Però, il mio magazzino all'ingrosso, avendolo trascurato, andò a rotoli e io, pieno di debiti, fui costretto a chiuderlo. Fu un grosso sollievo. Ora che non lavoravo la mia giornata era così piena… Dormivo fino alle tre, alle quattro del pomeriggio… poi, cominciava la vita. Mazi mi preparava sempre dei programmi interessantissimi… i nostri amici venivano a trovarci… E, poi, le ore più interessanti della giornata, erano quelle che passavo, seduto alla mia scrivania, a scrivere versi, che mi riempivano di gioia. Anche se non ero ancora riuscito a raggiungere quella perfezione a cui tendevo, facevo progressi e rinchiudevo concetti importanti in versi melodiosi e sonori. Mazi diceva che, perseverando, un giorno avrei potuto affidare anch'io ai miei versi un messaggio per l'umanità. Ma dovevo maturarmi, prima, perché non ero ancora maturato abbastanza, avevo avuto una vita facile. Fu un bel periodo, quello. Una volta finimmo tutti in prigione, perché avevamo partecipato a una manifestazione non organizzata e reagito contro la polizia. Passammo la notte in guardina a cantare, a dire poesie… Quell'inverno, la notte, venivamo tutti qui nel mio magazzino a scaldarci… bruciavamo i mobili… le scansie… mangiavano i viveri rimasti. Ed eravamo spensierati, felici, proprio come gli uccelli del cielo: parlavamo di cultura… di come avremmo rivoluzionato il mondo… cambiato il sistema di cui ci sentivamo prigionieri… Mi pareva di essere tornato ragazzino e non avevo rimpianti per la vita che avevo lasciato. Quando all'alba, tutti se ne andavano, Mazi rimaneva. Le recitavo i miei versi, poi ci addormentavamo abbracciati nel sacco a pelo… All'improvviso gli amici diradarono. Coincise proprio col periodo in cui finirono i viveri del magazzino. E, subito dopo, scomparve anche Mazi. La cercai disperato, ma nessuno sapeva dirmi niente. Nessuno l'aveva più vista. Rimasi qui, solo, a lottare col freddo, i creditori, la fame, la malinconia… Ho pianto tutte le mie lacrime, sono arrivato all'orlo del suicidio. Poi, un giorno, Mazi ricomparve, completamente trasformata. Elegantissima, in visone, ingioiellata, i capelli in ordine… Non si lasciò nemmeno toccare con un dito. Mi disse che dovevo rispettarla, perché stava per sposarsi. Aveva conosciuto un grosso industriale e si era fidanzata con lui. La guardai sbalordito: «E io?» le dissi. Lei mi rispose che non capivo niente: lo faceva per me, perché io per maturarmi come poeta, avevo bisogno di soffrire. Per questo si sacrificava. Dovevo esserle grato; s'immolava a un matrimonio borghese perché io potessi avviarmi sui sentieri della poesia. E se ne andò. E io sono qui, che mi maturo nel dolore. Frequento i cine-club… dimostro per la pace… assisto a conferenze impegnate… ma a volte mi viene il sospetto di non essere fatto per questa vita… che forse, stavo meglio prima… Poi, mi consolo, pensando che, anche se nutro poco il corpo, non lascio più morire di fame il mio spirito… e che, soffrendo, mi maturo poeta… Non è da tutti sentirsi toccati dalla tentazione poetica…
FINE