L’alba del terzo millennio

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L’ALBA DEL TERZO MILLENNIO

di

Pietro de Silva

Buio. Apertura sipario. Vento, abbaiare di cani, cicale. Tramonto.

Personaggi:
VINAIO: 
MAESTRO:


VOCE FUORI CAMPO (tono solenne) Venerdì 15 aprile. Anno 2001. Località Monte Soratte. Nel giorno della passione di Cristo, viene organizzata dal Comune di Viterbo una sacra rappresentazione. In cima al monte vengono issate tre croci, sulle due laterali, nel ruolo dei ladroni, vengono appesi due invidivui: un rozzo vinaio: di Caprarola ed un maestro: elementare di Ispica, in provincia di Ragusa. Entrambi vengono rassicurati che di li a poco verranno tutti gli altri personaggi, con il Sindaco in testa nel ruolo del flagellatore di Nostro Signore.
Ore sette di sera... i due stanno ancora aspettando... 
VINAIO: Cristo... incomincia a fa fresco... mi sono dimenticato il golfino a casa... quanto sarà che stiamo qua sopra?
MAESTRO: A giudicare dal sole... un sei, sette ore! 
VINAIO: (pausa) Se lo sapevo mi sarei portato un po’ di vino... come ti chiami?!
MAESTRO: Cortesemente, mica per altro... non ci conosciamo... se volesse darmi del lei, mi farebbe un piacere!
VINAIO: Cristo... la Madonna... sono sette ore che siamo qua sopra... tanto per scambiare due parole! 
MAESTRO: Nessuno le vieta di parlare con me, però preferirei tenere un attimino le distanze! 
VINAIO: E che caspita, ci sta una croce di mezzo... più distanti di così...
MAESTRO: Ma lei si esprime sempre con questo linguaggio vernacolare? 
VINAIO: Vernacolare!?
MAESTRO: Cristo/La Madonna... Che caspita... Non per altro, anche per un certo riguardo alla situazione... eviti questo linguaggio da trivio! 
VINAIO: (pausa, fra sé) Io questo mica lo capisco, siamo qua appesi come due sopressate e fa tanto il difficile! (a lui) Senta... signore...
MAESTRO: (alludendo alla croce di mezzo) Di Signore ce ne è uno solo e deve ancora arrivare... 
VINAIO: Buon uomo...
MAESTRO: Buon uomo, cosa?! (risentito) Marco.. Marco Fusa... Maestro: Marco Fusa! 
VINAIO: Fusa... (incredulo)
MAESTRO: Fusa! Maestro: Fusa! 
VINAIO: Maestro:... Maestro:, un po’ come...
MAESTRO: Maestro: e basta... Maestro:!
VINAIO: (fra sé) Oddio, qua non si può parlare! (e lui) Intendevo Maestro: come artista... capocantiere... piastrellista!
MAESTRO: Maestro:!!! (urlato e mortificato)
VINAIO: Maestro: cosaaa! (urlato)
MAESTRO: Elementare! Cristo! Elementare! 
VINAIO: E che sarà mai... Maestro: elementare! C’è da vergognarsi? È un mestiere come un altro... insomma!
MAESTRO: Insomma, cosa? 
VINAIO: No, così commentavo! (pausa) Senta Sor Fusa!
MAESTRO: Sor cosa?
VINAIO: Sor Fusa... da noi a Viterbo si usa Sor. Sor Fusa!
MAESTRO: Non lo consento, è volgarissimo. Sor!!!
VINAIO: Io lo trovo fine!
MAESTRO: È di una volgarità eccezionale... Sor Fusa!... Ser Fusa, già sarebbe meglio, comunque se mi chiamasse Maestro: riusciremmo a sanare la situazione imbarazzante...
VINAIO: Quante difficoltà... pè fa una domanda . vuole mezza giornata! E poi Maestro: scusi... io sarò ignorante... Se non sbaglio nella Bibbia chiamavano Nostro Signore «Maestro:» e fra lui e lei, non vorrei insistere... ma ce ne corre!
MAESTRO: II termine biblico «Maestro:», «Magi ster» ha una diversa accezione per come lo intendo io. è un appellativo completamente diverso sta per: faro. luce, guida. Lui era Maestro:... Io sono Maestro:! 
VINAIO: Senti, metteteve d’accordo, poi mi fate. sapere...
(Belare di pecore in avvicinamento, campanellini, muggire di armenti).
MAESTRO: Muto, muto che c’è un cristiano che è una specie di pastore che viene da questa parte! 
VINAIO: Fermalo, fermalo, chiamalo, chiamalo! 
MAESTRO: Senta! Rustico, villico, pecoraio, uomo di pecora...
VINAIO: (fischia alla pecorara) oooo, fermete! Va dritto come un fuso... 
MAESTRO: Pecorante!
VINAIO: Non urla troppo gli spaventi i cani! 
MAESTRO: Che m’importa a me dei cani... Non gli aizza cani! (concitato) Porta pecore! Sa niente della processione...
VINAIO: Ci hanno dimenticati, abbandonati in croce...
MAESTRO: Ancora non è venuto nessuno... 
VINAIO: Avverti a valle de venirci a pijà...
MAESTRO: Ci da una mano a scendere... ‘aspita ce guarda strano!
VINAIO: È chiaro t’è mai capitato d’incontrà pè campi un crocefisso che ti chiede n’informazione!
MAESTRO: Ci senti, sturate le recchie, so sette ore che stiamo qua sopra!
VINAIO: Quanto gliene pò frega a quello di quanto tempo stai qua sopra!
MAESTRO: Ma quello ci guarda come fossimo due cocozze, non da segni di vita! 
VINAIO: Ma quello manco tè conosce, se spaventa e gli spaventi i cani!
MAESTRO: La vuoi finire co’ sti cani! 
VINAIO: Perdi un altro pò de tempo, quello se ne va...
MAESTRO: Fermete, fermete guarda da sta parte, che cazzo sembra che le pecore stanno a porta al pascolo lui...
VINAIO: Scivola de Iato come nò stronzo, appizza le recchie, stamo da sta parte...
MAESTRO: Se non ci tirasse na petra fossi cosa di spaccarci i corna!
VINAIO: Eccolo là, se ne è andato, era meglio che tè stavi zitto!
MAESTRO: E che è colpa mia?... 
VINAIO: Che è venerdì? 
MAESTRO: Certo... 
VINAIO: Porca miseria! 
