La tradita infuriata

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La tradita infuriata

Commedia in tre atti

D Arminio 2006

Personaggi

CORNELIA ACCORNÈRO, la tradita

LEOPOLDO ACCORNÈRO, il marito

ELISABETTA, la servetta sciocchina e superficiale

AMMAZZACAVILLI, il notaio

DON ANTONIO, il parroco

ORAZIO, il servo fedele

Barone VON STRUDEL

AMBIENTAZIONE: Salotto borghese, primo Novecento. Da una parte un tavolo e due sedie. Sul tavolo una tovaglia e un vaso di fiori. Dall’altra parte un divanetto. In centro un mappamondo.

SINOSSI : Nel salotto della tirannica Cornelia Accornero fa ingresso la sensuale Elisabetta, decisa senza scrupoli a ingraziarsi i favori del ricco marito della donna. C'è pane per i denti della signora, che complica le cose quando coinvolge nella vicenda anche uno strano barone tedesco...

MUSICA: i brani segnati da un asterisco (*) sono suggeriti.

Apertura

[musica: Let thy hand be strengthened; G.F. Handel; fino al minuto 00.52]

Si alza il sipario


Atto Primo

SCENA PRIMA

Cornelia e Orazio

[CORNELIA dalle quinte: Orazio! Orazio! Orazio!]

[entra Cornelia]

CORNELIA: [chiama, verso l’esterno] Orazio!

[entra Orazio dalla parte opposta]

ORAZIO: Sì, signora?

CORNELIA: Hai annaffiato i fiori della veranda?

ORAZIO: Sì, signora.

CORNELIA: Hai spazzato le foglie secche dal patio?

ORAZIO: Sì, signora.

CORNELIA: Hai detto alla cuoca di mettere solo un cucchiaio di marmellata nei cornetti?

ORAZIO: Sì, signora.

CORNELIA: Hai fatto tutto, insomma?

ORAZIO: Come da voi ordinato, signora.

[Cornelia si sofferma a leggere una lettera che ha con sé]

ORAZIO: [al pubblico] Ogni mattina sempre la stessa storia. [imita Cornelia] “Orazio! Orazio! Hai annaffiato i fiori? Hai spazzato le foglie? Hai dato da mangiare ai canarini?” Ah, com’è dura a volte la vita del maggiordomo.

CORNELIA: [ride] Ah ah! questa te la voglio raccontare!

ORAZIO: Qualche cosa di piacevole, signora?

CORNELIA: È Luciana Maria Battista che mi scrive. Due giorni fa sua cugina è entrata nella serra per cogliere dei fiori e ha scoperto il marito insieme alla vivandiera.

ORAZIO: [al pubblico] Beh, sarebbe stato peggio se l’avesse scoperto insieme al giardiniere… [a Cornelia] E dov’è la parte divertente?

CORNELIA: [serissima] Quale parte divertente? Perché, qualcuno sta ridendo qui?

ORAZIO: [perplesso] Io no.

CORNELIA: Una prova in più che gli uomini sono infidi e traditori.

ORAZIO: [ironico, tra sé] Uh, non ne parliamo neanche…

CORNELIA: Non appena vedono una gonnella ci si buttano subito addosso.

ORAZIO: [idem] Mah, veramente…

CORNELIA: Hai presente la storia di Don Giovanni?

ORAZIO: Sì, signora.

CORNELIA: Ecco, tutti gli uomini sono Don Giovanni, non c’è santo che tenga.

ORAZIO: [idem] Se lo dice lei…

CORNELIA: Per questo io dico che bisogna tenerli in certa misura col pugno di ferro! Il marito deve proporre, la moglie ascoltare e decidere.

ORAZIO: [al pubblico] E in questo lei riesce benissimo.

CORNELIA: A proposito, dov’è quell’ozioso di Leopoldo?

ORAZIO: Credo si sia appena alzato.

CORNELIA: [ironica] Ah, dopotutto sono “solo” le dieci. Immagino che dovrò essere io a dare le istruzioni ai contabili.

ORAZIO: Come sempre, del resto.

CORNELIA: Orazio.

ORAZIO: Sì, signora?

CORNELIA: Non confabulare. Anzi, fammi strada.

ORAZIO: [accenna il saluto militare] Comandi.

[Cornelia e Orazio escono]

SCENA SECONDA

Leopoldo, poi Orazio

[musica:W.A. Mozart; Piccola serenata notturna K525 – Rondò/Allegro:]

 [Leopoldo entra, in veste da camera, un libro in mano; sbadiglia assonnato; siede sul divano, si stiracchia e inizia a leggere il libro.

Subito dopo entra Orazio con piumino e inizia a spolverare; Leopoldo lo guarda infastidito; Orazio spolvera accanto al divano e “sposta” Leopoldo quasi come un soprammobile. Ad un certo punto la musica sfuma]

LEOPOLDO: Orazio.

ORAZIO: Sì, signore?

LEOPOLDO: Non puoi proprio attendere che io me ne sia andato per spolverare qui? Sto cercando di stare un poco tranquillo.

ORAZIO: Sono mortificato, signore, ma secondo i piani della signora questa stanza deve essere pulita entro le dieci e mezza.

LEOPOLDO: “Secondo i piani della signora”? Orazio, devo ricordarti che ufficialmente sei sul mio libro paga e non su quello della signora?

ORAZIO: Vero. Tuttavia, con rispetto parlando, tocca a me sorbirmi tutti i lamenti della vostra consorte.

LEOPOLDO: [stizzito] Servo spudorato! In effetti non ha tutti i torti. [pausa] Orazio.

ORAZIO: Sì, signore?

LEOPOLDO: Voglio che tu sia onesto.

ORAZIO: Ditemi.

LEOPOLDO: E quando dico onesto non intendo dire solo onesto, ma onesto-onesto. Chiaro?

ORAZIO: [ironico] Limpido come sempre, signore.

LEOPOLDO: Allora dimmi, Orazio. Davvero io non conto nulla in questa casa?

ORAZIO: No, signore.

LEOPOLDO: Davvero quel che io dico non viene tenuto in minima considerazione?

ORAZIO: No, signore.

LEOPOLDO: Non porto dunque io i pantaloni?

ORAZIO: Affatto, signore.

LEOPOLDO: E da quanto va avanti questo strapotere femminista sulla mia persona?

ORAZIO: Da ventidue anni, signore. Anzi, prima ancora eravate succube di vostra madre, e di vostra cugina Priscilla…

LEOPOLDO: Orazio?

ORAZIO: Sì, signore?

LEOPOLDO: [stizzito] Smettila di essere così sfacciato!

ORAZIO: Ma…mi avete chiesto voi di…

LEOPOLDO: [idem] Taci, servo indegno!

ORAZIO: Ah, che uomo impossibile. [riprende a spolverare]

LEOPOLDO: [passeggia avanti e indietro nervosamente] Stanno così le cose, dunque? Che io non sia più padrone a casa mia? [a Orazio] Ah, no, mio caro! Ma ora basta! Non mi farò più mettere i piedi in testa da quella donna. Qui l’uomo sono io e comando io!

ORAZIO: [indifferente] Certo, signore.

LEOPOLDO: Io sono il padrone di casa e il paterfamilia!

ORAZIO: Certo, signore.

LEOPOLDO: Io sono il marito e il maschio!

ORAZIO: Certo, signore.

LEOPOLDO: Ora vedrai. Non appena l’avrò davanti ti dimostrerò che dietro questa maschera di uomo attempato si nasconde ancora una tigre ruggente!

SCENA TERZA

Cornelia e detti

[in quella entra Cornelia]

CORNELIA: [ruggisce] Leopoldo!

[Leopoldo balza indietro con un miagolio spaventato]

LEOPOLDO: Miew!

[Orazio esce]

CORNELIA: Cosa vai blaterando, ché sento il tuo baccano fin dall’altra parte della casa?

LEOPOLDO: [spaventato] Io? Niente, niente, Cornelia, amore mio.

CORNELIA: Smettila di perdere tempo con le tue inutili letture e vedi di occuparti del tuo ruolo di padrone di casa.

LEOPOLDO: Padrone di casa? La cosa mi giunge nuova…

CORNELIA: Se tu non fossi così poltrone, non sarei costretta ad occuparmi di tutto io!

LEOPOLDO: Povera cara. Si vede com’è patita…

CORNELIA: Cosa dici?

LEOPOLDO: Nulla, tesoro.

CORNELIA: Ascoltami. Sto uscendo. In mia assenza potrebbe arrivare qualche candidata per il nuovo posto di domestica. La lascio al tuo giudizio.

LEOPOLDO: Troppo buona, tesoro.

CORNELIA: A più tardi, caro.

[Cornelia esce]

SCENA QUARTA

Leopoldo solo

LEOPOLDO: Santi del Paradiso! Sciagurato me quando me ne sono innamorato! Ogni volta che credo di aver al fine trovato qualche momento per me… [imita Cornelia] Leopoldo! Leopoldo! Leopoldo di qua! Leopoldo di là! Leopoldo fai questo! Leopoldo fai quello! Basta, non ne posso più! Pietà!

E adesso ci mancava solo la nuova cameriera. Spero che nessuna si faccia viva, per ora. Se sono fortunato, dovrei avere finalmente il tempo per leggere almeno la prima pagina del libro. [siede] Adesso mi siedo, faccio un bel respiro, apro il libro e…

SCENA QUINTA

Leopoldo e Orazio, poi Elisabetta

[entra Orazio]

ORAZIO: Signore.

LEOPOLDO: [esasperato] Nooo! Perché? Perché?

ORAZIO: Perché sono qui? Perché alla porta c’è una signorina che dice di essere venuta per il posto di domestica.

[mentre Orazio parla, Leopoldo va al mappamondo e lo scruta con attenzione]

ORAZIO: Scusate, signore, ma cosa state facendo?

LEOPOLDO: Secondo te per trovare un po’ di tranquillità, dovrei emigrare in Australia o in Groenlandia?

ORAZIO: Prego?

LEOPOLDO: Lascia perdere e falla entrare. Io vado a mettermi in ordine.

[Orazio fa un mezzo inchino ed esce; Leopoldo raccoglie il libro ed esce dalla parte opposta]

[Orazio entra con Elisabetta]

ORAZIO: Vogliate attendere qui, signorina. Il signor Accornero sarà subito da voi. [esce]

ELISABETTA: [concitata] Presto! Uno specchio, uno specchio! Le labbra…sono a posto le labbra? Sì…E i capelli? Mio Dio, i capelli? [si rassetta e controlla di essere a posto] Bene. Petto in fuori e schiena diritta. Sta arrivando.

[entra Leopoldo]

LEOPOLDO: Buongiorno, madama.

ELISABETTA: [si inchina] Buongiorno. Siete voi Leopoldo Accornero?

LEOPOLDO: In persona.

ELISABETTA: [ammaliante] Incantata. Il mio nome è Elisabetta.

LEOPOLDO: Benvenuta, mia cara.

ELISABETTA: È per me un onore trovarmi di fronte ad un uomo della vostra levatura, un uomo illustre e di sicura finezza.

LEOPOLDO: Siete troppo gentile. Ma non state in piedi, accomodiamoci. [seggono] Dunque, ditemi, Elisabetta: sapete spolverare?

ELISABETTA: Sì. [al pubblico] No.

LEOPOLDO: Sapete rammendare?

ELISABETTA: Certo. [idem] Gli aghi mi fanno venire l’orticaria.

LEOPOLDO: Sapete riordinare la biancheria?

ELISABETTA: Un gioco da ragazzi. [idem] Mai fatto.

LEOPOLDO: Sapete stirare?

ELISABETTA: È il mio passatempo preferito. [idem] Scherza? Dovrei rischiare di scottarmi le manine?

