L’AMANTE CABALA
Di Carlo Goldoni
Intermezzo di tre parti per musica rappresentato per la prima volta in Venezia l’anno 1736.
PERSONAGGI
Filiberto incognito. Lilla vedova forestiera. Catina figlia veneziana.
La Scena è in Venezia.
PARTE PRIMA
SCENA PRIMA
Lilla e Filiberto
LILLA Resti, resti, e non s’incomodi.
FILIB. Vuò venir; questo è il mio
debito.
LILLA Nol permetto, in verità.
FILIB. Se comanda, io resto qua.
Ma fra di noi, che siam promessi sposi,
Son superflue cotante cerimonie;
Conviene il galateo
Al
marito non già, ma al cicisbeo.
LILLA Io fui accostumata
In diversa maniera
Dal fu signor Anselmo mio consorte.
Ahi memoria fatale! ahi cruda morte!
Egli volea che seco
Trattassi in complimento; e allora quando
La maggior confidenza era dovuta,
Mi
voleva civile e sostenuta.
FILIB. Oh
allora poi...
LILLA Quello era un buon consorte.
Ahi
memoria fatale! ahi cruda morte!
FILIB. Ecco
l’usato stile
Delle vedove donne: ogni momento
Bestemmiano la morte,
Piangono tutto il giorno
La felice memoria del consorte;
E pur, tanto che visse,
Non vedevano l’ora
che morisse.
LILLA Oh, io non son di quelle.
Quando prendo ad amar, amo davvero,
Né mai per il pensiero
Mi passa un sentimento odioso e rio.
(Basta ch’io possa
fare a modo mio).
FILIB. Dunque, se l’è così...
LILLA Io mi ricordo
Di quel gran ben che mi voleva, oh sorte!
Ahi memoria fatale!
ahi cruda morte!
FILIB. Su via, signora Lilla,
Lasci questo dolor troppo eccessivo;
Si scordi ’l morto e la consoli ’l vivo.
Finalmente le tocca
Un consorte ben fatto,
Nobile, ricco, manieroso e saggio.
Filiberto son io,
Conte di Transilvania,
Famoso per le imprese
Fatte in più d’un paese.
Oh quante, oh quante donne
Piangon per mia cagione
Afflitte e disperate!
Oh quante... (che da me furon gabbate!)
Stupisco e raccapriccio
Che, mirandomi in volto
Sì garbato e pulito,
Non si debba scordar l’altro marito.
LILLA Forte chiodo in trave affisso,
Benché fuor di là si tragga, Lascia sempre quella piaga Che una volta egli formò. Così pur nel seno mio Quella ria piaga fatale, Che mi fece il primo strale, Non ancora si sanò.
FILIB. Creda però, senz’altro,
Che un chiodo per lo più discaccia l’altro.
SCENA SECONDA Catina dalla finestra, e detti.
CAT. Oimè! respiro un poco,
Quando vegno al balcon;
Sia malignazo pur la suggizion.
Siora mare me tien... Veh là, per diana,
La siora squincia con un cicisbeo.
Vardè che sfazzadona!
Xe un mese che gh’è morto so mario,
E
ai omeni cussì la corre drio!
FILIB. Oh che volto gentil! (guardando Catina)
Via, facciam presto; (a Lilla)
Conchiudiamo il negozio.
È peccato che lei
Perda
la gioventù vivendo in ozio.
LILLA Ma
non è già concluso?
Questa è pur la scrittura,
La
parola è già data, ai nostri patti...
FILIB. Non bastan le parole:
Vi
vogliono de’ fatti.
LILLA Come
sarebbe a dir?
FILIB. Far che preceda
La dote stabilita.
LILLA Dunque vussignoria
Ama più la mia dote
Che la persona mia?
FILIB. Mi meraviglio:
Amo il suo personale,
E all’interesse l’amor mio prevale.
Sol le chiedo la dote,
Perché con questo patto
Fra
di noi stabilito fu il contratto.
CAT. (Quanto che pagherave
Sentir cossa che i
dise!)
FILIB. (Guardando Catina) (Ella mi sembra
Giovine di buon cuore).
LILLA Ehi, signor sposo,
Cosa vuol dir? Quelle finestre han forse
Più
della casa mia dolce attrattiva?
FILIB. Dirò la verità, parmi quel volto
Altre volte aver visto, e tutta tutta
Ella si rassomiglia
A una parente mia nobile figlia.
CAT. (Certo i parla de mi; forse
culia
Me taggia i panni adosso;
Me sento proprio che me crepa el gosso).
FILIB. È forse qualche dama? (a Lilla)
LILLA Oh, oh, che dama!
Né dama, né pedina;
Ella è una simoncina
Che ha più fumo che arrosto.
Smania la madre sua per maritarla;
Ma
un pretesto vorria per non dotarla.
FILIB. Come sarebbe a dir?
LILLA Il mio costume
Non è di mormorar, ma ben vi giuro
Che se volessi dir... Basta, non voglio
Parlar dei fatti
d’altri.
FILIB. È forse questa
Facile con gli amanti?
LILLA E in che maniera!
Sempre mattina e sera
In casa di costei chi va, chi viene:
L’altro
giorno... Ma no, tacer conviene.
CAT. (Orsù, voggio andar via,
Perché se me n’incorzo,
Certo
ghe digo de chi l’ha nania). (si ritira)
LILLA È una senza creanza,
Superba, pretendente,
Temeraria, insolente;
Io mi vergognerei di praticarla,
Né
mi degno nemmen di salutarla.
FILIB. Non perdiamo più tempo;
Vada a prender...
LILLA Iersera,
Sotto le sue finestre,
V’erano
più di dieci giovinotti.
FILIB. Vada a prender le doppie...
LILLA E pur è brutta,
Come
il brutto demonio.
FILIB. Le doppie della dote,
Giusta il nostro contratto,
Altrimenti,
signora, io me la batto.
LILLA Senta questa, e poi vado:
A un giovine mercante,
Cui parlò dal balcone una sol volta,
Ha avuto tanto ardir questa sfacciata
Di chieder una veste ricamata.
Oh se volessi dir! Ma son prudente,
Abbado a quel che faccio,
E le cose degli altri osservo e taccio.
Però di quella smorfia
Mormora il vicinato,
Parlan male di lei tutti d’intorno...
Vado a prender le doppie, e presto torno. (parte)
SCENA TERZA Filiberto solo.
Sia ringraziato il ciel che se n’è andata.
Oh che donna prudente!
Guard’ il ciel se parlasse!
Ma vengano le doppie, e parli poi
E de’ fatti degli altri, e delli suoi.
S’inganna ben, se crede
Che io la voglia in consorte; il mio pensiero
Presto le sarà noto:
Bramo la dote sua; questo è il mio voto.
SCENA QUARTA
Catina e detto.
CAT. Za che più no ghe xe (torna alla finestra)
Quella tarizadora temeraria, Vôi tornar al balcon per chiappar aria.
Per altro son pur matta, A starme a travaggiar; Sul muso una zavatta Piuttosto ghe vôi dar.
