L’abito nero

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L’ABITO NERO

Commedia in un atto

di GUGLIELMO GIANNINI

                                   

PERSONAGGI

ALBERTO, attore

MARISA, attrice

NINA, attrice

CARLO, attore

TERESA, attrice

PASQUALE, attore

ALDO, attore

La sarta

REMIGIO, suggeritore

ERNESTO, ammi­nistratore

VINCENZO, direttore di scena

ROBERTO, trovarobe

IL CUSTODE del pal­coscenico

BALDASSARRE BRÀNDANO, au­tore

VITTORIO VALENTINI capocomico

LUIGI, segretario

MARIA VALENTINI

Commedia formattata da

 (Palcoscenico dì prosa in ora di prova, suggeritore al tavolo verso destra, un divano di stoffa verso sinistra, un altro di paglia verso il fondo. Sedie sparse. Scene raccolte contro la parete di fondo, macchinisti, attori, portiere, custode, facchini che vanno e ven­gono senza disturbare l'azione. E' mezzogiorno, sta per finire la prova d'un atto. In una piccola città di provincia, epoca presente).

Alberto                          - (trentacinque - quarant'anni, sta provan­do; abito da città, calzoni e scarpe nere, eventual­mente soprabito chiaro e cappello; a Marisa) Senti, cara, al tuo signor padre non si offrono che due possibilità : o aspettare con rassegnazione o aspettare senza rassegnazione!

Marisa                           - (venticinque - trent'anni, abito da città, cappello, si rifà le labbra provando) Oh, ma è una tragedia!

Nina                              - (vent'anni, cappellino, fuma) Papà non accetterà mai!

Carlo                             - (venticinque anni, prova; ha in mano un giornale sportivo, che legge quando non prova, non porta cappello) Deve accettare, con le buone o con le cattive!

Teresa                            - (cinquant'anni, cappello, borsetta, guar­dando l'orologio al polso) Badate, ragazzi, mio marito non è poi tanto stupido quanto sembra!

Pasquale                        - (cinquant'anni, o anche meno e molto di meno : ma in questo caso reciterà come un attore che poi, truccato, sembrerà vecchio; è an­che lui in abito da città) Ah ah! Sarebbe trop­po eh?

Remigio                        - (suggeritore, ha pazientemente letto tutte le battute che gli altri hanno dette; a questo punto si ferma un attimo, poi continua con la sua voce monotona) Cosa sono io, un uomo o uno spa­ventapasseri? Un padre, un marito o un ecto­plasma?

Pasquale                        - Questa battuta non va.

Remigio                        - Scusa...

Pasquale                        - Lo so, è inutile che me lo ripeti, per tagliare ci vuole il signor capocomico, ma siccome il signor capocomico non c'è...

Alberto                          - c...si prova lo stesso, senza tagliare.

Pasquale                        - Senti, giovanotto antico, io faccio questo mestiere da quarant’anni!  Le battute che non debbo dire non le voglio dire perché , se le dico, poi finisce che le dirò!

 Marisa                          - Cos'è, un indovinello?

Remigio                        - Dice che non vuol dire le battute che poi si taglieranno, perché  se le dice alla prova ha paura che poi, alla recita, le dirà anche se sono state tagliate!

Alberto                          - (a Pasquale) Ma chi te l'ha detto che si deve tagliare quella battuta?

Pasquale                        - Me l'ha detto la logica che ai tempi miei si studiava! A questa mia cretinissima battuta la signora (indica Teresa) deve riconoscermi e sve­nire, poi svieni tu e svengono le due ragazze, dopo di che lui (indica Carlo) dice : « Sipario! » e sviene anche lui...

Carlo                             - E' un finale surrealista!

Pasquale                        - Per me è il finale di uno che non sa fare i finali, ma questo non mi riguarda. Faccio notare soltanto che se Teresa sviene perché  mi riconosce, non si capisce perché  aspetta ch'io dica tutta quella battuta per riconoscermi... Dovrebbe bastarle il primo suono della mia voce per proce­dere al riconoscimento... Appena ho detto : « Ah ah, sarebbe troppo, eh? » dovrebbe fare il suo stril­lerò e svenire. Almeno così dovrebb'essere secondo la logica delle cose... (Ernesto, amministratore della compagnia, entra discutendo col macchinista a bassa voce, accennando alle scene. Vincenzo, diret­tore di scena, e Roberto, trovarobe, si avvicinano a Ernesto e al macchinista e incominciano anche loro a discutere. Non occorre che si capiscano le loro parole, si deve intuire che parlano della scena, dei mobili, dei soprammobili).

Marisa                           - (rispondendo a Pasquale) ...ma siccome la logica delle cose in questa compagnia non esiste, occorre dire la battuta così com'è indicato dal copione.

Pasquale                        - E io non la dico, perché  se la dico la dirò! La salto. Tanto lo so che sarà tagliata... come sarà tagliata tutta la commedia che non sarà mai rappresentata...

Ernesto                          - (seccato) Che ne sai tu?

Pasquale                        - (si volge di scatto) Eccolo qua... l'am­ministratore è sempre presente, credi d'essere solo, e lui ti sta alle spalle!

Ernesto                          - Meno quando ti dò la paga, che allora ti sto di fronte!

Pasquale                        - E' la terza volta che mi rinfacci la paga, come se non me la guadagnassi!

Ernesto                          - Stai chiacchierando, non lavorando!

Pasquale                        - Avevamo cessato di lavorare, l'atto è finito, mancano solo gli svenimenti!

Ernesto                          - Be', svieni!

Pasquale                        - Io non debbo svenire, debbo solo guardare gli altri che sono svenuti e poi fissare lo sguardo avanti, stupito.

Ernesto                          - Be', fissa lo sguardo e stupisci!

Pasquale                        - In prova lo posso fare, ma alla recita non so se ci riuscirò!

Ernesto                          - E perché ?

Pasquale                        - Perché  se m'arriva un pomodoro in un occhio come faccio a fissare lo sguardo?

Ernesto                          - Non fare il buffone e ringrazia il cielo d'essere scritturato, di questi tempi... Avete pas­sato le parti, adesso verrà il commendatore e darà le posizioni e le intonazioni, poi ci leggerà la sua commedia nuova...