LEOPOLDO: Sapete lucidare l’argenteria?

ELISABETTA: È la cosa che mi viene meglio. [idem] Men che meno.

LEOPOLDO: Avete altre esperienze lavorative?

ELISABETTA: Oh, sì, ho lavorato in molte altre case di famiglie illustri. [si fa aria con la mano] Uff…scusate, ma fa un caldo… [si tira su la gonna per scoprire mezza gamba] Così va meglio.

LEOPOLDO: [getta l’occhio alle di lei gambe, turbato] Ehm, sì…dicevamo, finora avete fatto solo la cameriera?

ELISABETTA: [ammaliante] Oh, vi assicuro che è il lavoro che mi viene meglio.

LEOPOLDO: Che altro aggiungere?… Ditemi qualcosa della vostra famiglia.

ELISABETTA: [si sbottona la camicetta] Accidenti, che caldo! La mia famiglia…il mio bisnonno era maggiordomo alla corte del Re Sole.

LEOPOLDO: Davvero?

ELISABETTA: Sicuro. [al pubblico] Ne era talmente convinto che lo hanno messo in manicomio.

E mia madre era la domestica personale della regina Vittoria.

LEOPOLDO: Ma non mi dite.

ELISABETTA: Vi prego di scusarmi, ma davvero, con questo caldo… [si toglie la camicetta] Oh, che frescura, finalmente.

[assume una posa sensuale]

E un mio prozio ha servito sotto l’ammiraglio Nelson.

LEOPOLDO: Ha combattuto a Trafalgar?

ELISABETTA: Ma no! Intendevo come domestico.

LEOPOLDO: Sono impressionato. Una vera famiglia di servitori.

ELISABETTA: [ride, tra sé] Quanto mi diverto. È troppo facile bidonare questa scamorza.

LEOPOLDO: [vagamente concupiscente] Ma…ditemi di voi, mia cara.

ELISABETTA: [al pubblico] Ora state a guardare. [mentre parla si mette in pose fascinose, mostrando tutta la sua bellezza a Leopoldo, che la guarda incantato]

Mah, non c’è molto da dire…sono una ragazza semplice, naturale, di poche ambizioni… Il denaro mi fa schifo…io lavoro solo per passione…

LEOPOLDO: [imbambolato] Encomiabile…

ELISABETTA: E poi ho tanti passatempi. A voi cosa piace fare?

LEOPOLDO: [idem] Beh, io gioco a carte…

ELISABETTA: Ecco, anche a me piace giocare a carte! Che coincidenza…

LEOPOLDO: [idem] Eh, che coincidenza…

ELISABETTA: [continua con le pose sensuali] Ve l’ho detto, sono una ragazza semplice, modesta, discreta; non m’importa d’esser bella. Io sono una ragazza spirituale. Penso che sia più importante essere che apparire. Non siete d’accordo?

LEOPOLDO: [idem] Su tutta la linea…

ELISABETTA: [al pubblico] È cotto. [a Leopoldo] Allora, Leopoldo caro, riguardo il mio impiego…

LEOPOLDO: Eh? Ah, sì… Ecco…io… mi sembra che siate perfetta per il ruolo che stiamo cercando.

ELISABETTA: È stato fin troppo facile.

LEOPOLDO: Ma…

ELISABETTA: Ma…?

LEOPOLDO: Preferirei mettervi alla prova. Potreste iniziare a rammendare le tende dello studio.

ELISABETTA: [al pubblico] Ora lo finisco. [a Leopoldo] Ma certo, come desiderate. Ditemi solo dove… [ansima] Oh, cielo!

LEOPOLDO: Che accade?

ELISABETTA: Mi manca l’aria! Mi sento svenire! Aiuto! Aiuto! Vi prego, un po’ d’acqua! Oh, svengo… [finge si svenire]

LEOPOLDO: Signorina! Elisabetta! Oddio! Orazio! Orazio! Non sente. Resistete, vado a prendere dell’acqua! [esce precipitosamente]

SCENA SESTA

Elisabetta sola

ELISABETTA: [alza la testa e ride] Uh uh! Dite che me lo darebbero un premio per la recitazione?

[si alza] Ah, so già cosa state pensando. [addita nel vuoto] “Guarda quella dissoluta opportunista!”

Signori miei, non si tratta di opportunismo. Si tratta di intelligenza, di psicologia dei sessi.

Per farsi obbedire da un uomo non serve comandare; basta conquistarlo.

[guarda verso l’esterno] Oh, sta tornando. [si risistema sul divano  nella posizione di prima]

SCENA SETTIMA

Leopoldo ed Elisabetta

[Leopoldo arriva di corsa con un bicchiere d’acqua, ma inciampa e cade. Alzandosi sbatte la testa e ricade pesantemente su Elisabetta]

LEOPOLDO: [dolorante] Ohi! Ohi! L’acqua sul tappeto… E adesso chi la sente Cornelia?

ELISABETTA: Ahi ahi! Proprio la grazia di un elefante!

LEOPOLDO: Come state? Vi sentite meglio?

ELISABETTA: Oh, sì. Mai stata meglio. Ora va bene.

LEOPOLDO: Ne sono lieto.

ELISABETTA: Oh, mio salvatore! Grazie! Grazie! Che eroe! [si abbandona su di lui]

LEOPOLDO: [confuso] Ma…mia cara…

ELISABETTA: Accettate questo mio premio. [lo bacia]

[Leopoldo rimane marmorizzato]

LEOPOLDO: Uh…io…voi…il vostro impiego…

ELISABETTA: [sensuale; con le dita gli solletica il collo e il viso] Suvvia, assumetemi. Che bisogno c’è che vi mostri cosa so fare? Ve l’ho già detto. Vi prego, Leopoldo, siate buono. Non ve ne pentirete.

LEOPOLDO: [confuso] Ma…non so…mia moglie…

ELISABETTA: La signora sarà contenta. E poi, scusate, chi comanda qui: voi o vostra moglie?

LEOPOLDO: Appunto.

ELISABETTA: [sensuale] Allora? Leopolduccio-uccio-uccio…

LEOPOLDO: [idem] Eh…ecco… Va bene, siete assunta.

ELISABETTA: Oh, grazie, mio passerottino! Posso chiamarvi passerottino? Non vi pentirete di questa scelta. Sarò lieta di accudirvi e coccolarvi, mio tesoro.

LEOPOLDO: [languido] Che allettante prospettiva, provolina.

ELISABETTA: Oh, che galante. Leopolduccio-uccio-uccio.

[restano languidi a scambiarsi tenere frasi]

[musica: G.F. Haendel; Let thy hand be strengthened (stesso dell’Apertura); ultimi 20 sec.]

Cala il sipario


Atto Secondo

***Tre giorni più tardi***

Si alza il sipario

SCENA PRIMA

Cornelia, poi Orazio

[entra Cornelia, si guarda attorno]

CORNELIA: [grida, verso le quinte] Orazio! Orazio!

[entra Orazio]

ORAZIO: La signora ha chiamato? [al pubblico] Come se si potesse non sentirla.

CORNELIA: Orazio, hai visto mio marito?

ORAZIO: No, signora.

CORNELIA: E Elisabetta?

ORAZIO: Neppure.

CORNELIA: Ma dove si sarà cacciata? È tutta la mattina che la cerco. [a Orazio] Va’ pure, ma se la vedi dille di venire da me.

ORAZIO: Comandi!

[Orazio esce]

SCENA SECONDA

Cornelia sola

CORNELIA: Quella ragazza mi sta facendo impazzire! È qui solo da tre giorni, e già sta mettendo a dura prova la mia pazienza. Quando la trovo è sempre davanti allo specchio ad incipriarsi il nasino, o a limarsi le unghiette, o a lisciarsi la bella chioma. Con che coraggio Leopoldo ha voluto assumerla?

E, a proposito, non vorrei sbagliarmi, ma mi sembra che quella smorfiosa lanci occhiatine dolci a quel pecorone di mio marito. Guai a lui se si fa adescare da quella bambolina! Giuro che gli torcerò il collo.

Ma poi, a pensarci bene…di che ti preoccupi, Cornelia? Ti sembra che un uomo come Leopoldo ti possa tradire? [ride] Ah ah, no di certo. Per giunta con quella smancerosa? [ride] Uh uh! Mi vien da ridere se ci penso. Ah ah! Ma ve l’immaginate quei due insieme? Ah ah ah! È troppo ridicolo. Ah ah ah! E che cosa si direbbero? Ah ah! Qualcosa come…

[LEOPOLDO dalle quinte: Batuffolina dolce…]

CORNELIA: Sì, “batuffolina dolce”. Ah ah ah! Proprio! [realizza ciò che ha sentito] Eh? Un momento! Come sarebbe a dire? [sente dei rumori dal corridoio] Sta venendo qualcuno. Non so perché, ma sento l’irresistibile impulso di nascondermi.

[si nasconde dietro il divano]

SCENA TERZA

Cornelia, Leopoldo ed Elisabetta

LEOPOLDO: [entra e si guarda attorno con circospezione; ispeziona tutta la stanza con attenzione, ma badando bene a non guardare dietro il divano] Psst!...Tesoro, vieni! Mia moglie non c’è.

ELISABETTA: [entra] Oh, meno male, funghetto avvizzito. [gli prende la mano] È stato bellissimo giocare con te a rubamazzetto; mi sono divertita moltissimo, mio baccalà in salsa verde.

[al pubblico] Dio, non mi sono mai annoiata tanto in vita mia!

LEOPOLDO: Ah, mia vichinga. Sei bella come una rana in uno stagno.

ELISABETTA: E tu sei il mio gorilla con la sciatica.

LEOPOLDO: Oh, cara; sei la mia colombella. [sospira]

ELISABETTA: Oh, caro…[sospira] Amoruccio mio, e tu sei il mio passerotto burgundo.

LEOPOLDO: Oh, tesoro…[la sbaciucchia] pciù, pciù.

ELISABETTA: Oh, il mio sgorbietto cubista…

[Leopoldo fa accomodare Elisabetta sul divano; da dietro si intravede la testa di Cornelia che sbircia]

LEOPOLDO: [estrae un pacchetto] La mia gattina è pronta a stupirsi di cosa le ha preparato il suo micione?

ELISABETTA: Oh, che cos’è? Che cos’è? Che cos’è?

LEOPOLDO: [le dà il pacchetto] Aprilo, aprilo, mia pavoncella in fuagrà.

ELISABETTA: [lo scarta; dentro c’è una collana di perle] Oh, cielo! Tesoro mio, è bellissima!

[Leopoldo l’aiuta a indossarla]

LEOPOLDO: Ma nessuna perla regge il paragone con i tuoi occhietti, mia gazzella cingalese.

ELISABETTA: Oh, caro il mio cavernicolo sbudelloso… Allora, come mi sta?

LEOPOLDO: Ti dona meravigliosamente, mia cara.

ELISABETTA: Grazie, tesoro. Ti meriti un premio. [gli scocca un bacio]

LEOPOLDO: [sdolcinato, con trasporto] Oh, amore, dolce amore! Un tuo bacio è per me il cibo più prelibato, il profumo più soave, la meta più sospirata. Non mi sentivo così bene da vent’anni.

ELISABETTA: Come sei ruggente, mia tigre del Bengala!

LEOPOLDO: E per te sola, mia Musa, ho dedicato questo poemetto con cui m’appresto a deliziarti i timpani. [si cava di tasca un foglietto]

ELISABETTA: Pendo dalle tue labbra, amor mio.

[da recitare seriamente, con voce calda e passionale]

La Luna risplende negli occhi tuoi

di giada, puri sì che paion suoi,

e fulvo, amor mio, un Sol tonante

brilla vezzoso ne’ tuoi capei d’oro

e m’inebria come d’angeli un coro

che onora te, mia Musa sognante.