MAESTRO: Porca miseria, cosa?! 
VINAIO: Ha ragione, c’è la finalissima Viterbese-Pistoia! La danno anche su RAI tre in diretta... Non verrà nessuno! Dio, Dio, Dio questi non vengono più... siamo rovinati!! ! !
MAESTRO: Pecorante! Pecorante! Uomo da Pecoraaaa! Tiraci giù! Pecoranteee! 
Voce FUORI CAMPO -(molto lontano) Me spaventi i cani! Non urlà o t’aizzo cani! (ad libitum) 
MAESTRO: Oddio! Oddio! Mia moglie, chi avverte mia moglie! Franca! Dio mio Franca! 
VINAIO: Francaaaaaaaaaaaaaaaa! 
MAESTRO: Cosa urli, idiota! Sta in Sicilia! 
VINAIO: (mortificato) Pensavo abitasse da queste parti!... Che facciamo...?
MAESTRO: Che vuoi fare? Cosa vuoi fare troveranno le ossa i cani!
VOCE FUORI CAMPO (lontanissimo) Lascia in pace i cani!
VINAIO: Che ore saranno?
MAESTRO: Ormai saranno le otto... Dio, Dio, Dio che tragedia!
VINAIO: Non vorrà fare sta lagna tutta la notte! Ormai siamo qua, bisogna trovare un sistema per scendere, io sto stretto come una salama, lei come sta messo...?
MAESTRO: Peggio di tè!
VINAIO: Senta a me sto fatto che io debba darle del lei e lei a me del tu, non mi sta bene proprio per niente, guarda un po’!
MAESTRO: Forza, ti concedo di darmi del tu, basta che ti stai zitto che debbo pensare! 
VINAIO: Concede... lui, concede!... 
MAESTRO: Ssssssssss! (Ululato).
MAESTRO: Che era? 
VINAIO: Hai spaventato i cani! 
MAESTRO: Proviamo ad urlare insieme, 
Aiuto, Al Tre! Uno, Due, Tre... 

INSIEME Aiutooooooooooo! (Ululato).
VINAIO: Stiamo calmi, non c’è che da aspettare! Qualcuno passerà!
MAESTRO: Speriamo che il pecorante vada ad avvertire qualcuno a valle!
VINAIO: Non credo era troppo preso dai cani! 
MAESTRO: Ho paura!
VINAIO: Paura di che? Una volta vista la partita, qualcuno passa di sicuro e ci tira giù!
MAESTRO: Non è che la rimandano a domani? Tutta la notte qua sopra!
VINAIO: Non può essere, il Sindaco è uno preciso, se fa una cosa la fa bene. Dove mai s’è vista una Via Crucis il Sabato Santo, l’altr’anno l’hanno fatta di venerdì ed è andato tutto bene! Per me era meno dura facevo un Re Magio!
MAESTRO: Re Magio!?
VINAIO: Sì, portavo la mirra, l’incenso e l’oro... che poi insomma era la carta da pacchi... ma avevo fatto un bei lavoro, con dei mattoni dentro sembrava oro! Anche se è vero che non è tutto oro quel che luce, lei m’insegna!
MAESTRO: I Re Magi! Ma mica è Natale! 
VINAIO: Sì, lo so! Non sono scemo fino a questo punto! È solo che avevo bevuto un po’ troppo vino, pè scherzà con mio cognato m’ero messo un tappeto sulle spalle e una corona fatta col cartoncino Bristol. Quello m’ha detto vai là, fai la tua figura. Io non è che ci ho pensato due volte. Certo arrivato qua sopra m’hanno guardato un po’ male... sono arrivato a cavallo de un somaro, pensavo di sdrammatizzà la situazione... Purtroppo il momento non era il più adatto, mi .sono avvicinato alla croce e ho detto: questi doni sono per Gesù Bambino. Tutti m’hanno guardato storto. Quello che faceva un antico romano ha dato una cinghiata alle gambe del somaro e il ciuccio m’è partito a razzo fino a valle. II giorno dopo mi so’ scusato col Sindaco, gli ho detto che avevo la pressione alta e che sragionavo. Forse è proprio per questo che m’ha messo in croce, ma tu lo sai meglio di me come vanno le cose in paese, quando tè danno una parte, non è che ti puoi mettere a fa storie’ Questi se la legano al dito, se rifiuti, l’anno successivo nessuno ti guarda più in faccia, nessuno vuole giocare a bocce co’ tè, incominciano a parlare male alle spalle, insomma ti rendono la vita amara. Io qua ci campo co’ sta gente, non so lei, ma io ci sto gomito a gomito tutti i giorni, e chi li sopporta gli sguardi cattivi del gommista, del carrozziere, del ferramenta... chi li sopporta gli sguardi del ferramenta?
MAESTRO: ... Mah! (non capisce) 
VINAIO: No, sto a fà una domanda. Chi li sopporta gli sguardi del ferramenta! 
MAESTRO: Non lo so! 
VINAIO: Non Io so, cosa! 
MAESTRO: Non so di che stia parlando... 
VINAIO: No, lei è evasivo, uno fa una domanda, lei è tenuto a rispondere. Domandare è lecito rispondere è cortesia... sia cortese, risponda. 
MAESTRO: Ma che vuole che me ne freghi a me del gommista e del parrucchiere ... 
VINAIO: Ferramenta, non parrucchiere! 
MAESTRO: Senta, io ci ho già tanti problemi per la testa, lei se ne viene pure col ferramenta! 
VINAIO: Sei proprio scorbutico, era per aprire un discorso, perché ti credi che io non ci ho i miei problemi, sai quante partite di Cesanese del Piglio mi stanno andando a male adesso in cantina? Sai quanto Cesanese è rimasto invenduto? Lo sai che ogni ora che passa, specialmente adesso sotto Pasqua, sono decine e decine di bottiglie che restano invendute! Lo sai tu che il Cesanese più di tanto non lo puoi tenere in cantina che poi ti va a male? Me le pigli tu le casse de Cesanese? La senti tu mia moglie che mi fa una testa così che il vino è rimasto invenduto? Glielo spieghi tu la fine che ha fatto il Cesanese? Lo sai che questo è il momento dell’anno che il Cesanese va alla grande e poi mi cala il venduto fino all’autunno? Lo sai che non c’è il ristorno sul Cesanese? I clienti che vengono giù in paese e non mi trovano tè credi che più di tanto mi cercano? Poi l’insegui tu co le bottiglie di Cesanese pè convincelli a compralle a basso prezzo? Tu hai idea di quanto me fa soffrì il Cesanese? Più di un figlio, più di un fratello!
