La ventiquattr’ore

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LA VENTIQUATTR’ORE

Commedia in due atti

di

Antonio Sapienza



1987



Personaggi:

Ercole Mazzullo……………………………..l’uomo con la ventiquattr’ore;
Ebe Mazzullo………………………………..sua moglie;
Ercole Mazzullo giovane…………………… ricordo;
Ebe Mazzullo giovane……………………….altro ricordo;
Lucy …………………………………………l’americana;
Il postino……………………………………..voglioso.


La scena si svolge nell’anticamera dell’aldila’.


Atto I

Sulla scena e’ stata posta una panchina da giardino pubblico. Tutt’intorno la scenografia deve evidenziare l’irrealta’ del luogo: tono sfumati, tulle, ondulazioni e tutti gli accorgimenti ed effetti atti a simulare l’anticamera dell’aldila’.
All’apertura del sipario, sulla panchina e’ seduta Ebe – una donna di incerta eta’, vestita di bianco, serena in viso, calma nei gesti – intenta a districare un’improbabile lavoro a maglia.
Musica adatta per sottolineare la etereita’ del personaggio in scena, del luogo e dell’incertezza temporale ( Luce sulla panchina e penombra ai lati del palco, quindi, intanto che ci sarà il dialogo tra i due, la penombra diventerà buio).Un minuto dopo entra in scena da sinistra, Ercole Mazzullo, un distinto signore della terza eta’, elegante nel suo vestito grigio, con occhiali cerchiati in oro, giornale in tasca e ventiquattr’ore in mano. Il suo aspetto e’ ancora gradevole: viso liscio, tirato, capelli grigi ben curati, baffetti a spazzola; l’andatura e’ ancora sciolta ed elastica. Giunto nei pressi della panchina, si guarda attorno come per rendersi conto del luogo in cui si trova, poi indeciso se continuare oppure no per la sua strada, girando su se stesso e ponendosi quasi dinanzi alla donna seduta nella panchina ( la quale non alza lo sguardo dal suo lavoro, ma sa di quella presenza0, da’ un’altra occhiata intorno a se, molto pensieroso, e, infine, come se avesse finalmente deciso qualcosa, fa spallucce, posa per terra la ventiquattr’ore, sfila il giornale dalla tasca, si siede sulla punta destra della panchina e si accinge a leggere. Ebe lo guarda sottecchi, sorride ironica, poi gli rivolge la parola.
Ebe – Finalmente sei arrivato ( senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro).-
Erc.- Prego? ( con aria di sufficienza). 
Ebe.- Dicevo: finalmente sei arrivato.-
Erc.- Arrivato? Scusi? ( infastidito)-
Ebe - Arrivato qui. (sorride maliziosa)-
Erc.- Signora si spieghi, non capisco…(finta cortesia e intanto cerca di vederla in viso)-
Ebe.- Arrivato qui, in questo luogo…-
Erc. - Beh, sia gentile signora, se vuole avere la cortesia di essere meno misteriosa la sto ad 
ascoltare, altrimenti avrei altre cose a cui pensare, mi perdoni…- 
Ebe. - Sempre lo stesso.-
Erc.- Lo stesso? Ma lei mi conosce, signora? (ritenta di guardarla in viso)-
Ebe .- Direi proprio di si, Ercole. (lo guarda in viso).-
Erc .- (riconoscendola e sbalordendo) Ebe! Ebe, sei proprio tu?-
Ebe. - Si caro, sono proprio io e ti stavo aspettando.(schiva un bacio e simula un abbraccio)-
Erc. - Aspettavi me? Qui? Ma allora, anch’io…( fa il famoso gesto con la mano)-
Ebe. – E si. Allora anche tu. (fa cenno che e’ defunto)-
Erc. – Quindi ci siamo ( breve pausa) anch’io…-
Ebe. – Gia’. Era soltanto questione di tempo. Ma non essere triste. Dimmi, piuttosto, come ti senti…adesso?-
Erc.- Mah! Bene, direi. Un po’ spaesato, confuso, certamente, ma in fondo sto bene. Certamente. sto bene. E tu? come stai tu? –
Ebe. - Non ho da lamentarmi. (pausa, poi guardandolo, quasi ammirandolo) Ti trovo in gamba, sai?-
Erc.- ( con una punta di vanita’) Sei gentile. Si, fisicamente mi sono tenuto forma, fin o a quasi…quasi prima di…prima di venire qui. Ma tu certamente saprai, vero?-
Ebe. – Qui si sanno tante cose. Ma non tutto. Non tutto. Per esempio non so nulla degli ultimi tempi, mentre so qualcosa degli intermedi e tutto sul passato. Ma tu non badarci. Dimmi, e’ stato duro?-
Erc.- Ti riferisci a cosa?-
Ebe. – Mi riferisco a quando rimanesti solo. Senza di me.-
Erc.- E si! I primi giorni furono veramente duri. Molto duri. Poi, pian piano…-
Ebe.- …ti consolasti.-
Erc.- E cosa avrei dovuto fare? Seguirti? Continuare a piangere? Fare il vedovo inconsolabile? Dimmi tu! ( scatta in piedi).-
Ebe.- Dai siediti, non ti scaldare come al solito tuo. Sei rimasto sempre lo stesso, non sei cambiato di una virgola. Su da bravo, siediti, qui le passioni sono ridicole. (suadente).-
Erc.- Mi spiace. Scusami tanto. Dovro’ abituarmi. D’altro canto, sono arrivato da cosi’ poco tempo…(si guarda attorno e si siede, con calma)-
Ebe.- Non ti scusare, e’ successo anche a me. Allora, ti consolasti?-
Erc.- Consolarmi propriamente no. Cercai di non pensarci spesso. Poi, col tempo…-
Ebe.- …dimenticasti.-
Erc.- No. Mai. (pausa) Pero’, si dice, il tempo rimargina tutte le ferite, anche le piu’ dolorose.-
Ebe.- Capisco. E come si chiamava?-
Erc.- Chi?-
Ebe.- La…consolazione.-
Erc.- Ma insomma quanto vuoi sapere. Cosa te ne importa? Mica ero un santo! (quasi adirato)-
Ebe- (calmissima) Guarda che stiamo iniziando la solita scenata tra marito e moglie. Parliamone con calma se vuoi. E se non vuoi parlarne, va bene lo stesso. Ma stai tranquillo, caro.-
Erc.- Scusami ancora una volta. Trovandomi nuovamente di fronte a te, sono tornato alle vecchie abitudini. Vedi e’ stato tutto troppo improvviso. (pausa) Ma come si possono dimenticare trent’anni di vita matrimoniale.- 
Ebe.- (asciutta) Trentacinque.-
Erc.- Va bene, trentacinque, che differenza fa? Sempre una vita e’. ( breve pausa) E che vita.-
Ebe.- Bella fu la nostra vita insieme, vero? Bella e dolce.-
Erc.- Bella, si. (breve pausa) Veramente bella. (pensieroso) Ci siamo amati teneramente, ma senza possesso; per anni e per un minuto; in presenza e in assenza…-
Ebe.- (interrompendolo) E no! In assenza proprio no! Almeno da parte tua.-
Erc.- Ma…ma perche’ dici cosi’?-
Ebe.- Ercole, te l’ho detto: qui non sappiamo nulla dei fatti recenti, ma conosciamo le cose del passato. Ed io, quindi, conosco tutto, dico tutto, dei tuoi anni trascorsi in America senza di me. Ora capisci?-