Dolce sei tu, mia reina, e radiosa

come del cielo le stelle, o giocosa,

e ogni astro mira te, e arde ‘nvidioso

di tua beltà che chiara traluce.

Ed io, appassionato, alla tua luce

mi disseto, Bettina mia, gioioso.

ELISABETTA: [al pubblico, nauseata] Patetica. [a Leopoldo, applaude] Deliziosa! Sublime! Sei il mio Dante in naftalina…

LEOPOLDO: Grazie, mia adorata.

ELISABETTA: Ora però ti prego, funghetto morboso, desidero ammirare allo specchio di quale beltà m’inonda il tuo sublime regalo.

LEOPOLDO: Ogni tuo desiderio è un ordine, mia ulcera tritonante.

ELISABETTA: [si alza] Vieni, rododendro incallito.

[lo prende per mano ed escono]

SCENA QUARTA

Cornelia, poi Orazio

CORNELIA: [emerge da dietro il divano, inorridita; barcolla come prossima a svenire] Santo cielo! La mia vista…ho la vista confusa. [si guarda le mani] Le mani…mi tremano… [si mette una mano sul cuore] E il cuore…il mio povero cuore galoppa dall’apprensione… Non ci posso credere nemmeno dopo averlo visto. [furiosa] Ma è vero! È maledettamente vero! Marito infame e traditore! [vacilla] Oh… Mi sento male…[grida, verso le quinte] Orazio! Orazio! Per dio, Orazio! [si accascia sul divano]

ORAZIO: [entra; al pubblico, irritato] Perdiana! Non c’è mai un attimo di pace in questa casa. [va verso Cornelia] State bene, signora?

CORNELIA: [ansima] No, Orazio. Leopoldo…mi tradisce con Elisabetta…

ORAZIO: [sbalordito] Chi? Il Leopoldo Accornero che conosco io? Ehm…volevo dire: Davvero? Avete dei sospetti?

CORNELIA: Ma quali sospetti! Li ho visti io stessa, con i miei occhi, che si sbaciucchiavano come due fidanzatini. Avresti dovuto sentire cosa si dicevano: “colombella”, “passerotto burgundo”, “gazzella cingalese”…

CORNELIA: Disgustoso!

ORAZIO: [al pubblico] Disgustoso!

CORNELIA: E avresti dovuto vedere come abbracciava la smorfiosetta, quel viscido polipo di mio marito.

ORAZIO: Eh! Beato lui…

CORNELIA: Orazio! Ho bisogno di una spalla su cui piangere. Soffro così tanto! Accostati a me e condividi il mio dolore. [gli prende la mano] Oh, dolore! Oh, patimento! Oh, angoscia! Oh, sofferenza!

ORAZIO: San Giuda, cos’ho fatto di male? Ti imploro, ti dedicherò un cero, ma manda qualcuno a salvarmi da questa lagna.

[suonano alla porta]

ORAZIO: Grazie, san Giuda, grazie! Un cero per te…no, due! Signora, hanno suonato.

CORNELIA: [singhiozza] Va’ a vedere chi è.

[Orazio libera la mano ed esce]

SCENA QUINTA

Cornelia, Orazio, Ammazzacavilli e Don Antonio

[Orazio entra]

ORAZIO: Signora, il notaio Ammazzacavilli e don Antonio chiedono di vedervi.

CORNELIA: [si incoraggia] Oh, sì. Avanti, avanti!

ORAZIO: [verso le quinte] Signori, avanti.

[entrano Ammazzacavilli e don Antonio; Orazio esce]

AMMAZZAC.: Buongiorno a voi, Cornelia.

D. ANTONIO: Pace e felicità, mia cara.

CORNELIA: [tra sé] Magari… [ai due uomini] A cosa devo questa visita, signori miei?

AMMAZZAC.: In realtà mi sono imbattuto in don Antonio proprio sulla porta di casa vostra, così ho deciso di salire con lui.

D. ANTONIO: La mia visita è invece necessità dei miei impegni caritativi, signora. Stiamo organizzando una colletta a favore degli orfanelli. Perciò, se voleste mostrare la vostra generosità e offrire qualche soldo…

CORNELIA: [sospira] Oh, sì, certamente.

AMMAZZAC.: Che avete, Cornelia? Qualcosa vi turba?

CORNELIA: Nulla, nulla, notaio.

AMMAZZAC.: Eppure sic lego, lo leggo chiaramente nei vostri occhi.

D. ANTONIO: Non dovete aver timore di confidarvi. Siamo amici, dopotutto.

[Cornelia rimane assorta fissando il vuoto; i due si guardano perplessi]

D. ANTONIO: [ad Ammazzacavilli] Dite che ci avrà sentito?

AMMAZZAC.: Cornelia? Ci siete ancora?

D. ANTONIO: [si avvicina a lei e le passa una mano davanti agli occhi] Cornelia? Pronto, pronto! C’è nessuno? [le prende la mano e la scuote come per controllare che sia ancora viva]

CORNELIA: [teatrale, balza in piedi e assume una posa afflitta] Oh, sì! Me disperata!

[don Antonio getta un grido e con un balzo salta in braccio al notaio]

AMMAZZAC.: Su, diteci, mia cara. Qual è il quid?

D. ANTONIO: Sì, qual è il quod?

AMMAZZAC.: [lo corregge] Quid. Insomma, cos’è accaduto?

CORNELIA: [stizzita] Quel porco di mio marito…!

D. ANTONIO: A-hem!

CORNELIA: Chiedo scusa…quel maiale schifoso…

D. ANTONIO: Ma signora!

CORNELIA: …di mio marito mi tradisce con la nuova cameriera!

[Don Antonio, inorridito, si ritrae in modo teatrale]

D. ANTONIO: No!

CORNELIA: È vero, vi dico! Quel traditore…! E quella piccola…[sta per pronunciare una parola sconveniente]

D. ANTONIO: [la interrompe] Cornelia, vi prego!

CORNELIA: Perdonatemi, reverendo, ma sono tanto arrabbiata.

AMMAZZAC.: Una notizia conturbante, davvero. Turbamentum me confecit.

D. ANTONIO: Non siate tragica. Sono sicuro che si tratta di…come dire…un “intrattenimento” passeggero…

CORNELIA: [furiosa] Ma quale intrattenimento! Li ho visti io stessa, con i miei occhi, che si sbaciucchiavano come due fidanzatini. Avreste dovuto sentire cosa si dicevano: “colombella”, “passerotto burgundo”, “gazzella cingalese”…

AMMAZZAC.: [tra sé] Disgustoso!

D. ANTONIO: [tra sé] Disgustoso!

CORNELIA: [tra sé] Disgustoso!

CORNELIA: [furiosa] Ah, ma gliela faccio vedere io! Basta piangere! È il momento di agire! Oh, sì… [esce, e rientra subito dopo con una rivoltella in mano; sogghigna] Ecco! Vendetta, tremenda vendetta!

AMMAZZAC.: Ferma!

D. ANTONIO: Ferma!

[le si parano davanti]

AMMAZZAC.: [a Cornelia] Che avete intenzione di fare?

CORNELIA: [con aria innocente] Nulla. [ghignando] Devo solo salare due prosciuttoni…

AMMAZZAC.: Non vorrete certo peggiorare le cose! Questa la date a noi! [le strappa la pistola di mano]

CORNELIA: Ehi! Ridatemela! [tenta di recuperare l’arma]

D. ANTONIO: Niente affatto! Date a me! [don Antonio la strappa di mano ad Ammazzacavilli] Ora è perfettamente al sicuro nelle mie mani.

[inavvertitamente don Antonio preme il grilletto e parte un colpo verso il pavimento. Allo sparo tutti gettano un grido; Cornelia balza all’indietro]

D. ANTONIO: [terrorizzato, brandisce l’arma] A-aiuto! Aiuto! Aiuto!

CORNELIA: [grida e gesticola convulsamente, spaventatissima] Aaah! Via quell’arma! Fatela sparire! Via! Via!

AMMAZZAC.: [spaventato, si getta su don Antonio] Voi siete un pericolo! [“lotta” con il reverendo; infine gli prende la pistola] Via quest’arma! [la getta lontano, verso le quinte]

CORNELIA: [si accascia sul divano, in affanno, facendosi aria con la mano] Cielo! Il mio povero cuore!

AMMAZZAC.: Ora calmiamoci. La violenza è fuori discussione. Legalitas sine violentia.

CORNELIA: Nemmeno un matterello?

AMMAZZAC.: No.

CORNELIA: Un battipanni? Cosa volete che sia un battipanni?

AMMAZZAC.: No.

CORNELIA: Una fronda di salice? È così tenera, così leggera…non la sentiranno neanche.

AMMAZZAC.: No, no e no. Dimenticate queste risoluzioni.

CORNELIA: E allora ditemi cosa posso fare.

AMMAZZAC.: Non potreste affrontare Leopoldo pronto visu, cioè direttamente?

CORNELIA: Scherzate? Sarebbe capace di negare. E poi qui non basta parlare. Qui bisogna punire; punire il traditore e la meretrice in sottana!

D. ANTONIO: [tra sé] Certo, bisognerebbe che vostro marito si interessasse nuovamente a voi e lasciasse perdere quella ragazza…

CORNELIA: [incuriosita] Cosa avete detto?

D. ANTONIO: Dicevo che…

CORNELIA: [esulta] Ma sì! Ecco l’idea! Don Antonio, voi siete un genio.

D. ANTONIO: [perplesso] Non capisco…

AMMAZZAC.: Neanche io. Spiegateci, per favore.

CORNELIA: Leopoldo ha bisogno di interessarsi a me per lasciar perdere quella sciagurata? Bene, farò in modo che si interessi a me. Signori, vi comunico che da questo momento ho una relazione con un altro uomo.

D. ANTONIO: [allibito] Cosa?

AMMAZZAC.: [allibito] Come?

CORNELIA: Sissignori! Da questo momento io, Cornelia Marchesi in Accornero, ho un amante!

D. ANTONIO: Continuo a non capire.

AMMAZZAC.: Sarebbe meglio che foste più chiara.

CORNELIA: È molto semplice. Fingerò di avere un amante. Leopoldo, geloso com’è, mi tempesterà di attenzioni e dimenticherà quella furfantella. A quel punto, avrò buon gioco a licenziarla e il problema sarà risolto.

AMMAZZAC.: Mi sembra una soluzione complessa. Potrebbero esserci dei rischi…

CORNELIA: Nessun rischio, notaio. È tutto calcolato. Non posso sbagliare!

D. ANTONIO: E chi sarà il pazzo che vorrà attirarsi le ire di vostro marito?

[Cornelia lo guarda sorridendo; don Antonio si volta indietro, come se credesse che lei stia guardando qualcun altro. Poi comprende e impallidisce]

D. ANTONIO: No!

CORNELIA: [suadente] Reverendo…reverenduccio…

D. ANTONIO: Ma voi siete matta!

CORNELIA: Voi siete la persona adatta…

D. ANTONIO: Voi scherzate…

CORNELIA: Sì, sì. Con un adeguato travestimento…

D. ANTONIO: Voi vi burlate di me…

CORNELIA: Ho già in mente tutto!

D. ANTONIO: Ma io soffro di cuore… [ad Ammazzacavilli] Notaio, dite qualcosa!

CORNELIA: [stizzita] Insomma, don Anto’! Volete farmi arrabbiare? [avanza minacciosa]

D. ANTONIO: Ma-ma-ma…

CORNELIA: [furente] Volete far sgarbo una povera donna indifesa? Volete fare questo a me?

