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LADRI

Commedia in tre atti

DI ENZO DUSE

PERSONAGGI

SILA

GIUDITTA

ZIA CLE­MENTINA

MINO

MANUEL

FURIO

GIANNI

UN AGENTE DI POLIZIA

Oggi.

(Un lussuoso salottino. Porte ai lati. La comu­ne al centro. Un caminetto a de­stra. Alzatosi il sipario, la scena è vuota. Poi ap­pare Furio, ven­tanni, berretto in testa, sciarpa al collo, scarpette da ciclista, tutt'inzuppato dalla pioggia. Voci concitate giungono dalla comune. Un attimo; e sulla soglia ecco Manuel seguito da Giuditta. Giuditta ha ventidue anni; Manuel cinquantacinque. Cappello a barchetta in testa, un paltoncino avana sdrucito e striminzito, cal­zoni attillati a scacchi, ghette bianche).

Giuditta                        - Ma non si può, non si può...

Manuel                          - Statti buona, che si può, sì...

Giuditta                        - Ci rimetterò il posto.

Manuel                          - Macché posto d'Egitto! I padroni ci sono o non ci sono?

Giuditta                        - Non ci sono.

Manuel                          - T'hanno avvertita che tornano stasera?

Giuditta                        - No.

Manuel                          - E allora non darti pensiero. Sarà affare d'un paio d'ore.

Giuditta                        - Qua, un paio d'ore?

Manuel                          - In questo salottino. Ah, un figu­rone; garantito!

Giuditta                        - (pestando i piedi) Ma no, ma no, ma no... (e piange di rabbia).

Furio                             - (riscaldandosi al caminetto, brontola) Alla malora l'inverno, il freddo, la pioggia e l'accidente che si porti tutti i malanni.

Manuel                          - (prende una sigaretta da un servizio che sta. su di un tavolino, l'accende e si sdraia sul divano) Perchè piangere? Se hai delle rimostranze da fare, falle a tua madre.

Giuditta                        - Già, perchè l'idea di capitar qui è sua, vero?

Manuel                          - Quando mai ho contato, io, nella famiglia?

Giuditta                        - Ma adesso che verrà mi sentirà!

Manuel                          - T'aveva pure scritto che avevamo hisogno, per l'occasione, d'una dimora pulita.

Giuditta                        - Ho risposto che era idea da pazzi.

Manuel                          - E, invece, stamattina ci siamo messi in treno. Un vero viaggio funereo. Dalla stazione in piazza siamo venuti a piedi. Final­mente madama ha rotto il silenzio. Ha detto: « Quella è la casa. Salite e aspettatemi ».

Giuditta                        - E' incredibile!...

Manuel                          - Arrangiati un po' con lei (e si stringe nelle spalle).

Giuditta                        - Oh, se m'arrangio...

Manuel                          - Io di qui non mi muovo...

Giuditta                        - E io ti ordino d'andartene.

Furio                             - (prepotente) Ma basta, basta...

Manuel                          - E' lei che strilla.

Furio                             - E tu non darle retta. Non vorrà, spero, la signorina, con quest'inferno che c'è fuori, buttarci sulla strada.

Giuditta                        - Voglio che non mi si faccia per­der il posto.

Furio                             - Insomma, la pianti o no?

Giuditta                        - (frenandosi, dopo una pausa, mastica) Sempre le solite prepotenze!...

Furio                             - (sedendo al caminetto) Bene. Comincia ad insultare. E me la porti ad esempio

Manuel                          - Io?

Furio                             - Tu! « Tua sorella eh, che ragazza! » E poi s'ha bisogno di lei per un'ora - che ci ospiti nella casa dove se la fa da signora - perchè dobbiamo ricevere una persona d'im­portanza - e a casa nostra mancano anche le sedie - e lei a strillare che perde il posto; e avrebbe il coraggio di metterci alla porta, sotto la pioggia.

Giuditta                        - Ma non capisci...

Furio                             - Capisco che è tuo dovere venirci in aiuto in un momento come questo.

Giuditta                        - Per riparare qualche nuovo pa­sticcio?

Furio                             - Pasticcio? Hai voglia!...

Giuditta                        - In galera finirai!

Furio                             - Io? Stupida! (e ride).

Manuel                          - (richiamandolo) Furio. Non sia­mo autorizzati a parlare...

Furio                             - Già, già... (Canticchiando) A mo­menti verrà la nostra signora madre, e allora...

Giuditta                        - Insomma, qui si dovrebbe rice­vere... il salvatore?

Manuel                          - Oh, Dio, il salvatore!...

Giuditta                        - E chi sarebbe?

Manuel                          - (pronto) Non lo so... Ha combi­nato tutto lei. Ha detto: «Non immischiatevene. Obbeditemi e non domandate ». Abbiamo ubbidito e non abbiamo domandato.

Giuditta                        - Ebbene, questo signore non met­terà piede in casa.

Manuel                          - H fatto non mi riguarda, piccina.

Giuditta                        - E voi re n'andrete prima che mia madre sia qui.

Manuel                          - Anche questa è un'idea.

Giuditta                        - Lo vedremo.

Manuel                          - (riprendendola) Giuditta!... (Ma Giuditta è già scomparsa sbattendo la porta. Dopo una pausa). Buone queste sigarette.

Furio                             - (s'alza di scatto; le cerca) Dove sono?

Manuel                          - Lì... (e indica il tavolo).

Furio                             - (si serve e ritorna a sedere).

Manuel                          - (dopo una pausa) Secondo me hai avuto torto.

Furio                             - A far che?

Manuel                          - A strillare.

Furio                             - Tu sei un debole.

Manuel                          - Ho uno stile.

Furio                             - E io della decisione. Quando un discorso non mi va, taglio netto. Stavi a di­scutere!

Manuel                          - A te ti si dà ragione solo perchè sbraiti. Come tua madre.

Furio                             - Già; mentre tu...

Manuel                          - Sì, ridi! Spesso nella vita, caro mio, la linea suggerisce programmi, crea sistemi.

Furio                             - Nella tua esistenza vedo solo falli­menti!

Manuel                          - Perchè ci sono gli accidenti; la scarogna. Dove li metti questi capricci del de­stino? Se siamo qui, ragazzo mio, gli è perchè l'ho suggerito io, a tua madre. Io, sì. (Si alza). Chiunque altro, nel nostro caso, avrebbe pianto sulla sua miseria, avrebbe accolto l'ospite in quella stamberga, e avrebbe concluso col chie­dere l'elemosina. Io no. Non mi dispero, io, per l'infortunio: mi rammarico; non offro al­l'ospite una sedia sgangherata, ma un buon di­vano; non imploro salvataggio: chiedo un pre­stito, da uomo a uomo. L'ambiente è carino, si ciarla: fra un cognac e un whisky si crea su­bito una certa intimità e lo scopo è ottenuto.

Furio                             - Tu hai avuto una gran fortuna nel­la vita.

Manuel                          - Cioè?

Furio                             - Mia madre.

Manuel                          - Forse!

Furio                             - Saresti morto di fame!...

Manuel                          - Forse. Ma ho avuto anche un torto.

Furio                             - Cosa dici? Cosa dici?

Manuel                          - Che se non fossi un sentimentale sarei stato il più grande giocoliere del mondo.

Furio                             - Già: Manuel Simon, eccentrico fan­tasista; i maggiori teatri del varietà; sale sfol­goranti di lusso, e tutti gli occhi e tutti i sorrisi delle più belle donne, per l'uomo dalle dodici palle d'avorio: là-là-là-là.

Manuel                          - E invece...

Furio                             - Per l'amore...

Manuel                          - Eccomi qua!

Furio                             - La scarogna!

Manuel                          - Ma non me ne rammarico...

Furio                             - (battendogli una mano sulla spalla) Di solito gli artisti non impegnano il proprio cuore con una sola donna per tutta la vita. Si vede che tu non eri un artista.

Manuel                          - Forse sono stato l'ultimo dei ro­mantici.

Furio                             - (dopo una lunga pausa) Di' un po': non sai proprio che sia la nostra àncora, sta­volta?

Manuel                          - No, non...

Furio                             - Ehm! Tutto questo mistero... Non è chiaro.

Manuel                          - E' triste! Eccola... (Si odono, in­fatti, delle voci).

 Sila                               - Buona, buona, buona, buona (entra seguita da Giuditta con due bottigliette in una borsa. Ha un ridicolo cappellino, una mantellina di topo, le scarpe scalcagnate. Il suo portamento - quando non va in collera - obbedisce ancora ad una certa innata signorilità). No, no; neanche una parola devi dire. Sai che non insi­sterei se non fossi presa per il collo, piccina mia. Se solo avessi il sospetto di poterti recar danno, ce ne andremmo tutti e tre. Eppoi la tua presenza mi è utile, per quel signore che. verrà; più che utile: necessaria. Ecco, brava; mastica il fazzoletto. Serve a calmare i nervi. Questo salotto va benone; sì. Proprio bene. E, del resto, guarda: per non darti grattacapi: co­gnac e whisky. Basterà che tu ci presti i bic­chierini, che non andranno rotti. E quando ce ne andremo, rimetterò tutto in ordine. Mastica, cara, mastica.

Giuditta                        - Ma che è accaduto, dunque?

Sila                                - Son qui apposta per dirtelo.

Giuditta                        - E allora parlate; sbrighiamoci.

Furio                             - Crede che l'imputato sia io.

Sila                                - Tu, sta zitto. (A Giuditta) I bicchie­rini?

Giuditta                        - (glieli indica).

Furio                             - Quando siamo entrati m'ha pian­tato addosso certi occhi da ranocchio!...

Giuditta                        - (acre) I tuoi debiti di gioco, l'ultima volta, li ho pagati io, se no saresti dentro.

Furio                             - E stavolta sono semplice testimonio! (Ride).

