La zona tranquilla

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EMILIO CAGLIERI

EMILIO CAGLIERI

LA ZONA TRANQUILLA

Tre atti in vernacolo fiorentino

PERSONAGGI

VINCENDO CALANDRI

FANNY

ERNESTINA

MANON

GIORGIO PACISCOPI

LILIANA

MECATTI

BIANCALANI

VIRGINIA

Il primo atto a Firenze, il secondo e terzo a Greve.

Agosto - settembre 1944

PRIMO ATTO

Salotto pacchianamente elegante in una "casa chiusa". Porte a sinistra e in fondo. Tendaggi dai colori vivaci. Divano, poltrone, tavolo. Lampadario al centro del soffitto.

Notte. Le lampade sono spente, arde invece una candela fissata su di un piattino al tavolo.

MANON. (In vestaglia, distesa sul divano, sta fumando. È giovane e belloccia)

Qualche scarica di mitra e scoppi di bombe a mano, fuori, a notevole distanza.

FANNY. (Anziana, capelli tendenti al rosso, anch'essa in vestaglia, entra dal fondo recando un'altra candela accesa e facendosi vento con un giornale). Qui se un si crepa pe' le bombe, si crepa pe' i' caldo. Te fuma dimolto, sai? Poi si rimane anche senza sigarette e così gli è bell'e cotto i' cavolo e spento i' foco.

MANON. Ma icché la vòle? E' lo fo pe' persuadermi d'unn'esser bell'e morta. Fra questo silenzio e qui' moccolino acceso… e' mi par d'essere all'asilo mortuario.

FANNY. (Che si è seduta). Chiamalo silenzio. Ogni tanto si sente certi stonfi!

MANON. Sì, ma lontano.

FANNY. Io, a sentilli più vicino un ci tengo propio punto. (Alludendo alla candela). Questa sarà meglio spengila.

MANON. No, sora Fanny, la la lasci. Un ci si vede nemmeno a bestemmiare!

FANNY. Ma se questa storia deve durare ancora un pezzo, icché s'inventa?

MANON. Ce n'è ancora tante delle candele. O un ce ne portò tre pacchi l'avvocato?

FANNY. Va bene, ma fra quelle che si consuma qui e quelle che le consumano quell'altre in cantina…

MANON. Icché le ci faccian laggiù quelle stupide?

FANNY. D'altronde, se loro hanno paura…

MANON. Macché paura! Ormai s'è bell'e capito che gli alleati cannonate sulla città unne tirano. E' tedeschi sì! Ma siccome da questa parte ci sono ancora loro, le rivogan tutte di là d'Arno.

FANNY. Sicché un c'è nemmeno da augurarsi che quegli altri si decidano a venir di qua?

MANON. E' domando icché gli aspettano?! Invece di pensare a far la guerra, si devan esser messi a visitar Palazzo Pitti.

LILIANA. (Entra dal fondo, un po' brilla.è più vestita delle altre due). Ma icché vu fate qui come du' sperse? Venite giù anche voialtre!

FANNY. A fa' le grulle, io, sottoterra, ci anderò quando sarà l'ora. Non ci son mai andata in cantina, nemmeno quando c'era l'incursione.

MANON. Un v'è ancora venuto a noia di tener compagnia a' topi?

LILIANA. Un ti confondere, bambina. Meglio e' topi delle cannonate!

MANON. Ma 'n do' son le cannonate, 'n do'? t'un l'ha ancora capito che le vanno tutte verso i' Piazzale e più in là

LILIANA. Scusa eh? Mi scordavo che pe' tiranne una qui, e' devan chiedere i' permesso a te…

FANNY. Ma ocché vu' fate laggiù? Sempre a fittoni su' materassi?

LILIANA. Ihe! Si fa ma i' pocherre

FANNY. Ancora? V'avete propio  'ntenzione di rifinivvi?

LILIANA. Eh, qualcuna gioca già sulla parola. Alla "francese", la si figuri gli ho bell'e rasciugato u par di quindicine.

FANNY. Eppoi l'ha a venire a rammaricarsi perché la spende troppo pe' la pensione!

MANON. Ma tanto, ora, quando vien quest'altri, la si rimpannuccia…

FANNY. Ah già. Lei francese, loro americani… sono alleati. V'avete a guardar se vu' v'ammalate a star giù a quell'umido.

LILIANA. Gli è propio per questo che son salita, sora Fanny. E' ci vorrebbe qualcosina da sgrndare…

FANNY. Se t'un ti levi di torno!… (Alzandosi). Guardala bellina. Oh! Ha una scimmia che un la si regge ritta!

LILIANA. Un pochino di cumelle, sora Fanny…

FANNY. Neanche un gocciolo!

MANON. O la gnene dia. Sempre cognacche… e' gli è venuto a noia, poverina…

LILIANA. Te occupati de' fatti tua! (Minacciosa). Ha' capito?

FANNY. Vien quie! E discorri con me. Se vu' fate tanto d'aprire quelle bottiglie che c'è 'n cantina…

LILIANA. Già… ma che gli pare? Allor aun sarei venuta a chiedigli i' cumelle.

FANNY. Donna avvisata, bottiglia salvata. Intenditi bene anche con quell'altre.

LILIANA. Però, un gocciolino di cumelle…

FANNY. Levati da' piedi!

Si odono alcuni colpi di cannone.

LILIANA. Io, se fossi in lei, le vorrei stappà' tutte le bottiglie che c'è giù…

FANNY. Ma siccome t'un se' nemmeno in te, tu fa' a meno anche di guardalle.

LILIANA. Icché se ne fa, la scusi? Da un momento all'altro gli arriva un bombolone…

FANNY. Liliana, pe' i' mi' carattere t'ha bell'e chiacchierato anche troppo!

MANON. E falla finita, uggia! Fra i' caldo, le mosche, le zanzare e te!…

LILIANA. (Nuovamente minacciosa). O bambina, che vo' che ti rimetta in piega la permanente? Eppure tu lo sai che mi riesce!

FANNY. (Le da uno sculaccione). A lei, march! La pol'ire!

LILIANA. E' vo, sora Fanny. (A Manon). Te, però, un ti crede' di comandare!

FANNY. Che ne vo' un altro?

LILIANA. Se tu ti se' messa 'n testa d'esser qualcuno, tu sbagli! Io son sempre la Liliana! E paura un n'ho punta!

Colpo di cannone più vicino.

LILIANA. Uh! (Fugge dal fondo).

MANON. L'è una gran peste!

FANNY. Quando poi l'ha trincato un po'… Un vedo l'ora di levammela di torno!

MANON. A icché mi dovevo ritrovare! Ma che sarò stata poco babalea? E' potevo essere in America beata e tranquilla…

FANNY. L'è rinova!

MANON. O nòva o vecchia… quattr'anni fa mi fu offerto d'andare in America e basta! E io, grulla, un volli accettare.

FANNY. Ma icché tu ti confondi? Ora l'America l'è venuta qua…

MANON. Se seguitan di questo passo, ci mettan più loro a traversa' l'Arno d'icché un ci avrei messo io a traversa' l'oceano.

FANNY. Manon, t'un sai icché fo? Io vo propio a letto.

MANON. Beata lei che la può dormire.io un sapre' da che parte girammi. Le un sono ancora l'undici.

FANNY. Che vòi che stia a fare qui? A mori' di smania? E' piglio un par di pasticche di veronalle e mi sdraio. (Prende una candela e si avvia).

MANON. Pensare che a quest'ora si aveva sempre un'animazione, un'allegria…

Si ode improvvisamente, una scarica di mitra e l'esplosione di tre o quattro bombe a mano, il tutto assai vicino.

FANNY. (Lascia cadere la candela, impressionatissima). Ohi! Ohi!

MANON. (Si alza anche lei, impaurita).

FANNY. Altro che animazione e allegria!

VINCENZO. (Di dentro, a voce strozzata). Ma no! Ernestina… Ma in do' tu vai?

ERNESTINA. (Idem). Ah,senti… Io ho troppa paura…

FANNY. C'è gente nell'ingresso!

MANON. Eh ,sì.

VINCENZO. (d.d.). Ernestina, un mi fare ingrullire!

ERNESTINA. (d.d.). e' ci ammazzano, Cencio!

MANON. Ernestina? Cencio?

FANNY. (Senza osare di uscire dalla stanza). Chi è?

ERNESTINA. (Compare dalla porta di fondo. Veste assai bene, ma all'antica, da beghina. È disfatta dalla paura. Porta una valigetta).

VINCENZO. (Compare a sua volta. È vestito con eleganza ma ha la giacca in braccio e la camicia sbottonata al collo per il caldo. Porta anch'esso una valigia. È allarmatissimo. Tirando la moglie per un braccio). O vien via! Qui un ci si pòle stare! Vien via!

FANNY. Toh! Guarda chi gli è!

VINCENZO. (Le fa un cenno imperioso di non comprometterlo. Ma le parole di Fanny non sono state udite da Ernestina che lascia cadere la valigetta e si ripiega sulle gambe, svenuta). Ernestina… Ernestina…

MANON. Distendila qui su i' divano.

VINCENZO. (Portando la moglie, quasi di peso, fino al divano). Cosa mi va succedere!

FANNY. Aspetta, vo a pigliare i' cognacche

VINCENZO. No, basta un po' d'acqua.

FANNY. L'acqua, in questi momenti, gli è più cara di' cognacche. (Esce dal fondo).

VINCENZO. Ernestina… Sie! (A Manon). O', noi un ci siam mai conosciuti, eh?!

MANON. (Ridendo). Chi l'è, la tu' moglie? Avevo tanto bisogno di fa' du' risate!

FANNY. (Rientra con bottiglia e bicchierino). Ecco. Dagli un po' di questo e tu vedrai che la rinviene subito.

VINCENZO. Meno male che quando t'ha detto "guarda chi gli è" la s'è svenuta! Anche te, Fanny, mi raccomando: l'è la prima volta che tu mi vedi… (sta per far bere Ernestina ma si ferma). E non mi date di' tu, eh? E discorrete ammodino.

FANNY. Ch'ha bisogno daltro?

MANON. (Sempre ridendo). L'è la su' moglie… (a Vincenzo) e dagli da bere, disgraziata!

VINCENZO. Guai se la s'accorgesse d'esser qui

FANNY. Se la c'è, la se ne dovrà accorge' pe' forza. A meno che la un rimanga svenuta a "vitameterna"

VINCENZO. Tu unn'ha capito. Se la s'accorgesse che l'è in una casa…

FANNY. Che casa? Oggi un c'è che case ancora ritte e case per le terre.

VINCENZO. Un volevo mica offendere.

FANNY. E ho 'nteso, tira via!

MANON. T'un lo vedi che l'è più di là che di qua?

VINCENZO. (Accostando finalmente il bicchierino alla labbra della moglie). Ernestina… su Ernestina, gnamo… Ernestina, che ti senti meglio?

ERNESTINA. In dove siamo?

VINCENZO. Eh… siamo qui… da queste buone signore…

FANNY. La un faccia complimenti, se la vòle andare a buttassi a lettiera…

VINCENZO. A letto… No! Vero, Ernestina? A letto t'un ci vo' mica andare?

ERNESTINA. (Alzandosi a sedere). No, no, grazie.

MANON. La beva un altro gocciolino.

VINCENZO. (Porgendole il bicchierino). Gli è cognacche, ti fa bene.

ERNESTINA. No, Cencio. Tu lo sai, un ci sono abituata. Devilo te.

VINCENZO. La unn'è la stessa cosa, ma… tanto perché gli entri in famiglia… alla salute. (Beve)

ERNESTINA. (Alle donne). Gli ha avuto tanta paura anche lui!

VINCENZO. Paura? Io?

FANNY. La unn'è mica vergogna. In questi momenti, si sa, un po' di paura…

ERNESTINA. Ma poi… quel che gli è successo in dove si sta noi…

VINCENZO. Gli hanno fato la buccia a un tedesco.

FANNY. A uno solo?

ERNESTINA. Ma basta, un la dubiti.appena lo scopriranno, se lo immagina lei icché un saranno capaci di fare? Quelli che gli abitano nelle case vicine, son capaci d'ammazzalli tutti!

VINCENZO. Io, in ogni modo, un mi sare' mosso.

FANNY. Eh, tu… la sarebbe stato poco memme!

MANON. (Insinuante, divertendosi). O la un gli preme la su' pelle?

VINCENZO. La mi preme, ma… anche mettisi in cammino, a i' buio, co' i' coprifoco, senza sapere in do' si va…

ERNESTINA. Ma noi si sapeva, Cencio.o un te l'avevo detto che si sarebbe andati dalla signora Toccafondi? (Alle donne). L'è una mia amica che la sta ni' centro. Quella l'è una zona tranquilla.

FANNY. Accidenti! Ma prima d'eccisi… L'è la via dell'orto!

VINCENZO. E infatti, tutto a un tratto: (imitando l'altolà dei tedeschi) Sbricche-sbracche-sbrocche! (imitando i mitra) Prrr… (imitando le bombe). Bum! Putupum! Bum!

ERNESTINA. (Prossima a risentirsi male). Oh…

VINCENZO. E' l'ho fatto con la bocca… (Alle altre). S'è cercato d'infilare un uscio, ma gli eran tutti sprangati. Un c'è rimasto che seguitare a correre. La lingua la ci toccava ' ginocchi.

FANNY. Ma qui come v'avete fatto a entrare?

VINCENZO. Lei la tastava tutti gli usci, nella speranza che uno cedesse…

FANNY. E i' nostro… gli ha ceduto?

ERNESTINA. Il cielo ci ha assistito!

FANNY. (A Manon). Ma come? S'aveva l'uscio di fòri aperto?

MANON. Io un l'ho lasciato di sicuro. Un mi son mossa di qui.

FANNY. Quella scorfana della Bagonghi!

ERNESTINA. C'è un'altra'inquilina?

VINCENZO. Sì, a i' piano di sopra. (Alle due donne). Vero?

FANNY. A i' piano di sopra?

VINCENZO. La signora Bagonghi, la unne sta su? Almeno penso.

MANON. (Sempre divertendosi). Ora la sta giù perché l'è in cantina.

FANNY. Macché signora d'Egitto! O la unn'è la nostra serva?

VINCENZO. Ah, io un lo so mica. Come la vòl che faccia a saperlo?

ERNESTINA. Sentendola chiamare co' i' cognome…

FANNY. Ah, Bagonghi? L'è un po' nana, 'nteso? E allora… (A Manon). Quella s'è affacciata pe vedere icché succedeva fòri, l'ha sentito qualche sparo e l'è riscappata 'n cantina senza curarsi di richiudere.

ERNESTINA. Certo, se l'ha sentito tutti quei colpi che ci hanno tirato a noi! Ah, quando ci ripenso…

VINCENZO. Icché tu ci ripensi a fare? Piuttosto, giacché gli è tutto calmato, che s'ha a provare a rimettersi in marcia?

ERNESTINA. Eh?

FANNY. Ma icché gli piglia? Che vòl propio andà' da "Boscarino"?

MANON. Meglio di qui, 'n do' la vòle stare?

ERNESTINA. Giacché le signore le son tanto bòne… che credi che un mi dispiaccia anche a me di dar tutto questo disturbo?

FANNY. Macché disturbo!…

MANON. S'era qui che si moriva di noia…

ERNESTINA. Che son sole? Le unn'hanno omini?

FANNY. Gli è tanto! (Si siede e si sventola).

VINCENZO. Si son nascosti! Scommetto che si son nascosti. (alla moglie). Tu capirai, li portan via…

ERNESTINA. E te, tu ti vorresti rimettere in cammino!

VINCENZO. Da' retta, Ernestina. Ma a farmici mettere tu se' stata propio te.

ERNESTINA. Sì, Cencino, t'ha ragione. Ma perché là un si poteva rimanere. E poi, dico la verità, un pensavo davvero che ci potesse succedere icché c'è successo. Ma ora che si sa che razza di pericolo c'è a andar fòri…

VINCENZO. Sì ma mi sento poco tranquillo anche a restar qui.

MANON. O che ci sta tanto male?

VINCENZO. E' sto sulle spine. Da un momento all'altro si scopre ogni cosa…

ERNESTINA. Come? Tu pensi che possano averci visto entrare? Che vengano a cercarci? (Nuovo gemito). Oh…

VINCENZO.ma no! Un vien nessuno, un vien nessuno. Ho detto così per dire.

ERNESTINA. Pensare che noi ci s'ha una villetta sopra a Greve e s'è preferito rimanere quaggiù.