Pasquale                        - ...e la commedia surrealista sarà messa a dormire, meno male! (Agli altri) L'avevo detto io che questa non si sarebbe fatta? Noi non rappresentiamo che repertorio del signor capoco­mico! (Gli altri sono in imbarazzo).

Ernesto                          - (seccato, minaccioso) Cosa vuoi dire?

Pasquale                        - Quello che ho detto... Non c'è niente di male! Non capisco perché  il commendatore, che sa scrivere così bene le commedie adatte a lui e alla sua compagnia, perda tempo, e ce ne faccia perdere a noi, con gli infelici tentativi degli altri...

Ernesto                          - Perché  vuole, spera almeno, di trovare qualche cosa di nuovo...

Alberto                          - ...di diverso, se non altro...

Marisa                           - Il pubblico si stanca, alla fine, di sen­tire sempre le stesse cose, vedere le situazioni, sem­pre quelle, presentate sempre nello stesso modo, quasi con le stesse parole...

Carlo                             - Il teatro è vita e la vita è varia!

Nina                              - L'arte è la ricerca incessante del nuovo e del vero...

Teresa                            - Ma se è vero non è nuovo e se è nuovo non è vero...

Pasquale                        - Sentite... Io sarò il vegliardo, lo scarpone e tutte le altre cose che mi dite alle spal­le... (Vocio di protesta degli altri) Sì, vabbène! Ma nel mezzo secolo avvantaggiato di palcoscenico che ho sulle spalle c'è la sola verità teatrale che ho imparata : il pubblico non vuole niente di nuovo a teatro come non vuole niente di nuovo alla trat­toria. Un giorno col pomodoro, un altro col ragù, un altro ancora col burro, con le alici, col pesto o alla matriciana, ma sempre spaghetti chiede. Così È prima c'era Pulcinella, poi c'è stato il brillante, ; oggi c'è... be', non facciamo nomi, e sempre lo stesso è Questi autori che credono di scrivere cose!  nuove, senza stare qui, sopra queste tavole, sera j per sera per anni e anni di seguito, mi fanno pietà quando non mi fanno rabbia...

Il Custode                     - (viene da uno dei lati della scena, s'avvicina a Ernesto) C'è il professore Baldassarre Bràndano...

Ernesto                          - Come?

Il Custode                     - Baldassarre Bràndano!

Ernesto                          - E chi è?

Il Custode                     - E' il Preside del Liceo, persona per bene, vuole parlare con lei...

Ernesto                          - Fallo parlare col segretario, vorrà qualche biglietto di favore per...

Il Custode                     - No, no, vuole parlarvi della commedia...

Ernesto                          - Quale commedia?

Il Custode                     - La sua, quella che le ha dato l'anno scorso...

Ernesto                          - A me?

Il Custode                     - Sicuro, glie l'ho portata io, non si ricorda?

Ernesto                          - Una commedia di Brandassarre...

Il Custode                     - Baldassarre... Baldassarre Brandano, la conosciamo tutti, l'ha letta a tutto il paese...

Ernesto                          - Madonna aiutaci!

Il Custode                     - E tutto il paese sa che anche il commendatore l'ha letta, gli è piaciuta e la vuol fare... Così è venuto a pregarla che glie la faccia almeno per una sera, qui... l'ultima sera, magari...

Ernesto                          - Senti, digli che non ci sono...

Il Custode                     - Scusi...

Ernesto                          - (muovendosi) ...che sono partito, ma­lato, morto...

Il Custode                     - (trattenendolo) No, scusi, scusi, cavaliere, ma lei deve capire... Lei domenica sera se ne va e chissà quando capiterà qui un'altra volta... Ma io ci debbo rimanere qui, e di giorno faccio il sottocustode al Liceo, non mi vorrà met­tere nei guai col professore Baldassarre Bràndano...

Ernesto                          - (fa per muoversi) Stasera vedremo...

Il Custode                     - (lo afferra per la giacca) Ma no, scusi... (Chiamando) Professore! Ecco l'ammini­stratore, felicissimo di riceverla...

Baldassarre                   - (entra da dov'è entrato il custode; ti­po ordinario di professore sui cinquantacinque anni, occhiali, pancia, timido, e nello stesso tempo im­placabilmente tenace. E’ vestito assai modestamen­te, si toglie il cappello entrando, s'avvicina a Ernesto, gentile, umile, ma è chiaro che non se lo la­scerà più scappare) Buon giorno, caro cavalier Minestrini, come sta, come sta la signora Gabriella...

Ernesto                          - (sbalordito) Gabriella?

Il Custode                     - (a Baldassarre) Sa, adesso si chia­ma Caterina...

Baldassarre                   - Come, la signora Minestrini ha cambiato nome?

Ernesto                          - Veramente sono io che... che ho cam­biato signora... ma... scusi, sa... volevo dirle... adesso non ho tempo... a proposito di quella sua comme­dia... Noi, da qualche tempo, facciamo degli atti staccati, unici...

Baldassarre                   - (sorride) La mia commedia è appunto in un atto unico...

Ernesto                          - Sì, voglio dire... atti unici ma non tanto e... non sempre... Alle volte in due quadri...

Baldassarre                   - Il mio atto unico è appunto in due quadri...

Ernesto                          - (si passa una mano sulla fronte) Senta, in questo momento io... non ricordo con precisione la vicenda, ma...

Baldassarre                   - Glie la posso raccontare. Si tratta di...

Ernesto                          - (guarda disperato intorno a se, gli attori e i tecnici si sono allontanati, e solo il suggeritore è rimasto al suo tavolo, indifferente) Non ho il tempo per parlarne adesso... Il debutto, lei sa... anche su una piccola piazza come questa è sempre un problema da risolvere, ci sono tanti imprevisti, tanti        - (gesto) eh? Le prometto che al primo mo­mento di calma, ne parlerò al commendatore e...

Baldassarre                   - Ma non c'è bisogno di parlar­gliene, il commendatore conosce benissimo la mia commedia...

Ernesto                          - Ah...