Manuel                          - (scattando, a Sila, che sta preparan­do il servizio) Insomma, Sila, fallo sméttere...

Sila                                - Ma che c'è? (Agitandosi) Che occhi da ranocchio? (Non ottiene risposta. Manuel soddisfatto si sdraia sul divano). Abbiate pa­zienza; non fatemi perdere la testa. (Ha un capogiro).

Furio                             - Al solito!

Sila                                - Solo per darmi coraggio.

Manuel                          - Dunque, con chi hai parlato?

Sila                                - Non ho parlato. (Siede).

Manuel                          - (stupito) Allora? (Sila tace). Suv­via, cominci a seccarmi con quest'aria di mi­stero...

Sila                                - (gli fa cenno di tacere) Sai, Giuditta - (Giuditta le si avvicina un poco). Stavolta non si tratta di tuo fratello. Lui, anzi, per dir la verità, s'è messo bene. Massaggiatore della squa­dra di calcio. Buona paga; eppoi non gioca più. Insomma: bene. Ma le disgrazie non vogliono lasciarci...

Giuditta                        - (intontita, addolorata) Papà?...

Sila                                - (premurosa) Non per cattiveria, pic­cina mia! Questione di cuore, sempre... Otto mesi fa... Si compiva il venticinquesimo anno del nostro incontro. Allora volle offrirmi un piccolo ricordo... Sai, quel braccialetto...

Furio                             - Che dopo un mese saliva le scale del sacro monte...

Sila                                - Per comprarti un vestito, ingrato; che allora non guadagnavi un soldo.

Giuditta                        - (freme) Insomma, dimmi...

Manuel                          - Ma non mi pare necessario...

Giuditta                        - Voglio sapere...

Furio                             - E fuori, una buona volta!

Manuel                          - Furio...

Furio                             - Aveva davanti la cassa aperta; e ha allungata la mano.

Giuditta                        - E' vero, mamma?

Sila                                - Se te lo dice! Ma tu non piangere. Sciagure, bambina mia. Abbiamo sempre ripa­rato per tuo fratello. Ripareremo pure stavolta. Anche se la cifra è piuttosto grossa...

Furio                             - Già, perchè dopo la prima man­ciata...

Manuel                          - Vuoi star zitto?...

Furio                             - ...la mano s'allungò a riprese....

Manuel                          - Insomma, Sila, se non lo fai ta­cere tu... (e gli si avanza contro).

Furio                             - (in posizione di schermitore) Eh, là; non vorrai perder la linea!...

Giuditta                        - Che vergogna, Dio, che vergo­gna. Sono scappata di casa per levarmi dalle sozzure. E mi raggiungono fin qui.

Sila                                - Ci sono io, con te, bambina mia, adesso.

Giuditta                        - (scattando) Ah, no; proprio tu, che sei stata la prima causa della rovina!

Sila                                - Io?

Giuditta                        - (inviperita, perdendo ogni control­lo) Ingolfati nei debiti fino alla gola. Tutto preso sempre a prestito o a credito. In casa mi­seria e sporcizia. Ma, intanto, i soldi li trovavi per le creme e per le camicie di seta...

Sila                                - (dandole una sberla) Ah, piccolo de­monio! Ma lo sai tu con chi parli? Lo sai cos'ho fatto io per voi? Lo sai cos'ero io prima di essere quella che sono?

Manuel                          - Taci, sei pazza?

Sila                                - Io ero la moglie dell'ingegnere Bà-rion...

Manuel                          - Taci, insomma...

Sila                                - ...e poi ventisei anni fa è venuto Ma­nuel, vostro padre; e sono andata con lui...

 

Manuel                          - Taci...

Sila                                - ...e ho lasciato il lusso, le pellicce, le carrozze; e questa pettegola mi rimprovera ora...

Manuel                          - Vuoi finirla?...

Sila                                - Lasciami stare, tu. Tanto, a questo, bisognava arrivarci.

Manuel                          - Ma che dici?

Sila                                - Dico... che è giunto il momento di ri­velare tutto ai ragazzi.

Manuel                          - Rivel... Chi verrà, dunque, qui? Parla, perdio, parla!

Sila                                - Non adirarti... Sai che allora... lasciai anche... quando venni con te...

Manuel                          - (spalanca tanto d'occhi, sorpresissimo) Tuo figlio?

Sila                                - Sì... Mino.

Manuel                          - A lui ti sei rivolta?

Sila                                - A lui.

Manuel                          - (allarmato) Non me n'hai fatto parola...

Sila                                - Temevo di irritarti.

Manuel                          - Ma non l'hai visto?...

Sila                                - No, no.

Furio                             - (a Giuditta, intontita) Hai capito? Pare che abbiamo un fratello!... (Pausa).

Manuel                          - (passeggia pensieroso; poi) Ma come hai potuto stabilire...

Sila                                - Su di un giornale, sei mesi fa: dottor Mino Bàrion...

Manuel                          - E' dottore?

Sila                                - Ha trentadue anni.

Manuel                          - Non abiterà in città?

Sila                                - No. Ha una clinica a Milano. E' ricco.

Furio                             - Meno male. (Siede e fuma).

Manuel                          - (camminando agitato) Avrei cre­duto a tutto, ma a una pazzia... a un accidente simile...

Sila                                - (rinfrancata) Non ti deve far paura quest'incontro...

Manuel                          - Non dico per me...

Sila                                - Era necessario! Ho del coraggio per affrontare la situazione. Del resto si tratta o di bere o di affogare. Una volta ci ha salvati quella ragazza, un'altra volta Monsignore, un'al­tra volta Sua Eminenza. Ora neanche i ministri di Dio ci fan più credito. E c'è una denunzia, se non paghiamo entro quarantotto ore. Dun­que: o bere o affogare. Io sono pronta a tutto, Manuel. M'intendi? E tu non devi tremare. Questo dottore è pure mio figlio. Ed è ricco. M'è successa una disgrazia. Ho bisogno di de­naro. Chi deve darmelo, questo denaro, se non mio figlio legittimo che lo possiede? Se non ti salvo, non andremo più alla sera al caffè a prendere il nostro ponce...

Manuel                          - Perdio. Ci sono i ragazzi...

Sila                                - (si ricompone).

Furio                             - Non fatevi scrupoli per me. Me ne vado.

Sila                                - (si preme le tempie) Aspetta... (Rin­francata) Perchè vuoi andartene?...

Furio                             - Non vedo che potrei farci, qua. Conoscere un fratello? Anche se ricco? Soldi non ne caveremo. Me ne infischio.

Sila                                - Non me ne infischio io!

Manuel                          - Scusa, Sila, mi pare che il ra­gazzo abbia ragione...

Sila                                - Allora vuoi andartene anche tu? (A Giuditta) ... anche tu? Ma perchè, dunque, avete acconsentito, prima...

Manuel                          - Perchè non sapevo di che si trattasse...

Furio                             - Ecco.

Sila                                - Ma è appunto perchè si tratta di Mino che vi ho voluti tutti uniti! Se l'avessi chiamato per fargli sapere che sono ricca e felice, con qual coraggio avrei potuto comparire davanti a lui?

Furio                             - Ora capisco...

Manuel                          - Vuoi metter in vetrina le tue miserie...

Furio                             - ... che siamo noi...

Manuel                          - ... per muoverlo a pietà?...

Sila                                - Ecco. Perchè veda che nel cambio non ci ho guadagnato!

Manuel                          - Te ne ringrazio!

Sila                                - Non per quello che sei, no! Inten­dimi! Ma per la miseria che ci avvilisce... Io avevo un palazzo, ero ricca...

Manuel                          - Non ti capisco!

Sila                                - ... e al lusso, ai gioielli, alle pellicce ho preferito te...

Manuel                          - ...perchè mi amavi!

Sila                                - Con tutta l'anima. In quella casa c'era un uomo che mi voleva soffocata fra la madre e due sorelle; un uomo che mi predicava la morale e aveva amanti per ogni dove. Questo deve sapere suo figlio. Questo debbo dirgli! E deve vederci tutti uniti, tutti e quattro - noi - e se pensa che ho preferito questa vita a quella, e non me ne lagno...

Manuel                          - Ah, no, no. Non mi presto a questo gioco...

Sila                                - Perchè?

Manuel                          - E' un alibi troppo buffo. Ti ri­derà in faccia, il tuo Mino...

Furio                             - (poiché ha squillato il campanello) Hanno suonato...

Manuel                          - Me ne vado.

Sila                                - (supplichevole e imperiosa ad un tem­po) Manuel, rimani.

Furio                             - Le cinque.

Sila                                - Non movetevi. Qui, qui. Non lascia­temi sola. (Giuditta va ad aprire). Qui... vicini a me, voi due. Per carità...

Mino                             - (entra) Sono il dottor Mino Bàrion. (E' elegante, senza ricercatezza).

Sila                                - Già... (Pausa lunga). Lei guarda i nostri vestiti e questo... Non è... non è nostra la casa, no... ma le spiegherò poi...

Mino                             - Ho ricevuto questa lettera (la mo­stra a distanza).

Sila                                - L'ho scritta io.

Mino                             - Allora, voi siete... mia madre.

Sila                                - Sì, signore. E questi è Manuel.

Mino                             - Ah!

Sila                                - E questi, Furio.

Mino                             - Ah!

Sila                                - Il figlio, sissignore; e questa un'altra figlia:

Giuditta                        - (indica colle mani tutti e tre) Fratelli e sorella, insomma...

Mino                             - Già... (Breve pausa). Veramente, cre­devo di trovar voi sola. Non m'avete scritto...

Manuel                          - Io glielo avevo detto, sa.

Sila                                - Sì, è vero, è vero...

Manuel                          - Mi ci ha costretto a forza, a restare.

Furio                             - Anche me. Volevo andarmene pri­ma di lui, io.