VINCENZO. Con la storia che Firenze doveva esere città aperta…

FANNY. Se seguita a piove' cannonate… più aperta di così! Gli sfondan tutti i tetti!

MANON. (A Vincenzo). Lei dunque, fa il possidente?

ERNESTINA. Ma fa anche l'assicuratore.

VINCENZO. Un mestiere propio adatto per questi tempi…

FANNY. A proposito d'assicurazione: ma l'uscio s'è assicurato d'averlo chiuso bene?

VINCENZO. Dico la verità: un me ne ricordo. Te, che l'hai chiuso, Ernestina? Ma già… l'è entrata prima di me… No, no, un l'ho chiuso nemmen io. Unn'è possibile, perché da questa mano avevo la valigia…

ERNESTINA. E con quell'altra tu tiravi indietro me, perché tu un la volevi che entrassi.

MANON. Cattivo! L'avrebbe preferito lasciarla fòri a i' pericolo?

VINCENZO. (Un po' seccato). Icché c'entra? Quando mai gli è usato infilarsi di notte, specie in questi momenti, in una casa che un si conosce?!

MANON. Ahhh… gli era pe' questo? Perché lei, questa casa, la un la conosceva…

FANNY. Manon, vai a chiudere l'uscio, vai.

VINCENZO. Ci vo' io.

FANNY. No, la ci va la Manon.

ERNESTINA. Che bel nome "Manon"! E lei, signora, come la si chiama?

FANNY. Io? Fanny.

ERNESTINA. Ah! Bello anche i' suo.

FANNY. Sì, mi contento.

ERNESTINA. Cencio, un ci siamo nemmeno presentati.

VINCENZO. Già… ma ora è meglio andare a chiudere.

FANNY. La pigli la candela.

VINCENZO. Grazie. Ci ho la macchinetta. (S'incammina).

ERNESTINA. Ci si chiama Calandri, Vincenzo e Ernestina Calandri. Lei, che ci ha questa figliola soltanto, oppure

FANNY. Figliola?!

VINCENZO. (Preoccupato si ferma)

MANON. L'è la mi' zia…

ERNESTINA. Ah, la zia?

VINCENZO. (Fa di nuovo per incamminarsi)

FANNY. E giù c'è quell'altre nipoti

VINCENZO. (Si arresta di nuovo)

ERNESTINA. Giù? Ah, in cantina… insieme a… come l'ha detto che la si chiama?

FANNY. Ah, la Bagonghi. Gli è piaciuto, eh, qui' nome?

ERNESTINA. Gli è un po' curioso.

FANNY. Mai come quella che la lo porta. La un vede? La va a bracare all'uscio e poi si scorda di richiudello.

MANON. (Che ved3 benissimo Vincenzo). A proposito: ma… i' su' marito?

VINCENZO. (Scompare in fretta).

ERNESTINA. Oh Dio! Un gli sarà mica successo qualcosa? (Forte colpo di porta sbattuta).

ERNESTINA. (Cacia un urlo e per poco non sviene di nuov). Uh!

FANNY. Unn'è nulla, signora.

MANON. Gli è stato l'uscio.

FANNY. (Fra sé). Garbino morì!

VINCENZO. (Rientra).

ERNESTINA. Cencio…

VINCENZO. Eh, icché c'è? Che ti senti male un'altra volta?

ERNESTINA. Qui' colpo… m'ha fatto un'impressione!…

FANNY. La dia reta a me, signora. La vada a letto.

ERNESTINA. No… troppo disturbo.

FANNY. Macché disturbare! Ci ho un buggerio di camere che le un fanno nulla

VINCENZO. (Schiarendosi la voce per nascondere quelle parole). Se tu vòi andare… Ma cerca di piglia' sonno subito, eh? Tu fa' una bella dormita fino a giorno…

VINCENZO. (Alzandosi a fatica). E te, t'un vieni?

VINCENZO. Diamine. T'accompagno. Poi, magari, torno qui a fumare una sigaretta.

FANNY. (Vhe ha preso la candela). C'è da fa' poca strada, sa? Gli do questa camera qui. (Si avvia verso sinistra).

ERNESTINA. Grazie. Bònanotte, signorina Manon.

MANON. Signora, bònanotte. La su' valigia? (Si alza e la prende).

VINCENZO. Ah, giusto! Porterò di là anche la mia. (Le prende tutte e due)

FANNY. In camera, in camera! (Via con Ernestina e Vincenzo)

MANON. (Fra sé). Che numero! (Prende dal cassetto del tavolo na candela e un mazzo di carte. Accende la candela e anche una sigaretta, si siede e si mette a fare un solitario)

FANNY. (Rientrando). O che ha' acceso un'altra candela? E un'altra sigaretta! Te, finché t'un m'ha dato fondo a ogni cosa, t'un se' contenta.

MANON. Icché la si confonde, sora Fanny? Ora che ci s'ha l'amicizia della sora Ernestina, un si trema più. Di qualunque cosa s'abbi bisogno…

FANNY. Speriamo che domattina taglin la corda, perché se gli avessero 'ntenzione do trattenersi… A meno che i' mangiare un se lo sian portato in valigia…

MANON. A lei gli manca sempre i' terreno sotto i piedi.

FANNY. Sì e a te i' sale nella zucca!

MANON. L'abbia pazienza: a provviste si sta ancora benino…

FANNY. E batti! Ma che si sa per quanto tempo le devan durare? Siamo sette, dàgli ora altri du' frati e tu vedrai se in tre o quattro giorni unn'è bell'e cotto i' cavolo e spento i' fòco.

VINCENZO. (Entra da sinistra). O via! Speriamo la s'addormenti… (A Manon). Te, se t'unne smetti di divertitti alle mi' spalle… te  lo do io i' solitario! (Le stringe il collo).

MANON. E sai, lo sto facendo propio per te. Voglio vedere se tu ha' 'ntenzione di portar qui anche i tu' ragazzi.

VINCENZO. Un ce l'ho, se Dio vòle! E un dubitate che, appena fa giorno, si va via anche a costo d'esse' messi a i' muro.

FANNY. Oh, per noi un fa' complimenti…in do' si mangia in sette, si po' mangiare in nove…

VINCENZO. Ma chi pensa a i' mangiare? Per quello ci s'ha qualcosa anche noi in valigia.

FANNY. E allora?

VINCENZO. Ma v'un capite che se quella là la fa tanto di capire in dove l'è, la mi rimane stecchita!

FANNY. Oh, poi poi! Un siamo mica serpenti velenosi.

MANON. Te, che se' mai stato avvelenato? Eppure tu ci se' venuto spesso.

VINCENZO. Vocia, sai? Fatti sentire! (Offre e prende una sigaretta). T'unn'ha' capito, Fanny. L'Ernestina l'è una donna dimorto semplice, nata e cresciuta in campagna, tutta casa e chiesa. Per di più la unn'ha di molta salute, specie ora, con le scosse che sìè avuto e che si continua a avere. Se dovesse succedere… A proposito, speriamo che tutti quegli specchi che c'è di là un gli dian nell'occhio.

FANNY. Stai a vedere che un si sarà padrone d'aver tutti gli specchi che ci pare!

VINCENZO. Sì ma… la ce n'è un po' troppini. Anche ni' soffitto! A bòn conto gli ho spento la candela.

MANON. Io poi un capisco perché tu te la pigli tanto. Che se' stato te a portalla qui?

VINCENZO. Ma un vòl dire, anzi… Se dovesse succedere che la capisse, la un potrebbe nemmen rifassela con me. La si convincerebbe che l'è stata propio lei a dannassi, che una vergogna simile un si cancella. In quanto? In tre giorni l'è bell'e spacciata. Gli è per questo che mi preoccupo.

FANNY. Veramente m'era parso che più di tutto t'interessasse d'un fargli capire che siam vecchi amici.

VINCENZO. L'è la stessa cosa. Amici… amici come? Perché di queste signore un gnen'ho mai parlato? (A Manon che ride), c'è propio da ridere! Maledetta la guerra e chi l'ha inventata! A icché ci si doveva ritrovare! I nostri be' ponti saltati in aria, spari da tutte le parti…

FANNY. (Cercando di imitare Mussolini e la folla). "Volete la vita comoda?" "Noo!" O piglia!

MANON. Tu ci hai una fattoria ni' Chianti ma… buci, eh?

VINCENZO. Fattoria… Una villuccia co' una diecina di poderucci.

FANNY. Però, un fiasco di quello bòno, tu un ce l'ha' mai portato.

VINCENZO. E' ve lo porterò, ve lo porterò. Cioè ve lo manderò, perché dopo stasera…

FANNY. T'un ti fai più vedere? Bravo! Bella gratitudine!

VINCENZO. Ma icché tu vòi? Quando quella làm'ha infilato i' vostr'uscio, la testa m'ha fatto un di que' mulinelli! Ma che vi sembra un affare di nulla? Avre' potuto pensare di venir qui in compagnia di chiunque, ma che ci dovessi venire 'nsieme alla mi' moglie…

FANNY. Finché c'è lingua in bocca…

MANON. Sicché tu fai l'assicuratore? E icché t'assicuri? Alla tu' moglie d'un gli fa' mai le corna,,, e poi?

VINCENZO. T'ha propio una gran voglia di pigliammi in giro?!

FANNY. L'ha i' ruzzo stasera. Certe volte, quando l'è di servizio e la lo dovrebbe avere, l'ha un muso lungo così!

MANON. Dimmi un'altra cosina. Ma un di' bugie, eh? I' tuo ch'è stato un matrimonio d'amore o… di Chianti?

VINCENZO. Ma tu se' sfacciata a bòno, sai?

FANNY. Icché t'importa di certe cose? Quello che conta è che la fattoria ce l'abbia e che ci mandi la damigiana di vino che ci ha promesso.

VINCENZO. Che damigiana, che damigiana? S'è detto un fiasco.

ERNESTINA. (Entra da sinistra)

VINCENZO. Ernestina… o che sti sei bell'e alzata?

ERNESTINA. Un mi sento di dormire.

VINCENZO.ma un'importa. T'ha bisogno di riposo. Vai, vai.

ERNESTINA. No, Cencio. Sto meglio. Preferisco restar qui. (Si siede)

VINCENZO. Ma le signore le vogliono andare a letto… le un pèossan mica star su tutta la notte a tenerci compagnia.

MANON.per me, unn'ho sonno davvero. Lei, sora Fanny, se la vòle andare…

ERNESTINA. Come? La un la chiama zia?

VINCENZO. Sì! Ma sai, per cambiare… La me lo stava dicendo proprio ora la sora Fanny. Sempre zia, sempre zia, gli viene a noia. Vero, sora Fanny?

FANNY. E poi, ora che lei l'ha 'ha detto che i' mi' nome gli è bello, mi fa piacere di sentimmelo ronzare…

ERNESTINA. Simpatica! Che è sempre allegra così, lei?

MANON. Noi siamo tutte "allegre". A i' meno dicano…

ERNESTINA. Lei, immagino, la sarà fidanzata^

MANON. Sì, sì, spesso.

ERNESTINA. Spesso?

VINCENZO. (Che suda freddo). La vòl dire che l'ha avuto tante richieste. La me lo stava dicendo giusto ora.

ERNESTINA. Però, ancora nulla di serio?

VINCENZO. E' giovanotti d'oggi, si sa, sono un po' volubili…

ERNESTINA. Eh, purtroppo! Ma la un si preoccupi. L'è ancora tanto giovane e carina. L'occasioni le un gli mancheranno di sicuro.

MANON. Spero bene! Passerà anche i' periodo dell'emergenza.

VINCENZO. Ovvia! Che s'ha a andare a letto?

MANON. Se la signora la preferisce star qui? Eppure la gliel'ha anche detto.

ERNESTINA. È vero che ci hanno dato una così bella camera! (A Fanny). Sa che ho avuto paura?

FANNY. C'era i' gatto?

ERNESTINA.no, no. Entrando unn'avevo fatto caso a tutti quegli specchi. Popi, Cencio, l'ha spento subito la candela pe' economia. Ma, dopo un poco, ho avuto bisogno di riaccendila e… mi son trovata d'intorno tante donne: davanti, di fianco,di dietro,persino di sopra. Confesso la mi' ignoranza ma gli specchi ni' soffitto un gli avevo mai visti.

VINCENZO. La unn'è una camera! Cioè: l'è ora in questi giorni. Ma a cose normali l'è la… la sala di prova. Me lo stavan dicendo giusto ora…

ERNESTINA. Ah, le ci hanno un lavoratorio?

MANON. Sartoria da òmo!

ERNESTINA. Da òmo?

FANNY. Ma che dà retta a quella grullerella?

VINCENZO. Sartoria per signora. Ma siccome chi paga, in generale, gli è l'òmo… (A Manon). Unn'è così che l'ha voluto dire?

ERNESTINA. Che ci hanno di molte lavoranti?

FANNY. Uhm… mica tante.

ERNESTINA. Certo, gli è forse meglio poche e brave.

FANNY. Ecco, l'ha bell'e capito!

ERNESTINA. E… della su' clientela che è contenta? Dice che oggi un vòl pagare nessuno.

FANNY. Ma qui pagano, la un dubiti.

ERNESTINA. Io un gli prometto di diventa' su' cliente…

VINCENZO. (Fra sé). Spero bene!

ERNESTINA. Come la vede, di moda ne fo poca. Però qualche mi' amica gliela mando.

VINCENZO. Ernestina, lo sai che ore sono? L'undici e un quarto. A cose normali, tu sta' dormendo da du' ore.

ERNESTINA. A cose normali, Cencio. Speriamo di tornarci presto.

LILIANA. (Entra dal fondo più brilla di prima). Sora Fanny… (Vede Vincenzo). Toh, chi si vede! Cicci!…

VINCENZO. (Fra sé). Bòna notte!

FANNY. Ma iccée tu vòi vedere, icché? Con la nebbia che tu ci ha' ni' cervello!

LILIANA. Ma lui lo riconosco.

ERNESTINA. Ti riconosce?

VINCENZO. Macché! Gli sembra. Sai, la guerra, le scosse nervose, le bombe. Chissà per chi m'ha preso.

MANON. Pe' i' comandante de' pompieri…

VINCENZO. Vedi? Me l'hanno detto che gli assomiglio…

MANON. Gli è nostro cliente. Cioè: marito di una nostra cliente.

ERNESTINA. Ma la signorina chi è?

VINCENZO. Un'altra nipote della zia… della sora Fanny. La un te l'ha detto che ce n'aveva dell'altre 'n cantina?

ERNESTINA. Ma la si sente male? Signorina Manon, la su' sorella la unne sta bene.

MANON. La un ci badi. Le son tante notti che la un dorme pe' la paura.

VINCENZO. E così tu ti vo' ridurre anche te! Vieni, vieni, andiamo a letto.

FANNY. (Sta parlando con Liliana, spingendola fuori). Neanche un gocciolo!

LILIANA. Se la un mi vòl dare i' cumelle, la mi dia almeno un'altra candela. E' siamo a i' buio.

FANNY. Meglio! L'è l'ora di dormire. Scarpina, vai!

LILIANA. Peccato, però, perché qui ci sarebbe da ridere…

FANNY. Fila, t'ho detto!

LILIANA. (A Vincenzo, salutandolo con la mano). Addio, Cicci! (Esce).

ERNESTINA. (A Fanny). La ci ha di molta confidenza co i' comandante de' pompieri.

FANNY. Io?!

VINCENZO. La su' nipote, la Liliana.

ERNESTINA. O chi te l'ha detto che la si chiama Liliana?

VINCENZO. Eh?… La sora Fanny. T'unn'ha' sentito? La l'ha chiamata Liliana.

ERNESTINA. Ma che be' nomi che le ci hanno tutte!

FANNY. Sì, ma i' comandante de' pompieri icché c'entra?

VINCENZO. Dice che m'assomiglia. Tant'è vero che la su' nipote la m'ha scambiato pe' lui.

ERNESTINA. E l'ha chiamato Cicci…

MANON. Gli è i' nome che la gli dà la su' moglie, la moglie di' comandante: "Cicci, senti. Cicci ciao. Cicci…"

VINCENZO. E gli hanno incocciato anche me, vah!

FANNY. Ecco, ecco…

ERNESTINA. Perché, lei la un lo sapeva?

FANNY. Sììì, come no? Ma ora chissà 'n do' ero co' i' capo.

ERNESTINA. Povera signora, la capisco. Quella nipotina gli deve dare non poche preoccupazioni.

FANNY. Ma che l'ha vista in che stato? Gli tirere' tanti di que' nocchini!