Erc.- (cercando di dissimulare un certo imbarazzo) Sai? Va bene, sai. Ma allora dovresti anche capire. Benedetta donna, come si fa a resistere tanti lunghissimi anni in terra straniera, clandestino, senza conoscere bene la lingua, senza un lavoro fisso, senza nessuna sicurezza, nessuna certezza.-
Ebe.- Ehi, ehi, stai parlando con me, caro, non mi propinare i soliti discorsi. Dai sii serio.-
Erc.- Sono serio. Stavo facendo solamente il quadro della situazione.-
Ebe.- Non e’ necessario…il quadro, andiamo ai fatti: mi tradisti.-
Erc.- Appunto, cercavo di dirti che tentai di resistere, (col gesto appropriato alla frase retorica) ma 
la carne e’ debole e non ci riuscii.-
Ebe.- Povero innocente (ironizzando sulla retorica). Forse anche lotto’, e, sfortunatamente, non ci riusci’.-
Erc.- ( non comprendendo l’ironia) Beh, forse non lottai tanto, forse.: ma mi sforzai, questo si. (breve pausa) Perbacco, per voi donne e’ piu’ facile. Ma gli uomini si sa, hanno esigenze diverse, necessita’ oggettive. (guardandola in viso serio) Se vogliamo pure e semplici funzioni fisiologiche, credimi! che non hanno nulla a che fare coi sentimenti. Si fa l’atto e basta. Tutto finisce li’. Senza strascichi ne conseguenze.- 
Ebe.- Anche con Lucy fu cosi’? -
Erc.- Lucy? Quale Lucy. Non capisco (intanto tormenta il giornale).-
Ebe.- Lucy Trovato, la contabile dell’Aircraft Company, nel Connecticut, non ti dice niente questo nome?-
Erc.- Ah, Lucy, Lucy Trovaty. (b.p.) Una buona amica.-
Ebe.- E gia’. Una buona amichetta, direi. Un’amica che sapeva tenere buona compagnia ai mariti soli soletti, poveretti…-
Erc.- E va bene, va bene. Ma, ma con lei fu un’altra cosa…-
Ebe.- Un’altra cosa?-
Erc.- Ma si, un’altra cosa. Insomma, niente di veramente serio, alla fin fine.-
Ebe.- Niente di serio? Forse cosi’? ( Ebe fa un ampio gesto con le braccio, come se volesse tracciare un cerchia nell’aria).
A seguito di quel gesto, nella parte opposta della scena - dove precedentemente, durante il dialogo dei due, saranno stati alzati, inosservati dal pubblico - i tulle di sinistra, apparira’ uno scorcio di giardino pubblico illuminato da effetto notte di luna piena. Ercole rimarra’ un attimo stupefatto, poi si alzera’ di scatto e guardera’ interrogativamente Ebe, che lo fissera’ con la solita aria ironica facendogli segno d’aspettare che cosa’ avverra’ da li’ a un momento. Difatti, con una musica appropriata ( potrebbe essere musica americana degli anni trenta), entreranno in scena Ercole giovane e Lucy. I due, sottobraccio, passeggeranno nel giardino, guardando la luna piena.
Questa scena, recitata dall’altra parte del palcoscenico, verra’ seguita attentamente da Ercole e Ebe, i quali verranno illuminati quanto basta affinche’ si possa vedere la relativa controscena.
Luc.- Sono felice, my darly, felicissima (languidissimamente).-
Erc.- Anch’io mia cara. (passeggiando si porteranno verso la panchina. Ebe e Ercole, di conseguenza si sposteranno verso la destra del palcoscenico) Vieni, siediamoci qui.-
Luc.- Ercole…meglio Col. Sai Col, ti ho mentito (sedendosi), per essere veramente felice mi manca qualcosa.-
Erc.- So cosa ti manca, mia cara. E credo che l’avrai presto, molto presto.(sedendosi a sua volta)-
Luc.- (impaziente) Presto quando?-
Erc.- Presto. Il piu’ presto possibile. (b.p.) Sai in Italia non c’e il divorzio. Si dovra’ ricorrere all’annullamento del matrimonio.-
Luc.- Non e’ la stessa cosa?-
Erc.- Magari. (b.p.) Vedi, l’annullamento lo dichiara la Chiesa Cattolica. E tu sai come sono pignoli e lunghi i preti prima di decidere qualcosa. Ci vorra’ del tempo, sicuro, ma l’otterro’.-
Luc.- (pimpante) E ci sposeremo.-
Erc.- (quasi rassegnato, a malavoglia) E ci sposeremo.-
Luc.- Ma Col, non sei contento anche tu?.-
Erc.- Si. Si (b.p.) Ma si…e che pensavo ai miei figli…-
Luc.- Ma Col, ti immalinconisci per cosi’ poco? Farai venire qui i tuoi figli, li manderai in un College, studieranno e si faranno largo nella vita americana. Sarebbe meraviglioso, Col.- ( Ebe fa l’adeguata e marcata controscena, come a voler dire: stai fresca!)
Erc.- Ti ringrazio Lucy. Ai miei figli non saprei rinunziare. Certamente, il College sarebbe un’ottima soluzione. E adesso vieni, abbracciami.-
Luc.- (schermendosi) Aspetta, stai buono, stiamo parlando. E dimmi, com’e’ tua moglie?-
Erc.- (staccandosi disilluso e contrariato) Ma lascia perdere mia moglie!-
Luc.- ( comprendendo lo sbaglio) Scusami darly, hai ragione, lasciamola perdere. I love you Col, my darly, my little latin lover.-
( Sempre adeguata controscena dei due: Ercole, imbarazzatissimo, vorrebbe quasi far tacere la donna, mentre Ebe sottolinea generosamente le frasi che la riguardano, intanto dal lato della panchina si fara’ buio per pochi secondi. Quando ritorna il chiaro lunare, i due giovani si sciolgono dall’abbraccio).
Luc.- Sai Col, io ho gia’ sottocchio la nostra futura casetta. E’ un piccolo Cottage, in campagna, ed il mare non e’ molto distante. Proprio come piace a te, my darly. Dai che lo so: a te il mare piace tantissimo.-
Erc.- Eccome! Ci sono quasi nato sopra.-
Luc.- Davvero? Raccontami, voglio sapete tutto di te.-
Erc.- La nave a bordo della quale viaggiavano i miei genitori, provenienti da Tripoli, era appena attraccata al molo, quando a mia madre vennero le doglie. Appena il tempo di fare una corsa in carrozzella verso l’Ospedale, e olpa’, nacqui io.-
Luc.- ( bambinescamente, battendo la mani) Com’e’ emozionante la tua storia.- 
Erc.- (orgogliosamente) Tutta la mia vita e’ stata avventura e pericolo. Figurati, gia’ a soli tre anni, fuggii di casa. Mi trovarono, due ore dopo, vicino al cassonetto della spazzatura, in cerca di chi sa che cosa.-
Luc.- (battendo le mani) Com’e’ eccitante.-
Erc.- (pavoneggiandosi) A dieci anni feci la mia prima dichiarazione d’amore: era una mia coetanea, ed era spiona: lo ando’ a spifferare subito alla madre, e sua madre alla mia. A quindici anni andai in Africa in cerca d’avventure…-
A questo punto fermo di scena tra i due giovani.
