La zia che non si sa di chi sia

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LA ZIA CHE NON SI SA DI CHI SIA

LA ZIA CHE NON SI SA DI CHI SIA

Commedia brillante in tre atti

di

Kramer Moggia

Testo originale:” ‘Na sia ca’s sa mia at chi la sia”

Socio S.I.A.E.: autori n° 88397 – 31/12/ ’89 qualità D.O.R. autore parte letteraria

26041 CASALMAGGIORE ( Cremona) Via Cairoli, 93 tel, 0375 41110 cell. 3396821681

S.I.A.E. reg. opera  363603A


Kramer Moggia

Nasce a Casalmaggiore il 6 luglio 1933.

Da sempre appassionato di Teatro e nei primi anni 70 tra i fautori della rinascita del Teatro casalasco e tra i fondatori della Compagnia Filodrammatica di Casalmaggiore costituitasi poi in Cooperativa per l'animazione e il Teatro, in data 26/11/84.

E appunto per la Filodrammatica che scrive la sua prima commedia dialettale “‘NA SIA C'AS SA MIA AT CHI L'A SIA” dopo un'esperienza come traduttore di testi dall'italiano al dialetto.Questa prima commedia rivela da subito la felice vena creativa del Moggia e rappresentata dalla Compagnia, riscuote vivi consensi di pubblico e critica sia localmente sia a livello interregionale allorquando la Filodrammatica partecipa con questa commedia al concorso dialettale <<Rina Govi>> a Milano vincendo il primo premio per la regia e per il miglior attore. In seguito ha composto <<La Löna La Lüs>>; <<Coran... 89~> <<Clemente La Salma professione menagram>> cd altre commedie non ancora rappresentate.

La commedia <<Coran... 89>> e stata composta e messa in scena in occasione dell'inaugurazione del Teatro Comunale di Casalmaggiore nell'anno 1989.

Moggia Kramer non e un autore prolifico, almeno fino ad ora, ma nelle sue commedie riesce a ricreare il clima e l'ambiente di Casalmaggiore del tempo passato.

Ma non dobbiamo credere che nelle sue commedie ci sia solo un elogio per i bei tempi che furono: c'e sempre presente lo sforzo di attualizzare la vicenda e di vivificarla con l'inserimento di personaggi casalaschi realmente esistiti pur se non sempre coevi alla vicenda.

Si può dire in ultima analisi che in ogni commedia l'autore cerca di rappresentare una vicenda umana con personaggi sempre positivi nel loro agire; I'amicizia, la bontà d'animo, l'amore paterno e coniugale sono sempre i grandi protagonisti delle vicende che si svolgono avendo come sfondo ideale un enorme affresco della vita di Casalmaggiore. Nei testi d Kramer e sempre presente lo sforzo di <<nobilitare>> il nostro dialetto; non si eccede mai in gratuita volgarità, cosa purtroppo assai spesso presente in altri autori dialettali e l'attenzione del pubblico è sicuramente più attratta dalla vicenda rappresentata che non dalla battuta, non vi e insomma la ricerca della battuta fine a se stessa. E proprio per questo il pubblico, ritrovandosi nelle vicende rappresentate e rivivendo squarci di vita casalasca, ha sempre tributato all'autore grandi consensi.


Trama: In un cortile abitano un ciabattino ed un pescatore, da sempre amici  e con lo stesso nome e cognome: Giovanni Cerati. Una ricca zia d’America desiderando conoscere il suo nipote incarica una banca che la metta in contatto. Il funzionario ritiene  nipote: il pescatore. L’amico lo consiglia  di far credere alla zia che non è povero, anzi non ha problemi economici, seguendo l’idea che” il ricco preferisce dare al ricco” Si scopre che la zia è del ciabattino. al quale, morendo lascia il solo suo ritratto, ed il patrimonio ad un  ente benefico.

PERSONAGGI:

GIOVANNI CERATI    detto      TAC    calzolaio

                              GINA       sua moglie

                             ENRICO suo figlio

                              PIDREN suo suocero

CERATI GIOVANNI      “         PSEN   pescatore

                               ANNA   sua moglie

                               MARIA  sua figlia

DEFENDI                        funzionario di banca

GAETANO                        testimone

EPOCA: anni trenta

LUOGO DELLA VICENDA: luogo in cui si rappresenta lo spettacolo.

SCENOGRAFIA: sul lato destro:   porta che da sulle scale 

             Sul lato sinistro: parete piena con camino

             Sul fondo:         porta principale e finestra.

ARREDAMENTO:sul lato sinistro verso il boccascena: deschetto da calzolaio con due sgabelli ed attrezzi.

Verso il fondo: scaffale con scarpe. Oltre la porta porta-catino con brocca dell’acqua. Al muro: specchio con mensola e cose per toilette.

Sul fondo: credenza con cose di cucina.

Sul lato destro: griglia con appese stoviglie varie.

Nell’angolo destro: colonnina per porta secchio e secchio con mestolo.

Al centro: tavolo con sedie.


ATTO PRIMO: Primavera- Primo mattino.

PROLOGO

PIDREN:   (entra e si sistema il vestito. Va allo specchio, si guarda la lingua, sta per sedersi, quando si accorge del pubblico. Si siede)

Mi accorgo di non essere solo. Bene! Vorrei dirvi qualche cosa. Io sono Pidren – è un diminutivo di Pietro-  fratello delle Gina, la quale è la moglie di Tac. Tac è una abbreviazione di “ tacco in punta” è un sopranome datogli perché tempo fa,molto tempo fa, fece un ordine di punte di cuoio da mettere sotto le suole delle scarpe. Sapete… la povera gente non si può permettere di sostituire le suole quando sono consumate, perciò si limita a far mettere la punta o il tacco.. Avvenne che: l’agente di commercio per errore,anziché spedire le punte, spedisse i tacchi. Siccome l’ordine era piuttosto consistente,e tac non voleva che l’agente prendesse un rimprovero dal suo principale, se li tenne. Così quando doveva sistemare le punte usava i tacchi. Ecco perché “ tac in punta”.

Perdonate l’inciso. Tac, cioè Giovanni Cerati. L’avrete capito, fa il calzolaio.

Vi prego di non confonderlo con l’altro Cerati Giovanni, detto “Psen” – diminutivo di pesce- che fa il pescatore.

Hanno lo stesso nome e cognome,: non sono parenti ma sono come due fratelli.

Psen, il pescatore, ha una figlia:Maria;che non sarebbe da buttar via se si tenesse un poco più su, ma si veste come… Be’ fa un po’ ridere.

La Maria, secondo me, è innamorata di mio nipote, Rico,anzi “Enricco” come lo chiama mia sorella Gina, che frequenta le scuole grandi ma che ha una voglia di studiare come io ho voglia… di lavorare.

Bene: credo di avervi detto tutto.

Ah, no…Debbo dirvi ancora qualche cosa.

Psen e sua moglie Anna, che ha una lingua che sembra un battipanni, abitano di là, ( indica l’appartamento di fianco)si… insomma… abita da porta a porta, nello stesso cortile. Be’ ora smetto perché sento che sto giungendo qualcuno ed è bene che almeno faccia finta di lavorare.

SCENA PRIMA: Pidren, Anna, Gina, poi Maria.

(entrano Gina e Anna)

ANNA:     (continuando un discorso già iniziato fuori scena)Be’. Cosa vuoi che ti dica? Secondo me l’Amelia ha un modo di truccarsi e di vestirsi che non mi convince.

GINA:     ma no… sa di essere bella…gli uomini la guardano: quindi sai com’è; calca un poco la mano. Io credo, però, che sia una brava ragazza.

ANNA:     Sarà anche così, ma se mia figlia si addobbasse a qual modo…

GINA:     Via, ora non esagerare! Bisogna seguire i tempi.

ANNA:     Sì: ma quella esagera.

GINA:     Scusami sai…lasciamelo dire: non ti sembra che se tua figlia si tenesse un po’ più, farebbe la sua bella figura? Guarda il mio Enricco: va bene che è un maschio…

ANNA:     Sì, ma tuo figlio studia.

GINA:    (immediatamente) Assai!

ANNA:     Anche questo conta, è vero.

GINA:     Mia figlia è un po’ timida… poi non tiene altro che alla casa…

PIDREN:   …E alla chiesa.

GINA.     (rimproverando) Dì? Pidren… non ahi altro da fare?

PIDREN.   OH, ce n’ho da fare…

GINA.     Che cosa, per esempio?

PIDREN:   devo andar dietro a quelle cipolle che ho mangiato ieri sera… e che han già fatto tanti di quelli andare e venire…

GINA:     Per forza, ne hai mangiati una brenta.

PIDREN:   Eh, sai, volevo straviziare.

MARIA:    (entrando)Mamma! Non vieni a casa? E’ un po’ che ti aspetto… ho fame.

PIDREN:   Eccola qua: “ ora  et labora.”

ANNA:     Vengo stufona! Sono solo due minuti che sono uscita.

MARIA.    Puoi dire che è più di mezzora.

ANNA:     Dai che andiamo.

PIDREN:   (prendendola in giro) Be’… vai via subito

ANNA.     (rivolta a Pidren) Eh… prendimi in giro tu.

MARIA:    ( prendendo la mamma per il braccio per portarla fuori) Dai… mamma!

GINA:     Vai proprio?

ANNA:     Sì, vado. (mamma e figlia escono)

PIDREN:   Dai da bagolare a quella lì…

GINA:     Eh, lei fa bene… suo marito esce di notte e torna a giorno inoltrato, poi dorme…ne ha lei del tempo da perdere…

PIDREN:   (prende l’asciugamano dal chiodo alla parete) Io vado a darmi una lavata. ( esce)

SCENA SECONDA: Gina, Tac in punta.

TAC.      (entra mentre Gina sta governando la casa. Si è appena alzato, perciò si sistema il vestito e si tira la pelle)Avrò dormito sì e no un paio d’ore questa notte. Ho fatto altro che smaniare.

GINA:     Me ne sono accorta: non facevi altri che girarti e rigirarti nel letto…mi avrai scoperto almeno venti volte.

TAC:      Secondo me sono state le cipolle di ieri sera.

GINA:     Anche tu!

TAC:      Sì… dico… non ne ho mangiate molte.

GINA:     Invece credo che tu sia tornato a casa ieri sera un poco su di giri.

TAC:      (deciso)Senti donna! Se ti intendi che io sia tornato a casa ubriaco,sei già fuori strada. E poi è meglio una sbornia che la gobba.

GINA:     (scusandosi) Va bene… però al mattino…

TAC:      (riprendendola) Al mattino presto, anche se ho bevuto un poco, sono qua a battere il cuoio.

GINA:     Scusami. Non volevo rimproverarti.

TAC:      Sì… sì. Pensa piuttosto a tuo figlio. Non so io… ha già venticinque anni e frequenta ancora  l’istituto. Vorrei poprio sapere quando porterà a  casa qualche palanca.

GINA:     Lui deve studiare. Vuoi che mio figlio rimanga ignorante come me, che non so fare neanche una “O” con il bicchiere? Voglio che si faccia una posizione.

TAC:      Speriamo… Intanto tu Giovanni continua a dar delle martellate sul cuoio e tirare la lesina.

GINA:     (cambiando discorso) Bevi un po’ di latte?

TAC:      No. Prima mi aggiusto lo stomaco con un po’ di grappa.( va alla dispensa, prende bottiglia e bicchiere, versa e beve. Indossa il grembiule da calzolaio e  poi     si mette al deschetto a lavorare)

SCENA TERZA: Tac, Gina, Enrico.

GINA:     Debbo chiamare quel ragazzo là: è già tempo che si alzi.  (va alla porta e chiama) Enricco! Enricco… svegliati che è tardi. E’ ora di alzarti.

TAC:      Ma parlagli come capisce!

GINA:     ma Giovanni! Cosa dici? ( cambia tono) Giovanni dobbiamo avere un po’ di riguardo… hai un figlio che studia…

TAC:      Sta a vedere che ora debbo parlare in punta di forchetta.

GINA:     (sempre alla porta) Enricco” dai che è tardi.

( breve pausa intanto che tac e Gina continuano nei loro lavori)

ENRICO:   (entra,  ancora in pigiama, assonnato, con la retina in testa) Ma che ora è?

TAC:      (imperativo) E’ ora che ti svegli!

ENRICO:   Ho un sonno… ho studiato fino a tardi ieri sera.

GINA:     Enricco, vuoi fare colazione?

ENRICO:   Ma sì… ho un po’ fame.

( Gina prende la scodella ed il cuciano: Versa il latte, va al camino, prende qualche fetta di polenta messa a brustolire,la mette sul tavolo)         

TAC:      Lui ha sempre fame.

GINA:     Deve nutrirsi perché deve crescere.

TAC:      perché non è grande già abbastanza?

GINA:     Volevo dire che bisogna che mangi… un ragazza che studia… che lavora con la testa, ha bisogno di tenersi su.

TAC:      (ironico) Allora dovrebbe avere una testa grande come una zucca, invece che è un melone!

ENRICO:   (scocciato) Ma papà! Ogni giorno è la stessa solfa!...

TAC:      (cambiando discorso) Ve’? A proposito… a che ora sei tornato ieri sera?

ENRICO:   ( sul vago) mah… presto… Sono tornato, mi sono messo a letto a studiare fino verso le due.

TAC:      E com’è che quando sono tornato c’era tutto spento?

ENRICO:   (didattico) Guarda papà… che si può studiare anche semplicemente… semplicemente… pensando.

TAC:      (ironico) Non lo sapevo che quando tu pensi, russi.

GINA:     (decisa)  Ma lascia in pace questo benedetto ragazzo!