MAESTRO: Bastaaaaa!
VINAIO: Eh, no! Allora non mi fa storie sugli sguardi del ferramenta, se ti dico che mi guarda strano, lodico perché è così!
MAESTRO: Senta, ma lei che vuole da me! 
VINAIO: Niente, lei fa tante domande, parla tanto, in qualche maniera mi dovrò pure difendere...
MAESTRO: Fa proprio freddo! 
VINAIO: Batti le mani!
MAESTRO: Come faccio?
VINAIO: Fai così co le mani! (le stringe a pugno di continuo}
MAESTRO: Bè è già una cosa... 
VINAIO: I piedi, scalpita i piedi, ti riscaldi!
MAESTRO: Insomma!
VINAIO: Quanto sei complicato, figlio caro! Che te pensi che fanno le croci con la stufa sotto i piedi! 
MAESTRO: Franca! (a mezza voce singhiozzando) 
VINAIO: Non ce pensa... tanto lei mica tè pensa! 
MAESTRO: Ma come si permette! 
VINAIO: No, volevo dire, sua moglie a quest’ora ci avrà da fare... 
MAESTRO: Cosa?
VINAIO: Non Io so... qualcosa... 
MAESTRO: Ma lei cosa ne sa? 
VINAIO: È un’ipotesi... magari sta guardando la televisione, ci ha qualcos’altro per la testa, meglio così, almeno non si preoccupa... MAESTRO: Franca, Franca... 
VINAIO: Oddio!
MAESTRO: L’ho conosciuta a Ispica, vicino a Ragusa, dove sono nato... 
VINAIO: Io dormo, eh?...
MAESTRO: Avrò avuto venti? Venticinque? 
VINAIO: Abbonda...
MAESTRO: Trent’anni, quando ci siamo conosciuti...
VINAIO: Basta che parli piano. 
MAESTRO: Franca! (sognante) Quanto tempo! Eravamo due bambini, stupidi, incoscienti... 
VINAIO: Continua così, ogni tanto fiata, che mi concilia il sonno!
MAESTRO: La incontrai mentre passeggiava per il paese trasognata, malinconica con Io sguardo perso nel vuoto. Avvicinandola, dopo averla osservata a lungo ebbi come un sussulto, e con esitazione piantai una scusa qualsiasi per dirle due parole. Fu solo un accenno, nonostante io paressi più disinvolto, dentro maturavo un disagio incontenibile. Certo lei non faceva granché per mettermi a mio agio, i discorsi cadevano, ad ogni mia domanda sillabava un sì, o un no, brevi cenni del capo, grappoli di risposte, stentate, vaghe. Forse era questo che mi attraeva terribilmente di Franca, questo suo porsi e ritrarsi, questa disponibilità e questa ritrosia eternamente in bilico. Il paese, la gente, tutto ci stava stretto eppure eravamo impossibilitati ad uscirne. Noi lo vedevamo il varco, ma oltrepassarlo non era poi così facile, era lì a portata di mano bastava che solo uno dei due lo volesse e ne saremmo usciti fuori liberi e fieri come due puledri...
VINAIO: (ad occhi chiusi e a mezza bocca) Bè, mò due puledri!...
MAESTRO: Quando ci decidemmo, era troppo tardi, non più giovani per avere quell’entusiasmo a cominciare una nuova vita altrove, e neanche abbastanza vecchi da dichiararsi sconfitti di fronte alla vita. Io maestro: elementare con una paga da fame, appena sufficiente a garantirmi il minimo necessario e lei che lavorava presso lo studio di un avvocato come segretaria. Non c’era di che stare allegri. Ma quello che più mi indisponeva era quella sorta di mutazione che si impadroniva del suo viso col tempo che passava. Una bellezza che sfioriva, come un viso visto attraverso un vetro appannato. Lei lo sapeva ma io fingevo che ciò non accadesse. E quanto mi detestavo allora, perché non dichiararle allora che non mi piaceva più come una volta? Quel riserbo ipocrita mi macerava, l’amavo, l’amavo come sempre, ma era un bene diverso, quell’amore che si manifesta verso le persone che con tè hanno condiviso una vita, quella certezza che diventa consuetudine, routine, sicurezza. Quante volte, Dio quante volte, mentre facevo l’amore con lei pensavo ad altre e al contempo sapevo che un amore grande come quello che nutrivo per lei, forse non l’avrei mai trovato. Lei sentiva tutto questo, mi interrogava con lo sguardo, mi scrutava nell’animo, e questo furto dei miei sentimenti mi faceva stare male. Non potevo fare e a meno di lei e nello stesso tempo vedermi scorrere il tempo davanti agli occhi senza alcun appagamento mi macerava, mi consumava. Poi venne il giorno in cui timidamente accennò di desiderare un figlio. Io stupidamente frustrato dal mio lavoro, tutto desideravo fuorché un figlio. Non credo che andai tanto per il sottile per farle capire che ad un figlio non ci pensavo proprio, ma lei ostinata continuava ad angosciarmi. Il mio fu uno stillicidio peggiore del suo, non perdevo occasione per farle capire quanto fosse lontano da me il proposito di averne uno. Divenni efferato, cattivo a volte. Ci fronteggiavamo come due muri, nessuno dei due voleva cedere. Quando si rese conto quanto fossi risoluto e irremovibile ebbe un cambiamento improvviso, persino i figli degli altri detestava. Non mi veniva a trovare più alla scuola dove insegnavo pur di non incontrare con lo sguardo quelli che per lei erano diventati «mocciosi» ed estranei. L’impossibilità di ottenerne uno dall’uomo che amava la indusse a convincersi del contrario... pur di non soffrire.
Che stronzo che sono stato! Non meritava tutto questo!
Io che fino ad allora vivevo di scrupoli, con lei non ne ebbi alcuno e la lasciavo appassire perché troppo preso dalla mia insanabile e forse chissà, giusta voglia di cambiare rotta.
Divenni insofferente in tutto, persino a scuola, pensavo continuamente a come rabberciare questo rapporto che giorno per giorno sotto i nostri occhi si sfibrava e languiva. Ricordo ancora un bambino che all’ora di ricreazione mi tirava per la giacca per sapere se esiste il silenzio assoluto, e gli risposi scrollandomelo di dosso: «Che cazzo vuoi ne sappia io, se esiste il silenzio assoluto».