Ebe.- (sottovoce, con ironia) Emigrante, volevi dire, vero Col? –
Erc.- Prego, colono.-
Ebe,- E’ la stessa cosa!-
Riprende la scena fra i giovani.
Luc.- Il cottage ha un piccolo garage annesso, un fazzoletto di giardinetto, la cuccia del cane. E l’arredamento e’ quanto di meglio si puo’ trovare in questo momento in commercio: ampia cucina con frigorifero, tostapane, forno elettrico, fornello a gas a cinque fuochi, pensili laccati, tavolo regolabile e sedie stile old America.
Poi un piccolo living con radiobar, grammofono, telefono, tavolo da gioco, abatjour, sofa’, canape’.
E la camera da letto? Ah, se la vedessi, e’ un amore. Figurati, ha il letto apribile…-
Erc.- (contrariato) Come il letto apribile? Ma non si potrebbe…-
Fine della scena tra i giovani con il buio progressivo. Riprendono le luci su Ebe e Ercole che si avvicinano alla panchina lasciata libera dai giovani.
Ebe.- (sedendosi) E gia’, a lui da fastidio il letto apribile. A Col (sottolinea Col), quando viene la voglia, si deve far trovare il letto gia’ bell’e pronto per l’uso. (stizzita) Perche’ tu, il letto, lo identificavi con quell’affare… (in imbarazzo) con quell’atto, insomma con la sessualita’. ( accusatoria) Tu eri…tu eri…(offesa) Ma va la’!-
Erc.- ( contrariato) Io ero quello che ero. Ma tu chi eri? Eh, dillo chi eri!-
Ebe.- Chi ero, dillo tu.-
Erc.- Chi eri? Eri…eri un pezzo di ghiaccio, ecco cos’eri.- (incrocia le braccia e fa il broncio)-
Ebe.- Certo, capirai, se quando ti veniva la voglia non ti assecondavo subito e vogliosa, ovunque ci trovassimo, nei momenti piu’ impensati, allora per te ero un pezzo di ghiaccio.( scandalizzata) Ehi, mi hai accusato di frigidita’, capisci?-
Erc.- Non l’ho detto. Non ho detto questo. Io dico soltanto che qualche volta non partecipavi come avresti dovuto. (sconsolato, poi aggressivo) Suvvia, che vogliamo fare? Ci rinfacciamo i fatti? E allora eccoti accontentata: Cosa facesti tu per seguirmi in America? Cosa fosti disposta a rinunziare per stare col tuo uomo? Cosa sacrificasti?-
Ebe.- (ritornando calma) Tutto avrei sacrificato per te. Tranne i figli.-
Erc.- Ecco finalmente che lo ammetti: non volesti venire da me per non lasciare i figli nemmeno per un mese. Ed io cosa dovevo fare in terra straniera, solo come un cane? Avevo o no il diritto di volere i miei affetti? I miei…insomma tutto.-
Ebe.- Tu volevi soltanto la femmina, punto e basta.-
Erc.- E non ne avevo il diritto? Avevo una moglie e non ne potevo disporne…-
Ebe.- (scandalizzata) Disporne? Ma ti rendi conto di cio’ che dici?-
Erc.- Va bene, scusa. Volevo dire: averla con me. Insomma eri o non eri la mia compagna?-
Ebe.- Lo ero, eccome. Ma tu te ne sei subito dimenticato. Tu stavi per metter su un’altra famiglia. Bigamo!-
Erc.- Ma dai, non l’avrei mai sposata.-
Ebe.- Ma saresti andato a stare con lei, (ironica) nel cottage, coi figli nel college; e la moglie nel garage! Parcheggiata!-
Erc.- Ma era soltanto un’avventura, non esagerare…-
Ebe.- Un’avventura che durava da oltre un anno, mio caro.-
Erc.- Un anno? No ti sbagli. (b.p.) Duro’ sienno’ nove, dieci mesi, poi mi rimpatriarono. Bernstein, l’ebreo o Rubinscky il polacco, mi fecero la spia. Quelli dell’immigrazione mi prelevarono da casa e, in ventiquattr’ore, ero sul Rex, con un biglietto di terza classe di solo andata. Destinazione: L’Italia fascista.
Pensa, in pochi giorni tornai indietro nella scala del progresso umano di almeno cinquant’anni.
Cosa trovai nella mia patria? Una casetta di un vano e mezzo, cucina e cesso! Niente luce elettrica, niente gas, niente elettrodomestici, niente telefono. Niente di niente. Medio Evo! Trovai il Medio Evo. (pausa) Ci crederai o no, ma l’unica realta’ buona che trovai rimpatriando, fosti tu e i nostri figli. Altrimenti avrei fatto qualche follia! Ricordi? In tutto quel poverume che ci circondava, non osai piu’ indossare uno dei miei abiti fatti su misura, da un sarto italiano di Brooklin; non osai piu’ calzare il cappello floscio di feltro; non mi misi piu’ il fazzoletto bianco nel taschino; non fumai l’ultimo sigaro avana. Che desolazione... Quando accendevi il fornello a carbone e ti vedevo soffiare, paonazza in viso, con gli occhi rossi irritati dal fumo, piene di lacrime, beh, mi veniva un magone, ma un magone che non ti dico.-
Ebe.- Certo, pensavi a Lucy che accendeva elegantemente, con un piccolo fiammifero, il fornello a gas, a cinque fuochi. Roba da signoroni coi quattrini, qui in Italia,-
Erc.- Ti prego di credermi, a Lucy non ci pensavo piu’. Pensavo solo all’America, questo si.
Sissignore, ci pensavo e mi rodevo perche’ avrei voluto mettere le mani addosso a quei luridi spioni. Berstein era il mio capo reparto all’Aircraft, e non mi poteva soffrire a causa delle mie iniziative sul lavoro che, secondo lui, lo facevano sfigurare agli occhi del nostro boss. Rubiscky voleva Lucy. E quando la ragazza mi preferi’ a lui, egli mi divenne acerrimo nemico. La gelosia avra’ spinto uno di loro a fare la soffiata, e Ercole fu impacchettato e spedito al mittente. Carogne!-
Ebe.- Ercole, non offendere nessuno. Primo perche’ e’ inutile; poi perche’ qui non si usa; terzo perche’ quei due non c’entrano col tuo rimpatrio forzato.-
Erc.- A parlato lei! Ma cosa vuoi saperne tu.-
Ebe.- Io ne so piu’ di quanto tu possa immaginare. Ti sei dimenticato, per caso, che il tuo ex compagno di stanza era mio fratello?-
Erc.- (distrattamente) Va bene, lo ricordo, e allora?-
Ebe.- Mio fratello mi scrisse: Ebe, tu stai perdendo il marito e i tuoi figli il padre. Se vuoi te lo rimando li’ in meno di un mese.