ERNESTINA. Eh no, poverina. La un lo fa mica apposta.

FANNY. La un lo fa apposta?

VINCENZO. No, sora Fanny. Con la paura un si discute. La signorina Liliana la sìè ridotta così pe' gli spaventi che l'ha preso: incursioni, mine, bimbe a mano, mitra… Uno regge, un altro no. E si riduce che sembra briaco. Di paura, mi spiego? Di paura!

FANNY. Ecco, ecco, ecco.

ERNESTINA. Appena s'escirà da questa situazione, sarà bene che la la faccia curare subito. L'è giovane. Un si sa mai quali complicazioni può nascere.

VINCENZO. O gnamo. Ora si va a letto,eh?

MANON. (Ridendo). Ritonfa!

VINCENZO. Perché? Che c'è qualcosa di strano se voglio andare a letto?

Si sente bussare.

MANON. Gli è strano che lo debba ripeter tante volte… qui.

FANNY. Zitti! E' bussano!

ERNESTINA. (Allarmata). E chi può essere?

VINCENZO. Sta' calma. Sta' calma.

Bussano più forte.

FANNY. (Presso la porta di fondo). Chi è?

Si sentono alcune frasi in tedesco, incomprensibili per la lontananza.

FANNY. Son tedeschi.

ERNESTINA. Oh!… (Si fa il segno della Croce).

FANNY. Bisogna aprire, sennò quelli son capaci di tirare una bomba contro l'uscio.

ERNESTINA. Cencino! Vengono in cerca di noi!

VINCENZO. (Impressionato). Sie… pe' l'appunto…

FANNY. E quegli altri che seguitano a rimane' di là d'Arno. Pagher' sapere icché gli aspettano a avanzare!

VINCENZO. Che questi di qua un ci sian più, gli aspettano.

Ancora colpi e parole in tedesco.

FANNY. O via, facciamoci coraggio…

MANON. Apro io.

ERNESTINA. No, signorina! Lei no!

FANNY. Si va 'nsieme. (A Vincenzo). Lei però, sarà meglio che la si nasconda.

ERNESTINA. Sì, sì, sì, vai Cencino.

VINCENZO. Ma mi dispiace lasciarti sola…

FANNY. Ma piuttosto che fassi portar via! (Accennando verso destra). Di là, la vada di là.

VINCENZO. E' vo. Ernestina, ma propio perché tu insisti… sta' calma, eh? Come me! (Esce a destra).

Ancora colpi alla porta e frasi in tedesco.

FANNY. Eccoci, eccoci. Si viene! (Esce dal fondo insieme a Manon)

ERNESTINA. Ah!… (Si prende la testa fra le mani e si sdraia sul divano)

Si sentono parole dette con accento tedesco come: amore - salutare Firenze - donne, donne

FANNY. (d.d.). Un si pòle! Nicchiasse! Verbottene!

MANON. (d.d.). Chiusura generale! Vu l'avete ordinato voialtri!

FANNY.(d.d.). E allora fate come vi pare! Però io un vo' pizzi, eh? Qualunque cosa succeda, vu ve la vedete voi. (Rientrando dal fondo e cercando). O in do' l'è? Signora, la unn'abbia paura. Son due soli e unn'hanno 'ntenzionacce.

ERNESTINA. Ma icché vogliano?

FANNY. Eh!… La se lo pòle immaginare! (Riprendendosi). Cioè… ma la stia tranquilla. (Va alla porta di destra). So' Cencio. Un c'è più? Guarda 'n do' s'era ficcato! La venga, la venga. (A Ernestina). Gli era entrato ni' cassone della biancheria

VINCENZO. (Rientra arruffato e con un reggipetto su una spalla). Che son bell'e andati?

FANNY. No. Son su. La ci pensa la Manon. (Gli toglie il reggipetto).

ERNESTINA. (Meravigliata). La ci pensa… come?

VINCENZO. A persuadelli a andare. T'ha visto che l'è una ragazza che… sì, insomma, la sa discorrere.

ERNESTINA. Ma l'è un'imprudenza lasciarla sola. Un c'è da fidarsi di quella gente. Signora, la un la lasci.

FANNY. Eh, un dice mica male! Ora vo' e mi metto di guardia 0n fondo alla scala. Son tedeschi ma un vorrei  che gli andassero via all'inglese. (Esce dal fondo)

ERNESTINA. Ma icché c'entra andar via all'inglese?

VINCENZO. No… la un s'è saputa spiegare. L'ha voluto dire che la un vorrebbe che portassero via la signorina… Portalla via prigioniera. Siccome gl'inglesi fanno dimolti prigionieri…

ERNESTINA. Ma no!i' pericolo che quella poverina la corre è ben altro! L'è sola, alle prese con du' omini, du'nemici! E la su' zia, invece d'andar su, la si mette in fondo alla scala.

VINCENZO. Bambina… pe' i' momento sono ancora loro che comandano. Alla signora Fanny gli avanno proibito di salire.

ERNESTINA. Ma l'è una cosa spaventosa.

VINCENZO. Eh, lo so! Ma quando un ci si può far nulla… D'altronde tu devi pensare che se fossero venuti di qua, sarebbe stato peggio. (Accennando alla stanza di destra). Da qui a lì gli è breve i' passo! Purtroppo in certi momenti, qualcuno bisogna che paghi di persona.

ERNESTINA. (Dopo breve riflessione). Cencio! Un c'è dubbio: la s'è sacrificata per te!

VINCENZO. Chi?

ERNESTINA. Ma la signorina Manon!

VINCENZO. Ora un esageriamo, via!

ERNESTINA. Ma sì, ma sì!la gli ha portati su pe' allontanalli da qui! Perché te t'unn'avessi noie!

VINCENZO. Ernestina, te l'ho già detto dieci volte: andiamo a letto!

ERNESTINA.ma come si può pensare a andare a letto con tutto quello che gli sta succedendo?

VINCENZO. Ma un succede nulla. Un ti preoccupare. Vieni, vieni…

ERNESTINA. Zitto! Ha urlato!

VINCENZO. Sie… oramai…

ERNESTINA. L'ha urlato, Cencio! Bisogna far qualcosa!

VINCENZO. Bisogna andare a letto! E dodici! (Prendendola a braccetto). Su, vien via, vien via. Ma che ti vo' propio ridurre uno straccio?

ERNESTINA. Un posso andare a letto, un posso… Oh, povera creatura! Povera piccina!

VINCENZO. Ernestina, ascoltami: o tu la fa' finita o vo' su io!

ERNESTINA. No, te no! T'anderesti a morte sicura! Te, no!

VINCENZO. Che ci vorresti anda' te?

ERNESTINA. Piuttosto! Io e la signora Fanny!

VINCENZO. Sicuro! E io ti ci manderei!

ERNESTINA. A me, di male un me ne farebbero.

VINCENZO. Chi lo sa? Quelli un son mica omini. Se fossero omini potrei star tranquillo… Ma son diavoli, capisci?

ERNESTINA. Ma propio pe' questo un si può permettere chealle prese con loro ci sia soltanto quella creatura. Son due, Cencio! Due! E lei l'è sola!

VINCENZO. Un vòl dire… per lei uno o due. Sì, insomma, come la ne persuade uno a andare via, la ne può persuadere due, no? Un ci pensare più, svagati. E andiamo a letto.

Dall'interno giungono risate dei tedeschi e le voci di Fanny e Manon.

FANNY. (d.d.). Noe, noe! Venite quie! Patti chiari!

MANON. (d.d.).  Oh! Si dice a voialtri!

VINCENZO. (Ha accolto la moglie fra le braccia e, senza parere le tappa le orecchie)

FANNY. (d.d.). Un fate finta d'un capire! Banane, le voglian essere, banane! (Compre oltre la porta di fondo bruscamente, come se avesse ricevuto una spinta e grida). Uh!

MANON. (d.d.). V'un vi vergognate, no? Assassini!

Altre risate e colpo della porta di strada che si chiude.

FANNY. (Entra nella stanza toccandosi una spalla). Sudicioni, delinquenti che un siete altro! M'hanno dato uno spintone e m'hanno buttato di qui a là!

MANON. (Entra dal fondo, anch'essa al colmo della stizza). Dio voglia che gli faccian la pella prima di domattina!

FANNY. A loro e a tutti quelli della su' razzaccia!

MANON. Brutti lerci maledetti!

ERNESTINA. (Andando verso la ragazza con le braccia tese). Signorina Manon, piccina cara…

MANON.la scusi i' frasario, eh, signora? Ma di fronre a certe azioni!

ERNESTINA. Tesoro! Vòl che un la capisca? Oh, che cosa! Che cosa orribile!

FANNY. Eh, la dica la verità? Come se anche noi un s'avesse il diritto di campare!

ERNESTINA. Ho sofferto tanto, se la sapesse. Volevo venir su, la mi creda, volevo venire a ogni costo!

MANON. Su?!

FANNY. Eh?!

ERNESTINA. Diglielo te, Cencio. Ah, quello che lei l'ha fatto gli è talmente… Sì, sì, s'è capito benissimo perché l'ha fatto! E un so propio come si potrà… Cencio! Ma di' qualcosa anche te! Tu lo sai: io so parlar poco…

VINCENZO. Ma icché tu vòi che gli dica? Qualunque cosa gli dicessi… Un diciamo più nulla nessuno. Andiamo a letto. (Prende la moglie per un brqccio e la trascina via). Andiamo a letto.

ERNESTINA. Povera piccina! Che sventura! Che sventura!

FANNY. Sventura? Che fregatura, dico io!

SECONDO ATTO

Sala al piano terreno della vila Palandri, presso Greve. Porta- finastra in fondo che dà sul giardino, porte ai lati. Mobilio all'antica. Ambiente simpatico, comodo, accogliente. Pomeriggio.

ERNESTINA. (Seduta in una poltrona, ha in mano una calza di lana in corso di fabbricazione, ma non lavora. Lo sguardo fisso in un punto, è assorta in gravi pensieri).

VIRGINIA. (Contadina con funzioni di domestica, entra da sinistra portando un pesante paniere di mele). Sora padrona, e' n'hanno portate dell'altre. E sa? Queste le son propio speciali: le son di' podere di Silei…

ERNESTINA. Belle! Scegli intanto le più mature.

VIRGINIA. Si fa dell'altra conserva?

ERNESTINA. L'inverno gli è lungo. Virginia. Giacché di frutta ce n'è tanta e la un si può vendere…

VIRGINIA. O che si pensa, se anche un c'è  la Sita, che un vengan lo stesso a cercanne? E' n'è digià venuti tanti in bicicletta co' i' sacco sulle spalle…. A Firenze un canzonano: gli hanno fame, 'nteso?

ERNESTINA. Eh, lo so, poverini. Ma in ogni modo, conserva è bene farne più che si pòle. Che vorresti, che propio quest'anno unne regalassi un po' a Don Arturo?

VIRGINIA. La gnen'ha sempre data…

ERNESTINA. Giust'appunto. Quest'anno bisogna che gnene dìa anche di più. Poi n'avrò da dare a tant'altra gente…

VIRGINIA. Certo, anche a quelle signore che quella notte le salvaron lei e i' sor cavaliere.

ERNESTINA. Le meritano altro che un po' di conserva! Io un fo che pensarci. A i' meno speriamo che le sian tutte in buona salute!

VIRGINIA. Anch'io, sa, sora padrona? Anch'io un fo che pensare a quella notte.!

ERNESTINA. Ma se te un c'eri?

VIRGINIA.e' penso alla paura che avre' avuto se la ci fossi stata.però, io un fu' grulla: e' volli tornare ma a casa mia!

ERNESTINA. Liscia liscia, v'un l'avete passata nemmen quassù…

VIRGINIA. Ma un foss'altro, se gli era destino, e' sare' morta 'n famiglia. L'è tutt'un'altra cosa, vah!

VINCENZO. (Entra dal fondo con aria preoccupata).

ERNESTINA. Icché t'hai, Cencio? Ch'è successo qualcosa?

VINCENZO. Bah! Un lo so io… così a occhio e croce, un s'è avuto meno di du' milioni di danni.

ERNESTINA. Icché tu ci vo' fare? Siamo vivi. Contentiamoci di questo.

VIRGINIA. La mucca di Tonchio l'è stata peggio: l'è saltata in aria!

VINCENZO. Oh, a proposito… Bisogna stare attenti a girare: c'è un buggerio di mine.

ERNESTINA. Io un mi movo che per andare 'n chiesa

VIRGINIA. Allora, sora padrone, metto a cocere anche queste?

ERNESTINA. Quelle più mature. E sta' atenta che le sian sane.

VIRGINIA. Appena l'ho scelte, la chiamo. (Esce a sinistra portando via il paniere).

ERNESTINA. (Al marito che si è seduto). Du' milioni di danni? O t0unn'avevi detto poco più d'un milione?

VINCENZO. Ma quando lo dissi? Una settimana fa…

ERNESTINA. O che sìè avuto dell'altre distruzioni anche questa settimana?

VINCENZO. No, ma siccome gli è aumentato ' prezzi…

ERNESTINA. Con precisione su che cifra tu credi che si possa andare?

VINCENZO. Ma, un lo so. Come tu vo' che lo possa sapere "con precisione"?

ERNESTINA. O tu'n fa' l'assicuratore?

VINCENZO. Va bene, ma… in tempo di pace, quando a i' massimo ti può capitare una grandinata,un incendio… Eppoi, i' danno degli altri è una cosa e i' suo…

ERNESTINA. Un ti confondere Cencio. Pensa che c'è chi gli ha avuto ben altre batoste!

VINCENZO. Eh, lo .

ERNESTINA. E' diceva i' povero nonno: "La terra la un tradisce mai! Un'annata la va male, quell'altra la va bene. C'è sempre i' compenso". Ma per chi gli ha perso la vita… o glòi ha subito un'affronto come quelle povera creatura…

VINCENZO. (Stizzito). Ernestina! E' ci hanno portato via diciotto vitelli e quasi tutti i maiali… E te tu sta' ancora a pensare alla povera creatura!

ERNESTINA. (Quasi piangendo). Ma sentite che modo di parlare! Come se si potesse fare un confronto…

VINCENZO. O unn'è quello che dico anch'io?

ERNESTINA. Tu se' cattivo, ecco! Unn'avrè' ma' pensato chet'un dovessi sentir a i' meno un po' di gratitudine per chi gli ha dato tutto per te!

VINCENZO. (Sbuffando). Io domando se si può seguitare a andare avanti così? Gli è quindici giorni che sima quassù e t0un fa' che ripetere sempre i soliti discorsi!

ERNESTINA. E più li ripeterò, via via che i' tempo passa e t'un ti decidi a fare i' tu' dovere!

VINCENZO. Ma quale dovere? Un la potrò mica sposare, no?

ERNESTINA. Neanche se io un ci fossi più, t'un lo faresti?

VINCENZO. Eh. Lo dico anch'io!

ERNESTINA. Ma perché?

VINCENZO. Da' retta, Ernestina: t'unn'avrà 'ntenzione d'am,mozzarti perché possa impalmare la Manon?

ERNESTINA. Che discorsi! (Segnandosi). Ammazzarmi… Però, che tu ti debba arrabbiare ogni volta che ti parlo di quelle signore così bòne e premurose per noi, un lo capisco, ecco! Propio un lo capisco.

VINCENZO. Ma… e' te l'ho detto: ci ho altre preoccupazioni. E anche te tu te le devi avere! Pensa a' poderi, pensa a i' bestiame, pensa alla salute, Ernestina! T'ha fatto un musino a tessera che fa paura

ERNESTINA. Quella mattina mi portaste via a corsa appena giorno…

VINCENZO. No, ti tenevo lì dell'altro! Giacché tutto gli era calmo e i partigian gli eran riesciti a buttare i tedeschi di là da i' Mugnone…

ERNESTINA. Ma anche scappare a qui' modo, senza nemmen salutare… come du' ladri…

VINCENZO. Tempi di guerra. Anche l'etichetta gli è razionata.

ERNESTINA. Dopo che siam venuti quassù, tu se' stato du' volte a Firenze. Tutt'e dua le volte t'ho pregato e ripiegato: vacci da quelle signore, vacci! E te, nulla. T'un ci ha' pensato nemmeno

VINCENZO. Ma icché tu vòi? I' fatto stesso che fosse la mi' moglie a dimmi d'andacci…

ERNESTINA. O chi te lo doveva dire?

VINCENZO. (Riprendendosi). L'era una mortificazione, capisci? Qui' pensiero l'avè' dovuto aver io…

ERNESTINA. Oh, meno male chge tu ti rendi conto! Sicché, se io un t'avessi detto nulla, tu ci saresti andato?