VINAIO: {russa).
MAESTRO: (fischietta e schiocca sulla lingua per farlo smettere).
VINAIO: Eh?!
MAESTRO: Può russare più piano, per cortesia? 
VINAIO: Perché russavo?
MAESTRO: Eh, no!
VINAIO: Mi scusi ma a una certa ora, io non connetto più, è da stamattina alle cinque che sto in piedi, dalle 14 che sto in croce... Diceva di Franca? So rimasto che la inseguiva per il paese... 
MAESTRO: Sì, va bè!... Oh! 
VINAIO: Che c’è?
MAESTRO: Ha visto pure lei? 
VINAIO: Cosa? 
MAESTRO: Là in cielo! 
VINAIO: No, dove? 
MAESTRO: Va bè ormai è passata!
VINAIO: Che era? 
MAESTRO: Una stella cadente... 
VINAIO: Curioso ‘sto fatto, non cadono il 10 agosto la Notte di San Lorenzo?
MAESTRO: No, quella notte si vedono meglio, perché la posizione della terra è più propizia, ma anche in altri periodi dell’anno se si è fortunati, con il cielo limpido si possono vedere! 
VINAIO: Ha fatto un desiderio? 
MAESTRO: Ah, già! (chiude gli occhi) Fatto! 
VINAIO: (come sopra) Anch’io!
MAESTRO: Ora non lo deve dire! 
VINAIO: No, lo voglio dire! 
MAESTRO: Noooo, se no non si avvera! 
VINAIO: Non ce la faccio, è troppo bello! 
MAESTRO: Nooo!
VINAIO: Oh, senti potrò fare come cazzo mi pare?!... Senti, stavo pensando che dal buio, laggiù a 10 metri, che già non si vede niente, spunta Cristo, però quello vero se fa una risata e ci dice: State ancora aspettà che ve vengono a tira giù! Allora fiji cari se vede che dormite da piedi!
MAESTRO: Dormite da piedi?!
VINAIO: Si, «Dormite da piedi», cioè come a dì «Hai voglia ad aspettà»!
MAESTRO: E questo la fa ridere? 
VINAIO: No, mi fa ammazza più che altro l’idea che dice: «Dormite da piedi» e poi scompare ridendo nel buio!
MAESTRO: Ma lei vaneggia? 
VINAIO: Guarda che è possibile che Cristo parlasse così, in fondo era uno come noi, frequentava gente semplice, pescatori, non è improbabile che all’epoca si dicesse «Dormite da piedi»... E lei che desiderio ha fatto!
MAESTRO: Franca!
VINAIO: Ah, allora è una malattia, non ci hai altro per la testa... Oddio! Ne ho vista una pure io! 
MAESTRO: Hai visto!
VINAIO: Che bello!... mica tanto! Pensa a quelli che le stelle gli cadono in testa... cazzo una stella pesa! •
MAESTRO: Ma che cade! Sono frammenti che sfiorano l’atmosfera e schizzano via! 
VINAIO: Ah, sfiora?!... Basta sapello, c’è bisogno d’alzà la voce, cosa ne posso sapè? 
MAESTRO: (schifato a mezza bocca) La stella pesa... 
VINAIO: Certo, quarcosa ci ha da esse! (ispirato, guardando il cielo) 
MAESTRO: Che ha detto? 
VINAIO: Quarcosa ci ha da esse! 
MAESTRO: Cosa vuoi dire? 
VINAIO: Che c’è una mente superiore, un ente supremo, chiamalo Dio, chiamalo Budda, chiamalo... (non trova le parole) 
MAESTRO: Chiamalo?
VINAIO: Chiamalo un po’ come tè pare!... Pensa solo all’eternità, fai una prova, stiamo dieci secondi senza parlà... (Pausa).
VINAIO: E so dieci secondi! Pensa l’eternità... una bella palla!
MAESTRO: E con questo? Cosa c’entra con Dio! 
VINAIO: C’entra! C’entra! Dio c’è prima delle cose e dopo le cose...
MAESTRO: Ma quali cose? Quale Dio! Dopo la morte non c’è niente, il vuoto, il buio, il nulla! 
VINAIO: Senti, fijo caro, tè non sei proprio un tipo da porta a una scampagnata per fasse due risate!
MAESTRO: Mi fate ridere voi! V’hanno impapocchiato il cervello con queste balle, mi piacerebbe che ci fosse un addetto nell’aldilà che accoglie tutti i credenti e gli fa dopo morti: «Bè, allora, che cerchi?Non c’è niente, buio, vuoto, finito, fregato», pensa come resterebbero male! Purtroppo ancora nessuno è tornato per dimostrare che di là non c/è niente... NIENTE!
VINAIO: Basta! Satanasso, mi stai distruggendo un mondo, come niente, non bestemmiare, non voglio più sentire, voglio tapparmi le orecchie e non posso, che sofferenza! Non ti vergogni? Gesù proprio al ladrone alla sua destra disse: «tu sarai con me nel regno dei cieli»! E tu lo ripaghi a questa maniera! Patì tre giorni e salì al cielo!
MAESTRO: Cosa salì, pazzo! Basta! Era un uomo come un altro!
VINAIO: Potessi non avere le orecchie in questo momento! «Un uomo come un altro!» Camminava sulle acque, guariva gli storpi, raddrizzava quelli un po’ storti e me lo chiami un uomo normale! Lui volava e me lo chiami normale?
MAESTRO: (con aria di sufficienza) Volava!!!! 
VINAIO: Volava! Volava! Secondo tè come si spiega che lo si vedeva in diversi posti nel giro di pochi istanti? E poi è contemplato nel mestiere della fede! Chi ha fede vedrà! Che poi è un po’ come dire: chi vivrà vedrà o vivi o lascia vivere! O come cazzo si dice!!!
MAESTRO: Sta facendo un po’ di confusione, l’hanno rovinata i genitori!