Beh, una moglie cosa doveva dire? Mi rassegno? lo perdo? fa nulla? No, certamente! (b.p.) cosicche’ gli risposi: l’aspetto! E dopo venti giorni arrivasti tu. Bello, fresco, ancora giovane, elegante.-
Erc.- Brutt…sozz…carogn… bastar… e’ sto lui? Ciccino? E su ordine tuo, di mia moglie. Oddio, oddio… che pena…-
Ebe.- Hai detto bene: che pena. Ma per me fu un vero strazio. Non crederai che il rimorso non mi pungesse il cuore, tutte le volte che ripensa a cio’ che ero stata costretta a fare? Oppure non mi rimordeva quando m’accorgevo, a volte, che eri triste e pensieroso, ben sapendo a cosa pensavi? ( b.p.) o quando ti vedevo sfiduciato e stanco, senza lavoro perche’ non volesti mai prendere la tessera del Fascio. O…quando chiamavi Johnny il nostro Giovannino. Ero addolorata fino al midollo, si, certo. Ma ero tua moglie. Ti amavo ancora. Era un mio sacrosanto diritto difendere questo amore!-
Erc.- Ma non avevi alcun diritto sulla mia persona. Tu non potevi disporre della mia vita. Tu mi pugnalasti alle spalle! Mi usasti come un pupo e facesti di me cio’ che volevi. Ma ti sembro’ giusto farmi ingoiare l’amarezza del rimpatrio forzato? Ti sembro’ giusto farmi affogare in quella palude di nera miseria che era l’Italia di allora? Ti sembro’ giusto farci vivere, una vita di stenti, per anni, con quei pochi dollari che riuscii a portare con me? Ti sembro’ giusto il mio richiamo alle armi? E la guerra che feci…-
Ebe.- Quella la facemmo tutti, se non ti dispiace. (pausa) Ma a te ti pareva giusto che vivessimo lontani? Ti pareva giusto che i nostri figli crescessero senza padre? Ti pareva giusto che io facessi la vedova bianca?
Si, te l’ho gia’ ammesso: ho avuto il rimorso di coscienza. Ma, sono sicura, che fu meglio cosi’. (b.p.) Passati quegli anni tristi, poi, non vennero giorni migliori? Non ci amammo di nuovo intensamente? Non costruimmo una vera famiglia: unita e forte! 
Ti pugnalai, come dici tu, ma fu a fin di bene!-
Erc.- Tu mi tradisti.-
Ebe.- Co… come…ma cosa dici…(equivocando e in evidente imbarazzo).-
Erc.- (che si riferiva in un primo momento al rimpatrio, ma che poi mangia la foglia) Certo, mi tradisti pure tu, confessa!-
Ebe.- Io? Io: io fui quasi costretta. Insomma fu colpa tua.( come folgorata da un’idea).-
Erc.- Ah, tu mi tradisti e la colpa fu mia?-
Ebe.- Certo, per colpa tua. Ed ecco i motivi: uno perche’ eri assente; due perche’ eri assente da troppo tempo; tre, infine, perche’ ,non mandasti piu’ denaro. Ecco fatto!-
Erc.- Ecco fatto un corno! Anzi due! Esaminiamo i tuoi tre perche’: primo, ero assente per guadagnare da vivere per me, per te e per i nostri figli; secondo, ero assente da troppo tempo perche’ tu non volesti mai venire da me: terzo, non ho mai, dici mai, smesso di mandarsi soldi. Te li mettevo sempre nelle mie lettere i dollari, mia cara.-
Ebe.- Ed io non ricevetti piu’ ne lettere ne dollari. Perche’ non me li spedivi con un vaglia? Per non perdere tempo, immagino, perche’ eri occupato con altre persone.
Comunque fu colpa tua!-
Erc.- E vediamola allora di chi fu la colpa. Rievochiamo i fatti. Dimmi come si fa a farli rivivere. Dai, che aspetti?-
Ebe.- Si fa…si dovrebbe fare. Ma non si potrebbe fare ameno?-
Erc.- (canzonatorio) Non si puo’ fare a meno.-
Ebe.- Allora, prima promettimi che non t’arrabbierai.-
Erc.- Promesso.-
Ebe.- Bene, prova a fare cosi’.( ripete il gesto di prima)-
Erc.- ( ci prova ma non vi riesce) Non ci riesco.-
Ebe. (sorridendo) Prova, prova abbi fede e aspetta.-
Intanto che Ercole riprova per due volte, il sipario lentamente si chiude. 




Atto II


Stessa scenografia dell’atto precedente.
In scena vi sono Ercole e Ebe. Ercole sta tentando di far rivivere la famosa scena del tradimento di 
Ebe.
Erc.- Tu mi stai prendendo in giro. Sto provando e riprovando da mezz’ora e non ne viene fuori nulla.-
Ebe.- Sei ancora un pivello. Dai, riprova.-
Erc.- (trionfalmente) Ecco, forse ci siamo. Certo ci siamo!-
Sulla sinistra il palcoscenico si illuminera’ e si vedra’ una parete interna di una modesta casa.
Musica italiana degli anni trenta. Dopo pochi secondi si udra’ il suono di un campanello e Ebe giovane uscira’ dal fondo e si rechera’ ad aprire la porta prevista nella citata parete. 
Ebe.- Chi e’?-
Pos.- Sono il postino signora Ebe.-
Ebe.- (aprendo) Avete posta per me, finalmente?-
Pos.- (entrando) Spiacente signora mia, ma posta per voi non ce n’e’.-
Ebe.- E allora?-
Pos.- Niente, volevo salutarvi. Sapete mi dispiace di non portarvi nulla. Veramente. Se posso fare qualcosa per voi, qualsiasi cosa, disponete di me.-
Ebe.- Voi siete molto gentile, ma non mi occorre nulla. Pazienza, forse mi porterete una lettera domani.-
Pos.- Certo che vostro marito e’ proprio un bel tipo. Come si puo’ lasciare una famiglia senza sostentamento. Poi, i figli vogliono il padre. La moglie vuole lo sposo. La donna vuole l’uomo…la femmina vuole il maschio…(intanto prende la mano di Ebe).-
Ebe.- (che ancora non ha capito le intenzioni del postino) La vita e’ questa. Bisogna faticare per buscarsi il pane. Faticare anche in terra straniera, come fa mio marito. E, forse in questo momento si trova senza lavoro. Chissa’.-
Pos.- Macche’, macche’. Vostro marito non merita questo amore. Forse, in questo momento, egli si diverte con altre…persone, lasciando da sola e per tanto tempo una donna buona…e bella come voi.-
Ercole vecchio, intanto, fa cenno di volerglieli suonare a quel postino vigliacco. Ebe, invece, fa spallucce. 
Ebe.- ( riprendendo la scena col postino) Siete gentile, ma non esagerate, vi prego.-
Pos.- Io non esagero. Per me voi siete la donna piu’ bella del mondo, e vi desidero, vi desidero tanto (tenta d’abbracciarla).-
Ebe. – (sottraendosi all’abbraccio) Ma che fate, siete pazzo? Ci sono i ragazzi di la’.-
Pos.- Si, sono pazzo, sono pazzo di voi. Non mi respingete o saro’ anche morto. Quanto siete bella, quanto siede soda.-
Ebe.- Calmatevi, che fate? I ragazzi, i ragazzi (come se volesse proteggerli, quindi esce dal fondo seguita dal postino)
Pos.- (dalle quinte) Bella, bella…-
Ebe.- ( idem) Calmatevi vi prego.-
Pos.- ( idem) Ma che calma e calma. Il mio sangue bolle, sono cotto, sono stracotto per te. Bella, bella.-
Ercole vecchio fa un gesto disapprovazione e d’impotenza, e fa dissolvere il ricordo. Ebe abbassa gli occhi e sorride sorniona.