TAC:      (scocciato)Be’, Ma non ti accorgi che falciamo ridere anche i polli?che abbiamo un figlio di venticinque anni che non ha ancora finito di studiare? Gli altri alla sua età hanno già la laurea?

GINA:     Lo hanno detto anche i professori che il ragazzo per riuscir deve studiare molto.

TAC.      Ah, lo so anch’io. Ma loro intendevano che dovrebbe studiare durante l’anno, non fare la stessa classe ogni due o tre anni.

ENRICO:   (scusandosi)E’: Che i professori ce l’hanno con me.

TAC:      (stesso tono)…E non credono a quel che dici quando ti interrogano.

ENRICO:   (convinto)Proprio così.

TAC:      (imperativo)Mas piantala! E sbrigati! Io alla tua età lavoravo da dodici anni. Dovresti vergognarti! Ma quanto sei insieme ai tuoi compagni non temi che ti chiamino papà?

ENRICO:   Ce ne sono altri, che sono quasi giovani come me.

TAC:      Bravo! Vuol dire che hanno un padre sciocco come il tuo.

GINA:     (implorante)Basta Giovanni! Ti prego! ( accomodante)Vedrai che da ora in poi Enrico studierà.

SCENA QUIANTA:Tac, Gina,Enrico poi Maria.

TAC:      Speriamo. Certo che se invece di studiare e far così fatica ad andare avanti, avesse imparato un mestiere, a quest’ora guadagnerebbe e starebbe meglio. Pensa se avesse un bel negozio di scarpe in piazza o in via Cavour… Lui le venderebbe e il le accomoderei. Lo sai quanto guadagnano, ora, i negozianti? <con un poco di roba in negozio riescono a mantenere la famiglia e mettersene da parte.

GINA:     (sognando)Pensa invece?,quando avremo un figlio diplomato; che troverà un bel posto magari come capo reparto in fabbrica… (rivolta a Enrico)Tu cosa ne dici Enrico?

ENRICO:   (sognando)Certo che una fabbrica è sempre una fabbrica.(convinto)però anche il papà ha ragione… (interessato, verso il padre) Ma tu dove andresti a trovare i soldi per aprire un negozio?

Tac:      Anche questo è vero. Ci vorrebbe un aiuto. Mah. Per ora tiriamo avanti così; poi chi ci sarà vedrà.

MARIA:    Permesso… permesso…?

GINA:     Vieni avanti Maria.

MARIA:    (entrando, imbarazzata) Buon giorni Giovanni. (innamorata)

Ciao… Enrico… Ti sei già alzato?

ENRICO:   (scostante) Non lo so. Cosa dici tu?

MARIA:    Come sei spiritoso questa mattina.

ENRICO:   Se son qui, vuol dire che non sono a letto.

GINA:     Ti occorreva qualche cosa?

MARIA:    (affascinata e distratta) Cosa?... Eh? ( si ravvede) Non ha un panino fresco da prestarmi?

GINA:     Tua madre non l’ha comperato?

MARIA:    Ah…sì… Volevo dire: pan biscotto.

GINA:     ( guarda nella credenza ma vede che ne è sprovvista)

MARIA:    (timida)Enrico? Non vai a scuola questa mattina?

ENRICO:   (infastidito) Sì! Ora vado a prendere il treno.

GINA:     Non ne ho del pane biscotto. Se vuoi ho un po’ di polenta abbrustolita.

MARIA:    (era una scusa il pane) No…no. Fa niente. Faccio una scappata in piazza.

GINA:     Come vuoi.

MARIA:    Allora vado. (timidamente invitante)Tu, Enrico, stai qui?

ENRICO:   (scocciato) Sììì… vengo.

MARIA:    (felice)Allora facciamo la strada insieme.

(Enrico e Maria stanno per uscire )

GINA:     Enricco? Caro?... Come… vai senza libri?

ENRICO:   I Libri? No… no… Tanto oggi c’è ripasso.

(Enrico e Maria escono)

SCENA QUINTA:tac e Gina.

TAC:      Credo che quella ragazza lì, abbia preso una cotta da capogiro.

GINA:     Lo credo anch’io. Tutte le mattine viene qui con una scusa per vedere Enrico e accompagnarlo in stazione. Perché: ha detto che va a prendere il pane biscotto in piazza, però passa dalla circonvallazione.

TAC:      Pensa a quel povero uomo che la sposerà.  A me sembra un po’… assente; e sì, dico, suo padre è in gamba.

GINA:     …E sua madre è tutt’altro che sciocca. Magari le piace bagolare.

TAC:      (insinuante)Solo a lei?

GINA:     (riferendosi a Maria)Mah, a meno che sia un’acqua cheta?

TAC:      Certo che io non la vorrei una nuora come lei, anche se suo padre è un mio amico.

GINA:     (sprezzante)Be’, certo che per nostro figlio ci vuole un’altra ragazza: adatta alla sua posizione. Puoi immaginare se si può sposare con la figlia di un pescatore?!

TAC:      Ascoltami: guarda che tuo figlio è il figlio di un calzolaio…

GINA:     Sì, ma Enrico ha un avvenire.

TAC:      Be’, quello poi di “ un avvenire” lo vedremo.

GINA:     Perché parli così? Qui da noi, tutti quelli che hanno studiato si son fatti una posizione. Guarda il figlio di Camillo? E’ andato a Milano e si è fatto una fortuna.

TAC:      Be’: direi che il figlio di Camillo non ha studiato molto. Sai che cosa debbo dirti? Qui da noi ci sono delle testi fini, che hanno voglia di lavorare sul serio; e con cognizione. E’ logico che riescano a sfondare.

GINA:     Vedi quei milanesi quando per le feste tornano? Vedi  come stanno bene.

TAC:      Magari lavorano da mattino a notte e qualcuno fa anche un doppio lavoro… la moglie, poi, va a lavorare anche lei… e due salari in una casa contano.

GINA:     ( un po’ risentita)Questo è vero. Se lavorassi anch’io sarebbe più facile tirare avanti, e nostro figlio avrebbe più vestiti e qualche lira in più in tasca.

TAC:      Gira e rigira, tu vai sempre a battere sullo stesso chiodo:tuo figlio. Perché stia meglio; perché…

GINA:     Non prendertela, lo sai che mio figlio è tutta la mia vita. Ne ho solo uno e vorrei che diventasse chissà che cosa.

TAC:      Guarda però? Che ci sono anch’io.

SCENA SESTA: Tac e Psen.

( Gina esce e Tac rimane solo, poi…)

PSEN:     ( entra con un cesto di pesce al braccio) Ciao, Giovanni.

TAC:      Ciao, Giovanni.Ti è passata la sbornia di ieri sera?

PSEN:     Senti chi parla? Non ti ricordi tutte quelle cantate che hai fatto ieri sera?

TAC:      Tu dici? Però non ricordo nulla. Mi ricordo solo quando ci ha raggiunto Piduela. (serio)Ho fatto qualche sciocchezza?

PSEN:     (serio, con ammirazione per  l’amico)Tu: stupidaggini non ne fai mai.

TAC:      Va là che quando Piduela è ubriaco è un bel tipo. Di’: e quando ha raccontato le sue avventure di guerra?

Dice: “ Sono in trincea in prima linea, quando sento arrivare un aeroplano tedesco. Prendo il fucile e gli tiro una schioppettata e lo butto giù. Dopo un po’,uno vicino a me  dice:<Guarda che ne arriva un altro !> Allora io prendo il fucile e… pum… pum,  butto giù anche quello. Trascorre una bella mezz’ora quando sento gridare:<Eccolo là, ne sta arrivando un altro.>Mi guardo attorno e lo vedo. Allora prendo lo schioppo …punto…> Salta su baldo che è sempre un bel burlone e dice a Piduela:” Sentimi bene!:se butti giù anche quell’aereo lì, io ti do un pugno sulle corna!” Allora Piduela va avanti:” Punto… miro… pum… pum… sparo… Ma quel brutto canchero, non si frena di botto ed io non lo colpisco.” Puoi immaginarti: tutti giù a ridere.

PSEN:     Ancora l’ha raccontata? Allora c’era dentro in pieno. Meno male che sono andato a letto prima. Ci ho rifilato una dormita di cinque ore secche, poi, mi sono svegliato e non sono più stato capace di prendere sonno. Perciò, mi sono alzato,ho aperto la finestra: vedo una notte meravigliosa… e sento un’aria fresca… Be’; mi sono vestito, ho preso remo a forcola e sono andato sulla riva del Po.

( ora le luci di scena si abbassano molto e su Psen si alza pian piano la luce dell’occhio di  bue. Dolcemente i alza una musica di sottofondo che accompagna il prossimo brano. ( potrebbe essere la “ Barcarola” di Offenbach)

“ Dato che era presto e non ci si vedeva ancora, sono salito sul battello e mi sono seduto sulla sponda. L’acqua,dalla parte del torrente dove non c’è corrente, era liscia come l’olio; e nera. Doce c’è corrente, invece, l’acqua sembrava un pizzo d’argento che cambiava continuamente disegno.

C’era un silenzio… non tirava un alito di vento,si sentiva solo lo sbatter dell’acqua dalla parte dell’idrometro, dove la corrente che viene in su, si mischia con quella che va in gù, e forma dei  mulinelli grandi che si dividono in tanti piccoli e vanno verso il mare.

( pausa breve)

Ogni tanto dall’isola, blocchi di terra cadendo nell’acqua formavano cerchi che diventavano sempre più grandi, fino a “ baciare” la mia barca. E allora lei dondolava pian piano e pareva che dicesse:” hai visto Giovanni, come è bello il nostro Po?”

Mentre contemplavo quella meraviglia; ho tirato fuori il mio sacchettino di tabacco, ho riempito la pipa, l’ho accesa e mentre aspiravo pian paino e lasciavo uscire dalla bocca il fumo; pensavo alle mie cose, alla mia famiglia, agli amici e sentivo di amare tutti: anche la gente che non conosco.

(ritornano le primitive luci di scesa)

 TAC:     Di’? Psen; sai che mi sembri un poeta?

PSEN:     E’ che quando parlo del mio Po, mi sento un altro. Quando ha albeggiato, ho sciolto la catena ed ho fatta la traversata. Sono andato su a palo fino a quello specchio di acqua dietro l’isola; lì ho gettato le reti e nassa.

TAC:      Be’: e ne hai pescato?

Psen:     Guarda qui? ( mostra il cesto)e senza quello che ho portato alla rosa al Lido di là dal po.

TAC:      facevo medo di chiedertelo; non ci sono dubbi, si sente dall’odore.

PSEN:     Sai che profumo ha questo pesce? Di pane. Di pane per la mia famiglia.

TAC:      (scherzando) ER’ proprio vero che dove ce n’è ce ne va. Lì poco poco incassi un bello scudo.

PSEN:     Ma smettila. Sono povero in canna e quindi, visto che con il mio lavoro certo non arricchisco, mi accontento di ciò che ho.

Ora basta con le chiacchiere. Tac? Vado a portare il pesce al “ Bersagliere” ( sta per uscire, giunto sulla porta si gira, prende un bel pesce dal cesto)Questo pesce lo faccio pulire dall’Anna e lo mangi oggi con la tua famiglia. ( esce)

TAC:      (fra sé) ha il cuore che non è sua!

SCENA SETTIMA:Tac, Anna e poi Gina.

TAC:      (sta lavorando e canticchia una romanza)

ANNA:     (entra) Non c’è nessuno?   

TAC:      Oh, ma se sei qui! E’ appena uscito tuo marito pieno di pesci.

ANNA:     Me lo ha detto passando da casa che ne ha pescato. Pace per quelle volte che torna a casa a mani vuote.( chiedendo) Non c’è la Gina?

TAC:      E’ su che sta facendo i lavori. Penso: che sia lì  lì per finire. Te la chiamo?

ANNA:     Altrimenti la chiamo io. Volevo chiederle se veniva con me dall’ortolano a fare la spesa.

TAC:      State un po’ leggero con le cipolle. Magari acquistate un po’ di spinaci ed insalata. ( si alza e va a chiamare la moglie) Gina?...Gina.

GINA:     (fuori scena)      Eh? Cosa c’è?

TAC:      C’è l’Anna.

GINA:     Vengo subito.

TAC:      (prende un paio di scarpe dallo scaffale, lo avvolge nel grembiale che ha indosso    e uscendo) Gina? Io vado a portare le scarpe al signor Vallari in piazza.

GINA:     Ho capito. Ora vengo.

TAC:      (rivolto ad Anna complimentandosi ironicamente) Be’: sai che questa mattina mi sembri una bella puledrina?

ANNA:     (schernendosi)Ma smettila!

TAC:      Ciao  Anna, io esco.

ANNA:     ( mentre attende Gina si guarda attorno)

GINA:     ( entra e va verso lo specchio. Mentre si sistema i capelli) Ciao, Anna. Scusami mentre mi do una pettinata. Dove dicevi di andare a comperare la verdura?

ANNA:     pensavo di andare nell’ortaglia in” Cantarane” o in quella di “Via Lunga” Là hanno la verdura sempre fresca; te la raccolgono mentre aspetti e poi risparmi qualche cosa.

GINA:     Intanto, passando dalla piazza, vedo se trovo un paio di calzoni leggeri per il mio Enricco,visto che andiamo verso l’estate.

ANNA:     Sì, poi decideremo in che ortaglia andare. Intanto ci guardiamo intorno.

          ( escono dalla comune)

SCENA OTTAVA: Pidren, Funzionario di banca.

( entra Pidren seguito dal funzionario )

PIDREN:   (sulla porta) Avanti.

FUNZ:     (titubante parlerà alla birignao)

PIDREN:   Venga avanti senza tante storie.