Baldassarre                   - L'ha letta, gli è piaciuta, m'ha scritto che vorrebbe rappresentarla ma...

Ernesto                          - Ah, ecco, c'è un « ma »... Già, mi sembrava strano che il commendatore le avesse scritto, comunque...

Baldassarre                   - (frugandosi in tasca) Ho qui la lettera...

Ernesto                          - Non occorre! Se c'è un « ma » c'è una ragione che c'impedisce di... eh? Sa, alle volte si vorrebbe favorire una persona degna, e poi... Guar­di, io le prometto che parlerò al commendatore, mi farò dire che cosa si oppone, in che consiste il « ma », e poi...

Baldassarre                   - Ma è inutile parlare con lui, di­sturbarlo nel suo gran lavoro...

Ernesto                          - Ecco, lei è ragionevole e...

Baldassarre                   - Il commendatore m'ha spiegato benissimo il suo « ma ». E' lei che si oppone!

Ernesto                          - Lei... chi?

Baldassarre                   - Lei lei! Il commendatore ha scrit­to ben chiaro : vorrei tanto dare la sua commedia che è degna d'un vero e grande uomo di teatro...

Ernesto                          - Chissà a cosa pensava...

Baldassarre                   - Pensava a me, alla mia comme­dia che lo ha profondamente impressionato, legga la sua lettera... (Cava una busta dalla tasca, ma nella busta manca il foglietto; Baldassarre si rifru­ga in tasca nervoso) Non è possibile, l'ho presa pri­ma di venir qui, e poi la busta è questa... vede, con l'intestazione della compagnia...

Ernesto                          - (riprendendosi un po') Ho capito, ma tanto non serviva, lei ha forse esagerato un po' il benevolo giudizio del commendatore... E' sempre benevolo. Scrivere una commedia è difficilissimo... Non è vivendo in un piccolo paese che si può... Scusi, non dico per lei, ma... (Gli porge la mano) Lietissimo d'averlo conosciuto e ora, se permette...

Baldassarre                   - (l'afferra per la giacca) Ah no, lei non può lasciarmi cosi; e io non mi farò la­sciare così... La lettera... ora ricordo perché  non l'ho, che sciocco... l'ho fatta mettere in un qua­dretto, sotto vetro, la tengo al centro della parete d'onore nel mio salottino... « Una commedia che mi ha profondamente commosso »... Lei capisce come io tenga a quel giudizio a cui è legata la mia vita... Ho creato qualcosa con questo mio lavo­retto, potrei mettere finalmente il capino fuori dalla mia galera... Questa è una galera, capisce? Una galera! Alla quale lei mi condanna, senza una ragione, senza un profitto nemmeno! Perché  si op­pone a che io sia finalmente rappresentato? Cosa le ho fatto di male?

Ernesto                          - (impressionato, spaventato) Ma... scu­si... e mi lasci la giacca, Santo Cielo... Cinque minuti fa io non sapevo nemmeno che lei esi­stesse... Chi le ha detto che io, proprio io, mi op­pongo a...

Baldassarre                   - Me l'ha scritto il commendatore, la sua lettera, l'ho stampata qui... (Si batte la fronte) « Vorrei tanto rappresentare il suo lavoro ma disgraziatamente debbo fare i conti con l'am­ministratore... ».

Ernesto                          - Ma l'avrà scritto in senso generico!

Baldassarre                   - (ignorando l'interruzione) « Il teatro non è soltanto Arte, è anche e principal­mente industria e vi sono necessità amministrative che... ».

Ernesto                          - (respirando) Ah, ecco, « necessità am­ministrative », non opposizione, personale inimi­cizia dell'amministratore! Ci saranno difficoltà di messa in scena, spese...

Baldassarre                   - Ma io ho rinunziato a tutti i diritti d'autore...

Ernesto                          - Non è detto che basti, spesso accade che...

Baldassarre                   - Sono pronto a pagare tutte le spese in anticipo...

Ernesto                          - Senta, noi non possiamo in nessun modo...

Vittorio                         - (entra in fretta, cappello, pastrano, borsa sotto il braccio, sigaretta non accesa fra le lab­bra) Be', che c'è, sciopero? (Luigi, segretario della compagnia, lo segue con altre carte in mano).

Baldassarre                   - (immediatamente riconoscendo Vit­torio, salutandolo con effusione) Oh, buongiorno, commendator Valentini, come sta... Come sta la signora Virginia... (Maria, moglie di Vittorio, abito da città, qualche pacchetto, dei fiori in mano, segue, e si ferma stupita e indignata. Vittorio è sbalordito, si ferma, fissa Baldassarre che non ri­conosce. Baldassarre gli si avvicina) Come sta la sua affascinante cognata, signorina Clara?

Vittorio                         - Ma... ma... chi è lei... (A Ernesto) E voi, Bottino... Come vi viene in mente di farmi trovare in palcoscenico gente che...

Maria                             - (aspra) ... che chiede notizie della tua signora Virginia mentre io mi chiamo Maria, della tua affascinante cognata mentre io non ho mai avuto sorelle...

Baldassarre                   - (colpito) Santa pazienza, non vor­rei essere stato frainteso... La signora è evidente­mente la signora del commendatore...

Maria                             - Precisamente, Maria Valentini se non le dispiace!

Baldassarre                   - Felicissimo... (Fa per stringere la mano ma non ci riesce) Io sono il professor Baldas­sarre Bràndano, vecchio amico di suo marito...

Maria                             - Non me ne ha mai parlato...

Baldassarre                   - E' che forse sbaglio io, nella mia presunzione... Io sono un grande amico suo, e lui, si sa, con tanti amici... Volevo dire che con le pa­role « signora Virginia » e « affascinante cognata » non mi riferivo a persone viventi, a donne vere e proprie, ma ai titoli di due commedie mie...

Vittorio                         - (respirando, a Maria) Oh, hai visto... si trattava di commedie e tu subito ti sei montata... Il professor Brancaleone...

Baldassarre                   - Bràndano...

Vittorio                         - Bràndano... Brancaleone è il nome...

Baldassarre                   - Il nome è Baldassarre...

