La vocazione

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di Andrea BRUNORI

da IL DRAMMA - Anno 44 - n. 2 - Novembre 1968

PERSONAGGI:

Il Giovane

La Donna

La Vecchia

Il Vecchio

Lo Straccione

LA SCENA: Labirinto in parte diroccato. Muraglie, porte, buchi dai quali entrano ed escono i perso­naggi come lombrichi. Una finestra con in­ferriate. Spesso i personaggi parlano senza gestire.

Entrano il giovane e la donna.

Giovane.         Andiamo, andiamo!

Donna.           Fermiamoci un po'. Mi scoppia il petto. Sono troppo stanca... Si cammina, si cammina senza  uno scopo...

Giovane.         Come puoi dirlo? Si cerca, no?

Donna.           Hoperduto ogni  speranza,  io.

Giovane.         Ma non dobbiamo darci per vinti!

Donna.           Sì, come vuoi. Ma fammi sedere.

Giovane.         Non ti alzeresti più.

Donna.           Tusei un uomo, ma io...

Giovane.         Andiamo cara, troveremo.

Donna.           Hole scarpe rotte. Fermiamoci. In qualunque posto, angolo, corridoio. Met­tiamo su casa, vuoi? Ti darò da mangiare... Ti aspetterò... Quando avremo dei bambini...

Giovane.         Non possiamo, adesso: sarebbe peggio.

(Ad un vecchio che è entrato in quel momento con alcuni paletti, stracci e fili di ferro).

Scusate, dov'è la galleria centrale?

(La donna siede).

Vecchio          (con un rapido gesto). Là.

(Si ac­coscia e comincia a fabbricarsi una specie di tenda).

Giovane.         Di là? Ma ci sono già passato! Mi pare, almeno...

Vecchio          (assente) Ah, sì?

Giovane.         Accanto al muraglione crollato, no?

Vecchio.         D'altronde è tutto crollato, qui. La guerra, eh! La guerra!

Giovane.         Stanotte mi pareva davvero d'es­ce giunto al confine. Vedevo i campi, dai crepacci. E l'orizzonte più chiaro per l'alba. Uno spazio infinito, libero, al di là... Ho cer­cato una passaggio.  Ma a forza di camminare lungo il confine mi son di nuovo per­duto ed eccomi qui.

Vecchio.         Non uscirete mai.

Giovane.         Eh, no! Troverò io il modo d'an­darmene! Insisterò!

Vecchio.         Non è facile.

Giovane.         D'altronde molti ce l'hanno fatta.

Vecchio.         Ah, sì?

Giovane.         Non li ho visti più girare per il labirinto.

Vecchio.         Allora si sono perduti nel grovi­glio. Spesso restano in un fondo di sacco e non possono più cavarne le gambe. Datemi retta, lasciate andare. Costruitevi un rico­vero. Come faccio io. Accendete il fuoco e aspettate. (Continua ad armeggiare con i paletti e lo straccio).

Giovane.         Un giorno o l'altro troverò il modo. A costo di togliere il terriccio e le pietre con le mani. (Esce lasciando la donna seduta che lo chiama con un gesto stanco).

Donna.           Caro... Amore!...

Vecchia          (è entrata un'altra donna, vecchia. Anch'essa lo chiama). Figlio... figlio, dove vai?...  Ma dove corre  quel  ragazzo?

Vecchio.         Si stancherà... si stancherà...

Donna.           Ma  non  vorrei...  davvero  non  vor­rei che ce la facesse, senza di me. (Si alza ed esce).

Vecchia.         È così sbadato, così impulsivo... Non pensa mai a se stesso...

Vecchio.         Ci pensa, ci pensa. Vuole uscire. Figuriamoci! Io me ne sto qui a costruire un riparo e lui, invece, continua a vagabondare senza meta... Non sa quello che vuole: ma insiste a volerlo. Non pensa a sé? Solo a se stesso pensa, ecco il male.

Vecchia.         Dicevo che non pensa alla salute. Non ci vuol niente, tra tutte queste porte e corridoi a prendersi un malanno...

Giovane          (rientra da un altro buco).  Dov'è ora? Era con me. Aveva voluto sedersi un momento... Non dovevamo separarci. Nes­suno di voi l'ha   vista?...   Cosa farà, sola, senza di me?... Non voglio aver rimorsi...

Vecchio.         Hai la pelle delicata, eh? Pesti for­miche con i tuoi piedoni - come ti muovi: pesti - e ti metti a piangere e a farfugliare di rimorsi...

Giovane.         Che c'entra?

Vecchia.         E a noi non pensi?

Vecchio.         Siamo da buttar via, noi? Non fac­ciamo parte dei tuoi rimorsi. Forse non ne siamo neppure degni.

Giovane.         Io... io...

Vecchio.         Io, io. Dici sempre « io ».Al mondo non ci sei che tu. Ammettiamolo. Ci sei tu solo. Ma che cosa fai per dimo­strare che quel tuo « io » vale qualcosa? Assolutamente nulla. Ti metti a cavalcioni d'una nube e svolazzi qua e là.

Giovane.         Io...

Vecchio.         Io! Lovedi? Io.

Giovane.         Io cerco d'uscirne. Come tutti, d'altronde.

Vecchio.         È una bella scusa. Lo fanno tutti, e lo fai anche tu.

Giovane.         E che potrei fare d'altro?

Vecchio.         Darti da fare.

Giovane.         E a che scopo?

Vecchio.         Me l'aspettavo. Di' un po', ma tu non  mangi tre volte  al giorno?  E da dove credi che ti venga il cibo?

Vecchia.         Che cosa farai da grande?

Vecchio.         È già grande, almeno di corpo e d'anni, se non di cervello.

Vecchia.         Che cosa farai?

Giovane.         Il dentista. (Esce).