VINAIO: Lascia perdere quella buon anima di mio padre! Un uomo che fin da ragazzini ci pigliava a nerbate sulla schiena! Mio fratello grazie a mio padre ci ha ancora la terza vertebra rotta ed è tutto sciancato, ma almeno ha capito che la marmellata non si tocca, e per questo è l’unico in famiglia che non ci ha il diabete! Lo vedi che i padri servono a qualcosa? Povero padre, ci pigliava a calci nel culo appena nati ma in fondo ci voleva bene! Ci puniva ma ci voleva un gran bene, eravamo tanti in famiglia, che a qualcuno toccava mangiare sempre sulla tazza del cesso, e quel qualcuno guarda caso era sempre io! Tanto che addirittura mi apparecchiavano direttamente in gabinetto. Ho tirato tanti anni avanti così che oggi mi sembra uno sfregio andarci per altre ragioni. Mi ci ero affezionato al gabinetto. Non c’era molto spazio in casa, sei fratelli e due camere con un piccolo ingresso in un sottoscala. Lì ci ho passato gran parte della mia infanzia, mi sono fatto una cultura, ho letto tanto là dentro... 
MAESTRO: Cosa?
VINAIO: Selezione da Riders Digest, La storia delli antichi...
MAESTRO: Quali?
VINAIO: Li antichi in generale! I libri di economia domestica di mia sorella, Tex, le figurine degli indiani e soprattutto un libro che ha colpito la mia fantasia... ancora lo ricordo con commozione! «Le sei mogli di Rico Ottavo» 
MAESTRO: Enrico ottavo! 
VINAIO: No, Rico Ottavo, quello che sposò Caterina d’Aragona, Anna Bolena, Giovanna Seymour, Anna di Cleves, Caterina Howard, Caterina Parr, lo vedi che la memoria ancora mi funziona bene?
MAESTRO: Enrico Ottavo! Era Enrico Ottavo! 
VINAIO: Oddio, mi distruggi un mondo non era Rico Ottavo?... Può essere che hai ragione, perché ora mi ricordo che il libro al bagno era sotto una pila di scarpe, ed era sempre unto di lucido nero... magari non avrò letto bene... Enrico Ottavo! E chi è?
MAESTRO: Un Re inglese della dinastia Tudor, volendo separarsi da Caterina d’Aragona, sorella di Carlo V, per sposare Anna Bolena ed essendosi Clemente VII rifiutato di concedere il divorzio fece proclamare dal parlamento la separazione dell’Inghilterra dalla Chiesa Cattolica e se stesso capo della Chiesa Anglicana un vero e proprio atto di supremazia! 
VINAIO: Un bei caratterino, un po’ come mio padre... Lui diceva che la chiesa è il posto dove bisogna stare più in campana, perché là c’ha un controllo diretto, diciamo le parrocchie erano la specialità del Padreterno. Quindi la domenica io andavo a messa in paranoia totale. Fermo, rigido, non capivo mai quando caspita bisognava sedersi o alzarsi. Quando il prete diceva: rendiamo grazie a Dio io mi sedevo pensavo che una volta che ringrazi Dio, lui si calma e ti fa sedè, invece niente, mi dovevo alza. In chiesa se vedeva sempre uno scemo che andava giù quando gli altri erano su e viceversa. Mio padre mi dava certe pigne dietro la testa co le nocchie delle dita. Certe pezze! Il parroco faceva: rendiamo grazie a Dio e nella chiesa rimbombava una sberla che faceva girà tutti quanti. Mio padre mi faceva sempre tagliare i capelli corti perché mi doveva coglie preciso sul collo, nel paese tutti mi riconoscevano le spalle e dicevano: «guarda quello è Giovanni!», ci avevo un collo rosso che si vedeva addirittura di notte. Se qualcuno cercava mio padre durante le ore di mercato, in mezzo alla folla, lo individuava subito perché andava in giro sempre co sta palletta rossa, che poi era la mia capoccetta! Alla prima comunione mio padre m’ha messo una tale paranoia sull’ostia, che ho affrontato il parroco come un esecuzione! Mio padre mi diceva: sta attento che l’ostia se tè se incolla sul palato, poi non respiri più e schianti come zio Gino.
Zio Gino era uno zio mezzo scemo da parte de nonna, che per l’emozione dell’ostia incollata sul palato schiantò sull’altare soffocato. Andai all’altare la prima volta e naturalmente me se incollò precisa sul palato, fece mappa co la lingua, ma io che nun ero scemo so schizzato sull’altare ho acchiappato il calice del vino e l’ho mandato giù di colpo. Ci avevo sette anni, non l’avevo mai bevuto! Era bono da impazzì! Infatti il parroco, che non ce scherzava, diceva messa anche quattro volte al giorno per beve il vino che in sacrestia gli nascondevano. Un vino! Un vino favoloso! Non l’ho mai più bevuto un vino così bono! Da quel giorno sono stato travolto da quell’insana passione per il rosso sfuso e me so messo a fa il vinaio: pè tutta la vita! Un’altra fissa di papà era il pane, mi diceva: Giovanni bacia il pane prima di buttarlo, perché il pane è sacro. A mi padre gli ho fatto sparì per anni certi filoni! Come lo comprava, pagnotte, rosette, sfilatini, io lo baciavo e lo buttavo nella monnezza. Chiaramente di nascosto, un giorno mia madre m’ha pizzicato e m’ha tenuto nello stanzino delle scope co l’uomo nero, ma co l’uomo nero vero! Un povero disgraziato che ci portava il carbone per il riscaldamento. Mia madre l’ha chiuso con me a chiave per spaventarmi, sto poveraccio ci aveva più paura di me! Io che urlavo come un ossesso spingendolo co una scopa per tenerlo lontano ci ha preso tante di quelle botte al buio che dopo tre giorni hanno tirato l’omo nero svenuto dallo sgabuzzino! Da quel giorno ha lavorato col gasolio, era pulito e incipriato bianco come un lenzuolo, forse impazzito! Nel frattempo mio padre, si impadronì della parrocchia, doveva confessarsi e comunicarsi ogni mezzora, gli pigliavano le crisi! Pigliava a sberle il parroco se era a corto di ostie, spesso usciva la domenica con un malloppo di ostie in bocca. Era velocissimo, come le vecchie aprivano la bocca per la comunione interveniva lui con un morso e le vecchie restavano accannate. Così pigliava due piccioni co’ una fava, se sentiva più santo e glie passava la fame! Gli ultimi anni stava proprio male, delirava, a tavola diceva che lui a forza de magna il corpo di Cristo se sarebbe guadagnato il paradiso prima degli altri! Un giorno, me lo ricordo ancora, era il 23 ottobre de dieci anni fa, si mise a tavola e fa l’imitazione di Zio Gino co’ l’ostia incollata che rantola e se dispera, fece ride tutti, ma lo fece così bene che glie dicemmo basta! Falla finita! Abbiamo capito com’è schiantato Zio, ma lui continuava e noi a ride, a ride! A un certo punto ha avuto un contraccolpo è volato per terra e gli abbiamo fatto un applauso... è rimasto là secco, tutti ad applaudì! Bravo! Bravo! Non se moveva! Quando hanno capito che era andato, quelli più maligni hanno addirittura fischiato... povero papa... che fine da stronzo ha fatto!