FILIB. (Ecco già ritornata
La giovine garbata: eh, già non credo
Tutto il mal che di lei Lilla m’ha detto;
Il solito difetto
Delle femmine è questo: altro non fanno
Che dir quello che sanno e che non sanno.
Vuò tentar se con questa
Vi fosse da far bene; io già non cerco
Finezze, amplessi o vezzi,
O simili tesori immaginari.
Non mi curo d’amor, cerco denari).
CAT. Se la me salta suso
Col so parlar roman, Ghe voggio dar sul muso Un pugno venezian.
FILIB. (Io mi voglio introdur, ma per poterla
Maggiormente adescar, finger conviene Un altro personaggio,
Cangiar nome, paese ed il linguaggio). Servitor riverente alla patrona.
CAT. Patron, la reverisso.
FILIB. Ella no me cognosse.
CAT. No seguro.
FILIB. Gnanca se fusse scuro!
No la cognosse Toni, Marzer de Marzaria All’insegna del Gambaro da mar?
CAT. Me par e no me par.
Seu forsi?...
FILIB. Giusto quello...
CAT. Che m’ha vendù quei merli?...
FILIB. Giusto quello...
CAT. Che me n’ha robà un brazzo?
FILIB. No son quello.
CAT. Donca no ve cognosso.
FILIB. Mo via, no la se fazza dalla villa,
La me varda in la ciera: Son amigo de casa, e so sior pare Me voleva un gran ben quando el viveva. Tonin, el me diseva, Te voggio maridar; mi gh’ò una fia Che gh’à nome...
CAT. Catina?
FILIB. Sì, Catina,
Bona come una pasta, Bella come una stella.
CAT. Sior sì, sior sì, xe vero, e mi son quella.
FILIB. Sempre d’allora in qua
In mente ho conservà La memoria e ’l respetto Per so sior pare, e per la fia l’affetto.
CAT. Grazie alla so bontà; se la comanda
Vegnir de su, ghe xe mia siora mare; La parlerà con ella, e se la vuol, Effettuar se pol La prudente intenzion de mio sior pare.
FILIB. Ma no sarave meggio
Ch’ella vegnisse zoso? In do parole S’aggiustaremo presto tra de nu; Sta sorte de negozi I vuol esser trattadi a tu per tu.
CAT. Che l’aspetta un pochetto:
Finzerò co mia mare Che la ventola zo me sia cascada, Onde co sta finzion vegnirò in strada. (entra)
FILIB. Il principio va bene;
Se questa è figlia ricca,
Mi saprò approfittar de’ beni suoi;
Ma s’ella fosse poi
Povera di sostanze,
Farò presto svanir le sue speranze.
Oh, vien la vedovella:
Non vorrei s’incontrasse con quest’altra.
Eh, non mancan pretesti a mente scaltra.
SCENA QUINTA Lilla e detto.
LILLA |
Eccomi; in questa borsa |
Cento doppie vi sono, |
|
Parte della mia dote a lei promessa. |
|
Per far qualche spesetta |
|
Questa somma cred’io che sia bastante, |
|
E nel dì delle nozze avrà il restante. |
|
FILIB. |
Con il far tanti conti (prende la borsa) |
Ci possiamo imbrogliar; meglio sarebbe |
|
Darmele tutte assieme. |
|
LILLA |
Questo poco mi preme, |
Se tutte in una volta ella le vuole; |
|
Dunque mi renda queste, e avrà l’intero |
|
Quando degli sponsali il dì fia gionto. |
|
FILIB. |
Voglio facilitar; le tengo a conto. |
LILLA |
Ma per amor del cielo, |
Sollecitiam l’affare. |
|
FILIB. |
Si puol assicurare |
Ch’io non mi perdo in ozio; |
|
Penso la notte e il giorno a tal negozio. |
|
LILLA |
Sopra tutto bisogna |
Ch’ella mi voglia ben con amor forte, |
|
Se mi devo scordar l’altro consorte. |
|
FILIB. |
Non dubiti; prometto |
Di mantenerle ognor lo stesso affetto. |
|
Gioia mia, voi solo adoro, |
|
Voi sarete il mio tesoro, |
|
La mia pace, il mio conforto. |
|
Per voi spero entrar in porto |
|
Della mia felicità. (finge parlare con Lilla, e parla con la borsa) |
|
LILLA |
Persuasa da queste |
Dolci parole sue, parto contenta, |
|
Signor consorte mio. |
|
FILIB. |
Signora sposa. |
a due |
Addio. (Lilla parte) |
SCENA SESTA Filiberto solo, poi Catina
FILIB. Cento doppie di Spagna
Son poche al mio bisogno;
Coltivare convien la vedovella,
Convien esser costante
Finché vien il restante.
Ma ecco qui la Veneziana: or via,
Tosto si cangi Filiberto in Toni,
Il marchese in mercante;
Così l’oltramontano
In
un punto si cangi in Veneziano.
CAT. La diga, mio patron,
M’ala
forsi chiamà per testimonio?
FILIB. Testimonio? De cossa?
CAT. Dei so amori
Con quella forastiera.
FILIB. Amori? Oh la s’inganna.
CAT. Donca che grand’affari,
Che interessi
gh’aveu donca con ella?
FILIB. Gh’ò venduo della roba de bottega,
Un abito de ganzo,
Un andriè de veludo, e altre cossette.
Onde la m’à pagà
Co ste doppie de
Spagna che xe qua.
CAT. Un abito de ganzo?
Un andriè de veludo?
Come diavolo fala a far ste spese?
Certo dal so paese
Intrade no ghe vien; da so mario
No l’à fatto sta grand’eredità.
Come
donca tant’oro ala acquistà?
FILIB. La
sarà la so dota.
CAT. Dota? Sì ben. La xe vegnua a Venezia
Con un strazzo d’andriè de tela indiana,
E la mostrava el cesto
Per non aver sottana.
FILIB. So mario giera un omo
Però che guadagnava.
CAT. Sì, ma tutto in tel ziogo el
consumava.
FILIB. Donca cossa vuol dir,
Che la xe così ricca?
CAT. Mi nol so,
E po anca sel so, nol vôi saver.
La xe una vardabasso
Che sa far con maniera i fatti soi.
Quando viveva ancora so mario,
L’aveva l’amicizia
D’un certo sior tenente
Ricco, ma ricco...
Orsù, no vôi dir gnente.
FILIB. (Oh questa sì ch’è bella!
Ancor
questa è prudente come quella).
CAT. Se un pochetto alla longa
Culia vu pratichessi,
De
che taggia la xe cognosceressi.
FILIB. E a vardarla in tel viso...
CAT. Oh oh, cossa credeu,
Che quel bianco e quel rosso
Sia color natural? Oh poveretto!
L’al gh’à alto tre dea.
FILIB. Cossa?
CAT. El sbeletto.
E po la xe cattiva come el diavolo :
Ogni otto dì la scambia el servitor.
Un zorno col sartor
La s’à taccà a parole, e lu el gh’à ditto:
Tasi, che ti è una
brutta...