FUNZ:     (compito presuntuoso)Scusate, buon uomo,vi ho già detto che cerco il signor Giovanni Cerati, lo conoscete?

PIDREN:   Certo che lo conosco: abita qui.

FUNZ:     (soddisfatto)Ah, meno male. Allora questo è il numero 21 di via Giordano Bruno.

PIDREN:   Perché non c’è scritto fuori?

FUNZ:     E’ in casa?

PIDREN:   Chi?

FUNZ:     (preso alla sprovvista) Giordano Bruno. ( si corregge) ma come chi? Il signor Cerati Giovanni.

PIDREN:   (vago) mah, fino a poco tempo fa era qua.

FUNZ:     Potreste accertarvene?

PIDREN:   ( spiritoso, indicando con la angoli  della stanza)  In sala non c’è. In salotto nemmeno. Nei servizi no; perché l’avremmo visto. In cortile la porta del gabinetto manca della parte sotto, perciò avremmo visto i piedi.

Proverò di sopra. ( va alla porta) Giovanni… Giovanni? No: non c’è. Sara uscita.

FUNZ:     Va bene. Aspetterò. ( pausa) Rimarrà fuori stanza a lungo?

PIDREN:   ( non ha capito) Come dite?

FUNZ:     Rimarrà assente a lungo?

PIDREN:   Penso di no. Di solito torna indietro presto.

FUNZ:     (vede che Pidren si trova a disagio nel parlare) Parlate pure nel vostro vernacolo, comprendo ugualmente. Sono ormai anni che vivo in (…………) ( indica la città distante dal luogo dell’azione)

PIDREN:   Meglio così: mi trovo meglio. Però… Mah, mi scusi:Posso rispondergli io?

FUNZ:     Veramente, è una cosa, un poco riservata.

PIDREN:   (curioso e soprattutto preoccupato)Va bene. ( va verso il dischetto e fa finta di lavorare. Fra sé) Eppure , io quello lì lo spoglio. ( con l’intento di tenere la conversazione ed indagando) Ah, lei abita a (…………..)

FUNZ:     Sì, effettivamente.

PIDREN:   Ah, sarà impiegato da qualche parte?

FUNZ:     (impettito) Sono FUNZIONARIO della Banca Italiana con sede in (………………)

PIDREN:   (impressionato)Oh, mi scusi… Si sieda.

FUNZ:     ( si siede comicamente sullo spigolo della sedia)Grazie: buon uomo.

PIDREN:   (scocciato per quel “ buon uomo”) E’ dottore lei?

FUNZ:     (vergognandosi perché non  lo è, ma riprendendosi immediatamente) No: cavaliere.

PIDREN:   ( ritenendolo un gran titolo) Peròòò. ( curioso e insinuante)E’ venuto per prendere dei soldi?

FUNZ:     No. Al contrario. Poi quello non è il mio lavoro. Il sono funzionario dell’Ufficio Esteri collegato con il Consolato.

PIDREN:   Ha proprio ragione. Quando una persona ha a che fare con le banche dopo lo si deve consolare.

FUNZ:     Ma che dite? Il Consolato è un ufficio che si interessa dei rapporti fra cittadini di Stati diversi: e anche di altre cose naturalmente.

PIDREN:   Mah, io non capisco.

FUNZ:     Effettivamente è un po’ difficile da capire per un uomo qualunque.

PIDREN:   Ah, è per quel motivo che voi non riuscite a spiegarlo?

FUNZ:     ( si alza) ma come vi permettete?

PIDREN:   Non prendetevela. Anch’io non sempre capisco le cose.

FUNZ:     Ma credete che uno che occupa un posto di riguardo in un ufficio non conosca i compiti dell’ufficio stesso?

PIDREN:   (ironico)Perché voi ci credete?

FUNZ:     Ma insomma! Benedetto uomo! Se una persona di uno stato, cerca una persona di uno stato diverso, si rivolge al Consolato per avere notizie. Il Console, poiché personalmente non può fare queste ricerche, li fa fare ai suoi incaricati, o a volte, si rivolge alla banca della provincia relativa. Chiaro?

PIDREN:   Sì, sì. ( fra sé)  Chissà chi cerca Tac. ( curioso)Mah, mi scusi:lei sta portando delle brutte notizie?

FUNZ:     Perché dite così?... Anzi…

PIDREN:   Mah, lei è vestito min una certa maniora… Mi sembra così lugubre…

FUNZ:     Anzi, credo di portarle delle belle notizie.

PIDREN:   (preoccupato) Ma voi, di Cerati Giovanni, oltre il nome e cognome, non sapete altro?

FUNZ:     Io non capisco.

PIDREN:   Sì, insomma: quanti anni ha, che mestiere fa…

FUNZ:     Non ho altro che nome cognome ed indirizzo. Mi sembra di averne a sufficienza per cercare una persona.

PIDREN:   Eh, ha ragione, anzi, ce n’è anche troppo. Ma mi scusi se sono stato un po’ maleducato. Posso offrirvi un bicchiere di vino nostrano?

FUNZ:     No, no, grazie.

PIDREN:   ( va a prendere un bicchiere nella credenza mettendogli dentro le dita. Il funzionario vedendolo, ne è un po’ schifato)… Un bicchierino di grappa… guardate che è buona. Qui da noi c’è uno che la fa in una maniera… che quando la si beve si sente un profumo…

FUNZ:     No, grazie, niente alcol. (indica il bicchiere)Il bicchiere.

( mentre Pidren prende dalla credenza un altro bicchiere,e questa volta senza mettergli dentro le dita, il funzionario gli indica che c’è già l’altro in tavola)

PIDREN:   ( che fa capire di non bere in un bicchier di un altro) No, no quello è suo.

FUNZ:     ( ha una espressione come dire: questa è bella)

PIDREN:   (fra sé) Mi ha dato una bella preoccupazione quello lì. Scommetto che è venuto a portare zizzania.

( fuori scena a soggetto, si sente il grido di ragazzi che giocano al calcio  e Psen che li rimprovera perché non lo lasciano passare. Pidren, pensa: intanto si da fare per far passare un po’ di tempo onde aver modo di riflettere. Poi fa capire di aver presa una decisione)

PIDREN:   ( al funz)Vedrà che fra un attimo è qui, anzi, aspettate che vado a dare un’occhiata. ( esce ed entra soddisfatto. Esce e dal di fuori) Giovanni! Senti! C’è qualcuno che ti cerca.

SCENA NONA:  Funzionario, Piden, Psen.

(Poiché il Funz. Sente giungere Psen, si alza da seduto e involontariamente mette le mani ai fianchi)

PSEN:     (entrando un po’ scocciato)Chi mi cerca?

(Psen, vedendo il funzionario in quell’atteggiamento fa il saluto romano, poi si vergogna e ritrae la mano imbarazzato)

PIDREN:   (indica)Quel signore lì.

PSEN:     ( a disagio) Buon giorno.

FUNZ:     (imperativo)Siete voi Cerati Giovanni?

PSEN:     (intimidito)Certo che sono io.

PIDEN:    (rivolto al funzionario) E’ lui.

FUNZ:     Bene! Siete voi colui che cerco! Io sono il cavalier Antonio Defendi funzionario della Banca Italiana filiale di (………..). Ho ricevuto l’incarico dal Consolato italiano di indagare circa l’esistenza di una persona tanto cara ad una persona vivente in America.

PSEN:     E io cosa c’entro?

FUNZ:     Quella persona siete voi!

PSEN:     (allibito e quasi svenendo cade sulla sedia) E quella che mi cerca chi è?

FUNZ:     Purtroppo per il momento non ho altre informazioni. Comunque pare trattasi di una vostra zia che vive in America - così mi ha detto il Console- e che, rimasta sola, desidera conoscere se ancora esiste suo nipote Giovanni Cerati; unico suo adorato erede.

PIDREN:   Avevo ragione io. ( rivolto a Psen)Be’, sai che mi sembri alquanto preoccupato?

PSEN:     Lo credo. Mi danno certe notizie…

PIDREN:   Dovresti essere felice che hai una zia che ti vuol bene e che ti cerca per mare e per terra.

FUNZ:     Io mi vedo costretto a ritirarmi perché ho il treno che parte fra poco. Se volete comunicare con vostra zia, potrete farlo tramite nostro; spedendoci la corrispondenza che noi, tramite il Consolato, provvederemo a recapitare. ( si avvia verso la comune )

PIDREN:   (rivolto al funzionario) L’accompagno in bicicletta in stazione?

FUNZ:     Lasciate, lasciate pure buon uomo, la conosco già.

PSEN:     (cerca di alzarsi ma poi si accascia sulla sedia)

PIDREN:   Sono curioso di sapere come va a finire.

PSEN:     Perché: io no?

FINE PRIMO ATTO

ATTO SECONDO

(sera dopo cena))

SCENA PRIMA:Pidren, Gina, Anna.

(la famiglia di pescatore sembrerà altezzosa per l’eredità promessa. La famiglia del calzolaio , al contrario, umiliata perché rimarrà povera. Il comportamento per la posizione sociale delle famiglie, quindi,sarà diverso.)

(Gina e Anna sono sedute davanti al camino. Pidren è seduto al lato del tavolo,Gina ed Anna sferruzzano, Pidren sorseggia un po’ di vino)

GINA:     Anna, ti ricordi quando qualche tempo fa abbiamo visto l’Amelia? Bene, l’ho vista oggi nel pomeriggio.

ANNA:     E’ un po’ di tempo che l’ho persa di vista, dov’era andata a finire?

GINA:     Mah… credo che sia andata a servizio presso una famiglia di Parma. Be’, sai che ora è più truccata di prima e porta un vestito che mi sembra un prato di… papaveri e margherite. Quando cammina sbatte il … coso… di qua e di là che sembra una bottiglia in fresco.

PIDREN:   (spiritoso) E come è fatto?

GINA:     (rimproverando) Ve’: Pidren!

PIDREN:   (si alza a va a sedersi al deschetto. Con disappunto) Mai che capiti a me.

GINA:     Be’ Anna: sai che avevi ragione?

ANNA:     Su che?

GINA:     perché non piace nemmeno a me. A me piace che le ragazze siano acqua e sapone e senza tanti fronzoli.

ANNA:     Ma no. Non esagerare. Ora le ragazze non sono più come ai nostri tempi. Si tengono più su, curano di più la loro immagine…

PIDREN:   (con lo stesso tono)… Si lavano anche di più.

ANNA:     (offesa) Pidren! Guarda che io mi sono sempre lavata: E poi sai come era severa la mamma.

ANNA:     E la mia?... ( di dà delle arie) certo che il doversi tenere su dipende dalla condizione della famiglia.

GINA:     Ah, quello te l’ho sempre detto anch’io; vedi mio figlio come l’ho sempre tenuto.

ANNA:     (sempre puntualizzando) Mia figlia, ora, ha dei doveri… anche verso la gente… Vero?

PIDREN:   Adesso che è diventata nobile.

ANNA:     ( non le è piaciuta la battuta) Cosa dicevi Pidren?

PIDREN:   (correggendo)Ah, è l’amore.

GINA:     Certo che quei due ragazzi lì sembra che siano fatti l’uno per l’altra.

PIDREN:   Io l’ho sempre detto fino da quando erano bambini: “ da lì nascerà una nidiata di Giovannini”.

GINA:     (bugiarda)Lei ha sempre pensato alla casa e alla famiglia; mai, mai che si sia accorta che Enrico le facesse la corte.

PIDREN:   (ironico)Mah!... chissà come sarà stato...A volte l’amore si presenta come,  improvvisa la voglia della cacca dei bambini.

GINA:     (cercando di equilibrare le posizioni) Anna? Dici che abbiamo fatto bene ad aprire il negozio di calzature ad Enrico?

ANNA:     (cercando di mantenere le diverse posizioni)Veramente se avesse finito di studiare… anche per la mia figliola…

GINA:     ( mentre si alza per andare a prendere nella credenza la forbice) A Giovanni e a me è parso che avessero tanta smania di sposarsi…

ANNA:     (sferzante, ma con belle maniere) certo che se Enrico avesse aspettato di finire di studiare sarebbe passato troppo tempo.

GINA:     ( fa finta di non aver sentito)Cosa dicevi?

ANNA:     (correggendosi) Dicevo… dato che si vogliono così tanto bene…

GINA:     Chissà quando se ne sono accorti.

ANNA:     Io mi sbaglierò, ma credo che sia passato quasi un mese.

PIDREN:   ( facendo coincidere l’arrivo del funzionario con l’inizio dell’innamoramento di Enrico – ironicamente - ) Quando è venuto Deprofundis? Ma sì: quel funzionario della banca di (…………)

GINA:     Perché “ Deprofundis”?

PIDREN:   Perché… Dovevi vedere che faccia da beccamorto aveva. Io, quando l’ho visto, ho provato una cosa qui nello stomaco… Pensavo che fosse successa qualche disgrazia e che fosse venuto a dare una brutta notizia, si come nei films di “ Zalamort”.

ANNA:     (soddisfatta)E invece è venuto a dare la lieta novella.

GINA:     (dubbiosa) ma tua zia sarà proprio ricca?

PIDREN:   Ma certo che è ricca. Hai mai visto un “ cavaliere” muoversi per un povero? Per uno senza soldi, al massimo, si muove un fattorino.

ANNA:     (vanitosa)  Cosa vuoi…Io mi sono sempre sentita di essere nata per una bella vita.

PIDREN:   (ironico) E’ vero: l’Anna ha i lineamenti di una vera signora.

ANA:      (rivolta a Pidren) Tu non stare a prendermi in giro.

GINA:     Ma dopo quella lettera non si è più sentito nulla: vero?