Vecchia.         Dice cosi perché da piccolo ne ha sofferto, poverino, e gli è rimasto impresso. Poi il cuoco, voleva fare... e il pompiere... E adesso...

Giovane          (rientrando). Il giornalista.

Donna            (rientrando da un altro  buco). Caro!...

Giovane.         L'aviatore. (Volteggia per la scena tenendo le braccia aperte come ali).

Donna            (lo chiama sempre con maggiore energia). Caro... caro... Caro!...

Giovane          (lascia cader le braccia. Resta col viso al pubblico e le spalle alla donna). Sì.

Donna.           Come sono?

Giovane.         Sei bella. Ogni volta che ti vedo, mi sembri più bella...

Donna.           Perché non mi guardi?

Giovane          (meccanicamente). Bellissima, sei. Adorabile. Deliziosa. Affascinante. Nei tuoi occhi c'è il mondo. I tuoi capelli... fiumi, raggi  di  luna.  (S'interrompe).

Donna            (alla vecchia). Non mi guarda già più.

Vecchia.         È lontano. Pensa ad altro, io lo so. Non si lascia prendere...

Donna.           Ma io... io gli ho dato... Gli ho dato... (Fa ampi gesti per farsi intendere, ma i gesti non dicono nulla)... Gli ho dato.... In fondo, forse, non avrei dovuto... Ma sono una donna... e ho il diritto... il dovere...

Vecchia.         Giusto.

(Il giovane, lentamente, riprende a volare).

Donna.           Appunto, mi capisci tu.

Vecchia.         Tra donne..

Donna.           E quando una come me gli ha dato...

Vecchia.         È destino di noi donne.

Donna.           Horagione, no?

Vecchia.         No.

Donna.           Ma come? Tra donne...

Vecchia.         Appunto. Io non lo sono. Sono una madre. È diverso. Dici che non ti guarda? E lo sai perché? Perché vola. Guardalo.

(Il giovane cammina accucciato con le mani sulla fronte).

Donna.           Vola?

Vecchia.         Gli piace.

(Il giovane continua a fare gesti strani).

Donna.           Non dovrebbe piacergli. Gli do­vrebbe piacere... un'altra cosa. Cose mie. Cose nostre. Non è giusto. E non mi deve mancare di rispetto, ecco. Neppure col tono di voce... Perché io... noi, io e lui, formiamo una coppia, una bella coppia... e la fami­glia proprio sulle coppie si basa, dico bene?

Vecchia.         Giustissimo: la famiglia! Ah, la famiglia! I figli! Mio figlio, fin da bambino... quando era alto così, un amore di bambino, credimi... partiva. Con la testa. Volava, t'ho detto. Pilota. Dirigibilista. Bombardiere. Per­fino astronauta. Io gli dicevo: che cosa farai da grande?

Giovane.         Il marinaio.

Vecchia.         Navigava, volava, partiva, via, via, via lontano...

Giovane.         Le vele sul mare. Il mare gonfio, terribile. Di notte, il mare, è come un cielo senza stelle che si torce e ti solleva, ti af­fonda, per risollevarti dagli abissi di tene­bra. Poi spunta l'alba. E la vela ha supe­rato quella sottile linea violetta ed è già al di là dell'orizzonte e scivola lentamente in discesa verso nuove terre, genti, alberi e de­serti, montagne celesti, e lingue sconosciute. Passato il confine violetto si entra nel mondo terribile dei sogni...

Vecchio.         Sciocchezze. Non son cose da so­gnare, queste. Il ragioniere, sì, il medico, l'avvocato, l'ingegnere... un diploma, una laurea, son cose da sognare! Un concorso statale! Con tanto di documenti e certificati. E stipendio. E plaf: funzionario! Ah, questo sì ch'è un sogno! Finché non s'è funzionari, o qualcosa di molto simile, s'è degli spostati. Poi: zac! Ci si aggancia alla vita. I piedi toccano terra. Si sa quello che si deve fare. E si può anche non far nulla, o quasi. L'im­portante è saper fare il conto alla rovescia: meno 26, 25, 24, 23... meno 2, 1 e... 27! Tutta la vita così. Non è meraviglioso?

Giovane.         No.

Vecchio.         Possibile che tu non capisca? Non devi più arrabattarti, angosciarti. Scivoli come  un tubo lubrificato,  senza  fatica.

Giovane.         Un tubo... uno scarico. No, no. Non mi piacciono le fogne.

Vecchio.         Peggio per te.

Giovane.         Lo so, peggio per me. (Nuota e svolazza al rallentatore).

Donna            (con un grido). Amore!

Giovane          (si ferma, gli cadono le braccia). Sì, cara. Sei bella...

Donna.           Perché non mi ascolti, non mi guardi... sono una donna, io!

Giovane.         Bella, bellissima. I tuoi occhi sono dolci quando s'accordano col tuo sorriso. I tuoi capelli sono fiumi di miele. Io pascolo le mie pupille sui dolci prati del tuo viso di rosa... il tuo respiro mi porta la brezza del mare... Il mare. Oltre queste muraglie, lontano, c'è il mare. L'avete mai sentito?... All'alba palpitavano ancora le stelle gelate su un grande abete nero. Un brivido di cose lontane... Il mistero dell'infinito. Non voglio perderlo del tutto. Ho già nostal­gia di ciò che non ho ancora avuto. Dai rami si destano gli uccelli e il loro cin­guettio rinfresca l'aria... Il mare. Ho sentito all'improvviso che esisteva il mare. Non come una parola. Non come un'idea. Non come un'immagine fissa da dizionario. Ma una cosa viva, come una mano liquida che gioca coi ciottoli levigati e lucenti. Mi sono accorto che le parole sono scatole chiuse. Di cartone. E bisogna aprirle ad una ad una e goder quanto contengono. È inutile metterle in fila, nelle scansie, come nei negozi di calzature. Credo che si corra davvero un grande peri­colo nella vita. Quello di mettere una sull'altra milioni di scatole di cartone senza sa­pere che cosa contengano realmente. Cose vive, contengono! La vita stessa, contengono!

