La terza età

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NOME

    

            

                 La terza età

                      

                      (due conferenze improbabili)

                                                                                                                                        di:  Claudio Trionfi

                                                                            e-mail: claudiotrionfi@tiscali.it    

                                                                                           tel.:  347-7663764

                                       

                                        Prefazione al testo

Qualche tempo fa, sfogliando una ‘Settimana enigmistica’, all’interno della rubrica ‘Il piacere di saperlo’,ho letto che Aristotele nella ‘Poetica’ sostiene che una tragedia (ma noi oggi possiamo intendere qualsiasi testo drammaturgico) debba essere strutturata in modo tale che ‘l’impossibile verosimile sia da preferire al possibile incredibile’.

In una successiva ‘Settimana enigmistica’, nella rubrica ‘Non tutti sanno che…’ ho appreso che lo stesso Aristotele nel ‘De interpretatione’ definisce semantiche (in contrapposizione a quelle apofantiche) le proposizioni che non sono né vere né false.

Io, per tenermi a rispettosa equidistanza dai due assunti aristotelici, ho voluto definire questi miei due monologhetti: ‘conferenze improbabili’ perché i concetti enunciati dai conferenzieri, contravvenendo alla regola aristotelica sulla tragedia, non sono verosimili ma nemmeno impossibili; e comunque, a rigor di logica (aristotelica), per la loro ambiguità non sono né veri né falsi, quindi semantici.

Ma non voglio indugiare troppo su certi facili riferimenti filosofico-letterari, quasi ovvi per tutti coloro che come me si siano costruita una solida base culturale sulle pagine della ‘Settimana enigmistica’ (chi non ha letto almeno una volta nella vita la ‘Poetica’ e il ‘De interpretatione’ dello Stagirita?).

Ciò che invece mi preme esprimere attraverso questa generica, superficiale premessa è la speranza che i miei due personaggi, solo apparentemente paradossali, possano ingenerare una sorta di catarsi nell’animo e nella mente dei cosiddetti benpensanti i quali, velandosi e celandosi dietro comportamenti ed enunciati verbali apofantici, tranciano giudizi apofatici (per citare ancora l’Organon aristotelico), che negano cioè il diritto di esistere a chiunque pensi e agisca in modo non convenzionale e quindi diverso dal loro. 

In parole povere la mia vuol essere una critica agrodolce con intenti parenetici nei confronti della sparuta platea di ipocriti che si annidano e vorrebbero spadroneggiare all’interno della nostra sana, illuminata e democratica società e che si servono esclusivamente di quella che il Ciampa pirandelliano definirebbe ‘corda civile’, mal sopportando chi si permette di far uso della ‘corda seria’ e addirittura escludendo chi ardisce toccare la ‘corda pazza’.

P.S.          L’autore delle due irreali conferenze qui pubblicate non ha inteso far riferimento ad alcuna reale ‘Università della terza età’.

Buona lettura! 

                                  

                            Gli amici dell’uomo

                                                          (Donna - età: la terza)