Giuditta                        - (pronta, per levarla d'impaccio) Mamma, di qua c'è un altro salottino (e apre la porta di sinistra).

Sila                                - Grazie, bambina mia.

Manuel                          - (dignitoso) Compermesso. Vieni, Furio. (Scompare a sinistra col figlio. Giuditta esce dalla comune).

(Pausa lunga).

Mino                             - Di chi è questo appartamento?

Sila                                - Dei padroni di Giuditta. I signori Bonetti.

Mino                             - Non conosco.

Sila                                - Torneranno quest'altra settimana. Non c'è pericolo, nessun pericolo.

Mino                             - Perchè m'avete fatto venir qui?

Sila                                - Abbiamo una casa che non è una casa. Eppoi volevo che conoscesse anche Giu­ditta.

Mino                             - Se ha potuto farvi piacere!

Sila                                - Grazie. Segga, segga...

 Mino                            - No, grazie. Del resto mi posso fer­mare solo pochi minuti. Che cosa volete da me? M'avete scritto una prima lettera, cinque giorni fa, qualificandovi mia madre... Vi con­fesso che la sorpresa - limitiamoci a chia­marla così - è stata un po' forte...

Sila                                - Le avevano fatto credere che ero morta?

Mino                             - No. Ma questo non ha importanza.

Sila                                - Ne ha molta per me!

Mino                             - Naturalmente. In specie se ci tenete alla vita. Ma a quanto pare...

Sila                                - Perchè?

Mino                             - Quanti anni avete?

Sila                                - Cinquantaquattro.

Mino                             - Ne avete molti di più.

Sila                                - Cinquanta quattro. Cosa dice?

Mino                             - Molti di più (e indica i liquori).

Sila                                - (abbassa il capo) Tutta la mia vita è una sciagura.

Mino                             - In questa seconda lettera, dell'altro ieri, mi fissate un appuntaniento. E accennate a un grave guaio finanziario. Non mi piace darmi arie da salvatore. Né, d'altronde, i cial­troni debbono essere salvati.

Sila                                - (allarmata) Allora?

Mino                             - Vedremo di che si tratta. In ogni modo sappiate che a spingermi qui è stata la curiosità di conoscervi. Nient'altro.

Sila                                - Ti ringrazio.

Mino                             - Mi dispiace, signora, ma trovo con­veniente darci del lei o del voi. Almeno fino a che non ci saremo conosciuti meglio. Dunque? Vi ascolto. Parlate. Immagino che si tratti del ragazzo. Che fa?

Sila                                - Massaggiatore alla squadra di calcio. Ma non è di lui che...

Mino                             - No?

Sila                                - Nossignore.

Mino                             - Allora... il signor Manuel? L'ex-giocoliere?

Sila                                - Lei sa?

Mino                             - Da quanto tempo ha lasciato il teatro?

Sila                                - Da dieci anni.

Mino                             - E in questi dieci anni cos'ha fatto?

Sila                                - Impiegucci, posti di ripiego...

Mino                             - E ha messo le mani dove non do­veva. E' così?

Sila                                - Uomo di fiducia alla sartoria teatrale... Incassava il danaro dei noleggi...

Mino                             - Scusate se vi faccio queste domande; ma debbo pur sapere con chi ho da fare. D'al­tronde, mi fiderò delle vostre informazioni.

Sila                                - Sono esatte, signore, esatte...

Mino                             - E... la cifra?

Sila                                - Piuttosto grossa. Perchè se ne sono accorti dopo sei mesi dalla prima volta...

Mino                             - Quanto?

Sila                                - Ottomila.

Mino                             - Non ha vizi, questo signor Manuel? Gioca?

Sila                                - No, no, niente. Era per commemo­rare i venticinque anni del nostro incontro. Un piccolo regalo...

Mino                             - Ah...

Sila                                - Oh, scusate...

Mino                             - Siete mai stata malata?

Sila                                - No, signore. Perchè?

Mino                             - Vi piace soltanto questo scacciapen­sieri...

Sila                                - Ecco. Scacciapensieri...

Mino                             - Io vi credevo felice. Quando si fa ciò che avete fatto voi...

Sila                                - Si può non essere infelici, e tuttavia...

Mino                             - (dopo una breve pausa) Avete degli stordimenti, spesso? Dei capogiri?

Sila                                - Sissignore.

Mino                             - E il sangue vi sale alla testa con delle vampate...

Sila                                - Sì, sì.

Mino                             - ... e il cuore, d'improvviso...

Sila                                - Sì, sì. Come se volesse scapparmi. E poi, di colpo, si ferma. Certi spaventi!... E' una cosa grave?

Mino                             - (le si avvicina, la guarda negli occhi; si allontana) Non so; non credo.

Sila                                - La vita sempre in ansia, ora per l'uno, ora per l'altro...

Mino                             - Volete bene a quéi due ragazzi!

Sila                                - Eh, sono miei figli!

Mino                             - E a me non avete mai pensato?

SiL4                              - Oh, scusate (e vorrebbe prendergli una mano).

Mino                             - (scostandosi) Non fate sciocchezze. Avrete le ottomila lire lo stesso.

Sila                                - Grazie, grazie...

Mino                             - E non ringraziatemi. 0, per lo meno, prima di ringraziarmi, aspettate. Non faccio niente per niente.

Sila                                - Oh, tutto ciò che proporrete sarà ac­cettato. Se no entro domani sera lo verranno ad arrestare.

Mino                             - Vi sta, dunque, tanto a cuore il si­gnor Manuel?!

 

Sila                                - Signore...

Mino                             - E lo merita il vostro affetto?

Sila                                - Tutto tutto tutto...

Mino                             - E se - facciamo un'ipotesi - vi si offrisse un posto decente per gli anni che vi rimangono da vivere: o con i figli o col signor Manuel, a chi rinunciereste?

Sila                                - I figli han tutta la vita davanti: se la fabbricano come vogliono. Non pensano a noi vecchi.

Mino                             - (dopo una breve pausa) Ora vi firmo lo « chèque » (leva di tasca un libretto; scrive) Ecco... (e stacca un foglio) ... Vedete?

Sila                                - Grazie, grazie (e allunga una mano).

Mino                             - (rimettendo in tasca il libretto e il fo­glio) ... Ma lo tengo io. Ve lo darò domani a mezzogiorno. Quando sarete libera.

Sila                                - Libera? Che significa?

Mino                             - Significa che ora venite con me.

Sila                                - Con voi?

Mino                             - - A casa mia. Ho la macchina giù.

Sila                                - Oh, no, no, no...

Mino                             - O così o non avrete il denaro.

Sila                                - (sospettosa, agitandosi) Ma perchè volete che venga a casa vostra? Dove state? Con chi vivete? Che cosa volete da me?

Mino                             - Voglio passare qualche ora con mia madre.

Sila                                - (scatta) Ma io non vi...

Mino                             - ... non mi conoscete! Appunto per questo! Parleremo. Qui siamo spiati. D'altronde v'ho promesso che a mezzogiorno sarete libera.

Sila                                - Ah, vi divertite a tormentarmi...

Mino                             - Ma no! Voglio scoprire un poco la nostra intimità. Ecco tutto! Voglio che arri­viamo al tu; anche se dopo non ci vedremo più mai. Eh, perdio, c'è al mondo milioni di persone che vivono tutta una vita con la donna che li ha fatti! Io chiedo di potervi dire do­mani mattina: «Buon giorno, mamma»...

Sila                                - Non verrò, non verrò. Mi state gio­cando un tiro. Se non volete darmelo subito il vostro denaro, tenetevelo. Lo cercherò e lo tro­verò altrove.

Mino                             - Non lo troverete. Se vi siete rivolta a me vuol dire che tutti v'hanno risposto picche.

Sila                                - Tale e quale vostro padre! Prendete la gente per il collo. E tuttavia siete ricco, avete un gran nome; e io, qui, che mi macero negli stenti... con quei disgraziati...

Mino                             - Non commoviamoci di nuovo, per carità! E, soprattutto, non parliamo di certe cose. O me ne vado.

Sila                                - No.

Mino                             - Allora decidetevi. O dieci mila lire e venire con me, o la galera per il signore.

Sila                                - Diecimila, avete detto?

Mino                             - Ma sì. E' un capriccio che mi levo. E' giusto che lo paghi.

Sila                                - (febbrile) Diecimila?

Mino                             - E domani a mezzogiorno siete libera. Non mi curerò della vostra salute, parleremo soltanto...

Sila                                - Diecimila?...

Mino                             - Ecco qui, guardate. (Scrive). Avrete da vivere pazzamente per qualche mese.

Sila                                - Oh!... (Muta tono improvvisamente) Ma saremo poi soli?

Mino                             - Ve l'ho detto...

Sila                                - Vostra moglie non c'è?

Mino                             - Mia moglie? (Breve pausa) No; non c'è.

Sila                                - E i bambini?

Mino                             - Non ci sono neanche loro.

Sila                                - Quanti ne avete? Due? Tre?

Mino                             - Ecco. Ma decidetevi; presto.

Sila                                - Saranno carini... e poi vestiti bene... e chissà quanti giocattoli in quei saloni...

Mino                             - Naturalmente; tutti i bambini han­no dei giocattoli.

Sila                                - (pensa a Furio e Giuditta che hanno avuto solo della fame e risolve) Facciamo quindicimila o non vengo.

Mino                             - (resiste all'urto) "Va bene. Quindici­mila. Ma presto.

Sila                                - Ah, badate che se poi non me li da­rete...

Mino                             - Io credo a ciò che m'avete detto. Perchè non dovete credere, voi, a me?

Sila                                - (pazza di gioia) Manuel, Manuel, Fu­rio, Giuditta... (/ tre appaiono).

Manuel                          - Ebbene?

Sila                                - Ditegli, ditegli voi, io... io... io... Quindicimila, Manuel!

Manuel                          - Che significa?