Vecchio.         Le scatole?

Giovane.         Appunto.

Vecchio.         Lasciale dove sono se non vuoi finire di romperle. (Ride da solo compiaciuto di sé).

Giovane.         Una mano liquida sui ciottoli lu­centi freschi di alghe.

Vecchia.         Che vuoi fare, insomma, da grande?

Giovane          (accanito, esasperato).  La guerra!... Cavalli al galoppo, sciabole e bandiere! (Co­mincia a galoppare per la scena)  All'assalto miei prodi!... Copritevi di gloria! Mostrate al nemico il vostro valore! Per la Patria: uccidete! Per la Patria:  vincete!

Vecchio.         Beh, questi sono buoni sentimenti, almeno. Un po' di patriottismo non guasta. E la Patria non è davvero una scatola vuota.

Giovane.         Ohp! Ohp! Ohp! Siamo belli e siamo forti! Ohp! Belli e forti come le imma­gini dei monumenti! Ohp! Di bronzo e di marmo, ohp! Nudi e armati di elmetti, lance, spade e scudi e su di noi, una grande bella donna discinta, col seno scoperto, vola e ci regge l'aureola dell'alloro e della quercia. Tutti belli e tutti nudi tra un gran svolaz­zare di vesti e bandiere, ohp, ohp, ohp! (Esce galoppando).

Vecchia.         È inquieto e violento. Ma tanto tanto buono.

Vecchio.         Ha buoni sentimenti patriottici. Oc­corre coltivarli.

Vecchia.         Cambia, cambia continuamente. (Armeggia con pentole e padelle e la Donna con lei).

Donna.           Mi ama. Me l'ha detto.

Vecchia.         È inquieto. Non si rassegna, lui. Comunque, domani gli sarà già passata.

Vecchio          (con le gambe che escono di sotto la tenda cui lavora supino). La vocazione?

Donna.           L'amore per me?

Vecchia.         La mania della guerra. Mi fa paura.

Vecchio.         È bene che s'accenda per la guerra, invece. Dovremmo preparargliene qualcun'altra a questi giovani esuberanti e sfuggenti. Gli farebbe bene. Ci si potrebbero sfogare. E affezionarcisi. Poi c'è il periodo del dopo­guerra durante il quale si ricostruisce, e c'è lavoro per tutti. Poi c'è il periodo prebellico nel quale si gode una certa prosperità e si fabbricano armi per la guerra imminente. Secondo me, fanno male quelli che cercano di abolirla. La guerra è la più bella avven­tura che ci resta. Si passa dalla carta bol­lata degli uffici all'assassinio autorizzato, così, senza fatica. È magnifico. Gli istinti sono soddisfatti.

Vecchia.         Mi fa paura.

Vecchio.         Non è vero, non è vero. Quando c'è la guerra, gli occhi delle donne brillano: s'apre il carnevale e ci sarà festa per tutti. Vestiti nuovi, dolori nuovi, uomini nuovi. Per gli uomini è un gioco. Pericoloso. Uno sport. Violento. Le donne fiutano l'odore del sangue come tigri, l'odore della vita, e gli uomini la vita se la giocano contro la morte. Se la guerra non fosse mortalmente perico­losa, sarebbe già stata abolita. Ecco perché, per me, fanno male quelli che vogliono abo­lirla, magari con la forza. Così come hanno fatto male ad abolire le case chiuse. La guerra è una gran casa chiusa per il mondo. Poi si torna più calmi. Migliori.

Vecchia.         Mi fa paura. Non voglio che muoia.

Vecchio.         D'altronde la guerra è bella anche perché ci si può imboscare. Non si entra in scena, ecco. O meglio, si entra alla fine, soltanto per gli applausi. Se tu, vecchia, temi per tuo figlio - e se è tuo è mio, anche se non me ne son fatto un'abitudine visce­rale, figlio, figlio, figlio, come fai tu - gli insegnerò, senza parere, come si diserta, senza perdere la faccia. Anzi, fingendo con se stessi che è bene disertare, che la patria se ne giova.

Vecchia.         Comunque, mio figlio, cambia. E domani, la voglia di guerra, gli sarà già passata.

Donna.           Mi ama. Me l'ha detto.

Vecchio.         Ne  dicono tante, gli  uomini.

Donna.           Per noi donne, quando un uomo dice di amarci, è un contratto. Non ci man­cherebbe altro... È una cosa seria, l'amore, per noi donne. Si tratta della nostra posi­zione. È come un concorso al Ministero. Non si scherza.

Vecchia.         Ma gli uomini cambiano.

Donna.           Cambino su quel che vogliono, ma non sull'amore. È una cosa seria. La fa­miglia. I figli...

Vecchia.         I figli... certo. Sono importanti.  Anche se cambiano. Domani, ne son certa, gli sarà già passata.

Vecchio.         La vocazione?... Non credo. Con la vocazione si nasce. Tutti i giovani, o quasi, hanno la vocazione. Ma son loro stessi i primi a non sapere per che cosa. Corrono verso una meta sconosciuta. Vorrebbero es­sere grandi, importanti, perfetti, giusti, buoni, capaci, unici, insostituibili. Ma come? In che modo? È questo il punto: corrono pieni di sacro fuoco, ma al buio. La vocazione c'è ma resta vuota, continuamente vuota.   (Ride).

Donna.           Lui mi ama. Io lo amo.