FILIB. Zitto, zitto.
Lassémo andar custia, tendemo a nu.
Se la se contentasse...
CAT. El barcariol
Ghe ne sa dir de belle; el me ne conta
Tante che fa paura. El dixe un zorno:
Sì ben, la mia parona fa la casta,
E pur gieri de notte...
FILIB. Basta, basta.
CAT. Quando vedo ste bronze coverte,
Propriamente me vien el mio mal. Benedette ste ciere scoverte, Benedetto quel muso genial! Quel che varda continuo la terra, Par che gh’abbia col cielo una guerra, E ch’el sia so nemigo mortal.
FILIB. Sì, sì, la gh’à rason; donca per questo
El so viso genial za m’à piasesto.
Ma la me fazza grazia,
Cara siora Catina: ala acquistà
Da so sior pare bona
eredità?
CAT. Quattro mille ducati de contai
El m’à lassà per dota.
FILIB. (Eh, sono assai).
Via, se la se contenta,
Fémose esecutori
Della paterna volontae: la man,
Se la vuol, mi ghe
toco.
CAT. Non abbiè tanta pressa, adasio
un poco.
Alle vostre parole
No me voggio fidar. Voggio saver
Chi sè, dove che stè;
Vôi
véder che negozio che gh’avè.
FILIB. (Quest’è l’imbroglio! A noi).
Sì, sì, la gh’à rason; ma za gh’ò ditto
Che stago in Marzaria
All’insegna del Gambaro da mar.
La puol, quando ghe par,
In maschera vegnir,
Za che xe carneval,
A
véder la bottega e el capital.
CAT. Ben, acetto l’impegno.
FILIB. (Ora sì che vi vuol arte ed ingegno!)
SCENA SETTIMA Lilla che si trattiene veggendoli, e detti.
LILLA |
(Che osservo! Filiberto |
Si trattien con Catina?) |
|
CAT. |
Vegnirò domattina. |
FILIB. |
E mi l’aspetterò. |
LILLA |
(Il geloso amor mio tacer non può). |
Olà, così si tratta?... (a Filiberto) |
|
FILIB. |
(Oh diavolo!) Signora... |
LILLA |
Queste son le promesse? (s’avanza) |
Quest’è la fedeltà? |
|
CAT. |
Oe, cossa dìsela? |
FILIB. |
La se n’à buo per mala, perché mi subito |
No gh’ò portao el so veludo a casa, |
|
Ma bisogna che tasa. (piano a Catina) |
|
LILLA |
Quali interessi avete con costei? |
CAT. |
Cossa xe sta costei? Me maraveggio. |
Se no parlarè meggio, |
|
Colle mie man ve strazzerò i cavei. |
|
LILLA |
Temeraria! Così?... |
FILIB. |
No, no, tacete. (piano a Lilla) |
Questa povera figlia |
|
È divenuta pazza, |
|
Ed ora su la piazza |
|
Si facea maltrattar dalle persone, |
|
Ond’io la soccorrea per compassione. |
|
CAT. |
Eh, lassé che la diga. |
Mandémola in malora. |
|
FILIB. |
Me despiase de perder l’avventora. |
LILLA Senti, ti compatisco (piano a Catina)
Perché non hai cervello, E con i pazzi tollerar bisogna.
CAT. |
Una matta sè vu, siora carogna. |
LILLA |
A me carogna? |
CAT. |
Carogna a ti. |
FILIB. |
Oh che vergogna |
Gridar così! |
|
LILLA |
Sfacciata. |
CAT. |
Impertinente. |
LILLA |
Avrai da far con me. |
CAT. |
Ti gh’à da far con mi. |
FILIB. |
Compatitela, ch’è pazza. (a Lilla) |
LILLA |
Non la voglio sopportar. |
FILIB. |
No ve fe nasar in piazza. (a Catina) |
CAT. |
No la voggio sopportar. |
LILLA |
Io non voglio che più le parliate. |
CAT. |
Mi no voggio che più la vardè. |
FILIB. |
Farò quel che volete. (a Lilla) |
Farò quel che volè. (a Catina) |
|
CAT. |
Vederò se veramente |
Me volé gnente de ben. |
|
FILIB. |
Mia signora, certamente |
Tutto a lei donato ho il cuor. (a Catina) |
|
CAT. |
Tutto a lei? Come parleu? |
FILIB. |
(M’ho imbrogliato). Tutto a vu. |
LILLA |
Se mi amate io scoprirò. (a Filiberto) |
FILIB. |
Tutto, cara, v’ho donao |
El mio cuor, el mio figao. (a Lilla) |
|
LILLA |
El figao? Che cosa dite? |
FILIB. |
(Ho sbagliato). Compatite, |
Son confuso. |
|
LILLA |
Ehi sentite. |
FILIB. |
Son da lei. |
CAT. |
Sentì. |
FILIB. |
Da ella. |
LILLA |
Dal furor |
CAT. |
Dalvelen } nonpossopiù. |
FILIB. |
Dal timor |
PARTE SECONDA
SCENA PRIMA
Bottega da merciaio.
Filiberto vestito in collar da mercante, con Tiritofolo padron di bottega, il quale non parla.
FILIB. Tiritofolo, amico, che ne dite?
Non sembro uno de’ vostri Disinvolti merciari? In questa guisa Travestito mi sono
Per prendermi piacere, e finger voglio Con certe mascherette Della vostra bottega esser padrone. Però una tal finzione Utile vi sarà; veder farogli Le vostre robe, e s’elle ne vorranno, Con i propri denar le pagheranno. Per prendermi più spasso, Voglio mentir linguaggio e finger voglio Il parlar veneziano. Oh che gusto che avremo! Tiritofolo mio, dammi la mano. (Ecco una mascheretta Bizzarra, vezzosetta: Oh che grazia! oh che mina! Eh, non m’inganno affé. Questa è Catina). Ehi, signor Tiritofolo, Ritiratevi un poco in cortesia; Ad ogni cenno mio Fate che pronti sian i vostri giovani; Se qualche danno a mio riguardo avrete, Ricompensato molto più sarete. (Tiritofolo parte) (Ora l’abito e il sito, Il linguaggio mentito, Facilmente potranno Accreditar il mio tessuto inganno).
SCENA SECONDA
Catina e detto.
CAT. (Voggio véder se Toni me cognosse).
FILIB. (Fingerò non conoscerla). Patrona,
Gh’è gnente in sta bottega
Da poderla servir?
CAT. Cossa vendeu?
FILIB. Qua gh’è un poco de tutto,
Gh’è panni, sede e tele,
Merli fini e cordele,
Drappi schietti e laorai,
Drappi d’oro, d’arzento e recamai.
Oe, putti, dove seu? (vengono due Garzoni)
Via, tiré zo quei drappi,
Lassé véder quei panni d’Inghilterra,
Quei ganzi, quei veludi,
Quelle stoffe de Franza,
Quel damasco all’usanza.
La se lassa servir; colle avventore
Mi no stiracchio, e
fazzo quel che posso.