Sila                                - Ditegli, dunque...

Mino                             - Me la porto via con me, ora.

Manuel                          - Che?

Mino                             - Domani a mezzogiorno sarà libera. Verrete a prendervela a casa mia. (E continua, impedendo a Manuel di parlare, con un gesto della mano) Voglio dirle, fra stasera e domat­tina: buona notte; buon giorno... Nient'altro. Un capriccio. Lo pago quindicimila lire.

Fumo                             - Perdio, ne avete dei soldi!

 

Manuel                          - Sta zitto. (A Sila) E tu hai ac cettato?

Sila                                - Non avrei forse dovuto? Perchè' Dimmi, perchè?

Manuel                          - Bene, bene. (Passeggia). Le t decisioni non le ho mai discusse.

Mino                             - Dunque?

Sila                                - Eccomi, eccomi... la mia mantellina.., la borsetta. E domani a mezzogiorno vi attei do. Anche Furio.

Mino                             - Il vostro braccio, qua.

Sila                                - Cominciamo adesso a darci del tu?

Mino                             - Non ancora.

Sila                                - Beh, me lo direte voi. Arrivederci… Arrivederci. (E agita una mano in aria meni esce con Mino).

Furio                             - (dopo una pausa, versandosi da bere) Io brindo al fratello ricco.

Manuel                          - (fra sé) Quest'affare del buon! giorno... (gettando in aria una pallottolina di carta e riprendendola) ... non mi va, non mi vai (getta la pallottolina per la terza volta ma gliì cade. Allora prende un pacco di sigarette e lo mette in tasca). E' andato. (Esce mentre calai la tela).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

 (Un salone in casa del dottor Bàrion. La co­mune al centro. Un attimo, e sulla soglia ap­pare Mino che accende i lumi).

Mino                             - Avanti. Senza nessuna paura. Avanti.

Sila                                - (guardando un po' dappertutto) Sia­mo soli davvero?

Mino                             - Ma sì.

Sila                                - E il cameriere che ci ha aperto?

Mino                             - Quello non conta (e attizza il fuoco).

Sila                                - (dopo una pausa) Che cosa penserà?

Minìo                            - Chi?

Sila                                - Il cameriere.

Mino                             - Che avete bisogno di un consulto. Vi siete dimenticata che sono medico?

Sila                                - Ehm; un consulto? A quest'ora? In questo salone?...

Mino                             - Credevo non vi foste mai preoccu­pata di ciò che può pensare la gente di voi.

Sila                                - Eh, a quest'età, sì! Quando si è gio­vani tutto va bene. I pregiudizi fanno ridere; del mondo ci s'infischia Ma poi si mette giudizio, e allora: attento a questo, attento a quest'altro, che la gente non veda, che la gente non sappia... Le vere tristezze della vecchiaia sono gli scrupoli!

Mino                             - Bisognerebbe nascere già vecchi, dunque ?

Sila                                - Se intendete alludere all'esperienza: buona, quella!

Mino                             - Dite che non conta?

Sila                                - Affatto. Almeno per me. Non sono felice; non sono infelice. Ma se tornassi a na­scere vecchia così, come sono... (Muta tono, stizzita) Ma perchè mi fate dire... Non sono abi­tuata a occuparmi del passato.

Mino                             - Volete qualche cosa?

Sila                                - No, grazie.

Mino                             - Avete freddo?

Sila                                - Prima. Durante il viaggio. Qui no. Si sta bene, qui. E poi è molto bello. Gusto vo­stro o di vostra moglie?

Mino                             - Io devo attendere alla clinica. Ho altro per il capo.

Sila                                - Già... Italiana?

Mino                             - Mia moglie? Inglese.

Sila                                - Bella?

Mino                             - Una biondina. Nipote di un lord. Intelligente, colta...

Sila                                - Oh, anch'io, una volta, conoscevo be­ne l'inglese e il tedesco. E poi suonavo il pia­noforte... Allora Manuel mi diceva: « Quando vedo le tue dita d'avorio scorrere sulla tastie­ra, i suoni che ne trai non li odo più. Ci sono solo, davanti a me, le tue belle mani... ».

Mino                             - Io ho il ricordo di altre mani.

Sila                                - Cioè?

Mino                             - Mi lavavano alla mattina... E poi mi davan da mangiare... E poi mi conducevano alla scuola... E poi alla sera, prima di coricarmi, mi facevano fare il segno della croce...

Sila                                - (che l'ha ascoltato, si allontana seccata) Oh, perchè mi dite queste cose...

Mino                             - Guardate, sono qui. Le ho fatte get­tare in gesso. Guardatele. (Gliele reca).

Sila                                - Non sono belle.

Mino                             - Infatti! Sono ruvide, tozze, pesanti, deformate dall'artrite. Eppure, se chiudo gli occhi - così - mi sembra ancora di sentirle scorrere fra i miei capelli come una carezza... (E si allontana).

Sila                                - Di chi sono?

Mino                             - Della vecchia Clara. Non l'avete co­nosciuta. Una serva. (Le si avvicina e) Volete levarvi la mantellina?

Sila                                - No. Vorrei andarmene.

Mino                             - Non siete gentile con me. Volete che non parli più? Non parlo più. Ma levatevi il cappellino. Su... avanti... Ecco. Così... Qui fa caldo. Poi si esce e si prende del male.

Sila                                - Si esce?

Mino                             - Ora no. Domani a mezzogiorno.

Sila                                - E staremo qua tutta la notte?

Mino                             - Il palazzo è a vostra disposizione. Di là c'è una camera da letto. Vi coricherete se vorrete.

Sila                                - Posso vederla?

Mino                             - Naturalmente. (Apre la porta di si­nistra e Sila scompare per un attimo).

Sila                                - (riapparendo) Bella... Ma vostra mo­glie non tornerà stanotte?

Mino                             - Siete testarda... Perchè ridete?

Sila                                - Penso a cosa avrebbe detto se ci aves­se visti, due ore fa, in quella trattoria di cam­pagna, a un tavolo, io e voi.

Mino                             - Avrebbe detto che siamo stati saggi a non continuare con la macchina sotto quel diluvio e a fari spenti.

Sila                                - Ah, questo sì. Ci fu un momento, quando andammo a sbattere contro il portone, che me la vidi brutta. Però, però... m'avete fatto bere un po' troppo... Voi non bevete mai?

Mino                             - Acqua.

Sila                                - Buona per gli incendi! E non eravate mai stato in quella trattoria? Mi è parso che il cameriere vi conoscesse.

Mino                             - Infatti.

Sila                                - Capisco... A pochi chilometri dalla città... E allora, nelle belle giornate di prima­vera...

Mino                             - Ma no... Se proprio volete saperlo, lì, ci fui una volta, l'anno scorso, con zia Cle­mentina.

Sila                                - (sospettosa) Zia Clementina?

Mino                             - La signora Frecci. Ve la ricordate? La moglie del dottor Frecci! Con quel neo, qui, all'angolo della bocca.

Sila                                - Ma non è vostra zia, quella!

Mino                             - Forse per questo fu più che una zia.

Sila                                - (acre) E' morta?

Mino                             - Oh! E' più viva che mai. Abita in un paese della Brianza, su certi suoi possedi­menti lasciatile dal marito. Deve venire domani.

Sila                                - Qui?

Mino                             - E' a pranzo da me. Una volta al mese viene a Milano per le compere, e allora è mia ospite.

Sila                                - E vostra moglie?

Mino                             - Perchè mia moglie non dovrebbe condividere i miei sentimenti? Quando voi... (Breve pausa; poi con decisione) Ma sì! Tanto che vale parlare per sottintesi, per allusioni! Siamo oramai buoni amici, no? E abbiamo ab­bastanza spirito e abbastanza anni, tutt'e due, per non sbiancare al ricordo delle nostre bric­conate.

Sila                                - Bricconate?

Mino                             - Ma sì. Tutti ne facciamo. Chi in un modo, chi in un altro. Ne ho fatte anch'io, nella vita. Molte. Ma ora, ne io ho intenzione di far del male a voi, né voi avete intenzione di farne a me. Dunque: qua la mano! E libertà alla parola.

Sila                                - Non capisco.

Mino                             - Quando voi piantaste mio padre e me, e ve ne andaste col signor Manuel...

Sila                                - Mino...

Mino                             - No: Mino non ancora!

Sila                                - Signor dottore, sì; signor dottore...

Mino                             - (aggressivo) L'avete piantato mio padre, o no?

Sila                                - Era un prepotente; m'affogava nel­l'umiliazione...

Mino                             - A me non interessa che mio pa­dre avesse delle colpe; né m'interessa che voi siate andata col giocoliere. Come vedete, grazie a Dio, sono cresciuto bene lo stesso.

Sila                                - Allora?

Mino                             - Allora... Cosa volevo dire? Ah, ecco. Allora, io ero bambino e, naturalmente, avevo bisogno di cure. Perciò la signora Frecci, che pure aveva due figli, s'interessò a me. Quando, infine, morì mio padre entrai definitivamente in casa Frecci.

Sila                                - Non dev'essere stato un sacrificio per quei signori! Vostro padre v'aveva lasciato in­tero il suo enorme patrimonio.

Mino                             - (ironico) Questo l'avete saputo!?

Sila                                - Sì...

Mino                             - Poiché voi, andandovene» avevate ri­nunciato con una lettera ad ogni diritto!

Sila                                - Conoscete quella lettera?

Mino                             - Faceva parte dell'eredità. Mi fu ri­messa sigillata. E' là (e indica uno stipo). Dove­vo aprire il plico al compimento del ventu­nesimo anno.

Sila                                - Ah!

Mino                             - Fu davvero ima giornata allegra!

Sila                                - Una volta, in simili casi, s'usava dir ai ragazzi che la madre era morta...

Mino                             - Ecco gli effetti di cattive letture!