Vecchio.         L'amore! Soltanto da vecchi si ca­pisce cos'è. Ma è troppo tardi : non ci spet­tano che le briciole. (Accendendosi di sdegno) Ma che cosa cercano, i giovani?! Che cosa vogliono di più? Hanno il sangue, dalla loro, il vigore degli anni!... E si perdono così, correndo dietro al barbaglio d'uno spec­chietto... Invece di acchiappare moscerini, di consumarsi i piedi in una corsa inutile e vana - gran Dio! - potrebbero rompersi le reni sulle loro donne - loro che pos­sono rompersele, benedetti!... Nossignori! Sempre col muso lungo!

Donna.           Tornerà. Come un fuscello in gola al mulinello.  Lo  amo.

Vecchia.         Anch'io, lo amo. Ma di più.

Donna.           Perché di più? Non è giusto.

Vecchia.         L'ho portato, l'ho nutrito. È mio figlio.

Donna.           Se non è che questo, anch'io lo por­terò, e non una sola volta. Ad ogni suo figlio che avrò, lo porterò di nuovo.

Vecchia.         Ma non amerai più lui, ma i suoi figli.

Donna.           No, lui, lui, soltanto lui.

Vecchia.         Locredi, adesso. Cambierà, il tuo amore. Si sposterà come l'ago della bussola. E si scatenerà tutto su i  tuoi figli,  vedrai.

Donna.           No, no, no...

Vecchia.         Ione so più di te. Lo ammetterai. E devi quindi credermi. Il mio è un amore ormai fisso, fermo, inchiodato. M'accompa­gnerà fino alla morte. È mio.

Donna.           No! No! Mio! Mio dev'essere! (si guardano rattrappite,  con odio profondo).

Vecchio          (dopo una lunga pausa). L'uomo è diverso: attende qualcosa.

Donna.           Chi?

Vecchio.         Hodetto qualcosa, non qualcuno.

Donna.           Una donna?

Vecchio.         Non son le donne, le altre donne, che rapiscono gli uomini, ma le cose. E più sono astratte e più ve li portano via.

Donna.           Non è possibile.

Vecchio.         Gli uomini... Volete stivarveli nel ventre. È l'unico modo d'esser sicuri di loro. (Pausa). Ho l'impressione che vada in cerca di una voce.

Donna.           Le caverò gli occhi!

Vecchio.         È il vostro modo di far la guerra.

Donna.           Le strapperò i capelli!

Vecchio.         Via - ve l'ho detto - non è una donna! È un fantasma!

Donna.           Allora non me ne importa.

Vecchio.         Male.

Entra il Giovane con le braccia in croce sul petto, mite, dolente.

Giovane.         Pace, fratelli.

Donna.           Amore  mio,  finalmente!

Giovane.         Non chiamarmi così. Non posso ascoltarti. La vocazione. Capisci?

Donna.           No, no. Questo no. Non voglio aver Dio per rivale.

Vecchia.         Lascia stare:  cambierà.

Giovane.         Credevo che la guerra, e i cannoni, e le bombe, potessero abbattere queste mura. Ma è stato inutile. Mura più alte sono cre­sciute sulle rovine e sul sangue. E così ho udito la voce di Dio. Non è il corpo, la fame del corpo, quella che conta. Ma l'anima. Non l'amore terreno, la violenza e il pos­sesso. Ma il paradiso. E così ho deciso di portare la luce e la verità ai pagani. Mi farò missionario. E comprerò i negretti coi bi­glietti del tram. (Esce serafico).

Donna.           E  i  nostri  figli?

Giovane          (uscendo). Tutti miei figli, tutti fra­telli, tutti uguali : la carne non conta.

Donna.           Come non conta!?

Vecchia.         Lascialo dire!

Da un altro buco entra lo Straccione.

Lo Straccione         (con gestì teatrali e tono di voce istrionico). Dio mio! Sono ancora qui? È un secolo che cammino e sono ancora qui!...

Vecchio.         A che vale cercare, affannarsi...

Straccione.   Giusto. A che vale cercare, af­fannarsi? Non troverò mai la strada giusta! Eppure sono andato sempre diritto, lo cre­devo almeno. Evidentemente la via piega un poco e porta sempre al centro. Sono coperto di polvere. Ho i piedi gonfi e insanguinati. Non ne posso più.

Vecchio.         A che vale...

Straccione.   Giusto. A che vale cercare, af­fannarsi? Sarebbe stato meglio restar dov'ero, al riparo. Oh, ideali perduti, idoli infranti! Oh, me misero! Che farò io adesso?

(Il Vecchio, con ironia, gli fa cenno di sedersi accanto al  fuoco) 

Grazie.  

(Siede. Cava la pipa e fuma, indifferente). Rientra il Giovane.

Donna.           Sei tornato. Per me.

Vecchia.         Non vagabondare.   Puoi   perderti e non più ritrovarci. Che faresti senza di noi?

Vecchio.         Tra l'altro, in caso di malattia o d'incidente, saresti gettato nella fossa comune degli ospedali di Stato, ove vanno a finire i poveri e gli isolati. Aspetta, prima di am­malarti o di romperti una gamba, d'essere iscritto a qualche Mutua. Sappi, ragazzo mio, che oggi o si è imbrancati o si è destinati al macello. Visto che non sei ricco e non puoi dettar legge, sei destinato alla fossa comune. Ricordalo. Imbrancati.

 Straccione. Imbrancati, fratello!

Donna.           I figli, che presto avremo, avranno bisogno di te. Anzi, senza di te non po­tremmo neppure aver figli. La famiglia...

Giovane.         Un momento. Lasciatemi riflettere. Voglio darmi alla politica. Ministro, Re, Presidente della Repubblica. Il potere. Go­vernare gli uomini... violentarli tutti. (Rivol­gendosi agli altri). Comprendetemi. Non posso essere come voi. Mi sembrate radi­cati al limo come canne di una palude. Marciscono lentamente.  E io sono vivo.

Vecchia.         Non parlare così. È il nostro de­stino. Bisogna rassegnarci. Non dipende da noi.

