La vita è una farsa

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ATTO PRIMO

La vita

è una farsa

            

          OMAGGIO AL TEATRO NAPOLETANO

                                  in due atti

                     scritto da Mariano Burgada

Personaggi

Gennaro

Filomena, sua figlia

Maestro di musica

1° Musicista

2° Musicista

3° Musicista

4° Musicista

Ballerina 1

Ballerina 2

Ballerina 3

Ballerina 4

Arturo, impresario

Gilda, moglie di Arturo

Avvocato

Povero

Rosa, moglie di Gennaro

Armando, fidanzato di Titina

Inserviente 1

Inserviente 2

Nicola

La scena si svolge in un teatrino di periferia, durante le prove per uno spettacolo, su di un palcoscenico alquanto spoglio.

(C) Mariano Burgada Siae 120850

ATTO PRIMO

 (La scena rappresenta un palcoscenico teatrale durante le prove di una compagnia di infimo ordine, senza soldi e senza grandi doti artistiche. Il teatro per loro è un modo come un altro per sbarcare il lunario. In scena, il capocomico,Sik-Sik, aspetta per iniziare le prove).

Scena 1/1

(Gennaro, Filomena)

Gen – (Apre il sipario a mano, accende una luce che pende dall’alto e borbotta). Ecco qua, avevamo detto alle cinque. E songo ‘e cinche e venticinque e nun se vede nusciuno.

Filo – (Entra in scena vestita da ballerina). Papà, simme pronte per le prove? Io tengo che fa’.

Gen – Gué, piccerè, nun me fa spustà ‘a nervatura, ca ccà tenimme sti problemi…  tu he ‘a pruva’ comme tutte quante ll’ate. Il fatto che sei la figlia del capocomico non ti esimia dal fare quello che devi fare, anze… Mo che arrivano i signori orchestrali si prova. Tutti insieme. Almeno ‘na vota.

Filo – Uffà papà, ma io m’aggia priparà, stasera viene Armando.

Gen – Ah, si, viene Armando. Bene. Bene. Bravo giovine, proprio come lo meriti tu. Un giovane buono, affettuoso, innamorato e benestante, il che non guasta. E a che ora ha ditto che passa?

Filo – All’otto, dopo la chiusura del negozio.

Gen – Alle otto? Ma venesse cu l’intenzione di cenare con noi?

Filo – E si, Armando tene bisogno ‘e cenà cu nuje. Chillo tene la cameriera che gli apprepara la cena tutte le sere, comme si fosse nu pranzo.

Gen – Ma pecché, si vene qua nun mangia?

Filo – Dipende.

Gen – Come dipende?

Filo - Dipende papà. Dipende in quali giorni capita. Se viene durante settimana fa ma renna ‘a sarchielli.

Gen – Ecco qua, i giovani d’oggi. Hanno preso questa abitudine di fare un pasto regolare tutti i giorni. Ma non vi rendete conto che fa male mangiare tutti i giorni … abbondante. La domenica si può fare  un pranzo… completo. E allora fallo venire la domenica.

Filo – E si, la domenica nuje finalmente mangiammo quaccosa e faccio veni’ pure a isso?

Gen – Hai ragione, è meglio che cena a casa sua. Poi tiene la cameriera. Si nun cena, chella che fa?  Ma mo songhe ‘e cinche e meza, tu he ditte che vene ‘e ll’otto. E che devi fare i restauri della cappella Sistina.

Filo – Uffà papà. Le donne sanno quello che devono fare. Mo mi vuoi sindacare pure in questo.

Gen – No, hai ragione bell’e papa. Fai quello che devi fare, vuol dire che appena siamo pronti, ti faccio dare ‘na voce, tu vieni, fai la tua provetta e poi torni a farti il restauro.

Filo – Papà, e nun pazzià. (Via).

SCENA 2/1

(Gennaro - Maestro, 1° music., 2° music.)

Maestro – (Entra con buste spesa). Buonasera.

1° e 2° music. – (Entrando con astucci degli strumenti) Buonasera.

Gen – Buonasera, buonasera. Ma scusate, ve pare questa l’ora pe’ venire a provare, quando l’appuntamento era alle cinque.

Maestro – Ah, si? (Ironico) Noi non siamo puntuali?

1° e 2° mus. – Noi non siamo puntuali?

Gen – Vi siete portato le scigne ammaestrate.

Maestro – (Fermando i maestri che vogliono reagire) E voi siete puntuale, che ci dovevate pagare la settimana scorsa e ancora nun abbiamo visto un soldo.

1° e 2° mus. – Invece voi siete puntuale? Non abbiamo visto un euro.

Gen – E non li vedrete nemmeno oggi. Vi ho detto che i soldi li avrete. Domenica debuttiamo e i primi soldi dell’incasso, freschi freschi, ve li do a voi e alle due scigne, qua.

1° e 2° mus.  – (Stanno per avventarsi su Gennaro).

Maestro – (Fermando i due). Allora noi aspettiamo fino a domenica.

1° e 2° mus. – Fino a domenica.

Gen – Hanno fatto ‘o riassunto. (Mentre i musici prendono posto nel “golfo”, Gennaro si affanna a chiamare le ballerine per provare battendo vigorosamente le mani).

SCENA 3/1

(Musici, Gennaro, Ballerina 1, Ballerina 2, Filomena)

Gen – Signorine, prego, si prova.

          (Entrano le due ballerine con un accenno di costume alquanto arrangiato, con calzamaglia e prendono posizione).

         Mena, simme pronte, vuo’ venì a pruvà.

Filo – (Entra trafelata e con in faccia una maschera di bellezza).

Gen – (Spaventato) Madonna, che t’he fatto.

Filo – (Ridendo) Niente, papà. E’ la maschera di bellezza.

Gen – M’he fatto spaventa’. Ma guardate  queste donne che si firano di fare pur di apparire sempre più belle. Ma tu non hai bisogno della maschera di bellezza.

Ballerina 1 – (Sottovoce all’altra) Ha bisogno di una maschera vera.

Gen – Prego maestro, proviamo “Il successo se l’afferri”.

(Parte la musica e le tre fanno coreografia, poi canta Filomena sul motivo di "maramao").

Il successo se l’afferri

Può durare una giornata

Come pure una mesata

Tutto un anno e forse più

Ma però…

È soltanto una vampata

Un bagliore che t’investe

Poi precipitosamente

si fa buio intorno a te.

          

Ma vedrai

Ti faranno ponti d’oro

Grideran

Grideranno tutti in coro

Che tu sei

Un gran tesoro

Un artista eccezionale

Ma è soltanto una vampata

Un bagliore e niente più

Il successo se l’afferri

Tu non sai se durerà

Perché inevitabilmente

come viene se ne va.

Il successo se l’afferri

Come viene se ne va.

(Finito il pezzo tutte e tre le ballerine tentano di scappar via ma Gennaro le ferma).

Gen – Gué! Fermi tutti. E che modi sono questi. Non avete manco finito e gia state scappando comme si tenisseve ‘a neve dint’a sacca.

Filo – Uffa papà, lo sai che devo andare a prepararmi, perché fra poco viene Armando. Che mi deve trovare con la maschera in faccia?

Ballerina 2 – Sarebbe meglio.

Gen – Va bene. Questo è un motivo di necessità e allora te ne puoi andare. (Titina esce). Ma voi dovete restare perché dobbiamo mettere a punto la coreografia.

Ballerina 1 – Sentite, nuje jammo ‘e pressa e nun putimmo perdere atu tempo.

Gen – Voi dovete fare quello che vi dice il capocomico. Io vi pago.

Le due ballerine in coro – Ma quanno?

           (L’orchestra sottolinea con uno stacchetto la battuta).

Gen – E bravi. Siete tutto colonizzati contro il sottoscritto. Contro chi vi da il pane e lavoro.

Maestro – Solo lavoro, don Gennaro.

Gen – Non mi chiamate don Gennaro. Non mi piace questo "don". Voi potete chiamarmi semplicemente maestro.

Maestro – Va bene maestro. Allora statemi a sentire. Se noi, mo, non andiamo a suonare per i ristoranti del lungomare, il pane non lo vedremo manco pittato. A meno che nun ce vulite paga’ subito.

Gen – Questo è un motivo di necessità e allora ve ne potete andare.

Maestro – Buonasera. (Via)

I due musici – Buonasera (Via).

Gen – Buonasera.