VINCENZO. Eh!… Per quanto, in questi momenti… Sì, dico: si perde tutto i' tempo per la strada.

GIORGIO. (Si affaccia dal fondo. È un giovanotto dai lineam,neti delicati, molto corretto e riguardoso). Permesso?

ERNESTINA. Oh, Giorgino, vieni. Sei guarito bene?

VINCENZO. O che rei malato?

ERNESTINA. Te l'avevo detto, Cencio…

GIORGIO. La signora Ernestina l'è venuta tre volte a trovarmi. Grazie di nòvo, signora Ernestina.

ERNESTINA. Che merito c'è? Appena s'arrivò, venni a salutare lo zio, mi disse che tu eri a letto già da qualche giorno… mi raccontò icché t'era successo…

VINCENZO. Icché t'è successo? Che se' stato ferito?

GIORGIO. (Esitando). No, ferito no…

ERNESTINA. Mettiti a sedere, Giorgino. (Al marito). Gli ha preso uno di quegli spaventi anche lui, povera creatura!

VINCENZO. Vergogna! Un giovanottone come te…

GIORGIO. Eh… se la sapesse, cavaliere.

ERNESTINA. S'era rifugiato quassù da i' su' zio pe' non esser portato via. In casa d'un sacerdote, pensava che si sarebbe sentito sicuro…

VINCENZO. E invece ti pescarono anche quassù?

GIORGIO. Durante tutta l'occupazione, unn'ebbi noie. Ma quando gli alleati e' cominciarono a avvicinarsi, la sa come successe: i tedeschi si fecero sempre più cattivi! Un mi' amico che s'era nascosto anche lui in canonica, lo scoprirono e, senza dire né ahi né bai, lo passaron pe' le armi!

VINCENZO. Eh, n'è successi più d'uno di questi casi.

GIORGIO. Appena io lo venni a sapere, la capirà, mi resi conto che unn'era più aria di restare in casa dello zio…

ERNESTINA. E anche Don Arturo ne convenne.

GIORGIO. Ah, sì! Gli piangeva i' cuore di lasciarmi andare ma piuttosto che farmi pigliare caldo caldo… Sìera sparso la voce che le canoniche le visitavan tutte.

VINCENZO. E 'n do' t'andasti?

GIORGIO. Volevo andare…

ERNESTINA. Un fece a tempo, povero Giorgino!

GIORGIO. Ci s'era messi d'accordo co ' la Rita di' Rosso… ci hanno i' podere che resta fòri mano, lontano dalla strada…

VINCENZO. Ah, sì, lassù tu avresti potuto star tranquillo. Ma… per arrivarci! Perché qui, in que giorni, doveva essere un continuo via vai di tedeschi?

GIORGIO. La si figuri un po' se avre' potuto passare inosservato. Giovane come sono, i' meno che mi poteva capitare gli era d'esser portato via.

VINCENZO. E allora?

GIORGIO. E allora… anche pe' consiglio dello zio…

ERNESTINA. E' si vestì da donna!

VINCENZO. T'un dovevi neanche sta' male!

GIORGIO. Eh, purtroppo…

VINCENZO. Come purtroppo?

GIORGIO. A ripensarci ora, mi vien quasi da ridere… Ma in que' momenti…

VINCENZO. Icché ti successe?

ERNESTINA. Si mise una pezzola 'n capo e gli aspettò che facesse un po' buio pe' mettisi in cammino. Ma tutt'a un tratto, quando meno se l'aspettava… ah!…

VINCENZO. Discorri te, perché se lei fa tento di cominciare a tirà sospiri, domattina unn'ho ancora saputo icché t'è successo.

GIORGIO. Tutt'a un tratto, e' bussarono all aporta della canonica. Lo zio gli andò a aprire. Gli eran du' tedeschi…

VINCENZO. Bònanotte!

GIORGIO. Parlavano abbastanza bene italiano. Dissero che gli avevan fame, dettero ordine di prepararhli subito una bòna cena… Eppoi… (Esita a proseguire)

ERNESTINA. (Sospira di nuovo).

GIORGIO. Eppoi, uno si rivolse a me e mi disse… la scusi, eh, signora.

VINCENZO. O la un lo sa digià, lei, icché ti disse!

ERNESTINA. E' gli disse quello che devono aver detto quegli altri due, quella sera, a quella poverina!

VINCENZO. (Trattenendo a stento le risa.: No!

GIORGIO. L'è da ridere, vero? Ma se la fosse stato a i' mi' posto…

VINCENZO. Un facciamo scherzi! Però, gli andò tutto a fini' bene?

GIORGIO. Pe' fortuna! Me, m'avevan mandato nella stanza accanto a aspettar che gli avessero cenato. Lo zio li trattò bene, li fece bere come spugne… presero una bella sbornia, s'addormentarono a tavola… poi, un par d'ore dopo vennero a cercalli… gli andaron via in fretta e furia…

VINCENZO. Eh, tu l'ha vista bella davvero!

ERNESTINA. Ma c'è stato male una ventina di giorni, povero Giorgino!

GIORGIO. Anche questa lìè passata. Speriamo che la guerra la finisca presto per tutti, che si possa ricominciare a viver tranquilli e a lavorare. Io, 'ntanto fo una scappata a Greve: mi voglio 'nformare se c'è qualche mezzo pe' andar domattina a Firenze.

ERNESTINA. Perché t'un se' andato stamattina co' i' fattore?

GIORGIO. Avevo pensato, sì, dato che gli è venerdì… M un credevo che gli avessero bell'e ricominciato a fare i' mercato.

VINCENZO. Infatti, per ora, gli è un mercato per modo di dire: tra quello che gli hanno portato via e quello che un si po' far viaggiare…

GIORGIO. Io, a Firenze, bisogna i' verso d'andacci in tutti i modi. Mi preme di sapere se i' mi' ufficio s'è riaperto. Un vorre' perdere i' posto.

VINCENZO. Però… o Giorgino, a' tu' colleghi gli è meglio che tuì'un glielo racconti icché t'è successo.

GIORGIO. Eh, lo dico anch'io! Birboni come sono… fare' la mia! Arrivederla, signora Ernestina. Se fo presto, quando ripasso mi rifermo.

ERNESTINA. Bravo Giorgino. Ti darò un po' di conserva.

GIORGIO. Cavaliere, arrivederlo.

VINCENZO. Addio Giorgina… Giorgino.

GIORGIO. (Esce dal fondo)

VINCENZO. Ma che ce n'ha fatta vedere una, questa guerra?!

ERNESTINA. Eppoi tu vorresti che un pensassi più a quell'infelice!

VINCENZO. Si capisce. Da i' momento che ce n'è state per tutti… "Mal comune mezzo gaudio". Io vo un po' nello scrittoio a vede' se trovo… se trovo buio. (S'incammina verso destra)

ERNESTINA. Cencio… Dice cha a Firenze, pe' i' mangiare gli stanno dimolto male…

VINCENZO. Eh, bene unne stanno di sicuro. Se un s'arrangiano cogli alleati…

ERNESTINA. A i' meno un po' d'olio, un po' di farina… bisognerebbe mandarglieli.

VINCENZO. A chi?

ERNESTINA. ma come "a chi", scusa.

VINCENZO. (Fra sé). Oh, ma gli è propio un chiodo fisso!

ERNESTINA. Mi  pare sia i' meno che si possa fare.

VINCENZO. (Dopo un attimo di riflessione). Ernestina… quando ti dissi, l'altro giorno, che m'ero scordato d'andar da quelle signore e' dissi una bigia…

ERNESTINA. Ah, tu ci andasti dunque? E perché tu me l'ha nascosto?

VINCENZO. Bisogna che tu ti faccia coraggio, Ernestina. quelle povere signore… (gesto come per dire: spacciate)

ERNESTINA. No! Davvero, Cencio?! Oh, icché tu mi dici!

VINCENZO. (Fra sé). Così si rompe la relazione, un c'è più doveri…

ERNESTINA. Ma come gli è successo?

VINCENZO. Bambina… come gli è successo che la mucca di' Tonchio lìè saltata per aria?

ERNESTINA. Una mina? Anche loro? E le son morte tutte?

VINCENZO. Quelle che s'è conosciuto noi… tutte!

ERNESTINA. Oh, povere creature!

VIRGINIA. (Di sulla porta). Sora padrona, e' l'ho bell'e scelte. Se la vòl venire e dagli un'occhiata anche lei?…

ERNESTINA. Fa' te, fa' te, Virginia. Icché tu vo' che m'importi delle mele?

VINCENZO. Già… Anzi! Ora più che mai te ne deve importare. E' ti serve di svago, abbi pazienza.

VIRGINIA. Io ho piacere che la le veda, perché lei, come la si contenta da sé… (Esce)

ERNESTINA. (Alzandosi penosamente). Va bene, vengo.

VINCENZO. Su, su… coraggio! Po' poi la unn'ran mica parenti!

ERNESTINA. Di più! Perché quello che la fece per te quella bambina…

VINCENZO. La l'avrebbe fatto anche una parente. L'è questione di circostanze…

ERNESTINA. In serata scappo da Don Arturo e domattina gli fo dire almeno tre messe.

VINCENZO. Ecco! Eppoi basta, eh? Poi ci s mette un pietrone sopra…

ERNESTINA. Te forse, tu sara' capace di farlo… Però, scusami, Cencio, ma un l'avre' ma' creduto che tu fossi così! (Esce a sinistra)

VINCENZO. Neanche dopo averle ammazzate, un riuscirò a fargliele dimenticare!

MECATTI. (Fattore, pretenziosamente elegante,compare sorridendo dal fondo). So' cavaliere, bòna sera!

VINCENZO. Oh, fattore… che siete bell'e tornato?

MECATTI. E tornato bene!…

FANNY e MANON (Compaiono a loro volta dal fondo, molto eleganti, Fanny un po' ridicola. Mentre si inchinano). So' cavaliere…

VINCENZO. (Fa un balzo indietro). Eh?!

FANNY. O icché gli ha visto? I' diavolo?

MANON. Be' modo d'accoglier l'amiche!

VINCENZO. Mecatti! Ma icché v'è preso, me lo dite?

MECATTI. A me lo domanda? Alla padrona la gnen'ha a dire.

VINCENZO. La padrona? L'è stata lei a dirvi di portarle quassù?

MANON. L'è un po' più gentile e riconoscente di te, a quanto pare.

VINCENZO. Che te e te? Qui un siamo in casa vostra!

FANNY. Difatti, un'accoglienza così da noi t'un l'ha ma' ricevute davvero!

VINCENZO.che mi fa' i' piacere di… (A Mecatti). E voi fatela finita di ridere!

MECATTI. L'abbia pazienza, sor cavaliere. E' sento che gli dispiace si sappia che anche lei la bazzicava…

VINCENZO. Io fo icché mi pare!

MECATTI. Dico bene. Icché c'è di male? Siam tutti òmini!

FANNY. (Che ha già fatto m,ille smorfie poggiandosi ora su un piede ora sull'altro). Oh! Intanto che vu' discutete, io mi staffo propio a sedere. Su qui' dannato di calesse mi sono stroncata mezza.

VINCENZO. Voi v'andate via d'urgenza. Tutt'e due!

MANON. (Andando a sedersi accanto a Fanny). Eh, tu sta' lustro! T'unn'ha voglia d'aspettare!

VINCENZO. Un mi fate impazzire, gnamo! D'avanzo ho avuto tre milioni di danni!…  qui, v'un potete rimanere e basta!

MANON. La diceva?…

FANNY. Siamo invitate…

VINCENZO. (A Mecatti). L'è proprio vero? L'è stata la padrona a dirvi di rimorchiarle?

MECATTI. Io gli son preciso, so' cavaliere. La padrona la m'ha detto d'andare a trovalle e digli che, quando l'avessero potuto, le gli avrebbero fatto un gran piacere a venir quassù.

FANNY. Siccome noi si poteva subito…

VINCENZO. Ma come vu' potete? Eppure, ora, i' lavoro un vi dovrebbe mancare…

MANON. Sie… La gente l'ha da andare a cercassi da mangiare. L'ha tempo da perde' con noi!

VINCENZO. Ma… o un c'è quest'altri?

FANNY. Per noi un c'è nulla! Un siamo state ammesse alla cobelligeranza!

VINCENZO. Un vòl dire. Mi dispiace ma bisogna che v'andate via lo stesso.

MANON. (Acende una sigaretta). Ma quella notte, noi, ti si fece un discorso di questo genere?

VINCENZO. Ma la unn'è la stessa cosa… Qui v'un potete rimanere pe' centomila ragioni…

FANNY. E invece si rimane pe' una sola: pe' levassi un po' le grinze da i' corpo! Che l'ha capita, ora?

MANON. A Firenze si marca visita a tutto spiano, icché tu credi?

VINCENZO. Va bene, v'aiuterò. I' fattore penserà a portavvi qualcosa… di qui' poco che c'è rimasto. Ma andate via, fatemi i' piacere, andate via

MANON. Senza nemmeno salutare la signora? Belll'educazione!

VINCENZO. La mi' moglie  la un saprà nemmeno che vu' ci siete sate. La un lo deve sapere.

MANON. Ma come tu se' garbato!

FANNY. Senti, veh! Io ho appena 'ncominciato a rincollammi l'ossa. Un'altra strascicata 'n calesse un mi sento propio di falla!

VINCENZO. V'un pretenderete di rimanere finchè un hanno riattivato la Sita?

VINCENZO. (A Mecatti). L'è proprio vero? L'è stata la padrona a dirvi di rimorchiarle?

MECATTI. La le lasci rimanere pe' stasera… le si riposano e domani…

VINCENZO. Ma un posso! Come ve lo devi dire che un posso?

FANNY. Noi siamo invitate dalla padrona di casa.

VINCENZO. La padrona di casa la sa che vu' siete morte!

FANNY. (Balzando in piedi). Morte?! Così, vah, cotto i' cavolo e spento i' fòco! E chi gli è che ha avuto il barbaro coraggio?…

MANON. Chi la vòl che sia? Lui!

VINCENZO. Sì, un lo nego. Sono stato io.

FANNY. Ma questa l'è roba da "Esse Esse"!

VINCENZO. Unn'ho potuto fare a meno di dirglielo. La un mi dava più pace! Sempre a parlammi di quella notte, di voialtre e di' su' "sacrificio"…

MANON. (Ride). E tu vorresti che s'andasse via? Qui, anche se un ci fosse altro da mangiare, c'è da fa' tante di quelle panciate di riso…

MECATTI. La m'ha raccontato tutto anche a me, la padrona.

VINCENZO. Pe' fortuna che la unn'ha contatti quasi con nessuno e che la porta' via subito da Firenze! Sennò a quest'ora s'era la barzelletta di' giorno! Lassù, mi dissi, la un ci penserà più, lassù la potrò trovare la vera zona tranquilla!

ERNESTINA. Entra da sinistra, vede le due donne, caccia un grido e sta per svenire.

VINCENZO. (Correndo in suo soccorso insieme al fattore). Ernestina!

MECATTI. La stia su, sora padrona…

FANNY. (a Manon). Ma quella c''ha sempre lo svenimento all'uscio?

MANON. Disgraziata! La sa che siamo morte…

ERNESTINA. (Riprendendosi). Ma icché tu m'avevi detto, te?

VINCENZO. Ernestina… m'avevano informato male. La unn'è colpa mia.

FANNY. Come la sta, signora?

ERNESTINA. (Stringendole calorosamente le mani). Mi fa tanto, tanto piacere di rivederle! (Stringendo a sé la ragazza). Cara la mi' Manon!

MANON. Anch'io la rivedo tanto volentieri, signora.

FANNY. La lo capisce da sé, un dubitare. Appena gli è arrivato l'invito, un ce lo siamo fatto ripete' du' volte.

VINCENZO. (Sottovoce a Fanny). A modino, eh? Perlomeno discorrete a modino!

FANNY. Ah, già… (Da questo momento, come già nel primo atto, si sforzerà di parlare con maggior garbo ma, come allora, vi riesce ben poco).

ERNESTINA. L'hanno fatto benissimo a venir subito.ma perché le unn'hanno portato anche la signorina Liliana?

VINCENZO. Sì, eh! Meglio tutte!

FANNY. Ma, sa… la ci pareva una certa cosa…

ERNESTINA. Un po' d'aria bòna l'avrebbe fatto bene anche a lei.

VINCENZO. (Tra sé). L'aria e la grappa bòna!