Giovane.         Dipende eccome! Apposta voglio darmi alla politica. Una volta ho visto una teoria di uomini patire e sudare sotto la sferza. Venivano sfruttati da un lurido pa­drone. Allora ho capito. Ho capito che l'uomo non può rendere schiavo il suo si­mile. Sfruttarlo. E ho visto pure un muc­chio di ex padroni sotto il bastone dei servi d'un tempo. Infine, con mirabile intuito po­litico, ho compreso che bisogna stare dalla parte di chi comanda. E ciò per avere in mano comunque il potere. E violentare, tutti, ricchi e poveri, giovani e vecchi, come e quando voglio. Il potere inebria come il vino. Nutrisce come il pane. Rende forti e magnifici come il sole. Chiaro? Mi darò dunque alla politica e giocherò con le pa­role. Il popolo! Il popolo! Il popolo!... (S'avvia).

Vecchia.         Dove corri, povero figlio mio? Non vedi che hai già il viso segnato?

Giovane          (voltandosi e toccandosi il viso). No!  (Con orrore).  Nooo!

Vecchia.         Le rughe. Sì. Non sei più un bam­bino. Grande, sei.

Vecchio.         Non puoi aspettare ancora e di­ventare uno spostato. Chi ti darà un piatto di minestra quando non ci saremo più? Ma per iscriverti alla Mutua devi entrare nel tubo.

Giovane.         No! No! No!

Straccione.   Ah, che vale cercare, affannarsi!?

Vecchio.         Siediti accanto al fuoco.

Vecchia.         Siedi e pensa  alla famiglia.

Donna.           A chi pensi, quando non mi pensi?

Giovane.         Io?

Donna.           Ha un viso? Un corpo?

Giovane.         Soltanto gli uomini hanno un viso. Maschere. Già: le maschere. Il teatro. L'at­tore. O il regista. O l'autore drammatico. Il poeta tragico. (Recitando) Piangete, o donne, ché la città ruina! Oh, Dei del cielo! Pietà!...

Donna.           Ami la sua voce? Che ti dice?

Giovane.         Loscienziato. Il medico. Camice bianco. Vincere il male, sconfiggere il dolore, debellare i virus... ridonare la vita a molti che stanno per perderla...

Vecchio.         La Mutua. È importante. Solo i poveri e gli isolati son destinati a morire.

Straccione.   Ah, non c'è nulla che valga la Mutua, fratelli!

Giovane          (attonito fa cenno di tacere). Ssst!... Qualcuno ha schiuso un cancello... Qualcuno cammina sull'erba... L'aria ha un sapore di terra bagnata dopo il temporale... l'erba in­tristita si solleva dai pantani e brilla... il sole scoppia luminoso dalle nubi... le foglie nuove, d'un verde tenero, s'aprono come mani... e respirano... respirano... sentite? Suonano le nuove  acque  dei  fiumi...

Donna.           Caro...

Giovane.         Taci!... Ascolta...

Donna.           Il  mio abito  nuovo...

Vecchia.         Ti piaceva la mia torta di mele? Ricordi come ti piaceva?

Donna            (cullando un invisibile pargolo tra le braccia). Oooh-oooh! Oooh-oooh! Dolce bam­bino, caro topino, dormi!... Non te ne andrai come lui, vero? Quella maledetta me lo sta portando via. un po' per volta... Tu non ti farai stregare... Io. io ti salverò (stringe l'in­fante al petto). Oooh-oooh!  Dolce bambino, caro topino, dormi!... Ninna-ooh!...

Giovane.         Questo pozzo mi soffoca...

Vecchio.         È la tua casa.

Giovane          (fioco). Lasciatemi...

Vecchio.         Ragioniere...

Straccione.   Ah, ragioniere, ingegnere, avvo­cato, dottore, funzionario! Non c'è nulla di meglio al mondo!

Giovane.         Come fate a respirare questa melma?

Vecchia.         Non dovresti farci piangere, caro.

Donna            (cullando il fantolino).   Ninna-ooh! Ninna-ooh!... (Al giovane) Guardalo quant'è bello... guardalo...

Giovane          (crollando a terra e battendo al suolo i pugni).  Non ce la faccio più...

Vecchia.         Non soffrire così, figlio mio! Mi fa male vederti. Non li ho mai capito, è vero. Anche quando eri bambino, rimanevi attonito, triste, pallido... Ti ho sempre vo­luto bene...

Giovane          (battendo i pugni a terra con più rabbia, grida). No! No! No!

Donna.           Parlate piano, vi prego. Il mio bam­bino dorme. Non svegliatelo. Questa notte ha pianto per due ore.

Giovane          (dopo una lunga pausa, si alza, bar­colla e batte i pugni contro il muro). Dov'è la porta, mio Dio?

Straccione.   Sono cento anni che la cerco. Ma a che vale? Ora mi son seduto. Al fuoco. Al riparo. Fiorisco tutto, come un vecchio tronco. Non c'è nulla di meglio d'un fuoco, dico io!

Giovane.         Prigionieri per sempre, dunque?

Vecchio.         Finché non ti verrà voglia di uscire, non potrai mai considerarti prigioniero.

Straccione.   Giusto. I prigionieri sono quelli che vogliono evadere.  Gli  altri sono ospiti. Ospiti dello Stato. Vitto e alloggio gratis. Funzionari coatti, in un certo senso. Non c'è nulla di meglio che vivere alle spalle dello Stato, a mio modesto avviso.

Giovane.         Ma non vi ponete più domande?

Vecchio.         Non ho voglia di leggermi dentro. Tutto è appannato, ormai. Non ricordo che cosa volevo io, quaggiù, da giovane. E non me ne importa più.

Straccione.   Ioho trovato le case distrutte. M'hanno detto di aspettare. Accanto al fuoco. E nell'attesa: vivo.

Giovane.         Non basta.