Ballerina 1 – Sentite maestro, se nuje, mo, non andiamo…

Gen – … a suonare per i ristoranti …

Ballerina 2 – Maestro, noi non sappiamo suonare.

Gen – E allora che andate a fare?

Ballerina 1 – A passeggiare.

Gen – Ho capito, non dite altro. Anche per voi c’è un motivo di necessità. Perciò potete andare.

Ballerine – Arrivederci.

Gen – Arrivederci. (Parlando con se stesso) Eh, mio caro maestro, il nostro è uno strano mestiere. Tutti si pensano che recitiamo sulla scena, ma il vero teatro è questa nostra vita, questo nostro cosiddetto soggiorno su questa terra.

SCENA 4/1

(Gennaro, Arturo)

Arturo – (Entra trafelato). Ah, state qua. Io vi devo parlare.

Gen- Donn’Artu’, vi prego, datemi un’altra settimana di tempo e vi faccio vedere che  con i prossimi spettacoli faremo incassi… Ho preparato un cast eccezionale. Hanno finito le prove proprio adesso. Sono superbi. Veri professionisti. A cominciare dall’orchestra fino alle girls, le ballerine. E poi, c’è mia figlia che canta un pezzo…

Arturo – Roba da piangere.

Gen – No, no. Stavolta è un pezzo allegro, una parodia. Roba da ridere.

Arturo – Va be’, volevo dire un’altra cosa, ma lasciamo correre. Sappiamo bene che tipo di spettacolo siete in grado di fare.

Gen – Come sarebbe a dire. Dimenticate che avete la fortuna di fare l’impresario ad un artista che oramai è una leggenda vivente. Il famoso Sik-Sik, l’artefice magico.

Arturo – Ma faciteme ‘o piacere. In due mesi di rappresentazioni non abbiamo neanche recuperato i soldi dei costumi e delle tasse.

Gen – E questa è colpa vostra. Se continuate a darci tutte le piazza più fetenti. I paesi più sperduti. La gente piena di ignorantità.

Arturo – E si, mo vi faccio fare il teatro alla Scala.

Gen – Non fate lo spiritoso. Il teatro alla Scala so bene che non lo possiamo fare, perché è il tempio del melodramma e noi non siamo specializzati in questo genere, noi siamo generi diversi.

Arturo – E che siete una merceria? (Ride)  Ecco, quella sarebbe una bella idea. Smettetela con l’arte. Vi aprite una bella merceria, generi diversi, e campate voi e la vostra famiglia.

Gen – Siete ingiusto, quando dite questo. Io vengo da tre generazioni di artisti che hanno fatto la storia del nostro teatro, quando il teatro veniva seguito dal popolo e dal re allo stesso modo. Quando il teatro era l’unico strumento per parlare alla gente, per entrare dentro alle loro anime e per regalare anche un momento di distrazione in una vita veramente difficile. E mo’, con tutti i mezzi che ci sono oggi, il teatro chi lo segue? Chi ci penza cchù.

Arturo – Lo vedete? Lo state dicendo voi stesso: ma chi vi pensa? Oggi ci la televisione, il cinema, il satellite.  E voi credete ancora ne teatro? Il teatro è morto, mettetevelo bene in testa.

Gen – Voi dite?

Arturo – Dico, dico. Va be’ Chiudiamola qui.

Gen – Chiudiamola qui.

Arturo – Ditemi una cosa, siete interessato a                      guadagnare una bella sommetta?

Gen – E me lo chiedete? Di che si tratta?

Arturo –  Devo liberarmi di mia moglie.

Gen – No. Io non ce la faccio. Sono contro la   

           violenza.

Arturo – Ma che avete capito?

Gen – Dobbiamo ammazzare la signora?

Arturo – Ma fatemi il piacere? Mi devo separare. Ma voglio fare una cosa che mi permette di uscire da questa storia a testa alta. Mia moglie ha un amante.

Gen – E allora la testa l’avete altissima. (Fa il gesto delle corna).

Arturo – L’amante gliel’ho trovato io, volutamente per spingerla alla separazione, perché lei è ricca e io ho bisogno di danaro. Adesso lei, per avere la mia firma sul consenso alla separazione, mi deve dare un compenso, ‘o si no il divorzio se lo scorda.

Gen – Ho capito, un ricatto.

Arturo – No, non dite questo. Una liquidazione, ecco. Un compenso per il danno morale che subisce un marito abbandonato.

Gen – Avete una bella lingua.

Artruro – Grazie.

Gen – E’ ricca, la signora?

Arturo – Ricchissima, di famiglia. Perciò la sposai. E così intrapresi la mia attività di impresario teatrale.

Gen – Con i soldi d’a signora.

Arturo – Ma con la mia intelligenza. In realtà abbiamo sempre vissuto come separati: lei si faceva i fatti suoi, io i miei.

Gen – (Tra se) Che bella famiglia.

Arturo – Lei diceva sempre: Ma che devi fare con queste compagnie di miserabili, di guitti saltimbanchi.

Gen – Ma vedete, vedete. Ma come si permette lei di giudicare, quando non è mai venuta a vedere uno spettacolo, manco ci conosce. Come fa ad esprimere un giudizio su di noi.

Arturo – Dagli incassi di fame che fate. A questi nessuno li va a vedere, allora vuol dire che non vanno due soldi. A chi aspetti a sciogliere la compagnia?

Gen – Ma voi vedete il danaro come riduce la gente. Si se scioglie a compagnia, ‘a signora ha pensato come mangiano questi guitti?

Arturo – La merceria. Voi vi dovete mettere una merceria. Dovete imparare a riciclarvi. Oggi non si può pensare di fare per tutta la vita lo stesso mestiere. Se non va, si cambia e buonanotte.

Gen – E’ giusto, si cambia e buonanotte. Alla mia età, io cambio. Io che ho fatto questo da quando tenevo sei anni. Cambio. E’ una parola.

Arturo – Va be’. Adesso parliamo del problema mio. Allora, (guarda l’orologio), fra poco verrà mia moglie con il suo avvocato per chiedermi di sottoscrivere la separazione consensuale. Io chiederò, per questo, un compenso.

Gen – E io che devo fare?

Arturo – Il pezzente.

Gen – Il pezzente? Veramente non mi sono mai cementato con questo personaggio…

Arturo – E voi sforzatevi di immaginarvi povero.

Gen – Ci proverò. Sono un attore o no?

Arturo – Non mi fate queste domande difficili.  Allora, quando mia moglie mi darà il danaro, voglio dare l’impressione che questi soldi non li ho chiesti per bisogno, ma per ripicca, per farle un dispetto. Perciò, una volta incassato il danaro, con una mossa magistrale, guardandomi intorno, vedrò un povero disgraziato, che siete voi, uno straccione, un miserabile…

Gen – Non esageriamo.

Arturo – Insomma , uno che è venuto a chiedere l’elemosina. Allora prenderò i soldi e, davanti a lei, dirò: Ecco buon uomo, prendi questi soldi lordi di tradimento e di lussuria.

Gen – Bella, bella. Questa è una scena bellissima. Questa se la portiamo in scena, se ne cade ‘o teatro, per gli applausi.

Arturo – Ma che portiamo in scena ‘e fatte miei.

Gen – Scusate.

Arturo –  non mi fate distrarre, che ho tutto qui (indica la testa). Allora, voi vi apposterete dietro quella scena. Appena io dirò: sii felice nell’affrontare questa nuovo viaggio che la vita ti riserva, dovete entrare e con accento pietistico dovete dire: dotto’ mi date qualcosa, ho famiglia, sono malato e non posso lavorare. Io dirò: Ecco buonuomo, prendi questi soldi sporchi di tradimento e lussuria.

Gen – Lordi, avevate detto lordi.

Arturo – Va be’, sporchi, lordi, è sempre la stessa cosa. Mo’ non stiamo a sottilizzare. Allora, prenderete la somma e ringraziandomi fingerete di andar via. Invece mi aspetterete nel botteghino della cassa, dove io vi raggiungerò per darvi la somma che vi ho promesso. Chiaro?

Gen – Chiarissimo.

Arturo - Allora andate a truccarvi da straccione.

Gen – Non dubitate, non ci metterò molto. Piuttosto, vorrei sapere: è sicura che la vostra… diciamo la signora, non mi conosce. Sapete, io sono un attore abbastanza conosciuto…

Arturo – Ma faciteme ‘o favore. Andate, andate.

Gen – (Andando). Io lo dicevo per voi. Vado. (Esce).