Buona sera. Scusate, sono abbastanza emozionata; non mi capita spesso di parlare davanti a tanta gente. Anzi, forse questa è la prima volta. Ma in fondo qui mi sento un po’ come a casa mia. Sono iscritta a questa Università della terza età da quando è stata istituita. Perciò vi conosco quasi tutti e tutti mi conoscete. Quindi non c’è bisogno che mi presenti. La Direzione ha chiesto a chi voleva, di salire su questo palco per spiegare quali sono le cose che rendono o potrebbero rendere serena se non addirittura felice la nostra vita alla nostra età. Io ho trovato il coraggio di venire a parlarvi della mia esperienza perché penso che forse potrebbe aiutare anche qualcun altro a superare tante difficoltà che normalmente nascono quando si diventa anziani e specialmente quando si resta soli. Voi sapete che sono vedova da quasi vent’anni e che mio figlio purtroppo vive da un’altra parte. E se escludo questo appuntamento settimanale qui con voi o durante le gite che l’Università ogni tanto organizza, io passo intere giornate senza vedere mai nessuno: a casa, con i miei gattini preferiti, davanti alla televisione che per fortuna mi fa tanta compagnia. Anche quando vado in chiesa non è che ci trovi tanta gente perché siccome mi alzo abbastanza presto (verso le cinque e mezza, sei sono sempre in piedi), vado alla messa delle sette e a quell’ora non ci trovo anima viva; solo il sacerdote che deve dire messa senza nemmeno un chierichetto; in genere siamo io e lui e basta, nessun altro. Certe volte, quando è finita la messa, mi fermo in sacrestia a parlare col parroco e lui mi racconta dei problemi che ci sono nella nostra parrocchia con tutti i delinquenti che girano nel quartiere, questi extracomunitari che rubano, che spacciano droga e rovinano i nostri giovani. Allora mi sfogo anch’io e gli parlo delle mie paure quando sono chiusa in casa, anche se ho la porta blindata. Quando vado a dormire ogni piccolo rumore mi spaventa perché quelli non si fanno scrupoli, sanno come scassinare ogni serratura, anche le più sicure; e una volta dentro, non solo ti portano via tutto ma c’è il rischio che ti picchino o ti ammazzino proprio. A voi lo posso dire, perché non credo che abbiate contatti con quei teppisti clandestini, ma in casa, nascosta in un posto introvabile, ho una cassaforte dove tengo i gioielli e i soldi che mi servono per vivere tutto il mese. Ho paura di andare in banca perché ho sentito dire che quelli ti pedinano e poi ti aspettano fuori quando sanno che vai a prelevare o a versare. Per questo quando ci vado, una volta alla settimana, mi faccio accompagnare da una guardia del corpo armata. Certo, mi piacerebbe avere una pistola anche in casa, ma quando sono andata dai carabinieri per chiedere il porto d’armi, non si capisce perché, ma non me lo hanno voluto dare. Questa è l’Italia, signori miei, i delinquenti hanno tutte le armi che vogliono per fare tranquillamente le loro rapine e un onesto cittadino deve subire in silenzio senza avere il diritto di difendersi; e anzi, se un commerciante ammazza un ladro, finisce i suoi giorni in galera, com’è successo al mio povero figlio che come sapete sta scontando una pena di vent’anni per aver ammazzato un clandestino che gli aveva sfondato una vetrina del negozio, aveva rubato un giaccone di pura renna che valeva almeno mille euro e poi se l’era data a gambe. Ma dico io, dobbiamo farci mettere i piedi in testa da quella gentaccia? Se devono venire da noi per fare i delinquenti o gli spacciatori, o quando va bene, per rubare il lavoro ai nostri giovani, che se ne stiano al loro paese e cerchino di guadagnarsi il pane dalle parti loro. Ieri, uscendo dal supermercato dove ero andata a fare la spesa per me e per i miei gattini preferiti, c’era un negro, che solo a guardarlo faceva paura, seduto per terra col piattino per l’elemosina davanti che stava tranquillamente parlando al telefonino. E siccome quando ero entrata lui era sempre lì col telefonino incollato all’orecchio, quando l’ho rivisto all’uscita, siccome c’era un sacco di gente quindi non avevo paura, mi è venuto proprio spontaneo di dirgli che invece di spendere tutti i soldi delle elemosine per telefonare poteva darsi da fare per cercare un lavoro. Sapete che m’ha risposto quello lì? Che la tariffa che pagava era bassissima e che stava parlando con sua moglie e coi suoi figli in non mi ricordo quale paese africano. Avete capito? Vengono qui a fare i parassiti, a campare alle nostre spalle, perché c’è sempre qualche bonaccione dall’animo tenero che gli dà cinquanta centesimi, un euro; e intanto lasciano la famiglia, la moglie e i figli, a fare la fame nel loro paese. Questa è gentaccia senza scrupoli, ve lo dico io; non hanno voglia di far niente; oppure vanno a rubare, si sbronzano, si drogano, e intanto le loro famiglie muoiono di fame. Che vergogna, signori miei, che vergogna! E i nostri governanti non fanno niente per risolvere questa situazione. Io non sono razzista, sia ben chiaro, per me tutti gli uomini sono creature del Signore, ma c’è un limite a tutto, non credete? Mi sembra di capire che su questo siamo tutti d’accordo. (una breve scampanellata di sollecito) Comunque, basta parlare di questa teppaglia, tanto noi, purtroppo non possiamo risolvere il problema. Voglio tornare invece all’argomento che ci interessa. Volete sapere qual è la cosa che mi rende felice e che suggerisco a tutti voi? E’ un’opera di carità. Io ogni mattina, quando torno dalla santa messa, salgo in casa e preparo la pappa per tutti i gatti randagi che mi aspettano all’angolo della strada. Dovreste vederli quando mi vedono uscire dal portone! Fanno una tenerezza da spezzare il cuore. Tutte quelle povere bestiole (saranno una decina) mi vengono incontro miagolando perché sanno che sto portando loro da mangiare. Io in genere mi preparo il pranzo e la cena in modo abbondante, così quello che mi avanza, carne, pesce, verdure, anche i dolci qualche volta, lo mischio a un bel po’ di pane rappreso imbevuto di latte e faccio un gran pappone destinato ai miei amichetti di strada (li chiamo così). I miei gattini preferiti, quelli che vivono in casa con me (ne ho sette), ovviamente non mangiano la stessa roba; per loro compro le crocchette con vitamine, diverse a seconda del peso e della vitalità che hanno. Ma i miei amichetti di strada sono felici di mangiare il pappone che ho preparato per loro. E non potete immaginare come sono felice io quando li vedo arrivare tutti festosi. Porto giù cinque ciotole e le riempio di cibo poi le metto a terra così loro possono scegliersi la ciotola che vogliono e non litigare per guadagnarsi la loro parte. Non potete nemmeno immaginare la felicità che provo ogni mattina quando me li vedo arrivare saltellando e miagolando come fossero quei bambini che circondavano Nostro Signore e che lui accoglieva a braccia aperte. ‘Lasciate che i fanciulli vengano a me’, ve lo ricordate? Una mattina, dopo che il parroco aveva letto questa frase del vangelo, sono andata in sacrestia e gli ho parlato dei miei amici gatti e lui si è complimentato con me e mi ha detto che l’altruismo e la generosità verso i più deboli e bisognosi, uomini o animali che siano, sono la chiave più sicura per aprire le porte del Paradiso. Certo, i miei preferiti sono un’altra cosa; loro sono come parte della mia famiglia, quindi per loro provo amore, un vero amore; non è che mi sembra di fare un opera di bene quando scelgo per loro le crocchette più sane e ricostituenti oppure quando li porto a fare le vaccinazioni, perché per me sono come dei figli e quindi è naturale, è giusto che abbiano tutte le mie attenzioni. Sapete come li ho chiamati i miei bambini? Era una cucciolata di sette e li ho adottati tutti. Ora vi faccio ridere: Brontolo, Cucciolo, Dotto, Eolo, Gongolo, Mammolo e Pisolo; come i sette nani e io mi sento la loro mamma Biancaneve. Ho qui, nel mio tablet, tutte le loro foto. Sono uno più bello dell’altro. Mi piacerebbe mostrarveli ma capisco che ora è un po’ complicato. Magari dopo, all’uscita, chi vuole me lo può chiedere. Non sapete la felicità che mi danno quei sette discoli; riempiono la casa di allegria; ne combinano di tutti i colori, mi hanno distrutto il divano e i tappeti; ma mi fanno una compagnia che nessun umano potrebbe farmi. Quando c’era ancora il mio povero marito non potevo tenere bestie in casa perché lui diceva di essere allergico a tutti gli animali. Appena è morto mi sono dispiaciuta, certo, però la mia vita è cambiata da così a così perché per quanto bene gli potessi volere, lui pensava solo agli affari, al negozio; la famiglia, cioè io e nostro figlio, era come se non esistesse. Io invece avevo bisogno di dare il mio amore a qualcuno e siccome lui non lo voleva e mio figlio lo avevamo messo a convitto in un buon collegio perché stava crescendo maluccio, diciamo che era un po’ ribelle; io volevo almeno una bestiola in casa che mi facesse compagnia e alla quale mi potessi affezionare. Così, quando è morto lui finalmente ho potuto cominciare a liberare tutto l’amore che avevo dentro e che non potevo esprimere. Anche mio figlio, quando tornava a casa per le vacanze di Natale o durante l’estate, sentiva di non essere solo perché io gli facevo sempre trovare o un cane, o un gattino, un canarino, un pappagallo. Una volta mi ha chiesto una scimmia e io per farlo contento ho comprato una bertuccia che però è morta dopo qualche mese; per fortuna perché a dire la verità mi faceva un po’ impressione quando la guardavo in faccia: mi sembrava di vedere un essere umano, non un animale innocente. (due scampanellate) Comunque, siccome mi fanno cenno che il tempo a mia disposizione sta scadendo, volevo ritornare al nostro argomento. Se volete provare una vera, autentica felicità, io vi consiglio di dedicarvi all’assistenza dei poveri gatti randagi che hanno tanto bisogno del nostro aiuto perché come ho detto sono anche loro figli di Dio e sono abbandonati a se stessi e spesso maltrattati o addirittura uccisi; quanti se ne trovano in mezzo alla strada schiacciati da qualche automobilista mascalzone che li investe e prosegue senza nemmeno fermarsi per dar loro soccorso. Per non parlare di quelli che si divertono a torturarli senza motivo, solo per il gusto sadico di fare del male a delle povere creature indifese. Una volta, uscendo dalla chiesa, ho visto un gruppo di ragazzini, saranno stati cinque o sei, sicuramente figli di clandestini perché mi pareva che parlassero un’altra lingua, che avevano legato alla coda di un povero gattino una corda con in fondo un petardo che hanno acceso e poi lo hanno lasciato andare. Dovevate vedere quella bestiola come saltava per lo spavento. Io sono corsa in sacrestia per avvertire il parroco il quale è venuto fuori con me e ha rimproverato molto blandamente quei teppisti. Io gli ho detto che era stato troppo buono, e sapete cosa mi ha risposto lui? ‘Anche io, signora, alla loro età facevo le stesse cose’. Avete capito? Un prete che dice una frase del genere! Anche mio figlio da ragazzino le faceva; ma proprio per questo lo abbiamo mandato in collegio, perché imparasse a vivere e a rispettare le povere bestie indifese che sono creature di Dio come gli esseri umani. Questa è la nostra società, signori. Ormai non si può più fare affidamento su nessuno, nemmeno sui preti. Mi era venuta voglia di non fare più il versamento annuale alla parrocchia (che detto tra noi è una bella cifretta; non dico quanto perché non voglio vantarmi ma insomma è una cifra a tre zeri; non so se mi spiego). Poi alla fine mi sono calmata e la mia offerta continuo a farla. Anche perché una parte dei soldi ho chiesto che vengano spesi per un cero al giorno davanti a uno degli altari laterali della chiesa che è dedicato, indovinate a chi? A San Bernardo, che non so bene che santo sia ma il nome mi fa venire in mente i cani san bernardo che a me fanno una tenerezza incredibile. Ce li avete presenti? Quei cagnoni bianchi, con quel bel pelo lungo, tanto mansueti e amici dell’uomo. Quando ne vedo uno per strada mi viene voglia di abbracciarlo e di sbaciucchiarmelo tutto. Certo, dipende sempre da chi è il padrone, perché l’altro ieri, per esempio, sempre all’uscita del supermercato, ne ho visto uno tutto sporco, spelacchiato, denutrito, forse pure malato che se ne stava accovacciato buono buono al fianco di un cieco, o magari finto cieco, che chiedeva l’elemosina. Mi ha fatto una pena incredibile. Davanti a certe crudeltà io non resisto; allora mi sono rivolta al pezzente e gli ho detto che non era quello il modo di trattare una povera bestia, che si doveva vergognare. Mi ha risposto in italiano; ma non è che per questo mi sia calmata, sia ben chiaro, perché per me non è questione di razza; ve l’ho detto, io non sono razzista; uno può essere nero, giallo, bianco, non fa differenza; è il modo come ci si comporta quello che conta. E non si può tenere un cane in quel modo, solo per fare più compassione e sperare di guadagnare di più. Sapete che mi ha risposto quello lì? Che il cane gli era d’aiuto per camminare e che quando andava a mangiare alla mensa dei poveri gli dava sempre una parte del suo cibo. Ma io dico, un cagnone così che avrà bisogno di almeno mezzo chilo di carne al giorno, tu gli dai gli avanzi del tuo pasto che tra l’altro non sarà certo un granché visto che vai a mangiare alla mensa dei poveri. No, no, proprio non c’è più carità; non c’è più rispetto per gli animali che sono nostri fratelli. Io ai miei amichetti randagi non faccio mai mancare nulla; ogni mattina scendo per portargli da mangiare; e i miei avanzi, se permettete, non sono quelli della mensa dei poveri; io mangio fettine di vitello, pesce fresco, petti di pollo, e non polli d’allevamento, compro polli veri, ruspanti. Queste cose le ho dette tutte in faccia a quel barbone, non è che gliele ho mandate a dire. E sapete che mi ha risposto quell’individuo ignobile con un ghigno stampato sul muso che lo avrei preso a schiaffi? ‘Lei pensa ai suoi gatti e al mio cane; ma al pollo, al vitello, al pesce che si mangia non ci pensa?’ Ma voi capite a che livello di bassezza, di falsità si può arrivare?! Mettere una bestia che per sua natura è destinata ad essere mangiata dall’uomo, sullo stesso piano di un cane, un gatto, una bestiola che ti riempie la vita di amore disinteressato! No, no, signori, non c’è più religione. Allora che dovrei fare del mio negozio? ditemelo voi. Siccome ho la più prestigiosa pelletteria della città dove vengono le persone più facoltose a comprare pellicce di visone, giacche di renna, portafogli o borsette di coccodrillo, dovrei sbaraccare tutto e ritirarmi dal commercio? A parte che la pelle è molto più ecologica della plastica o di certi materiali sintetici che inquinano l’aria e non sono biodegradabili. Ma poi è dal tempo degli uomini delle caverne che ammazziamo certi animali per mangiarceli o per scuoiarli e servirci delle loro pelli! Vorrà dire qualcosa, no? Significa che è nella natura dell’uomo uccidere per la sopravvivenza. Vogliamo andare contro natura? Non lo so, ditemelo voi. La lotta per la sopravvivenza c’è sempre stata: se tu cerchi di uccidermi, io, se posso, uccido prima te. E’ quello che è successo a quel poveraccio di mio figlio che come vi ho detto sta marcendo in galera solo perché ha tentato di recuperare una cosa sua che un mascalzone voleva rubargli. Da quando è successo il fattaccio io non sono più riuscita ad andare a lavorare in negozio; non so, ma mi prende una paura incontrollabile quando entro là