MAESTRO: (pausa) Una bella famiglia! Non ci pensi la vita continua...
VINAIO: Ta na cura, continua alla grande! Ci ho na fame! 
MAESTRO: A chi Io dice... c’è un sistema, un giochetto, un po’ funziona... 
VINAIO: Presto! Nun gliela faccio più! 
MAESTRO: Proviamo a dire tutto quello che ci passa per la mente pensando a una tavola imbandita, fino alla nausea... a volte passa la fame... provi!
VINAIO: Rigatoni. 
MAESTRO: Fettuccine.
VINAIO: Cotiche. 
MAESTRO: Carciofi alla giudia. 
VINAIO: Sformato de patate. 
MAESTRO: Acciughe sott’olio. 
VINAIO: Tronco de gallina in brodo. 
MAESTRO: Cannelloni. 
VINAIO: Trippa al sugo.
MAESTRO: Seppie e calamari con zuppa di piselli. 
VINAIO: Zampetto de maiale affogato. 
MAESTRO: Zuppa di cipolle, patate e fagioli... 
VINAIO: Basta, sospenni, non porta più niente! Ammazza se funziona. Porca miseria, mò non c’è niente pè digerì...
MAESTRO: A quello non ci ho pensato!
VINAIO: Bella fregatura, la prossima volta ‘sto gioco sòla, lo fai con qualcun altro!... Ci ho un mal de panza!
MAESTRO: Ignorante! Ma queste cose insegna lei ai bambini, ai suoi figli?
VINAIO: Perché? Che insegni tè ai pupi? i cubi, le aste, A come albero, B come balena... so bòno pure io! E lo Stato ve paga pure! Che vergogna! Ve danno pure i soldi! Ecco chi butta giù l’Italia i maestri elementari!
MAESTRO: Io neanche le rispondo, ho fatto male a darle confidenza, la confidenza va data con le pinze, se lo sapevo de incontra sto rompipalle mica ce venivo qua sopra!... Dio, il tempo non passa mai... (fischietta e poi attacca con la canzone seguente) Dan son vive le son, vive le son, vive le son, dan son vive le son du canon (ecc.). 
VINAIO: Com’è?
MAESTRO: Lasciami in pace! (riattacca come prima)
VINAIO: Bella... di chi è?
MAESTRO: 1791, Autore ignoto... (canta) Danson la carmagnole, vive le son vive, le son, danson la campagnole, vive le son du canon!... Rivoluzione, presa della Bastiglia, l’assemblea costituente, Lafayette, Montesquieu... ne sa qualcosa? 
VINAIO: Non ne so niente! Non ne voglio sapere niente, di questi tempi è meglio tappasse le orecchie, io mi faccio sempre i fatti miei... Lei piuttosto, tutte queste lingue...
MAESTRO: Cinque correntemente: inglese, francese, portoghese, tedesco, russo... altre due così, così...

L’aramaico e il Turcomanno... 
VINAIO: Difficile, eh?
MAESTRO: Eh!
VINAIO: Come si dice in turco... Aiuto! 
MAESTRO: Allahmanhahalì!
VINAIO: Una specie di gargarismo, fa quasi impressione, metti che in Turchia ti rubano una borsa in mezzo alla folla non fai in tempo ad aver finito di gridare aiuto, che quelli hanno già passato la frontiera... allacmannalì! Un po’ più corto non Io potevano fa! Pè fa la denuncia in commissariato ci metti tre giorni!... (ridacchiando) Aiuto!...
MAESTRO: (singhiozza a mezza voce) Aiuto!... Aiuto! (poi piange)
VINAIO: Non vorrai ricominciare! 
MAESTRO: Lei mi ricorda... quei compagni di scuola sempre allegri, benvoluti da tutti... all’infuori di me! Li detestavo, si rideva! Di cosa! Buttati come scemi, in questi fetidi casermoni di periferia, queste scuole, aree di parcheggio di migliaia di giovani scaraventati nella vita a brucare nel mucchio! Che destino di merda, a 25 anni esco dalle scuole e ci rientro due anni dopo... in quelle elementari, in cattedra... mi sembra di vedere la mia vita all’incontrario, dalla parte opposta, spettatore delle mie idiozie... calamai che volano, vocali ripetute centinaia di volte sui quaderni sgualciti, le polpette della mamma dentro i piatti di plastica, il doposcuola, le mani sporche di pastelli a cera, la bambina di cui tutti si innamorano, le gomme attaccate sotto i banchi, la scoliosi, i geloni, il morbillo... Vita di merda! Ogni anno devo rivederla dall’altra parte e non c’è modo di uscirne... bocciato per sempre... fermo sempre alla quinta elementare... (piange) 
VINAIO: Non faccia così! La prego... Maestro:, Maestro:! Si consoli, io da ragazzine sono stato a scuola dalle suore... Dio, quanti ricordi! Le suore mi dicevano, pregate all’aperto perché se pregate in classe, le preghiere si fermano al soffitto e non vanno in cielo. Allora tutti a scaraventasse alla finestra a urla (urla) «Ave Mariaaaaa, piena di graziaaaaa». Di fronte c’era un cantiere di operai, e allora era un concerto, si fronteggiavano una bestemmia e una preghiera. Quelli sparavano bestemmie da far rabbrividì un cane e noi pè ripicca rispondevamo co’ quattro Pater, Ave, Gloria. Mario, il primo della classe, gli sparava un Credo, che è una palla che non finisce più e loro pè disperazione s’azzittivano. Le suore ci aizzavano da dietro la finestra suggerendoci le preghiere e gli operai dall’altra parte che vedevano ‘sto suore tutte rincagnate dietro a noi, urlavano: «Sorè, fatece vede come siete fatte sotto!», insomma se scatenava l’inferno. Le suore poverette ci dicevano: «Tappatevi le orecchie, non ascoltate quei miscredenti!», insomma dovevi ve de che erano st’orda di bambini affacciati alle finestre co* le dita nelle recchie che urlavano agli operai: «Padre nostro che sei nei cieli». Un giorno sto casino finì in tragedia, un operaio che s’era troppo sporto pè lancia una bestemmia contro la madre superiora, piombò come un sasso da un impalcatura al sesto piano fin nel cortile cadde nella vasca dei pesci rossi... ed affogò di fronte alla scuola Ci fu un silenzio terrificante. Le suore urlavano: «chiudete la finestra, chiudete la finestra. Non avete visto niente chiudete la finestra. L’anima di quell’operaio è all’inferno, continuate a fa le aste, continuate a fa le aste»... (al maestro:) Quell’immagine mi è rimasta talmente impressa, che ancora oggi sogno quell’operaio che fa le aste in mezzo alle fiamme sotto la minaccia di un forcone... 