Erc.- E brava la mia fedelissima compagna. Col postino, proprio col postino. Ninfomane!-
Ebe.- Non insultare. (pausa) Fu, forse, un momento di debolezza. D’altronde la colpa fu tua. Mica ero di legno io. Gli anni furono troppi, mio caro. (pausa) Eppoi critica, lui, invece di ringraziarmi, perche’ il…coso…il fatto non si ripete’ piu’ ! non lo rividi piu’ quell’uomo!-
Erc.- (con molta ironia) Grazie mogliettina mia. E, come mai non lo rivedesti piu’, quell’uomo, mia cara?-
Ebe.- Perche’…perche’…insomma non si fece piu’ vedere. Forse gli cambiarono quartiere. Chissa’.-
Erc.- Te lo dico io il perche’: non lo rivedesti piu’ perche’ lo misero in galera!-
Ebe.- In galera? E tu come lo sai?-
Erc.- E’ domanda da farsi in questo luogo?-
Ebe.- Hai ragione, ora anche tu sai tutto, o quasi. Allora?-
Erc.- Allora ando’ in galera perche’ un’altra moglie, che aveva il marito in America e che non aveva…attimi di debolezza, lo denunzio’ per violenza carnale. Poi, nelle indagini, si seppe che quel tuo postino voglioso, faceva incetta di lettere provenienti dall’America, specie se erano piene di dollari.-
Ebe.- Che farabutto.-
Erc.- Ben ti sta!-
Ebe.- Comunque, fu sempre colpa tua. Se facevi i vaglia…-
Erc.- Alla buonora! (spazientito)-
Ebe.- Scusami, scusami. Ecco, mi dispiace. Hai visto? Ci siamo ricascati. Ci siamo comportati come quando eravamo …insomma come prima. L’hai notato?-
Erc.- (rabbonito) Eccome! Per un attimo mi e’ sembrato di rivivere quelle solenni scenate dei vecchi tempi. Pero’, hai visto, anch’io so far rivivere il passato.-
Ebe.- (fra se) Purtroppo. (a Ercole) E’ nostro potere, mio caro.-
Erc.- Ti dispiace se faccio rivivere qualche altro episodio della mia vita?-
Ebe.- Ci saro’ anch’io?-
Erc.- Naturalmente.
Ebe.- Con te?-
Erc.- Certamente.-
Ebe.- Ci sto, fai pure.-
Erc.- Voglio provare a far rivivere la nostra prima notte di nozze.-
Ebe.- Noi, quella no. Mi vergogno.-
Erc. (fra se) Col postino non si vergognava. ( a Ebe) Ma dai. Mica sei una bambina. Eppoi, per noi, ormai…-
Ebe.- Mi vergogno lo stesso. Guarda, mi sento emozionata come allora.-
Ercole fa il solito gesto, e con luce e musica appropriata, entreranno in scena, dal centro, Ebe ed Ercole, giovani sposi. Ercole porta Ebe in braccio. Musica adatta. Quasi buio.
Erc.- (mettendo per terra Ebe) Eccoci nel nostro nido, mia cara signora Mazzullo.-
Ebe.- (intimorita) Com’e’ buia questa stanza.-
Erc.- Vuoi che apra la finestra?-
Ebe.- No, preferisco di no.-
Erc.- Hai ragione mia cara. In penombra e’ piu’ romantico. Vieni,(l’attira a se) dammi un bacio.-
Ebe.- Aspetta, aspetta…per favore. (Ercole si fa piu’ audace) ti prego dammi tempo.-
Erc.- Scusami cara, scusami, ma sto aspettando da troppo tempo questo momento. Dai piccola, non aver paura. Sono io, il tuo Ercole… dai togliti questo…e quest’altro, togliti anche questa…( i vari indumenti voleranno e si poseranno verso il fondo scena, da dove saranno poi prelevati) togliti pure st’arnese…ma, accidenti, quanti ne hai?-
Ebe.- Quelli che servono a una donna, mi pare.-
Erc.- (che armeggia ancora con un busto da donna) E potevi metterne di meno. Guarda quante asole ha questo benedetto coso: non finiscono piu’. Ah, ecco fatto. (la porta fuori di scena, a sinistra. Il dialogo sara’ fatto tra le quinte) Ma che fai? Rilassati mia cara, sei rigida come una morte.-
Ebe.- Mamma ha detto che si deve fare cosi’.-
Erc.- La morta?-
Ebe.- No, la donna pronta al sacrificio.-
Erc.- Ma quale sacrificio. Che t’hanno messo in testa…dai mia cara, abbracciati a me e, lentamente, rilassati. Ecco, lo vedi? Ti stai sciogliendo…e’ l’amore questo, mia piccola Ebe, e’ l’amore che pian piano ci avvolge, ci trascina, ci porta con se, al settimo cielo, in paradiso…cosi’ mia cara, cosi’ (Ebe emettera’ un piccolo strillo)
Fine rievocazione 
Ebe – (che ha anche lei emesso un piccolo strillo facendo finire la rievocazione) Basta, basta cosi’. Ti prego Ercole.-
Erc.- Ma, ti sei turbata?-
Ebe.- No, mi vergogno. Basta cosi’. (b.p.) Fammi , invece, qualcosa di romantico. Per esempio, quando mi facesti la dichiarazione d’amore, com’eri buffo.-
Solito gesto di Ercole, e sulla sinistra si vedra’ Ebe giovane che sta per stendere i panni su di un filo. Ercole giovane gironzola attorno a lei, cercando una scusa per parlarle. Ebe, prima, finge d’ignorarlo, ma dopo, vedendo che Ercole non si decide, lascia cadere per terra il cesto con le pinzette di legno. Ercole subito si precipita per aiutarla a raccoglierle.
Erc.- (impacciatissimo) Signorina, vi posso aiutare?-
Ebe.- Grazie giovanotto, siete gentile.-
Erc.- (porgendo una pinzetta) Signorina, eccone un’altra.-
Ebe.- Grazie ancora.-
Erc.- (che ha finito di raccogliere le pinzette e non si decide ad andare via e resta a guardare Ebe come imbambolato) Signorina, posso aiutarvi?-
Ebe.- A stendere i panni? Ma questo e’ lavoro per donne.-
Erc.- Si, si certo, scusate, sono un imbecille. Scusate ancora. (scuro in volto)-
Ebe.- Ma su, non vi offendete. Ecco, potreste essermi utile reggendomi il cesto con le pinzette.-
Erc.- Signorina io vorrei parlarvi.-
Ebe.- (emozionata lascia cadere una pinzetta) Dite pure…-
Erc.- (chinandosi a raccogliere l’oggetto) Volevo dirvi…( Vedendo Ebe agitatissima) insomma se non state ferma non riesco a parlare.-
Ebe.- (arrossendo) Ma parlate, parlate pure, Io lavoro e vi ascolto.-
Erc.- (facendosi coraggio) Signorina, dal primo momento che vi ho visto mi sono innamorato di voi. Signorina Ebe, io vi amo.-
Ebe.- (bloccandosi, ma pazza di gioia) Ma se mi conoscete appena (lascia cadere la pinzetta che teneva coi denti e subito si china per raccoglierla, ma Ercole si china anche lui e nell’aiutarla, le prende le mani.).
Fermo di scena e buio. Luce su Ercole e Ebe che si trovano a destra del palco.