D. ANTONIO: [terrorizzato] No, no, no! Nossignora! Ma vi prego, vi scongiuro…

CORNELIA: Non siete venuto forse per la raccolta d’offerte? Ebbene, in cambio del vostro aiuto vi prometto un’offerta più che generosa a favore degli orfanelli. [con un tono che non ammette repliche] Ci state?

D. ANTONIO: [balbetta] Ma…io…ma voi… [rassegnato] E sia, mi piego alla vostra volontà…

CORNELIA: [felice] Oh, grazie, grazie! [al notaio] E voi, notaio, mi aiuterete?

AMMAZZAC.: Sì, ma…in lege, pro lege; intendo restare entro i limiti della legge.

CORNELIA: Molto bene. Ho già pensato a tutto. Venite, venite, vi spiegherò. [fa per uscire]

D. ANTONIO: [verso il pubblico, disperato] Che Dio me la mandi buona!

[escono]

SCENA SESTA

Elisabetta e Orazio

[musica: *Minuetto KV601 n. 3; W.A. Mozart]

[entra Elisabetta con un piumino; poggia il piumino sul divano e inizia a sistemarsi i capelli e il vestito. Poi prende il rossetto e si trucca. Entra Orazio per dare una sistemata, allora lei mette via tutto e si finge impegnata a spolverare. Orazio la scruta con diffidenza. Quando lui è di spalle lei gli fa le smorfie e lo scimmiotta; ogni volta che lui la guarda lei torna al lavoro. Proseguono a questo modo finché Orazio esce; Elisabetta finisce di sistemarsi ed esce a sua volta]

SCENA SETTIMA

Cornelia, Ammazzacavilli e Don Antonio (travestito)

[entrano Cornelia, Ammazzacavilli e don Antonio; questi è stravestito come segue: una barba gli cinge il viso, indossa una veste un po’ sgualcita ma elegante e un cilindro; in mano impugna un bastone da passeggio]

D. ANTONIO: Oh, cielo! Come mi sono ridotto!

AMMAZZAC.: [a don Antonio] Non state così male, dopotutto.

CORNELIA: Così vestita, stenterei io stessa a riconoscervi.

D. ANTONIO: Ma questa barba mi fa il solletico…[starnutisce] Eetciuuu!

CORNELIA: Smettetela di lagnarvi. E soprattutto ricordate l’accento. Dovete essere più tedesco di un tedesco di Germania.

D. ANTONIO: Fosse facile…

CORNELIA: Su, proviamo. Dite qualcosa come: “Questa casa è bellissima”.

D. ANTONIO: [si sforza] Qu…que…qua…quezta caza è dellissiba.

CORNELIA: Ma no! Sembrate un pastore della steppa siberiana così.

D. ANTONIO: Un…che?

CORNELIA: Quante volte ve lo devo dire? La “u” si pronuncia “v”…qvesto, qvello…su, ripetete.

D. ANTONIO: [si sforza] Qfesto…qfello.

CORNELIA: Quasi.

AMMAZZAC.: E la “d” va pronunziata “t”, ricordate? Tomante, tomani…

D. ANTONIO: [sputazza] Tomante, tomani, toma, tomino…

CORNELIA: Ma no! Cosa c’entra?

AMMAZZAC.: [si ripulisce] E senza sputare, per piacere.

D. ANTONIO: [disperato] Ah, non ci riuscirò mai!

CORNELIA: E invece ce la farete. Andiamo avanti.

AMMAZZAC.: La “v” deve essere pronunziata come “f”, mentre la “b” come “p”. Ripetete con me: afanti, prafo, pello, affenente.

D. ANTONIO: [confuso] Ehm…apanti, frapo, fello, appenente…

CORNELIA: No! No! È il contrario! Il contrario! Su, riprovate.

D. ANTONIO: Oh, Dio mio…afanti, prafo, pello, affenente…

CORNELIA: Meglio! Bene!

AMMAZZAC.: E poi, per completare il quadro, aggiungete ogni tanto qualche parola tipicamente tedesca come natürlich, Ich, mich, dich…

D. ANTONIO: Naturlik, ic, mic, dic…

AMMAZZAC.: Nossignore…dovete aspirare: natürlich, Ich, mich, dich…

D. ANTONIO: Ich [aspira esageratamente] …mich…di [si soffoca con la saliva; inizia a tossire]

CORNELIA: Su, su, non è successo niente. Guardate l’uccellino! Guardate l’uccellino!

AMMAZZAC.: [al pubblico] Poveri noi. [a don Antonio] E ricordate: il tono dev’essere forte e autoritario.

D. ANTONIO: [tossendo] Coff…forte…coff…e autoritario…sì.

SCENA OTTAVA

Dettie Orazio

[entra Orazio, recando il vassoio con tazze e teiera]

ORAZIO: Il the, signora.

CORNELIA: [piano, a don Antonio] Avanti, è il momento di provare con Orazio.

D. ANTONIO: [a Cornelia, piano] Ma non sono pronto! Non si potrebbe…?

CORNELIA: [a Orazio] Orazio, appoggia pure lì e vieni a salutare il nostro ospite. Il barone Von Strudel direttamente dalla Germania.

[Orazio posa il vassoio sul tavolo e si avvicina a don Antonio]

CORNELIA: [piano, a don Antonio] Andiamo, fate un bel saluto.

D. ANTONIO: [si irrigidisce come un fante sull’attenti; grida] Salute, serfo!

AMMAZZAC.: [a don Antonio, piano] Ma non state così, non siete un fante prussiano! Più sciolto.

ORAZIO: [al pubblico] Cos’è questa messinscena? Non crederanno che non lo abbia riconosciuto?

CORNELIA: Orazio, sii cortese, rivolgi qualche domanda al nostro ospite. [a don Antonio, piano] Così vi proverete di rispondere.

ORAZIO: Qualche domanda? [al pubblico] Del tipo: “Reverendo, come avete fatto a cadere così in basso”? [a don Antonio] Da quale parte della Germania venite…barone?

D. ANTONIO: [grida] Io…io fenire ti Perlino, crante città ti Cermania. Natürlich!

ORAZIO: Signore, le mie orecchie funzionano perfettamente, non serve che gridiate.

CORNELIA: [a don Antonio, piano] Ma che figure fate? Più tranquillo, più moderato… [a Orazio] Coraggio, Orazio, qualche altra tomant…ehm, domanda.

ORAZIO: Ora mi diverto. Barone, qual è la vostra posizione in merito ai recenti fatti accaduti nel vostro Paese?

D. ANTONIO: [perplesso] Ehm…io…cretere Cermania crante paese…noi crante – ich! mich! – popolo…

[il notaio si mette la mani in faccia, disperato; Cornelia si gira dall’altra parte]

…ci sono – natürlich! – tanti fiumi e tante falli…ich! dich!...e tanta acqva nei fiumi…mich…e cielo ti Cermania essere molto pello, mich!, anche se in qvesto perioto appastanza fretto, natürlich…piofere molto…ich!, tempo non più qvello ti una folta…e…ehm…insomma, non ne ho la più pallita itea.

CORNELIA: [disperata] Argh! Che disperazione!

ORAZIO: Penoso. Se i signori vogliono scusarmi…

CORNELIA: Certo, va’ pure, Orazio.

[Orazio esce]

SCENA NONA

Cornelia, Ammazzacavilli e DonAntonio (travestito)

D. ANTONIO: Allora? Com’è andata?

CORNELIA: [arrabbiata] Dovrebbero chiamarvi nei lazzaretti per affrettare le sofferenze ai moribondi! Nemmeno un sordo penserebbe mai che siete davvero un tedesco!

D. ANTONIO: [offeso] Signora, non mi ci sono certo obbligato da solo a travestirmi da barone tedesco e a recitare quest’assurda parte, il tutto perché…

CORNELIA: Va bene, va bene… [ad Ammazzacavilli] Notaio, cosa ne pensate?

AMMAZZAC.: Mendacium optimum, situatio pessima. Direi che potrebbe solo andare meglio. Il reverendo ha bisogno d’impratichirsi.

CORNELIA: [guarda verso l’esterno] Che lo faccia in fretta, allora. Sta arrivando Leopoldo!

D. ANTONIO: [spaventato] Oh, santa Cecilia, aiutami tu!

AMMAZZAC.: [a don Antonio] Reverendo, fatemi la grazia: dimenticate i mich, i dich e anche gli ich, capito?

D. ANTONIO: Agli ordini.

SCENA DECIMA

Detti, Elisabetta e Leopoldo

[entrano Leopoldo ed Elisabetta]

CORNELIA: [ad Ammazzacavilli, piano e stizzita] Ancora con quella smorfiosa!

AMMAZZAC.: [piano, a Cornelia] Non fate scene.

LEOPOLDO: Buongiorno, signori.

AMMAZZAC.: [a Leopoldo, con un mezzo inchino] È un piacere rivedervi, Leopoldo.

CORNELIA: Caro, lascia che ti presenti il barone Otto Von Strudel, venuto dalla Germania. [a don Antonio, piano] Salutate, forza.

D. ANTONIO: [s’inchina] Ehr…io onorato.

LEOPOLDO: Barone…

CORNELIA: Il barone ha chiesto ospitalità presso la nostra casa, non trovando albergo in città. Sei d’accordo, vero?

LEOPOLDO: Come se potessi replicare. Ma certo, tesoro.

CORNELIA: [a don Antonio, piano] Ditemi qualcosa di galante, o non riuscirete mai a far ingelosire mio marito.

D. ANTONIO: Io…io non potere trofare migliore alperco, con patrona ti casa tanto pella.

[Leopoldo gli lancia un’occhiataccia]

CORNELIA: [ride] Ah ah! Che simpatico. Vi ringrazio. [a don Antonio, piano] Bene! Dite qualcos’altro.

D. ANTONIO: Nessun complimento appastanza per foi, Cornelia. Nessun parola appastanza per tire ti fostra peltà.

CORNELIA: [ride] Uh uh! Che galante! [a Leopoldo] Non trovi, caro?

LEOPOLDO: [gelido] Sì… Anche troppo galante.

CORNELIA: [a don Antonio, piano] Ottimo, reverendo, ottimo! Vi sta già guardando con aria assassina.

D. ANTONIO: [a Cornelia, piano] Questo dovrebbe rassicurarmi?

LEOPOLDO: [a Elisabetta, piano] Come si permette costui a fare apprezzamenti su mia moglie?

ELISABETTA: [a Leopoldo, piano] Non farci caso, mio mangano sott’olio.

CORNELIA: Avanti, signori, non stiamo in piedi. [fa segno di accomodarsi; don Antonio prende posto sul divano, Ammazzacavilli resta in piedi a lato della scena]

[poi, a Elisabetta] E tu cosa fai lì impalata? Torna al tuo lavoro.

ELISABETTA: [infastidita] Sissignora. [non si allontana di molto; supera Ammazzacavilli e resta così all’estremità del palco fingendosi impegnata nelle pulizie]

D. ANTONIO: [a Cornelia] Preco, foi folere setere qvi con me? [a Cornelia, piano] Ho bisogno del vostro appoggio.

LEOPOLDO: Affatto, cara. Lascia che mi sieda io accanto al barone.

[prima che Cornelia possa replicare, Leopoldo occupa il posto accanto a don Antonio]

D. ANTONIO: Aiuto!

[Cornelia resta in piedi tra il divano e Ammazzacavilli]

LEOPOLDO: [a don Antonio, diffidente] Siete in Italia da molto?

D. ANTONIO: Nein…io appena arrifato.

LEOPOLDO: Siete nobile di lunga data?

D. ANTONIO: Ja, ja, io parone da ottanta cenerazioni.

LEOPOLDO: E ditemi, caro barone: quali sono le vostre proprietà?