SCENA 5/1

(Arturo, Filomena, Gilda, Avvocato, Povero, poi Gennaro)

Arturo – Bene, ho avuto proprio una bella idea. Oggi mi entrerà in cassa una discreta sommetta e mi prenderò lo sfizio di vedere la faccia di mia moglie quando donerò tutti quei soldi al primo che passa. Sono sicuro che scoppierà di rabbia.

Filo – Scusate, avete visto mio padre.

Arturo – (Spaventato) Mamma mia. E voi chi siete?

Filo – Filomena, la figlia del capocomico. Sono ballerina e cantante e sto aspettando il mio fidanzato.

Arturo – In queste condizioni?

Filo – No, questa è una maschera di bellezza che mi toglierò solo quando qualcuno mi avvertirà che Armando è qui.

Arturo – Ah, ve la togliete quando lui viene?

Filo – E’ certo. Che mi tenevo la maschera sul viso? La donna non si deve mai mostrare in disordine davanti all’uomo.

Arturo – Non ho capito. E io non sono un uomo?

Filo – Si, è’ vero? Ma io volevo dire al proprio uomo.

Arturo – Ho capito. Quindi la donna si deve solo mostrare bella e sistemata davanti al proprio uomo, poi gli altri la possono vedere come sta, sta. Tanto…

Filo – Ma scusate, voi chi siete?

Arturo - Come chi sono? Io sono il vostro impresario. Quello… che ha messo i soldi per fare questa specie di spettacolo.

Filo – Oh, vi avevo preso per il custode.

Arturo – Grazie.

Filo – E siete sposato?

Arturo – Beh, veramente sono libero.

Filo – Allora scusate se mi sono presentata in queste condizioni Compermesso, mi vado a preparare.

Arturo – Prego. Queste so’ cose ‘e pazze.

Gilda – (Entrando seguita dall’avvocato). Ma voi vedete in che luogo mi fa venire quell’inetto.

Arturo – Mia moglie. Sta parlando ‘e me. Prego accomodatevi. Signora. Avvocato carissimo.

Avv. – Non abbiamo mai avuto un buon rapporto, io e voi. E’ ironico questo carissimo?

Arturo – Per niente. Carissimo si riferiva alle vostre parcelle.

Avv. – La signora, che ho l’onore di annoverare tra le mie clienti più affezionate, sa ben giudicare il giusto compenso per il mio operato e la mia professionalità.

Gilda – Poche chiacchere, avvocato. Io soffro di allergia e in questo posto pieno di polvere e chissà altro non voglio starci un minuto in più. Facciamo quello che dobbiamo fare e andiamo via.

Arturo – La signora ha fretta perché c’è qualcuno che l’aspetta con ansia.

Gilda – Che fai, simuli l’atteggiamento del marito geloso. Tu che hai solo mirato ai miei soldi e non hai mai avuto per me un attimo di attenzione se non per chiedere, chiedere chiedere.

Arturo – Questo non è vero. Io ho sempre vissuto dei miei proventi, frutto di una attività avviata e, grazie a Dio, di successo. Sono uno degli impresari più ricercati sulla piazza.

Gilda – Si, dalla guardia di finanza, per tutti i debiti e gli intrallazzi che hai combinato. Non ultimo questo ricatto ignobile. Chiedere una somma del mio patrimonio per concedermi il divorzio è un’azione degna di un miserabile come te. Ma io, pur di rompere ogni nostro legame, sono disposta a pagare. Avvocato, mostrate i soldi, in contante, come li ha voluti il signore. Come fanno i ricattatori. Alt, non glieli date ancora. Deve prima firmare e poi avrà i soldi, che però sono sicuro non gli porteranno bene, perché tu sei un incapace e te li farai soffiare subito da femmine e cattivi affari.

Arturo – Avvocato, voi sentite con che tono aspro si rivolge la vostra assistita nei confronto dell’uomo che l’ha fatto donna.

Gilda – Ma mi fai il piacere. Avvocato procediamo.

Arturo – Prima di procedere vorrei solo dire, che io non sono come tu mi hai dipinto. Non ho mai ambito ai tuoi soldi e questo te lo dimostrerò. Ti ho amata e forse ti amo ancora, forse per questo ho accettato di vederti felice con un altro uomo piuttosto che infelice vicino a me.

Gilda – Avvoca’, vogliamo finire questa farsa.

Avv. – (Spiritoso) Signora siamo a teatro…

Gilda – (Lo fulmina con uno sguardo). Firma.

Arturo – (Firma, poi riceve i soldi che conta con cura mentre l’avvocato mette a posto le carte) Bene. Tutto è compiuto. Questo che sembra il prezzo della tua libertà sarà il prezzo del mio riscatto. (Tossendo in modo finto). E per mostrarti quali sono i sentimenti che io nutro per te, io ti dico: sii felice nell’affrontare questa nuovo viaggio che la vita ti riserva”.

Povero –  (Entra in quel momento). Signo’ dateme quaccosa, che sono solo e  malato e senza assistenza.

Arturo - Ecco buonuomo, prendi questi soldi sporchi di tradimento e lussuria. (Gli porge la busta con i soldi).

Gilda – (Ha un moto di sorpresa). No!

Avv. – Ma che fate, siete impazzito?

Povero – (Sbircia i soldi e ringraziando scappa via). Grazie, grazie. Uh, madonna mia… (Via).

Arturo – Vai, vai. Non un soldo di questa donna ho trattenuto per me. Questo ti dice chi è stato veramente il sottoscritto e quanto tu ti sia sbagliata sul suo conto.

Gilda – Io non ho ancora capito questa tua mossa, ma se speri di convincermi a cambiare parere sul tuo conto, ti sbagli. Se veramente hai dato i miei soldi a quel miserabile, allora hai dimostrato di essere ancora più imbecille di quanto pensassi.

Arturo – Sei sorpresa, vero? Ora hai capitò che hai sbagliato tutto sul mio conto. E questo non lo vuoi accettare.

Gilda – Io sul tuo conto, ho solo e sempre versato soldi. Ma adesso è finita. Ho pagato il prezzo del mio riscatto. Quello che ne hai fatto non mi interessa più. Avvocato andiamo. (Fanno per andare).

Arturo – Vai, vai pure. Non sarò io a trattenerti. Anzi, ti serberò sempre in una piccola parte del mio cuore mentre ti dico ancora una volta e di cuore: sii felice nell’affrontare questa nuovo viaggio che la vita ti riserva”. (I due stanno uscendo).

Gen – (Travestito da mendicante). Dotto’ mi date qualcosa, ho famiglia, sono malato e non posso lavorare.

Arturo – (Sorpreso). Che fate qua?

Gen – (Calcando sulla battuta). Dotto’ mi date qualcosa, ho famiglia, sono malato e non posso lavorare.

Arturo – Ma dovevate aspettarmi nel botteghino. I soldi dove li avete messi?

Gen – (Sorpreso). I soldi. Se non me li date? Ma è venuta la signora?

Arturo – Ma allora, chi era il poveraccio che ha preso i miei soldi, poco fa?

Gen – E non lo so. Io sono entrato a tempo sulla vostra battuta “ sii felice nell’affrontare eccetera eccetera. Voi mi dovevate dare i soldi e dire: “Ecco buonuomo, prendi questi soldi lordi, vi ricordate la questione, lordi o sporchi, di tradimento e lussuria.

Arturo – (Gridando). Silenzio. Chiudete quella maledetta boccaccia. Sono rovinato. Mi avete rovinato. Ditemi chi è quel miserabile che chiede l’elemosina in questa zona. Lo devo fare arrestare per furto. Devo andare alla polizia, lo denunciare per furto. (Esce gridando).

Gen – Signor impresario, gué, oh! I miei soldi? Io la parte l’ho fatta. Io non ci ho capito niente. Se n’ andato come un pazzo                                e ancora una volta chi ci ha rimesso è il più debole: il popolo. (Indicando se stesso).

SCENA 6/1

(Gennaro, Rosa e Filomena)

Rosa – (Entrando)  Gennarì, allora che facciamo? Io ho calato?

Gen – Calato, ch”e calato?

Rosa – Genna’, ho calato duje spaghetti. Dobbiamo pure mangiare quaccosa. Stamme da stamattina cu otto cofetti a testa della sposa del palazzo a fianco.(Comincia ad apparecchiare su una tavola poggiata tra due casse).