Ebe.- Mamma mia com’eri ridicolo.-
Erc.- Eri seria tu. Ma dai, tremavi come una foglia.-
Ebe.- Anche tu tremavi. Lo sentii quando mi prendesti le mani tra le tue./-
Erc.- Ero emozionato e anche spaventato. Temevo che mi respingessi. Eri sempre cosi’ superba…-
Ebe.- Superba io? Ma no, ero soltanto seria. E, secondo l’usanza, dovevo ignorarti. Anche se mi piacevi.-
Erc.- Quando mi dicesti di si, mi sembro’ di toccare il cielo. Ma quanta attesa per quel tanto sospirato si.-
Ebe.- Una signorina per bene non doveva dire immediatamente di si. Doveva farsi pregare.-
Erc.- Anche per farsi dare un bacio.-
Ebe.- Esattamente.-
Erc.- Ti ricordi il nostro primo bacio?-
Ebe.- Si, me lo ricorso. E se tu non lo ricordi bene, te lo faccio rivedere.-
Solito gesto di Ebe. Musica adatta. Ebe ed Ercole giovani entreranno da sinistra e. lentamente, passeggeranno, poi si recheranno verso la panchina ove si siederanno. Chiaro di luna. Ebe e Ercole si sposteranno a destra, restando al buio.
Erc.- Bella serata, vero? (impacciata)-
Ebe.- Bella. Ma anche la mattinata e’ stata bella. (idem)-
Erc.- Il pomeriggio poi e’ stato meraviglioso.-
Ebe.- Perche’ il tramonto no?-
Erc.- ( fra se) Ed ora che dico? L’alba fu stupenda? (poi ad Ebe) Oggi e’ stata una giornata faticosa. Abbiamo scaricato tre navi al porto. E domani le caricheremo di frumento.-
Ebe.- Si dice frumento o grano?-
Erc.- E che ne so. Forse e’ la stessa cosa. (fra se) Cosa dico ora? ( sta per dire qualcosa quando Ebe inizia a parlare, ma si blocca) Prego, prego, parlate, parlate pure.-
Ebe.- Se volete continuare voi…-
Erc.- Ma ci mancherebbe, dite, dite pure.-
Ebe.- (abbassando gli occhi) Oggi ho terminato di ricamare una tovaglia da tavola per il mio corredo da sposa…-
Erc.- Ah, si?-
Ebe.- Sapete l’ho fatta tutto a punto a giorno e anche a punto…-
Erc.- (interrompendola) Guardate quella nuvola vicino alla luna, sembra il viso di un vecchio.-
Ebe.- Ma da dove lo vedete?-
Erc,- Da qui: vedete? Il naso, il mento ( fa cenno col dito)-
Ebe.- non lo distinguo.-
Erc.- (avvicinandosi a lei) Ma e’ la’. Guardate il mio dito.-
Ebe.- Proprio non lo vedo…eppure.-
Erc.- ( avvicinando il suo viso a quello di Ebe) Guardata in questa direzione. ( resta immobile col viso che sfiora a quello di lei)-
Ebe.- (girandosi verso Ercole) Non lo distinguo, non lo distinguo…-
Erc.- (girandosi a sua volta e vedendo la bocca di Ebe vicinissima alla sua) E’…la’…proprio la’…( e sfiora con le labbra le labbra di Ebe)-
Ebe.- Io…non…vedo…ancora (resta immobile offrendogli le labbra)-
Erc.- (baciandola timidamente) Fa nulla…e’ svanito.-
Fine rievocazione.
Attimo di buio, i giovani escono e la luce riprende su Ebe e Ercole.
Erc.- E da quella volta, nuvole che rassomigliavano a dei volti umani, se ne videro tutte le sere. ( si recano verso la panchina)-
Ebe.- Ma io non li vedevo veramente. (si siede)-
Erc.- Gia’ (sedendosi a sua volta) Cosi’ io mi accostavo a te e te le indicavo, e , intanto…(sorride sornione)-
Ebe.- …mi imbrogliavi.-
Erc.- No, ti giuro, la prima volta fu vero. Non avevo malizia.-
Ebe.- (sospirando) Eh, quanti ricordi…-
Erc.- A proposito di ricordi. Dov’e’ la mia ventiquattr’ore? –
Ebe.- Li’, al tuo fianco, per terra, c’e’ una valigetta.-
Erc.- (scorgendola) Ah, eccola. (prende la ventiquattr’ore e se la poggia sulle ginocchia.)-
Ebe.- Cosa c’e’ li’ dentro?-
Erc.- Tutti i miei ricordi.-
Ebe.- Fammeli vedere.-
Erc.- (aprendo la valigetta) Eccoli.-
Ebe.- ( guardando dentro) Ma perche’ li hai portati con te?-
Erc.- Quando…quando fu, insomma quando dovevo venire qui, non avevo idea di cosa fare.
Sapevo che dovevo fare un viaggio e allora pensai: quando si viaggia si prepara la valigia o una ventiquattr’ore…(battendosi le mani sulle ginocchia) Ma no! La verita’ e’ che ci tenevo ai miei ricordi. Cosicche’ la preparai e la portai con me. (b.p.) E anche il giornale ho portato. E, guardalo, parla di me.-
Ebe.- (prendendolo) Di te? Dove?-
Erc.- (indicando il rigo) Proprio qui.-
Ebe.- (leggendo ad alta voce) Oggi il Cav. Ercole Mazzullo ha compiuto la sua ennesima marcialonga. Questa volta a Bassano del Grappa, classificandosi terzo tra gli under sessanta. Al nostro concittadino vadano i nostri complimenti e i piu’ fervidi auguri. (fine della lettura) Tutto qui?-
Erc.- ( che aveva seguito la lettura soddisfatto e con grande attenzione alle reazioni di Ebe, deluso) 
Come tutto qui? Ma, ti sembra un’impresa da nulla? Aho’, terzo in una marcialonga a carattere nazionale, ( scaldandosi) nazionale, capisci?-
Ebe.- E non ti scaldare. Mi aspettava dell’altro. Certo, un terzo posto e’ importante, ma , penso, non fino al punto di portare fin qui la copia del giornale di tanti anni fa. Ecco!.-
Erc.- (quasi scandalizzato) Ma e’ un mio ricordo.-
Ebe.- Naturale, caro. Invece ho notato che ti hanno fatto Cavaliere. Complimenti, Ercole.-
Erc.- Beh, (conciliante) quello e’ un cavalierato di gratitudine. Me l’ha affibbiato il generoso cronista. Poi, sai com’e’, gli amici, per scherzo o no, hanno continuato a chiamarmi cavaliere, e cosi’, col tempo, ci ho creduto anch’io…fino al punto di fregiarmene pubblicamente. Piccolo peccato veniale. (intanto prende qualcosa dalla valigetta e lo mostra a Ebe) Guarda, vedi? Questo e’ il mio primo milione. Te lo ricordi?-