CORNELIA: [a Leopoldo] Caro, non essere scortese con il nostro gentile ospite.

D. ANTONIO: No, preco…io folere rispontere a sua tomanta.

LEOPOLDO: Dite, dite.

D. ANTONIO: Ecco…io possedere…ehm…

[Cornelia, essendo di spalle a Leopoldo, inizia a mimare gli oggetti e le situazioni per suggerire a don Antonio; Ammazzacavilli, nel frattempo, si para davanti a Elisabetta perché non veda cosa sta accadendo, nonostante la curiosità della ragazza]

…castello, ja, un magnifico castello…

LEOPOLDO: E dove si trova questo castello?

[Cornelia imita un monaco orante, volendo intendere “Monaco di Baviera”]

D. ANTONIO: Ehr…castello si trofa su…su…su vulcano…

LEOPOLDO: Su un vulcano?

D. ANTONIO: No, nein, io folere dire su collina a forma di vulcano.

LEOPOLDO: Ed è molto grande?

D. ANTONIO: Beh, castello afere sei, sette…

[Cornelia gli fa segno di abbondare]

D. ANTONIO: …cento stanze. Ja, essere molto, molto crande.

LEOPOLDO: Addirittura? E cos’altro possedete? Manifatture?

D. ANTONIO: Ja, natürlich. Io possedere una manifattura…

LEOPOLDO: Solo una?

[Cornelia gli indica di esagerare]

D. ANTONIO: … in Bafiera, le altre cinqve ficino Perlino.

LEOPOLDO: E cosa producete, esattamente?

[Cornelia mima di sparare con un fucile]

D. ANTONIO: Ehm…ecco…fucili…

[Cornelia si asciuga la fronte passandosi la mano fra i capelli]

…e parrucche…

LEOPOLDO: Cosa? Fucili e parrucche?

D. ANTONIO: Ehm…natürlich. Fucili nascosti in parrucche. [enfatico, “pubblicizza” il prodotto] Essere arma rifoluzionaria ti autotifesa. Io afere prefetto e io cretere tifentare ricco.

LEOPOLDO: [perplesso] Se ne siete convinto… E, dite, conoscete Sua Maestà?

D. ANTONIO: Sua Maestà? Ohibò!

LEOPOLDO: Cosa avete detto?

D. ANTONIO: Ehr…Oh, ja-ja, certo, io conoscere Sua Maestà. Noi essere…ehm…cranti amici.

LEOPOLDO: Davvero?

D. ANTONIO: Eh, come no? Io stringere personalmente lui mano e…pettinare suoi paffi.

LEOPOLDO: Pettinare i suoi baffi?

D. ANTONIO: Ehm…certo! Non sapete? Sua Maestà amare tantissimo pettinare suoi paffi. Essere posto di crandissima responsabilità.

LEOPOLDO: [perplesso] Sarà… E per quanto riguarda…?

CORNELIA: [lo interrompe; si alza] Caro, se non ti dispiace porto il nostro gentile ospite a visitare la casa. Siete d’accordo, barone? [prende per mano don Antonio]

D. ANTONIO: Oh, ja, io felice di essere cuitato da una pellezza come foi.

CORNELIA: [ride] Oh! Voi volete farmi arrossire, barone. [sottovoce, a don Antonio] Dobbiamo proseguire così. Venite, ora facciamo una passeggiata galante nel giardino. Leopoldo non potrà non vederci. Ci diremo tante cose all’orecchio e io fingerò di ridere. [ad alta voce] Venite, caro, venite. [lo prende per braccio]

D. ANTONIO: [al pubblico, mentre sta uscendo] Che Dio mi scampi dal marito geloso!

[Cornelia e don Antonio escono]

AMMAZZAC.: Vi prego di scusarmi. Temo di aver disatteso fin troppo a lungo le mie incombenze in ufficio. Voglio seguire quell’incapace d’un curato prima che si metta nei guai.

LEOPOLDO: Prego, notaio. E grazie per esserci venuti a trovare.

[Ammazzacavilli esce]

SCENA DECIMA

Elisabetta e Leopoldo

LEOPOLDO: [stizzito] No, dico, hai visto come la guardava, quel bifolco della Renania?

ELISABETTA: Non fare così, tesorino. Ti sentono tutti.

LEOPOLDO: [idem] E Cornelia gli fa anche gli occhi dolci! Se non fosse che sono un gentiluomo avrei già accarezzato il barone con uno dei miei manrovesci.

ELISABETTA: Questa faccenda del barone non mi convince. Che cosa avrà in mente quella donna? Mah… [si accosta a Leopoldo] Vieni qui, scimmiotto urlante, e fatti coccolare.

LEOPOLDO: Oh, sì, mia patata islandese. La mia insalatina di bosco… Picci-picci miao-miao.

ELISABETTA: Oh, che dolce! Aiuto. Su, tesorino, fammi il verso del gorilla di montagna.

LEOPOLDO: [si mette d’impegno] Uga-uga-bongo-bongo!

ELISABETTA: [ride] Ah ah! Che bravo che sei. [fa capire al pubblico che lo trova patetico] Vieni, amore. Se quei due fanno una passeggiata per casa, andremo ai giardini a goderci la frescura.

LEOPOLDO: Ottima, idea, amorina dolce.

[escono a braccetto]

[musica: Inno nazionale tedesco (solo musica)]

SCENA UNDICESIMA

Von Strudel solo

[entra il barone, circospetto, guardandosi attorno]

BARONE: Ehilà! C’è nessuno qvi? Ehilà! Qvalcuno in qvesta casa? [indispettito] Oh, Gott! Io essere allipito. Topo un fiaggio così lunco da Cermania io cercare un poco di riposo. Cittadini tire me che Accornero essere molto ospitali, ja. Io venire qvi…e porta essere aperta. Qvalche serfo spatato lasciare aperta, forse. Allora io pussare, ma nessuno. Io entrare, ma nessuno. Io salire scale, ma non trovare nessuno neanche qvi. Io essere feramente allipito. A me, parone Von Strudel, qvesto mai capitato. Io spero essere qvalcuno di là, oppure io essere ospite non saputo.

[va verso l’uscita dalla parte opposta da cui è arrivato] Ehilà! Ehilà!

[esce]

SCENA DODICESIMA

Don Antonio (travestito)

[entra don Antonio]

D. ANTONIO: Accidenti! Per fortuna la signora Cornelia è stata trattenuta dalla cuoca. Per tutto il tempo in cui abbiamo passeggiato ho avuto il timore che il signor Leopoldo balzasse fuori da qualche armadio o da dietro qualche mobile e mi azzannasse al collo.

Maledetto me quando…! Oh, Signore, perdona il tuo servo perché costretto da cause di forza maggiore…sì, insomma, dalla minaccia femminile, a comportarsi in modo tanto indegno. Spero solo che tutto finisca presto.

E poi questo vestito non è della mia taglia…

[si finge che salti un bottone]

D. ANTONIO: Ehi! Il bottone! È saltato! Fermatelo!

[si getta verso il bottone e cerca di raccoglierlo]

D. ANTONIO: Fermati! Non fuggire così! Fermo! Fermo!

[insegue il bottone da un lato e dall’altro; poi sparisce dietro le quinte. Si ode un botto e don Antonio ricompare stordito (ha sbattuto la testa contro un ostacolo): vacilla e farfuglia parole incomprensibili con sguardo ebete. Barcolla fino quasi in centro al parco, poi si porta fin dietro il divano e lì si accascia svenuto e occultato alla vista]

SCENA TREDICESIMA

Von Strudel solo

[entra il Barone]

BARONE: Incretipile! Qvesta casa essere apitata ta fantasmi. Io non trofato persona. Io pisogno ti setere. Forse se io aspettare qvi qvalcuno fenire. Ja, puona itea.

[siede, sospirando sollevato] Aah, mie campe semprare tue würstel topo essere in pieti ta qvesta mattina.

SCENA QUATTORDICESIMA

Cornelia e Von Strudel

[entra Cornelia]

CORNELIA: Oh, al fine vi trovo. Dove vi eravate andato a cacciare?

BARONE: Finalmente una tonna. Madame, lasciate io mi presenti: Parone Otto Von Strudel di Cermania. [fa una riverenza a Cornelia]

CORNELIA: [ride] Ah ah! [s’inchina] Cornelia Accornero, lietissima.

BARONE: Cornelia? Qvale nome singolare, ja.

CORNELIA: [divertita] Vedo che vi siete esercitato con l’accento.

BARONE: Preco?

CORNELIA: Tra poco saranno tutti qui per il the. Voglio far impazzire di gelosia Leopoldo.

BARONE: Io potere conoscere patrone di casa? Sentito parlare bene di Leopolto Accornero.

CORNELIA: [divertita] Bene, bene, avanti così. Sono impressionata dai vostri miglioramenti.

BARONE: Qvando noi incontrare altra folta? Crazie, madame, in effetti io afuto qvalche tifficoltà imparare lingva. Italiano non facile, ja.

CORNELIA: Ah, certo che lo so. Permettete che ve lo dica, ma avete un po’ la testa di coccio.

BARONE: Testa di coccio? Che significa?

CORNELIA: Ricordate di starmi vicino e di secondarmi. [provocante] Io sarò infatuata dalle vostre parole; penderò dalle vostre labbra.

BARONE: Cra-crazie, madame. Che tonna intricante.

CORNELIA: [guardando all’esterno] Eccoli, stanno arrivando. [al Barone] Prego, porgetemi il braccio.

BARONE: Come tesiterate. [le porge il braccio]

SCENA QUINDICESIMA

Detti, Leopoldo, Elisabetta e Ammazzacavilli

[entrano Leopoldo con Elisabetta e il notaio Ammazzacavilli]

CORNELIA: [ride, rivolta al barone] Ah ah ah! Che mattacchione! Siete davvero divertente, barone.

BARONE: Eh? Io non capire.

LEOPOLDO: Cara…

CORNELIA: [si volge a loro] Oh, bentornati. Il barone mi stava deliziando con certe storielle… È una persona così gradevole… [al Barone] Prego, sedete, mio caro.

[Cornelia e il Barone si accomodano sul divano; Elisabetta e Leopoldo prendono le sedie attorno al tavolo e seggono; Ammazzacavilli resta in piedi]

LEOPOLDO: [a Elisabetta, a parte] Li ho visti passeggiare in giardino, mentre quello scorfano le sussurrava all’orecchio; e ora le racconta le storielle. Neanche fosse un amico di vecchia data! Ma io lo…

ELISABETTA: [a Leopoldo, a parte] Fermo, tesorino. Non sarebbe elegante spaccargli un bastone in testa. [acidula] Ma è evidente che tua moglie sembra stimarlo assai.

LEOPOLDO: [idem] Già, vedo… [al barone] Vi siete ambientato bene, vedo, caro barone.

BARONE: Io non cretere noi già presentati. Foi tofere essere Herr Accornero, ja?

LEOPOLDO: Mi stupisce che non vi ricordiate di me. [a Elisabetta, piano] Mi prende anche per scemo!

BARONE: Noi già incontrati? Io non ricordare.

CORNELIA: Il barone dev’essere un po’ stanco a causa del viaggio, non è vero?

BARONE: Ja, natürlich, Madame Cornelia. Fiaccio molto lunco e strate tifficili. Ma io cià in Italia da mese; io non stanco.

LEOPOLDO: Ma non avevate detto di essere appena giunto nel nostro Paese?

CORNELIA: [al Barone, sottovoce] Ma cosa dite? [a tutti, ridendo] Ah ah! Il barone è davvero un buontempone. Stava scherzando, ovviamente.

BARONE: Io non capire. Italiani parlare in modo più difficile di quanto io pensare.