Vittorio                         - Be'... mi chiedeva notizie delle com­medie... Che fine hanno fatto « La signora Virgi­nia » e «L'affascinante cognata Clelia»?

Maria                             - Ha detto Clara!

Vittorio                         - Non mi posso ricordare i nomi di tutte le...

Maria                             - Certo, ci vorrebbe un segretario! E c'è! C'è! (Fissa minacciosa il segretario ed Erne­sto) Ma deve finire questa storia! Deve finire!

Vittorio                         - Scusa, se lui stesso ha spiegato...

Maria                             - Mi persuadono poco certe spiegazioni! Dopo la prova faremo i conti! (Esce furiosa).

Vittorio                         - (a Baldassarre) Senta, lei è proprio un guaio, un disastro nazionale...

Baldassarre                   - Non ho pensato di far male chie­dendo come stavano quelle due signore così sim­patiche... E' un'elementare regola di galateo... A me personalmente non me n'importa niente di sapere se stanno bene o no, ma lei sembrava così affezionato, così... (Parlando ha acceso un fiam­mifero e gli accende la sigaretta che Vittorio ha sempre fra le labbra).

Vittorio                         - (trae distrattamente una boccata di fumo, poi si toglie la sigaretta dalle labbra) Ma io non debbo fumare, perché  m'accende?

Baldassarre                   - Scusi, se non deve fumare perché  tiene la sigaretta in bocca?

Vittorio                         - Perché  non debbo fumare, ma vor­rei fumare, mi fa male fumare, ma soffro a non fumare, con la sigaretta non accesa io m'illudo di... (Irritandosi di più) Insomma basta! (Getta via la sigaretta accesa, ne cava un'altra che si mette fra le labbra) Lei non ha alcun diritto di accendermi la sigaretta! Voglio fumare con la sigaretta spenta! Ha capito?

Baldassarre                   - Ho capito. Io, caro commen­datore...

Vittorio                         - (furente) Mi dica cosa vuole e chi l'ha fatto entrare!

Baldassarre                   - Glie lo stavo dicendo, ma lei m'ha interrotto...

Vittorio                         - (non lo ascolta, a Ernesto) Cosa vuole?

Ernesto                          - E' un autore...

Vittorio                         - (contenendosi a stento, fissando Baldas­sarre) Ah, lei è un autore...

Baldassarre                   - Sì, commendatore, e le ho dato...

Vittorio                         - E naturalmente m'ha dato una com­media...

Baldassarre                   - Ecco, precisamente quattordici mesi fa, quando fu di passaggio in questo teatro...

Vittorio                         - Una delle solite commedie che tutti si credono in dovere di scrivere in provincia...

Baldassarre                   - Scusi...

Vittorio                         - Una delle solite boiate senza capo ne coda che un disgraziato deve leggere...

Baldassarre                   - Guardi, lei l'ha letta e l'ha tro­vata buona...

Vittorio                         - Le trovo sempre buone... almeno que­sto scrivo perché  sono una persona educata... Ma lei è tale un castigo di Dio, tale uno scocciatore, tale un'angoscia vivente che per la prima volta in vita mia voglio essere brutalmente sincero, al cento per cento villano! La sua commedia è una cretinaggine!

 

Baldassarre                   - Ma non può essere, commenda­tore, lei m'ha scritto...

Vittorio                         - Io scrivo a tutti lo stesso!

Baldassarre                   - Ma non quello che ha scritto a me!

Vittorio                         - Le dico che è sempre la stessa let­tera, e la scrive il segretario, non io... E le com­medie le legge lui, non io... E spesso nemmeno lui! Abbiamo altro da fare che perder il nostro tempo a leggere le stupidaggini di chi non sa che cosa è un palcoscenico, che non ha idea di ciò che ci vuole per interessare il pubblico, che non sa co­struire un personaggio, che non sa far entrare o uscire di scena un attore! Ce ne vuole per scrivere teatro, caro lei, ce ne vuole! In vent'anni che faccio il capocomico avrò letto migliaia di comme­die di sconosciuti, e mai - dico mai, ha capito? Mai! ne ho trovata una che si potesse rappre­sentare! La massima parte non valevano l'inchio­stro sprecato per scriverle! Oh! Mi sono sfogato una buona volta! Non ne potevo più di continuare a mentire per fare la persona beneducata!

Baldassarre                   - (è avvilito, quasi piange) E io che avevo aperto il cuore alla speranza... Dalla sua let­tera m'era parso di capire che la mia commedia era stata giudicata non dico un capolavoro, ma...

Vittorio                         - Capolavoro! Capolavoro! Come se fosse possibile pensare che il primo venuto... (Ha un gesto furioso) Una sola volta in tutta la mia vita d'attore ho avuto un buon lavoro... Sì, quasi un capolavoro, da uno sconosciuto, una comme­dia che se l'avessi avuta solo dieci anni fa avrebbe cambiato la mia carriera artistica da così a così... (Muove la mano prima con la palma in giù, poi in su) Un atto unico intitolato « L'abito nero »... (Baldassarre scoppia in pianto dirotto, i singhiozzi lo squassano) ... Un pezzo fortissimo, e nello stesso tempo d'una delicatezza inebriante... una garde­nia in un astuccio d'acciaio, un... (Guarda Baldas­sarre che continua a piangere disperatamente, si commuove) Be', ma adesso non esageri... Sono stato violento, ma le circostanze, deve capire... Prima la signora Virginia, poi quella sua insistenza esasperante, poi la sigaretta... Non si è sempre padroni dei propri nervi... Le faccio le mie scuse, se permette le offro due poltrone per lo spettacolo di stasera, così potrà venirci con la signora...

Baldassarre                   - (singhiozzando) Non ho... Non

Vittorio                         - E vabbene, venga con chi vuole... (A Ernesto) Fagli le due poltrone... (A Baldassarre) Di nuovo la prego di scusarmi e... (Fa per muoversi).

Baldassarre                   - (lo afferra) Oh no, commenda­tore... Non mi lasci... proprio in questo momento... Lei non ha la più piccola idea della mia com­mozione...

 

Vittorio                         - (tentando di liberarsi) Capisco, ma...

Baldassarre                   - ... di ciò che sento nel cuore per le parole che m'ha detto...