Vecchio.         Soche a qualcuno non basta. Ma sono ormai stanco. Verrà qualcuno a por­tarmi fuori, conducendomi per mano. O in carriola, se sarò diventato del tutto parali­tico. Dicono che ci sono le stelle. Non so più se sia vero. Mi sono appoggiato al bastone. Un vero, concreto, dolce bastone. Quando si è stanchi, un bastone è già molto.

Straccione.   Non parliamo poi d'un fuoco, d'una tenda, d'un  piatto di  minestra gratis!

Vecchio.         Ci lascia indifferenti sapere che si possa vivere in altro modo. Si vive. Gli altri dicono che è meglio così.

Giovane          (accasciandosi di nuovo lentamente a terra).  Chi? Chi lo dice?

Vecchio.         Gli altri.

Giovane.         Gli altri... chi?

Vecchio.         I vecchi. E il mondo è fatto di vecchi. Milioni di vecchi. Miliardi.

Straccione.    Miliardi  di  miliardi:   ivi  compresi quelli che riposano sotto terra. Questi ultimi ci hanno tramandato insegnamenti che non  si  debbono più  discutere.   È  una  folla sterminata.  La  massa.  Il  gregge.  La  civiltà di  massa:   ciò che essa  pensa  non  si  deve discutere.

Giovane.         Perché?

Straccione.   Perché sì.

Giovane.         E quelle stelle di cui parlavi...

Vecchio.         Io?

Giovane.         Tu. Non puoi averlo dimenticato. Ne  parlavi  un  momento fa.

Vecchio.         Non lo escludo. Possono esserci. Non resta che aspettare che ci aprano il cielo. Verrà anche per te quel giorno.

Giovane.         E se non venisse?

Vecchio.         Verrà. Verrà. Non si sa quando, ma verrà.

Giovane.         E se fosse troppo tardi? Voglio dire:  se fossimo già morti?

Vecchio.         Ci saranno i nostri figli, i nipoti...

Donna.           Oh, sì: i  figli... i figli... i figli dei figli...

Vecchia.         Una bella famiglia, certo: i nipoti, i pronipoti...

Giovane.         E non facciamo nulla  affinché  i nostri pronipoti possano vedere le stelle, un giorno?

Straccione.   Che te ne importa di loro? Pensa a te. Pensa che saresti schiacciato. Finireb­bero per legarti mani e piedi, gli altri. La folla. Il gregge. La massa.

Giovane.         Non resta, allora, che stendersi e morire pian piano, come una pianta sepolta. E fuori, invece, respira l'aria fresca della sera... e sul mare una nave, tutta gonfia di vele... Il vento ha strappato gli ormeggi... e vola leggera (si stende supino, spossato, di­sossato)... e io... l'ho perduta... l'ho perduta per sempre...

Le due donne, dopo aver armeggiato con pen­tole e padelle, distribuiscono agli uomini scodelle fumanti di minestra.

Straccione.   Oh, bene, bene, bene! Non c'è altro che un buon piatto di minestra per ti­rarsi  su,   fratelli!   Grazie!

Donna.           La bolletta del gas...

Vecchia.         La famiglia...

Donna.           L'acqua, la luce, il telefono....

Vecchia.         Il bambino cresce... è bello, intel­ligente, vivace...

Donna.           La pigione di casa...

Vecchia.         La torta di mele...

Donna.           Le scarpe nuove...

Giovane          (agonizzando a terra, supino). Che cosa c'è di nuovo al di là delle mura?

Donna.           Il  mio bambino. Cresce, succhia  il latte, piange, dorme.

Giovane.         Non sai altro?

Donna.           Il mio bambino.

Giovane.         Ahimè! Dove sarà la nave sul mare?

Donna.           Il mio bambino.

Vecchia.         Potresti dire anche  «nostro».  Il nostro bambino. Mio, di mio figlio e anche tuo.

Donna.           Il mio bambino. (Lo culla) Ninna-oh! Ninna-oooh!...

Straccione    (dopo una pausa). Io ho una pipa di schiuma. Mi era costata - allora - dieci soldi. Tira che è un piacere. Un giorno mi regalarono una pipa di radica, magnifica, con bocchino d'avorio. Non ci potevo fumare, non aveva il sapore della mia vecchia pipa. È questa, vedete? Se mi dessero il mondo, in cambio, rinuncerei al mondo e me la terrei. È così.

Vecchio.         Anch'io amo le cose che hanno il mio odore, che per anni ho levigato col mio cuore. Il resto non mi piace. Io ho il mio bastone: sarà brutto, sarà vecchio e tar­lato, ma è mio; l'ho nutrito giorno per giorno col palmo delle mani. Mi piace stare così, puntellato. Ci sto in chiesa, la sera ad ascoltare le sommesse preghiere che fanno tremolare le fiammelle dei ceri. Sento l'odore d'incenso e non penso ad altro. Non penso neppure a Dio. È faticoso, e poi non pos­siamo arrivarci. Che vale?

Straccione    (aspirando ampie boccate di fumo dalla sua pipa). Ah, che vale affannarsi? Io ormai vivo senza pensare neppure di vivere. Se mi si domandasse come sono giunto qui, quanto tempo è passato, non saprei rispondere.

Donna.           Un mazzo di fiori di stoffa, qui, sulla cintola...

Vecchio.         A me non piacciono i fiori. Ap­prezzo soltanto quelli raccolti in corone, con foglie d'edera di latta smaltata. E i meda­glioni col ritratto dei cari estinti. Son cose che restano per anni e anni, e non per un solo giorno. Bisogna saperli spendere i propri soldi.

Straccione.   Giusto. Non c'è nulla di meglio dei fiori finti...

Giovane          (sempre supino). A primavera, un mattino, ti accorgi che i prati scoppiano di margherite. Si ergono sugli esili steli, ri­dendo ai rabbuffi del vento. E i piccoli petali striati di rosa vibrano come alucce di farfalle.