ANNA:     Sai: da qui all’America non è come da qui  a (…………) (indicare un paese vicino)

GINA:     Secondo me, con quella lettera. Non ti ha dato tante notizie.

PIDREN:   Ti hanno detto che la zia di Giovanni è rimasta vedova e senza figli e che suo marito l’ho lasciata” in  buona salute”, più chiaro di così?

GINA:     Come? Più chiaro di così? Vuoi dire che quando suo marito è morto lei stava bene.

PIDREN:   Ma va là. Ha voluto dire che l’ha lasciata piena di soldi.

ANNA:     E’ quel che dico anch’io. Ma se tu sapessi quante volte ho detto a Giovanni di scriverle… Però, lui non si è mai deciso.

GINA:     E sì. Dico… quella era una cosa da fare alla svelta.

ANNA:     per dire la verità ci ha provato diverse volte: parte deciso; scrive (----------) e la data, e poi… cara zia… E poi non è più capace di andare avanti.

PIDREN:   ( si alza e va verso la comune) Be’, io ora, vado a dare un’occhiata, all’osteria. ( esce)

GINA:     (rivolta a Pidren) E sta leggero sul bicchiere!

SCENA SECONDA: Gina, Anna, Enrico.

ANNA:     Certo che tuo fratello è singolare; non esiste problema per lui.

GINA:     Sai:dei pensieri non ne ha. Qui trova tutto pronto.

ANNA:     Ecco perché ha sempre dei proverbi.

ENRICO:   (entra)Buona sera Anna. Ciao mamma.

GINA:     Sei tornato presto questa sera.

ENRICO:   Voglio dare un’occhiata al libro di contabilità. ( lo va a prendere nella credenza)

GINA:     Non studiavi prima, studi ora?

ENRICO:   Ora mi serve. Ho un negozio.

GINA:     (rivolta a Anna, compiaciuta) Hai sentito Anna’ che ragazzo ho?

ANNA:     Ah, sì, ho sentito… ho sentito.

ENRICO:   (dopo che ha preso il libro si siede e studia di buona lena) Dunque: la partita semplice. La partita semplice… è quella operazione contabile per la quale noi notiamo due…

GINA:     (rivolta al figlio)Ti disturbiamo tesoro?

ENRICO:   No: è che leggo a voce alta.

ANNA:     Gina? Perché non andiamo di là da me?

GINA:     Tu dici?

ANNA:     Almeno studia in pace.

( le due donne escono)

SCENA TERZA:Enrico, Tac, Psen.

(8fuori scena Tac e Psen cantano un pezzo delle “ Boheme”

“ Vecchia zimarra senti, io resto al piano, tu scendere il sacro monte ardevi, le mie grazie ricevi…

(entrano un po’ alticci)

…Ora che i giorni lieti…

ENRICO:   Questa sera doppia carica! Sarà meglio che vada di sopra.  (esce)

PSEN:     E’ inutile. Non è così! ( ripete il pezzo)Devi andare più su. “ascendere” ( ripete con nota bassa)

TAC:      Questa nota deve essere alta.

PNEN:     Ma senti questo qui?! Come l’ha cantata questa romanza Nino Zecchini questa sera? A parte la voce, che se avesse studiato chissà dove sarebbe arrivato… lui “ ascendere” la tiene più su. “ ascendere…e…e… già… giù.

TAC:      (preoccupato) Cosa vuoi che mi interessi se quella nota lì deve essere più su o più giù. Io ho delle preoccupazioni…

Preoccupazioni che non mi fanno dormire di notte. Ma se per mettere su il negozio a mio figlio ho dovuto firmare tante di quelle cambiali che mi è venuta la borsite.

PSEN:     (scherzando)Va là,va là che sei un bel signore.

TAC:      Ma va a farti friggere. Tu fai il furbino perché chissà quanti soldi erediterai da tua zia.

PNEN:     Quanto pensi che mi daranno di interessi in posta?

TAC:      Cosa vuoi che ne sappia? Io so solo quanto vogliono in banca… Le mie palanche le ho messe nella banca “quadrelli”

PNEN:     (incuriosito) Cos’è una banca nuova?

TAC:      No. “ quadrelli” I miei soldi li ho messi sotto la pietra… e non temo nemmeno che me li rubino, perché non ne ho mai.

PSEN:     (molto colorito)E se dovessi fare qualche affare? Non so… comperare case… poderi… bestiame… Sai che ci sono delle notti che mi sveglio di soprassalto spaventato perché mi sogno che ho una borsa di soldi, e scappo perché ci sono i ladri che mi rincorrono per portarmeli via? Certo che continuare a fare il pescatore… alzarsi al mattino presto… andare a prendere tutto quel freddo… Secondo me, dovrei andare un po’ più spesso i caffè a parlare con i mediatori.

( pausa. Tac va a sedersi al deschetto)

PSEN:     Perché tutti quei soldi che erediterò da mia zia, da qualche parte li dovrò pur mettere. ( si avvicina a Tac)

TAC:      Non sarebbe meglio che tu aspettassi prima di riceverli?

PNEN:     Hai notato che anche l’Anna si è cambiata? Non è calma come prima… è impaziente… non le va bene nulla…. Vorrebbe comprare… comprare…

TAC:      Non farci caso. Alle donne i soldi fan presto ad andare loro alla testa.

PSEN:     … Anche la Maria…

TAC:      (alzando il dito a mo’ di rimprovero) Lascia stare la Maria! Che quella è un angelo.! Brava…svelta…furba…graziosa, ora poi che si veste più modernamente, è proprio una bella figliola: E poi vuoi che ti dica la verità? Io, quella ragazza l’ho sempre vista adatta a mio figlio. Chiedilo anche a mia moglie. E quando ho saputo che quei due ragazzi si piacevano, mi si è aperto il cuore.

( ovviamente tutto ciò che dice su Maria è ciò che pensa, o meglio pensava)

PNSEN:    (illudendosi) Mia figlia… non perché è mia figlia: è una ragazza… non saprei nemmeno come spiegarmi. ( si avvia a sedere)

TAC:      Mah, Io spero che mio figlio possa vendere. ( si alza)La posizione c’è; in piazza, dalla parte del caffè Commercio. Lo sai che c’è differenza rispetto l’altra parte… Però, quando penso a tutti quei debiti… mi vengono le caldane.

( Tac va a prendere la bottiglia del vino due bicchieri e versa)

Io non sarei capace di andare in piazza e sentirmi dire da qualcuno:” Tu taci che mi sei debitore.” La mia famiglia ha sempre fattola sua bella figura.

PNSEN:    Non preoccuparti! Ci sarò sempre io a darti una mano… e con degli interessi più bassi di quelli delle banche.

( a Tac, sentendo questa battuta,va di traverso il vino che sta bevendo facendogli fare uno sbruffo)

TAC:      (offeso,ma con tono ironico)Tu sì… che sei un amico, che non si cura del denaro… non ti danno alla testa, certo, i soldi.

PSEN:     Di sicuro!

TAC:      (serio)Però, Psen, ci sono rimasto male per gli interessi… e poi: dico: non stiamo per diventare parenti?

PSEN.     Sì, va bene tutto e sta bene tutto, ma io debbo pensare anche alla mia famiglia.

TAC:      Così se tuo genero ha bisogno di soldi tu glieli dai si e poi anche no.

PSEN:     Certo che glieli do. ( si alza) Però io penso che se ai ragazzi fasi sapere quanto costa il sale, staranno più attenti a spenderli.

TAC:      (ora si prende la rivincita. Mentre Pnen si siede) Sì, sì… mettiamola così.

(pausa)

Sai, che quasi quasi io rinuncio al negozio… Enrico finirà di studiare, e la Maria, se gli vuol bene, lo aspetterà. E poi andranno a lavorare dove troveranno, magari a Milano. Certo che se possono star qui è ancor meglio… D’altra parte se non si può…

(pausa)

PSEN:     (preoccupato che la figlia gli rimanga nubile, correggendosi)Ma no! Cosa dici? Per gli interessi scherzavo… E poi se ti occorre un po’ di grana, sono qua! Credi proprio che avrei chiesto degli interessi ad un amico?

TAC:      (stando al gioco)  E tu pensi che ci abbia creduto?

PSEN:     Certo che l’idea di mandar tutto a monte, mi è sembrata un’idea bislacca.

TAC:      Ormai che abbiamo iniziata una strada… percorriamola. (pausa) Dimmi? Tua zia d’America?...

PSEN:     Eh,sì. Dovrei scriverle ma non ci riesco.

SCENA QUINTA: Tac, Psen, Gina,Anna, Pidren, e poi Enrico.

( entrano Gina e Anna)

ANNA:     Siete tornasti presto.

GINA:     Non c’era la compagnia?

(entra Psen)

PSEN:     Buona sera bella gente.

GINA:     (rivolta a Psen) Sei rimasto solo anche tu?

PSEN:     Sono andato a bere un goccio al “ Bersagliere” e poi mi sono fermato a bagolaro con Stefano Mario Mainoldi, e poi, uno perché aveva sonno, l’altro perché doveva alzarsi presto, fatto sta ed è che ci siamo lasciati:

ANNA:     (rivolta verso il marito)Intanto che siamo qui con loro, perché Giovanni, non provate a buttar giù la lettera per tua zia?

PSEN:     Proprio ora?

ANNA:     E’ una cosa che prima fai meglio è.

PSEN:     Io non ne sono capace.

GINA:     Se volete, vedo se c’è il mio Enricco, che ha studiato.

ANNA:     Giusto! Tu Giovanni, detti e lui scrive.

TAC:      Forza! Vi do un aiuto anch’io.

GINA:     (va alla porta che da sulla scala e chiama) Enricco? Enricco?! Scendi che c’è da scrivere alla zia d’America!

(rivolta a tutti)Intanto preparo carta e penna. ( va alla credenza e prende l’occorrente e poi dispone sul tavolo)

(entra Enrico assonnato, già i pigiama con la rete per i capelli)

PSEN:     (rivolto a Pidren) Tu cosa dici?

PIDREN:   (che si è seduto al deschetto e gioca con gli attrezzi)Se non ci riuscite ora che siete in cinque…

PSEN:     (deciso)Dai che proviamo. ( si siede al tavolo)

ENRICO:   (mentre si siede al tavolo)Proprio ora che avevo appena preso il sonno.

PSEN:     Dunque… scrivi. ( indica il luogo dove si fa spettacolo)Lì, 3 maggio 1930. Cara zia!... Hai scritto?

ENRICO:   Ho scritto.

PIDREN:   Fin qui si siamo. Hai visto che non è difficile?

PSEN:     ( non sa proseguire) Ah, dunque…

TAC:      Prima di scrivere si deve saper cosa si vuol dire.

PSEN:     Eh, certo.

ANNA:     (sbrigativa) Dille che ci mandi i soldi.

GINA:     …Che ne abbiamo bisogno.

TAC:      Abbiate pazienza un attimo. Prima si deve fare il cappello alla lettera.

PSEN:     prima di chiedere i soldi la si deve prendere su dolce.

PIDREN:   Dille che sei contento di aver trovato una zia che credevi di aver per… (so)

ENRICO:   (spiritoso)… Nelle  nebbia.

GINA:     ( rimproverando) Enrico! Non fare lo spiritoso: lo facciamo anche per te..

TAC:      …Che hai chiesto a tutti quelli che l’hanno conosciuta se sapevano dove fosse andata ad abitare.

PIDREN:   Che l’hai fatta cercare dal prete dai carabinieri…

PSEEN:    Però: ascoltatemi! Sapete che non mi ricordo di aver avuto una zia che è andata in America? Che io sappia…

 Mio padre aveva due fratelli ed una sorella che è andata ad abitare a (……….)( indicare un pese vicino)e che è morta da un pezzo. Da parte di mia madre, sì, c’erano delle zie… ma so dove sono andate a finire.

GINA:     Figurati se non sei fortunato. Hai una zia ricca che non sai di avere.

PSEN:     Io ci ho pensato tanto, ma non so proprio da dove è saltata fuori.

 ( Mentre gli altri parlano Tac pensieroso è appoggiato alla credenza)

TAC:      ( mentre ha il pensiero lontano) Io l’avevo una zia… la zia di mio nonno Asdrubale.

PSEN:     (intervenendo)Sì…quello che chiamavano “ Mai a casa”

TAC:      Che si era sposato con una meridionale… che era andato sul napoletano … Mah… poi è passato tanto tempo… devi credere che siano morti tutti e due… per non aver più dato loro notizie…

PIDREN:   Son morti di sicuro:! Perché di solito quando hai dei parenti si fan sentire con la speranza che gli allunghi qualche cosa.

TAC:      Io, al massimo potrei allungargli le loro scarpe se son corte, ora volendo potrei allungare loro qualche cambiale.

ANNA:     ( al marito)Io, se fossi in te, non mi preoccuperai molto;  se ti ha scritto vuol dire che ha piacere rivederti, e quindi verrà il momento che ti spiegherà tutto… L’importante è: che ci sia.

ENRICO:   (impaziente) Con questa lettera andiamo avanti o facciamo notte.

GINA:     Dai… che andiamo avanti.

PSEN:     Dunque… scrivi… Cara zia.

ENRICO:   L’ho già scritto.

PSEN:     hai messo la data?

ENRICO:   Ho già messo anche quella.

PSEN:     Bene!... Dunque: cara zia, noi qui tiriamo ne bene ne male.

ANNA:     Dille che siamo senza soldi; che abbiamo una figlia da sposare e che se vuole dei nipoti ci deve dare una mano.

(Tac mentre gli altri parlavano, passeggiando meditava)

TAC:      No!... no! Ma no! Non si può buttar giù una lettera così. Bisogna dire che non avete bisogno di soldi; anzi, che quasi quasi state bene.