dentro; come se mi aspettassi che da un momento all’altro entrasse un ladro e mi portasse via tutte le pellicce e le borse che ci sono. E’ stata l’unica volta che abbiamo subìto un furto da quando i miei genitori, una sessantina di anni fa, io ero ancora una bambina, avevano aperto il negozio. Ora ci ho messo a lavorare tre commesse e una cassiera. Io ci vado soltanto la sera all’ora di chiusura per ritirare l’incasso che mi porto a casa, lo chiudo in cassaforte e una volta alla settimana, come vi ho detto, vado a depositarlo in banca accompagnata da un vigilante armato. Certo, quando ci lavoravo io con mio figlio le spese erano inferiori, si guadagnava di più, ma è meglio vivere con qualche decina di migliaia di euro in meno all’anno piuttosto che rovinarsi l’esistenza. Comunque non è che adesso mi lamenti, quello che ricavo dal negozio mi basta e avanza; anche perché, detto tra noi, il mio commercialista, che non è l’ultimo arrivato, è uno che il suo mestiere lo conosce, mi ha assicurato che posso tranquillamente evadere un bel po’ di tasse, ché tanto poi ci pensa lui a risolvere la questione con il Fisco che sta lì solo per tartassare noi poveri stupidi contribuenti onesti e i veri evasori neanche li vede. Io per esempio una bella parte dello stipendio delle mie dipendenti la pago in nero. Tanto, se non accettano, con la crisi che stiamo vivendo, ragazze in cerca di lavoro se ne trovano a ogni angolo di strada. Tutte italiane, ben inteso. Io le straniere neanche le prendo in considerazione. Non per razzismo; ve l’ho detto, io non ho niente contro le straniere, ma perché mi sembra giusto far lavorare le italiane per un senso di patriottismo, di solidarietà umana. A parte che le negre chissà quali malattie ci possono portare. Non so se sapete che in Italia sta ritornando la tubercolosi che avevamo debellato da tempo e che ora con queste ondate di clandestini africani, sporchi, malaticci, sta di nuovo dilagando, come quell’altra orrenda malattia di negri e omosessuali, come si chiama? la diesse. Comunque le straniere è sempre meglio evitarle. Non so con che coraggio certa gente si mette in casa delle polacche, delle filippine che magari provano pure ad abbindolare i vecchi babbei per farsi sposare e poi gli portano via tutto. No, no, meglio le italiane, almeno sai chi sono, da dove vengono. Io mi ricordo cinquanta, sessant’anni fa, quando ero ancora una ragazzina, le serve erano tutte italiane, non c’era questa mania delle straniere. E non è che allora costassero più di queste badanti biondone che hanno pure delle pretese di contributi, di ferie pagate e si fanno dare sei, settecento euro al mese. A quel tempo le signore si facevano arrivare le serve dal Veneto, dal Friuli; meno dal sud. Le terrone, come allora si chiamavano, vi ricordate? erano più sporche, più trasandate, puzzicchiavano anche un po’, e poi molte erano delle poco di buono. Ma le venete, le friulane specialmente, mi ricordo che erano delle ragazzotte semplici, servizievoli, educate, anche quelle che venivano dalla campagna. Mia madre, quando cercava una serva, si rivolgeva a un prete veneto che conosceva e quello dopo pochi giorni ce ne faceva arrivare una con le caratteristiche che lei gli aveva chiesto. Non c’è stato quasi mai problema. Solo due volte la cosa non aveva funzionato. La prima perché dopo qualche mese di servizio una sporcacciona si era fatta trovare da mia madre mezza nuda tra le braccia di mio padre. E’ stata subito rispedita al suo paesello. Il prete si è scusato mille volte e quella spudorata sarà finita sulla strada a fare l’unico mestiere che poteva fare. Mio padre per far tornare la calma in casa ha dovuto prendere una delle più costose pellicce dal negozio e regalarla a mia madre. Ma quello è stato un caso. Non si può pretendere che tutte siano delle sante; qualche femmina di malaffare si trova sempre, anche tra le italiane. La seconda volta che abbiamo cacciato una serva è stato perché l’ho voluto io. Avevo quindici anni e siccome ho sempre amato gli animali, fin da bambina, i miei mi avevano comprato un cagnolino, un maltese; sapete quei cagnetti che sembrano dei barboncini ma sono bianchi. Gli volevo un bene dell’anima, anche se era piuttosto aggressivo e ogni tanto mi mordeva. Una volta, ha azzannato il polpaccio della ragazza che stava a nostro servizio e quella gli ha dato una scrollata sbattendolo contro la parete; e il poverino ha guaito per mezz’ora. Tutto mi si poteva fare ma non maltrattare il mio Mickey Mouse, lo avevo chiamato così. Non ci ho visto più e ho detto a mia madre che quella doveva sparire da casa nostra e lei per farmi contenta l’ha licenziata in tronco. Ma si può prendere a calci un cagnetto solo perché ti ha azzannato una gamba? Ditemi voi se è umanità questa! (tre scampanellate) Ecco, ecco, ho finito. Scusate, mi sono un po’ dilungata. Mi fanno cenno che ho superato i dieci minuti che avevo a disposizione per parlarvi di come si può trovare la felicità anche se si è anziani e soli al mondo. Vi ho spiegato la mia ricetta: tanta fede in Nostro Signore, e soprattutto un immenso amore per gli animali che sanno ricambiarlo con gli interessi. E poi viene tutto il resto: i soldi, le amicizie (che sono quasi sempre interessate), la televisione. Ecco, forse la televisione può essere considerata una buona amica. Io ho fatto l’abbonamento a Sky così riesco a vedermi un sacco di documentari stupendi sugli animali di tutte le specie: pesci, uccelli, serpenti. Ma quello che mi riempie il cuore di felicità è quando vedo i miei sette nanetti che mi si accovacciano sulle gambe o si mettono buoni buoni ai miei piedi e guardano con tanta attenzione insieme a me i documentari che raccontano le storie dei loro fratelli selvaggi; o vedere la faccia dispiaciuta che fanno quando magari vengono trasmesse immagini di violenza verso altre bestiole come loro. Vi assicuro che è commovente guardare l’espressione di quei faccini addolorati; diventano mogi mogi e sembra che vogliano piangere. Se avete un gatto o un cane in casa, fate la prova, fategli vedere un bel documentario sugli animali e poi mi direte se non sono più umani loro di tanti uomini cosiddetti civili. (tre scampanellate spazientite) Sì, sì, ho finito, ho finito. Ma prima di lasciare il palco voglio concludere svelandovi il sogno della mia vita che solo a pensarlo faccio i salti di gioia e che si avvererà dopo la mia morte. Quindi, vi sembrerà assurdo ma non vedo l’ora di morire perché allora finalmente si realizzerà: Ho scritto nel testamento che tutto il mio patrimonio dovrà essere impiegato per la costruzione di un ostello per gatti e cani randagi; tanto non ho nessuno a cui lasciare i miei beni, a parte mio figlio che in galera non se ne farebbe niente. L’ostello dovrà essere come un albergo a cinque stelle con tanto di ambulatorio veterinario, medici e infermiere, cucina con cuochi di prim’ordine e parco divertimenti di almeno un ettaro per le bestiole ospitate. Ho già preso contatti con un’agenzia immobiliare e credo di essere a buon punto per quanto riguarda l’identificazione del sito. Aiutate e amate gli animali come li amo io e vi assicuro che sarete felici per il resto della vostra vita e anche oltre, se rispetterete le leggi del buon Dio. Adesso penso che la Direzione vorrà concedere cinque minuti a chi vuole andare a fumarsi una sigaretta e poi ascolteremo con interesse chi verrà a parlare dopo di me. Ma sono certa che nessuno riuscirà a convincermi che possa esistere una ricetta per essere felici migliore della mia. Ringrazio tutti voi che mi avete ascoltato e mi scuso con quelli che eventualmente si sono annoiati o che non condividono le mie idee. Viva gli animali, viva l’amore, viva la solidarietà con chi ci vuole veramente bene.