Gen – He ditto niente. Il confetto è tutto zucchero, tutte calorie. Poi aggiungi la mandorla, che contiene anche olii, olio di mandorla. Poi è rinfrescante. Un alimento veramente completo, ‘E calato ‘e spaghetti. E ne tenimme ancora?

Rosa – Si, ho aperto il pacco di quelli che ci facemmo comprare per usarli nella scena del pranzo.

Gen – E va bene, vuol dire che la scena del pranzo la facciamo con dei fili di spago.

Rosa – Ma quelli devono afferrare le vrangate di maccaruni e se li devono mangiare con le mani. Se mangiano lo spaco?

Gen – Si dice manciata, no vrangata. Ma come parli, ancora con questi vocaboli arcadici. Allora, noi mettiamo una manciata dentro la zuppiera…

Rosa – Zuppiera? Insalatiera.

Gen – Insalatiera. Giusto. Però zuppiera non  è propetamente sbagliato. Viene da zuppa, che è perfetto italiano. Perciò da zuppa, zuppiera. Se la usi per l’insalata, insalatiera. Va be’, mo non è il caso di fare una inquisizione…  su una parola.

Rosa – Disquisizione.

Gen – E come sai questa parola?

Rosa – Dalle parole crociate.

Gen – Vedi che chi legge si accultura.

Rosa – Allora?

Gen – Allora che cosa?

Rosa – Spago e spaghetti non sono la stessa cosa.

Gen – Lascia fare, da lontano spago e spaghetti, sono la stessa cosa. Il teatro è finzione. Non è un ristorante.

Rosa – Ma quelli, gli attori, facevano sta scena proprio per se magnà qualcosa. Io nun ce lo dico che i maccarune so’ finti?

Gen – Accussì quelli so’ capaci e se magna’ tutto o gomitolo ‘e spago e manco se ne accorgono.

Rosa – E’ la prima volta che si arriva a tanto.Io me metto scuorno.

Gen – La miseria non è vergogna. Tutti i grandi uomini sono stati incompresi in vita e sono morti poveri. Poi, dopo la morte… (fa le corna) Hanno avuto successo e ricchezza.

Rosa –  Ricchezza… dopo la morte? E allora vide ‘e muri’ ‘e subbito, almeno magnamme.  (Via).

Gen – Quella donna ha una perfidia… dice delle battute a doppio senso…

Filo – (Entrando) Papà, non possiamo mangiare.

Gen – Lo sapevo, so’ cadute ‘e maccarune ‘nterra?

Filo – No. A momenti viene Armando e io me metto scuorno ‘e ‘nce fa vede’ ca mangiammo sulo ‘o primmo senza sicondo e contorno.

Gen – Ma chisto Armando, se pensasse ca tenimme ‘e rendite sparse al sole? Embe’, mo mammà ha calato, vuol dire che ce li mangiamo presto presto e così ci togliamo il pensiero. Va a dire a mamma che portasse in tavola.

Rosa – (Entra con in mano la insalatiera fumante). Ecco qua, pronto.

Gen – Già pronto?

Rosa – E che dovevo fare, ‘o rragù?

Gen – E come li hai conditi?

Rosa – Col salmone e panna.

Gen – Fai poco la spiritosa.

Rosa – Gennà, l’ho conditi con due pummarulelle del piennolo.

Gen – Hai comprato le pummarulelle del piennolo.

Titina – No, l’ha prese dal piennolo della signora a fianco che sta sul terrazzino che affaccia dietro i camerini.

Gen – E va be’, quella ne tiene tante, di cose appese.

Rosa - Tiene perfino il lardo appeso.

Gen – E quella è bella chiatta. Embe’, non hai pensato ad un maccherone lardiato?

Filo – E si, mo facciamo il menù con la robba della signora.

Armando – (Dall’interno fa sentire il fischio).

Filo – Armando. Io ‘o sapevo. Levàte ‘a miezo sti maccarune, buttateli via, fateli scomparire.

Gen – Ma che si’ pazza?

Filo – (Mette in disordine piatti e forchette per dare l’idea che il pranzo è già stato consumato). Vi ho detto levate sti maccarune ‘a miezo che se no faccio ‘a pazza. Facite a vede’ che avimmo già fernuto ‘e mangia’. (Si avvia verso la quinta).

Gen – (Afferra l’insalatiera e si precipita verso l’interno).

SCENA 7/1

(Armando e detti)

Filo – (Tirando Armando in scena che imbraccia un pacco) Vieni, vieni, non ti preoccupare, abbiamo già finito di cenare. Si venive un poco prima ti mangiavi qualcosa con noi.

Armando – Ti ringrazio, ma non posso. Mia madre non mangia senza di me.

Filo – E’ invalida?

Armando – Ma che dici? Mammà scoppia di salute. E’ un fatto affettivo. (A Rosa) Buonasera signora. Scusate se disturbo a quest’ora.

Rosa – Ma per l’amor di Dio. Ci mancherebbe altro. Che disturbo.

Armando – Stavate cenando?

Rosa – No, abbiamo appena finito. Accomodatevi. Scusate come ci trovate, ma oggi abbiamo provato fino a tardi e così abbiamo preferito fare una cenetta veloce.

Armando – (Guardando la ragazza) Vostro marito non c’è? Volevo salutarlo.

Rosa – Certo che c’è. Scusate avete il torcicollo?

Armando – No, perché?

Rosa – E voi parlate con me e state girato dall’altra parte.

Armando – E’ vero scusate. Ma quella Filomena tiene lo sguardo magnetico.

Rosa – Eh?

Armando – Tiene lo sguardo che è una calamita.

Rosa – E voi tenete ‘a capa fierro. Perciò siete attratto.

 Ora vi chiamo subito mio marito. (Esce).

Armando – Ha detto ca tengo ‘a capa ‘e fierro.

Filo – No, forse ha detto fiero…

Armando – No, ha detto fierro.

Filo – Ha detto fierro.

Armando – Va be’. Fiero. E come vanno le prove?

Filo – Bene.

Armando – E questa volta che cosa canti?

Filo – Una composizione di mio padre: il successo.  (Nel dire il titolo allarga le braccia e colpisce Armando con un ceffone).

Armando – (Salta dalla sedia con un grido di dolore e coprendosi il viso).

Filo – Uh, scusa, scusa. Ti ho fatto male?

Armando ‘A na poco, me cecavi n’uocchio.

Filo – Perdonami, è l’entusiasmo che ho per l’arte.

Armando – Io ti capisco, ma cerca di contenerti.

Filo – Tu mi capisci? Grazie. 

Armando – Certo che ti capisco. Perché anche a me piace l‘arte.

Filo – Veramente?

Armando – Si. Ho scritto una canzone per te.

Filo – Veramente? E fammela sentire.

Armando – No. Non se ne parla proprio. Io canto solo la mattina, quando mi faccio la barba. Non sono un professionista.

Filo – Sono sicura che tieni una bella voce. E dai cantami la tua canzone, tanto siamo soli. Ti vergogni di me?

Armando – No, non vorrei guastarti la digestione.

Filo – La digestione? Non potrai guastarmela mai.

Armando – E va bene, allora canto, per te.  (Si imposta e annuncia il titolo) Filomena.

Quanno sto vicino a te

Filomè, Filomè.

Io divento asmatico

Mpiett ’o core  sai che fa

Ogni ccà,  ogni llà,

ogni botta fa ta ta.

Se pranziamo tet a tet

Mmocc’a te, mmocc’a me

Questo è sistematico

Nun capisce niente cchù

Vedo giallo e dico blu

Ti domando come fu

Tu rispondi: lo sai tu,

è una cotta su per giù.

Tu sei bella, troppo bella,

quel che c’hai in non lo so,

tiene ‘a capa ch’è ‘na palla

tiene ‘a sguessera ‘e Totò.

Ma a baciarti ho fatto il callo

E non mangio da quel dì,

cu’ ‘na fella ‘e mozzarella,

stongo fino al lunedì.

Filomè, Filomè, Filomè,

sono un uomo, non sono un   

marmocchio.

Filomè, Filomè, Filomè,

Se ti guardo barcollo e sconocchio.

Filomè, se sconocchio e barcollo,

 barcollo e sconocchio soltanto per te.

 Filomè, Filomè, Filomè…

(Nel frattempo è entrato Gennaro e asciugandosi il muso perché ha mangiato dietro le quinte,fa gesti di apprezzamento).