Vittorio                         - L'ho già pregato di perdonarmi...

Baldassarre                   - (sempre più commosso) Ma non posso perdonarlo, non debbo... Debbo ringraziarlo in ginocchio, baciarle le mani... « L'abito nero »... è mio, l'ho scritto io... (Vittorio è profondamente colpito, fissa Baldassarre che continua a piangere. Ernesto guarda Baldassarre con attenzione. Gli altri s'avvicinano, curiosi, interessati. Remigio comincia a scartabellare fra i molti copioni che ha).

Vittorio                         - (a Baldassarre) E' lei che ha scritto « L'abito nero » ?

Baldassarre                   - (commosso, ma poco a poco ripren­dendosi) Io...

Vittorio                         - Con quella barba...

Baldassarre                   - Me la posso tagliare...

Vittorio                         - No, volevo dire... Scusi, non ci faccia caso... Adesso ho capito perché  non può venire con la signora... E' vedovo, forse?

Baldassarre                   - No... celibe... Mantenere una fa­miglia con ciò che guadagnava un giovine inse­gnante... Poi adesso che non sono più nemmeno giovine...

Vittorio                         - Ho capito... Così quello che succede nell'« Abito nero » non è successo a lei...

Baldassarre                   - No... al padre di uno dei miei alunni... Ma è lo stesso esperienza diretta... sof­ferta, creda...

Vittorio                         - Ne sono convinto... ed espressa con una maestria che sorprende... l'ultima scena... scar­na, breve, intensa, pochissime parole perfette...

Baldassarre                   - E' lei... lei che sta dicendo pochis­sime parole perfette... che fanno, finalmente, un autore del povero insegnante invecchiato fra que­ste montagne... Quando... quando conta di rap­presentarla, la mia commedia? (Tutti hanno com­posto il volto a gravità, sembra che ciascuno sia dolente di dover rifiutare cosa che, potendo, da­rebbe molto volentieri).

Vittorio                         - (dopo una pausa, scuotendo la testa, con nobile sincerità) Mai, professore...

Baldassarre                   - (sussulta) Mai? E perché ?

Vittorio                         - Perché  non posso rappresentarla.

Baldassarre                   - Pensa che non è adatta al suo temperamento? Si sbaglia, sa, si giudica male, posso assicurarle che...

Vittorio                         - E' adattissima al mio temperamento, saprei benissimo fare la mia parte, e fra i miei scritturati c'è chi farebbe benissimo l'altra... Ma la commedia è troppo diversa dal mio genere solito...

Baldassarre                   - Scusi, il pubblico è assetato di novità...

Vittorio                         - Sì, che però debbono tenersi nella linea che l'attore ha scelta o che il pubblico gli ha imposta... E' un'impresa disperata cambiare quando proprietari di teatro, critici, spettatori hanno collocato l'attore in una casella...

Baldassarre                   - Ma se il rimprovero che si fa a certi attori è d'essere sempre gli stessi...

Vittorio                         - Sì... ma guai se cambiano... S'inco­mincia a dire « non è più lui » e il pubblico si svia...

Baldassarre                   - (è sopraffatto dall'amarezza) Perché  m'ha detto quelle parole che m'hanno fatto quasi impazzire di gioia... perché  non m'ha la­sciato nel mio dubbio d'essere un vecchio imbe­cille presuntuoso... Quasi un capolavoro... Lei mi dice che ho scritto quasi un capolavoro e poi si rifiuta di rappresentarmelo... E come vuole ch'io esca di qui? Come fa a non capire ch'io sono un altro, ora... Non più il povero scemo ch'è entrato approfittando dell'ascendente che ha sul custode... Ma forse non è vero niente... Lei m'ha preso in giro come prima...

Vittorio                         - Ah no, creda! (Vocìo d'affettuosa pro­testa di tutti).

Baldassarre                   - Lei ha recitato con me... M'ha rifatta la scena del grande attore che si burla dello sventurato che la miseria e la timidezza... e diciamo pure la viltà sociale... costringono a vi­vere e morire nel piccolo ambiente, nell'angoletto dimenticato... Adesso che me ne andrò, oppresso da un dolore che lei non può capire e di cui non le importa niente, lei riderà di me con i suoi attori...

Vittorio                         - (addolorato) Scusi, professore...

Baldassarre                   - Lei la mia commedia non l'ha nemmeno letta... Bene, mi ridia il copione e...

Vittorio                         - La sua commedia non solo l'ho letta e riletta, ma l'ho provata, coi miei attori, venti volte... (Vocìo degli altri per confermare).

Alberto                          - Io ho fatto il padre!

Marisa                           - Io la seconda monaca...

Nina                              - Io la prima...

Pasquale                        - Io il controllore dell'autobus...

Carlo                             - Io il fattorino...

Vittorio                         - (s'accosta al tavolo del suggeritore) Il copione dev'essere ancora qui...

Remigio                        - (mostrando il copione dell'« Abito nero ») Eccolo.

Vittorio                         - (a Baldassarre) Non posso permettere che uno scrittore, un galantuomo, vada via dal mio palcoscenico convinto d'essere stato preso in giro da quattro buffoni... Ora le metterò in prova la sua commedia, e le dimostrerò perché  non posso farla... (Al macchinista) Cesarino, la scena per l'« Abito nero »... (Al suggeritore) Tu vai via di là col tavolo...

Remigio                        - Vado in buca, se vuole...

Vittorio                         - Sì, è meglio... (Rapidamente il mac­chinista dispone la scena fissando le cantinelle sul pavimento, e farà calare un fondale che renderà più intimo il palcoscenico. Aiutato dal segretario e da Ernesto dispone verso destra due sedie, un tavolo e altro per fingere un camioncino che poi partirà. Gli attori prendono i loro posti dopo es­sere usciti e rientrati con gli abiti, o gli elementi d'abiti adatti alla commedia da recitare. Vittorio, indicando a destra ciò che sarà stato apprestato per fingere l'autobus) Qui, c'è l'autobus...

Baldassarre                   - Non dico un vero e proprio au­tobus, capisco ch'è una spesa forte, ma...