                                                       

                                                           

                                                            L’ascensore

                                       (Uomo - età: la terza)

                                         

Buona sera; buona sera a tutti. Rivolgo innanzitutto un affettuoso saluto a voi, carissime amiche e carissimi amici che dividete con me il grande piacere di partecipare ai corsi di questa splendida Università della Terza Età. Ma permettetemi di rivolgere anche un deferente ossequio, so che è in sala, al rappresentante del nostro generoso Comune che sostiene l’Università con assiduo impegno, non solo finanziario ma anche e soprattutto direi, civico e morale, dimostrando sensibilità e attenzione alle esigenze dei suoi cittadini senza distinzione di età, di sesso, di condizione sociale. Grazie! Grazie a nome di tutti noi! Dunque, chi mi conosce sa che non sono un gran parlatore. Mia moglie, in modo scherzoso, mi rimprovera sempre perché dice che deve strapparmi le parole di bocca con le pinze. Ma d’altra parte qui pochi tra voi mi conoscono perché, nonostante non sia mai mancato a una lezione e abbia sempre partecipato a tutte le attività culturali e alle gite organizzate dalla Direzione, io sono per carattere piuttosto schivo, riservato e quindi preferisco tenermi un po’ in disparte e condividere l’entusiasmo di questa nostra affiatata comunità più come osservatore che come partecipe attivo. Ma questa volta ho deciso di forzare il mio carattere e di aderire anch’io alla stimolante iniziativa presa dalla Direzione di concedere a chiunque ne abbia fatto richiesta una decina di minuti per spiegare se oggi, nonostante la nostra età non più verde, possa esistere ancora qualcosa che riesca a entusiasmarci e a rendere più bella e apprezzabile la vita. Ho seguito con attenzione gli interventi di chi mi ha preceduto su questo palco, e anche se molte delle tesi che ho ascoltato non rispecchiano precisamente gli interessi che potrebbero rendere più gradevole la mia vita, devo dire di aver apprezzato la sincerità con cui tutti hanno esposto le proprie idee. E’ ovvio che ognuno di noi ha un’educazione, un retroterra culturale, una posizione economica e sociale diversa e quindi diverse sono le necessità e le aspettative. E’ rispettabilissimo per esempio, anche se io non lo condivido affatto, il sogno del primo signore che ha parlato, di vedere la propria squadra di calcio in cima alla classifica; ed è comprensibile che sarebbe per lui una immensa gioia se la squadra vincesse il campionato ogni anno. E’ altrettanto comprensibile, ma ugualmente non condivisibile da me, sia ben chiaro, che per la gentile signora che ha parlato prima di me, che peraltro ha detto alcune cose molto giuste, il più grande o addirittura, se non ho capito male, l’unico motivo di felicità per lei sia l’accorrere festante dei gatti di strada quando porta loro da mangiare. E cosa ancora più astrusa, ma assolutamente legittima, beninteso, è che il suo massimo sogno sarebbe quello di costruire una specie di albergo a cinque stelle per gatti e cani randagi e trovare così un senso nel complessivo grigiore della sua esistenza; senza offesa. Se poi qualcuno, come il signore che ha parlato prima della signora, volesse venire a dirci che il modo migliore per arricchire la nostra vecchiaia è quello di tenere in esercizio la mente attraverso la lettura e lo studio, anche a lui nessuno potrebbe obiettare che a modo suo non abbia ragione; si legga pure tutti i libri che vuole, diventi l’uomo più colto del mondo, ma per favore non pretenda di convincerci che la felicità può nascere da quattro nozioni imparate a memoria. Bene, ora, se permettete, vi dico qual è la mia posizione. Io credo che se non riusciamo ad appagare i bisogni sensoriali, che la natura ci suggerisce, non quelli chiamiamoli intellettual-sentimentali, che sono posticce imposizioni della nostra società, non potremo mai sapere neanche lontanamente che cosa significhi gioia di vivere. (una scampanellata) Bene, fatta questa rapida ma necessaria premessa, (mi dicono di accelerare perché il tempo a mia disposizione non è ancora molto) è il mio turno di spiegare a questa rispettabile ma, diciamocelo pure, eterogenea associazione qual è secondo me l’obiettivo da raggiungere se si vuole rendere la vita accettabile e anzi piacevole anche alla nostra veneranda età. Io proprio oggi compio 70 anni e francamente, al contrario di molti di voi, se devo giudicare dal vostro aspetto un po’ dimesso, mi sento in piena forma, ho l’energia vitale di un giovanotto, anzi superiore a quella di molti giovanotti. Mio figlio per esempio, ragazzo straordinario, laureato in Scienza delle Comunicazioni, lavora in un giornale regionale importante, mi dice sempre che alla mia età dovrei tirare i remi in barca, dovrei pensare a fare il nonno piuttosto che andare alla continua ricerca di stimoli egoistici e addirittura pericolosi per la mia salute. Io gli rispondo ridendo che parla per invidia, per frustrazione, perché lui e sua moglie, una donnina deliziosa, non possono godersi nessuna gioia nella vita per via del lavoro e dei figli; hanno due splendide creature di 7 e 9 anni che mi vogliono un bene dell’anima e anch’io sono affezionatissimo a loro. A mio figlio, dicevo, rispondo che loro sono vecchi dentro, che non si rendono conto, come quasi tutti voi immagino, che la vita non è altro che un rapido passaggio da un nulla a un altro nulla e che se non la si riempie di cose piacevoli si riduce ad essere  un nulla di congiunzione tra i due nulla che la contengono. No, signori miei, non dobbiamo dare ascolto ai consigli interessati di chi vorrebbe ridurci a inutili rifiuti da gettare in un ospizio per i meno abbienti, come molti di voi suppongo; senza offesa; o tuttalpiù a squallidi baby-sitter di lusso, come me, che dovrebbero far scorrazzare i nipotini nel loro parco privato. Chi mi conosce sa che tutto quello che mi sono guadagnato nella vita, e non è poco ve l’assicuro. Non per vantarmi ma scommetto che qua dentro la somma dei redditi di tutti voi, non raggiunge nemmeno la metà dei miei (chiusa parentesi). Chi