MANON. Qualcuno bisognava che la rimanesse laggiù…

ERNESTINA. Eh, capisco… i' lavoratorio… Che ci hanno già di lavoro?

FANNY. Macché… Per ora: tutti fermi!

ERNESTINA. Ma perché le stanno in piedi? Ah, le preferiscan salire a farsi un po' di toelette, vero? (Alla porta di sinistra, chiamando). Virginia… Lascia tutto e vieni subito qui.

MECATTI. Le valigie… le son rimaste su i' calesse. (Esc dal fondo).

VINCENZO. Le valigie?

FANNY. Du' cosine così… La un s'impaurisca, cavaliere…

ERNESTINA. Gli scherza, signora Fanny? Più che le rimarranno a tenerci compagnia…

VINCENZO. E più si starà allegri!

VIRGINIA. Entra da sinistra e saluta col capo le due nuove venute.

ERNESTINA. guarda se gli è tutto in ordine nelle camere di fondo.

VIRGINIA. Sì signora, subito. Bòna sera, signore.

FANNY. Bòna sera.

VIRGINIA. Esce a destra.

FANNY. (Sittivoce, a Vincenzo). Ch'è lei, virginia?

VINCENZO. Sì, l'è Virginia, lei!

MECATTI. (Rientra portando due valigione). Ecco i' bagaglio. Che lo porto su?

FANNY. Ma no, le si portan da noi…

VINCENZO. (Fra sé). Accodenti! L'hanno portato anche la roba da inverno!

ERNESTINA. E allora, si deve andare? (Prende a braccetto Manon). La s'accomodi, signora Fanny. (Mentre esce con la ragazza, volgendosi). E grazie, Mecatti, d'averle cercate e trovate.

MECATTI. Èe' la fatica che m'è costato…

VINCENZO. Ha' capito? Anche i ringraziamenti! Ma voi… perché v'un m'avete 'nformato che v'avevi ricevuto questo bell'uncarico?

MECATTI. Perché la padrona la unn'ha voluto.

VINCENZO. La unn'ha voluto?

MECATTI. Iersera, quando la me ne parlò, la mi disse: "Fatemi i' piacere di non fanne parola co' i' cavaliere perché sarebbe capace di divvi d'un ve n'occupare. Un capisco perché, ma di quelle signore unne vòl sapere! Lui che un'ha mai fatto uno sgarbo a nessuno, questa volta un so… un so…"

VINCENZO. La un sa, infatti. Ma io speravo che la un sapesse nemmeno in dove s'era andati a finire quella notte, in quale strada… Pensavo: fra la paura, i' buio, la furia… la un s'è raccapezzata di certo. E invece!…

MECATTI. Quello che la un sapeva gli era i' cognome…

VINCENZO. Quello un lo so neanch'io.

MECATTI. Ma la mi disse: "la strada l'è corta… se vu' domandate d'una certa sora Fanny, che la ci ha delle nipoti, una che si chiama Manon, una Liliana…"

VINCENZO. Una serva soprannominata Bagonghi…

MECATTI. Sì, la mi disse anche questo. La pòle immaginare come la ci rimasi a senti' que' nomi! Ma come? I' so' cavaliere che gli ha portato la su' moglie…?

VINCENZO. Macchè portato! Io unn'ho portato nessuno! La fu lei che la s'infilò 'n quell'uscio!

MECATTI. Sì, poi lo pensai che la un poteva essere andata che così. Ma con tutto  questo, unn'ero ancora convinto. La mi pareva sempre tanto grossa!

VINCENZO. Però, per quanto non convinto, vu' ci siete andato lo stesso dalla Fanny!

MECATTI. Appunto pe' veninne a capo. Eppoi, bisognava pure che alla padrona gli portassi una risposta…

VINCENZO. Mi par di sentilla la… direttrice di' lavoratorio: "Ma sì, siamo noi. Gnamo Manon, vestiti. S'è trovato la cuccagna!… Pe' poco, però. Ora gli racconto tutto alla mi' moglie… Tanto, la regge: l'ho bell'e collaudata con l'annunzio che l'eran morte!

MECATTI. So' cavaliere, se la vòle che, per alleggerigli i' peso, la Manon la porti in fattoria…

VINCENZO. Voi v'avete i' chiasso! E io ho un diavolo pe' capello!

MECATTI. La guardi, però, che la poteva andà' peggio. E' voleva venire anche la Liliana.

VINCENZO. Meglio palaia!

MECATTI. Pe' fortuna su i' calesse un c'era posto. Ma l'ha sbraitato tanto! La capirà: inoggi c'è i' problema de i' becchime. Gli americani gli danno magari i' pane bianco, ma gnene danno pochino…

MANON. (Entra da destra). Ah, io un reggo più, eh? Io gli racconto propio tutto!

VINCENZO. Alla mi' moglie? Io glielo racconto!

MANON. Un mi piace seguitare a imbrogliarla così. L'è troppo bòna, la un se lo merita. Vòl dire che, se la si meraviglierà perché un gli si spiattellò la verità subito, quella notte… gli si dirà che si face pe' riguardo a te, che t'eri come di casa.

VINCENZO. La grulla che tu sei!

MECATTI. La stia attento a aprigli gli occhi. E' pol'esse' pericoloso. La vorrà mette' tutte le carte 'n tavola.

VINCENZO. Che bisogno c'è di di' tutto? S'è detto tante bugie per un verso quella notte, diciamone qualcuna oggi per un altro… e siamo a posto!

MANON. No, no… La verità la dev'esse' nuda!

VINCENZO. (Minacciandola col pugno). E te tu dovresti essere… Si' bòna, gnamo, Manon. Se v'andate via subito, vi do un quintale di farina. (A Mecatti). C'è, vero?

MECATTI. Per essici, c'è…

MANON. Ce ne sarà altro che un quintale!

VINCENZO. Va' a diglielo alla Fanny, vai! Gli è ancora giorno, i' fattore vi riaccompagna 'n fino a domicilio… e, domani stesso, vi fo avere un be' mezzo quintale di farina!

MANON. O vai! Gli è bell'e diventato la metà!

VINCENZO. Un quintale, du' quintali… tuta la farina che vi pare!

LILIANA. (Comparsa da un secondo presso la porta di fondo, rimasta in ascolto. Veste con molta eleganza. Reca anch'essa una valigetta. Viene ora in avanti). Okei!

VINCENZO. (Con un nuovo sobbalzo). Anche te?!

LILIANA. O io chi sono? La figliola di girala-la-ròta? (Accennando a Manon). C'è la principessa di' canfino, ho diritto d'essici anch'io!

VINCENZO. Date retta, ma che volete propio la mi' pelle?

MECATTI. O come t'ha fatto a venire?

LILIANA. A piedi, no di certo! E nemmeno su un trabiccolo sgangherato come i' tuo! Su una gagliardissima Gippe son venuta. (A Vincenzo). Ho sentito che t'ha da mandare a Firenze della farina… Ci penso io. Son bell'e d'accordo con que' ragazzi.

VINCENZO. Che ragazzi?

LILIANA. Que' du' americani della Gippe.Di qualunque cosa abbia bisogno…

VINCENZO. Che ti riportino 'n giù subito! Un c'è bisogno che di questo!

LILIANA. (Sedendosi). Vai, vai Cicci! Guarda se tu tiri fòri una bottiglia, piuttosto.

MANON. E' vòle che si vada via tutte! Gli si dà ombra a sta' qui!

LILIANA. Tu gnene dara' te! T'un sa' far altro!

MANON. Da' retta, o bertuccia! T'un sara' venuta anche quassù coll'intenzione di fa' bufera?!

VINCENZO. Si capisce! Anche quello! Giù, forza, forza! Tanto, siamo 'n famiglia…

LILIANA. Io, quando gli è il momento, so essere educat e dimolto. Questa bottiglia… che viene o la un viene?

VINCENZO. (Tendendo l'orecchio). La mi' moglie la sta venendo!

LILIANA. La saluto volentieri.

VINCENZO. Un c'è premura. Un'altra volta. Fammi i' piacere, Liliana… la matassa l'è già fin troppo arruffata… Vai, poverina, vai. (Le rimette in mano la valigetta).

LILIANA. Come? Tu mi butti fòri me, e quella scorfana no?

MECATTI. Vien con me, Liliana…

LILIANA. Ma io, no! O tutti o nessuno!

VINCENZO. (Presso la porta, con voce strozzata). Te lo chiedo pe' piacere…

MECATTI. E' ti metto bene. Vien via!

LILIANA. Ma 'n do' devo venire, 'n do'? a Firenze io ci torno quando mi pare e piace!

VINCENZO. Liliana!…

MECATTI. E' ti porto 'n fattoria! O smuoviti! (La trascina via per un bracio).

LILIANA. (Uscendo dal  fondo). Però la unn'è giusta! Io 'n fattoria e quella sciupata 'n villa!

VINCENZO. (Si asciuga il sudore e si fa vento). Io mi sparo!

MANON. Te. Però, abbi pazienza, tu te la pigli un po' troppo…

VINCENZO. Falla finita, eh? Falla finita perché sennò mi fo vede' brutto davvero!

MANON. (Facendogli una carezza sotto il mento). Neanche se tu bevi i' liquore di' dottor Gecchil… Quando siamo belli…

VINCENZO. (Scacciando la mano). T'ho detto: falla finita! S'intende esse' ricattatrici, ma 'n fino a questo punto!

MANON. O, misura le parole, sai? Io un ricatto nessuno. Se tu credi che mi giri i' capo a trovammi una villa!… Pe' tu' norma e regola, io potre' esse' 'n America!

VINCENZO. Sì, lo so. Ma ora l'America vu' credete d'avella trovata qui. E 'nvece no! (Va ogni tanto, a spiare alla porta di destra). Io un le fo le spese alle baronesse coll'effe!

MANON. (Maligna). Che ha' comprato tutto co' tu' guadagni d'assicuratore? La villa, i poderi… tutto?

VINCENZO. La unn'è cosa che ti riguarda! (Tendendo ancora l'orecchio). Ma sentitele, sentitele. Le conversan fra loro come du' compagne di collegio!

MANON. Ma icché c'è di male? Quella notte, tiriamo via… si poteva anche capire che tu stessi su' pruni. La tu' moglie l'era capitata in un ambiente che… unn'è i' suo…

VINCENZO. Propio no!

MANON. Ma ora, qui… Se anche l'ha simpatia pe' noi, icché c'è di straordinario? Che se' propio sicuro che un gli sia ma' successo… in treno, ne' negozi, in un salotto… d'avere avvicinato gente come noi? Eppure… no' pe' questo la s'è sporcata. Su, su! Smettila di far i' broncio! Io son qui appena da mezz'ora e mi par d'esse' diventata uin'altra. Ho una voglia di far i' chiasso!… (Lo prende per le mani e canterellando gli fa fare il girotondo).

FANNY. (Entra da destra insieme ad Ernestina, con il contenuto sdegno di una madre nobile). Manon! Un po' di rispetto pe' i' so' cavaliere!

MANON. (Interrompendo il gioco). La scusi, eh, signora?

ERNESTINA. Ma sì, cara… Cencio gli ha ragione di farti fare i' girotondo… (A Fanny). L'avrebbe presa  tanto volentieri una creatura! Pensa Cencio, se la Manon la fosse la nostra figliola…

VINCENZO. Che soddisfazione!

ERNESTINA. (A Manon). Vedi, io ti do di' tu senza avrti chiesto nemmen i' permesso propio pe' questo.

FANNY. Macché permesso! Gnene dànno tutti… Sì, giustappunto perché gli è una mocciosa…

ERNESTINA. Che hai appetito? Intanto che si fa l'ora di cena, vo' mangiar qualcosa?

MANON. Una frutta, se ce l'ha.

ERNESTINA. eh, cìè tanta di quella frutta quest'anno!

FANNY. E pensare che a Firenze la costa un occhio della testa! E trovalla! So' cavaliere, perché un si cerca di mandanne giù un po'?

VINCENZO. Un c'è mezzi di trasporto.

FANNY. Cn questa storia de' mezzi va a finire che i' trasporto lo devan fare a' fiorentini: e' moian tutti di fame!

ERNESTINA. Poveretti. Vieni, Manon… (Esce a sinistra con la ragazza).

VINCENZO. (In fretta). Fanny… Qui bisogna uscinne e subito! T'avrà tutta la frutta che tu' vòi…

FANNY. Ma io un dicevo mica per me. Vedere di mandalla giù pe0 vendila. C'è da fare un mare di quattrini!

VINCENZO. Ora la m'organizza anche la borsa nera!… Bisogna che v'andate via a i' più presto. I' gioco l'è bell'e durato abbastanza. Ora poi che l'è arrivata anche quell'altra…

FANNY. Chi?

VINCENZO. La Liliana!

FANNY. Figlia d'un cane! O', quella, quando s'è messa 'n testa una cosa… E 'n do' l'è?

VINCENZO. Qui accanto, 'n fattoria… Ma la può ripiomba' qui da un momento all'altro. Ma ch'è possibile ch'io seguiti a vivere con questo patema? Va a finire che mi piglia un coccolone!

FANNY. Eh, sì… Quella, bisogna trovare i' verso di falla ambulare d'urgenza.

VINCENZO. Tutte! Tutt'e tre vu' dovete ambulare! Ma c'ho a essere sempre in stato d'emergenza, io?

FANNY. Giàaa… E come si fa? Gli ho bell'e detto alla signora che una quindicina di giorni ci si pòl'anche trattenere…

VINCENZO. Una quindicina?! Una quindicina in casa mia!

FANNY. Lei, anzi, l'aveva detto un mese.

VINCENZO. Giùe! Ma perché un si fa addirittura un vitalizio? (Riprendendosi perché Ernestina e Manon rientrano). Già: un vitalizio… I' su' marito potrebbe fare un vitalizio…

ERNESTINA. (Mentre presenta a Fanny un vassoio su cui sono delle mele). Cencio, tu' sta' commettendo l'errore che ho commesso io…

VINCENZO. L'errore?

ERNESTINA. Ma sì: la signora Fanny l'è vedova.

FANNY. Vedova, purtroppo, vedova…

ERNESTINA. Anche a me, quella notte, m'era parso che l'avesse detto che i' su' marito s'era nascosto… e così, oggi gli ho chiesto se i' su' marito gli era tornato… La mi scusi di nòvo, signora Fanny.

FANNY. Ma che gli pare? Un 'è mica colpa sua se gli è morto!

ERNESTINA. La un la piglia una mela?

FANNY. Mah… sono un po' indecisa. Un mi vorre' sciupare pe' la cena…

VINCENZO. (Fra sé). La ci vòl fare onore, diamine!

MANON. (Che sta mangiando a morsi un frutto). La sentisse come le sono!…

FANNY. O via! Si starà a vedere… (prende una mela)

ERNESTINA. Che vòle un coltello, un piattino?

FANNY. Macché, macché. La frutta va mangiata a morsi. Anzi, quasi quasi vo' a mangiamela fòri.

MANON. Vengo anch'io, sora Fanny.

ERNESTINA. (Sorridendo). Insomma, t'un vo' propio saperne di chiamalla zia?

MANON. Sa? E' la chiaman tutti sora Fanny, e allora…

FANNY. Io son come Figaro: Fenny di qui, Fanny di là… Vien colla zia, poverina, vieni. (Esce dal fondo colla ragazza)

ERNESTINA. Simpatica!

VINCENZO. (Fra sé). Quindici giorni! Per altri quindici giorni dovrò sentir questa musica! Quindici giorni. Un c'è via di scampo!

ERNESTINA. Cencio… O' Cencio… Accompagna le signore a fa' du' passi. Le un sanno dove andare.

VINCENZO. Lo so io. (Fra sé). In do' l'andò la mucca di' Tonchio, le 'ndirizzo: verso i' campo minato! (Esce dal fondo)

VIRGINIA. (Entra da destra). Sora padrona, mi c'è voluto un po' di tempo ma ho messo tutto in ordine: e' letti son rifatti. Gli è tutto spolverato…

ERNESTINA. Brava Virginia. Ora bisogna pensare subito alla cena. La pasta c'è, vero?

VIRGINIA. O un l'ho fatta stamani? Ce ne sarà ancota più di du' chili…

ERNESTINA. Di' alla fattoressa se la ci ha una bella pollastra. Poi c'è i' prosciutto. I' formaggio…

VIRGINIA. A Firrenze la mangerebban meno, la un dubiti.

ERNESTINA. La unn'è una bòna ragione perché gli debba far patir la fame anche quassù. Eppoi, ho piacere di trattarle con riguardo.