CAT. (Per quel che vedo, el capital
xe grosso).
No tiré zoso altro. Uh caro fio,
Questa qua no xe roba da par mio.
FILIB. Mo perché? Cossa vorla? La
domanda,
Che qua ghe xe de
tutto.
CAT. Gh’ò un cavezzo de merli
Fatti sul mio balon,
Che li ho taggiai in scondon de donna mare,
E
se posso, li voggio barattare.
FILIB. (Perché io non la conosca,
Una donna si fa da Pelestrina).
Cossa vorla in baratto?
CAT. Una vestina
Vorria de mezza lana,
Perché ho d’andar a nozze
De mia cugnà, che stava a Pelestrina,
Che novizza se fa sotto Marina.
(Oh che gusto che
gh’ò, nol me cognosse!)
FILIB. Via, la me mostra i merli:
Chi sa! se poderemo,
Sto baratto faremo.
Questa è una cossa
affin de poco prezzo.
CAT. Mare de diana, m’ò scordà el cavezzo.
FILIB. N’importa; se la vuol,
Ghe fiderò la mezza lana intanto;
Perché ò da render conto a un mio fradello,
La me lassarà in
pegno un qualche anello.
CAT. (Bravo! cussì me piase,
L’è un putto de giudizio; ma vôi véder
Anca sel xe fedel). Vu sè paron
Dei anei, dei manini,
Del cordon, dei recchini,
E tanto me piasè, che ve darave
Le mie verze, i fenocchi e le mie rave.
FILIB. (Ed io tengo in pensiero
Che, se tu fingi, io voglio far da vero).
CAT. (Eh nol casca, el sta sodo).
Donna mare
Me vorrà maridare
Con paron Tranquillin. Gh’è bara Nane,
Gh’è Titta scoazzer che me vorria,
Ma se no trovo un’occasion più bella,
No me vôi
maridar: vôi star donzella.
FILIB. (Animo, Filiberto,
Tentar convien di
rosicar quest’osso).
CAT. (Eh, nol me varda adosso!)
No vôi Pelestrinotti,
Perché ghe dise ognun che i xe dindiotti.
Gh’ò un’occasion a Chiozza,
Ma no vôi bazzilar co pescaori,
Perché col so pescare
Diese mesi dell’anno i dorme in mare.
E po cossa se magna?
Zucca, polenta, sùgoli e maggiotti,
Dell’acqua coll’aseo,
Anguelle o brùssoi
su le bronze cotti.
FILIB. (Oh come finge bene!
Ma finga pur, quell’oro
Mi par d’averlo in tasca).
CAT. (Oh che putto dabben, certo nol
casca!)
Per dirghela, gh’ò voggia
De tior un venezian,
Ma de quelli però che no me fazza
Saltar la renegà;
Vôi che ’l me tratta ben, che ’l me carezza;
Siben che son avezza
A manizar la vanga e zappar l’orto,
No voggio che nissun me varda storto.
Mi no vôi de quei che va A criando: cappe oe; Né de quei che cria: scoazze, Né de quei che fa smeggiazze, E che cria: caldi i zaletti; Mi me piase i zovenetti Tutti grazia e civiltà.
Voggio certo sodisfarme; Un bel putto vôi trovarme. E se in cao del primo mese Nol me pol più far le spese, Sfadigar no mancherà.
FILIB. (Fingere mi conviene
D’esser uomo dabbene). Orsù, patrona, Se no la vuol comprar, la fazza grazia
De levarme el desturbo.
CAT. (Co rustego che ’l xe!) Cussì
rogante
Parlè con una putta?
FILIB. La perdona,
Mi non abbado a putte,
E son un botteghier
Che tende zorno e notte al so mistier.
No son de quei mercanti
Che consuma in le donne el capital;
No voggio andar de mal,
Perché chi vuol badar a questa e quella,
Presto
impara a cantar la falilella.
CAT. (Sempre più m’inamoro:
No se puol far de più; l’è un putto d’oro).
Se parlessi co mi,
No perderessi el tempo;
Mi gh’ò una dota tal,
Che a zonta a quel
ch’avè, no starè mal.
FILIB. Eh, la xe vegnua tardi;
Son promesso, la veda.
CAT. Sè promesso?
FILIB. Patrona sì.
CAT. Con chi?
FILIB. Con una tal
Siora Catina... Oimè, no m’arrecordo
El so cognome.
CAT. Con Catina Sbrighella?
FILIB. Credo de sì.
CAT. La xe mia cara amiga.
FILIB. Oh che putta da ben! Oh che tocchetto!
Che grazia che la gh’à!
Ghe zuro in verità,
No lasserave andar siora Catina,
Se credesse de tior una regina.
Ella gh’à bezzi e roba, e se la fusse
Una povera fia,
Tanto el ben che
ghe vôi, mi ghe vorria.
CAT. (Oh siestu benedio!)
FILIB. La m’à promesso
De vegnirme a trovar. Volesse ’l cielo
Che la vegnisse
almanco sta mattina!
CAT. Son qua, viscere mie, mi son
Catina.
FILIB. Oh cossa vedio mai! Vu sè Catina?
CAT. Sì caro, mi son quella.
Ho fatto sta finzion per descoverzer
El vostro sentimento:
Adesso stago col
mio cuor contento.
FILIB. In materia de fede
No
se trova un par mio.
CAT. Via donca, caro fio,
Stabilimo ste nozze.
FILIB. (Or voglio darle
Un bel segno d’affetto). Orsù, sentì:
Vu avè provà el mio amor; l’avè trovà
Costante e pontual. Voggio anca mi
Sperimentar el vostro.
CAT. In che maniera?
Tutto per vu faria;
In tel fuogo per vu me buttaria.
FILIB. Ho da comprar una partia de
panni,
Che me darà un vadagno
De siecento ducati; per comprarli
Me manca un po’ de bezzi.
Onde, se vu volessi
Darme un poco
d’agiuto, poderessi.
CAT. Ghe lo dirò a mia mare;
Vederemo se ella...
FILIB. Eh, no gh’è tempo;
Se sta sera no fazzo sto negozio,
Doman xe perso tutto. Se volè
Agiutarme
in sto ponto, vu podè.
CAT. Se no gh’ò gnanca un bezzo!
FILIB. Quei manini,
Quel cordon, quei recchini,
Saria giusto a proposito.
CAT. Compatime, no fazzo sto
sproposito.
FILIB. Adesso me n’accorzo
Che ben che me volè; povero gramo,
Mi vegno zo alla bona,
E vu me minchionè.
CAT. No, no, xe vero,
Ve vôi tutto el mio ben; ma certo, certo
Se mi me cavo st’oro,
Dalla
desperazion subito muoro.
FILIB. Eh, quando se vol ben,
No se varda ste cosse. Adesso vedo:
Disè quel che volè,
più no ve credo.
CAT. Mo via, caro Tonin.
FILIB. Lassème star.
CAT. Ti xe l’anema mia.
FILIB. Tirève in là.
CAT. Estu in còlera?
FILIB. Sì.
CAT. Via, femo pase.