PSEN:     Be’: ma sei matto?

TAC:      Qui si tratta di accarezzare il gatto dal verso del pelo. Alle gente non devi mai dire che sei bortolo. I poveri non piacciono a nessuno.

PSEN:     Ah, sì. Questo è vero.

TAC:      I poveri si vergognano di esserlo. Tu non avrai mai sentito da un povero:” Io sono un bortolo.”

GINA:     Oh, ne ho sentiti io…

TAC:      Sì, per esempio:” io sono povero, ma onesto. Quel tale è ricco perché li ha rubati.”

ANNA:     Forse hai ragione. Infatti, quando entri in una casa di povera gente, quelli cercano di mostrarti le cose migliori.

PIDREN:   Avete mai visto in caffè un ricco con un povero insieme? Be’ fateci caso: quello che paga è sempre il povero. Infatti, il signore non ha bisogno di dimostrare che è ricco, perché è noto che dei soldi ne ha; invece il povero paga per far vedere che dei soldi ne ha pochi, ma per far bella figura: sempre.

TAC:      Con il ragionamento che ho fatto, mi intendevo dire che se a tua zia dici che sei povero, lei… lei, può pensare che ti interessi a lei per la sua grana… E questo da fastidio a tutti. Se invece lei sente che tu ne hai;  e quello che fai, lo fai, perché le vuoi bene veramente; è più facile che sganci.

PSEN:     Vuoi dire?...

PIDREN:   A me sembra che il ragionamento fili.

PSEN:     (convinto)Allora scriviamo così.

ANNA:     Ho idea anch’io che abbiano ragione.

( mentre gli altri parlano, avendo compreso l’idea del padre, Enrico scrive la lettera)

TAC:      Io, se fossi in te, le direi che tu ahi il tuo lavoro che ti da soddisfazione… che guadagni tanto da far bella figura e che la tua famiglia ha il necessario.

PIDREN:   Digli che i soldi non fanno la felicità.

GINA:     ( a Pidren)  Come sei originale; quella battuta non l’ho ami sentita.

PIDREN:   C’è il caso che in America queste cose non le sappiano.

TAC:      Sì, in America si tirano su ancora le braghe con la carrucola… ma piantala.

ENRICO:   Io ho scritto così:

“ Cara zia, non potete immaginare che gioia ho provato quando ho saputo di avere una zia che non speravo di  avere più. Perché avete fatto passare tutti questi anni senza dare vostre notizie? Quante volta a mia moglie Anna e a mia figlia Maria ho parlato di voi. Il povero babbo mi parlava sempre di voi. Di quella sua sorella tanto cara che tanto bene ha fatto hai suoi parenti.”

PSEN:     Come? Le dici che mio padre era suo fratello? Ma se non so nemmeno chi è. E se fosse la sorella di mia madre? Oppure di mio nonno o di mia nonna?

ENRICO:   Avete ragione. Allora correggo.

“… Quante volte a mia moglie Anna e a mia figlia Maria ho parlato di voi. I miei genitori mi parlano sempre  di questa mia zia che quando è partita ha lasciato un vuoto, per tutto il bene che ha fatto a tutti. Tutti noi vorremmo che ci scriveste per dirci come avete trascorsi tutti questi anni…”

PIDREN:   … E come ha fatto a far su tutti quei soldi che ha.

GINA:     Taci, Pidren.

TAC:      Bravo Enrico! Chissà che ci dica se ha ammucchiato i soldi… bravo!

ENRICO:   “… immagino che vorrete sapere di noi. Abbiamo una figlia che ormai ha ventitre anni, brava donna di casa che sta per sposare un bravo giovane.”

PSEN:     Non ti manca la parola, eh?...

ENRICO:   “…Questo giovane ha appena aperto da poco un negozio di calzature in piazza a (………………) naturalmente essendo agli inizi ha qualche preoccupazione economica…”

GINA:     Bravo Enrico. Chissà che mandi qualche cosa.

TAC:      Sì: ma non calcare troppo la mano sui soldi.

ANNA:     Ha fatto bene a scrivere così, così la zia comprenderà che ha intenzioni serie.

PSEN:     E poi agli americani piace la gente che si fa una posizione con le proprie mani.

ENRICO:   “… Naturalmente noi lo aiuteremo, perché fortunatamente, abbiamo i mezzi per farlo.”

PSEN:     Non è un po’ esagerata quella frase?

TAC:      No! No… va bene così!

PSEN:     Non sarebbe meglio dire che se ci fosse un poco di grana non puzzerebbe?

ANNA:     Digli, invece, che ha dei genitori tanto bravi che ci penseranno loro. ( falsa) Dici di no, tu Gina? Così le facciamo sapere che siete brava gente anche voi… no?

ENRICO:   “… Noi, vediamo l’ora di conoscere vostre notizie. Preghiamo perché possiate venire al più presto da noi.”

PIDREN:   …O se proprio, mandi le palanche.

GINA:     Pidren, vuoi piantarla? ( al figlio) vai avanti Enrico.

ENRICO:   “… Siamo sicuri che vi troverete bene fra noi. La nostra casa non è ricca, ma grazie a Dio non ci manca niente; e forse, poiché ci accontentiamo di ciò che abbiamo, viviamo felici.”

TAC:      (soddisfatto)  Così… così va bene. Deve credere che siete ricchi. La gente preferisce dare i soldi ad un ricco piuttosto che ad un derelitto.

PIDREN:   Hai ragione. Un bortolo è così abituato ad essere senza soldi che non fa neanche più fatica; in signore invece, è difficile che si abitui alla povertà, perciò bisogna dargliene.

TAC:      E poi lei capisce che se ti interessi a lei non è per i soldi.

PSEN:     Di’? Non staremo esagerando’ non vorrei che con la scusa che stiamo bene li dia ad un altro.

ANNA:     Sarebbe una bella fregatura!

PSEN:     Avete certe teorie voialtri, che io non so.

TAC:      ( con il gesto: io farei così)

ENRICO:   Ora cerco di concludere:

“…Ci faccia sapere al più presto sue notizie. Vi abbraccio con tanto affetto: Vostro nipote Giovanni Cerati.”

PIDREN:   … Detto Psen.

ENRICO:   Ora scrivo l’indirizzo: “ Al signor Defendi cav. Antonio – preso la banca italiana, perché la possa spedire, tramite il Consolato, alla signora della quale solo lui sa.”

PSEN:     Pensa che roba? Non so nemmeno il nome di mia zia e devo far finta di saperlo.

( A Tac, questa frase fa molto effetto, tanto che da questo momento gli viene un dubbio)

PSEN:     A Defendi la mando per mezzo del corriere, così arriva prima.

ANNA:     Anche questa è fatta!

PIDREN:   … Diceva quello che aveva ammazzato il padre.

GINA:     E speriamo che Dio ce la mandi buona.

PIDREN:   …Sulla testa.

ANNA:     A me piacerebbe sapere che faccia ha.

GINA:     Che faccia vuoi che abbia? Una faccia nostrana, magari da signora.

ENRICO:   Bene! Ora che abbiamo finito: io vado a letto. ( si alza e si avvia ad uscire )

GINA:     Vai… vai, tesoro… che sarai stanco.

PIDREN:   Eh, sì: dopo tutto il lavoro che ha fatto…

TAC:      (dopo che Enrico è uscito) Avete visto io figlio? In due e due quattro ha scritto una lettera… e da mandare in America: Capite cosa vuol dire aver studiato?

PIDREN:   Io, se non avete più bisogno di me, seguo Enrico.

SCENA QUINTA: Detti Maria.

MARIA:    (entrando rivolta ai genitori) Fate i conti di non venire a letto questa sera?

PSEN:     Be’, sei ancora alzata?

MARIA:    Lo sapete che se non ci siete voi io non vado a letto.

ANNA:     Va bene! Ora andiamo aletto tutti.

PSEN:     Sì, sì, perché domani mattina dovrò alzarmi presto.

TAC:      Vai a pescare?

PSEN:     No… no. Debbo vedermi con un mediatore per degli affari.

( escono Psen, Anna, Maria)

SCENA SESTA: Tac e Gina.

GINA:     Non ti sembra che Giovanni stia trascurando troppo il suo lavoro?

TAC:      Altro che! Io vorrei dirglielo che non deve trascurare troppo il suo lavoro e non illudersi oltremodo sull’eredità di sua zia.

GINA:     A me pare che siano cambiati molto tutti e due: Alche l’Anna…

TAC:      Eh, sì, i soldi danno alla testa tutti. Pensa; che per scherzo, ho chiesto in prestito dei soldi a Psen, e lui ha avuto il becco di chiedermi gli interessi. Quando però gli ho detto che avrei rinunciato al negozio e che Enrico avrebbe continuato a studiare, allora: sì! Se è stato svelto a far marcia indietro. Anzi; mi ha detto che caso mai me li avrebbe anche regalati.

( si evidenzia l’invidia dei due)

GINA:     L’Anna comincia a darsi delle arie come se avesse già i soldi in tasca, quasi quasi ha la sfrontatezza di far capire che per sua figlia Enrico è poco degno. E pensare….

TAC:      Io la storia di quella zia lì, non la capisco. Psen, dice di non avere nessun parente in America. Anzi. Dice di non aver nessuno, perché  i parenti che aveva sono  già  tutti morti; e poi ad un certo punto… salta fuori una zia che non si sa di chi sia.

GINA:     Questa storia chiara e limpida non la è proprio.

TAC:      E poi: non dire come si chiama? dove abita?... Un bel giorno arriva qui uno e dice a Giovanni:” Tu hai una zia in America!” Come faceva a sapere che era proprio Psen che lui cercava?

GINA:     Come? Gli ha chiesto non e cognome.

TAC:      Cosa vuol dire? Anch’io mi chiamo Giovanni Cerati.

GINA:     Sì, ma il cavigliere gli ha detto:” E’ lei colui che cerco!” anzi, “ Siete proprio voi colui che cerco!” Sai che ora c’è la storia del voi. E, poi, lo ha detto anche mio fratello.

TAC:      Lascia stare tuo fratello che proprio un’aquila non lo è.  Noi ci siamo messi in testa che Giovanni Cerati è Psen, e di lì non ci si è più mossi.

GINA:     Ma lascia perdere! Vuoi che dopo tutto questo tempo, se ci fosse stato un errore, non sarebbe saltato fuori?

TAC:      perché no? Dopo tutto quello di (……….) è venuto solo una volta, e non mi pare che si sia spigato molto chiaramente.

GINA:     Per dire il vero delle grandi cose non le ha dette. Però Pidren è sicuro che fosse Psen.

TAC:      ( comincia ad arrabbiarsi autosuggestionandosi)E dai con Pidren! Come fai a fidarti di tuo fratello? Anch’io mi chiamo Giovanni Cerati come Psen, e allora?

GINA:     (cerca di tenero calmo)Ma è impossibile che tu abbia ragione.

TAC:      Come impossibile?!!! E poi, debbo dirti la verità? Non è che io sia geloso di Psen, ma tutte le arie che Psen si da, mi stanno qui. ( indica le parti basse , poi si corregge con lo stomaco)

Ascolta una cosa: chiama Pidren! Voglio chiedergli giusto giusto cosa gli ha detto quello là di (……………………)

GINA:     Ora? Proprio ora che dorme? Glielo chiederai domani.

TAC:      Chiamalo!!! Come faccio a dormire con questo magone.

E poi, tuo fratello dorme talmente in piedi che se perde anche qualche minuto di sonno non ne patisce certo.

GINA:     Lo sai che è delicato.

TAC:      Ve’: donna!!

GINA:     ( va alla porta che da sulle scale e sottovoce )    Pidren?... Pidren? E’ già addormentato poverino.

TAC:      Certo che con i suoi pensieri non va a letto tanto turbato.

GINA:     (chiama ancora)Pidren! (poi verso il marito) Cerca di usare un po’ di belle maniere… lo sai che è permaloso.

TAC:      ( va alla porta e grida)Pidren?! ( con lo stesso tono della moglie)… come un cane che prende l’osso! ( richiama) Pidren!Vieni giù di corsa!

SCENA SETTIMA: Tac, Gina, Pidren.

PIDREN:   (entrando di corsa) E’ successo qualche cosa?

GINA.     No.

PIDREN:   Siete impazziti?! Chiamarmi a quella maniera? Mi ero appena addormentato… Volevate che mi prendesse un colpo?

TAC:      (inquieto ma trattenendosi)Ora ti siedi qui, e mi dici quello che ti ha detto quello di (…………………..)!

PIDREN:   Il cornacchione?

TAC:      Chiamalo come vuoi, ma sbrigati!

PIDREN:   ( calmo) Ha detto che Psen ha una zia in America.

TAC:      No! Devi dirmi per filo e per segno cos0ha detto e cosa ha fatto! E sbrigati!

PIDREN:   (intimorito) Va bene, va bene. Dunque: Ero in strada a dare una mano alla Maria Ranota - che le era caduto un pacchettino – e prenderla in giro perché la sera prima ero stato insieme a suo marito all’osteria.

TAC:      Salta la Ranota a vai avanti.

PIDREN:   Mi hai detto di raccontarti tutto…

TAC:      Dai! Vai avanti! 

PIDREN:   Ero lì con la Maria    …

TAC:      Quale Maria?

PIDREN:   La Ranotta.

TAC:      Non l’hai ancora saltata? Vai avanti!

PIDREN:   … Quando vediamo arrivar su da via Baldesio il cornacchione. Alla Maria è venuto voglia di ridere vedendolo. Anzi, è proprio stata la Maria a dire che sembrava un cornacchione.

TAC:      Dai sbrigati!