Ebe.- Certo che lo ricordo. Brindammo una serata intera.-
Erc.- Eh, sono grandi soddisfazioni queste.-
Ebe.- Mica tanto.-
Erc.- Cosa vorresti dire?-
Ebe.- Che tutto dipende da come si guadagnano quei milioni, dipende…(allusiva)-
Erc.- Cosa insinui? Quelli furono quattrini guadagnati onestamente, mia cara.-
Ebe.- Non ne dubito. (asciutta)-
Erc.- E allora?-
Ebe.- Va bene, te lo dico. (b.p.) Non mi garbo’ mai il sistema che usasti per ottenere quel lavoro, che ti dette il tuo primo milione. Per niente!-
Erc.- Perche’, come lo ottenni, forse per raccomandazione? No, lo ottenni per le mie doti, per la mia spiccata professionalita’, per le mie capacita’ sul lavoro. Infatti presi il posto del vecchio rappresentante della Ditta, giunto ai limiti d’eta’. O quasi…-
Ebe.- O quasi. L’hai detto, e a me non sta bene quel “ quasi”. E dillo: lo silurasti.-
Erc.- Io non silurai nessuno. Fu l’Azienda a darmi la rappresentanza di quella zona, perche’ producevo moltissimo, io.-
Ebe.- Certo, soffiavi i clienti a quel poveretto…-
Erc.- Accidenti, sei sempre la stessa: acida!-
Ebe.- Adesso lo potresti anche ammettere, dai (conciliante)-
Erc.- Lo ammetto. Lo ammetto. Ma laggiu’ si usava cosi’.(fa il musone)-
Ebe.- Dai, non te la prendere. Qui mentire non serve. Avanti, fammi vedere un altro ricordo.-
Erc.- (quasi riluttante) Questo e’ il mio diploma di ragioniere.-
Ebe.- (esultante) Ci riuscisti? Ma bravissimo. Ci riuscisti, bello!.-
Erc.- (tronfio) Finalmente ci riuscii, ma quanta fatica, sapessi, quanta fatica m’e’ costato. Ho frequentato l’Istituto Parificato serale, per tre anni. Eh, me lo sono veramente sudato questo pezzo di carta.-
Ebe.- Ma queste sono le vere soddisfazioni nella vita. Bravo il mio Ercole, ti meriti un bacione.(lo bacia sulla guancia)-
Erc.- E questo e’ il mio biglietto da visita. (orgogliosamente glielo mostra)- 
Ebe.- (legge) Rag. Mazzullo, Cav. Ercole – rappresentanze nazionali ed estere. Che bella soddisfazione Ercole mio. Ti sei fatto dal nulla, da semplice scaricatore. Ci pensi? (poi posa il biglietto nella ventiquattr’ore e scorge una busta) E quella cos’e’?-
Erc.- quella? Non ha importanza, guarda questo, invece.-
Ebe.- (interrompendolo) Lo guardero’ dopo. Dimmi cos’e’ quella busta. E’ una lettera, vero? Certo che lo e’ (la prende). Posso leggerla? Di chi e’?- 
Erc.- e’ di cosa…di quella…insomma di Lucy.-
Ebe.- Sua? Non la voglio leggere ( e la scaraventa dentro la valigetta), figurati…-
Erc.- Certo, e’ evidente, non si deve leggere, e’ privata…-
Ebe.- E invece si, si puo’ leggere.(prendendo la lettera, poi con perfidia) Ma la leggerai tu.-
Erc.- Io?, ma sono cose delicate, private, riservate…-
Eve.- … d’amore?
Erc.- Ebbene, si!-
Ebe.- (puntandogli l’indice) Leggila!.-
Erc.- (riluttante) Tanto qui…le passioni…vero?-
Ebe.- Vero! Leggi!.-
Erc.- (mangiandosi le parole) …infine essere amata da te e’ stata una vero gioia. M’hai amata con ardore e dolcezza, con passione e delicatezza, e fra le tue braccia ho quasi conosciuto l’estasi..-
Ebe.- (Mettendosi le mani alle orecchie) Basta, basta. Basta cosi’ Ercole!-
Erc.- Mi dispiace, ma l’hai voluto tu. Oddio, ma perche’ ci stiamo facendo ancora del male? Tu con quella vecchia gelosia, io con questa gelosia nuova di zecca: Tu col postino.-
Ebe.- E allora goditi tutta la scena. Te la faccio rivedere.-
Prima che Ercole possa interloquire, Ebe fa il gesto e riapre la parete della casa di cui sopra. Da dietro le quinte si ode l’ultima battuta di Ebe e quella del postino.
Ebe.- Calmatevi vi prego.-
Pos.- Ma che calma e calma. Il mio sangue bolle. Sono cotto sono stracotto per te. Bella, bella.-
Ebe.- Lasciatemi! Uscite immediatamente! (dalla quinte si ode il suono di un energico schiaffone. Ercole vecchio e’ gongolante di gioia).-
Pos.- (entrando in scena dal fondo e tenendosi la guancia con una mano) Ma signora, siete impazzita? Mi avete quasi staccato la testa dal busto con quel ceffone. –
Ebe.- (entrando a sua volta) Davvero?-
Pos.- Davvero. Ecco, ho ancora il segno della vostra mano. (le mostra la guancia)-
Ebe.- E se non uscite subito da qui, vi lascio anche il segno dell’altra mano.-
Pos.- Ma siete di ghiaccio, non avete sangue nelle vene?-
Ebe.- E’ sangue normanno, freddo e fedele.-
Pos.- Peccato che non sia sangue francese, bello piccante e sensuale.-
Ebe.- Non puo’ essere. L’altra meta’ e’ sangue spagnolo.-
Pos.- Ottimo! Caldo, passionale…-
Ebe.-…e violento. (mostra la statuetta della liberta’ che teneva nascosta dietro la schiena.)-
Pos.- Cos’e’? Ah, e’ la statua della liberta’.-
Ebe.- (sarcastica) Gia’, e me l’ha mandata mio marito, dall’America, per romperla in testa ai tipi come voi, se non uscite subito da questa casa!-
Pos.- Esco, esco. Ma posso sperare? Se cambiaste idea…-
Ebe.- (gridato) Fuori!-
Pos.- (sull’uscio) E se ho da portarvi una lettera di vostro marito?-
Ebe.- Me la darete e filerete via.-
Pos.- E se non lo facessi?-
Ebe.- Misurereste i gradini della scala a testa in giu’.-
Pos.- Esagerata.-
Ebe.- Provare per credere. ( gli sbatte la porta in faccia, poi scoppia in singhiozzi violenti).
Fine rievocazione.