VIRGINIA. Ah, certo. Peerò… Ma che sono? Sì, proprio signore, oppure…?

ERNESTINA. signore. Le ci hanno un lavoratorio di sartoria. A cose normali le se la passan bene, ma… In questi momenti, si sa, le persone oneste, le son quelle che le soffran di più

GIORGIO. (Entrando dal fondo). Permesso, signora Ernestina?

ERNESTINA. vieni, Giorgino. (A Virginia). Allora, t'ha capito, eh?… Prepara anche un vasetto di consera per i' sor priore.

VIRGINIA. Di fichi, di susine? Come?

ERNESTINA. Di fichi. Quell'altre gliel'ho bell'e fatte assaggiare. (Virginia esce da sinistra)

GIORGIO. Lei la sta sempre a incomodarsi…

ERNESTINA. Si può sapere i' grand'incomodo! Allora? Icché t'ha fatto a Greve? Che c'è un mezzo per andare a Firenze?

GIORGIO. Macché. Per ora… Eppure io bisogna che ci vada 'n tutt'i modi. Voglio tornare in ufficio. Bisogna che cerchi di fare un po' di carriera. Un son più un ragazzo. Mi dovrò anche decidere a farmi una famiglia…

ERNESTINA. (Lo guarda. Un'idea le si affaccia alla mente). Mettiti a sedere, Giorgino. (Siede anch'essa). Lo sai chi gli è venuto a trovarci? Quella signora e quella signorina…

GIORGIO. Quali?

ERNESTINA. un ti raccontai di quella notte?…

GIORGIO. Quelle che l'ospitaron lei e i' cavaliere?

ERNESTINA. proprio loro. L'ho mandate a invitare. M'ha fatto tanto piacere che le sian venute…

VINCENZO. (Compare dal fondo ma resta sulla soglia).

ERNESTINA. Cencio… O che l'ha lasciate sole?

VINCENZO. Le un si perdano, no. (Riprendendosi). Le son qui 'n fattoria.

ERNESTINA. Che donne! Che cuore! T'un lo crederai, giorgino: l'avessero accennato a quello che la fecero per noi… quello, specialmente che la fu costretta a fare la Manon… La signorina la si chiama Manon. Che bel nome, eh?

GIORGIO. Bello!

ERNESTINA. Neanche una mezza parola! Vero, Cencio? Un'altra… già la un l'avrebbe fatto, ma qualora… te l'immagini l'esigenze che l'avrebbe avuto? E, francamente , avrebbe anche avuto ragione d'averle… di pretendere almeno un grosso sborso…

VINCENZO. (Fra sé). Tu vedra' se un arriva anche a quello!

ERNESTINA. Lei nulla, come se la un fosse stata lei a sacrificarsi! E la su' zia, lo stesso. Le son cose che l'arrivano a i' cuore! Io gli son così affezionata…

GIORGIO. La capiscom signora Ernestina. a i' su' posto… e a i' posto di' cavaliere…

VINCENZO. (Fra sé). Un posto invidiabile i' mio!

ERNESTINA. Nessuno, meglio di te, gli è in grado di capire, giorgino…

GIORGIO. In certi momenti, i tedeschi unn'avevan più nulla d'umano: gli eran bestie, firie scatenate!

ERNESTINA. La coscienza, i' timore d'Iddio… nulla, un sentivan nulla! Ammazzare o rovinare una creatura, per loro era come bere un bicchier d'acqua.

GIORGIO. Lo dica a me!

ERNESTINA. Ora pe' fortuna, la guerra, almeno per noi, l'è passata. S'è svuto tutti de' danni…

VINCENZO. Quattro milioni!

ERNESTINA. … Ma finché si tratta di perdita di capitali… trànseatte, si può sempre sperare di ritirarsi su… I' governo ci darà qualcosa anche lui.

VINCENZO. Campa cavallo!

ERNESTINA. Ma a quella poverina, chi ci pensa? Nessuno! Nessuno! Che ti par giusta?

GIORGIO. Eh, no…

VINCENZO. (Fra sé). La chiederà i' risarcimento danni anche lei!

ERNESTINA. L'è tanto carina, sai, giorgino? Eppoi, tu la vedrai… E la unne sta neanche male finanziariamente. Le ci hanno un bel lavoratorio di sartoria…

VINCENZO. (c.s.). Ma 'n do' la vorrà andare a finire?

ERNESTINA. Io,se avessi un figliolo e mi dicesse: "Mamma, la mi piace, la voglio sposare"… lo ricoprirei di baci!

GIORGIO. Lo credo, signora Ernestina, lo credo. Un si tratta mica d'una donnaccia. L'è una povera vittima della guerra.

VINCENZO. Volontaria!

GIORGIO. Sì, ma c'è lo stesso merito…

VINCENZO. Di più! I volontari gli hanno più merito de' richiamati!

ERNESTINA. Dico la verità: se mi riescisse di sistemare quella creatura… non so icché darei! Cioè, lo so… Perché qualcosa dare' di certo…

VINCENZO. (c.s.). o vai! Ora gli si fa anche la dote!

ERNESTINA. T'un saresti d'accordo anche te, Cencio?

VINCENZO. Come no? Basta che la vada via subito! Sì, via in viaggio di nozze…

ERNESTINA. (Guardando Giorgio e sorridendo). Un dipende solamente da lei…

GIORGIO. Signora Ernestina, io… ma un l'ho ancora vista…

ERNESTINA. Che discorsi, Giorgio… Bisogna che tu la veda, che la ti piaccia…

VINCENZO. Ma… un potrebbe darsi che un gli piacesse i' fatto… Sì, i' precedente, insomma…

ERNESTINA. Perché? Un gli è stato mica nascosto…

VINCENZO. Se gli fosse stato nascosto unne saprebbe nulla e ci potrebbe cascare giulivo e lillare come ci cascan tanti.

GIORGIO. E quello sarebbe brutto davvero!

ERNESTINA. Con lui, invece, un c'è inganno. Se si decidesse a fa' questo passo, gli avrebbe, oltre tutto, anche la soddisfazione di fare un'opera bòna.

GIORGIO. Eh, sì… "Oltre tutto" gli avrebbe anche quello.

VIRGINIA. (Entra da sinistra recando un vasetto incartato). Ecco la conserva, signora padrona. La pollastra la c'è e bella! (Esce di nuovo).

ERNESTINA. Perché t'un rimani a cena con noi, giorgino?

GIORGIO. Grazie, ma… troppo disturbo…

ERNESTINA. Ma sì, rimani. Gli è meglio. (Al marito). Vero che gli È meglio che rimanga?

VINCENZO. Si capisce. C'è la pollastra…

ERNESTINA. Così tu hai modo di conoscerla, di poterci parlare…

VINCENZO. Qualche candela autarchica, tanto, la c'è.

FANNY. (Entra dal fondo insieme a Manon). Che be' posti! Io ci starei morta!

GIORGIO. (Si è alzatro. Guarda Fanny sorpreso e imbarazzato, poi guarda Vincenzo).

ERNESTINA. Vi presento i' ragioniere Giorgio Paciscopi, nipote di' nostro parroco.

MANON. Fortunatissima.

GIORGIO. (Stringe loro la mano senza riuscire a profferire parola)

ERNESTINA. Noi si chiama Giorgino perché si può dire che s'è visto nascere… (Continua a parlare sottovoce con le due donne)

GIORGIO. (Avvicinandosi a Vincenzo, sottovoce). Cavaliere… Ma quella… Tanto, fra òmini…

VINCENZO. Figliolino! Le conosce anche lui! Se lo sa lo zio prete!…

GIORGIO. (Che ha guardato ancora le due donne). Ma sì! Son sicuro di non sbagliare!… E quell'altra la sarebbe la nipote?

VINCENZO. Ma icché tu borbotti? Quella? Quell'altra?

GIORGIO. Ah, già… Lei la un lo sa di certo… Se l'ha fatte venir qui…

LILIANA. (Entra dal fondo). Sora Fanny, mi son dimenticata di dirgli…

VINCENZO. (Fra sé). Vai! Lo dicevo io!

GIORGIO. (Guarda la nuova venutam sempre più sbalordito).

ERNESTINA. Anche la signorina Liliana? Come sta, signorina? (Le stringe la mano).

LILIANA. Bene, grazie. Lei si vede. Le un mi ci volevano a me. Son la pecora nera, io!

FANNY. Ma no! Icché c'entra le pecore? Su i' calesse un c'era posto…

ERNESTINA. Cencio, t'un vedi? L'è arrivata anche la signorina Liliana!

VINCENZO. Ah, l'è arrivata finalmente? (Le stringe rabbiosamente la mano)

LILIANA. O icché tu stringi, Cicci?

MANON. (A Ernestina). I' comandante de' pompieri.

FANNY. Ormai la s'è fissata che gli assomigli…

ERNESTINA. Un'altra nipote della signora…

GIORGIO. Ahn…

ERNESTINA. Che s'è un po' rimessa? Quella notte gli era fòri di sé pe' tutti gli spaventi…

FANNY. Ma ora la sta meglio.

VINCENZO. (Fra sé). Dopo cena tu te n'accorgerai! Lascia che la veda i' boccio…

ERNESTINA. Accomodatevi. E scusate un momento. Dico alla Virginia che siamo due di più… Sì, rimane con noi anche i' ragioniere.

GIORGIO. No, signora Ernestina!… Un posso! Lo zio gli starebbe 'n pensiero.

ERNESTINA. si manda qualcuno di fattoria a avvertirlo.

VINCENZO. Rimani, Giorgino…

GIORGIO. Un posso davvero. Chiedo scusa a tutti, ma… Un'altra volta, signora Ernestina.

ERNESTINA. (Con un'occhiata significativa, sospirando). Davvero? Peccato! Ci avevo propio fatto la bocca.

GIORGIO. (Con una gran fretta d'andarsene). La mi scusi, ma unn'è possibile… signora… signorine…

MANON. (Saluta con un mezzo inchino a presa di bavero)

LILIANA. (Anche più sfottente). So' ragioniere…

FANNY. La ritorna, eh?

VINCENZO. (Fra sé). Quella la crede d'esse' ni' lavoratorio!

GIORGIO. Arrivedello, cavaliere.

VINCENZO. (Dandogli il vasetto). E la conserva?

GIORGIO. (Mentre seguita a guardare le ospiti). Che la devo pigliare?

ERNESTINA. Diamine.

VINCENZO. Pigliala, pigliala Giorgino. L'è roba genuina, questa. Frutta sana! Qui tu ti ci po' buttare a occhi chiusi… qui!

TERZO ATTO

La stessa scena del secondo atto. Mattino

FANNY. (Seduta presso un tavolo, con Liliana, sta consultando alcuni fogli). A me mi pare che ci sia un po' di pasticcio.

LILIANA. Ma no. Eppure gli è chiaro. Più che segnare giorno pe' giorno quel che si manda giù…

FANNY. Gli è proprio questo che un mi torna. O che, di farina bianca, se n'è mandata solamente otto quintali e mezzo?

LILIANA. Come otto e mezzo? Otto e mezzo più cinque.

FANNY. Noe. Un facciamo confusione! Questa l'è farina gialla.

LILIANA. Ah… sì, sì… ma torna bene. Quella bianca la un s'è mica mandata tutti i giorni.

FANNY. La frutta, poi. Chi ci raccapezza qualcosa gli è bravo! Pesche, mele, fichi… qui l'è tutta una zuppa!

LILIANA. O che bisogno c'è di dividella? E' si paga tutta allo stesso prezzo…

FANNY. Ma laggiù, la Wilma icchè la fa'? la un mi darà mice le mele e le pesche a i' prezzo de' fichi?

LILIANA. Già… Ma icché la dice? Eppure, da' lilleri che gli porto la si dovrebb'esser convinta che anche la Wilma ci sa fare?

FANNY. Sì, ma si potrebbe fa' anche di più. Io, vedi, bisognerebbe che potessi esser laggiù e qui.

LILIANA. (Risentita). Sicché, la un si fida?

FANNY. Chi dice codesto, grulla? Che la Wilma l'è onesta, l'avre' a sapere! Sennò un l'avre' lasciata a i' mi' posto. Però, l'è un po' bonacciona.

MECATTI. (Entra dal fondo). Allora gli è pronto, eh? I' carico gli è tutto vocino alla strada.

LILIANA. Che un la sia troppa roba, com'a i' solito…

MECATTI. Che ha paura d'un la smaltire?

FANNY. No. Gli è perché la c'entri.

LILIANA. La deve anda' su una gippe, mica su un barroccio. Pe' fortuna sono 'n parola pe' avere un camio'…

MECATTI. (Strofinandosi le mani). Giàaa?!

FANNY. E t'un dicevi nulla?

LILIANA. Ancora un son sicura… Ma ho fatto la conoscenza co' un sergante…

MECATTI. A posto, vah!

FANNY. A tirallo su, a minuzzolini di pane, un ti dovrebbe esse' difficile…

MECATTI. Un camio' a disposizione! Allora sì, che si potrà lavorare! (Abbassando la voce). Però, a i' meno questo, a lui un gnene dite…

FANNY. A i' cavaliere? Ma pe' chi tu ci ha' preso? E' siamo 'n casa sua…

MECATTI. Icché vòl dire? Gli affari sono affari!

LILIANA. Da' retta, arzigogolo: ma la roba gli è sua… o, a i' meno della su' moglie.

MECATTI. Ma se loro un lo sanno nemmeno icché c'è e icché un c'è? V'un lo sentisti anche ier sera? "Bisognerà andar un po' piano co' i' dar via… un vorre' che ci dovesse mancare i' necessario per noi".

MANON. (Entra da sinistra, stirandosi). Ah, che bella dormita anche stanotte!

LILIANA. Eccola, vah! Mangia-a-ufo!

MANON. Che mi fa' le spese te?

LILIANA. Eh, se te le dovessi far io tu camperesti poco garantito! O' sora Fanny, che un ci sia storie, eh? Lei, percentuali, nisba!

MANON. E' un me ne 'mporta, un ci tengo.

FANNY. Certo, un po' sbucciona, te sei!

LILIANA. Ma lei la pòle! L'è i' cucchino della padrona di casa, lei! O perché un ti fa' affigliolare?

MANON. Se volessi, potre' fare anche quello.

MECATTI. Parliamo di cose serie. Guarda se tu fa' amicizia anche te con qualche americano. Se si potesse avè' du0 o tre cami' a disposizione…

FANNY. Vediamo 'ntanto se se ne pòle avere uno!

MECATTI. Mi raccomando a te, Lilianina! Però, datemi retta: a lui, un gli dite nulla… (Esce dal fondo. Sulla porta incontra Vincenzo che entra).

VINCENZO. Bòngiorno, bòngiorno a tutti. (A Liliana). Te, che sei in partenza?

LILIANA. Ho fissato pe' le nove. (guarda l'orologio). Gli è meglio che m'avvii.

FANNY. Eh, sì… perché… un potranno mica stare a aspettatti… colla vigilanza che c'è…

VINCENZO. Qui, se un si va a fini' tutti alle Murate… o a Santa Verdiana…

FANNY. Semmai, tu ci andera' te. La merce l'è tua.

LILIANA. A proposito: ci vòle a i' meno una damigiana di vino.

FANNY. Gli è tanto che gli dico di mandanne giù qualche quintale…

LILIANA. Noe… una damigiana pe' quelli di' posto di blocco. Gli è bene tenesseli bòni.

FANNY. Eh, sì. Se si vòl che chiudano un occhio e anche tutt'e due, un c'è che farli bere. (A Vincenzo). T'un dici nulla? Bada lìe! Tanto, qualcuno che paghi anche quello che si regala, si trova sempre!

VINCENZO. Ma sì. Pe' codesto…

LILIANA. Io, allora, vo.

FANNY. Dagnene alla Wilma, eh? Che la guardi bene icché la fa… che la un si lasci imbrogliare. Sennò… cott'i' cavolo e spento i' fòco!

VINCENZO. Che ritorni prima di sera, oppure…?

LILIANA. Un l'avre' a sapere. Secondo icché decide John. Ier sera disse che mi voleva portare a ballare.

FANNY. Macché ballare! Gli è proprio i' momento d'aver i' capo a i' ballo. Pensa a i' camio' piuttosto!

LILIANA. E' ci penso, e' ci penso. (Esce dal fondo).

VINCENZO. I' camio'? o che c'è anch'i' camio'?

FANNY. Ci sarà presto. Lìè in trattative co' un sergente… ma te, che ci se' andato da quello che t'avevi detto? Come si chiama?