PIDREN:   Ci stavamo chiedendo chi poteva cercare quello là… quando si è avvicinato e mi ha chiesto:”  Ditemi buon-uomo?” per dire la verità quel “ buon-uomo non mi è piaciuto tanto. “…Sapete dirmi dove abita Giovanni Cerati?” e io rispondo:” lì, dentro quel cortile.” “Bene, bene.” dice lui. Allora io dico:” Se vuole entrare?” e lui: “ Grazie buon-uomo.” A me insomma, quel buon-uomo non va giù.

TAC:      Datti un mossa, prima che perda la pazienza!

PIDREN:   … Siamo appena entrati in casa, quando entra Pidren. Defendi gli chiede:” Siete voi Giovanni cerati?” e Psen:” Sì:”

“ bene!” dice lui.” Siete voi colui che cerco!” A Giovanni sembra che gli abbia fatto effetto perché impallidisce come una federe fresca di bucato. E poi gli dice: Ho una notizia da recarle. Voi avete una zia in America.” A Psen è venuto un colpo, tanto che si è seduto sulla sedia, anzi. Si è accasciato su.

TAC:      (esplodendo) Hai visto che avevo ragione’ Come potete dire che proprio Psen era il nipote della zia d’America? Gli ha chiesto per caso di che era figlio? quanti anni ha? Dove è nato? Quando?  (indicando Pidren)E quel cretino, quel deficiente lì non l’ha mai raccontata così. Ha sempre detto che è venuto un tale a cercare Pidren, per dirgli che aveva una zia in America.

Non ti è venuto in mente in quella zucca lì, che Giovanni Cerati potevo essere anch’io’ Cosa ti ha fatto pensare che poteva essere proprio Psen?

GINA:     Sta calmo Giovanni.

TAC:      Ma come calmo calmo! In tutti questi giorni ci ha fatto stare male, ci ha fatto prendere in giro da quelli là! Ci ha fatto umiliare!... sembravano tutti mylord…  per non fare la figura di far sposare mio figlio a mani vuote, ho comprato un negozio che mi costa un occhio della testa; che ho firmato tante cambiali che me le sogno fin di notte.! (rivolto alla moglie) perché quando ho preso in casa tuo fratello non mi è venuta una epatite fulminante Pensa per quanti giorni abbiamo sofferto perché, il signorino, si è sognato di dire che Psen era Giovanni Cerati. E io chi sono?!

GINA:     Non fare così, sta calmo… sta calmo. ( al fratello) Non prendertela Pidren, grida perché è arrabbiato.

( pausa)

PIDREN:   (abbattuto)Veramente, se debbo dire la verità… non so chi cercasse… quando poi ha capito che portava dei soldi, ho avuto paura; perché ho pensato che se fossi stato tu quello che il funzionario cercava… tu mi avresti buttato fuori di casa. Non è mai accaduto che un ricco tanga un povero in casa… ed io temevo di rimaner solo; perché… la mia famiglia siete voi. In una casa povera una fetta di polenta c’è sempre.

TAC:      (ancora arrabbiato) Andrai dai frati a mangiare la polenta! Perché, ora ti mando fuori casa davvero.

( pausa)

TAC:      (controllandosi) Quando penso a tutti quei magoni che ho mandato giù, mi si rivolta lo stomaco.. E lui mi viene a dire… lascia stare.

GINA:     Giovanni, hai ragione, ma se gridi a quella maniera viene giù tutto il cortile.

TAC:      Bene! Dormiranno domani!

SCENA OTTAVA: detti, Psen, Anna.   

PSEN:     ( entrando in mutande)  Che cosa succede? Che sembra che cada la casa?

TAC:      Che cosa vuoi che succeda?!

ANNA:     (entrando in camicia da notte) E’ successa una disgrazia?

TAC:      Sì! Una disgrazia per te, il mio pesce arrostito! Perché il vero, il solo Giovanni Cerati è questo qui!!!( indica pomposamente se stesso)

FINE SCONDO ATTO

ATTO TERZO

( qualche tempo dopo. Mattino. preparativi per la festa della promessa di matrimonio dei due giovani)

SCENA PRIMA: Gina, Anna.

( le due donne mentre parlano stanno preparando un dolce)

GINA:     Non si può andare avanti in questo modo. Sono stati giorni d’inferno.

ANNA:     Non parliamone: in casa mia sembra di vivere una  veglia funebre. Maria ogni tanto piange.

GINA:     Stavamo così bene. I nostri uomini andavano d’accordo.  Il mio Ennio studiava. Piden non faceva inquietare.

ANNA:     Il mio Giovanni non vedeva l’ora che albeggiasse per andare al fiume. Ora se non fosse perché deve andare a pescare, quasi quasi gli fa schifo. Lui andrebbe sempre in piazza e all’osteria. Lavora di mala voglia ed è sempre nervoso.

GINA:     E il mio? Non lo si può guardare in viso. Non gli si può dir nulla, altrimenti incollerisco.

No!... deve venire quel quell’uccello di malaugurio da (……………) a portare zizzania nelle famiglie.

ANNA:     Se fosse venuto e avesse detto chiaro e tondo che era Cerati Giovanni che cercava, con il suo bel “ figlio di… Nato a….”

GINA:     Invece cerca Cerati Giovanni e non si sa chi sia.

ANNA:     Veramente, mettiti nei suoi panni… Come faceva a sapere che dei Giovanni Cerati ce ne sono due e che per giunta entrambi abitano nello stesso cortile.

GINA:     (esplodendo) Ma se scendendo dal treno fosse scivolato e si fosse rotta una gamba: l’avrebbero portato all’ospedale e magari ne avrebbero mandato un altro un po’ più sveglio.

ANNA:     La Maria continua ad insistere che si vuol sposare presto  e mio marito, quando tocca quel tasto, fa finta di non sentire.

GINA:     Se è per questo, anche il mio Enrico ha una fretta che gli scappa da tutte le parti. ( dubbiosa perché Maria potrebbe essere incinta) … Dì’ Anna?... non ci sarà qualche novità?

ANNA:     No! Sta tranquilla.

GINA:     Ne sei proprio sicura?

ANNA:     Altro che se ne sono sicura. Sono in casa tutto il giorno… vedrei… E poi il bucato lo faccio io.

GINA:     Meno male!

ANNA:     Ed Enrico con il negozio?

GINA:     Gli piace vè’: starebbe là tutto il giorno… al contrario di Giovanni. Lui è arrabbiato e nervoso e basta.

ANNA:     E Pidren?

GINA:     lascia stare Pidren… sembra un cane bastonato. Quando Giovanni entra in casa, lui esce. Lo sai:mio marito non ha l’animo di chiedergli scusa; perché i nostri uomini sono orgogliosi ma non cattivi.

ANNA:     Se c’erano due che andavano d’accordo… Ora per colpa del denaro, dopo la litigata di quella sera, vanno uno da una parte e l’altro dall’altra.

GINA:     Certo che delle invettive se ne sono dette. Sono andati a cercare degli improperi che no avrebbero mai dovuto dire.

ANNA:     Morale della favola: ora quella zia là non si sa a chi darla.

GINA:     però, sembra che tuo marito delle zie non ne abbia.

ANNA:     Taci vè’… L’altro giorno è andato ( ……….) ( indicare un paese vicino) a visitare i suoi parenti. Lui ha detto che c’è andato perché era tanto tempo che non li vedeva, invece c’è andato per cercare una zia che si è persa nella nebbia.

GINA:     E l’ha trovata?

ANNA:     Ci sarebbe, veramente, una zia di una sua bisnonna che era andata proprio in America… che si è sposata molto giovane…

GINA:     Certo che avrà già fatto terra da pitali.

Con quell’aria di Quaresima che si respira qui da noi, sarebbe più facile andare ad un funerale anziché andare in Municipio a fare le promesse.

ANNA:     E’ proprio come se ci fosse caduta in testa una disgrazia.

SCENA SECONDA:Gina, Anna, Maria.

MARIA:    ( entra  preoccupata perché ha la gonna che pende troppo dietro) Mamma:mi sembra che questo vestito non mi stia a posto. Non ti sembra che questa gonna non cada troppo dietro?

ANNA:     Fammi vedere? Girati… piano…( a Gina)  Gina: tu cosa dici?

(Gina avvicinandosi si china ed esageratamente tira su la gonna  di Maria all’altezza della cintura )

GINA:     Un po’ sembra di sì. E’ sufficiente che la tiri su un paio di dita nella cucitura della schiena. Poi vedrai che cade giusta.

MARIA:    Enrico?

GINA:     Ha già tutto pronto. E’ andato al negozio, fra poco sarà qui.

MARIA:    Oggi non poteva tener chiuso?

GINA:     Proprio…. Con la smania che ha. Ci andrebbe anche di notte. Non preoccuparti che quando è ora è qui.

MARIA:    E il papà dov’è? E’ uscito questa mattina e non è ancora tornato.

ANNA:     Speriamo che torni presto.

MARIA:    ( piangendo)Io non so. Questo è il più bel giorno… dovrebbe essere contento che sua figlia si sposa… e lui non ne vuol nemmeno sapere.

ANNA:     Non è come pensi tu. Lui vorrebbe aspettare ancora un poco.

MARIA:    Aspettare… aspettare! Cosa vuoi aspettare? Noi stiamo qui che stiamo impazzendo; e quello di (…………………) non ci ha nemmeno in nota. E’ già da tempo che avete spedita la lettera e lui non si è ancora fatto vivo. Poteva informarci almeno.

GINA:     Cosa vuoi che interessi a quello là?

ANNA:     Se pendo a quella sera!... Sembrava che fosse successo… non lo so io… un terremoto!

GINA:     Lascia stare!

ANNA:     Giovanni voleva stracciare la lettera, ma io gli ho detto:” Spediscila ugualmente… cosa vuoi che sappia lei?”

GINA:     Chissà che si sbrighi.

MARIA:    I testimoni sono già venuti?

ANNA:     No! Però lo sanno di venire. Metti. Che Gaetano a minuti sarà qui. Marco è sulla strada, perciò facciamo sempre in tempo a dargli una voce.

MARIA:    Sei sicura?

GINA:     Ieri Enrico è andato in comune dal signor Biagi     per mettersi d’accordo sull’orario ed intanto è andato anche ad invitare i testimoni. E poi: mica lo sanno da ora.

MARIA:    Lo sanno a che ora è?

ANNA:     Dai, Maria: ti sembra che siano cosa da chiedere?

MARIA:    ( a Gina) E, Tac? E’ uscito anche lui?

GINA:     No, lui è in soffitta. Prima è stato un’ora in cantina, ed è già mezz’ora che è in soffitta.

ANNA:     Cosa ci fa?

GINA:     Mah; starà contando le tegole.

MARIA:    Allora io vado ad aggiustarmi il vestito, ( esce)

ANNA:     Vai… vai, che qui ci pensiamo noi. ( a Gina)Sarà meglio che la segua. Intanto porto la roba di là. ( prende il cabaret del dolce  ed esce)

GINA:     E’ meglio, qui tanto abbiamo finito.

SCENA TERZA: Gina, Tac.

TAC:      ( entra soddisfatto) L’ho trovata.

GINA:     Cosa?

TAC:      la fotografia.

GINA:     Quale?

TAC:      Come quale? Quella di mia zia. Guarda.

GINA:     Ma sono tutti bambini. Cos’è la fotografia della scuola?

TAC:      Sì! Lei deve essere quella dietro la maestra. Hai visto che bel musetto ha?

GINA:     Sì, vedo. E cosa vuol dire?

TAC:      Volevo farti toccare con mano che l’avevo veramente una zia.

GINA:     Nessuno lo dubita. Ma la fine che ha fatto, quella non la sai.

TAC:      (senza alcun dubbio) Comunque; sono sicuro che è lei.

GINA:     Ascoltami Giovanni! Fra poco dobbiamo andare in Municipio a fare le promesse, e tu non sei ancora pronto.

TAC:      Ora non tirare in ballo delle sciocchezze.

GINA:     Ma come? E’mai possibile che tu perda la testa per queste sciocchezze? … Di che cosa vai in cerca? Hai tuo figlio che si sposa; un negozio in piazza che sembra sia avviato… Noi di salute stiamo tutti bene, ringraziamo Iddio.

TAC:      Di ce cosa vado in cerca? Ma lo sai che quando erediterò, la nostra vita cambierà come dal giorno alla notte?... Cosa vuoi che mi interessi il negozio? Quando avrò i soldi saprò ben io come farli rendere. Non capisci che io lo faccio per te e tuo figlio? Credi che mi voglia imparentarmi con uno spiantato come quallo là?... Dopo tutto quello che mi ha detto?

GINA:     Non dire così! Lo sai che mi dai un dispiacere! Ormai è tutto pronto. Nostro figlio ha un lavoro sicuro e smania di sposarsi… E  per le parole che Psen ti ha  detto, non sono di più di quelle che tu hai detto  a lui.

TAC:      Non ti ricordi di quanto mi ha offeso’ Dirmi che sono un pidocchio e che penso solo a me stesso’ Proprio lui, che voleva gli interessi.

GINA:     Smettila Giovanni! Lo sai che Psen è un po’ sempliciotto… ma non è cattivo. E tutte quelle cose che ti ha detto, non le pensa. ( esplodendo) Dio stramaledica i soldi e quelli che li hanno inventati!!

Pensate ai vostri figli, piuttosto.

TAC:      Ci penso… ci penso… E’ proprio perché ci penso. Credi che io pensi a me? Anche all’osteria non fanno altro che parlarne.

GINA:     Certo che se andate avanti di questo passo, diventerete gli zimbelli del paese. E’ ora di piantarla1 (accomodante) dai: vai su a cambiarti.