SCENA QUINDICESIMA

Tutti

[entra Orazio recando il vassoio del the]

ORAZIO: Signora, ho preparato dell’altro the.

CORNELIA: Hai fatto bene, Orazio. [al Barone] Barone, ne desiderate una tazza?

BARONE: Nein, danke. Io non essere apituato al the.

LEOPOLDO: [a mezza voce] Oh, giusto. Voi crucchi bevete solo birra.

CORNELIA: [a Leopoldo] Caro, non essere scortese. [al Barone, seducente] Suvvia, provate almeno uno di questi biscottini preparati da me medesima.

LEOPOLDO: [stizzito, a Elisabetta] Guarda come lo serve! È vergognoso!

ELISABETTA: [a Leopoldo, piano] Calmati, amorino. [al pubblico] Lo sta provocando, questo è certo.

[Orazio serve una tazza di the al notaio]

ORAZIO: [al notaio, piano] Che sta accadendo, notaio?

AMMAZZAC.: [a Orazio, piano] Preparatevi ai fuochi d’artificio. Temo che fra poco farà parecchio caldo, qui.

ORAZIO: È meglio che avverta i pompieri?

CORNELIA: [al Barone] Allora? Che ne dite? Che ne dite?

BARONE: Teliziosi, feramente teliziosi. Foi afere manine t’oro, Madame.

CORNELIA: [piano, al Barone] Bene così. [al tono consueto] Suvvia, prendetene un altro. Non fatevi pregare. [lo imbocca con grazia]

BARONE: Ma, Madame…fi preco…siete troppo puona…

CORNELIA: Ma che dite? È un piacere. Su, aprite la boccuccia…

[Leopoldo, stizzito, si alza]

AMMAZZAC.: Fuoco alle polveri!

LEOPOLDO: [stizzito] Adesso basta! Non posso sopportare oltre di vederti civettare con questo damerino alemanno! È una vergogna!

BARONE: [sorpreso] Come foi chiamare me? [irritato] Come osare? Me mai tetto una cosa così. Io…

CORNELIA: [lo interrompe] Tacete, reverendo. [a Leopoldo] Sentite da che pulpito! Cialtrone fedifrago! Tu parli, tu che mi tradisci con quella serpe in gonnella? [punta il dito verso Elisabetta]

ELISABETTA: [sbalordita] Eh? Serpe in gonnella a me?

LEOPOLDO: Ma cosa…?

CORNELIA: Non negarlo! V’ho visti… “passerotto burgundo”…

BARONE: [stizzito] Io centiluomo, non potere permettere di essere trattato così. Io non mai insultato…

LEOPOLDO: [lo interrompe] Tacete, voi! [a Cornelia] Ci hai spiati, dunque!

CORNELIA: Una moglie non ne ha forse il diritto?

LEOPOLDO: [imbarazzato] Ebbene…non posso negarlo… Sì, ti ho tradita.

CORNELIA: [trionfante] A-ah! Finalmente confessi!

LEOPOLDO: [indispettito] …ma vedo che tu non hai perso tempo a trovarti qualcun altro.

ELISABETTA: [a Leopoldo, piano] Bravo! Digliele così, mio vol-au-vent!

CORNELIA: [sghignazza] Ih ih! Marito sciocco. Ho in serbo una bella sorpresa per te. [al Barone] Su, reverendo, toglietevi la barba.

BARONE: Cosa dite? Io non capire, ma sapere di folere perdoni di qvell’uomo.

CORNELIA: Cosa state dicendo? Su, toglietevi la barba.

BARONE: Foi nobiltonna, Madame Cornelia. Ma fostro marito fillano dei fillani.

LEOPOLDO: Ah, insulta anche il mangiapatate?

AMMAZZACAVILLI: Ho un tremendo sospetto…

ELISABETTA: [al pubblico, gaudente] Aspetta, aspetta! Vedo l’affare! Se gioco bene le mie carte… [a Leopoldo] Dille tutto quello che pensi, canovaccio veronese; lei non ti merita!

CORNELIA: [scocciata] Reverendo, la mascherata è finita. V’ho detto di togliervi la barba. [gli afferra la barba e tira, ma questa non viene via]

BARONE: [grida di dolore] Ahiii!

CORNELIA: [sbigottita] Oh, cielo!

BARONE: [infuriato] Che affronto! Che insulto!

CORNELIA: [idem] Non è possibile…

LEOPOLDO: [infuriato] Moglie scellerata! Non basta che mi tradisci, ma abusi anche della mia pazienza e lasci che sia insultato da questo zotico! Ora basta!

ELISABETTA: Vai così, amoruccio!

LEOPOLDO: Se è questo che vuoi, non sarò certo io a impedirlo.

CORNELIA: [spaventata] Che dici?

LEOPOLDO: Se entrambi abbiamo un amante, è evidente che questo matrimonio ha cessato di funzionare. Perciò io chiedo il divorzio!

ELISABETTA: [a Leopoldo] Sì, sì, bravo!

CORNELIA: [disperata] No, Leopoldo, ti prego. Questo non è il barone. È il reverendo…cioè, avrebbe dovuto essere don Antonio, ma non è lui… io non capisco più niente…

LEOPOLDO: Pretendi anche che io creda a questa menzogna? Vuol dire che in tutti questi anni non hai capito chi è Leopoldo Accornero!

[N.B.: fino alla conclusione delle scena, dopo aver esaurito la propria battuta, i personaggi continuano a borbottare tra sé per alimentare la confusione generale]

LEOPOLDO: Divorzio!

BARONE: Fergogna!

CORNELIA: Oh, cielo!

ELISABETTA: Gioisco!

LEOPOLDO: Inganno! Raggiro!

BARONE: Così non si fa!

CORNELIA: Pietà! Pietà!

AMMAZZAC.: [al pubblico] Che complicazione!

[*la graffa indica che le battuta vanno pronunciate in parallelo dai tre personaggi]

LEOPOLDO: Divorzio!                  Divorzio!                Oh, certo!

BARONE:                Fergogna!                                                 Oh, sì!

CORNELIA:                   Oh, santi!               Leopoldo!                 Sciagurata!

AMMAZZAC.: [al pubblico] Che pasticcio!

LEOPOLDO: Sono stanco! Sono stufo! Divorzio ho detto, e divorzio sarà!

BARONE: Un cafalier tella mia sorte! Chieto le scuse…Oh, sicuro!

CORNELIA: Sono allibita! Sono sconfitta! È la rovina! È la disfatta!

AMMAZZAC.: [al pubblico] Che confusione!

ELISABETTA: [al pubblico] Che trionfo!

LEOPOLDO: [deciso] Divorzio ho detto, e divorzio sarà! Divorzio! Divorzio!

[esce seguito da Elisabetta]

BARONE: [offeso] Foglio le scuse, e le scuse mi son tofute! Oh, sì! Oh, sì! [esce]

CORNELIA: [disperata] Oh, dio! Rovina! Sciagura! Mi sento male! Notaio, soccorretemi! [si accascia sul divano. Ammazzacavilli si accosta a lei e le prende la mano] Orazio! Orazio! Orazio!

[Orazio avanza sul proscenio]

ORAZIO: [al pubblico] Qualcuno ha una pastiglia contro il mal di testa?

[musica: W. A. Mozart, Il flauto magico – Ouverture (ultimi 30 sec ca.)]

[i personaggi escono a scena aperta: Leopoldo a braccetto con Elisabetta, Cornelia disperata sostenuta da Orazio e scortata da avvocato e parroco. Quando la musica termina il sipario dev’essere chiuso]

Cala il sipario


Atto Terzo

***Il giorno seguente***

Si alza il sipario

SCENA PRIMA

Cornelia, Ammazzacavilli e Don Antonio

[Cornelia è distesa sul divano. Accanto a lei una scatola di fazzoletti]

CORNELIA: [disperata; si soffia il naso] Povera me! Me disperata!

AMMAZZAG.: Non vorrei mettere il dito nella piaga, ma noi abbiamo cercato di avvertirvi che la vostra macchinazione presentava dei rischi.

CORNELIA: [soffia il naso con grande rumore. Getta via il fazzoletto e ne prende un altro] Notaio, compatitemi. Allora ero una donna tradita e arrabbiata. Ora sono una donna tradita, disperata e sull’orlo del divorzio.

AMMAZZAG.: A proposito: stamane Leopoldo mi ha pregato di preparare i documenti per la separazione.

CORNELIA: [sconsolata] Oh, me miserabile! Chi soffre più di me? [a Don Antonio] Reverendo, non dite niente? Non tentate di confortare una povera pecorella smarrita?

D. ANTONIO: Che strazio! Mia cara, rincuorarvi è mio dovere, ma permettetemi di essere sincero. Il vostro temperamento autoritario non ha per nulla giovato a indirizzare Leopoldo verso un’altra donna.

CORNELIA: È vero, è vero! Ma sono pentita. Credetemi. Sono pronta a mettermi da parte, a recitare la mia parte di buona e docile moglie. Ma rivoglio il mio Leopoldo! [si soffia il naso con gran rumore]

AMMAZZAG.: Per il momento non c’è nulla che possiamo fare.

CORNELIA: [idem] Ahimé, lo so! Ora vi prego, lasciatemi sola.

AMMAZZAG.: Entro domani i documenti saranno pronti, temo.

D. ANTONIO: Pregherò affinché per allora l’amore possa ricostruire il ponte che vi ha uniti nel matrimonio.

CORNELIA: Grazie. Ora andate.

 [Ammazzaavilli e don Antonio escono]

SCENA SECONDA

Cornelia e Orazio, poi Von Strudel

[entra Orazio]

ORAZIO: Signora.

CORNELIA: Che c’è ancora, Orazio?

ORAZIO: Il barone Von Strudel desidera vedervi.

CORNELIA: Il barone? Fallo entrare.

[Orazio esce; entra il Barone]

BARONE: Guten morgen, Madame Cornelia. Foi sentire meglio?

CORNELIA: [ironica] Una delizia, barone. A cosa devo la vostra visita?

BARONE: Ecco, io… non afere capito bene cosa successo ieri. Solo cran confusione, fostro marito urlare, io arrappiato…

CORNELIA: [si dispera] Buuuh! Insensibile! Perché mettete il dito nella piaga?

BARONE: Inzomma, io capire foi ora sola.

CORNELIA: [idem] Ah, e insiste!

BARONE: Io capito fostro marito appantonato foi.

CORNELIA: [idem] Buaaah!

BARONE: Ma, ecco, se foi interessa…io lipero.

CORNELIA: [sbalordita, smette di piangere] Eh? Cosa avete detto?

BARONE: Io mai stato sposato. Io pensare essere bene prentere moglie, finalmente. E io creto foi fare me crande onore, Cornelia, se accettare.

CORNELIA: [allibita] Ma…io, ecco…insomma…

BARONE: Se non folete rispontere atesso, avrò pazienza. Io partire da qvi tra due ciorni: allora foi tire me cosa teciso. T’accorto?

CORNELIA: E sia, barone. Avrete una risposta.

BARONE: Io felice. Aufwiedersehen, Madame Cornelia.

[il Barone esce]

CORNELIA: Cielo! Anche la proposta del barone mi doveva capitare. Sono confusa… Ma non posso accettare. Io amo mio marito! E non voglio sposare un altro uomo! E non voglio nemmeno divorziare! Ma cosa posso fare?

Ohimé, che mal di testa. Ho bisogno d’una boccata d’aria. Una passeggiata mi schiarirà le idee.

[esce]

SCENA TERZA

Elisabetta sola

[entra Elisabetta; circospetta si guarda intorno; tiene un calamaio con piuma d’oca e alcuni fogli di carta]

ELISABETTA: Bene, non v’è nessuno.