Gen – Giovanotto, permettete che vi stringa la mano. Voi siete un poeta e un cantante veramente eccezionale. Avete pensato mai di cantare in pubblico?

Armando – Voi scherzate? Quella mia madre  mi diserederebbe.

Gen – Allora lasciate stare. Tanto c’è tempo, siete giovane. Aspettate che la voce si matura e poi, quando vostra madre non sarà più…

Armando – Come, deve morire mammà?

Filo – Papà, ma che dice?

Gen – Eh, e questo che robba è. Fatemi finire di parlare. Fatemi completare la frase. Dicevo: quando vostra madre  non sarà più… ostile a questa vostra passione, allora io sarò ben lieto di farvi debuttare degnamente.

Armando – Ah, mi dovete scusare. Sapete, sono così legato a mammà. A proposito, mi sono permesso di portare un pensiero.

Rosa – Ma perché vi siete preso questo disturbo?

Armando – Ma quale disturbo. Questo me  l’hanno regalato. Ma noi stiamo tutti a dieta e allora, ho pensato che a voi… ma non è che state anche voi a dieta?

Gen – Veramente noi facciamo una dieta imposta. Sapete, siamo artisti e dobbiamo sempre essere in forma. Ma ogni tanto si può anche fare una eccezione. Di che si tratta?

Armando – Ecco qua. (Apre il pacco) Si tratta di un potentissimo digestivo, fatto con 99 erbe a 90 gradi. Con questo digerite pure le pietre.

Gen – Sapete che è un’idea.

Armando – Se mi date dei bicchieri vi faccio vedere come digerirete tutto quello che avete cenato stasera. Vi sentirete come digiuni.

Gen – Vi ringrazio, ma veramente…

Titina – Io ho mangiato un po’ troppo stasera, dallo a me un bicchierino.

Rosa – Titi’, non abusare, che l’alcol fa male.

Armando - Non vi preoccupate, tanto lei è a stomaco pieno. Quello fa male quando si prende a stomaco vuoto. (Offre a Gennaro e a Rosa). Prego.

Gen – Grazie. (Lo assaggia e lo gusta per fame). Però,  buono.

Armando – (Visto che piace ne versa altro). Prego.

Gen – Cin cin. Alla salute. E fatemi sentire qualche altra cosa.

(Il giovane prima è esitante, poi fa per cantare ma Gennaro comincia a sentirsi male per l’alcol bevuto e cosi spaventa tutti. Il gruppo esce tra i lamenti di mal di pancia di Gennaro e le donne vocianti).

FINE PRIMO ATTO

SECONDO ATTO

SCENA 8/2

(Ballerine, Filomena, Armando, Gennaro,  l’orchestra)

(Gennaro è solo, poi arrivano le ballerine che si dispongono per provare)

Gen – Ecco qua, come al solito s’è fatta l’ora delle prove e nun se vede nessuno. Io dovevo nascere in Sguizzera, perché mi piace la precisione, la puntualità…

Bal1 – (Entrando sente parlare Sik e commenta) Soprattutto nei pagamenti…

Gen – (Notando le ballerine) Ah, finalmente, siete arrivate. Forza, forza, diamoci da fare il tempo è danaro

Bal1 – Allora s’è fermato ‘o tempo.

Bal2 – Maestro, allora posso provare la scenetta del Paradiso?

Gen – E l’attore non l’ho ancora trovato.

Ins1 – Scusate maestro, queste scene dove le mettiamo?

Gen – Sai che tieni proprio la presenza giusta. Ti piacerebbe recitare?

Ins1 – Non lo so, non ho mai recitato. Che devo fare?

Gen – Un personaggio bellissimo: un giovane che va in Paradiso.

Ins1 – (Facendo gli scongiuri) Allora aggia murì?

Gen – Ma per finta.

Ins1 – Ah, va be’. E se vado bene mi pagate?

Gen – Ancora nun ‘e fatto niente e già pienz”e solde? Allora proviamo su.

Ins1 – E proviamo.

Gen – (Prepara un leggio per l’inserviente e lo mette in posizione).

            Mi raccomando, tu sei un’anima che si presenta davanti all’angelo guardaporta.  (Si nasconde dietro le quinte).  

 

SCENA 8/2

(Inserviente e Ballerina2)

Ins - Buon giorno. Io sono...

Ang- Sappiamo, sappiamo. Tu sei deceduto da 3 minuti e 20 secondi terreni per cause accidentali...

Ins- Accidentale?  Si piglio a chillu disgraziato ca' m'ha tagliato la strada, un accidente ‘ncio faccio passa’ io… gli devo rompere…

Ang- Gueeee', salma.

Ins - Calma? E sto calmo.

Ang - No, salma. Tu sei una salma, non ti scordare. Perciò fai la salma e statte zitto. Qua non stiamo al mercato. Qua stammo in Paradiso e percio' ti devi comportare adeguatamente.

Ins – Ma voi parlate napoletano? Siete di Napoli?

Ang – No. Io parlo tutte le lingue. Sono un angelo.

Ins - Tutte le lingue?

Ang - Tutte. Devo ricevere le anime di tutto il mondo.

Ins – Giusto. Non ci avevo pensato.

Ang - (Serio)  Andiamo avanti. Dunque, dunque, dunque.

Ins – Dunque?

Ang - Dunque,  la tua destinazione è …

Ins – Sentite, posso avere un bel caffe? So che voi qua in Paradiso ne fate uno squisito.

Ang - Qui non si fanno caffèè, perché siamo fatti di puro spiritoso. Perciò ti prego di non fare lo spiritoso.

Ins -  Ah. Questa è bellina:.lo spirito spiritoso...

Ang - Ma non ci perdiamo in chiacchere e procediamo.  Ma tu tieni qualche peccatuccio?

Ins - Peccati. Io? Che peccati puo' fare un disoccupato e neanche organizzato come me.

Ang - Eh,eh,eh. Non diciamo bugie. Ti ho detto, prima, che qui' e' tutto scritto. E ce ne sta parecchio di scritto. Qua ci stanno peccati che sono da Inferno, altro che Paradiso.

Ins - Per esempio?

Ang - Per esempio: Mancato pagamento della tassa di possesso di una autovettura fiat 5oo. Non pagare il tributo a Cesare e'  un peccato.

Ins - Scusate, forse vi state confondendo. Cesare  e' morto prima di me. Come facevo a pagare il tributo a Cesare?

Ang – Ma è un modo di dire. Date a Cesare quel ch’è di Cesare… Insomma, le tasse si pagano. Ah. mancato pagamento di due verbali per infrazione al codice della strada. Sosta in seconda fila e sosta con due ruote sul marciapiedi.

Ins - Ma allora nun'e' overo ca sapete tutto. Guardate , affacciatevi e vedete voi stesso: da noi la sosta in seconda fila è normale. Allora deve andare tutta la città all'inferno?

Ang – E il canone Rai? Mancato pagamento canone Rai, acquisto sigarette di contrabbando, acquisto cassette audio contraffatte, acquisto cassette video contraffatte, hai viaggiato sui pulman senza biglietti, hai acquistato medicinali per se e per i suoi a nome del suocero…

Ins - Basta, basta. Confesso. Ma non mettetemi a morte.

Ang - Bravo. Confessa le tue colpe.

Ins – Le mie colpe? Le colpe di tutti i napoletani. Confesso che non sapevo che erano peccati. A Napoli mi pareva normale. Adesso che me lo dite... e io ci credo e non farò più questi peccati. Anzi, perche' non mi mandate giù, a Napoli, accussi posso informare quella povera gente che nun sape che so’ peccati tutte chesti cose. Sono sicuro che se uno ce lo dice,  quelli diventano come  tedeschi.

Ang- E si, mo' ti mandiamo con le trombe a redimere i napoletani. Duemila anni fa c’è andato proprio Lui, in persona, eppure... Ch'è cambiato qualche cosa?

Ins – Veramente c’è andato il Figlio. Ha fatto tanti prediche e poi? Niente. E’ servito solo per fare film e basta.

Ins- Vero, bravo. Allora e' vero che vedete tutto. Quelli, i rappresentanti di Lui, so’ peggio di tutti.

Ang - Ma quelli sono abusivi. Lui non ha mai detto “voi siete i miei rappresentanti”. Che tiene bisogno dei rappresentanti, Lui?

Ang -  Allora basta con le chiacchere. Qua bisogna pagare.