TAC:      (avviandosi non convito)  Guarda, però, che io Psen non lo voglio neanche vedere! Ognuno va i  Municipio per proprio conto!

GINA:     Sì. Così faremo ridere anche i polli! Perché non se ne parla anche troppo… ( scoraggiata) Io non so: ma è un vivere questo? ?

 Ma è possibile che i soldi riducano gli uomini a questa maniera? Uomini che pur di farsi un favore si sarebbero buttati nel fuoco… che se stavano un’ora senza vedersi si cercavano come due amanti. Due fratelli non potevano volersi più bene.

Se almeno quel civettone venisse qui e ci dicesse:” Ascoltatemi gente. Mi sono sbagliato. …. È… sarebbe troppo bello.

SCENA QUINTA: Gina,Anna.

ANNA:     (entra)Il vestito è pronto. E’ perfetto. La Maria è quasi pronta. Non perché è mia figlia, ma è bella come una Madonna. Ora che è ben vestita e ben truccata non sembra nemmeno lei.

GINA:     Lo so che è bella … e brava.

ANNA:     E tu cos’hai? Hai una faccia…

GINA:     Cosa vuoi che abbia? Ho litigato con Giovanni.

ANNA:     Ancora?...

GINA:     Sì, e sempre per le stesse cose. Non voleva venire in Municipio. Anzi, non voleva nemmeno fare le promesse. … Poi, grazie a Dio gli è passata ed è andato a cambiarsi.

ANNA:     Mah! Io non so nemmeno cosa dire.  Solo che non vedo l’ora che tutto sia finito.

GINA:     Parliamo d’altro: va. Piuttosto per la torta?

ANNA:     Ci ho pensato io.

GINA:     Ceto che sarà poco una torta.

ANNA:     Ah… Ho fatto fare una ciambella dal fornaio ed un po’ di paste.

GINA:     Hai fatto bene. Poi mettiamo a posto i conti.

ANNA:     Ho già apparecchiato il tavolo. Ho messo il servizio ds dodici, quello della dote; almeno lo uso.  Quando penso a tutte quelle ora per ricamare la tovaglia ed i tovaglioli…

GINA:     Non sarà poco? Voi siete in tre, noi in quattro, poi i due testimoni che fan nove.   Ho invitato la Veneta, la Pina, la Giacomina, Mario. La Marangona lo sai che non si può muovere dalla sedia… Mi ha detto di farle avere una fetta di torta. Le manderò anche un po’ di tabacco da fiuto così la faccio contenta. E’ così simpatica quella vecchietta lì.

ANNA:     pensandoci bene occorrerebbe un servizio da ventiquattro… ma io non ce l’ho.

GINA:     Nemmeno io. … per ora…

ANNA:     D’altronde lo sanno che non siamo ricchi, e poi è tutta gente di casa.

GINA:     Il vino bianco per  gli uomini; c’è?

Anna:     Sì, L’ha portato Giovanni: glielo ha dato il “ Bersagliere”.

GINA:     ( preoccupata)Ci siamo dimenticati qualche cosa?

ANNA:     Io spero di no.

SCENA QUINTA: Anna, Gina, Gaetano.

GAETANO:  ( da fuori)Ehi di casa? Dove siete?

GINA:     Avanti. Entrate Gaetano.

GAETANO:  ( Entra. Indossa il vestito della domenica) Vi riverisco padrone.

ANNA:     (rivolta a Gina) Sono arrivati i testimoni. ( rivolta a Gaetano) Marco non c’è?

GAETANO:  Pensavo che fosse già qui. Dove sono gli uomini?

GINA:     Giovanni è su. ( rivolta ad Anna) E Psen?

ANNA:     Non è ancora tornato a casa, ma sarà qui a minuti.

GAETANO:  Io sarei venuto prima; ma mi sono dilungato in piazza. Ho fatto una risata che c’è mancato poco che me la facessi sotto.

GINA:     Cos’è successo?

GAETANO:  Ora mi siede e ve la racconto perché merita.

Dunque: Davanti al Municipio, c’era Carloccia pieno come un uovo, (ubriaco) che dormiva; con un braccio appoggiato al gradino e con l’altra mano teneva un fiasco di vino. Russava come un asino.

A vederlo c’era da sbudellarsi dal ridere, perché: dormiva, ma il fiasco lo teneva come se il dio degli ubriachi gli desse una mano. Ad un certo punto a Piero viene in mente di farsi uno scherzo. Si fa prestare da Trani una cannuccia.  Pian piano toglie il tappo dal fiasco, dà una succhiata alla cannuccia e gli vuota il fiasco. Intanto Carloccia russa. Giuseppe, quello che ha sposato la figlia di Trani, va a casa a prendere la macchina fotografica, torna e gli fa la fotografia. Quando Carloccia si sveglia, vedendo tutta la gente che si era fermata,ridere; si guarda intorno stupito, e quando si accorge che il fiasco è vuoto, non dice niente, ma fa un grigno… e poi comincia a tirar un rosario che si sente fino in fondo alla piazza.

Io, una risata così non l’ho mai fatta.

( naturalmente il racconto può essere sostituito da qualsiasi altro conosciuto nella località in cui avviene lo spettacolo)

ANNA:     Lo immagino, conoscendo Carloccia.

GINA:     Avrei pagato per esserci.

GAETANO:  Era bello come il sole.

GINA:     Gaetano, bevete qualcosa?

GAETANO:  (alzandosi) No, no. Mi risparmio per dopo. Piuttosto: dato che Marco non è ancora qui, gli vado incontro. Caso mai ci vediamo davanti al Municipio.

GINA:     Va bene.

GAETANO:  Arrivederci. ( esce)

GINA:     Anna? Mentre tu stai qui, io vado su a vestire Giovanni, così lo tengo calmo. ( esce)

ANNA:     Sì, vai… vai. Sto qui io. Intanto preparo la roba per portare di là.

SCENA SESTA: Anna, Psen.

PSEN:     ( da fuori) Anna? Dove sei?

ANNA:     Dove vuoi che sia?... Sono qui dalla Gina.

PSEN:     (entra. Ha un fiore rosso all’occhiello. Si guarda intorno)

Non c’è il miliardario?

ANNA:     Siamo alle solite.

PSEN:     Lo sai che non lo voglio vedere!

ANNA:     Hai visto Gaetano che è appena uscito?

PSEN:     No. Sono entrato dal portone di via Baldesio.  Si vede che lui è uscito dal cancello che da sull’argine.

ANNA:     Beh? Dove hai preso  quel fiore?

PSEN:     Me l’ha dato la signora maestra.

ANNA:     E tu sei rimasto in  piazza con quel fiore rosso all’occhiello?

PSEN:     Sì; perché?

ANNA:     Lo sai che non è il colore più adatto in questi tempi. Sarà opportuno che quando andiamo in Municipio te lo tolga, prima che nascano delle complicazioni proprio oggi.

PSEN:     E la Gina dov’è?

ANNA:     E’ di sopra che aiuta Giovanni a vestirsi.

PSEN:     Ah; perché Sua Eccellenza ha bisogno del maggiordomo per vestirsi?  Allora io vado.  Io non lo voglio vedere dopo quel che c’è stato.

ANNA:     Non ti sembra che sia ora di finirla?   Dobbiamo andare insieme in Municipio: Non varrai farti compatire?

PSEN.     Io; meno lo vedo, meglio è.

ANNA:     Non appesantire l’atmosfera peggio di quanto è già. Stai qui.

PSEN:     E se scende io cosa faccio?

ANNA.     Cosa vuoi fare?

PSEN:     E se lui mi dice qualche cosa; io cosa rispondo?

ANNA:     Stai sicuro che non ti dirà niente. Lui sarà impacciato come te.

PSEN:     Io non voglio litigare in casa sua.

ANNA:     Vedrai che non litigherete!

SCENA SETTIMA: Anna, Psen, Tac.

(In questa scena i due uomini saranno molto imbarazzati. Le loro domande e le loro risposte avranno il solo scopo di evitare il silenzio impacciante. Rimanendo in piedi distanti fra di loro. Non si guarderanno)

TAC:      (entra mentre si sta sistemando la cravatta. Vedendo Psen, si irrigidisce) Sei qui Anna.  Non sei ancora pronta? Gina è su che si sta preparando.

Anna:     No, sono già vestita. Ho indossata la vestaglia per finire di preparare.

TAC:      La Maria è già pronta?

ANNA:     La Maria, sì.  Enrico sarà qui ad attimi.

TAC:      E’ tutto pronto?

ANNA:     Sì. Di là la tavola è già pronta.

TAC:      Non potevate preparare qui?

ANNA:     Lo sai che in questi casi lo si deve fare in casa della sposa.

PAEN:     ( con il gesto: non sa proprio niente)

TAC:      Piuttosto… per il vino? Sarà meglio che lo vada a prendere in cantina.

PSEN:     Per il vino ci ho già pensato io.

TAC:      Ci staremo tutti?

ANNA:     Speriamo. Io ho messo il servizio più grande che ho.

TAC:      E per le sedie?

ANNA:     Be’, qualcuno starà in piedi.

PSEN:     Cesare Frigeri mi ha detto che se c’è bisogno, lui +è a disposizione.

TAC:      Anna: chiedi a tuo marito se ha invitato Popoli.

PSEN:     i Popoli non possono venire perché sono andati a correre con i cavalli. Azzoni è stato invitato?

TAC:      Azzoni è di turno in fabbrica e non può venire.  Verrà a nozze. Verrà Giano.

PSEN:     No. Giano è andato a far le corse in barca.

ANNA:     beh! Ma corrono tutti?

TAC:      Buton, viene.

Anna:     sì, Lui ha detto che viene.

PSEN:     Corradi?

ANNA:     No. Lavora anche lui.

TAC:      Athos?

ANNA.     Ho visto che andava in macello con un bel cavallone, e prima di mezzogiorno non si sbriga.

PSEN:     Ma lavora tutta questa gente?

ANNA:     la gente ha i propri impegni. Non è festa per tutti oggi.

TAC:      Vorrà dire che faremo una bella bicchierata all’osteria! Daremo l’addio al celibato.

ANNA:     Sentite uomini! Guardate che chi si sposa sono i vostri figli.

PSEN:     E’ come se ci sposassimo noi.

TAC:      Sì dovrà andare all’osteria insieme…per non far ridere. (rivolto a Psen) Voi cosa dite Cerati?

PSEN:     Se c’è da fare così… Cerati… faremo così: Il conto si divide in due.

ANNA:     Sì, se è per questo, ne dovrete dividere dei conti…

TAC

    ( insieme)

PSEN:     Io non tremo!… Io!

ANNA:     Perché non andate di là a bere un bicchierino intanto che aspettiamo i nostri ragazzi?

TAC:      A me, al mattino, il vino bianco da il languore.

PSEN:     E io non ho sete! Io!

SCENA OTTOVA: detti,Enrico, poi Gina e poi Maria.

ENRICO:   (entra ben vestito e smanioso) Allora? Andiamo? ( si guarda intorno e si raffredda)  Ma che facce!

ANNA:     C’è un’allegria qui dentro che è tutto un programma.

ENRICO:   Almeno, oggi, potreste essere un po’ contenti. Almeno: fate finta.

Anna:     E’ ciò che dico anch’io.

ENRICO:   Sono contento perché sono andato a dare un’occhiata in negozio… anzi. Ho venduto un paio di stivali al famiglio di (……………..) (indicare un paese vicino) Ah, certo che questa sera gli vado a dare un’altra occhiata.

ANNA:     ( ad Enrico)Ti piace proprio il tuo negozio?...

ENRICO:   Certo che mi piace. Ora poi che l’ho messo a posto come m’intendevo… dovreste vedere come è bello.

( Entra Gina, ben vestita e con un capellino appariscente)

 GINA:    Ecco: ora son o pronta anch’io.

PSEN:     (spiritoso con l’idea di rompere il ghiaccio) Di’? Gina? Sai che mi sembri una bella sposa?

TAC:      ( fra sé) Fa anche lo spiritoso, quello sciocchino.

GINA:     Eh, prendimi in giro… Il capellino me l’ha prestato la Mina. Però non sono  sicura di portarlo… mi sembra di aver in testa in nido.  Mi sembra di esser sotto un pergolato.

ANNA:     Cosa dici? Ma se stai così bene! Invece io ne ho provato uno dalla modista; ma mi pareva di avere in tasta un porta torta a strati. Ah, io non sono capace di portare il cappello.

ENRICO:   (euforico) Va là che abbiamo delle belle donne in casa. Ce ne sarebbero qui a( ……………..)che farebbero la firma per essere belli come noi.

GINA:     (sconsolata) Sì, e andare d’accordo così.

ANNA:     Taci… vè’.

( entra Maria ben vestita e felice)

 MARIA:   Sono qui.

ENRICO:   (innamorato) Sei bella come il sole! (cerca di abbracciarla)

MARIA:    Non toccarmi che mi stropicci.

ANNA:     (avvicinandosi alla figlia) Fammi vedere? Girati. ( a Gina)  Tu, Gina, cosa dici?

GINA:     Sembra un figurino.

ANNA:     ( ad Enrico) Allora… sei contento Enrico?

ENRICO:   ( soddisfatto) Molto!

GINA:     ( a Maria) E tu Maria?

MARIA:    Non riesco nemmeno a stare nella pelle.

ANNA:     (rivolta ai due Giovanni) A voi si fa a meno di chiederlo. Si capisce dalle vostre facce che siete contenti.

PSEN:     Eh, io so di avere una bella figlia.

TAC:      E io un bel ragazzo.

MARIA:    Fatemi una grazia. Oggi fate una specie di armistizio, Fatelo per noi.