Vecchio.         Anche le farfalle sono fragili cose. Basta un temporale per distruggerle. Le ali sfrangiate, cadono: non resta, nei pantani, che un verme con le antenne a contorcersi. Non amo le farfalle.

Giovane.         Sui cigli dei fossi spuntano le viole: profumano come un dolore, dolce, adolescente.

Vecchio.         Hotra le pagine della Bibbia, una grossa viola disseccata. Sa di polvere. Nessun odore. Non mi piacciono i fiori, l'ho detto. Fragili, stupidi, costosi, lussuriosi, da donne poco serie, femmine di teatro...

Giovane          (balzando a sedere). Ssst! Ascol­tate!... Avete udito?

(Gli altri fanno cenno di no)

...Eppure una voce... una voce d'ar­gento... (Resta in ascolto).

Donna.           Gli angeli hanno voce d'argento.

Vecchio.         Non ne ho mai visti.

Straccione.  Neanch'io. Tutte  storie,  queste faccende degli angeli.

Giovane          (eccitato). Silenzio!... Ascoltate!... Sì, adesso ho udito: distintamente... (Come a se stesso) Mi basterà il cuore?

Vecchia.         Per che cosa?

Giovane.         Per guardare dritto nella luce delle stelle!

Vecchia          (alla Donna con noncuranza). Cam­bierà, cambierà...

68

Straccione.   La mia vista s'è annebbiata. Da bimbo guardavo le stelle. Che stupido gioco! Una volta mi parve di scorgere perfino la cometa di Gesù. Ma credo di aver sognato. Non ricordo bene. Erano tante, come chic­chi in un campo di grano, e forse di più. Fanno paura.

Giovane          (alzandosi in piedi). Cercherò di vincermi.

Vecchio.         E se ti si staccassero i piedi da terra?... Aspetta. Si dice che ci sia perfino un paradiso per chi sa aspettare.

Giovane.         Cos'è?

Vecchio.         Il paradiso? Un grande spiazzo, dove non c'è fango, né sole, né insetti, né motociclette. Si fuma, si mangia e ci si ri­posa col mento sul bastone. Si canta e si sta bene in salute.

Giovane.         A me non basta.

Straccione.   Vuoi soffrire?

Giovane.         E perché non si dovrebbe?

Vecchio.         Se col dolore ci si guadagna il pa­radiso, passi: soffrire è come una tassa. Ma soffrire senza alcun guadagno, è stupido.

Straccione.   A che ti giova?

Giovane.         A vivere, a essere.

Vecchio.         Non ti capisco. Sei sciocco come un bambino.

Vecchia.         Non chiedere troppo, figlio mio!

Giovane.         Non avete mai desiderato gridare? Spezzare l'intonaco dei muri della vostra prigione?

Vecchio.         I pazzi, gridano, e i bambini. Ma poi crescono, diventano uomini seri. Con diploma, laurea... ragionieri, dottori, avvo­cati, funzionari Statali e parastatali. Uomi­ni probi, cittadini integerrimi, padri esem­plari.

Giovane.         Una prece.

Vecchio.         Sei immaturo, ecco cosa sei: acer­bo e sciocco. E fastidioso.

Giovane.         Uomini probi, integerrimi, esem­plari... e chi ve lo dice? Siete invece una massa di ipocriti e di falliti che giocate a mascherarvi da probi, integerrimi, esempla­ri. Torbidi lumaconi in maschera per non crepare di disperazione e di vergogna! Mor­ti prima di morire, ecco il punto. Fingete di non saperlo, ma vi trascinate da anni verso la vostra tomba perché siete già pu­trefatti e non ce la fate più a tenere le ciglia alzate sulle palle degli occhi... Ah! Ah! Ah!...

Donna.           Non dire queste cose, caro! Non sta bene!

Vecchio          (scuotendo il capo). Povero illuso! Quand'è che ti accorgerai d'essere pazzo?

Giovane.         Io?

Straccione.   Tutti i giovani sono pazzi, e tu più degli altri!

Vecchia.         Povero figlio mio! Lasciatelo in pace! Non vedete che soffre? Figlio, figlio, figlio, perché ti sei staccato dal mio seno che poteva consolarti? Non dovevo svezzarti.

Straccione.   Pazzo più degli altri sei!

Giovane.         Perché voglio essere me stesso? Fedele a quella musica che mi canta den­tro?... Se penso che tra quaranta, cinquanta, il massimo sessant'anni sarò morto anch'io e non avrò fatto nulla per distinguere me - me! - dagli infiniti granelli di subbia che scendono sotto terra, mi vien voglia di mo­rire. Subito. O, peggio, di non esser nato.

Vecchia.         Figlio mio che dici? Bestemmi, adesso?

Vecchio.         Siamo tutti granelli di sabbia, bambino mio. Tutti destinati al silenzio, all'oblio...

Giovane.         No! Nooo!...

Vecchio.         Alla pace. Eterna. A meno che non si precipiti all'inferno. Allora neppure la pace avremo. Ma l'oblio sempre. Gra­nelli di sabbia - l'hai detto - e non con­tiamo proprio nulla, quaggiù. Da' retta. Stattene quieto accanto al fuoco, mangia, dormi, sogna. Non essere presuntuoso. Le pareti del labirinto sono troppo alte. È inu­tile che ti affanni.