Ins - Ma comme, stavamo parlando accussi' bello. Pagare. Pagare. Pagare.  Ma ch'aggia paga', se noi già paghiamo, per tutta una vita. Miserie, disoccupazione, mortificazione. E agli altri? Tutto. Lavoro, televisioni, scudetti. E questa è giustizia? Dacci pure a noi tutte queste belle cose e po' te faccio vede' che si firano di fare questi meridionali.

Ang - Gue', bel giovane, ma che stai protestando? Mo vorresti giustificare l’illegalità? Mo volessi dire che la colpa viene da sopra? Non te lo permetto, sai. Lui non sbaglia, mai. La colpa è vostra, dei vostri governanti, eletti da voi, con i vostri voti “amichevoli”. E non mi far parlare, che le cose si sanno. E poi la volete da noi? Lui vi ha dato la libertà di scelta e voi… Percio' basta, chi ha sbagliato paga.

Ins - Si, ma loro, quelli eletti non pagano mai?

Ang - Pàgano, pàgano. Tangentopoli te la sei scordata?

Ins - E’ vero, Tangentopoli. Processi, processi, processi e poi in carcere? Ma in carcere chi è rimasto? Sapete che non mi ricordo?

Ang - Basta. Non mi interessa. Abbiamo detto che sono fatti vostri.

Ins - Tenete almeno conto che io ho cercato lavoro per anni e non l'ho mai trovato. Sapessi come ho desiderato un lavoro vero, sicuro, per me e per quella povera povera crista di mia moglie. E invece, ho dovuto vivere, anzi sopravvivere di espedienti. Che dovevo fare?

Ang - Emigrare.

Ins - Giusto, emigrare. Stiamo emigrando da centinaia di anni, non pensate che ci dovremmo godere un poco la nostra terra, i nostri parenti, i nostri amici.

Ang - Come si vede che sei meridionale. Sentimentale e lacrimoso. Oggi non ci sono più barriere, tu vai a vivere al nord…

Ins - E quelli non vengono mai a vivere al sud. Vengono solo a farsi le vacanze e poi… via.

Ang – E va bene, mi hai convinto.  Vuol dire che ti daremo un bel posto di lavoro, qui, in Paradiso. Cosi', quello che non hai avuto sulla terra, qui ti sara' dato per l'eternita'.

Ins - Veramente? Mi fate lavorare, qui in Paradiso. In vita non ho mai trovato lavoro e mo, vengo in Paradiso, addò tutti si soffiano, suonano l'arpa, si bevono il caffè seduti sulla nuvola e io me metto a fatica' per tutte quante, per tutti i secula seculorum?

Sapete che vi dico? Andate al diavolo. Anze ci vado proprio io, dal diavolo. Qual'e' la strada per l'inferno?  (Via).

Ang- Questi meridionali, non sono mai contenti.

SCENA 9/2

(Ballerina2, Gennaro, Inserviente, Maestro e orchestra)

Gen – (Entra in scena silenzioso).

Ins – (Ritorna in scena) Comm’è andato, maestro. Adesso che sono un attore, mi potete dare un anticipo sull’ingaggio.

Gen – Ma te ne vaje o no? L’attore. Sei un facchino e continua a fare il facchino. 

Ins – (Va via amareggiato).

Bal2 – Scusate maestro. E io come sono andata?

Gen – Ma voi sapete cantare?

Bal2 – Perché?

Gen – Perché è meglio che cantate.

Bal2 – E va bene. Posso provare con una canzoncina spiritosa?

Maestro – (Entra seguito dall’orchestra). Buongiorno.

Gen – Buongiorno a voi. Lupus in fabula.

Maestro – Voi ce l’avete sempre con gli animali. Prima le scigne, mo i lupi. Che siamo lupi noi?

Gen – Maestro pensate a suonare, che state già in ritardo.

Maestro – E voi sui pagamenti non siete in ritardo?

Orchestrali – E voi non siete in ritardo?

Gen – E voi non siete ritardati?

Orchestrali – (Fanno per avventarsi su Sik, ma sono trattenuti dal maestro. Sik si è rifugiato dietro alla ballerina. Tutti si ricompongono).

Gen – Las spagnolas.

Bal2 – (Canta)

Son ballerinas

Figlia d’Espagnas

Che nella danza

Facci’’o flamenco

Movendo ‘a panza.

Un caballeros

Me  vene appriessos

E passa e spassas

Me guarda fisso

E fa la tosses.

Sto piezz’e fessos

Nun ha capitos

Che si nun caccia

Quaccosa ‘e sorde

Lui pierde tiempos.

Se lui non viene

Con la moneta

Fa palla cortas

Sul’ uocchie chine

E mane vacantas.

Se invece voios

Fate un regalos

Senza mantiglia

Faccio la danza

E poi l’amor.

 

Gen –  Meglio, meglio che cantate,  tenete proprio l’accento spagnolo. Però adesso vulesse pruva’ un poco con le ballerine, mettere una piccola coreografia sotto alla canzone..

Filo – (Entra rammendando) Non possiamo provare.

Gen – N’ata vota cu sta storia?

Filo – Non possiamo provare. Le ballerine se ne so’ ghiute.

Gen – Se ne so’ ghiute?

Filo – Papà, se ne so’ ghiute.

Gen – Se ne so’ ghiute. Ma tu staje sempe a còsere? E va bene, signorina potete andarvene. (A Filomena) Siente Mena, io ho pensato di fare un pezzo per valorizzare lla tua bravura, bell’e papà. Voglio fare un brano di Antonio e Cleopatra.

Filo – Antonio e Cleopatra?

Gen – E’, Antonio e Cleopatra.

Filo – Ma quella è una tragedia.

Mae – (Sottovoce ai musicisti) E cchiù  tragedia ‘e nuje?

Gen - Noi la tragedia la tenimme nel sangue.

Mae – Giusto.

Sik – E poi tenimme la coppia perfetta per una storia d’amore drammatica e commovente. E poi, la gente vo chiagnere.

Mae – E vuje ‘e facite chiagnere.

Gen – La gente vuole chiagnere perché così non si sente sola con il suo dolore.

Mae – Bravo. Siete pure pisicologo.

Gen – Giovane. Senza che fato lo spirito. Un autore di teatro deve capire la pisicologia del pubblico.

Mae – Autore? Ma pecché quest’Antonio e Cleopatra è robba vosta?

Gen – E’ robba vosta. Ma che sono patane. E’ una vostra opera? No. L’idea l’ho avuta anch’io, ma poi ho saputo che era già stata scritta da un certo Alfieri.

Mae – Ah, Alfieri.

Gen – Ma pecché lo conoscete?

Mae – Certamente. Chi non conosce Alfieri. E’ un autore famoso.

Gen – Si? Voi lo conoscete? E come fa di nome?

Mae – Vittorio.

Gen – Ah. Allora è canusciuto anche da voi.

Mae – Ma pecché “anche da voi”. Ma che vi credete. Io ho fatto il Conservatorio.

Gen – E si studia pure l’Italiano?

Mae – No.

Gen – Lo vedete.

Mae – Ma che c’entra. Al Conservatorio si studia solo musica.

Gen – E allora fate la musica: siete in grado di suonare qualcosa di drammatico, visto che la tragedia ha la sua ipotesi con la morte di Cleopatra.

Mae – Apoteosi.

Gen – Come?

Mae – Si dice apoteosi. Avete sbagliato.

Gen – Sentiti, maestro, vi posso dire una cosa personale. Voi mi siete cordialmente antipatico.

Maestro – Don Genna’, se permettete, la cosa è reciproca.

Orchestrali – La cosa è reciproca.

Gen – Voi state a posto vostro. Questa è una discussione tra due superiori, perciò voi non c’entrate. Adesso fatemi un pezzo classico per sottofondo a una tragedia.

Maestro – Per eseguire un pezzo così, ci vorrebbero altri elementi.

Gen – Infatti aggio capito che questi elementi non sono in grado…

Maestro – Ma che avete capito? Voglio dire che ci servirebbero altri elementi, per esempio i violini, le trombe, i tromboni.

Gen – Maestro, non vi esaltate. Noi non siamo il S.Carlo.

Maestro – E voi volete ’Aida?

Gen – Ma quale Aida? Io voglio un pezzo che deve esaltare l’entrata di Cleopatra.

Maestro – E chi sarebbe Cleopatra?

Gen – Mia figlia.

Mae – Ma vui overo dicite?

Orchestrali – (Ridono. Il maestro li ferma).