Erc.- Io lo sapevo, lo sapevo (a Ebe che ha il viso rigato di lacrime vere) lo sapevo. In cuor mio dicevo: non e’ vero, non e’ possibile. (abbracciandola) Tu non potevi! Ed io dovevo saperlo. Sono stato uno stupido. Potrai perdonarmi? Ti prego perdonami. (b.p.) E dimmi, l’avresti veramente buttato giu’ dalle scale?-
Ebe.- (rinfrancandosi) Hai dei dubbi?-
Erc.- No. Li ho avuti a torto, ora non piu’. Te l’ho chiesto solo per sentirtelo dire. Sei stata la piu’ buona moglie del mondo. Io, purtroppo…-
Ebe.- (troncando il discorso)…cosa mi volevi mostrare?-
Erc.- Questo: e’ il diploma di laurea di Giovannino.-
Ebe.- ( prendendo il foglio e stringendolo al petto) Il mio Giovannino, la sua laurea. Oh, Giovannino mio, ci sei riuscito, ce l’hai fatta. Mi ricordo di tutte le difficolta’ che dovette superare il mio ragazzo. Quanto scoramenti, quante crisi. E ci e’ riuscito. Ci e’ riuscito. Giovannino caro. E gli altri? Come stanno gli altri? Luisa s’e’ sposata? E Carlo?-
Erc.- Stanno tutti bene, stai tranquilla, e sono tutti sistemati. Luisa ha sposato un bravissimo giovane, e’ impiegata e guadagna il suo bravo stipendio. Carlo e’ nell’Esercito. Occupa un posto di grande responsabilita’. Insomma e’ qualcuno laggiu’.-
Ebe.- E’ sposato?-
Erc.- Si, con una ragazza continentale, insegnante di lettere. Insomma stanno veramente bene. Ed hanno due figli: Ercole di tre anni ed Ebe di uno.-
Ebe.- Due bambini… i nostri nomi. Oh cari, cari.(commossa) I nostri figli sposati, padri a loro volta, mamma che notizia, che notizia mi hai dato. Ti ricordi quando nacque Carlo?-
Erc.- E come! Per te fu un parto difficile. Stavi per morire. Due giorni in coma.-
Ebe.- E sai cosa rividi per prima cosa quando riaprii gli occhi?-
Erc.- Il soffitto? La culla? Il medico?-
Ebe.- (scuotendo il capo) No. Vidi te, che tenevi nostro figlio tra le tue enormi mani. Cosa vuoi, mi sentii pizzicare il cuore. Non seppi frenare le lacrime.-
Erc.- Piangevi per la commozione? E noi credevamo che fosse per il dolore.-
Ebe.- No macche’ dolore. Ero intenerita fino alle lacrime. Vedi? Quella scena era meravigliosa. Era talmente umana e nello stesso tempo trascendentale, quasi divina: tu che goffamente reggevi nelle tue braccia nostro figlio, come per proteggerlo dal mondo. Timoroso di stringerlo al petto, lo guardavi con gli occhi pieni di gioia, e forse eri ancora incredulo d’essere padre. Il bambino - piccola fragile cosina inerme – che fiducioso, innocente, puro, si abbandonava a te, sicuro della tua protezione, e dell’affetto, dell’amore che traspariva dai tuoi neri occhioni. Il tutto incorniciato nella magia della controluce, che proveniva dalla grande vetrata dell’ospedale. No, non fu una scena comune.-
Erc.- Si, ero sicuramente impacciato; ma anche sbalordito, e incredulo, come tu hai giustamente detto. Mi ci volle un po’ di tempo per rendermi conto che quell’esserino petulante fosse mio figlio. (b.p.) Sai, quanto veramente presi coscienza d’essere diventato padre, mi tramarono le gambe per l’emozione e la paura. Si paura, perche’ pensavo: ce la faro’ a mantenere Ebe e il bimbo? Sarei stato capace di proteggerlo? Di dargli un avvenire? E quale avvenire? Dio che responsabilita’ mi assunsi allora. ( pausa) Guarda questa? (mostra una cravatta)-
Ebe.- La cravatta! Il mio primo regalo. Oddio non fu proprio un regalo originale. Ma sai, credevo che hai mariti si regalassero cravatte. (osservandola meglio) Comunque e’ bella. (la posa nella valigetta e vi scopre la statuetta della liberta’) La statuetta della liberta’! guarda, guarda…Ehi, con questa i ricordi sono in comune.- 
Erc.- Gia’, gia’. (richiude la ventiquatt’ore) –
Ebe.- Perche’ la richiudi? Non hai altri ricordi da mostrarmi?-
Erc.- Basta, basta. Basta cosi’. Mi sento una sciocco (b.p.) sono stato ridicolo. Solo adesso me ne rendo conto. Chissa’ cosa avrai pensato di me. E stata una stupida esibizione di vanita’. Ma fino a qualche attimo fa, essi rappresentavano qualcosa per me: la vita, l’orgoglio. Che stupido! (lascia cadere la valigetta)-
Ebe.- (chinandosi prendendola e posandola sul sedile) No, non sono stupidi ricordi. Sono ricordi umani e basta.-
Erc.- pero’ io ho dato loro eccessiva importanza. E tu, dimmi, quando fu, cosa portasti con te?-
Ebe.- Solo questo. (si toglie la fede dal dito e la mostra a Ercole) E il mio lavoro a maglia per ingannare l’attesa del tuo arrivo.-
Erc.- (prendendo l’anello ed esaminandolo) E’ la fede di nozze che ti regalai. C’e’ una scritta all’interno. E’ un po’ sbiadita…ma si legge lo stesso: Ercole a Ebe 4 aprile 1925. Che bestia che sono. Oddio che bestione. (si alza e si mette le mani nei capelli, disperato)-
Ebe.- Smettila. Smettila, senno’ mi commuovo. Vieni, raccontami come fu.-
Erc.- Come fu? (fa cenno alla morte, con le dita)-
Ebe.- Esatto.-
Erc.- Fu improvvisamente. Vedi, anche in questo sono stato piu’ fortunato di te. Tu soffristi per mesi e mesi, prima di…prima…io, invece, me ne andai di colpo .-
Ebe.- Raccontami, coraggio.-
Erc.- Stavo per recarmi alla stazione. Dovevo trascorrere qualche giorno da Carlo. Ero in anticamera, gia’ pronto per uscire. Volli dare un’ultima occhiata alla mia persona davanti allo specchio grande. Ero ancora vanitoso. Dicevano che gli anni li portavo bene, che fossi ancora un bell’uomo, insomma. Posai la valigia per terra, mi guardai, anzi, mi ammirai; aggiustai il nodo della cravatta, mi detti una ravviata ai capelli, poi - un’acutissima fitta al petto- e zac! Piu’ nulla!-
Ebe.- Povero Ercole.-
Erc.- No, che povero Ercole, fu un bel trapasso, volendo. Oddio, ci risiamo con la vanita’.-
Ebe.- Non te ne curare, ti passera’. Tra poco vedrai tutte le cose umane col dovuto distacco.-
Erc.- Tu ci sei riuscita, vero?-
Ebe.- Si, tranne per una cosa.-
Erc.- Quale?-
Ebe.- Per l’amore! Il mio amore per te. (b.p.) Lo sai? Da tempo avrei dovuto essere dall’altra parte. (indica i veli dietro le loro spalle) Ma, per amore si puo’ ottenere anche l’impossibile: ed io l’ho ottenuto: m’hanno permesso d’aspettarti. Adesso, appena ci chiameranno, varcheremo insieme quei veli, al di la’ dei quali c’e’ il completo oblio.-
Erc.- Ma allora, questo non e’ il di la’? insomma, voglio dire, il di la’ deve ancora venire?-
Ebe.- Il di la’ che tu intendi, e’ la’, oltre quei veli. Ecco, senti? Ci chiamano. (si ode una dolcissima musica)-
Erc.- Sento una musica…com’e’ bella. E questo profumo?-
Ebe.- Sono loro, le Presenze Amiche, che ci accolgono. Vieni, seguimi.-
Ebe, prima di attraversare i veli, lascia cadere la fedina che rotola per terra. Ercole si china, la raccoglie, l’ammira. Poi si accorge del lavoro a maglia di Ebe che e’ rimasto sulla panchina; prende anche quello e, con cura, ripone i due oggetti nella ventiquattr’ore, quindi la richiude dolcemente. Fatto cio’, si accinge a seguire Ebe, portandosi appresso la valigetta; ma vedendo che la moglie lo guarda accennando con un sorriso alla ventiquattr’ore, egli resta un attimo indeciso, quindi, finalmente, capisce e si risolve: la poggia con molta cura sulla panchina, l’accarezza delicatamente e si allontana. Ebe gli fa un cenno affermativo con il capo. Ercole da un’ultima occhiata alla sua valigetta, quindi prende la mano che Ebe gli tende, e, insieme oltrepassano i veli.

Fine.