Vittorio                         - Quando c'è il lavoro, o almeno la scena o lo spettacolo, la spesa non deve mai pre­occupare... L'autobus caratterizza i tipi...

Baldassarre                   - Ecco... sono felice che lei mi dica questo... mi prova che ha letto la commedia con attenzione...

Vittorio                         - La so a memoria. Dell'autobus si vedrà solo la parte rivolta al pubblico : il movi­mento avverrà poi com'è descritto... L'importante è la folla...

Baldassarre                   - Ecco, la folla che vuol salire...

Vittorio                         - ... e quella ch'è già salita, l'autobus è pieno zeppo... (Vittorio fa un gesto e gli attori si dispongono davanti e dietro il simulacro d'au­tobus, incominciando subito a vociare e spingersi).

La Folla                         - (si pigia, s'ingiuria, voci varie) Piano! Non spingete! Come faccio a non spingere? Volete schiacciarmi? Spingono me! (Altre bat­tute a soggetto).

Carlo                             - (s'è messo in testa un berretto da fattorino di autobus) Avanti c'è posto! Vadano avanti!

Voci varie                     - Ma dov'è questo posto? Come si fa ad andare avanti? Dobbiamo camminare sulla gente? (Teresa fa per uscire dalla destra oltrepas­sando Carlo).

Carlo                             - (la ferma) Dove andate? Davanti non si può salire!

Teresa                            - (recitando come se fosse assai più vec­chia) Ma come faccio a salire di dietro? Non è possibile! Come volete che mi faccia largo per forza, alla mia età, in questo stato... Fatemi pas­sare, lasciatemi salire davanti, lo sapete dove an­diamo tutti, quando prendiamo quest'autobus... E' una carità che vi chiedo...

Carlo                             - (intenerito) Santa pazienza, signora mia, anche domenica scorsa avete fatta la stessa storia e ho dovuto finire col farvi salire davanti...

Teresa                            - E ve ne ho ringraziato e vi ringrazio, siete un uomo di cuore...

Carlo                             - Sì, ma...

Voci varie                     - Be', andiamo! E' tardi! Quando si muove questa lumaca? Ehi, fatemi almeno sa­lire! E dove volete salire, sui miei piedi? Ma lei si faccia più in là! E come mi faccio più in là? Non spingete! Mi spingono!

Teresa                            - (a Carlo) Vedete, come faccio a salire di dietro, io, povera vecchia? (Pasquale entra dalla destra, ha in testa un berretto di controllore del­l'autobus).

Carlo                             - (a Teresa) Zitta, il controllore!

Teresa                            - (si volge a Pasquale) Oh, giusto lei, signor capo, mi faccia questa grazia...

Pasquale                        - Che grazia?

Carlo                             - Vuol salire davanti...

Pasquale                        - Assolutamente escluso, il regolamen­to lo proibisce!

Teresa                            - Ma io ho settant’anni, come posso fare a pugni con gli altri?

Pasquale                        - Non dovete fare a pugni, violenza privata, passibile di contravvenzione e anche d'ar­resto!

Teresa                            - Ma io « debbo » andare, capite? « Debbo » andare!

Pasquale                        - Aspettate un altro autobus!

Teresa                            - Sono sempre pieni, e poi ne parte uno ogni mezz'ora!

Pasquale                        - Ogni diciotto minuti! Non so che farvi!

Teresa                            - Ma un po' di pietà, scusate... Questo bravo giovine domenica scorsa mi ha... (Carlo fa disperati cenni a Teresa di tacere. Teresa tace, impaurita).

Pasquale                        - (feroce) Ah sì? Vi ha fatta salire davanti? (Cava il taccuino).

Teresa                            - (quasi gridando) No! M'ha aiutata a salire di dietro.

Pasquale                        - (non convinto) Mh...

Carlo                             - (a Pasquale) Creda pure, capo...

Pasquale                        - (seccato di non potergli mettere una multa) Pensa a fare il tuo dovere, tu... non il cavaliere di grazia... (Alberto sta avanzando dalla sinistra verso l'autobus. Ha messo una giacca nera sui pantaloni e sul panciotto nero, ha in testa un cappello nero, con la fascia di lutto, porta om­brello e guanti neri in mano. Il suo volto è severo, grave: porta il cappello diritto sulla fronte, è un tipo di vecchio ufficiale in congedo, dignitoso, pu­lito, non disposto a cordialità ma corretto con tutti).

Teresa                            - (a Pasquale) Il cavaliere di grazia... con me?

Pasquale                        - Con tutti!

Teresa                            - Perché  è proibito aiutare una signora anziana?

Pasquale                        - Non ricominciamo con le signore anziane! Al mondo non ci sono soltanto signore anziane!  

Alberto                          - Ci sono anche gli ineducati e i villani.

Pasquale                        - (inviperito) Come, lei si permette?...

Alberto                          - che permetto cosa?

Pasquale                        - (furente) Verbale d'oltraggio! Io sono un pubblico ufficiale! (Cava il taccuino).

Alberto                          - E io che c'entro?

Pasquale                        - Lei m'ha chiamato ineducato e villano!

Alberto                          - Nemmeno per sogno. Lei ha detto che al mondo non ci sono soltanto signore anziane, io ho aggiunto che ci sono anche gli ineducati e i villani... e potrei continuare citando anche gli screanzati...

Pasquale                        - Sono anche screanzato?

Alberto                          - Non lei... Ci sono, al mondo, anche gli screanzati... come ci sono i cinesi, i professori di matematica, i falegnami...

Vittorio                         - (s'è messo una giacca un po' sbrindel­lata di stoffa chiara, un berretto per traverso, ha l'aspetto d'un operaio in non troppe buone con­dizioni. A gomitate e spintoni è riuscito ad arri­vare poco prima vicino all'autobus, si volge sec­cato sentendo parlare di falegnami) Cosa c'en­trano i falegnami?

Pasquale                        - Saranno screanzati anche loro!

Alberto                          - Non ho detto che sono screanzati, ho detto che al mondo ci sono gli screanzati e...

Vittorio                         - (interrompendo) Be', basta, ci hai scocciati!

Alberto                          - Nessuno s'è mai permesso di dirmi basta!