Gen – Avete qualcosa da dire su mia figlia?

Maestro – No.

Gen – Maestro, io sono un artista so cogliere le sfumature. Noi viviamo di sfumature.

Mae – E che fate il barbiere?

Gen – E va bene, vi voglio credere e chiudiamola qui.

Maestro – E chiudiamola qui. (Il maestro esce contrariato, con gli orchestrali).

SCENA 10/2

(Gennaro, Filomena, Armando)

Filo – Papà, tu pensi che che io posso fare Cleopatra?

Gen – Non ti preoccupare, bell”e papà. Tu tiene tutti i numeri per fare questa interpretazione. Mo sai che facciamo, ci studiamo una bella coreografia con le ballerine.

Filo – Ma le ballerine se ne sono andate.

Gen – Se ne so’ andate?

Filo – Papà, te l’ho gia detto prima. Tu o sai che quelle devono vedere come apparare la giornata. Ma si nun ce stanno clienti hanno detto che tornano. Ma mo come facciamo con Antonio?

Gen – Antonio? Chi è Antonio?

Filo – Papà, Antonio, il marito di Cleopatra.

Gen – Ah, Antonio, l’amante di Cleopatra.

SCENA 10/2

(Armando, Gennaro, Filomena, orchestrali)

Arm – (Entra in scena).

Gen – (Come se vedesse Ferdinando dopo lungo tempo) Ferdinando. Eccolo, è proprio lui. (Lo abbraccia).

Filo – Papà, ma nun ci vedi. Questo non è Pasquale, è Armando.

Gen – Salvatore.

Filo – Papà nun sta buono.

Fer – Maestro, io sono Armando. Ar man do.

Gen – M’avesse pigliato per cretino? Ho capito, lo so che sei Armando. Ma io saluto in te il mio salvatore. Noi dobbiamo andare in scena e tu devi mi devi fare Antonio nella famosa tragedia di Alfieri.

Arm – Ma voi volete scherzare. Io non sono in grado.

Gen – Ma tu sei troppo modesto. Sotto la mia direzione pure le pietre possono recitare.

Arm – E grazie. Ma come faccio cu mammà?. Chella, si ‘o vene a sapé, ‘nce vene nu colpo.

Gen – E’ buono.

Arm – Comme? E’ buono si ‘nce vene nu colpo?

Gen – No. E’ buono che lo viene a sapere, così sarà orgogliosa di avere un figlio artista.

Arm – Eh si. Voi non la conoscete. Lei è all’antica

Gen – E’ antidiluviana.

Arm – E che dde? Nu mammut?  Lei dice che questi che fanno il teatro so’ tutti mortidifame.

Gen – Ma questa è una fissazione.

Arm – Allora non è vero, voi siete ricco?

Gen – Ricco dentro. Questo è un lavoro…

Mae – (Rientrando) … un lavoro di fame.

Gen – Voi chi siete?

Mae – Come chi sono? Sono il maestro d’orchestra.

Gen – E allora fate il maestro di questa specie d’orchestra e impicciatevi dei fatti vostri.

(I musici si sentono offesi e vorrebbero reagire ma il maestro li frena).

Mae –  Va bene. Però ricordatevi che noi fra mezz’ora ce ne jamme , perché dobbiamo andare a guadagnare quacche cosa fuori, se no non si mangia..

Gen – Mangiare, mangiare. Questa è una parola che vi dovete dimenticare.  Quando facciamo gli incassi… ci pensiamo. Allora, caro Armando, ho trovato la soluzione: noi ti truccheremo in modo che neanche tua madre ti riconoscerà. Poi, quando otterrai il successo, se vorrai, ti svelerai a mammà. Adesso vogliamo provare?

Arm – Ma io non conosco la parte.

Filo – E’ una grande storia d’amore.

Gen – E voi sarete i miei protagonisti

Io ti suggerisco. Vai tranquillo. Mena, mettigli qualcosa di costume, così entra meglio nel personaggio.

Filo – Si papà. Andiamo. (Esce con Armando).

Gen – (Chiamando) Rosa, viene nu poco  ccà .

Ros – Che dde?

Gen – Devi fare il prologo.

Ros – Quale prologo?

Gen – Il prologo di Antonio e Cleopatra.

Ros – E chi fa Antonio?

Gen – No. Lo faccio fare a Armando.

Ros – Ma tu si’ pazzo?

Gen – Tu lascia fare. Armando è capace.

Ros – Armando e Titina: Antonio e Cleopatra? Ma vulimme fa ridere?

Gen – Magari.

Ros – Va be’. Facimme ambressa, che tengo i fagioli sul fuoco.

Gen – I fagioli? Brava. Ce li facciamo alla maruzzara?

Ros – Genna’, ce li facciamo a zuppa, accussi consumammo tutto ‘o pane tuosto  ca tenimmo.

Gen – E che ci vuole pe’ farli alla maruzzara, due pummarulelle della signora a fianco.

Ros – Non si può.

Gen – So’ fernute ‘e pummarole?

Ros – No. ‘A signora se n’è accorto  e  ha spustato tutto all’altro balcone.

Gen – Pure ‘o piezz’e lardo?

Ros – Pure ‘o piezz’e lardo.

Gen – Non c’è niente da fare. L’egoismo umano dilaga.

Ros – Genna’, ma tu veramente staje dicenno? Jamme, nun me fa perdere tempo, famme vede’ stu procolo.

Gen - Questo prologo l’ho scritto per far capire al pubblico l’antefatto. Perciò lo devi leggere cu ‘na bella voce impostata.

Ros – Miette ccà. (Lègge). Signori e signori questa sera vi presentiamo il capolavoro di Vittorio Alfieri : Antonio e Cleopatra.

          Siamo avanti Cristo. (Correggendo) Avanti Cristo. Antonio, che è un generale romano amico intimo di Giulio Cesare, se lo vede morire a causa dei sìcari… Il fumo uccide.

Gen – Quale fumo?

Ros – Genna’ il fumo dei sìcari. Giulio Cesare se fumava ‘e sicari e perciò morse.

Gen – Morse? Morì. Ma come sei ignorante. I romani se fumavano ‘e sicari? I romani non fumavano.

Ros – Veramente. E pecché.

Gen – Perchè il fumo lo portò Marco Polo dalla Turchia.

Ros – Perciò se dice tu fumi comme nu’ turco?

Gen – Brava. Hai capito.

Ros – E chi fuma cchiù ‘e nu turco?

Gen – E che ne saccio?

Ros – Dduje turchi.Ah ah. (Ride da sola)

Gen – Vogliamo essere seri?

Ros – Uffà, comme si’ pesante. (Legge) Antonio, alla vista del morto dice tra se e se. Per Bacco e mo me spetta il posto… Già allora c’era il problema della disoccupazione. Addirittura aspettavano ca mureva quaccuno pe’ se piglia’ subito ‘o posto.

Gen – Rosa, non commentare. Liegge.

Ros – …me spetta il posto di imperatore.  All’anema d’o posto. Ma Cesare, il defunto, ci ha un figlio che pretende il posto del padre. Il suo maestro Cicerone allora gli dice: Tu fai ‘na bella guerra, la vinci e quando torni vincitore ti faranno imperatore. Accussì attacca l’Egitto governato dalla regina Cleopatra  e lo conquista. Ma quando vede la bella Cleopatra sospira: alla faccia del Cassio, che era un amico suo. E così squillarono le trombe dell’amore. E trombe oggi, trombe domani, Antonio regala tutte le province romane a Cleopatra. I romani, a questo punto si incazzano a morte e mandano Augusto con una grossa flotta a combattere contro Antonio, che perde la battaglia navale e scappa dalla sua Cleopatra. E qui comincia la nostra storia.

Gen – (Di lato come suggeritore, parla sottovoce)  Musica.

Maestro – (Parte una musica lenta e solenne, sul tema dell’Aida).

Gen - (Sottovoce) Entra Cleopatra con grande tensione.

Filo - (Entra Filomena vestita goffamente da Cleopatra che guarda a terra e poggia i piedi con cautela).

Gen – Filume’, ma comme cammina?

Filo – Papà tu me’ ditto. Entra Cleopatra con grande attenzione.

Gen – E che ci steveno l’ove ‘nterra? Grande tensione. L’aria è gravida.

Filo – Papà, ma allora se è gravida m’aggia mettere un cuscino per fare la panza.