FILIB. Oh questa, questa sì la me despiase.
Che bel ben che me volè! Me disè:
«Ti xe el mio caro»; E po quando
Ve domando
Una prova dell’amor,
Gh’avè cuor
De dir de no?
Sì, lo so: sè una busiara.
CAT. E no ghe xe remedio de giustarla?
FILIB. Aggiustarla se puol,
Se me fe sto servizio.
CAT. Tutto te voggio dar quel che ti
vol.
Tiò, caro, sti manini... (Oimè che tremo
In tel cavarli).
FILIB. Via demeli, presto.
CAT. Te dago l’oro, e ti è paron del resto.
Varda, se te vôi ben,
Varda se ti è el mio
caro Tonin bello.
FILIB. (Guarda fin dove arriva il mio
cervello)
Vederè, mio tesoro,
Se contenta sarè dell’amor mio.
Voggio sempre... (Che vedo?
Lilla già m’ha scoperto,
Adirata sen viene.
Misero
me! Coraggio aver conviene).
CAT. Disè, cossa vedeu?
FILIB. Quella ch’è là,
Xe la vedua che sta vicina a vu.
Pol esser che la vegna
A comprar qualche drappo;
Ve prego in grazia mia,
Dissimulè, stè
mascherada.
CAT. Oh questa
La me despiase assae.
FILIB. Via, Catina, soffrì per amor
mio.
Sentève qua; tasè; vegnirà el zorno
Che poderè refarve;
Questo el tempo no xe de vendicarve.
CAT. Oh che velen che provo! (s’immaschera,
e si ritira in fondo a sedere)
FILIB. (In un gran laberinto ora mi trovo).
SCENA TERZA
Lilla e detti.
LILLA Oh signor Filiberto...
FILIB. Zitto, che io son in maschera. (piano a Lilla)
Non mi vedete all’abito?
Filiberto non già, Toni mi chiamo;
E celato così restar io bramo.
LILLA In maschera voi siete,
Senza maschera al
volto?
FILIB. Eh, non fa caso,
L’abito mi trasforma.
LILLA In questo loco
Che
state a far? Così perdete il tempo?
FILIB. Per dirvela, signora,
Scieglier volevo un drappo
Per regalarvi un abito; ho piacere
Che siate giunta a tempo: ora voi stessa
Scieglierlo lo potete.
LILLA Io son tenuta
Alle finezze vostre.
FILIB. Ànemo, putti, (viene un
Giovine)
Mostrèghe quelle stoffe. (No l’oi ditto? (piano a Catina)
Un abito la vuol a tutta moda).
Fe presto, che xe tardi. (forte ai Giovani)
Mostrèghe quella con i fiori sguardi.
(Con questi Veneziani, (piano a Lilla)
Per aver avantaggio nelle spese,
Io
mi fingo nativo del paese).
LILLA Fate ben, perché certo
Son furbi come ’l
diavolo.
FILIB. Secondatemi pure, e non temete.
(piano a Lilla)
(Ecco prese due quaglie in una rete).
La varda mo sto drappo,
La diga sel ghe piase. El xe de Franza
L’altro zorno vegnù.
(Anema
mia, debotto son da vu). (piano a Catina)
LILLA Per verità, mi piace.
FILIB. (Lo contrattai col suo padrone, e vuole
Ventidue lire al
braccio). (piano a Lilla)
LILLA Oh questo è troppo! (forte)
FILIB. (Lasciate fare a me). Nol costa manco
De venti lire al brazzo. Cossa dìsela?
Quanto ghe vorla dar?
LILLA Sedici lire.
FILIB. La se remetta in mi. Mettèlo via,
Tegnìlo da una banda. (il Giovine parte col drappo)
(Dal suo padron io l'averò a buon patto). (piano a Lilla)
(In poco tempo un
bel negozio ho fatto). (piano a Catina)
LILLA Ora pensar dobbiamo
A stabilir le nozze.
FILIB. (Eh, non è luogo
Questo per tal discorso).
(piano)
CAT. Oe, vegnì qua.
Cossa?
quella scacchìa parla de nozze?
FILIB. La xe per maridarse, onde la vuol
Dei abiti per far bella fegura.
(Tremo da capo a piè per la paura).
LILLA |
Ehi, sentitemi un poco: |
Quali negozi avete |
|
Con quella mascheretta? |
|
FILIB. |
Ella credeva |
Che io fossi il principal della bottega... |
|
Del panno padovan m’ha dimandato. |
|
(Oh cielo! più che mai son imbrogliato) |
|
LILLA |
Io son molto curiosa |
Di saper chi è colei. |
|
FILIB. |
Se lo volete, |
M’impegno di saperlo |
|
LILLA |
In che maniera? |
FILIB. |
Con quattro paroline che io gli dica, |
Con un po’ di cervel che ponga in opra, |
|
Io m’impegno di far ch’ella si scopra. |
|
LILLA |
Ma non vorrei che intanto |
V’invaghiste di lei. |
|
FILIB. |
Non dubitate, |
A voi donato ho il cor. |
|
LILLA |
Via, dunque, andate. |
FILIB. |
Anema mia, son qua; no vedo l’ora (piano a Catina) |
Che quella forastiera |
|
Ressolva d’andar via. |
|
CAT. |
Caro Tonin, |
Quando ve vedo arente a quella smorfia, |
|
Me sento dal velen tremar le gambe. |
|
FILIB. |
(Oh come ben sono ingannate entrambe!) |
LILLA |
Non la finite ancora? (piano a Filiberto) |
FILIB. |
Aspettate, signora, ancora un poco. |
Son qua, cara Catina. (piano a Catina) (Oh che bel gioco!) |
|
LILLA |
Che gran dolore |
Che prova il core, |
|
Quand’è geloso! |
|
Veggo il mio sposo |
|
Parlar con quella |
|
Che sembra bella, |
|
E nel mio seno |
|
Un rio veleno |
|
Mi fa provar. |
|
CAT. |
Mandèla a far squartar. |
FILIB. |
No, per amor del cielo, |
No la vôi disgustar, perché la spende. |
|
LILLA |
Eh, l’istoria va lunga. (a Filiberto) |
FILIB. |
Aspettème che vegno. (piano a Catina) |
(Va crescendo l’impegno). |
|
LILLA |
E ben, scopriste ancora chi ella sia? |
FILIB. |
Con troppa gelosia |
Ella il suo grado vuol tener coperto. |
LILLA |
Eh, signor Filiberto, |
Per quel che io vedo, ben la conoscete. |
|
Ditemi, che credete? |
|
Che io sia di vista corta? V’ingannate; |
|
Vedo assai più di quel che vi pensate. |
|
FILIB. |
(Misero se mi scopre!) Anima mia, |
Di vana gelosia |
|
V’avvelenate il core; |
|
Sapete quanto amore, |
|
Cara, che vi professo; il forte impegno |
|
Sapete con cui v’amo. (Adesso vegno) (piano a Catina) |
|
CAT. |
(Oh co stuffa che son!) |
LILLA |
Dunque, mio bene, |
Venite meco, andiamo a stabilire |
|
Il matrimonio; io d’abbracciarvi, o caro, |
|
Impaziente sono. |
|
Non perdiamo più tempo. |
|
FILIB. |
(Or viene il buono). |
CAT. |
Sentì mo una parola: (piano a Filiberto) |
Dove vorla che andè? |
|
FILIB. |
Dal sartor colla roba. (piano a Catina) |
LILLA |
E che pretende |
Da voi quella sfacciata |
|
Col venirvi dintorno? |
|
FILIB. |
Mi dimandò se ancora è mezzogiorno. |
LILLA |
Dunque con voi ha qualche confidenza. |
FILIB. |
Vi giuro in mia coscienza |
Che io non la conosco. (Oimè che imbroglio!) |
|
Meglio è che ce n’andiamo. |
|
LILLA |
Io prima voglio |
Saper chi è quella maschera. (forte) |
|
CAT. |
Patrona, (si avanza) |
La vuol saver chi son? |
|
FILIB. |
(Eccomi in mezzo). |
CAT. |
Fursi l’ al saverà per el so pezo. |
FILIB. |
Per amor mio sté zitta e mascherada. (piano a Catina) |
Se mi volete ben, dissimulate. (piano a Lilla) |
|
LILLA |
Io sopporto per voi. |
CAT. |
Per vu sopporto. |
FILIB. |
(Filiberto meschin! son mezzo morto). |
LILLA |
Ho dentro lo stomaco |
Un certo rammarico, |
|
Mi treman le viscere, |
|
Né so dir perché. |
|
CAT. |
La rabbia me rosega, |
L’invidia me tossega, |
|
I lavri me morsego, |
|
Né so dir perché. |
|
FILIB. |
Io veggo un gran torbido, |
.