Vittorio                         - Te lo dico io!

Alberto                          - (inviperito) Voi non sapete chi sono io!

Vittorio                         - Lo so, sei una persona distinta, col colletto, un fregnone borghese!

Alberto                          - Ah, questo è troppo!

Vittorio                         - E' troppo poco, sei due fregnoni, uno per conto tuo, un altro per quella faccia di iettatore beccamorto... (Gli fa le corna con le mani) Tè! Tè! Ma guarda chi deve parlare dei falegnami! (Gli altri commentando, ridono; stre­pito, vocìo vario. Teresa cerca d'interporsi, Pa­squale e Carlo spingono la folla nell'autobus gri­dando : « Andate avanti! Andate avanti! Avanti c'è posto! »).

Alberto                          - (fuori di sé, minacciando Vittorio con l'ombrello) Vi ricaccerò in gola queste parole!

Vittorio                         - (dall'alto della piattaforma dell'autobus, trattenuto da chi lo spinge per salire) E io ti rompo la faccia, hai capito? (Agli altri) Fatemi scendere! (Tutti protestano. Vittorio fa di tutto per scendere ma è respinto dentro l'autobus).

Alberto                          - (minaccioso, puntando l'ombrello) Scendete, così imparerete come si trattano i cial­troni! (Vittorio, dall'autobus, gli fa un pernacchio) Miserabile!

Pasquale                        - (ad Alberto) Ma state zitto, è più giovine e più forte di voi, se riesce a scendere ve ne dà quante ne volete! Sperate di fargli paura con l'ombrello?

Alberto                          - (furente) L'ombrello, quando è in mano di chi conosce la scherma, è una spada! (Vibra una puntata a Pasquale alla spalla).

Pasquale                        - (vacilla sotto il colpo, s'afferra all'au­tobus, ha un grido) Ahi... ma...

Alberto                          - E non ci ho messo che la quarta parte della forza che ho. Se ve lo dessi in un occhio vi sistemerei per sempre! Volete che provi?

Pasquale                        - (intimorito) Ma scusi, signore, lei...

Alberto                          - Vi darò querela, insieme a quell'altro mascalzone che saprò subito chi è e dove abita... (A Teresa) Venga, signora, le offro un posto in tassì...

Teresa                            - Oh grazie, signore, mi fa proprio una carità... (Alberto esce fieramente, seguito da Te­resa. Pasquale è sbalordito. Carlo è quasi contento).

Vittorio                         - (furibondo, lottando con gli altri sull'au­tobus) Ma fatemi scendere! Fatemi scendere!

Carlo                             - Lascia perdere!

Pasquale                        - Quello è maestro di scherma, non hai visto?

Vittorio                         - (con voce normale) Alt, grazie... (Si fa largo, scende. Baldassare avanza verso Vittorio e questi a Baldassarre) Ecco, così finisce il primo quadro : il controllore dà il segnale, l'autobus par­te mentre il falegname continua a gridare le sue ingiurie di carattere sociale contro il signore in abito nero, minacciandolo, chiamandolo sfrutta­tore, carogna, eccetera... litigando con gli altri che vorrebbero ma non possono farlo scendere dall'auto­bus... E' convinto, adesso, che il suo lavoro l'ab­biamo letto, studiato, provato?

Baldassarre                   - (fremente d'entusiasmo) Sì... è proprio come l'avevo immaginato... Forse quel... quel rumore volgare...

Vittorio                         - Il pernacchio? Sta nel copione...

Baldassarre                   - Sì, ma ora, ripensandoci, sarebbe meglio...

Vittorio                         - No, no, sta benissimo, è un effettone! (Gli attori hanno sciolto il gruppo e, in ordine e in silenzio, si preparano al secondo quadro. Qual­cuno si veste da giardiniere, un altro da spazzino, Marisa e Nina s'aggiustano come due monache. Il macchinista e gli aiutanti apprestano la scena per il secondo quadro. Sarà un giardino, pulito, ordinato; a sinistra sarà posto qualcosa che do­vrebbe figurare come una vasca di pietra, di circa due metri di lunghezza per uno d'altezza e mezzo di larghezza. E' recato un recipiente con un ru­binetto : il recipiente è pieno d'acqua che esce dal rubinetto; e si sentirà il chioccolìo dell'acqua che cade. Vittorio a Baldassarre) Passiamo al secondo quadro... La scena, naturalmente, è appena accen­nata, ma là (indica) c'è la vasca come lei la de­scrive, con la bocchetta dell'acqua che cade, cade, continuamente... (Mentre Vittorio parla e indica le azioni, gli altri le fanno; c'è un senso di com­postezza, d'attenzione tesa) Passa un giardiniere, poi un altro che spazza, poi vengono le due suore che si fermano alla fontana facendo l'azione come lei l'ha descritta...

Baldassarre                   - Certo l'ambiente è triste, ma...

Vittorio                         - (è rattristato) Non è l'ambiente che rattrista... Si può ridere e far ridere in un carcere, in un ospedale... Questo... giardino... non è par­ticolarmente triste per quello che è... ma per ciò che v'accade... Là la fontana, quello è il viale, di qui l'uscita per il ripiano secondo... Le due mo­nache hanno finito di pulire le due piccole urne... (La prima e la seconda monaca stanno ora termi­nando di lavare le due urne, che prima non si vede­vano perché  eran tenute basse nella vasca) ... Ora il giardiniere porta loro i fiori...

Il Giardiniere                - (avanza con i fiori, li dà alle mo­nache, basso) Ecco, sorelle... non ho potuto trovarne altri... Per carità, non dite che ve li ho dati io...

Prima Monaca               - Siete sempre così buono...

Seconda Monaca          - Tanti di quei poveretti non hanno nemmeno un fiore...

Vittorio                         - (a voce più bassa) E questo, e gli altri dialoghi, accompagnati dal chioccolìo dell'acqua che cade nella fontana, continuo, uguale, gentile e tremendo come il tempo che passa, come il destino che ci porta tutti come e dove vuole...

Baldassarre                   - (commosso, basso) Vi ricordate anche le didascalie...