MAESTRO: Quanto tempo ancora dovremmo marcire qua sopra!
VINAIO: Guardi, già si sta schiarendo... le prime luci dell’alba.
MAESTRO: L’alba... del terzo millennio... 
VINAIO: Cosa?
MAESTRO: 16 aprile 2001, siamo alle soglie del terzo millennio... una chiavica fino adesso... tutto vuoto, tutto fermo, gli stessi privilegi ripartiti fra le solite persone, non si è mosso nulla... fermi, fermi... a ridere nel fango...
VINAIO: Lei la vede troppo nera... 
MAESTRO: Cazzo! È anche colpa di gente come lei che tutto va in vacca, ridete, ridete! Buttate tutto in burletta e i soliti quattro stronzi ce la fanno sempre sotto al naso!
VINAIO: Cosa rido! Mi faccio un mazzo dalla mattina alla sera che non finisce più e sto col culo per terra! 
MAESTRO: E non ti vergogni!? Qualcosa avrai voluto essere nella vita! O no? 
VINAIO: Veramente a me sta bene così... 
MAESTRO: È per gente come tè che gli altri sono diventati quello che noi non siamo mai stati! 
VINAIO: Cristo! Ma se lei è un fallito con chi cazzo se la piglia? Lavora! Muoviti! La fortuna non ti casca mica in braccio!
MAESTRO: È proprio questo che v’ha fottuto per anni: credere che con la buona volontà si potesse ottenere qualcosa di buono e allora giù a lavorare e a prenderselo nel culo, caro il mio buon vinaio:! (a mezza voce) Coglione!
VINAIO: Mi contento di quello che ho e sto meglio di lei che non sa neanche quello che vuole!... (fra sé) Toh! Questa m’è riuscita bene! (Si scatena un temporale prodigo di tuoni, fulmini, pioggia).
VINAIO: Comincia bene il suo terzo millennio, caro il mio allegrone!

MAESTRO: Ci mancava questa!... Non riesco ad immaginare quanto si possa resistere in croce senza man giare e bere...
VINAIO: Bere, adesso non c’è problema! 
MAESTRO: E pensare che io osservavo i miei coetanei che invecchiavano impercettibilmente ed inesorabilmente, io dimostravo sempre meno di quello che in realtà avessi, ogni anno che passava la vita ne modificava i tratti ed io fermo... ogni cinque anni ci s incontrava, con i vecchi compagni di scuola per vedere quanto si fosse invecchiati, loro mostravano sul volto gli impietosi segni del tempo, piccole rughe, capelli bianchi, occhi spenti ed io orgogliosamente ancorate ai miei vent’anni. Poi un giorno guardandomi alle specchio mi sono reso conto che io non ero da meno, il tempo lavorava anche per me! Finché si hanno trenta, quarant’anni ci si fa più case a certe cose, poi con gli anni persi ad inseguire il tempo perduto o a fermarlo, ci si accorge che non bisogna guardarsi scorrere la vita davanti ma che bisogna viverla...
VINAIO: Lei ha perso troppo tempo a osservare gli altri, a desiderare quello che non ha mai avuto. E ora sta fermo lì dov’è, e non credo che si sposterà più di tanto!
MAESTRO: Intanto ho dentro qualcosa che mi tiene vivo. Questa mia irrequietezza vuoi dire che ancora sono sano e non sconfitto come lei con le mani sporche di vino!
VINAIO: Queste mani, caro il mio maestrino dalla penna rossa, hanno costruito qualcosa e quando torno a casa il minimo indispensabile per campare dignitosamente lo porto ai miei figli... 
MAESTRO: II minimo indispensabile, consumati un altro po’ col minimo indispensabile e vedrai come ti sputerai in faccia quando avrai 60 anni! Non ti invidio proprio!
VINAIO: Stai bene tè, coi regazzini che ti tirano le freccette in faccia, è inutile che t’incazzi con me, è una guerra fra morti di fame amico mio... è una guerra fra morti di fame! (Tuoni).
MAESTRO: Mi si sta appannando Io sguardo, questi si sono proprio dimenticati di noi, faremo i capelli bianchi qua sopra!
VINAIO: Ha mai sentito parlare di Sandro in paese? 
MAESTRO: Sandro?
VINAIO: Sì, una storia famosa, un bambino che nei primi del novecento morì per una caduta da cavallo, dopo settanta anni rimossero il corpo dalla bara per spostarlo altrove, una volta aperta trovarono dentro il regazzino diventato vecchio, cazzo si invecchia anche dopo morti... non è curioso!
MAESTRO: Storie di paese, inventate di sana pianta, se ne raccontano tante e poi se le risparmi in questi momenti!
VINAIO: Paura, eh?! Pensa se resti in croce e non schiatti mai, invecchi qua sopra, agli amici tuoi poi che gli racconti?
MAESTRO: Ma vattene! Tutte palle, che vi raccontate in paese perché non avete niente di meglio da fare! Quando sei morto, sei morto! Cosa invecchi! Saturnino, un amico mio di Ispica, sta ancora piangendo, ma sul serio! Per credere a queste favole! Gli avevano raccontato che i bambini d’inverno vanno in letargo come le tartarughe. Lui ne aveva quattro di tartarughe in giardino e vedeva che ogni inverno le tartarughe, si ficcavano sotto terra, per poi venire fuori in primavera. A quell’epoca Saturnino aveva un bambino molto piccolo di tre mesi che dormiva sempre, lui pensò: tanto vale farlo dormire tutto l’inverno come le tartarughe! All’insaputa di sua moglie, di sua iniziativa, sotterrò il bambino vivo in giardino, per amore lo fece. Dopo tre giorni gli venne lo scrupolo di andare a controllare se dormisse ancora. Lo trovò freddo, di marmo, con la boccuccia spalancata. Quando arrivò la moglie trovò il marito riverso sul corpicino che ancora gridava: «Allora i bambini non vanno in letargo come le tartarughe, non vanno in letargo come le tartarughe»!