mi conosce, dicevo, sa che quello che mi sono guadagnato è frutto della mia voglia di vivere e di godermi la vita fino all’ultimo dei miei giorni, alla faccia di chi vorrebbe impedirmelo. Ma perché vi ho detto queste cose? Da dove ero partito? Ah, sì, mio figlio. Ecco, mio figlio che è, come vi ho detto un ragazzo straordinario, lavoratore, buon padre di famiglia, a 40 anni suonati quanti ne ha, a me sembra un automa, non ha nessuno stimolo, tutte le giornate programmate, una uguale all’altra: lavoro, famiglia, televisione, al massimo una settimana di vacanza d’estate. No, no, per me il settantenne è lui, non io! Io, ve l’ho detto, mi sento un giovanotto; ma non ora che sono anziano e che quindi non ho più l’assillo del lavoro o della famiglia, no; chi mi conosce sa che sono sempre stato così, che ho sempre avuto voglia di vivere, di divertirmi. A guardare le vostre facce, mi pare di capire che anche voi la pensiate come mio figlio; evidentemente la vostra esistenza è stata amorfa e priva di senso come la sua; senza offesa. Ma la cosa triste è che anche adesso che siete vecchi, e molti di voi pure malandati, non vi sognate nemmeno lontanamente di fare un esame di coscienza, un mea culpa, e non vi rendete conto, forse anche in buona fede, di aver schiacciato sotto la suola delle scarpe uno scrigno pieno di perle preziose come dovrebbe essere la vita. Anche mia moglie, donna straordinaria sotto tanti aspetti, anche lei come suo figlio è scialba, priva di vita interiore, pensa solo alle apparenze, ai bei vestiti, ai bei gioielli, come se un rubino o uno smeraldo al dito avessero il potere di rendere le sue mani meno grinzose. Il fatto è che i soldi, se non li sai usare, se non li spendi per arricchirti di sempre nuove esperienze, ti possono rovinare, nel senso che ti inaridiscono, ti confondono la mente al punto che una persona può diventare, per paradosso, lei stessa un oggetto al pari di quelli che può acquistare coi suoi quattrini. Voi, a quanto mi pare di capire, per vostra fortuna non avete questo tipo di problemi; non vedo brillanti alle dita delle signore qui presenti o orologi d’oro ai polsi dei signori. Ma sono convinto che anche se non foste dei modesti pensionati o dei semplici impiegatucci, come mi sembra che in maggioranza siate, senza offesa, anche se aveste la disponibilità finanziaria che ho io, quasi tutti, per non dire tutti, la pensereste come quei due, come mia moglie e mio figlio: voi, care signore, vorreste una pelliccia di visone come se il decoroso cappotto che indossate non vi riscaldi come e forse più della pelliccia; mentre voi cari signori vorreste un’automobile super-accessoriata per andare al bar dietro l’angolo, o allo stadio, come il tizio che ha parlato prima. Non parliamo di quelli, come il gran sapientone che avete sentito, che solo per dimostrare quanto sono colti e intelligenti leggono libri su libri, imparano tutta la Divina Commedia a memoria e poi non sanno esprimere un giudizio sensato su cosa significa vivere, godersi la vita. L’importante è apparire, non essere. Che pena, signori miei! Che pena mi fate! Andatevene pure a fare acquisti in quei cosi, come si chiamano? in quei ‘centri commerciali’ e riempitevi casa di oggetti inutili che servono soltanto a farvi sentire parte integrante di questa società che per apparire felice nel suo complesso, vi obbliga a rinunciare alla vostra individuale felicità. Chi mi conosce sa che io ho sempre pensato prima di tutti a me stesso; e alla mia famiglia, è ovvio; sono quarant’anni che mantengo nel lusso mia moglie che giustamente ha sempre cercato di assecondare i miei desideri anche quando non li condivideva. Oh, sia ben chiaro, non è che penso che lo faccia per interesse, no, ma perché sa che il dovere di ogni buona moglie è quello di stare al fianco del marito e di rispettare le sue idee e le sue scelte. Do un cospicuo aiuto anche a mio figlio, che pure si sta costruendo la sua strada con tenacia e determinazione; e anche lui mi dimostra la giusta riconoscenza accettando tranquillamente tutto quello che gli passo senza però chiedere mai nulla. No, no, è proprio un bravo ragazzo, se di ragazzo si può ancora parlare a quarant’anni. (due scampanellate) Sì, sì, ha ragione, vengo al dunque. Mi fanno cenno di stringere. Dunque, mie care amiche e miei cari amici della terza età, ora vi dirò in poche parole, in modo sintetico come è mio solito fare, qual è la scoperta che ho fatto e che sta rendendo la mia vecchiaia il periodo più bello che abbia mai vissuto. Sicuramente molti di voi disapproveranno quello che mi sentiranno dire per due motivi ben precisi: primo perché, come ho detto, ognuno è libero di cercare e magari di trovare motivi di felicità dove gli pare, anche in cose volgari o ridicole o banali tipo appunto la squadra di calcio o i gatti randagi o la Divina Commedia; e quelli sicuramente non condivideranno le mie scelte. E secondo perché nessuno ha mai il coraggio di dire apertamente quello che pensa; siete tutti dei sepolcri imbiancati, come ha detto non mi ricordo chi; vi nascondete tutti dietro un perbenismo, un moralismo che mi fanno venire la nausea. Oh, scusate, ma non è che ce l’ho con voi, sia ben chiaro; io parlo così, in generale, della nostra società. Chi mi conosce sa che non è mia abitudine criticare il comportamento degli altri, anche perché i fatti degli altri mi interessano pochissimo, a meno che non interferiscano con la mia vita, perché allora sono pronto a tutto pur di non farmi pestare i piedi. Ma basta, basta; veniamo al tema della nostra conferenza. Ora cercherò di spiegarvi in poche parole, in maniera sintetica qual è la cosa che sta rendendo stupenda la mia vecchiaia. Userò inizialmente una metafora perché se ve lo dicessi così a bruciapelo, conoscendo i miei polli, sono sicuro che rimarreste traumatizzati e molti di voi uscirebbero dalla sala indignati e scandalizzati. Dunque, ecco la metafora: immaginate di avere a vostra disposizione, per tutta la vita, un attico stupendo che affaccia sulla piazza più bella d’Italia, diciamo piazza Navona a Roma, o dove volete voi. Quando state là dentro siete felici. Ma immaginate che quest’attico sia al quinto, al sesto piano di un palazzo