Sila                                - ... lui no. Si vendica anche dalla tomba!

Mino                             - Ma cosa volete che si vendichi! Ha immaginato che la verità sarei venuto a cono­scerla. Meglio saperla da lui che da altri. Via, non piangete, adesso...

Sila                                - Di rabbia piango. Non so perchè, ma m'ero immaginata dapprincipio di veder quel bambino, voi, andare tutte le domeniche al ci­mitero, accompagnato da una domestica, e por­tare dei fiori su una fossa qualsiasi...

Mino                             - Ma no. Quest'è roba da romanzo...

Sila                                - Mio figlio, eravate; anche se nato da un matrimonio senz'amore.

Min»                             - Già... E poi?

Sila                                - Poi, che cosa?

Mino                             - Come mi vedevate?

Sila                                - Vi vedevo a casa; a giocare.

Mino                             - E poi? Quando fui più grandicello?

Sila                                - Quando foste più grandicello?

Mino                             - Sì.

Sila                                - I guai cominciarono presto. Manuel si slogò un braccio, e nacque Giuditta.

Mino                             - Nacque Giuditta, e allora addio an­che il ricordo di Mino.

Sila                                - No..,

Mino                             - Sì. Ma del resto era giusto. Legge di compensazione nella vita; in tutto! Voi con Manuel e Giuditta cominciavate a scontare il vostro colpo di testa; io cominciavo finalmente a provare le prime gioie.

Sila                                - Senza me? Senza vostro padre?

Mino                             - Di voi e di mio padre avevo solo ricordi tristi. Certo è che ricordo ancora la sensazione di libertà che provai col mio ingresso in casa Frecci. Lì c'erano altri bimbi. Sono cre­sciuto in una casa che non era la mia, ma era una casa!

Sila                                - E non avete mai pensato a me?

Mino                             - Che mi ricordi, mai.

Sila                                - Eh, già; eravate tanto piccino e non potete ricordare.

Mino                             - Avevo cinque anni ma non credo di aver provato dolore.

Sila                                - Ma cosa vi dissero, allora?

Mino                             - Che eravate andata via.

Sila                                - E m'avete aspettato?

Mino                             - Ve l'ho detto: in casa Frecci, con zia Clementina e con la vecchia Clara, trovai finalmente la felicità.

Sila                                - (rivoltandosi) Ora ricordo bene. Quella zia Clementina aveva un amante.

Mino                             - (ride) Cosa vi salta per la testa...

Sila                                - E le mani della vostra vecchia Cla­ra erano solo interessate. Si dava l'assalto al vostro patrimonio.

Mino                             - Ma no, ma no...

Sila                                - Sì, sì. Quelle cure che vi si usavano erano soltanto ipocrite. E voi le avete scam­biate per affetto. Non avete fatto bene i conti quando v'hanno ridato il vostro patrimonio. (Febbrile) E poi, e poi...

Mino                             - Poi che cosa?

Sila                                - Quando diveniste più grandicello.

Mino                             - Tutto questo v'interessa?

Sila                                - Sono certa che v'hanno derubato.

Mino                             - Volete sapere come vivevo?

Sila                                - Sì. Con chi.

Mino                             - Un po' con tutti. Oh, ero socievole! E poi bastava che esprimessi un desiderio per vederlo soddisfatto.

Sila                                - Eh, già! Il danaro è una grande po­tenza.

Mino                             - Enorme, incalcolabile. Colma tutti i vuoti dei sentimenti, come la religione colma tutti i vuoti dell'ignoranza.

Sila                                - Il pensiero di Dio non mi ha mai sorretta. E se penso alle ingiustizie...

Mino                             - Volete dire le possibilità mie, con la mia ricchezza... e l'indigenza e la miseria dei vostri due bambini?...

Sila                                - Manuel, dopo quella disgrazia, non fu più lui. Dai varietà di primo ordine si passò a quelli di secondo e poi di terzo... Sempre più in giù. Le scritture diminuivano e i bisogni crescevano...

Mino                             - Scommetto che avete maledetta, al­lora, quella lettera con cui rinunciavate ad ogni diritto di moglie...

Sila                                - L'ho maledetta, sì; per il danaro, che m'ero lasciata sfuggire...

Mino                             - Quel danaro, infine, non se lo è go­duto mio padre. Me lo son goduto io.

Sila                                - Vivendo nel lusso?

Mino                             - Ah, sì! Il più sfrenato.

Sila                                - Levandovi capricci?

Mino                             - I più pazzi.

Sila                                - Infischiandovene dell'amore?

Mino                             - S'è trattato, quasi sempre, d'una questione di prezzo.

Sila                                - Così giudicate le donne?

Mino                             - Ve l'ho detto: avevo tristi esempi in proposito.

Sila                                - Eppur tuttavia vi siete sposato!

Mino                             - Volevo dei figli: miei!

Sila                                - Sicché credete che anch'io abbia po­tuto tradire.

Mino                             - Oh, voi...

Sila                                - (ergendoglisi contro) Io non ho mai tradito l'amore!

Mino                             - Avete tradito mio padre.

Sila                                - (lo sfiora con uno schiaffo trattenuto) Oh, scusami!

Mino                             - (dopo una pausa) Avete fatto bene. Non ho nessun diritto ne di giudicarvi, né d'in­sultarvi. Eppoi, siete mia ospite. Mi sono com­portato davvero come un mascalzone. Prego voi di scusarmi.

Sila                                - M'è proprio scappato, credi. Abi­tuata con i ragazzi... Credi...

Mino                             - Adesso puoi darmi del tu, sì. Il di­ritto te lo sei acquistato.

Sila                                - Non lo racconterai a tua moglie, que­sto, vero?

Mino                             - Vivi sempre col sospetto di mia mo­glie; perchè?

Sila                                - Oh, credo che anche lei avrebbe fatto altrettanto.

Mino                             - Forse...

Sila                                - Ti vuol bene? Sì? Tanto? E' una volersi bene. E' tutto...

Mino                             - Certo che mio padre, a quello che ho saputo...

Sila                                - Ecco, ecco. Questo vorrei che tu com­prendessi! Non per giustificare me, ma per giu­dicarci, su di uno stesso piano, io e lui.

Mino                             - Perchè inveire contro un morto se non hai da crearti nessun alibi?

Sila                                - Forse hai ragione. Ma a tua moglie, tu, però, non hai detto...

Mino                             - Avresti degli scrupoli?

Sila                                - Non gliel'hai detto! Non sei cattivo, tu! (Gli si avvicina e, in altro tono) Le hai fatto credere che sono morta?

Mino                             - Sì...

Sila                                - Oh, grazie, grazie... E i bambini, di'?

Memo                            - Ah, quelli... quelli hanno un ritratto della loro nonna giovane.

Sila                                - Un ritratto mio?

Mino                             - E' là (e indica lo scrigno).

Sila                                - Oh, Mino, Mino, fammelo vedere. Co­m'è? Come sono vestita?

Mino                             - Sei vestita... con i vestiti dell'epoca.

Sila                                - Ah, ah, buffi, no? E' incredibile come cambi la moda! Ma dimmi dei bambini... Belli?

Mino                             - Naturalmente.

Sila                                - E come si chiamano?

Mino                             - Furio.

Sila                                - Che hai detto?

Mino                             - Furio, Una singolare coincidenza. .

Sila                                - Come il mio...

Mino                             - E poi Luisa.

Sila                                - Furio...

Mino                             - E la prima? La più grandicella? In­dovina? La più grandicella: Sila.

Sila                                - Hai detto?

Mino                             - L'ho voluto io.

Sila                                - Oh, Mino, Mino, Mino... (E gli bacia convulsamente una mano).

Mino                             - Su su, andiamo. Se ti vedono i bam­bini dicono che sei una bambina anche tu!

Sila                                - (piangendo) Perchè mi hai detto que­ste cose... Io non potrò vederli mai...

Mino                             - Chissà!

Sila                                - (spaurita) Ah, no, no, no, mai!

Mino                             - Perchè?

Sila                                - In questo stato... e poi saprebbero... No, no, no...

Mino                             - Ma tutto questo non ha importanza! Poiché sono cresciuto forte e sano lo stesso...

Sila                                - Non voglio che tu dica così. Non voglio. E domani zia Clementina non la vo­glio vedere! E poi quelle mani lì...

Mino                             - Oh, quelle non si toccano!

 

Sila                                - Io vorrei, invece...

Mino                             - Non si toccano. A mia moglie e ai bambini ho detto che sono le tue... I piccoli adorano le mani della nonna.

Sila                                - (guarda Mino, poi cade a sedere piangendo) Io non li vedrò mai, mai, mai, mai.., (E poiché Mino a gran passi attraversa la stanza e fa squillare il campanello) Che fai, ora?

Mino                             - Vedrai.

Sila                                - (allarmata, si alza) No, sai, no. Non voglio che mi vedano. Non giocarmi questo) tiro. Bada...

Mino                             - Sta zitta. (A Gianni che è apparso) La signora è rientrata?

Sila                                - No, no...

Mino                             - Non strillare. (A Gianni) E tu la­scia quell'aria da cretino.

Gianni                           - Ma, signor dottore...

Mino                             - T'ho chiesto se la signora è rien­trata.

Gianni                           - La signora?

Mino                             - Mia moglie. Dormi?

Gianni                           - Lei ha moglie?

Sila                                - (è intontita)..

Mino                             - E i bambini?

Gianni                           - Il signor dottore mi perdoni, ma...

Mino                             - I bambini, ho detto. Quelli che gio­cano con me, tutta la sera, dove sono?

Gianni                           - Le garantisco, signora, che io non ho mai visto bambini, e non capisco...

Sila                                - Non ci sono?

Mino                             - Rispondi, Gianni. Con chi vivo?

Gianni                           - Solo, se non sono pazzo... . Mino             - A che ora mi alzo alla mattina?