VINCENZO. I' conte Biancalani? O un torno ora?

FANNY. E icché t'ha combinato? Roba da immettere a i0 consumo, che ce n'ha?

VINCENZO. Se ce n'ha? Una fattoria di cinquantatre poderi! Però gli ha un po' paura.

FANNY. D'icché? Mi pare: meglio che lavora' cogli alleati…

VINCENZO. Quello che gli ho detto anch'io. E forse son riescito a convincerlo…

FANNY. Ma t'unne se' sicuro? Pe' forza! Tu se' pieno di fifa anche te!

VINCENZO. Ma no! Un si tratta di fifa…

FANNY. O d'icché? Eppure tutti que' bigliettoni che tu 'ncassi, e' dovrebban riescire a tenetti su i' morale!

VINCENZO. Pe' l'amor di Dio un parliamo di morale! (A Manon che sta fumando). O te? Che ha' perso la favella?

MANON. Icché devo dire? Io un ci sono nell'ingranaggio degli affari.

FANNY. Lei l'è Bertoldo: la un sa leggere che ni' su' libro. La un l'ha ancora capito che 'n oggi bisogna adattassi a tutto!

VINCENZO. E d'altronde! Se lei la preferisce i' su' mestiere? Oì, un fa' complimenti, eh? Se tu vo' tornare a i' lavoratorio…

MANON. Per me… se la tu' moglie l'è disposta a lasciarmi andare…

VINCENZO. La mi' moglie, la mi moglie! Gli è quasi un mese che tu se' quassù: gli si po’' dire che t'è presa la nostalgia di Firenze!

MANON. (tranquilla). Dagnene, dagnene…

FANNY. Daì retta, "nostalgia"… (A Vincenzo). T'un m'ha finito di dire come tu se' rimasto co' i' Buonalana…

VINCENZO. Macché Buonalana! Biancalani! Sai, gli è un conte, un òmo pieno di scrupoli…

FRED. (Soldato americano, compare dal fondo). Ellò, Menon!

MANON. (Alzandosi e andandogli incontro). Qh, Fred…

VINCENZO. O questo?

FANNY. Guarda, qh! La unn'aveva mica detto nulla che la s'era messa a pane anche lei!

FRED. (A Vincenzo, sorridendo). Patre?

VINCENZO. Padre? No! Ammogliato senza prole!

FRED. Okei!

MANON. (A Fred). No, non mio padre.

FRED. No patre. (A Fanny). Matre?

FANNY. Sì! Badessa!

FRED. Ba-de-zza? Radezza… okei! Io fidanzato Menon.

VINCENZO. Rallegramenti! Bravo!

FRED. Okei! Bravo!

FANNY. Modestino i' giovane! (A Manon). Ma un camio' che ce l'ha?

FANNY. Chè, chè! Gli è addetto a un comando.

FANNY. Tu se' proprio una gran broccola! Ce n'è a migliaia, e la va a sceglie' proprio uno che unn'è autista.

FRED. (A Vincenzo, porgendogli un pacchetto di sigarette). Paisan… sigarett?

VINCENZO. Un mi par vero! Gli è tutt'i' giorno che fischio… (Ne prende una).

FRED. No!.. no, no…

VINCENZO. Un la devo pigliare?

FRED. Peghiare, okei!

VINCENZO. Unsomma, sì o no?

MANON. Gl'intende dire di pigliale tutte!

VINCENZO. Ah, grazie. (Prende il pacchetto).

MANON. Okei! (Porge un altro pacchetto a Fanny). Missi Radezza…

FANNY. Questo m'ha bell'e ribattezzata! Grazie. ( A Manon). A i' meno i' grazie, che lo capisce?

MANON. Della nostra lingua, e' conoscerà sì e no dieci parole.

FRED. (Si è intanto frugato nelle tasche ed ha tirato fuori altri quattro pacchetti di sigarette che consegna a Manon)

MANON. Oh, quante!

FRED. Okei. Quante. Patire.

FANNY. Patire? Ah, spartire… Un fa' "tutto mio". Gli ha detto che le ci si devano spartire. (A Fred). Vero? Spartire?

FRED. Okei! Patire… Io…

VINCENZO. Mi pare che tu abbi inteso male, Fanny.

MANON. Gli è lui che parte. Tu parti, vero, Fred? Oggi?

FRED. Oggi… patire… venire… salute!

FANNY. O ch i ha starnutito?

MANON. Tu se' venuto a salutare me perché tu partire?

FRED. Okei! Menon, fidanzata…

VINCENZO. Bada d'un la perdere!

FANNY. Poerino, vah! Unne spiccica parola ma gli è gentilino.

VINCENZO. La guardi se la tira via a liberare anche i' norde! Lassù gli aspettano!

MANON. Ma un capisce…

VINCENZO. Tanto, anche se capisse, la sarebbe la stessa cosa: loro tiran via a fa' tutto meno che la guerra

FRED. Guerra? Okei! Vettorea!

MANON. Vieni, Fred, t'accompagno per un po' di strada. (Lo prende a braccetto).

FANNY. Domandagli se ci ha qualche amico co' i' camio'!

FRED. (Porgendole la mano). Omissis Radezza…

FANNY. O', gli ho fatto proprio colpo!… Arrivedello.

VINCENZO. Bòna fortuna… anche pe' noi! Ho detto: bòna fortuna!

FRED. Fottuna! Okei! (Esce dal fondo con Manon)

FANNY. Okei, okeri! Quando la un sa icché dire, dice okei...

VINCENZO. Prima che me ne dimentichi, sarà bene che avvert i' fattore di preparare quella damigiana di vino pe'… bloccare i' posto di blocco!

FANNY. Gli è un bell'arnese i' tu' fattore!

VINCENZO. Perché?

FANNY. O'… Però un ci siam visti, eh?

VINCENZO. Icché gli ha fatto?

FANNY. Se gli ha bell'e fatto qualcosa un lo so. So icché vorrebbe fare…

VINCENZO. E cioè?

FANNY. E' pretenderebbe che io e la Liliana si lavorasse solamente con lui, che te tu venissi messo da parte…

VINCENZO. Gli ha avuto i' coraggio di farvi una proposta simile? Ora l'aggiusto io! (Si avvia).

FANNY. (Tirandolo per la giacca). Vien quie, vieni! Ma che mi da' 'n campanelle? Tu mi faresti fare una bella figura!

VINCENZO. Da' retta… Che un fattore rubi… gli è sempre usato, tira via! Ma che lo faccia così allo scoperto…

FANNY.l'importante è tu sia 'nformato. Tu lo tien d'occhio e, quando tu lo peschi colle mani ni' sacco, tu lo ròsoli! Intanto sta' sicuro che ci ho pensato io a rispondigli pe' le rime!

VINCENZO. Grazie, Fanny.

FANNY. Gli è arrivato a dimmi che te e la tu' moglie v'un lo sapete nemmeno la roba che c'è e si potrebbe smaniare!

VINCENZO. Tu vedrà' se un gliela fo tirar fòri tutta. Eppoi smanio anche lui! Ladro che unn'è altro! Con se' milioni di danni come ho avuto…

FANNY. Se' milioni?

VINCENZO. Eh! A' prezzi d'oggi…

ERNESTINA. (Entra da sinistra). Ch'è partita anche stamani? Ma colazione l'ha fatta?

FANNY. L'ha fatta, l'ha fatta… La s'è fatta 'nsieme, anzi. La manon, piuttosto…

ERNESTINA. A lei gliel'ho fata servire in camera.

FANNY. Daccapo! La me l'avvezza troppo maleee!

ERNESTINA. No, poverina. Ho capito che gli fa piacere alzarsi tardi…

FANNY. Ah, quanto a codesto… cìè sempre voluto le binde pe' falla scendere a desinare!

VINCENZO. (Per rimediare). Però, quando il lavoratorio gli era in attività…

FANNY. Ah, si capisce… allora…

ERNESTINA. Che ci se' andato da i' conte? Icché t'ha detto?

VINCENZO. Gli ha fatto un po' di storie. Sai, lui gli è sempre quello tutto diritto… e' deve mangiare e' fusi!

ERNESTINA. state attenti, anche voialtri. Ho sempre una paura addosso, io…

FANNY. Macch* paura, sora Ernestina! chi non risica non rosica. E, ni' nistro caso, un fa nemmen rosicare.

VINCENZO. Quello che ho detto a i' Biancalani. Ma se un ci si pensa noi a manda' qualcosa da mangiare a que' disgraziati, chi ci deve pensare?

ERNESTINA. Però, se t0unn'avessi trovato un'organizzatrice come la sora Fanny…

FANNY. Icché la vòle? Quando l'è possibile fare un po' di bene…

VIRGINIA. (Di sulla porta di sinistra). Gli scusino, eh? Sora padrona, pe' i' desinare?

ERNESTINA. Ora vengo di là, se ne parla.

VIRGINIA. (Esce)

ERNESTINA. Mi dispiace, sora Fanny, ma bisognerà fare i' pollo anch'oggi…

FANNY. Mah, pazienza! Di questi tempi, un si po' mica avere tante esigenze…

ERNESTINA. La Manon 'n dove l'è? Ch'è andata a pigliare un po' d'aria?

FANNY. Gli è venuto i' su' bello…

VINCENZO. Giusto! Si dimenticava di dirtelo: la s'è fidanzata!

ERNESTINA. (Entusiasta). Davvero? Con chi, con chi?

FANNY. Co' un americano a piedi…

VINCENZO. Ma parte. Gliè venuto appunto a salutarla.

ERNESTINA. oh, la unn'è punto fortunata quella bambina. Giorgino… anche lui partì subito e un s'è fatto più rivedere…

VINCENZO. (Fra sé). E neanche tu lo rivedi!

ERNESTINA. qui, poi, isolati come siamo, conoscenze c'è da farne poche o punte. Come gli era quest'americano? Un giovanotto a modo, serio?

FANNY. C'è da saper dimolto! Pe' fallo discorre' ci vòle i' tirabusciò!

VINCENZO. Son soldati, tu mi capisci: oggi son qui e si fidanzano, domani ricevan l'ordine di partire, e vanno a fidanzarsi in un altro posto..

ERNESTINA. Ah, allora unn'è davvero l'òmo che ci vòle per la Manon. Lei l'ha bisogno d'una persona seria, comprensiva… Un gli pare, sora Fanny?

FANNY. (Mettendoci tutto l'impegno). Eh!

ERNESTINA. E disposta anche a fare alla svelta, perché… piaccia a Dio di no, ma… scommetto che, dentro di sé, questo timore la ce l'ha anche lei?

FANNY. Quale?

ERNESTINA. Che ci possa essere una creatura per la strada…

FANNY. Pe' la strada?… Ah… Eh, eh… Un si po' mai sapere icché bolle in pentola.

ERNESTINA. Povera Manon!

VINCENZO. (Fra sé). L'è diventata più straziante di quella di Puccini, questa manon!

ERNESTINA. certo, lei e quella piccina, le son proprio straordinarie! Le si fanno un coraggio…

FANNY. Icché la vòl fare sor'Ernestina? ormai l'è andata così…

ERNESTINA. Eh… (Sospira profondamente ed esce da sinistra)

FANNY. (Imitandola).  Eh!… E' mi far certe faticate per veder di non sgarrare! Ah, ti parlo chiaro: se un fosse per esigenze di lavoro, a quest'ora ero bell'e telata!

VINCENZO. Figurati se un ti capisco. Anzi, ti volevo giusto dire… no' che ti voglia manda' via, eh?

FANNY. Però, se me n'andassi… Tanto, oramai i' commerciuo gli è avviato…

VINCENZO. Unn'ho reso l'idea. Te tu potresti fa' servizio a quell'altro capolinea… alla stazione d'arrivo. Ho sentito che della Wilma t'un se' tanto contenta…

FANNY. Ho paura che la si lasci infinocchiare. No che la un sia onesta,eh?

VINCENZO. Che discorsi! Ma la unn'ha la tu' furberia. Pe' questo sarebbe bene che laggiù tu ci fossi te. Ci sarebbe i' caso di raddoppiare gl'introiti…

FANNY. Mi pare che tu ti cominci a appassionare, eh, a' servizi d'approvvigionamewnteo!

VINCENZO. Icché tu vo' che ti dica? In fondo 'n fondo, gli è un modo anche questo di fa' l'assicuratore…

FANNY. Eh, lo dico anch'io! Si dà da mangiare. Più assicurazione sulla vita di questa,,,

BIANCALANI. (Elegante, impettito, assai distinto, sulla cinquantina, compare dal fondo). Permesso. Cavaliere?

FANNY. Guarda cjhi c'è, o'! c'è i' professore!

BIANCALANI. Scusi, signora, ma si tratta certamente di un equivoco. Intanto , io non sono professore…

VINCENZO. Gli è i' conte Biancalani.

FANNY. "Professore" si chiamava noi. T'un senti come discorre in punta di forchetta?

BIANCALANI. Torno a ripeterle, signora, che di tratta di un equivoco!

VINCENZO. Ma sì, una rassomiglianza…

FANNY. Come "Cicci", i' comandante de' pompieri!

VINCENZO. La s'accomodi, conte. Icché mi racconta di bello?

BIANCALANI. (Sedendosi). Ecco… A proposito di quell'affare di cui mi ha parlato… Ci ho pensato meglio…

VINCENZO. E l'ha deciso d'un farne di nulla, eh? Un vòl dire. Mi rivolgerò a qualche altro… A i' torelli, a i' Ricci-Pratolini… Io credevo, dandogli la precedenza, di fargli un piacere…

BIANCALANI. Ma sì, certo. E io la ho ringraziata e la ringrazio. Ma…

VINCENZO. Ma l'ha paura, e siccome la paura fa novanta…

FANNY. (Seduta in disparte, fra sé). E la fame novantuno!

BIANCALANI. Veda, cavaliere… Nela mia condizione… Lei capisce che io ho un nome da tutelare…

VINCENZO. Cao conte, ci s'ha tutti un nome. Anch'io… un mi chiamo mica "Coso"!

BIANCALANI. D'accordo. Ma lei può essere certo che domani, venendosi a scoprire…

VINCENZO. Ma un si scopre nulla. Gli ho detto e gli ripeto che un si scopre nulla.

BIANCALANI. Ma se dovesse succedere, lei può essere certo che il chiasso che si farebbe attorno al mio nome, sarebbe molto ma molto più notevole di quello che verrebbe fatto attorno al suo o a quello di chiunque altro!

VINCENZO. Forse… perché l'è stato podestà?

FANNY. (In disparte). Eccoci all'acqua!

BIANCALANI. Lei sa che non ho niente da rimproverarmi. Ma oggi, con la situazione così cambiata come è, mi rendo conto che è bene che io mi tenga in disparte.

VINCENZO. Conte, gli torno a ripetere che pericoli un ce n'è, ma se lei crede che sia meglio…

BIANCALANI. No, no… vediamo. C'è forse il modo di… Perché, in fondo, la cosa mi interessa.

FANNY. (c.s.). Eh, lo credo!

BIANCALANI. Si potrebbe far così… (Guarda Fanny, esitando a proseguire)

VINCENZO. La parli, la parli pèure liberamente.

FANNY. Tanto, io un la conosco!

BIANCALANI. No, signora. Si convinca…

VINCENZO. L'è convintissima. La mi dica.

BIANCALANI. Ecco. Si potrebbe…

MANON. (Entra dal fondo). Toh! I' professore quassù! O chi ti c ha portato? (Gli dà un buffetto)

BIANCALANI. Ma… Signorina!…

FANNY. E' unn'è lui! Gli è un altro!

MANON. Un altro?

VINCENZO. Lasciateci discorrere, pe' piacere. (A Biancalani). La prosegua.

BIANCALANI. (S sforza di dominare il proprio imbarazzo). Si potrebbe far così: io potrei cedere a lei quei quantitativi di merce di cui posso disporre e lei, poi, penserebbe a smistarla per suo conto, insieme alla sua, come crederebbe meglio.

VINCENZO. Già… In modo che, se dovesse succedere d'essere scoperti, io vo' 'n galera e lei la canta "Giovinezza"!

BIANCALANI. Cavaliere…

VINCENZO. Sì, cavaliere ma fino a un cert punto. Levà' la castagna da i' foco con la zampa di' gatto, gli è comodo, un discuto, ma mi piacerebbe anche a me di trovare un gatto che si prestasse!

FANNY. Quand'è che siamo 'n ballo, bisogna ballare e esse' tutti pronti, se gli occorre, a fassi schiaccià' qualche lupino!