E temo che i fulmini |
|
Cadran sopra me. |
|
LILLA |
Seguitemi ormai, |
Venite con me. |
|
FILIB. |
Vi seguo, mia cara, |
Son tutto per voi. |
|
CAT. |
Vegnì da mia mare, |
Vardè, no manché. |
|
FILIB. |
Senz’altro, mia cara, |
Son tutto per vu. |
|
CAT. |
Che putto prudente! |
LILLA |
Che uomo civile! |
FILIB. |
Che femmine pazze! |
CAT. |
No gh’è... |
LILLA |
Compagno. |
FILIB. |
Non v’è - compagna. |
LILLA |
Andiamo di qua. |
FILIB. |
La servo sin là |
CAT. |
Vegnì per de qua. |
FILIB. |
Xe meggio de là. |
LILLA CAT. } a due |
Che pena! |
FILIB. |
Che imbroglio! |
TUTTI |
|
Che cosa sarà? |
PARTE TERZA
SCENA PRIMA
Strada.
Filiberto e Catina
FILIB. Cussì sarè contenta!
CAT. Sì, sì, ma tremo ancora dalla rabbia.
No me posso quietar, se no me vendico
Con quella temeraria.
FILIB. El più bel modo
Per vendicarse è questo.
Quando la saverà che vu sè sposa,
Creperà dal velen quella invidiosa.
CAT. Corro donca a mostrarghe la
scrittura.
FILIB. No, no, fermeve un poco,
No xe gnancora tempo, e vu no sè
Gnancora mia muggier.
CAT. Perché?
FILIB. Ghe manca
Una solennità necessarissima,
Che ve sarà ben nota.
CAT. Cossa ghe manca mai?
FILIB. Manca la dota.
CAT. Eh za, la se gh’intende.
FILIB. Altr’è che la s’intenda,
Altr’è che la ghe sia.
Questa, colonna mia,
Xe la prima fonzion che far dovemo;
Per
el resto tra nu se giusteremo.
CAT. Mo via, trovè el nodaro
Che ha da far el contratto;
Menémolo in t’un tratto
A casa de mia mare.
Alla presenza de do testimoni
Ella ve darà i bezzi; za savè,
L’è una donna suttila come l’oggio,
Sempre la gh’à paura che i la bara.
FILIB. (Quand’ho preso i denar, vado a Ferrara).
Ben, ben, la gh’à rason;
Vago a tor el nodaro e adesso vegno.
(Io cercherò un nodar di bell’ingegno).
Aspettème pur qua.
CAT. Mi no me parto,
Se stessi fin sta notte.
FILIB. (Faccio in un giorno sol due belle botte). (parte)
SCENA SECONDA
Catina sola.
Dopo tanto aspettar, son arrivada
A trovar un mario,
Onorato, dabben, e da par mio.
Certo al tempo d’adesso
Più no se sa de chi fidarse; tutti,
Tutti i gh’à qualche vizio,
O el ziogo, o l’osteria, o quel servizio.
Quando una putta gh’à un poco de dota,
Tutti vorria sposarla
Coll’idea de magnarla.
Ma mi so el fatto mio, no gh’ò paura
Che i me trappola certo, e benché sia
Putta de primo pelo,
Son accorta anca mi la parte mia.
Mi no credo alle mignognole De ste mandrie gazzarae; I vien via co ste bulae: «Son un uomo de proposito, In andrien ve manderò»; Ma no gh’abbado, Perché mi so Dove el diavolo tien la coa.
Ho trovà...
Ma me par Che quella sia la vedua; Sì ben, l’è giusto ella; voggio andar... No, perché aspetto Toni. Resterò; con giudizio Procurarò schivar ogni contrasto, Ma se la prima la sarà a taccarme, Anca mi certo saverò refarme.
SCENA TERZA
Lilla e detta.
LILLA Filiberto
non vien; questa lentezza
Segno è di poco amor; rimproverarlo
Voglio allor che verrà... Ma qui Catina?
Che fo? Vado, o pur resto?
Il partir è viltade,
E periglio il restar. Con una pazza
Taccar lite non è mia convenienza;
Resterò dunque, ed
userò prudenza.
CAT. (La me varda sott’occhio).
LILLA (Non voglio esser la prima a salutarla).
CAT. (Vôi farghe un repeton per minchionarla).
M’umilio
a vusustrissima.
LILLA Serva sua divotissima.
(Se
burla, io la derido).
CAT. Me consolo con ella.
LILLA Di che?
CAT. Delle so nozze.
El ciel ghe piomba adosso
Una
montagna de consolazion.
LILLA Anco vussignoria
Precipiti
nel mar dell’allegria.
CAT. Eh, lassemo le burle.
In verità, da senno me consolo;
Auguro che la goda
Le so felicità sempre interrotte.
(Che ti possi
crepar la prima notte).
LILLA Ed io con tutto il core
Desidero che lei trovi uno sposo
Disinvolto, amoroso,
Con cui possa goder buone giornate.
(E che ti rompa il
collo a bastonate).
CAT. Grazie ai so boni auguri;
La sappia che si ben no gh’ò i so meriti,
Si ben che no son ricca, come ella,
Si ben che no son bella,
E che ’l viso no gh’ò tutto impiastrà,
Un strazzo de mario m’ò za trovà.