senza ascensore. A vent’anni per arrivarci fate le scale di corsa salendo i gradini a due a due. A trenta continuate a salire di corsa ma fate i gradini a uno a uno. A quarant’anni non correte più ma salite a passo normale. A cinquant’anni al terzo o al quarto pianerottolo vi fermate per riprendere fiato, ma comunque continuate a non vedere l’ora di entrare nel vostro stupendo attico. A sessant’anni siete costretti a fermarvi su tutti i pianerottoli; ma quando siete arrivati in cima, con il fiatone, vi ricoglie l’estasi di stare in quel luogo paradisiaco. A settant’anni purtroppo non ce la fate più a salire quelle scale maledette che vi separano dal vostro attico che continuate ad amare come quando avevate vent’anni e che in teoria è sempre là a vostra disposizione ma che per una inesorabile legge di natura non potrete mai più raggiungere. E’ triste, no? Bene, ora immaginate che un bel giorno qualcuno decida di installare in quel palazzo un ascensore e che quindi possiate salire senza nessuna fatica a qualunque età. La vostra vita tornerà a sorridervi come quando avevate vent’anni. O sbaglio? Bene, signori, io sono tornato a sorridere perché finalmente c’è un ascensore in grado di portarmi quando voglio lassù, in quel luogo più bello del mondo. E vi assicuro che ormai passo più tempo là dentro che in qualunque altra parte. Mi spiace doverlo riconoscere, ma ho preso a trascurare anche mia moglie, la famiglia, la fabbrica che peraltro può andare avanti benissimo senza di me, e anche se fallisse non me ne importerebbe un fico secco perché sono abbastanza ricco da potermi permettere fino all’ultimo giorno di abbandonarmi anima e corpo al gusto di starmene chiuso nel mio attico. Se mia moglie non ha voglia di venirci, sono fatti suoi; peggio per lei. Voi che ne dite, signori? Siate sinceri, rinuncereste al vostro attico se vostra moglie, o voi signore, se vostro marito non volesse salire? (tre scampanellate nervosette) Ma sì, sì, un attimo. Che fretta! Sto parlando neanche da cinque minuti. Datemi il tempo di spiegare a questa gente dove li voglio portare; di fargli capire che anche loro potrebbero, anzi dovrebbero, usufruire di quell’attico. Ne va di un rimasuglio di felicità per questi poveracci che muoiono senza aver conosciuto nella vita altro che fatiche, frustrazioni, umiliazioni. Io posso andarmene anche subito se volete, non c’è problema; basta che mi si dica che il tempo a mia disposizione è scaduto e saluto questo gentile pubblico e me ne vado di corsa nel mio attico dove non vedo l’ora di tornare. Tra l’altro, come vi ho detto, oggi è il mio compleanno e siccome in famiglia nessuno se lo ricorda o peggio, nessuno se lo vuole ricordare, ho deciso di andare a festeggiare lassù, al metaforico sesto piano, alla faccia di mia moglie e di mio figlio che si rodono il fegato ogni volta che mi vedono prendere l’ascensore. Allora, che devo fare? me ne vado o vi interessa sapere il significato vero della metafora che vi ho raccontato? Dal vostro silenzio mi pare di capire che posso continuare. Bene, la rigida, intransigente Direzione mi concede gentilmente  ancora qualche minuto per spiegare a questa gente che cosa sono in concreto quell’attico e quell’ascensore? (due rapide, nervose scampanellate) Grazie, molto gentili! Dunque, care amiche anzianotte e cari amici anzianotti reggetevi forte alle vostre sedie, allacciate le cinture di sicurezza, perché molti di voi stramazzeranno al suolo quando avranno sentito qual è secondo me la principale fonte di piacere in questa vita, per tutti, maschi e femmine, a qualsiasi età. Chi mi conosce sa che quando parlo non uso mai parole scurrili; non mi piacciono le volgarità. Quindi per usare un linguaggio accettabile da chiunque anche dai minorenni, ma qui non si corre questo rischio, vi comunico che per me il massimo del godimento a questo mondo è il rapporto sessuale. Sento già dei mormorii. Se pensassi di trovarmi di fronte a gente un po’ più emancipata di quella che mi sembra di intravedere in questa sala, avrei detto che il massimo della goduria è una sana scopata; ma già solo al termine quasi scientifico di ‘rapporto sessuale’ a qualcuno si sono rizzati i capelli in testa; figuriamoci se avessi parlato di scopate. Comunque, per tornare alla nostra metafora, fate conto che il famoso attico a Piazza Navona sia il rapporto sessuale, la scopata, per chi non si scandalizza; e chi si scandalizza può pure girare i tacchi e uscire dalla sala perché devo ancora parlare dell’ascensore che è l’elemento più importante per me e per tutti i vecchi rincoglioniti che vorrebbero seguire le mie orme. Dunque, avete presenti quelle pillole azzurrine che si vendono in farmacia in confezioni da due o da quattro e il cui effetto benefico può durare fino a 36 ore e che ormai sono conosciute universalmente col nome di Viagra? Bene, signori, il Viagra è l’ascensore che ha ridato fiato alle mie trombe e che mi permette di trombare dove, quando e con chi mi pare. Vedo che la nostra amica gattara sta lasciando la sala. Forse l’ho scandalizzata! O magari vuole correre in farmacia a comprare le pillole magiche da offrire a qualche bel negrone randagio! Ma non si preoccupi, signora, ha tutto il tempo per farlo; le farmacie sono sempre ben fornite. Vai, vai, vai!!! Signori miei, da quando ho scoperto l’esistenza e gli effetti del viagra non posso più farne a meno e mi diverto a spendere tutto il mio patrimonio per soddisfare le mie pulsioni erotiche. Quelli che non hanno la possibilità economica per pagarsi delle belle ragazze, o dei bei ragazzi per voi care le mie signore che fate tanto le santarelline ma che avete le nostre stesse voglie, forse un po’ più represse, ma identiche a quelle di noi maschietti (chiusa parentesi); quelli che non se lo possono permettere, dicevo, possono usare le pillole magiche per resuscitare l’istinto sessuale con i rispettivi coniugi, anche se capisco che una minestra vecchia, riscaldata non sia il massimo. Io, all’inizio, quando ho cominciato a fare uso del Viagra, ho proposto a mia moglie di riprendere la sana abitudine di una scopatina ogni tanto, anche se la cosa non è che mi entusiasmasse perché già non è mai stata una bellezza, figuratevi