BIANCALANI. Signora, io…

FANNY. Lei la un mi conosce, va bene.

MANON. Macché un ci conosce! Fammi sentire, che l'ha messo i' dentino?

BIANCALANI. (Alzandosi). Insomma, non mi piace che mi si infastidisca! E lei, cavaliere…

VINCENZO. Io, icché?

BIANCALANI. Non si offenda ma… non so nasconderle la mia meraviglia, il mio stupore…

VINCENZO. Per icché? Per aver trovato le signore in casa mia? Lo sa perché le son qui? Pe' gratitudine. Perché una notte, un mese fa, a me e alla mi' moglie, le ci hanno salvato la vita. E se ci si trovava in quelle condizioni, un po' di colpa, gratta gratta, la ce l'ha anche lei, caro so' potestà!

BIANCALANI. Ssst! Parli più piano, andiamo…

VINCENZO. Quando si dice la verità, si può strillare finché si vòle… oggi! C'è chi ha combattuto e gli è morto perché si potesse tornare a butta' fòri liberamente icché ci s'ha 'n corpo!

FANNY. (Va a stringergli la mano). Bravo cavaliere! Tu se' più professore di lui!

BIANCALANI. (Stima opportuno cambiare atteggiamento, sorride, batte amichevolmente la mano sulla spalla di Vincenzo). Be'… andiamo, andiamo, cavaliere… Non c'è ragione perché si debba guastare la nostra buona e vecchia amicizia. Io ho piena fiducia in lei…

FANNY. E in noi!

BIANCALANI. Ma…non credo che loro si occupino di questo genere di affari…

VINCENZO. Ma come la un crede? O un gli ho detto, dianzi, che ci s'ha dalla nostra un autista alleato? La un penserà che sia stato io… a sedurlo?

BIANCALANI. Ah… è merito loro?

FANNY. E presto s'avrà un camio'. E chissà che un si finisca coll'avere tutta una colonna!

BIANCALANI. Complimenti…

FANNY. E figli maschi!

BIANCALANI. Caro cavaliere, non mi resta che dirle altro che rimango in attesa di sue istruzioni.

VINCENZO. E io penserò a istruirlo.

BIANCALANI. Arrivederci, Fanny. (Mentre porge la mano aFanny e Manon). E… scusatemi.

FANNY. Di che? Po' succedere a tutti: lì per lì uno un si ricorda…

MANON. Gli è poco fisionomista…

BIANCALANI. Che birichine! Arrivederci, cavaliere. Ossequi alla signora.

VINCENZO. Altrettanto alla contessa.

BIANCALANI. (Si avvia verso il fondo, poi, fermandosi, a Fanny e Manon). Dimenticavo: c'è una mezza minaccia di requisirmi la villa. Qualora, posso contare sul vostro aiuto?…

FANNY. Che domande! Si vs noi a i' Quartier Generale e 'n quattro e quattr'otto… Tu vedrai!

BIANCALANI. Arrivederci di nuovo. (Fa il saluto romano, poi riprendendosi). Bai, bai. (Esce)

MANON. Però, tu gnen'ha' dette, eh?

VINCENZO. Mica tante! E pe' questo gli ha cambiato subito tattica. Per esempio che prima di diventar podestà gli aveva otto poderi carichi d'ipoteche, e che ora n'ha cinquantatré, un gliel'ho detto.

ERNESTINA. (Entrando da sinistra). Anche oggi spero di mettervi a tavola. Sempre la solita roba, ma… (A Manon). Come tu stai, tesoro?

MANON. Bene, sora Ernestina.

ERNESTINA. Proprio bene? T'un mi nascondi nulla?

MANON. Che sappia io…

VINCENZO. (Per cambiare discorso). Tanti saluti da i' Biancalani. Anzi, ossequi.

ERNESTINA. Grazie.

FANNY. Gli entra anche lui a fa' parte di' truste!

VINCENZO. E se anche si dovesse pentire, un me ne 'mporta nulla. Tanto, fra quello che ci s'ha noi, quello che ci ha i' fattore e che noi u si sa, e quello che ci danno i contadini e che un si sa né noi né i' fattore…

FANNY. A posto! E allora, sì… gli è bene che laggiù,a occuparmi dello smistamento, ci sia io… (A Manon). Tanto più che l'è anche l'ora che si levi i' disturbo.

ERNESTINA. Ma icché gli viene in mente, sora Fanny? No, ecco: portammi via la mi' Manon così 'ntrafinefatta…

FANNY. Tanto, qui un la fa nulla…

ERNESTINA. Ma un vòl dire. La un deve fa' nulla. Un ti pare, Cencio?

VINCENZO. Già… ma se laggiù… ni' lavoratorio, c'è bisogno di lei…

ERNESTINA. Perché? C'è un po' di ripresa?

FANNY. Macché! A quello che la mi dice la Liliana… Troppo concorrenza, troppe sarte private!

ERNESTINA. Eh, si sa: i' bisognino…

FANNY. Ma io, sa icché fo'? e' bacchio ogni cosa e mi butto a corpo morto su i' vettovagliamento!

FRED. (Compare sulla porta di fondo recando un sacco pieno). Ellò!…

VINCENZO. Ritonfa! O unn'era partito?

FRED. (A Ernestina che tiene vicino a sé, affettuosamente Manon). Matre? Due matre?

FANNY. Ora chiama "Radezza" che lei!

ERNESTINA. (A Manon). Gli è i' tu' fidanzato? M'avevan detto che doveva partire…

MANON. Sì, l'aveva detto lui, infatti.

FRED. No matre? No? (Accenna a Fanny). Matre! (Accenna ùernestina). No matre!

ERNESTINA. Ma gli voglio bene come se fosse la mi' figliola! Mia figlia…

VINCENZO. Dio sa icché gli avrà capito.

FRED. (Estrae dal sacco qualche scatoletta di carne). Corn Beff fidanzata, Corn Beff figlia, Corn Beff matre…

VINCENZO. Corna e beffe pe' tutti!

FRED. Tutti, okei! Ciocolatt… Bu… buro… Basca… Bescu… Bische…

FANNY. Unn'avrà mica intenzione d'offendere, eh?

MANON. Biscotti.

FRED. Bescuotti. Okei! Bescuotti fedanzata… bescuotti figlia…

VINCENZO. Ora ricomincia!

FRED. Bescuotti… tutti! Mangiare! Io potare tanti mangiare…

ERNESTINA. Grazie. L'è molto gentile.

FRED. Gèntele. Okei!

MANON. Fred, t'unn'avevi detto che dovevi partire?

FRED. Patire… Io.

MANON. Sì, te… Ma vedo che un se' partito… t'un parti più?

FRED. Patire. Okei!

VINCENZO. E' partirà più tardi, 'n giornata.

FRED. Gionata? Gionata. Okei!

FANNY. L'è come i bambini di du' anni: ripete sempre l'ultima parola che sente.

FRED. Patire… Graseto.

VINCENZO. Senti come parte. E' parte grassetto.

MANON. Ma forse vorrà dire che va a Grosseto. Che vai a Grosseto?

FRED. Grosetto… okei. Patire Grosetto!

MANON. E t'un ritorni più qui?

FRED. Qui? Tu fidanzata…

MANON. Sì, va bene. Ma vorre' sapere se tu ritorni oppure…

VINCENZO. Ma si capisce che ritorna. Sennò che avrebbe portato tutta quella roba?

FRED. (Vedendogliela accennare). Cornbeff… cioccolat… bescuott…

ERNESTINA. cassatine Avio! S'è capito, s'è capito.

FRED. Capeto. Okei!

FANNY. Okei, okei. Fa venire i' mal di' grovigliolo!

ERNESTINA. Allora lei non lasciare fidanzata?

FRED. Menon… fidanzata…

ERNESTINA. Appunto. Ma lei, che gli vòl bene davvero? Perché questa l'è una gran brava bambina.

FRED. No bambena… Segnorina!

VINCENZO. Qualcosa, però, capisce…

ERNESTINA. Signorina… molto bòna…

FRED. Bòna. Okei!

ERNESTINA. Con lei bisogna fare su i' serio…

FANNY. E' fa, la un dubiti. La lasci che torni da Grosseto…

ERNESTINA. Ma sa, sono stranieri… son soldati. Gli è meglio intendesi bene…

VINCENZO. Intendisi con lui? Gli è lo stesso che voler raddrizzar le gambe ai cani.

ERNESTINA. (A Fred). Lei non deve venire qui per divertirsi.

FRED. (Che non capisce, continua a sorridere). Dividessi…

FANNY. La un gli dica altro, sora Ernestina.

ERNESTINA. Eh, no. Gli è necessario, pe i' tu' bene. Però, sora Fanny, sarebbe giusto che questa cosa la la trattase lei, come zia…

FANNY. Ma icché la vòle, sora Ernestina? o discorre co' lui o co' i' muro…

VINCENZO. La tel'ha detto anche la Manon: un gli dir altro…(Fred ha stretto a sé Manon e la sta baciando) … tanto, t'un lo vedi? De' tu' discorsi un sa icché fassene. Icché vòle lo sa da sé.

ERNESTINA. Ma gli è propio questo i' pericolo: che cerchi l'avventura e basta. (A Fred). Amare Manon? Amare?

FRED. Okei! Grante mare…

ERNESTINA. No, volevo sapere se lei amare Manon?

FRED. Grante mare… Menon… Okei! Io potare grante mare… America!

FANNY. La vòl portare in America? Gli è un pochino che la se ne strugge.!

MANON. Davvero, Fred? Mi porti in America?

FRED. America. Okei!

ERNESTINA. Adagio, però. Prima di portare in America, sposare…

MANON. Ma icché la dice, sora Ernastina?

ERNESTINA. Come, icché dico? T'un penserai, perché ti capitò quella disgrazia, di non esser più degna d'aver la tu' parte di felicità? Sora Fanny, su questo punto la sarà irremovibile anche lei!

FANNY. Eh! Che si domanda? O la sposa… (fra sé9. o la fa come vòle!

VINCENZO. (Fra sé). A me mi par d'essere a un filme co' Stallio e Ollio!

ERNESTINA. Pe' poterla portare in america, bisogna sposare manon, sposare!

FRED. (Che non capisce, conciliante). Sposare. Okei!

MANON. (Per tagliar corto). Ma un c'è furia. Ci sarà tempo di riparlarne. Per ora c'è sempre la guerra…

FRED. Guerra! Vettorea! Grante mare! America!

VINCENZO. Questo gli è chiaro, eh? La guerra la finisce con la vittoria e lui e la Manon gli attraversano i' grande mare e vanno 'n america.

FANNY. Accidenti. Però. Come gli è telegrafico.

ERNESTINA. (Raggiante). Allora si pòle stare tranquilli? La la sposa? Bravo! Così fa un giovane per bene. (Agli altri). Noi, però, bisogna dirgli tutto…

VINCENZO. Tutto icché?

ERNESTINA. A me un mi piace d'ingannare nessuno. Onesto lui, onesti noi. (A Fred). La signorina… povera signorina…

FRED. (Un po' seccato). Signorina… okei, fidanzata!

ERNESTINA. Sì, ma gli è giusto che lei la sappia…

VINCENZO. (Scattando). Ma icché tu vòi che sappia? T'un l'hga ancora capito che lui un capisce? Ma poi, icché gliene importa a lui? Siamo noi che si dà tanta importanza a certe cose. Lui gli è americano. Americano e liberatore. Bisogna che si contenti d'occupare le zone 'n do' va, nelle condizioni che le si trovano! (A Fred). Vero che a lei di certe bazzecole n gliene importa nulla? Lei lìè venuto pe' liberarci. La ci libera e la ci porta de' be' sacchi di scatolette. E la un ci chiede nulla, nemmene di digli grazie. Perché meno si discorre e meno fatica la dura. Unn'è così? E allora froza: okei!

FRED. (Stringendogli calorosamente la mano). Okei!

FANNY. E diciamognene anche noi, sora Ernestina! se gli fa tanto piacere: okei!

ERNESTINA. Okei.

FRED. Okei!

VINCENZO. E i' grullo che tu sei!

LILIANA. (Entra in fretta dal fondo). Sora Fanny… Grandi novità. Bisogna che la venga via subito subito!

FANNY. T'hanno requisito tutte le materie prime?

LILIANA. Ci hanno requisito ma noi! La un voleva essere ammesa alla cobelligeranza? A posto!

FANNY. Davvero? Ci hanno 'ncorporato?

VINCENZO. (Fra sé9. o vai! La s'è fatta pulita 'n fino a ora… e ora le mettan tutto 'n tavola.

ERNESTINA. Icché gli hanno requisito, sora Fanny?

FANNY. Eh… la… la csa, insomma.

FRED. (Tenendo abbracciata Manon esce dal fondo).

ERNESTINA. Ma come? O un c'è le su' nipoti?

LILIANA. Requisite anche quelle. Tutto requisito!

VINCENZO. (Fra i denti). Che la fa finita?

ERNESTINA. Ma gli è i' colmo! Allora questo fanno peggio de' tedeschi! Se uno unn'è padrone nemmeno 'n casa sua…

FANNY. Sa… cìè casa e casa…

VINCENZO. (Fra sé). Séguita…

ERNESTINA. Eh, no! Va bene che gli hanno bisogno di dimolti locali, ma un po' di tolleranza…

FANNY. E gli hanno requisito anche la nostra, vah!

VINCENZO. La casa della sora Fanny l'è grande, capisci? Co' un buggerio di stanze vòte…

LILIANA. (che noin fa che ridere). Ma 'nvece di sudà' sette camicie, v'un fareste meglio a digli che casa l'è? Mi pare che la sarebbe anche l'ora!

VINCENZO. Che mi fa' i' piacere…

FANNY. T'ha cominciato presto, stamani a alzare i' gomito!

ERNESTINA. (Allarmatissima). Che casa l'è, sora Fanny?…

FANNY. Signora… Icché la vòle che gli dica? S'è fatto i' possibile perché la potesse credere che quella sera l'era capitata in una casa come tutte l'altre… e fin qui, ci s'era riesciti! Ma ora che quella boccalona l'ha spifferato ogni cosa…!

ERNESTINA. (Prendendosi la testa fra le mani, sospira profondamente). Oh…

VINCENZO.(Alle sue spalle, pronto ada agguantarla in caso di svenimento, fra sé). Eccoci, vah. Ora gli piglia i' coccolone…

LILIANA. Via, signora…Po' poi, bada lì!

FANNY. (Minacciandole un0o schiaffo). Te, se t'un ti levi di torno!…

LILIANA. (Fa una spallucciata ed esce dal fondo)

ERNESTINA. Ma anche te, Cencio, come si fa a non m'avvertire quella sera?

VINCENZO. Senti, o'! e' mi stracolla' un braccio perché t'unn'entrassi in quell'uscio!

FANNY. C'è anche da dire che, se la un ci fosse entrata, chissà se ora la sarebbe qui…

ERNESTINA. (Senza ascoltarla). Icché dirà don Arturo…

VINCENZO. Ma nulla…

FANNY. Ci sarebbe entrato anche lui, la un si confonda.

VINCENZO. In certi momenti, quando la pelle l'è in pericolo…

FANNY. In tutti i modi… Io gli domando scusa, signora… per me e per quelle figliole… Anche loro le son delle disgraziate… Ma a lei ci siamo tanto affezionate, la creda che ci pare d'un essere più noi. Eppure un gli si può nemmen dire "arrivederci". Donne come noi, le si salutan sempre con un "addio".

ERNESTINA. Sora Fanny, forse son io che ho mancato di più. Un s'ha nessuno i' diritto di giudicare i' propio simile… La mi scusi. Anche pe' l'educazione che ho avuto, un l'avre' dovuta mortificare come ho fatto. Certo. Un gli prometto che, tornando a Firenze, potrò venire a fargli una visita…

VINCENZO. (Fra sé). Ci anderò io…

ERNESTINA. Ma mi dica pure "arrivederci". E se capiterà d'incontrarci per la strada… un c'è ragione perché un ci si saluti. Di' male un ce ne siamo fatto. Vero, Cencio?

VINCENZO. Di male? Anzi!…

FANNY. Ma, signora, e l'opinione della gente?

ERNESTINA. La gente? Quale gente? Le persone serie? Quelle che l'hanno ridotto i' mondo in questo stato? La mi venga 'ncontro, sora Fanny, e la m'abbracci pure! C'è tanto bisogna do volersi bene, fra tutte queste rovine!

FANNY. Come l'è bòna lei!

VINCENZO. (Contando sulle dita). Ma bòna, bòna, bòna…

SIPARIO