LILLA (Temeraria mi sembra, anzi che
pazza).
Me ne rallegro tanto.
M’immagino, signora,
Che questo suo marito
Sarà senz’altro un cavalier di vaglia.
(O piuttosto sarà
qualche canaglia).
CAT. Un cavalier a mi? Me maraveggio;
No son miga, patrona,
Dama co la xe ella (trui, va là).
L’è un de Marzaria,
Che gh’à poca albasia,
Che titoli no vanta o nobiltae,
Ma che gh’à delle
doppie in quantitae.
LILLA Perdoni, in grazia, la curiosità
Solita di noi donne: il di lei sposo
Come si chiama?
CAT. Toni; el gh’à bottega
De drappi in Marzaria
All’insegna del Gambaro da mar,
Dove apponto me par
D’averla vista gieri, se no fallo,
A comprar certo drappo.
LILLA È vero, e meco
V’era il mio amante ancor.
CAT. Come! El so amante?
(No ghe giera nissun fora che Toni.
Gh’ò paura...) La diga,
Se poderia saver come se chiama
Sto so novizzo?
LILLA Volentieri : ha nome
Filiberto de’ Conti
Roccaboni.
CAT. (Respira, ànema mia, che no l’è
Toni).
No xela una bottega ben fornia,
No gh’è del capital? Non oi trovà
Meggio
d’una famosa nobiltà?
LILLA Questa è una bella sorte,
Degna appunto di lei ch’è sì garbata.
Veramente è un prodigio
Un spirito sì pronto in verde etade.
Ma, per amor del cielo,
Guardi che non s’inganni;
Compatisca
l’ardir, parlo per zelo.
CAT. Ingannarme? perché?
LILLA Potrebbe darsi
Che questo matrimonio andasse in nulla.
Mi dica in cortesia:
Della fé dello sposo è
poi sicura?
CAT. No gh’è da dubitar, gh’ò la
scrittura;
E po l’è un venezian, se cognossemo:
Nol me pol trappolar; la varda ella
Che no la sia burlada,
Che
no la sia dal forastier piantada.
LILLA Eh, so con chi contratto;
Il mio futuro sposo
Non
è capace di mancar di fede.
CAT. El mio sì che se vede
Che ’l me ama de cuor.
Sala lezer?
LILLA Un poco.
CAT. La leza sta scrittura,
Fatta colle so man; ghe xe parole
Proprio che fa da pianzer. (Crepa, schioppa;
Che rabbia che la
gh’à!)
LILLA (Cieli, che veggo!
Il carattere è questo
Di Filiberto).
CAT. (La sborisce i occhi
Che la par una striga;
La
parla, ma no so cossa la diga).
LILLA (È sottoscritto: Toni
Canareggio;
Ma
il carattere è suo senza alcun fallo)
CAT. Cossa vuol dir, patrona,
Èla fursi instizzada?
LILLA (Vuò confrontarla colla mia
scrittura.
La mano è la medesima,
E le parole ancor sono le stesse:
A Catina, mio ben, ho doné el cuor:
A Lilla, anima mia, donat’ho il core.
Zuro: giuro. Che giuri? ah traditore!)
CAT. Cossa ghe xe salta, che la va in
bestia?
LILLA Amica, siam tradite.
CAT. (Oh amica cara!) (ironica)
LILLA Il vostro Toni ed il mio Filiberto
Son la stessa persona;
Questo impostor colle menzogne sue
C’inganna
tutte due.
CAT. Eh mia cara patrona,
Se la gh’à caldo, la se fazza fresco.
Come
fala a insuniarse cussì presto?
LILLA Dunque non mi credete?
CAT. Oh gh’ò credesto.
LILLA Mirate: le scritture
Son tutte d’una mano.
CAT. (Me despiase
Che no so lezer). La le daga qua.
La varda, la s’inganna:
Quell’o de Filiberto xe larghetto;
Ma
quello del mio Toni el xe più stretto.
LILLA La passione v’accieca;
Ma se non mi credete,
D’una tal cecità vi
pentirete.
CAT. (La me mette in suspetto). La me
daga
Un qualche contrasegno: Filiberto
Èlo piccolo o grando?
Èlo magro, èlo grasso?
Pàrlelo venezian o pur
foresto?
LILLA State a sentir: il suo ritratto
è questo.
Di statura è alquanto basso, Ma di corpo alquanto grasso, Tondo à il viso e delicato, Di varole ricamato; A imitar un personaggio, E a cangiar vesti e linguaggio,
Uom più pronto non si dà.
CAT. Sì, cospetto del diavolo,
Che ho paura che ’l sia... (Ma vèlo là
Che ’l s’avanza bel bello).
La varda quel che vien...
LILLA L’è appunto quello.
CAT. Coss’avémio da far?
LILLA Venite meco;
Concerteremo il modo
Di
scoprir il suo inganno, e vendicarci.
CAT. Gnancora no la credo,
Ma me voggio chiarir. Oh, se xe vero,
Poveri i mi manini!
Poveri i mi recchini!
LILLA Si, sì, siamo ingannate.
Povere le mie doppie, sono andate!
el
In odio mio sdegno
il
CL IALTL.A } a due Cangiar sa verò;
io saprò; E contro l’indegno Vendetta farò. (partono)
SCENA QUARTA
Filiberto solo.
Il nodaro è trovato; avanti sera
Sarà fatto il negozio.
È un uomo appunto
Secondo il mio bisogno:
Egli non guarda tanto per minuto;
Mediante un buon regalo
Non ha difficoltà di render nullo
Qualsivoglia contratto,
E dir: Non m’arricordo averlo fatto.
Già per li testimoni
Non può aver soggezione;
Legge coi denti stretti, e parla in gola,
Sicch’essi non intendono parola.
Ma Catina non v’è. Stancata forse
Di soverchio aspettar, tornata è a casa.
Attenderò il nodaro,
Indi seco n’andrò per terminare
Il premuroso affare.
Il vivere d’inganno
È mestiero alla moda; ogni nazione,
Ogni arte e professione,
Procura d’ingannar, e tutti sanno
Dar il nome d’industria al loro inganno.
SCENA ULTIMA Catina e Lilla mascherate, e detto.
FILIB. La mia mente sublime
Per sortir facilmente ogni arduo impegno,
Non la cede d’ingegno a chi si sia;
So far il mio mestier
con pulizia.
LILLA (Lo tira per una manica, e lo
saluta)
FILIB. Servo, signora maschera.
(La sorte oggi mi favorisce).
In che posso servirla? Ella disponga
Del cuor ch’io chiudo in petto;
Di
già libero son da ogn’altro affetto.
LILLA (Che mentitor! )
CAT. (Lo tira dall’altra parte e lo saluta)
FILIB. Oh, oh, signora maschera,
Riverente m’inchino. (A due alla volta?
Fortuna, ti ringrazio). Ella comandi,
Arbitra è del mio core;
Di
già libero son da ogn’altro amore.
CAT. (Che
desgrazià!)
FILIB. Signora mia garbata, (a Lilla)
Si potrebbe saper il di lei nome?