Vittorio                         - L'ho letta cento volte... Ed ecco il colonnello che arriva... (Alberto avanza dal se­condo ripiano con un'urna in una mano, con qual­che fiore nell'altra, e va alla fontana. Vittorio, Baldassarre e gli altri escono. Alberto incomincia a lavare la piccola urna accuratamente. E3 ancora più triste che nel primo quadro. Ha deposto i fiori sul bordo della vasca. Vittorio rientra dal secondo ripiano, ha anche lui un'urna e qualche fiore. Va alla vasca, si ferma vedendo il colonnello; poi si mette a lavare l'urna. E' profondamente triste anche lui. I due attori si guardano sottecchi, sor­vegliandosi : l'uno teme di dar fastidio all'altro nel lavare le rispettive urne. I fiori del colonnello, urtati da uno dei due, cadono. Vittorio li raccoglie e li rimette a posto, umilmente).

Alberto                          - (dopo una pausa, dopo averci evidente­mente pensato, a voce bassa, aspra) Grazie.

Vittorio                         - (basso anche lui) Prego. (I due attori continuano a lavare le urne e aggiustare i fiori. Vittorio, basso) Era anche lui nei granatieri?...

Alberto                          - (senza guardarlo) Sì.

Vittorio                         - Tenente...

Alberto                          - Tenente.

Vittorio                         - Il mio era caporalmaggiore... è quello che sta sotto, a sinistra...

Alberto                          - Vi ho visto... Giorgio, ventun anno...

Vittorio                         - E il vostro, Mario... ventidue... Io la guardo sempre... qualche volta ho pulito anche per lui... ci ho messo qualche garofano...

Alberto                          - Anch'io.

Vittorio                         - Me n'ero accorto... e dicevo... chi sarà... forse un compagno... non pensavo che... ma... Grazie.

Alberto                          - Erano tutti e due granatieri...

Vittorio                         - (dopo una pausa più lunga) Io... vi prego di... scusarmi per...

Alberto                          - (alza le spalle, ma non per disdegno, belisi come uno che pensa a ben più grande in­fortunio) Oh!

Vittorio                         - E' che... quando ci vengo... sono sem­pre d'umore cattivo... Non so... litigherei con tutti... Poi entro qui e mi calmo, e mi scende addosso... come una pace... Non so spiegarmi meglio...

Alberto                          - Capisco benissimo.

Vittorio                         - I primi mesi ero come... pazzo... Avevo solo quello...

Alberto                          - (più colpito) Ah...

Vittorio                         - E' una cosa che non si può capire...

Alberto                          - Altro che... anch'io avevo solo quello...

Vittorio                         - (ha uno scatto, tende la mano, come per toccare Alberto, accarezzarlo) Io... non so... cosa dire... Non ho... sono... una carogna... Non avevo capito... le chiedo perdono...

Alberto                          - Non dite questo... E'... un'umiliazione per me... le scuse... d'un fratello di sventura...

Vittorio                         - Fratello di sventura... Io non so dire, sono un... sì, un falegname... (Ha un gesto di rab­bia contenuta, amara) L'ho offeso e mi dispiace...

Alberto                          - Anch'io v'ho offeso, debbo anch'io chiedervi scusa...

Vittorio                         - Lei no... Io dovevo stare attento ve­dendolo in lutto... Lei no, che poteva saperne, di me? Non porto più nemmeno la fascia, non ho che questo vestito... Lei m'ha preso per un laz­zarone... per uno che... oh! Ma come me lo fac­cio un vestito nero? Con quello che costa un vestito? (Riprende a lavare l'urna, aggiusterà i fiori. Alberto è commosso, ma sempre nel suo stile severo; ha finito di aggiustare i fiori, esita, poi cava un biglietto da visita e lo porge a Vittorio che lo guarda stupito).

Alberto                          - E' il mio biglietto da visita... Venite da me, domani in mattinata...

Vittorio                         - (ha preso il biglietto, legge a stento) Alberto D'Alessandro... Lei è... colonnello?...

Alberto                          - In congedo... Quando gli morì la madre... tre anni fa... mio figlio si fece un abito nero...

Vittorio                         - (ha capito; è profondamente commosso, fa per rifiutare) Oh!...

Alberto                          - Era all'incirca della vostra statura, forse non ci sarà bisogno nemmeno di aggiustarlo...

Vittorio                         - (con voce strozzata) Lei... lei... pensa di... a me che...

Alberto                          - Sono contento di darvelo, lui l'ha messo poche volte, andò subito sotto le armi...

Vittorio                         - (strozzato) Ma io non posso...

Alberto                          - E sarà contento anche lui... come lo sarà il vostro... Io non potrei mai portarlo quel vestito... Anche se m'andasse non ne avrei il co­raggio. V'aspetto domattina. (Porge la mano a Vit­torio che gli prende la mano con impeto, gliela bacia. Alberto, con dolcezza) Non fate questo... mai, con nessuno... (Sì libera dalla stretta di Vit­torio) A domani...

Vittorio                         - (a stento) A domani... E grazie...

Alberto                          - Son io che ringrazio voi. (Esce con l'urna e i fiori dal passaggio per il secondo ripiano. Vittorio è rimasto impietrito col biglietto in mano, lo rilegge, lo mette in tasca; poi prende l'urna, v'aggiusta i fiori, si muove per uscire, piangendo).

Baldassarre                   - (irrompe profondamente commosso) Ma bravo! Bravo! Ne avete fatto una cosa stupenda! (Gli altri rientrano in scena).

Vocio Vario                  - Ma sì! Ha ragione! Lo dovete fare questo lavoro! Rendete così bene la scena! Sarà un grandissimo successo!

Vittorio                         - (ha deposto l'urna, scuote la testa) Non sarà un successo, perché  non la rappresen­terò mai!

Baldassarre                   - (disperato) Ma perché ?

Vittorio                         - Perché  non posso... Io ho fatto sem­pre l'attore comico, il pubblico non vuole questa roba da me, non crede ch'io la sappia fare... e se gliela faccio non mi prende sul serio... Io debbo far ridere, ridere... soltanto ridere! (Allarga un po' le braccia, sconfortato : e il suo volto esprime un profondo dolore).

FINE