Gen – Bell’e papà. Pecché vuo’ fa asci’ incinta a chella puverella ‘e Cleopatra, ca già tene tanti guaje. L’aria gravida di  tensione.

(Gennaro  suggerisce indicando col dito chi deve parlare).

          Cleopatra è addolorata.

Filo – Cleopatra è addolorata.

Gen – No. Non è

Filo – Non è addolorata.

Gen – E’ addolorata, ma non lo devi dire.

Filo –E pecché?

Gen – Perché “addolorata” è uno stato d’animo, non è una battuta.

Filo – Avevo capito che era morto Antonio.

Gen – Nun è morto, è vivo. Ma è addolorata lo stesso. Jamme, vuo fa  l’addolorata.

Tit – (Fa una smorfia ridicola).

Orchestrale 1 – (Sottovoce agli altri) Cleopatra era stitica? (Ridono tutti).

Gen– Che farò, giusti dei. Scampo non veggo.

Filo – Che farò, giusti dei, scappo, nun vengo.

Gen – Addò hadda j’? Scampo non veggo.

Filo – Che farò, giusti dei, scampo non veggo.       (Ammicca per dire va bene).

Gen – Mi raffiguro in mente ogni periglio.

Filo – Mi raffiguro in mente un parapiglio.

Gen – Ogni periglio, pericolo.

Filo – Mi raffiguro in mente ogni periglio.

Gen – Stolta son’io. A niun fra tanti, m’accomuna il caso.

Filo – Papà, questo non lo voglio dire.

Gen – Ma perché?

Filo – Ma perché, Cleopatra era storta?

Gen – Ma qua’ storta. Stolta, stolta vo’ dicere … stolta, malamente.

Filo – Stolta son’io, a diuno fra tanta maccarune c”o caso.

Gen – C”o caso?

Filo – Col formaggio.

Gen – Quale formaggio?

Filo – E che ne saccio. ‘O formaggio di Cleopatra.

Gen – Il parmigiano.

Filo – Il parmigiano?

Mae – Cleopatra stava ad Alessandria.

Filo – Alessandria? Ma non è possibile, Alessandria sta vicino Torino? Noi teniamo il fratello di papà che ha preso il posto nelle poste proprio là? Scriveva sempre: “qua fa nu fetente ‘e friddo e io mi so dovuto mettere le mutande longhe”. (Ride).

Mae – E’ vero, c’è un’Alessandria in Piemonte, dove il clima è molto rigido. Ma c’è un’Alessandria d’Egitto dove risiedeva la suddetta Cleopatra.

Filo – (Ammirata) Ma quante cose sapete, maestro.

Mae – Modestamente, io ho studiato anche la storia.

Gen – E’ finito il duetto. Vogliamo andare avanti?  L’onor e il regno, ambo mi par, d’aver perduto.

Filo – L’onor e il regno, (Calcando) ambo…

Orchestrale 2 – (Sottovoce) Terno. (Tutti  gli altri ridono).

Filo – …ambo mi par d’aver perduto. Papà, ma Cleopatra cu chili guaje ca teneva se metteva a juca’ l’ambo.

Gen – Veramente pure a me me pare strana sta cosa.

Mae – L’ambo non sono i numeri che escono sulle ruote del bancolotto.

Filo – E che cos’è allora?

Mae – Ambo, nel caso specifico, vuole dire ambedue, tutte e due le cose mi par d’aver perduto, l’onore e il regno, dice Cleopatra..

Filo – Maestro, ma voi sapete tante cose. Ma siete sposato?

Gen – Maestro, voi mi dovete fare la cortesia di non intervenire quando il regista da le sue istruzioni. Allora riprendiamo. Vacilla il pie’ su questo inerme soglio.

Filo – Fancille a piè, se questo ne ha bisogno.

Gen – Vacilla il pie’, su questo inerme soglio.

Filo – Vacilla il pie’ se questo verme saglie.

Gen – (Fa segno di no).

Filo - Nun saglie. Scenne?

Gen – (Fa cenno di no).

Filo – Nun scenne? Nun saglie. Ma se po sape’ che fa?

Maestro – (Suggerisce con gesti a Filomena, che risponde a gesti).

Arm – (Entra con un ridicolo costume) E scusate, ma chesto che modi sono. E’ mezz’ora che state dando fastidio alla mia fidanzata.

Maestro – Ma voi che state dicendo?

Arm – Sissignore, ho visto che state facendo il zezo con il vostro scilinguagnolo.

Maestro – Ma che lingua parlate. Non mi fate ridere.

Arm - E tu stai facendo la Cleopatra con questo pinguino curioso. Ma io nun so’ fesso. Si ‘o vene a sape’ mammà  (Via)

Gen – Armando, aspetta. Questa non è Cleopatra, mia figlia è una donna seria. (Al Maestro) Tutto per colpa vostra. Vi avevo avvertito, state al posto vostro e invece niente. E mo’ avete tolto la stima a una brava giovane…

Maestro – Ma vuje site tutte pazze cca dinto? La andate al diavolo. (Via)

Orchestrali – Andate al diavolo. (Via).

SCENA 11/2

(Gennaro, Filomena, Rosa, Ballerine)

(I due restano soli. Gennaro siede disperato. La figlia si avvicina e mette il braccio sulla spalla del padre. Entra Rosa con una zuppiera fumante).

Rosa – Genna’,  ‘e fagioli sono pronti.

Gen – Ce miso ‘o pane sotto?

Rosa – Si.

Gen – E l’aglio?

Rosa – Si.

Gen – E un filo d’olio a crudo?

Rosa – Sissignore.

Gen – Beh, allora andiamo in tavola.

         (Si alza, abbraccia la figlia e fa per andare)

Ballerine – (Entrano chiassose) Buonasera. Allora maestro si prova. Ah. Ma state mangiando? Buon appetito. Che bel profumo, che sono?

Rosa – Fagioli a zuppa.

Ballerine – Ah, come me piacciono ‘e fagioli a zuppa.

Rosa – Volete assaggiare?

Filo – Favorite.

Ballerine – Si grazie.

          (Si avviano dentro tutte chiassose).

Gen - Strano. Anche i giovani amano questi piatti poveri.

Rosa - (Entra con un piattino) Gennarì, ti ho portato i fagioli. So' pochi, ma le signorine stavano proprio affamate. (Via)

Gen - Le signorine... (si siede e fa per mangiare, ma vede entrare un povero).

SCENA 12

(Gennaro e il povero)

Pov – Signo' scusate

se vi ho disturbato.

Ma sono stato molto malato

e solo adesso mi sono alzato

e quanno ‘a freva mi è passata

s’era ‘nfettato pure ‘o vicinato

mia suocera, mia nuora e mio cognato.

Ch’e medicine che so’ aumentate

io me songo arruvinato.

Ma ‘o Signore m’ha aiutato

Pecché mo se so’ tutti sanati.

Io stongo ‘e casa in un fabbricato

ca ‘o terremoto ha lesionato.

Feci ‘a domanda da terremotato

per il contributo di danneggiato.

Ma ‘e solde che hanno arrunnato

nun l’hammo visto manco pittato,

pecché chillè d’’o comitato

se l’hanno passato uno cu l’ato,

e solde se so’ assottigliati

e chiano chiano songo squagliati.

Sicché ‘e signore l’hanno mannato,

‘e signore se l’hanno magnato

pe’ nun fa asci’ ‘o grasso ‘a fore o pignata.

Chistu povero disgraziato

È rimasto cornuto e mazziato.

Signori miei, mo l’avite capito.

Io esco p”a fabbrica ‘e l’appetito.

Siamo quinnece in famiglia

Io me sbatto e m’assuttiglio

e muglierema Consiglia

quacche sfizio lei so’ piglia,

pecché ogne anno fa nu figlio

ca pe’ niente m’assumiglia.

Perdonate l’insistenza

se vi guasto l'appetenza,

ma la famma m'ha pigliato

e sono proprio disperato.

Gen - Sentite, vi piacciono i fagioli?

Pov - Anche le pietre.

Gen - (Porgendogli il piatto) Favorite.

Pov - Grazie. (Si siede dietro una scena e mangia).

Ros - (Entra e non vede il povero) Gennarì te so'piaciuti?

Gen - Eh!

Ros - E nun te lamentà. Poco, ma hai mangiato. Penza a quelli che non hanno mangiato neanche  quel poco.

Gen - Ci penso, e come. (Abbraccia la moglie).

                                            FINE

                     

©  Mariano Burgada