VINAIO: Ahaaaa! Cazzo, che mal di denti! Quando torno in paese me ne devo levare un altro! Meno male, so sempre stato pieno di denti in bocca, mò non ci ho più niente! Cominciò mio padre a portarmi dal dentista ogni mese, me faceva leva i denti guasti perché diceva che ricrescono più forti, stronzo io che ci ho creduto! Ce ne ho pochi ma so grossi certe breccole, a sto punto me ne levo il più possibile almeno ci ho la bocca meno pesante, tanto io vado avanti a vino... a che me servono i denti?! Che me servono?!!!
MAESTRO: (ridacchiando) Certo, pure tè visto da qui sembri uno spaventapasseri... 
VINAIO: Tè invece me ricordi un antenna... (ridendo)
MAESTRO: (il riso diventa nei due sempre più convulso) Se dai una raddrizzata a sta croce, forse la partita la vedono anche in Sicilia... 
VINAIO: Non t’agita troppo sennò il segnale gli arriva disturbato...
MAESTRO: E tu pensa a parla di meno, altrimenti in mezzo alla telecronaca, sentono due scemi che stanno a parla della moglie e del vino... 
VINAIO: ... oddio... oddio... basta! Non me fa ride troppo... me sento male!
MAESTRO: Se aspetti un altro po’, diventi l’unica antenna funzionante dell’alto Viterbese...

VINAIO: Basta... basta... per carità... non ce la faccio più!
MAESTRO: Pensa ai parenti che fra un’azione e l’altra vedono la tua faccia incazzata in televisione... 
VINAIO: Fermete... fermete... basta... falla finita... (Tuono, collasso).
VINAIO: II cuore... ‘azzo il cuore... ci siamo... lo sapevo che non reggeva. No, non posso morire in piedi, anch’io ho diritto a morire sdraiato! E poi da ladrone... già mi guarda strano il ferramenta... cosa dirà il ferramenta, quando non sarò più su questa terra... Le scarpe buone le ho lasciate a casa, non si può morire a piedi scalzi... (al maestro:) Dì al sindaco e al ferramenta che le scarpe io ce l’avevo, ma al momento di morire i piedi sono diventati più piccoli, mi sono scivolate via e sono volate a valle... mi raccomando digli al ferramenta che le scarpe io ce l’avevo... (spira).
MAESTRO: Oh!... Ohoooo!... Che stai facendo?... (disperato perché non sa come rianimarlo) Respira! Mi senti respira! Aiuto!... Tirati su stronzo!... Ahaaaaa! Vinaio:!... Come cazzo si chiama?!... Giovanni! Aspetta! Non morire adesso! Non ti posso aiutare! Ohooooo! Merda! Merda! Vuoi rispondere? Non ^ ne andare...
(Il maestro: dopo l’urlo è trafelato e fortemente spaventato).
MAESTRO: (sospiri di angoscia) Ho paura di restare solo. Quando stavo in casa senza Franca, la notte. mi consolavo perché sentivo dei rumori di sopra. Se mi fossi sentito male, anche in piena notte, forse m’ avrebbero dato retta! Qui (guardando in alto) non e’ nessuno al piano di sopra!... (colto da improvviso dubbio) O forse c’è qualcuno?... Signora! Signora!... Ma che sto dicendo! Calma! Calma! Non ho neanche il Valium con me! Cazzo, potevo ritornare bambino. Da bambini ci si contenta di un cubo. di un coperchio. Se fossi un bambino forse ora non avrei paura, sarebbe solo un gioco. Sarà meglio che cerchi di dormire., no, non riesco a dormire se non sento delle persone nelle vicinanze... ma sì, forse crollerò per la stanchezza. No, non voglio dormire, ho paura di sognare... miei sogni non sono mai belli. Sogno sempre di guardarmi allo specchio e di urlare, col mio volto riflesso e immobile che mi guarda con stupore... no, non voglio sognare la mia faccia! (con improvvisa consapevolezza) Oddio e se svengo? Io sono sempre stato debole di costituzione! Se svengo, nessuno mi può alzare le gambe per farmi rinvenire... chi mi alza le gambe? Quando cantavo alle elementari, nella recita di fine anno; mi mettevo sempre ai lati del palcoscenico per svenire in quinta.
E poi quante volte sono svenuto davanti alle tombe dei papi! Forse per questo non ho mai creduto! Odiavo l’odore d’incenso!... No, è assurdo quello che mi sta accadendo, non può essere che si siano completamente dimenticati di noi! Quanto tempo ci vuole per schiattare? Io mi conosco, sono duro, magari resisto quassù altri setto, otto giorni penando come un cane... (riferendosi al vinaio:) E pure tu, cazzo, che modo di morire è?! Ci vuole discrezione nelle cose non si può morire così, spudoratamente, a braccia aperte! Dovevi andartene via di nascosto, come i gatti, sotto una coperta o in un armadio... potevi morire in un armadio!... Giovanni... mi senti? Cosa stai provando adesso? Com’è il buio?... Stai male nel buio?... Com’è il buio?
(Sulle parole finali del maestro: con la voce rotta dai singhiozzi sale la telecronaca della partita con il Gloria in sottofondo).
VOCE TELECRONISTA FUORI CAMPO Pur troppo nessuno, a tutt’oggi sa dare una risposta soddisfacente a questa domanda, anche perché l’esito della partita non è affatto scontato e la posizione della Viterbese in classifica non lascia prevedere nulla di buono. Ma torniamo alla telecronaca, vediamo dall’area avversaria spingersi sulla fascia laterale del campo, il giovane attaccante del Pistola, che passa un pallone difficile al centromediano che accoglie il suggerimento con uno stop a seguire. L’incitamento del pubblico per i propri beniamini è incredibile. Fino adesso non ci sono stati episodi di intolleranza da parte dei tifosi avversari e si respira un clima di grande solidarietà umana, nei confronti dei due giocatori della Viterbese penalizzati per le loro intemperanze in campo... Ma ecco un’azione assai insidiosa sotto la porta, purtroppo la conclusione non è delle più felici, visto le pessime condizioni di forma del centravanti del Pistoia. (Sfuma la voce del telecronista. Sale il Gloria. Cala il sipario).

FINE