Con me libera parli;
Via, non abbia paura,
Della mia fedeltà può star sicura.
(Questa non vuol parlar: sentiamo quella).
Padrona gentilissima, (a Catina)
La supplico umilmente
Non negarmi un favor; già non v’è alcuno:
La maschera si levi,
Mi dica due parole;
Della mia fedeltà temer non puole.
(Oimè! per quel che io vedo,
V’è poco da far bene.
Por in opra conviene
Tutta del mio valor l’arte più fina:
Son più accorte di Lilla e di Catina).
Con chi v’offre un cor costante Deh non tanta crudeltà! (a Lilla) Con chi v’offre un cor amante Deh mostrate almen pietà! (a Catina) Non vi scopro, e pur vi adoro. (a Lilla) Non vi vedo, e per voi muoro. (a Catina) Per voi sola, (a Lilla) Sol per voi, (a Catina) Il mio cor pace non ha.
LILLA |
Ah! (sospira) |
FILIB. |
Che avete, signora? |
(Ella sospira, è mia). |
|
LILLA |
Temo che m’ingannate. |
FILIB. |
Eh non v’è dubbio. |
LILLA |
Temo che il vostro cor sia già impegnato. |
FILIB. |
Io, dacché son al mondo, |
Sempre libero il cor ho riserbato. |
|
LILLA |
(Scellerato!) Mi pare, |
Però, che siate amante |
|
D’una tal Lilla... |
|
FILIB. |
Oibò, che cosa dite? |
Io amante di colei, |
|
Superba, fastidiosa, |
|
Ignorante, orgogliosa? |
|
Che non ha civiltà, che non sa il tratto? |
|
Figuratevi voi, non son sì matto. |
|
LILLA |
(Sono tutte bugie). Ma pur intesi |
Che a lei promess’avete |
|
La fé di sposo. |
|
FILIB. |
Eh, feci per burlarmi |
D’una vedova pazza. |
|
LILLA |
In simil guisa |
Burlerete me ancora, io lo prevedo. |
|
FILIB. |
Su l’onor mio... |
LILLA |
Tacete, io non vi credo. |
FILIB. |
Pazienza. (Eh, l’ho veduta; |
Qui non v’è da far ben, è troppo scaltra. |
|
Tentiamo con quest’altra). |
|
Su, mi dica, signora, (a Catina) |
|
Vuol lasciarsi servir? Se va cercando |
|
Un amante fedele, |
|
In me lo troverà; |
|
Non la cedo ad alcuno in fedeltà. |
|
CAT. |
Donca, si sè fedel, per cossa aveu |
Abandonà Catina? |
|
FILIB. |
(Che diavolo! San tutto). |
Dirò la verità: pensai che quella |
|
Non era da par mio; |
|
In fatti una donnetta |
Di bassa stirpe e di costume vile |
|
Per un uomo non è grande e gentile. |
|
CAT. |
(Maledetto in tel còlo). |
Ma la me fazza grazia, caro sior, |
|
La me diga el so nome. |
|
LILLA |
Il suo nome saper bramo ancor io. |
FILIB. |
Fabrizio Roccabianca è il nome mio. |
(Buon per me, che il mio nome a loro è ignoto). |
|
LILLA |
Ah, voi dunque non siete |
Il signor Filiberto? |
|
FILIB. |
Oh, non signora. |
CAT. |
Toni donca no sè, |
Marzer de Marzaria? |
|
FILIB. |
No, no, signora mia, |
Avete fatto error: ditemi in grazia, |
|
Queste due donne che nomate avete, |
|
Son di questo paese? |
|
LILLA |
Lilla quivi dimora, ed è romana. |
CAT. |
Catina xe una putta veneziana. |
FILIB. |
Oh guardate che sbaglio |
Io credea che parlaste |
|
Di due napolitane |
|
Che ho conosciuto un dì; per altro, queste |
|
Che voi mi nominaste, |
|
Non so se siano belle o se sian brutte. |
|
Da galantuomo non le ho mai vedute. |
|
LILLA |
(Che faccia tosta!) |
CAT. |
(Oh, oh, che bell’inzegno!) |
LILLA |
Dunque, signor Fabrizio, |
Sarete l’amor mio. |
|
FILIB. |
Voi la mia cara. |
CAT. |
Sior Fabrizio, mi voggio |
Che siè l’ànema mia. |
|
FILIB. |
Son tutto vostro, |
Ma, se vi contentate, |
|
Perché io non voglio disgustar alcuna, |
|
Il mio cor donerò mezzo per una. |
|
LILLA |
Son contenta, ma voglio esser distinta. |
CAT. |
Un pochettin de più mi ghe ne voggio. |
FILIB. |
Orsù, sarò più grato |
A chi meco amorosa |
|
Regalarmi saprà più generosa. |
|
LILLA |
Superata esser non voglio. |
CAT. |
Mi no voggio esser de manco; |
LILLA |
So ben io quel che farò. (fa segno di bastonarlo) |
CAT. |
So ben mi quel che farò. (fa lo stesso) |
FILIB. (E fra due litiganti io goderò).
Ma è ben giusto che alfine
.
Io vi veda in la faccia, e che conosca,
Mie
signore, chi siete.
CAT. Sior sì, lo saverè.
LILLA Sì, lo saprete.
FILIB. Cavatevi la maschera,
Non mi fate penar; al vostro caro
Fate questo servizio.
LILLA
CAT. } a due Riverente m’inchino al sior Fabrizio.
(Si
smascherano, e Filiberto resta attonito, senza parlare)
LILLA Alfin tu sei scoperto.
CAT. Ti xe scoverto alfin.
a due Indegno, traditor,
Bugiardo ed assassin.
LILLA
CAT.
LILLA
CAT.
A DUE
FILIB.
LILLA CAT. a due
FILIB.
LILLA
CAT. } adue
FILIB.
LILLA
CAT. } adue
FILIB.
} |
a due |
LILLA
Guardam’in faccia.
Vòltate in qua.
Il tuo rossor comprendo.
Ti tasi per vergogna.
Ti voglio maltrattar peggio d’un can.
(Or la biscia beccò il ciarlatan).
Vuò le mie doppie. Voggio el mio oro. Le voglio, se no In mezzo la strada io ti spoglierò.
Signore cortesi,
Non fate palesi
Gli error d’un meschin.
Non voglio ascoltarti,
(gli levano il cappello e la perucca)
Ma voglio spogliarti,
Briccone, assassin. La testa scoperta
Può farmi del male,
Vendetta mortale
Non fate con me. Pietade non merti,
(gli levano il vestito)
Tu fost’infedele;
Tiranno crudele,
Pietade non v’è. Io tremo dal freddo:
Con questo spogliarmi
Volete ammazzarmi,
Crudeli, lo so. Di te più non penso,
Non voglio ascoltarti;
CAT. Piuttosto ammazzarti
Risolver saprò.
a tre Imparino tutti
Da sì bell’esempio, Che l’arte d’un empio Trionfare non può.
Fine dell’Intermezzo.