Giovane          (avanzando alla ribalta e rivolgen­dosi al pubblico).  Voglio tentare. Essere me stesso. Staccato dal pane di costoro. Una briciola dispersa, forse, a seccare all'aria. Ma solo. Cominciare da capo la creazione del mondo, da solo. (Pausa) La bellezza del mondo. (Pausa) La poesia. Ecco: farò il poeta. Lascerò dei segni di bellezza dietro di me, e vivrò in quei segni di parole: im­mortale. Le parole si fanno pietra, metallo, ed io resterò in esso. Senza volto, senza car­ne, senza affanni: ma « io ». lo. (Pausa) Il mio cuore che si fa idea, l'armoniosa, creatrice scintilla d'una idea che mi porta e mi conclude. (Pausa) Pensiero senza muraglie, senza inferriate, senza confini. Filosofia. Fa­rò il filosofo. Porterò alto il mio pensiero, sottile, puro, acuminato come un cristallo gelido nello spazio e nel tempo, un cri­stallo che vive, una feconda cima di ghiac­cio purissimo partecipe della verità, una cuspide su cui si riflettono le stelle. Le stel­le di Dio. (Pausa) La perfezione. L'anima. (Pausa) Farò l'asceta: amerò Dio perfettis­simo, giusto ed eterno. Mi brucerò in lui. La mia cenere non sarà dispersa ma resterà nelle mani di Dio. e resterà come un'esplosione d'amore che non può aver mai fine! Fuoco nel fuoco. E sarà l'unica, vera, defi­nitiva immortalità nell'eterna luce della bel­lezza, della verità e dell'amore!

Vecchia.         Che dici? Non ti capisco. Parli di Dio?  Bestemmi?

Giovane.         Davvero non riusciamo più a com­prenderci. (Si avvia).

Donna.           Dove vai?

Giovane.         Fuori. Ho deciso.

Donna.           Non uscire! Resta con me! Posso darti tutto, io! Il nostro bambino...

Vecchia.         Lasciati guidare, figlio mio! Tu non sai camminare nella notte. Non hai esperienza. I pericoli sono tanti. Puoi ca­dere e farti male. Aspetta che ti conducano i vecchi, ne sanno più di te. Non uscire, figlio mio dolce! Fa freddo, fuori! E tu sei cagionevole. Ma che mania t'è presa? Non puoi giocare qui. al chiuso? Che te ne fai dei ciottoli e delle conchiglie che stanno al di là delle mura? Che t'importa sentir l'erba crescere sui cigli dei fossi? Finirai per graf­fiarti le braccia e sbucciarti le ginocchia se cercherai qualcosa tra le spine! E ci sono spine velenose che dànno piaghe inguaribili... No, non andare, figlio mio.

Donna.           Non andare, amore.

Giovane          (voltandole le spalle). Debbo. Non posso più dormire. Non posso più aspettare la morte  inutilmente. 

(Le donne chinano il capo).

Straccione    (dopo una pausa, con rancore). Bada a te. Anche se troverai la via del ritorno, non ti vorremo più tra noi. Non amiamo coloro che vedono di più.

Vecchia          (dopo una pausa). Figlio mio... Tremi?... Qui non piove, qui non fa freddo. Qui il vento non ti taglia la faccia.

Vecchio.         Ricorda che difficilmente si tor­na, quando s'esce da queste mura.

Vecchia          (pietosa, accorata). Tremi di paura...

Donna.           Perché?

Giovane.         Mi domando... quanto mi costerà.

Donna.           Resta, ubriacati di me. Ti piaccio, lo so.

Vecchia.         Noi ti vogliamo bene, continueremo a difenderti, anche contro te stesso... Resta. Continuerò a cullarti...

Vecchio.         Sarà dura la via.

Straccione.              Non c'è nulla di più duro, lo sai?

Dopo una pausa, lentissimamente il Giovane comincia a muoversi.

Donna            (con un grido d'angoscia). No, non abbandonarmi!

Giovane.         Debbo, debbo. (Continua ad allon­tanarsi come un automa, a testa alta).

Vecchia          (con disarmata e accorata canti­lena). Figlio, qui non piove... qui non c'è dolore...  qui brilla un buon fuoco che ha il sapore del pane di casa...

Giovane          (ormai fuori scena, con voce rotta dall'emozione che gradatamente si fa sempre più alta). Oh... Ah... Si è aperta la terra grassa sotto il firmamento... Le mura si sono scollate come denti... Brulicano le stelle sulla mia fronte!... Mi ardono le mani gelate!...

Donna            (piangendo). Torna a me. Io so farti gemere fra le mie braccia come legna sul fuoco! Non lasciarmi! Ti ho dato un figlio, due, tre. sangue del nostro sangue...

Giovane          (sempre più lontano e a voce sem­pre più alta). Vedo!... Vedo!... Vedo finalmen­te!... Mille mondi si agitano in cielo e lam­peggiano terribili meravigliosi!... Una luce, una grande luce... Il vento gelato mi sega le vene!...

Vecchia.         Figlio!

Giovane.         Non chiamarmi! Non posso sof­frire così!...

Vecchia          (lamentosa, rassegnata). Piangi bam­bino mio sperduto, solo, nel buio...

Giovane.         La luce!  La luce di ghiaccio!  Le cuspidi!... Le stelle!...

Vecchia.         Dove sei? Dove sei? Perché non ascolti più la voce che tante volte ti ha con­solato quando non avevi i denti?...

(Pausa. La vecchia, d'improvviso, urla, disperata, straziata)

Urla! Urla! Tu soffri! È un do­lore più grande di te!... Grida, tu che lo puoi! Strappami le viscere, allora! Per la seconda volta!... E per sempre, figlio mio!... (Rimane rattrappita, schiantata, con le mani sul  ventre).

Tutti restano immobili. Gli uomini, indiffe­renti, non si sono mossi dal fuoco. Lo strac­cione fuma. Il vecchio si sorregge il mento sul bastone.

Donna            (dopo una lunga pausa, culla il suo invisibile bambino). Ooh-ooh! Ninna-oh! Nin-na-oh!... Ooh-ooh!...  Ninna-ooh... 

(Buio).

Andrea Brunori

(Copyright 1968 by Andrea Brunori)