Gianni                           - Alle cinque e mezzo; anche d'in­verno.

Mino                             - E dove vado?

Gianni                           - Dove va?

Mino                             - Sì. Dove vado.

Gianni                           - Alla clinica.

Mino                             - A che ora torno per il pranzo?

Gianni                           - Ah, ora non ce n'è. Per quante raccomandazióni le faccia.

Mino                             - E poi?

Gianni                           - In clinica fino a sera.

Mino                             - E alla sera?

Gianni                           - Se ne viene sempre a casa col mal di testa. E poi non bastasse, a studiare di là, fino alla mezzanotte!... In quello stanzone che sembra una tomba.

Mino                             - Sempre solo, Gianni?

Gianni -                         - E' questo che non mi perdono, si­gnora! Di non riuscire a distrarlo. Una vitaccia! Giovane, celebre, ricco... Pensi: i suoi svaghi, signora! Una volta alla settimana, la domenica, mi fa l'onore di sedersi alla mia tavola in cucina! Ah, signora, bisognerebbe assolutamente...

Mino                             - Da quanti anni sei al mio servizio?

Gianni                           - Da dieci, signor dottore. Il signor dottore allora era fidanzato, ed era così bella...

Mino                             - (aspro) Basta. (Pausa). Vattene! (Pausa). Domani c'è zia Clementina.

Gianni                           - Me ne ricordavo, signor dottore.

Mino                             - Un momento. Domattina non farmi la sveglia. Dopo sei anni faccio la prima as­senza alla clinica. Avverti il dottor Fusti. Buona notte.

Gianni                           - Buona notte (e scompare).

Sila                                - (esasperata) Perchè hai inventato quella maledetta moglie?

Mino                             - Maledetta?

Sila                                - C'era! Credevo che ci fosse! Doveva esserci!

Mino                             - (ride male) Una biondina... nipote di un lord...

Sila                                - E ti voleva bene, ti voleva! Oh, avrei trovato io il modo di farle aprire gli occhi sul conto di zia Clementina...

Mino                             - E i bambini, poi...

Sila                                - Li vedevo... Una si chiamava Sila; l'altro Furio...

Mino                             - E queste mani... Le mani della nonna... per i nipotini...

Sila                                - Erano vivi, qui. Camminavano, gio­cavano... E invece non è vero!

Mino                             - Ah, beh! Ti disperi per dei nipo­tini che non sono mai esistiti, e te ne sei infi­schiata di me che ero tuo figlio!

Sila                                - Fruga, si; fruga in una piaga di trent'anni. Non me ne importa. Sei cattivo!...

Mino                             - Ti premeva, dunque, che fossi felice con mia moglie?

Sila                                - Volevo che la vita di adesso ti fa­cesse dimenticare quella di una volta.

Mino                             - Ma se crebbi in casa Frecci come in casa mia...

Sila                                - E' questo che non voglio.

Mino                             - Avresti preferito che avessi sentito il peso del tuo colpo di testa?

Sila                                - Ah, no, no, no; non è vero. Ti ostini a fare del cinismo. Mi dici queste cose cattive solo per vendicarti.

Mino                             - Vendicarmi di che cosa!?...

Sila                                - Di tutto. Tu mi odii...

Mino                             - Ma no.

Sila                                - Mi odii, mi odii. Ebbene, vuoi che mettiamo le carte in tavola? Mettiamole. Ci sei riuscito ad arrivare dove volevi.

Mino                             - Ma io non voglio nulla.

Sila                                - Vuoi farmi disperare.

Mino                             - Non è vero.

Sila                                - Vuoi farmi sentire che anche tu hai dei diritti su di me.

Mino                             - Non è vero.

Sila                                - Che anche tu sei mio figlio.

Mino                             - (non ride finalmente più e scatta, di­sperato) E invece non lo sono! Non lo sono! Sono uscito da queste tue viscere e non sono tuo figlio! Mio padre, sì, m'è stato vicino sem­pre; fino all'ultimo suo respiro... Aveva dei torti, mio padre? Gravi? Non lo so. So che se anche ho il ricordo di certi ceffoni invece che di carezze, quei ceffoni mi dicevano che era mio padre. Ma tu, no! Tu in nome dell'amore... (Sila si abbandona su di una sedia come corpo morto). Vuoi andare nella tua camera? A ri­posarti?

Sila                                - (si alza dopo una lunga pausa) La­sciami... lasciami... (Si rimette un po' alla volta; si porta presso le mani gettate in gesso; guarda lo scrigno; il suo occhio si fissa su dei ritratti). E' questa zia Clementina? (prende un ritratto).

Mino                             - (seduto sul divano, a distanza, senza guardare) Sì.

Sila                                - (prende un altro ritratto) E questa, forse, è la vecchia serva?...

Mino                             - (c. s.) Sì.

Sila                                - (guarda un terzo ritratto; cupa) E questo è tuo padre... (Pausa). Nessun altro ri­tratto... (Timorosa) ...Neanche... lì... dentro? (e indica lo scrigno a Mino che finalmente s'è voltato a guardarla).

Mino                             - No.

Sila                                - (lentamente) Allora... la mia foto­grafia di trent'anni fa? La fotografia della nonna?...

Mino                             - Ah, la nonna! Vana menzogna.

Sila                                - Non sapevi neanche che faccia avevo?

Mino                             - (tace).

Sila                                - Fammi un piacere, Mino! Leva i ritratti di quelle due donne! E anche quelle mani. Quelle mani! Dovevano essere le mie... (disperata) le mie... (le getta a terra spezzan­dole; e mutando l'urlo in un pianto caldo e materno si volge verso il figlio offrendogliele tremanti) ...le mie... le mie...

Mino                             - (se la stringe fra le braccia frenetico)

 

Fine del secondo atto

 

ATTO TERZO

 (La stessa scena dell’atto secondo. Il mattino seguente. All'alzarsi del sipario è in scena Gianni).

Mino                             - (a Gianni entrando) Ci siamo?

Gianni                           - Quasi, signor dottore.

Mino                             - Un po' più a destra.

Gianni                           - Così? (E continua ad apparec­chiare, per una colazione a due, a un piccolo tavolo a sinistra). Come vede, il signor dottore, io sono arcicontento.

Mino                             - Anche tu? (Si porta al fondo e scrive).

Gianni                           - Perchè è contento lei.

Mino                             - Ah!

Gianni                           - Ma non so ancora...

Mino                             - Che cosa?

Gianni                           - Se devo fare al signor dottore le mie congratulazioni.

Mino                             - Tu me le fai, ed io me ne infischio.

Gianni                           - Se è cosi...

Mino                             - Ma no, ma no... (e depone un bi' glietto su uno dei due posti pronto per la cola­zione; torna a scrivere). Gli è, vedi, che quando si è felici, non ci si occupa degli altri. Si pensa soltanto a se stessi, e più grande è la felicità e più egoisti si diventa.

Gianni                           - Forse è vero. La signora si fermerà molto, qua?

Mino                             - Forse.

Gianni                           - Non è per curiosità. E' la prima volta che la vedo allegro... e allora...

Mino                             - Mi vedrai spesso, allegro.

Gianni                           - Dio sia lodato. Tuttavia...

Mino                             - Ancora?

Gianni                           - Una sola domanda.

Mino                             - Avanti.

Gianni                           - Perchè non l'avevo mai sentito parlare della signora?

Mino                             - E con chi dovevo parlarne? (Depone sull'altro posto un biglietto).

Gianni                           - Giusto. E... viene di lontano?

Mino                             - Sì. Hai finito?

Gianni                           - Finito. Dall'America?

Mino                             - Dall'America. Sì. (Suono di cam­panello). Sarà zia Clementina. (Esce e rientra poco dopo con zia Clementina). Brava, molto hene.

Zia Clementina             - (con un gran mazzo di fiorai tra le braccia) Non c'era niente di meglio.

Mino                             - Molto belli, ti dico.

Zia Clementina             - I vasi ce li hai?

Mino                             - Naturalmente. (A Gianni) Dove sono i vasi?

Gianni                           - Nella stanzetta d'angolo, sul gi dino.

Mino                             - Intanto scioglili, tu; e dividili tanti mazzetti. (Scompare).

Zia Clementina             - Sì, sì...

Gianni                           - Eh, il signor dottore! Potessi ve derlo sempre così! C'è da domandarsi se viamo un sogno o se si è compiuto un miracolo. Per anni chiuso, come in una cassaforte; e poi, d'improvviso, là; un lihro aperto (fa il gesto di chi sfoglia un libro). Ci si legge anche quello che non c'è scritto.

Zia Clementina             - Gianni, Gianni, queste) parole non sono tue!...

Gianni                           - Le ho lette in un romanzo, signorai Frecci! Ma poiché dicono quello che io voglio dire!... (e ride).

Mino                             - (rientrando con quattro o cinque vasi, a Gianni) Via a prendere quel vasetto che è sul tavolo del mio studio. (Gianni scompare). Ecco (dispone i vasi). Qui, qui, qui, e qui...(A Gianni che rientra col vasetto) Mettilo lì; sul tavolo. E adesso fila. Ad occuparti della} colazione. Ti chiamerò io. (Gianni esce).

Zia Clementina             - (non appena Gianni se n'è andato) E allora, Mino? Allora?

Mino                             - Vuoi proprio saper tutto?

Zia Clementina             - Se è che non vuoi...

Mino                             - (dopo una pausa) Dove ero rimasto ?

Zia Clementina             - Alle mani... che ha get­tato in terra.

Gianni                           - (appare turbato) Signor dottore,..

Mino                             - (voltandosi) Cosa c'è?

Gianni                           - Una giovane. Dice di chiamarsi Giuditta; che la conosce.

Mino                             - Giuditta?

Gianni                           - Sì.

Zia Clementina             - Chi è?