[si siede e si prepara a scrivere]

Cara…anzi, carissima Mafalda,

ho sentito il bisogno di scriverti perché eventi meravigliosi sono accaduti.

Come ti avevo preannunciato, ho trovato un bel pescione danaroso, tale Leopoldo Accornero, un ometto insignificante, passivo, subordinato, insomma una nullità sottomessa alla moglie.

Come ben immaginerai, con le mie doti non è stato difficile farlo abboccare. Era mia idea di operare come al solito, cioè di spolparlo fino all’ultimo denaro a furia di regalini e vestiti e gioielli. Ma stavolta la Fortuna mi ha riservato una sorpresa imprevedibile.

Ieri qui è scoppiato il pandemonio perché Leopoldo ha scoperto che la moglie lo tradisce con un tedesco, e ha deciso di scaricarla.

Capisci l’opportunità? Potrei diventare la nuova signora Accornero, vivere negli agi e nel lusso, coccolata da un marito fedele come un cagnolino, che non dubiterà mai della mia onestà e non saprà nulla delle mie scappatelle con i bei giovanotti della città.

Che gran momento è questo, Mafalda mia. Sia lode alla fortuna!

Ti lascio, ora, e prometto di informarti sugli sviluppi.

Tua, Elisabetta.

[ride; piega il foglio, raccoglie le sue cose e fa per andarsene]

SCENA QUARTA

Elisabetta e Orazio

[entra Orazio con una fioriera; Elisabetta non se ne avvede e i due si scontrano; i fogli volano a terra; la lettera cade distante]

ELISABETTA: Ops! Vi chiedo scusa, Orazio. Non so proprio dove ho gli occhi. [raccoglie le sue cose]

ORAZIO: Nessun problema, signorina.

ELISABETTA: [al pubblico] Questo Orazio mi sembra troppo furbo. Quando sarò la padrona di casa sarà bene licenziarlo. [ride] Ah ah!

[Elisabetta esce]

[Orazio sistema la fioriera sul tavolo; fa per andarsene, quando vede la lettera sul pavimento]

ORAZIO: E questa cos’è? [la raccoglie] Una lettera? Dev’essere di Elisabetta.

[inavvertitamente la apre]

[mentre la guarda, chiama verso l’esterno] Signorina Elisabetta! Signorina… [s’interrompe; legge con più attenzione] Ah…Ah!...Ah! Ma senti un po’, la nostra giovane cameriera. Credo che questo interesserà moltissimo alla signora.

[guarda verso l’esterno]

Ah, giusto lei.

SCENA QUINTA

Orazio e Cornelia

[entra Cornelia]

ORAZIO: Signora, capitate a proposito.

CORNELIA: Che vuoi dire?

ORAZIO: Leggete, leggete, e poi mi direte. [le porge la lettera]

CORNELIA: [legge, con un’espressione sempre più sdegnata] Ah!...Ah!...Ah! [furiosa] Quella piccola vipera! È così, dunque! Sono arrabbiata; no, sono furiosa! [a Orazio] Dove l’hai trovata?

ORAZIO: Qui per terra. Dev’esserle caduta.

CORNELIA: E ciò quando è accaduto?

ORAZIO: Una manciata di minuti or sono, signora. Credo che ancora non si sia accorta d’averla perduta.

CORNELIA: Bene. [furente] Orazio, la mia mente non è mai stata più lucida. Ho idea di voler girare contro quella piccola serpe questa sua confessione.

ORAZIO: [compiaciuto] Credo che non ci sarebbe nulla di più adatto, signora.

CORNELIA: [impaziente] Va’ a chiamare Don Antonio e Ammazzacavilli. Che vengano qui subito.

ORAZIO: Comandi. Povera fanciulla; fossi in lei, scapperei in America. [esce]

SCENA SESTA

Cornelia sola

CORNELIA: [furente] Ah, ragazzetta impudente. Ti sei giocata con le tue mani. Ora vedrai di cosa è capace Cornelia Accornero. Ah, vedrai…

Mi voglio vendicare di questa rubamariti, anche a nome delle sue precedenti vittime. Oh, sì che mi vendicherò! [ride compiaciuta] Ah ah ah!

[esce]

SCENA SETTIMA

Elisabetta, poi Orazio

[entra Elisabetta affannata]

ELISABETTA: [sconfortata, frugando da ogni parte] Dov’è? Dov’è? Me miserabile! Me sciagurata! Dov’è la lettera? Possibile che mi sia caduta? Se finisse nelle mani sbagliate… Oh, cielo! Se la leggesse Leopoldo!... Proprio adesso, a un passo dalla vittoria! Maledetta idiota! Proprio adesso doveva accadere!

Dannata sfortuna! [si fa aria] Ah…calmati, arrabbiarsi non serve a nulla. La valigia è pronta; potrei fuggire in qualunque momento. Ma se fosse ancora qui…non posso perdere questa occasione!

[entra Orazio]

ORAZIO: Guarda come si affanna, la povera sciagurata. Signorina Elisabetta.

ELISABETTA: [si ricompone] Sì? Che c’è, Orazio?

ORAZIO: La signora desidera incontrarvi. Dice di avere qualcosa che vi appartiene.

ELISABETTA: Ah, sì?

ORAZIO: Tra cinque minuti nella sala da the. Siateci. [s’inchina ed esce]

ELISABETTA: [risoluta] Ah, bene. Posso immaginare cos’abbia la signora che mi appartiene. Ma se quella vecchia strega pensa che mi farò ricattare non ha fatto bene i conti. Quando quella lettera avrà smesso di esistere, voglio proprio vedere se Leopolduccio crederà di più alla sua amorevole amante o alla becera e infedele moglie.

A noi due, signora. Ah-Ah!

[esce con passo deciso]

SCENA OTTAVA

Leopoldo, poiAmmazzacavilli e Don Antonio

[entra Leopoldo con il libro dell’Atto Primo; siede sul divano e inizia a leggere]

LEOPOLDO: [soddisfatto] Ah, finalmente pagina due!

[D. ANTONIO dall’esterno: Si può?]

LEOPOLDO: [inferocito] Noooo! Basta! State lontani! Che non si possa avere un attimo di pace! Via! Sciò! Fuori!

[entrano Ammazzacavilli e don Antonio, con timore; il notaio sventola un fazzoletto bianco]

AMMAZZAC.: Ehm…veniamo in pace.

LEOPOLDO: Oh, vi chiedo scusa, signori. È che gli avvenimenti di ieri mi hanno un poco scombussolato.

D. ANTONIO: Proprio per questo siamo venuti.

AMMAZZAC.: Siete proprio sicuro di voler abbandonare vostra moglie?

LEOPOLDO: Mai stato più convinto.

D. ANTONIO: Leopoldo, ascoltate me che son pastore d’anime. Il divorzio è cosa seria. Siete assolutamente certo di voler abbandonare quella povera donna indifesa?

LEOPOLDO: “Indifesa” non direi proprio.

D. ANTONIO: In effetti…

LEOPOLDO: E comunque sono assolutamente certo.

D. ANTONIO: Completamente?

LEOPOLDO: Interamente.

D. ANTONIO: Innegabilmente?

LEOPOLDO: Irrefutabilmente.

D. ANTONIO: Indiscutibilmente?

LEOPOLDO: Inconfutabilmente.

D. ANTONIO: Inoppugnabilmente?

LEOPOLDO: I… [non trova una parola adeguata]

D. ANTONIO: A-ah! Ho vinto! Ho vinto!

AMMAZZAC.: [a don Antonio] Ma che fate?

LEOPOLDO: [confuso] Sì…beh, no…insomma, io voglio il divorzio; voglio poter scaricare quella donna rompiscatole e rifugiarmi tra le braccia della mia Elisabetta… [smanceroso] la mia zuccotta sghemba putritudinosa…

AMMAZZAC.: [smorfia di disgusto] Bleah!

D. ANTONIO: [smorfia di disgusto] Bleah!

AMMAZZAC.: Caro amico, quello che vogliamo farvi capire è che magari adesso siete arrabbiato e volete rompere a tutti i costi. Ma, a latere, avete considerato che potreste pentirvene?

D. ANTONIO: Esatto, esatto.

LEOPOLDO: Ma io non credo che…

AMMAZZAC.: Pensate a tutti i bei momenti che voi e Cornelia avete passati insieme, al vostro primo incontro…

D. ANTONIO: Sì, sì, proprio così. Pensateci.

LEOPOLDO: [perso nei ricordi] Oh, quanto tempo è passato…

AMMAZZAC.: Pensate alle nottate romantiche trascorse guardando la luna, ai segreti confidati all’orecchio, alle promesse fatte l’uno all’altro…

D. ANTONIO: Oh, mi commuovo… [soffia il naso con gran rumore]

[Leopoldo è sognante, perduto nelle memorie]

AMMAZZAC.: Pensate a quanto ancora può offrire un uomo interessante come voi ad una donna come Cornelia e viceversa.

D. ANTONIO: [tra sé] Certo, però, che anche quel barone è un uomo interessante.

LEOPOLDO: [si riprende, stizzito] Ah! Avete sentito? Un uomo interessante! E mia moglie lo guarda cogli occhi dolci! Ah, che rabbia!

AMMAZZAC.: [a don Antonio] Ma cosa dite? Tacete!

D. ANTONIO: [confuso] Eh? Che c’è?

AMMAZZAC.: Leopoldo, non fatevi ingannare da quel che credete.

LEOPOLDO: Che volete dire?

AMMAZZAC.: [alza la mano per giurare] Ve lo giuro fides pro fide, che nulla di indegno si è consumato tra vostra moglie e quel tedesco.

D. ANTONIO: [imita il notaio] Sì, fides pro fida.

AMMAZZAC.: [a don Antonio, piano] Si dice “pro fide”.

D. ANTONIO: Sì, “fida”, “fide”…è uguale…

AMMAZZAC.: [a Leopoldo] E poi…dovete fare attenzione al lutum sub aquam.

LEOPOLDO: Eh? A chi?

AMMAZZAC.: Intendo dire che alla verità che si nasconde sotto le apparenze. Vedete…

D. ANTONIO: Sta venendo qualcuno.

AMMAZZAC.: [lo prende per braccio] Venite, mettiamoci di qua.

LEOPOLDO: Dove, di qua?

D. ANTONIO: [lo prende per braccio dall’altra parte] Qui dietro; così non saremo visti.

LEOPOLDO: [confuso] Che significa? Perché non dovremmo essere visti?

AMMAZZAC.: Fidatevi di noi. Poi capirete.

LEOPOLDO: [riluttante] Ma io…

D. ANTONIO: Coraggio…

AMMAZZAC.: Fides pro fide, come si dice.

D. ANTONIO: Sì, giusto! Fides pro fido.

AMMAZZAC.: “Fide”.

D. ANTONIO: Sì, sì, quello che è.

[il notaio e il reverendo portano Leopoldo sul fondo della scena, dove restano immobili e in parte nascosti ad assistere ai successivi avvenimenti]

SCENA NONA

Detti, Elisabetta e Cornelia, poi Orazio

[entra Elisabetta]

LEOPOLDO: Ma è Elisabetta.

AMMAZZAC.: Sshhht!

[entra Cornelia dalla parte opposta]

CORNELIA: Benvenuta, mia cara.

[le due si guardano con aria di sfida]

ELISABETTA: La signora voleva vedermi?

CORNELIA: Sì, Elisabetta. [cava la lettera, piegata] Credo che questa sia tua, non è così?

LEOPOLDO: Che sta accadendo?

AMMAZZAC.: Stiamo a guardare.

ELISABETTA: Può darsi che sia mia. Dunque?