adesso che è una vecchia carcassa; e anche da giovane non è mai stata una diciamo allegrotta, che mettesse del frizzantino nel rapporto sessuale; macché; sempre una ‘toccata e fuga’; roba da far passare la voglia anche a un ergastolano in crisi di astinenza. Comunque, in mancanza di meglio, lo avrei fatto, magari a luci spente o a occhi chiusi. Ma quella si è rifiutata categoricamente dicendo che ero un maniaco  sessuale e che solo l’idea le faceva schifo. Ditemi voi, che dovevo fare? Non potevo e non volevo rinunciare al mio attico; quindi sono stato costretto ad andarmi a cercare compagnia fuori di casa. E vi assicuro che non me ne sono pentito; anzi, ora, da quando frequento delle ragazze stupende, di una bellezza mozzafiato, mi fa impressione solo il pensiero di toccare mia moglie la quale, in combutta con suo figlio, mi ha addirittura fatto causa e stanno cercando di farmi interdire perché dicono che sto sperperando tutto il nostro patrimonio. Il nostro?! Ma quale nostro? Il mio patrimonio! Quei due parassiti hanno fatto la bella vita sulle mie spalle per quarant’anni e adesso pretendono di impedirmi di spendere i miei quattrini. Thò, va! (gesto dell’ombrello). (tre infuriate scampanellate) Eh, be’, quando ci vuole ci vuole! Quel fannullone inetto di mio figlio che ha impiegato dieci anni per strappare quella ridicola laurea in Scienza delle Comunicazioni e fa una specie di fattorino al giornale dove lavora, è andato dal direttore della mia banca pregandolo di non darmi più soldi perché ha paura che li faccia fuori tutti prima di morire e che a lui non arrivi più niente. Thò, thò e thò! (tre gesti dell’ombrello; il campanello, rassegnato, tace). E l’altra, la sua degna madre, piange e urla non perché mi diverto con le mie donnine, macché, di quello non glie ne frega niente, ma perché dice che spendo e spando mandando sul lastrico la famiglia. Ma vadano a lavorare, quei due parassiti, e si guadagnino la pagnotta come ho fatto io per tutta la vita! Ah, quell’altra, poi: la moglie di mio figlio! un’altra buona! accompagna i figli a scuola col SUV, che ho pagato io, e va dicendo in giro che sto mettendo a rischio il futuro dei miei nipoti. Ma io me ne frego dei miei nipoti, di lei e del loro futuro. Che vadano a lavorare quei fannulloni e se lo guadagnino il loro futuro. Qualche governante da strapazzo ha pure tolto la tassa di successione sull’eredità; che cavolo vogliono di più? Sapete che vi dico? se vivessimo in un paese civile, se avessimo dei governanti come si deve, dovrebbero ripristinare quella tassa sacrosanta. Anzi secondo me si dovrebbe proprio abolire l’eredità: quello che uno guadagna col suo lavoro, quando muore deve tornare nelle casse dello Stato e non in quelle degli eredi che magari non hanno mai fatto niente nella vita, vedi quel coglione debosciato di mio figlio. (tre lunghe, esasperate scampanellate) Sì, sì, sì, ho finito. Non parlo più. E a chi dovrei parlare se sono spariti quasi tutti i miei cari colleghi universitari della terza età. Ma si dovrebbero vergognare; tutti vi dovreste vergognare, perché fate finta di scandalizzarvi ma sotto sotto, siete dei frustrati che mi invidiate perché vorreste fare quello che faccio io ma non ne avete la possibilità o, peggio, il coraggio. Continuate a fare voto di castità, e a fantasticare di nascosto, immaginando cose che se aveste un briciolo di decenza potreste avere realmente a portata di mano. Perché lo so che fantasticate, sporcaccioni, tutti: maschi e femmine, anche alla vostra età. Sia ben chiaro, vi dico sporcaccioni non perché fate certe cose, ma perché vi vergognate di riconoscerlo e di ammettere che è un bisogno naturale; e ovviamente se uno non può permettersi il cioccolato si deve accontentare del surrogato. E allora continuate a mangiare il vostro surrogato e a disprezzare me che mi abboffo di cioccolato purissimo. (varie scampanellate in rapida sequenza) Sì, sì, me ne vado; la mia conferenza è terminata; quello che dovevo dirvi ve l’ho detto. Ma prima di andarmene e prima che ve ne andiate voglio dirvi un’ultima cosa. Come ho detto, qui nessuno mi conosce tranne uno; e quell’uno sono io stesso, e io so per certo di non essere la persona che si è presentata su questo palco. In realtà non sono sposato, non ho figli, non sono ricco: vivo di una modesta pensione e non ho mai fatto uso di Viagra in vita mia, anche perché, ad essere sincero, purtroppo non saprei con chi dividere il piacere dei suoi benèfici effetti; e d'altronde non ho mai voluto fare certe cose a pagamento per rispetto verso quelle povere ragazze che spesso sono costrette a prostituirsi. Dunque chi sono? vi domanderete. E chi è la signora che ha parlato prima di me e che invito a risalire sul palco perché sia lei a spiegarvi quale è stata questa sera la nostra funzione? (la signora sale sul palco e da questo momento i due si alterneranno a parlare) (donna:) Questa sera avete visto in noi che vi abbiamo parlato non due persone ma due specchi che hanno riflesso voi ascoltatori seduti in questa sala che avete avuto la pazienza di ascoltarci fino in fondo. Vorremmo andarcene con la speranza che quegli ambigui personaggi che abbiamo incarnato possano lasciarvi non soltanto il legittimo disgusto per quanto gli avete sentito dire, ma anche il desiderio di valutare serenamente quanto di problematico e di emblematico ci sia in alcune loro affermazioni.  (uomo:) Vedete amici, le verità sono tante quanti sono gli individui su questa terra: ognuno legittimamente può avere una propria verità da contrapporre alle altre. Il fatto è che molte volte si raccontano menzogne agli altri e sovente anche a se stessi spacciandole per verità. (donna:) Noi questa sera abbiamo voluto fare un tentativo ardito e pericoloso, abbiamo invertito le parti: abbiamo messo in bocca a personaggi di finzione parole e concetti da tutti apertamente considerati infamanti e menzogneri, ma che, ahimè, in fondo sono da molti segretamente condivisi. (uomo:) Noi abbiamo terminato. Sperando di non avervi annoiato troppo ma che anzi queste nostre due improbabili conferenze vi abbiano fornito lo spunto per qualche riflessione più approfondita vi auguriamo un buon proseguimento di serata.