Mino                             - Sua figlia. (A Gianni) E' sola?

Gianni                           - Sola. E insiste.

Mino                             - Venga. (Gianni via). Che cosa può essere accaduto? Scusa un momento, zia. Ti chiamerò poi (e Faccompagna verso la porta di destra).

Zia Clementina             - Sì, caro. Ma non metterti in agitazione. (Esce).

Mino                             - (a Giuditta che appare) Avanti, avanti... (Gianni chiude la porta dal di fuori). Non eravate voi che dovevate venire. E poi a quest'ora...

Giuditta                        - Mio padre non sa che sono qui. Lui verrà a mezzogiorno, con Furio.

Mino                             - E dunque?

Giuditta                        - Mi perdoni se mi sono permes­sa... Ma creda... Creda: ci ho pensato tutta la notte! Temevo di non aver il coraggio. Poi mi son detta: bisogna, bisogna: per salvarla. E ho preso il treno.

Mino                             - Salvarla?

Giuditta                        - Lei... (E? presso il tavolino; in­tuisce, legge uno dei biglietti) Oh, non osavo! Ma se è così, signore, mi sento incoraggiata...

Mino                             - Avanti, dunque.

Giuditta                        - Non è facile...

Mino                             - Avete detto salvarla. Da chi? Da che cosa? Quali pericoli corre?

Giuditta                        - Tutti - con la vita che conduce - fra quei due disgraziati... Uno è mio padre e non dovrei parlar così; ma dopo tutto...

Mino                             - Intendete alludere ai disagi quoti­diani, al vizio del bere o alla galera che aspetta il signor Manuel se io non intervengo?

Giuditta                        - Son venuta a esporle chiana la situazione, come sta. Non si può continuare così. Vede, signore: perchè i pochi soldi delle paghe del marito e del figlio li tiene lei, e perchè adopera le mani quando s'arrabbia, crede di essere lei la padrona, di guidare lei la baracca. E, invece, sono gli altri due che coman­dano, e le fanno fare tutto quello che vogliono. Tutto, tutto... Lei a disperarsi alla ricerca di un impiego quando perdono il posto; lei a sup­plicare aiuti umiliandosi a questo o a quel signore; lei ad acquistar la roba a credito; lei a soddisfare tutti i loro vizi; lei a lavare i piatti in una trattoria, me la ricordo signore quan­d'ero ragazzina e mio padre non faceva più il teatro, tanto per sfamarci. Sempre lei, sempre lei ci ha rimesso. Ora è disfatta dall'alcool. Lei è medico; l'avrà notato. Un giorno sono scap­pata io, per non vivere in tanta vergogna! Ho fatto quel che ho potuto, creda. Bisogna che tentiamo di salvarla. Mi aiuterà? Mi aiuterà?

Mino                             - Quanti anni hai?

Giuditta                        - Ventidue.

Mino                             - Siamo fratelli, lo sai?

Giuditta                        - E' quello che ho pensato tutta la notte. Perciò ho osato.

Mino                             - Hai fatto bene. Siedi. E parliamo tranquillamente.

Giuditta                        - Le ho detto, oramai.

Mino                             - Il male. Ora dimmi quale sarebbe il tuo piano. Per rimediarvi, se possibile.

Giuditta                        - Non so se devo...

Mino                             - Coraggio.

Giuditta                        - Ho pensato che lei, essendo me­dico, e avendo una clinica...

Mino                             - Ricoverarla?

Giuditta                        - Magari senza trattamento spe­ciale. Una cameretta. Verrò io a trovarla. E, per quel poco che posso, contribuirò io alla spesa. Pur di allontanarla da quei due ; che non li veda più! Ieri, prima che lei venisse, m'hanno esa­sperata. E allora le ho detto delle parole cattive. Le ho detto che la causa della nostra rovina è stata lei... Ma ero come pazza. Glielo giuro! Farò tutto quello che lei vorrà, se mi aiuta a salvarla!

Mino                             - (dopo un'altra pausa) Penso che no­stra madre ha commesso nella sua vita due errori.

Giuditta                        - Due?

Mino                             - Io e te.

Giuditta                        - Lei è buono.

Mino                             - (si alza) Ma credo che non ne faremo nulla.

Giuditta                        - Non vuole?

Mino                             - Per lei...

Giuditta                        - Non capisco.

Mino                             - Per non farla morir prima; per non farla impazzire.

Giuditta                        - Oh, non credo, non credo...

Mino                             - Bisogna pensare a tutto quello che ha rinunciato: benessere, ricchezza, un figlio: me...

Giuditta                        - Allora era giovane, amava.

Mino                             - Oggi ha trent'anni di più. E son trent'anni di abitudine, di consuetudine di vita con quell'uomo. Njo, no. Questa vita miserabile e miserevole che oggi conduce, le è necessaria; come l'alcool al quale chiede un po' di sollievo. Eppoi credi che non ci abbia pensato come te, tutta la notte, a questa possibile soluzione? Ti dico di più: sarei stato disposto a... patteg­giarla con quei due; a biglietti da mille!

Giuditta                        - Ma allora bisogna parlarne! Ten­tiamo l'impossibile! Mi ascolti! Lei è generoso! Mi sia vicino!

Mino                             - Ti sono vicino. E non puoi immagi­nare con quanta tenerezza. In fondo, da tutta questa rovina, credo che ne caveremo un'amicizia salda ed affettuosa: la nostra. Vuoi darmi la mano?

Giuditta                        - Grazie (gliela porge; una pausa).

Furio                             - (entrando; con una grande scappel­lata) Signor dottore, la riverisco! (Vedendo Giu­ditta) To'; guarda!

Gianni                           - (che è apparso dietro a Furio in atto di trattenerlo) E' entrato a forza. Dice che è della famiglia...

Manuel                          - (apparendo; con eccessiva delica­tezza al cameriere) Mi vuol annunciare, per piacere? Mi chiamo Manuel... (Più forte) Manuel.

Gianni                           - (rassegnato) Il signor Manuel.

Manuel                          - Buon giorno, dottore. Oh, Giu­ditta!

Mino                             - Allora il signorino si accomodi fuori ; poi lo chiamerò io.

Furio                             - Ma...

Manuel                          - Furio... La prego di scusarlo, si­gnor dottore. (Furio è uscito). Ma tu, Giuditta, come mai sei qui?

Mino                             - Non dovevate venire a mezzogiorno? Sono le dieci e un quarto e sta ancora riposando.

Manuel                          - Infatti, di solito dorme fino a mez­zogiorno. Ma credevo, in una giornata così ec­cezionale...

Mino                             - ler sera, durante il viaggio, si fece promettere che non l'avrei disturbata. Sarei an­dato fra poco a svegliarla. (Pausa; lo guarda) Comunque... è bene che siate qui.

Manuel                          - Lei ha da parlarmi?

Mino                             - Sì.

Manuel                          - Affari?

Mino                             - Sì. Forse vi aspettavate questo col­loquio ?

Manuel                          - Può darsi.

Mino                             - Tanto meglio.

Manuel                          - Posso sedere?

Mino                             - Sedete.

Manuel                          - Se non le dispiace, desidererei che anche Furio fosse presente.

Mino                             - Come volete. (Suona; a Gianni che appare). Fa entrare il signorino. (Furio entra). Sedete pure. (Furio guarda Manuel).

Manuel'                         - Siedi. Il signor dottore ha da par­larci.

Furio                             - (sedendo) Affari?

Mino                             - (ironico) A quanto capisco, non sarà difficile intenderci.

Manuel                          - Dipende.

Mino                             - E' ciò che vedremo.

Furio                             - Dal prezzo.

 

Manuel                          - Sta zitto, tu, idiota. Prezzo di che? Di che cosa? Dipende da ciò che proporrà lei, dottore. Perchè se niente niente le è passato per la testa di tener con lei, qualche tempo, sua! madre, offrendoci del danaro, meglio vale non parlarne.

Mino                             - Allora?...

Manuel                          - A meno che...

Mino                             - ...non si tratti di provvedere alla sua salute!

Manuel                          - Ecco.

Mino                             - L'ho detto che ci saremmo intesi!

Manuel                          - Fra persone intelligenti...

Mino                             - Spesso è questione di linea.

Manuel                          - Naturalmente.

Mino                             - Dunque? Per provvedere alla sua sa­lute, a quanto ammonta la cifra?

Manuel                          - Signor dottore...

Mino                             - (si alza di scatto; prende per il petto Furio). Quanto? Suvvia! Sbrigatevi! Concludia­mo presto questo mercato; concludiamolo: se no so ben io, adesso, quello che mi rimane da fare! Anche se dovesse costarle la vita!

Manuel                          - Cosa intendete?

Mino                             - La tengo con me.

Furio                             - Lei è pazzo.

Mino                             - (entra nella camera di Sila seguito da Giuditta) Mamma, mamma... (Si ode la sua voce). Non c'è!

Furio                             - (sbalordisce e muove verso la stanza, ma Manuel lo trattiene).

Manuel                          - Gioco di bussolotti; ci vuol di­plomazia.

Furio                             - La tua diplomazia ci farà uscire di qua a mani vuote.

Manuel                          - Scemo. Ma se anche non c'è dav­vero, o se l'ha fatta sparire, vedrai cosa t'in­vento. Sono sempre assicurato contro gli infor­tuni...

Mino                             - (riappare finalmente - dopo un silen­zio - seguito da Giuditta) Non c'è! Non c'è!

Furio                             - Che scherzo è questo?

Manuel                          - Sta zitto.

Giuditta                        - Non ci sono altre camere di là?

Mino                             - Quest'è l'ultima da questo lato.., (Suona). Gianni, Gianni...

Manuel                          - Dove tenete i liquori?

Mino                             - Non ce n'è in casa. (A Gianni) Sei stato in tutte le camere dell'appartamento, sta­mattina?