CORNELIA: [ride] Ah ah! Sei proprio scaltra, ragazza mia. [provocatoria] Peccato che ti sia rovinata con le tue stesse mani.

ELISABETTA: Se pensate che così facilmente io possa confessare qualche cosa, siete davvero una sciocca.

LEOPOLDO: Ma che significa? Non capisco.

D. ANTONIO: Pazientate un poco.

CORNELIA: Oh, no, non credo che lo farai. Ma non ho bisogno di una confessione. È già tutto qui. [indica la lettera] Voglio proprio vedere se Leopoldo crederà alla sua “matrioska iberica” o a me, dopo che l’avrà letta.

ELISABETTA: [avanza lentamente verso Cornelia] Non siatene così sicura. Ci sono molte cose che ancora possono cambiare. E poi Leopoldo ama me.

CORNELIA: Tu non sai nemmeno cosa sia l’amore, mia cara.

ELISABETTA: [idem] Può darsi. A questo punto, però, mi vedo costretta a metodi poco femminili.

[scatta; si avventa su Cornelia e afferra la lettera]

ELISABETTA: A me la lettera!

CORNELIA: [cerca di trattenere il foglio] Ah, maledetta!

[lottano]

ELISABETTA: Datemi la lettera!

CORNELIA: Mai!

ELISABETTA: Datemela!

[si strattonano e si spintonano, ambedue avvinghiate alla lettera. Infine, Elisabetta riesce a sottrarla dalle mani di Cornelia]

ELISABETTA: Ah, è mia!

[strappa la busta con foga quasi fino a farne coriandoli; Cornelia resta a guardarla senza espressione]

ELISABETTA: [getta via i coriandoli] Ecco!

LEOPOLDO: Ora basta! Ho visto abbastanza. [si fa avanti, seguito dal notaio e da Don Antonio] Che sta succedendo qui?

[Elisabetta e Cornelia sono sorprese]

ELISABETTA: Oh, tesorino mio, è stato terribile! Tua moglie…[guarda Cornelia con disprezzo] anzi, la tua ex-moglie…ha tentato di minacciarmi!

LEOPOLDO: [a Cornelia] È così?

CORNELIA: [a Leopoldo] Marito sciocco. Se i tuoi occhi non fossero ottenebrati dallo zucchero che codesta ti versa addosso, forse vedresti che genere di donna è.

ELISABETTA: [a Leopoldo] Vedi, amoruccio, continua ad accusarmi ingiustamente. [a Cornelia] Ci vogliono le prove, signora, per accusare qualcuno.

CORNELIA: Ma le prove ci sono, mia cara.

ELISABETTA: [raccogli alcuni brandelli della lettera dal pavimento] Forse vi riferite a questi. Peccato che non siano leggibili.

CORNELIA: Oh, ma come sono distratta! Quella era la lista della spesa. Ma forse tu ti riferivi [estrae un’altra lettera, che è l’originale] a questa.

ELISABETTA: [spaventata] No!

LEOPOLDO: Cos’è quella?

CORNELIA: Leggi, caro, leggi.

ELISABETTA: [cerca di trattenere Leopoldo] Amoruccio, è un’altra macchinazione di quella donna…

LEOPOLDO: Fatemi vedere. [prende la lettera, l’apre e legge. La sua espressione diventa un misto di sbalordimento e rabbia]

[si volta di scatto verso Elisabetta, puntandola col dito] Tu! Maledetta!

ELISABETTA: Ti scongiuro, Leopoldo! È tutto falso! È tutto falso!

CORNELIA: Non c’è più tempo per le menzogne. [chiama, verso l’esterno] Orazio!

[entra Orazio con una saggina in mano]

ORAZIO: Sì, signora?

CORNELIA: Orazio, metti alla porta la nostra indesiderata ospite.

ORAZIO: [sorride] Con estremo piacere, signora. [avanza verso Elisabetta brandendo la saggina]

ELISABETTA: Che fate? No, fermo! Aiuto! Aiuto! [scappa ed esce, inseguita da Orazio]

SCENA NONA

Leopoldo, Cornelia, Ammazzacavilli e Don Antonio

LEOPOLDO: [sconfortato, si accascia sul divano] Oh, dolore, tormento, disgrazia! [a Cornelia] Ma non puoi lasciare andar via quella sfrontatella così.

CORNELIA: Non sono sprovveduta, tesoro. Sotto la sta attendendo il brigadiere. Sarà ben felice di tenerla un po’ al fresco. [al pubblico, maligna] Spero solo che l’umidità della prigione non comprometta la sua morbida pelle.

LEOPOLDO: Ohimé! Che sciocco sono stato! Ingannato da una ragazzina ambiziosa.

CORNELIA: Lasciatelo dire, ma ti sei fatto buggerare come un allocco.

LEOPOLDO: [sempre più disperato] Oh, sì. Che idiota!

CORNELIA: Infinocchiare come un imbecille…

LEOPOLDO: [idem] Sì.

CORNELIA: Panare come una triglia…

LEOPOLDO: [idem] Sì.

D. ANTONIO: Cornelia, vi prego…

CORNELIA: Friggere come un salmone…

LEOPOLDO: [idem] Sì!

AMMAZZAC.: Un po’ di tatto, per carità.

CORNELIA: Cuocere come un tacchino…

D. ANTONIO: [si lecca le labbra] Mi sta venendo fame…

CORNELIA: Indorare come un verro!

LEOPOLDO: [disperato] Ah, no! Non puoi dirmi questo! Tutto, ma un verro no!

CORNELIA: E invece sì!

LEOPOLDO: [idem] No!

CORNELIA: Sì!

LEOPOLDO: [idem] No!

CORNELIA: Sì!

LEOPOLDO: [idem] No!

AMMAZZAC.: Cornelia…

CORNELIA: Sì!

LEOPOLDO: [idem] No!

D. ANTONIO: Per Dio…

CORNELIA: Sì!

LEOPOLDO: [idem] No!

CORNELIA: Sì!

LEOPOLDO: [idem] No!

CORNELIA: Sì!

LEOPOLDO: [idem] No!

[Ammazzacavilli e Don Antonio intervengono]

AMMAZZAC.: Basta!

D. ANTONIO: Basta!

AMMAZZAC.: Smettetela!

D. ANTONIO: [a Cornelia, piano] Cornelia, per l’amor di Dio…

CORNELIA: [si vergogna] Ops…scusate, mi sono fatta prendere la mano…

LEOPOLDO: [lacrimevole] Oh, perdonami, cara! Sono stato veramente uno sciocco!

CORNELIA: In verità io domando il tuo perdono, per aver macchinato indegnamente con il barone [tra sé], vero o finto che fosse.

LEOPOLDO: Oh, no, non devi!

CORNELIA: E invece sì.

LEOPOLDO: Affatto.

CORNELIA: Insisto.

LEOPOLDO: E invece no.

CORNELIA: E invece sì.

LEOPOLDO: No.

CORNELIA: Sì

LEOPOLDO: No.

CORNELIA: Sì!

AMMAZZAC.: Signori…

LEOPOLDO: No!

CORNELIA: Sì!

D. ANTONIO: Per pietà…

LEOPOLDO: No!

CORNELIA: Sì!

LEOPOLDO: No!

[Ammazzacavilli e Don Antonio intervengono]

AMMAZZAC.: Basta!

D. ANTONIO: Basta!

SCENA DECIMA

Detti e Orazio

[entra Orazio]

AMMAZZAC.: È il momento che entrambi facciate ammenda.

CORNELIA: Giusto! Leopoldo, chiedo il tuo perdono per essere stata sempre così autoritaria con te, in tutti questi anni…

LEOPOLDO: [idem] Oh, ma che dici? Sventurata è la colpa che ho commesso…

CORNELIA: Leopoldo…

LEOPOLDO: [idem] Con che occhi potrai guardarmi d’ora in poi? Proprio non lo so.

CORNELIA: Leopoldo…

LEOPOLDO: [idem] Ah, mi pento d’ogni cosa, d’ogni parola detta, d’ogni…

CORNELIA: [scocciata] Leopoldo!

LEOPOLDO: Che c’è?

CORNELIA: [idem] Smettila! Ti ho già perdonato.

LEOPOLDO: Davvero? Sul serio?

CORNELIA: Certo, caro.

LEOPOLDO: [gioioso] Oh, grazie! Come sono contento! Che gioia! Che felicità!

D. ANTONIO: [commosso] (tira su col naso) Quasi mi commuovo…[con enfasi] e vi dichiaro marito e moglie!

TUTTI: Ma no!

ORAZIO [al pubblico] Che zucca vuota!

D. ANTONIO: [confuso, con un filo di voce] Scusate…mi sono lasciato trasportare…

ORAZIO: Signori, sono lieto di annunciarvi che la signorina Elisabetta è stata scortata via dalle guardie.

LEOPOLDO: Chissà che non impari la lezione.

CORNELIA: Può darsi… [a Orazio] Orazio, sareste così gentile da chiedere al barone Von Strudel di venire qui?

ORAZIO: Già fatto, signora. [al pubblico] Spero che questo mi valga una gratifica. [verso l’esterno] Prego, barone. [fa cenno d’entrare]

SCENA ULTIMA

Detti e Von Strudel

[entra il Barone]

BARONE: Foi cercare me, Madame Cornelia?

CORNELIA: Sì, signore. Ho riflettuto sulla vostra proposta, e sono rimasta molto lusingata della vostra disposizione nei miei confronti, ma devo rifiutare. Intendo restare sposata con mio marito ancora per molti, moltissimi anni.

BARONE: Io capire. So, non più necessario io resta.

[fa il baciamano a Cornelia] Felice di afere conosciuto, Madame.

CORNELIA: Onorata. [s’inchina]

BARONE: [a Leopoldo, stringendogli la mano] Come si tice qvi? Senza rancore?

LEOPOLDO: Le mie scuse per avervi offeso, barone.

BARONE: [al Notaio e Don Antonio] Signori… [facendo per andarsene, a tutti] Macari un ciorno io ospitare foi in Cermania.

CORNELIA: Può darsi che verremo a trovarvi. Chi può dirlo?

LEOPOLDO: Aspetta, cara. Che ne pensi di…?

CORNELIA: Una festa?

LEOPOLDO: Esatto.

CORNELIA: Sarebbe magnifico.

LEOPOLDO: Facciamolo, allora.

CORNELIA: Inviteremo tutto il quartiere!

LEOPOLDO: Certo. E ci sarete anche voi, barone, vero?

CORNELIA: [al barone] Oh, sì, restate, vi prego.

BARONE: Danke. Io molto felice; io restare.

CORNELIA: Allegria, amici! Questa sera faremo festa!

LEOPOLDO: [a Orazio] Orazio, prepara ogni cosa! Ci vogliamo divertire!

CORNELIA: [a Leopoldo] Ben detto, amore mio.

[tutti vociano allegramente]

ORAZIO: Signori, mi sia permessa una felicitazione eterodossa… Per il signore e la signora Accornero, ip-ip…

TUTTI: Urrà!

ORAZIO: Ip-ip…

TUTTI: Urrà!

ORAZIO: Ip-ip…

TUTTI: Urrà!

[musica: W.A. Mozart; Sinfonia n. 41 “Jupiter” – IV movimento (ultimi 20 sec ca.)]

[Cornelia e Leopoldo escono tenendosi per mano; segue il barone, poi Ammazzacavilli. Restano Orazio e Don Antonio che iniziano ad inchinarsi alternativamente (ciascuno vuole dare la precedenza all’altro); iniziano a guardarsi in cagnesco finché Orazio, stufo, assesta una pedata nel posteriore del reverendo, che esce dolorante. Orazio si inchina profondamente al pubblico ed esce mentre la musica si sta concludendo]

Cala il sipario

FINE