GINA:     Sarebbe ora.

Anna:     E’ quel che dico anch’io.

MARIA:    Bene! Ora avviamoci.

ENRICO:   Ci manca lo zio Pidren.

GINA:     Aspetterà l’ultimo minuto prima di entrare.

SCENA OTTAVA:detti,poi Pidren con il funzionario.

PIDREN:   (da fuori) Venga dentro signor Deprofundis. Si accomodi.

FUNZ:     Defendi, Defendi, buon-uomo.

( entrano Pidren e Defendi. Il funzionario porta con sé una valigia)

PIDREN:   mah; io quel buon-uomo…

GINA:     Be’; ma chi è quello lì?

TAC:      Vien voglia di toccar ferro.

ANNA:     Be’? chi è quel beccamorto?

PSEN:     Vedrete chi è.

PIDREN:   Questo signore è il funzionario della banca di (……..) il cavalier…

FUNZ:     …Defendi.

PSEN:     (premuroso) Si accomodi.

TAC:      Venga a vanti… Si accomodi, si sieda.

FUNZ:     Accolgo il suo invito a sedermi perché sono veramente stanco. Vengo a piedi fino dalla stazione. ( si accomoda al di là e al centro del tavolo)

(Mentre il funzionario si siede e mette al lato  in terra la valigia, Tac e Gina si dispongono al lato sinistro del tavolo. Pidren e la moglie sul lato destro. I due mariti si siedono e dietro a loro, in piedi, le mogli. I due fidanzati in disparte. Pidren al deschetto)

PIDREN:   Se mi avesse avvertito sarei venuto a prenderla in bicicletta; l’avrei portato sulla canna.

FUNZ:     per poter giungere in mattinata son dovuto partire molto presto. ( si guarda intorno) Vedo che ci sono molte persone che io non conosco.

PIDREN:   Eravamo sul punto di andare in Comune per fare le promesse. ( indica i due giovani)

FUNZ:     Scusate: non ho afferrato. Ah. Immagino che siano quei due bei giovani.

PSEN:     (asciutto)Sì. Mio figlio con (  con disprezzo) il figlio di quello lì.

FUNZ:     Bene, bene. Ecco perché c’è aria di festa. Vedo… vedo.

ANNA:     Veramente c’è apparecchiato di là.

FUNZ:     Come dicevo, sono partito molto presto.  Non ho ancora fotto colazione proprio per portarvi al più presto le notizie della zia del signor Giovanni Cerati. ( con lo sguardo indica Psen)

GINA:     (incerta) Possiamo offrirle, cioè, possiamo darvi qualche cosa? Dato che non avete ancora mangiato niente?

TAC:      ( fra sé, impaziente) Siamo qui sulle spine… e lei va ad offrirgli da mangiare e far perder tempo.

FUNZ:     Non vorrei disturbare… ma magari…un biscottino… tanto per gradire.

ANNA:     (premurosa) Glielo vado a prender io. ( esce)

ENRICO:   ( a Maria, intollerante)Guarda quello lì?... Noi abbiamo fretta… e lui non fa una piega. Tua madre oltretutto gli va a prendere anche un biscottino.

TAC:      (rivolto a Gina, sempre inquieto) Non ha mica tanta fretta.  Noi siamo qui che stiamo sulle spine per sapere chi cerca… Sono settimane e settimane che non dormo…e lui è lì bel pacifico…

GINA:     Se hai fretta, chiediglielo.

TAC:      Sì, ah glielo domando… Prima di tutto non sa chi sono io, e poi: non voglio dar soddisfazione al pescatore.

PSEN:     ( si raschia la voce perché non sa cosa dire)

ENRICO:   ( a Maria) Dici che quella è la valigia dei soldi?... dei dollari?

MARIA:    (impaziente) Soldi o non soldi, basta che si sbrighi.

ENRICO:   Allora noi andiamo?

MARIA:    Perdinci, senza i nostri! Puoi immaginare se loro vogliono venire prima di sapere a chi andranno i soldi.

ENRICO:   dai Maria, li aspettiamo di là. ( fa capire che andranno ad amoreggiare) (escono)

ANNA:     (entra con un vassoio colmo di paste, e le pone davanti al funzionario)Prenda ciò che vuole.

FUNZ:     Grazie, signora. Molto gentile. Non doveva disturbarsi tanto. Ne prendo una giusto per gradire.

PSEN:     (anche lui impaziente, alla moglie)  Ti ha chiesto un biscottino e tu gliene porti un cesto.

ANNA:     Non faremo la figura dei taccagni.

( il funzionario si mette comodo a mangiare più paste che può e soprattutto senza fretta. Tutti gli altri vedono quante ne mangia con il gesto deglutendo sembra che lo vogliano aiutare perché non si ingozzi.)

TAC:      ( a Pidren)Non hai detto che è un funzionario di banca?

PIDREN:   Infatti. E’ il funzionario della banca Italiana di (………)

TAC:      Da come mangia mi sembra un facchino.

PIDREN:   Non sarebbe meglio dargli un qualche colpetto sulla schiena?

ANNA:     (al funzionario, preoccupata per la sua salute)Andiamo bene?

FUNZ:     ( a bocca piena)Oh, sì, sì, Sono un po’ sgarbato se chiedo un goccio d’acqua?

ANNA:     Ma per l’amor d’iddio… Anzi. Mi scusi se non le ho servito un bicchiere di vino.

FUNZ:     No, no, grazie. Solo un goccio d’acqua. Il vino al mattino non vorrei che mi facesse male.

TAC:      ( a sua moglie)Sarà difficile con quello che ha divorato…

GINA:     Vado a prenderglielo subito.

(Gina prende dal secchio un mestolo d’acqua e sta per versarlo in un bicchiere. Il funzionario che con la coda dell’occhio  ha visto, rimane schifato, perciò)

FUNZ:     Forse; giusto per gradire, e per non sembrare scorretto… preferirei un goccio di vino… ma proprio un goccio.

(Gina va a prendere la bottiglia del vino e lo mesce in un bicchiere, il quale deve essere di vetro spesso in modo che sembri contenga tanto vino)

GINA:     Oddio! E’ rosso!

( il funzionario deve berlo tutto di un fiato. Mentre beve passa in rassegna il viso di tutti. Gli altri con il gesto lo aiutano a bere e quando finisce come dopo uno sforzo)

TUTTI:    Lìì!

FUNZ:     ( come finisce di bere) Bene signori! Veniamo alle nostre cose. ( intanto prende la valigia, la mette sul tavolo e toglie da essa il foglio)

FUNZ:     (rivolto a Pidren)Veramente ciò che debbo dire è di carattere un po’ riservato.

PIDREN:   Stiamo diventando tutti parenti… se per lei è la stessa cosa?

( il funzionario con il gesto acconsente)

FUNZ:     Vi sarete chiesto, perché mai, ho ritardato così tanto a portare notizie…. Ma dall’America non arrivavano mai.

( i coniugi si abbracciano in apprensione)

ANNA:     ( al marito)  Vedrai che non è vero niente.

FUNZ:     Sono per darvi una cattiva notizia.

PSEN:     Dite. Siamo pronti.

FUNZ:     … Una triste notizia.

TAC:      (nervoso) Prenda il coraggio per il collo e si sbrighi!

FUNZ:     Il ritardo mio, è dovuto al fatto che… purtroppo… la signora Susy Cerati vedova Mac Donald, improvvisamente, per l’avanzata età … (pausa)… è venuta  a mancare ilk primo del corrente mese.

( Tutti si disperano. L’idea è: chi più piange più ha diritto all’eredità)

PSEN:     oddio che disgrazia!

ANNA:     Fatti coraggio Giovanni!

TAC:      Lei che era una santa!

GINA:     Sempre i migliori muoiono!

PSEN:     Era così buona!... guai per noi! Per me, poi, aveva un’adorazione.

TAC:      le volevamo bene tutti per il bene che faceva!

PIDREN:   La chiamavano Santa Susanna!

ANNA:     Poverina, non era nemmeno vecchia.

FUNZ:     98 anni compiuti.

TAC:      Come si è sacrificata per tirar su i suoi genitori Non si è mai risparmiata.

PSEN:     Tutto! Ma una disgrazia così, non doveva succedere!

( Pidren si alza e chiama a raccolta ed in disparte tutti)

PIDREN:   Ascoltatemi gente: prima di soffrire tutti non sarebbe meglio di sapere di chi è la zia? Almeno piangerà solamente uno.

TUTTI:    hai ragione!

( tutti ritornano al loro posto)

FUNZ:     Partecipo al grave lutto.

(il funzionario si alza per le condoglianze, dà la mano a Psen e a sua moglie, poi si rivolge a Tac. Tac, prende il braccio della moglie e l’allunga al funzionario perché le stringa la mano, poi egli stesso allunga la sua)

FUNZ:     La signora Susy Cerati sposata in seconde nozze con mister Stiven Mac Donald di origine scozzese…

PSEN:     (soddisfatto, verso la moglie)Allora vi sono delle palanche di sicuro.

FUNZ:     … Prima di morire ha pensato  di lasciare un testamento.

TAC:      (teso, speranzoso) Ora lo sapremo!

FUNZ:     Allegato al suddetto testamento ha lasciato anche una lettera…. La quale evidentemente,è un po’, la risposta a quella che voi, ( rivolto Psen) Signor Cerati, le avete spedito tramite nostro.

Leggo: Al mio unico nipote ed erede universale Giovanni Cerati, nipote di…

( pausa lunga. Titti tengono il respiro)

…ASDUBALE CERATI.

TAC:      (esplode) E’ mia zia!!!

( scoramento dei coniugi Psen)

PSEN:     (abbattuto, alla moglie)E’ sua zia.

GINA:     taci Giovanni! Lascia che continui!

FUNZ:     La tua lettera caro nipote, mi ha arrecato una grande gioia. Ho letto fra le righe con quanta serenità conduci con la tua famiglia. Il denaro per te, evidentemente, non ha nessun valore di fronte la felicità che godi con i tuoi cari.

Ho notato, e ciò mi riempie di gioia, quanto amore mi porti anche se non mi hai mai conosciuta. Mio marito mi ha lasciato molte ricchezze.

TAC:      (felice) Andiam bene! ( intende appoggiare il gomito sul tavolo, ma prende male le misure e sta per cadere)

FUNZ:     Poiché,come giustamente dici, il danaro non da la felicità, ma, purtroppo, molte volte porta la discordia e l’oddio nelle famiglie, ho raccolto tutte le mie fortune in una unica fondazione: “la Fondazione Mac Donald” a favore dei diseredati.

( Tac guarda in faccia la moglie perché non capisce)   

FUNZ:     A te, perché tu possa conoscere e ricordare ogni volta che vorrai la cara zia Susy, lascio in mio ricordo e per unica eredità…

( suspense: Il funzionario toglie dalla valigia e mentre parla da a Tac una grande fotografia della zia Susy )

FUNZ:     … Il mio ritratto! Che ti giungerà con questo mio scritto.

Ti benedico nipote mio: Ta zia Susy.

( Psen comincerà a ridere in sordina e continuerà aumentando sempre fino all’ultima sua battuta, che sarà una esplosione)

PSEN:     Questa è bella. Questo è un bello scherzo da prete.!

TAC:      ( si foga) E questo qui, con quella faccia da menagramo che si trova… viene qui…divora un cesto di paste… Noi aspettiamo che finisca …  gli diamo da bere perché non si ingozzi… E poi lui, bel pacifico… con una faccia di bronzo… pendiamo dalle sue labbra perché speriamo che ci dia belle notizie… E poi, ti da un quadro e ti dice:” To’ Prendi! Questo è tutto ciò che ti viene.” ( scoppia)

Dio ti maledica!!!

( si alza e si avventa sul funzionario. Al che egli  spaventato si alza e si difende con il braccio)

GINA:     Trattieniti Giovanni! Sta calmo, sta calmo! Non facciamo compatire!

FUNZ:     Noto il vostro disappunto.

TAC:      Lo chiama disappunto. Ma chi è che l’ha mandato questo?

FUNZ:     (cerca di andarsene al più presto)Ora, mio malgrado,debbo lasciarvi perché il mio treno sta per partire. Ho giusto il tempo per raggiungere la stazione. ( sta per fuggire)

PIDREN:   Vada, vada, prima di perderlo.

TAC:      … Che non ci sia da dargli anche il pranzo!

( il funzionario esce )

ANNA:     (rivolta al marito) E tu cos’hai da ridere? Ti sembra il momento adatto?

PSEN:     E’ che…

TAC:      ( a Anna)Che cos’ha tuo marito da ridere?

PSEN:     E’ che…

TAC:      Con ciò che è successo ti sembra che ci sia tanto da ridere?

PSEN:     “ Non dirgli che sei povero”

GINA:     ( a Tac)” Se no, non ti manderà niente”

TAC:      Be’. Sta diventando matto tuo marito?

PSEN:     “ Digli che sei un signore… che non hai bisogno di soldi…”

GINA:     “… Perché è più facile che un ricco lasci i soldi ad un altro ricco…”

TAC:      ( a tutti) Be’, cosa dice?

PSEN:     “… Digli che ti interessa di avere una zia…”

ANNA:     ( al marito) Smettila Giovanna di ridere, prima che tu stia male!

PSEN:     Sì, sì, sto male dal ridere! “… Dille che le vuoi bene… che è l’unica cosa che ti interessa!...”

TAC:      E con questo?

PSEN:     TI HA ACCONTENTATO!!!!!

( i due amici che finalmente hanno capito quanto siano stati sciocchi a litigare, mentre Tac Butta via la fotografia, si abbracciano felici!)

SIPARIO

Fine della commedia