Gianni                           - Come sempre, ho aperto le imposte.

Mino                             - Non hai notato nulla?

Gianni                           - Nulla in che senso?

Mino                             - Eh, no. Me l'avresti detto. La signo­ra che era qua con me, stanotte.

Gianni                           - Non è di là?

Mino                             - Non c'è più.

Gianni                           - Ier sera disse che me n'andassi pure a letto.

Manuel                          - Ma lei a che ora l'ha lasciata?

Mino                             - Verso le undici.

Manuel                          - E non si è più preoccupato?

Mino                             - All'una mi coricai, ma alle due ero di nuovo qui. Dormiva un sonno profondo. Al­lora sono passato nella mia camera.

Furio                             - (a Manuel) Ma, scusa: se lui dice che non ha liquori in casa?!...

Mino                             - C'era la catena alla porta di strada, stamattina?

Gianni                           - No, signor dottore...

Mino                             - E perchè non lo dici subito?

Gianni                           - Ho creduto d'aver dimenticato di metterla.

Manuel                          - E' un bel guaio.

Giuditta                        - Che sarà accaduto?

Mino                             - (si precipita al telefono e combina un numero).

Manuel                          - Cosa fa?

Mino                             - Parla l'ospedale? Sono il dottor Bà-rion. Volete dirmi i nomi dei ricoverati di sta­mattina, dalle due sino a questo momento? Nes­suno? Proprio nessuno? Ne siete sicuro? Grazie. (Rimette il ricevitore; combina un altro nu­mero).

Giuditta                        - Che cosa sarà accaduto...

Mino                             - Ma niente. (Al telefono) Parla la Questura? Sono il dottor Bàrion. Desidererei sa­pere se fra gli arrestati o i ricoverati fra le due di questa notte e adesso, v'è una donna sui ses­santanni, tale Sila... Sila... (e si rivolge a Manuel).

Manuel                          - Simon.

Mino                             - Simon. Sila Simon, sì... Si tratta di una ricoverata della clinica Bàrion. Come dite?... Alle cinque?... Una vecchia senza documenti? Ha una mantellina di topo? Bene: è lei; non c'è dubbio. Non ha voluto qualificare il nome? Ve l'ho detto io. All'angolo di via Parini; ho capito, sì... Rispondo io per lei... No, io non po­trei muovermi. Ecco... sì... grazie; fatela accom­pagnare a casa mia. Non in clinica: a casa... Grazie. (Rimette il ricevitore; pausa lunga; a Gianni) Vattene, tu...

Manuel                          - (pausa lunga) Eh, questa notte l'avrete tormentata; e allora lei per dimenticare...

Giuditta                        - Ti prego...

Furio                             - Brava la piccina; cosa ci fai poi, tu, qua? Ci si incontra con te sempre nei momenti meno opportuni.

Manuel                          - Furio! Giuditta è un'anima sen­sibile. Tu non l'hai capita. Ieri ella non comprendeva la necessità di quest'incontro. Oggi, invece, vedi, è lei che ci ha preceduti qui dal signor dottore. Eh, le donne!... Sono molto più complicate di noi, ma, in fondo, migliori. Vedi tua madre, per esempio. Vai a indovinare i suoi pensieri... i suoi sentimenti!... Ma, al postutto, eccola lì in allarme, in affanni, perchè ogni cosa proceda per il meglio. Ci sgrida, ci picchia - ti picchia - ma dà... dà... Tutto questo è no­bile. E' di linea. E allora, sai cosa penso? Che lei, forse... (lento) ha potuto immaginare di ve­derci... uniti. (Con altro tono, ridendo) Oh Dio, illustre dottore, sogni di madre; sogni certo pazzeschi... (sinuoso) ma l'amore! L'amore tal­volta vince tutto. Tutto... (A Giuditta) Tutto... (A Furio) Tutto.

Furio                             - Ho capito!

Manuel                          - (dopo una pausa) E' lontana la Questura?

Mino                             - A due passi.

Manuel                          - E’..

Mino                             - Che cosa?

Manuel                          - Come non detto... tutto il colloquio di prima... Certo lei mi ha frainteso... a causa di questo stupido... (e indica Furio). Tuttavia, se per ragioni di salute... lei... come dottore... crede... Sì, insomma...

Furio                             - Che bel discorso...

Gianni                           - (apparendo) Signor dottore... (En­trano Sila e un agente).

L'Agente                       - Il dottor Mino Bàrion?

Mino                             - Sono io.

L'Agente                       - La riconoscete, dunque?

Mino                             - La riconosco...

L'Agente                       - (legge su di un taccuino) Per certa Sila Simon?

Mino                             - Ma sì. Sila Simon.

L'Agente                       - (risentito) E' per la regolarità, dottore. (Dignitoso) I miei ossequi. (Durante il colloquio Vagente avrà guardato insistentemente Furio, che avrà girato al largo. Andandosene, ora, dopo aver salutato, commenta fra se) Dove l'ho visto quello lì?!... (Esce).

Sila                                - (si guarda attorno e accenna al tavolino) Era per noi due?

Mino                             - (tace).

Sila                                - Non sei stato prudente. Se tu avessi avuto un po' di cognac m'avresti risparmiato questa vergogna. Contavo di scendere e di ri­tornare. Invece mi son dimenticata di lasciare aperta quella maledetta porta. Stavo male. Mi sono svegliata con degli incubi, i nervi mi sal­tavano, il cervello sembrava volesse scapparmi dal cranio. Male! Sono stata molto male! E adesso... ecco qui. (Sì guarda attorno; fa forza su sé stessa). Ma del resto, tanto meglio. Hai fatto tutto quest'apparato in attesa di potermi dire: buon giorno! Non ci sei riuscito? Tanto me­glio! Hai risparmiato quindicimila lire. Non le voglio più.

Manuel                          - (fra i denti, violento) Ma che sciocchezze dici?

Sila                                - Siete venuti a prendermi? Andiamo­cene. Andiamo via.

Manuel                          - Ah, davvero che non ragioni.

Sila                                - Prima! Prima, non ragionavo. Ora ra­giono troppo. (Rabbiosa con sé stessa) E se penso che ho potuto cercare mio figlio, soltanto per quello sporco denaro... Andiamo via, andia­mo via... (ma traballa e cade su una sedia).

Manuel                          - Oh, vedi che non ti reggi neanche in piedi!

Furio                             - La farà ragionare qualcuno.

Manuel                          - Ma sì, sei malata; e basterebbe solo che tu volessi...

Furio                             - ...in un paradiso potresti vivere da oggi...

Manuel                          - ...e noi ti verremo a trovare...

Furio                             - ...per questo siamo qui: accidenti ai cattivi caratteri!

Sila                                - (intontita) Che?... Che?... Che vuol dire questo?

Furio                             - S'era pensato...

Sila                                - Sta zitto, tu.

Manuel                          - S'era pensato che, date le tue con­dizioni particolari... sì, insomma... vedendo so­prattutto...

Furio                             - Altro bel discorso...

Sila                                - (lamentandosi, smarrita, con la testa fra le mani) Non capisco, non capisco... Mino, dimmi tu, aiutami tu... (con un improvviso tre­mito della testa e delle mani, sbarrando gli occhi su Mino, in un fil di voce) Sono stati... sono stati loro a proporti...

Manuel                          - Per il tuo bene...

Sila                                - (come se parlasse a sé stessa) T'hanno offerto me, in cambio di altro denaro...

Manuel                          - Per il tuo bene! (A Furio) Quando sarà calma s'accorgerà che lo facciamo per lei...

Furio                           -  E rimarrà in questo paradiso.

Sila                              - (si alza d'impeto; finalmente lucida) E, invece, non ci rimango. Ah, come vi vedo el come mi punisce Dio! E io dovrei lasciarmi ven­dere anche a mio figlio. Dovrei prendere del de­naro, per voi, da lui, con queste mani... con queste mani che hanno avuto per voi soltanto carezze, e per lui invece... (Terribile) No, eh... No! (A Furio) Ieri sono caduta io in ginocchio, qui, davanti a lui, che da me non ha avuto che vergogna. Ora ti devi inginocchiare tu, davanti al lui. Gli hai rubato anche la sua parte d'amore.! Ladro. Giù, così; come me ieri...

Manuel                        -  Ma questa è la galera !

Sila -                           -  No, Manuel! Perchè le ottomila lire,! Mino, solo quelle, me le dai. Ci staresti troppo! bene in galera. Mangiare e dormire. E invece no. Devi espiare, Manuel! Vicino a me; con me; tutta la vita! Via di qua, ladri, via, via ladri...» (Sulla soglia, mentre sta per seguire Manuel e Furio che sono scomparsi, le vengono meno le forze).

Giuditta                      - (la sorregge) Mamma!

Sila                              - (dopo una lunga pausa, come se si risve­gliasse da un lungo sonno) Lasciami... lasciami andare... (E' sfatta).

Giuditta                      -  Ma dove? Ancora con loro?  .

Mino                           - (d'improvviso staccherà dal suo libretto  uno chèque e lo alzerà, offrendolo a distanza).

Sila                              - (a quella vista si ritrae come spaventata) Oh no, no, no. (Scoppiando in pianto) Chi sono più io, cosa sono?!...

Giuditta                      -  La mamma.

Sila                              - (la guarda, la guarda)   ...Forse, un giorno... (Ricordando il gesto di Mino) Ma adesso no, no, no! (Si libera dolcemente di Giuditta e, facendosi sempre più piccina, scompare).

Giuditta                      -  Mino!...

Mino                           -  Tornerà.

Zia Clementina           - (apparendo)             Se n'è an­data?  (Mino non risponde) Hai le mani che gelano!

Mino                           - (dopo una pausa, a Giuditta) Quest'è zia Clementina... e questa, zia, è Giuditta...  (Si stringe la testa di Giuditta al petto) ...Mia sorella...

FINE