L’amica di tutti e di nessuno

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L’AMICA DI TUTTI E DI NESSUNO

Commedia in tre atti

di ALESSANDRO DE STEFANI

PERSONAGGI

MARCHESA ANNAMARIA DEL TORRE

GIORGIO, suo figlio

PIERLUIGI FABRIANI

MILA, sua nipote

TITO VALENTI

GRAZIA MASSAI

NICOLA, cameriere

ERNESTO, autista

GIULIA, cuoca

MATILDE, cameriera

Nella villa “La Calma” a Stresa, sul lago maggiore.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Siamo in una ma­gnifica villa sul La­go Maggiore, poco lontano da Stresa. La villa, costruita trent'anni fa, è stata ora rimodernata se­condo i più nove­centisti criteri. La scena rappresenta la stanza di soggiorno con la grande ve­randa sul lago, sul fondo. A destra la comune e la scala che dà al piano superiore; a sinistra lo studio di Pierluigi. Telefono, radio. Molte poltrone. È una bella mattinata di luglio.

(Quando gl'azione ha inizio Nicola, il cameriere, sta « facendo le carte » a Mila, una ragazza bruna, di di­ciannove anni, tutta fuoco).

Nicola                         - Alzate tre volte.

Mila                            - Con la sinistra?

Nicola                         - Si capisce...

Mila                            - Domanda se avrò il brevetto entro l'anno.

Nicola                         - Questo è un giovane biondo.

Mila                            - Non mi sono mai piaciuti i biondi.

Nicola                         - E' biondo lo stesso.

Mila                            - Che fa? (Intanto prende una sigaretta, se l'ac­cende col « briquet » che è sul tavolo).

Nicola                         - E' uno sportivo.

Mila                            - Meno male. Il mio genere. Che sport?

Nicola                         - Non vedo bene.

Mila                            - (di colpo) Di': che ne diresti se mi mettessi a fare l'attrice?

Nicola                         - Signorina, non credo che lo zio sarebbe propenso...

Mila                            - Se avessi la vocazione... Ma non so bene se ho la vocazione.

Nicola                         - (consultando le carte) Vedo una grande passione. Con molti ostacoli.

Mila                            - Chi s'innamora di me? Il biondo?

Mila                            - Uno lo conosco: è l'autista dello zio. Mi guarda sempre con due occhi da affamato. Ma 1'altro?

Nicola                         - Non so. Se volete che vi faccia anche il gran gioco... Quello dell'esistenza...

Mila                            - Quello che costa venti lire? No: mi basta questo. Eccoti le cinque lire.

Nicola                         - Grazie, signorina.

Mila                            - Lo zio è ancora in barca?

Nicola                         - Sì, signorina. Rema.

Mila                            - Chiamami Ernesto.

Nicola                         - Subito, signorina. (Nicola esce da destra: Mila va a guardare sulla veranda, vede lo zio in barca e chiama).

Mila                            - Su, fa' presto, zio. Ho da parlarti. E' un'ora che ti aspetto! (Da destra compare Ernesto, l'autista, giovanotto di venticinque anni).

Ernesto                       - La signorina ha chiamato?

Mila                            - (voltandosi) Fatto il pieno? Benzina, olio, acqua?...

Ernesto                       - Tutto pronto, signorina.

Mila                            - Le gomme?...

Ernesto                       - A posto.

Mila                            - Hai guardato che ci siano anche le carte delle strade? Il passaporto?...

Ernesto                       - Sì, signorina. Ma, vogliate scusare se mi permetto, la signorina ha intenzione di andare all'e­stero... sola?

Mila                            - Non c'è da fidarsi forse?

Ernesto                       - Ma se buca una gomma... Se ha un gua­sto al motore... Da sola...

Mila                            - Trovo sempre qualche altro automobilista volonteroso che si precipita ad aiutarmi. Un uomo solo può trovarsi in imbarazzo: una donna giovane, mai.

Ernesto                       - Sta bene, allora.

Mila                            - Tira fuori la macchina: facci mettere le tre valigie che son pronte in camera mia.

Ernesto                       - Subito, signorina. (Ernesto esce da de­stra: dalla scaletta della veranda compare Pierluigi. E' un uomo di circa cinquant'anni, ma ancor pieno di vi­talità ed energia. E' in costume sportivo).

Mila                            - Zio...

Pierluigi                      - Aspetta... (Va ad un tavolo e prende ra­pidamente degli appunti) Mentre remavo m'è venuta in mente un'idea... Se non butto giù due righe, chi se ne ricorda più dopo?

Mila                            - Per la commedia?

Pierluigi                      - (scrivendo) No: per la novella. Appena abbozzo d'una situazione. Là. Ecco. (Guarda la ni­pote, vestita per il viaggio) Che vuol dire questa tenuta?

Mila                            - Me ne vado.

Pierluigi                      - Dove? Vai a Milano?

Mila                            - No: vado all'estero.

Pierluigi                      - All'estero? A far che?

Mila                            - Non lo so. Ti ho aspettato perché volevo sa­lutarti e che mi dessi dei soldi. Quanto si può portare all'estero ora?

Pierluigi                      - Non serve: io non ti dò niente.

Mila                            - Andiamo, non fare lo spilorcio.

Pierluigi                      - Tu avevi detto ch'i saresti rimasta qui tutto luglio.

Mila                            - Questo è un monastero: clausura. Speravo ci fosse più movimento nell'estate d'uno scrittore celebre.

Pierluigi                      - Ma io non voglio movimento: ho da lavorare.

Mila                            - E tu lavora: io me ne vado. Vado su per Domodossola, e poi vedrò.

Pierluigi                      - Senti: io sono un uomo debole, lo so, ma tu abusi della mia debolezza.

Mila                            - Zio, sei convinto anche tu che alla fine finirai per cedere; perché perdere tanto tempo allora in di­scussioni inutili?

Pierluigi                      - Ti annoi con me?

Mila                            - Sì.

Pierluigi                      - Grazie.

Mila                            - Scusa. Sei tanto buono, tanto caro: ma mi annoio lo stesso.

Pierluigi                      - E' forse per via di Grazia?...

Mila                            - La tua amante? Neanche per sogno.

Pierluigi                      - Ti proibisco... Ma che amante! E' una amica. Un'ammiratrice.

Mila                            - Zio! ! Tu non ti sei ancora ritirato a vita pri­vata: tutt'altro...

Pierluigi                      - Credi?

Mila                            - Ne sono convinta. Grazia è innamoratissima di te.

Pierluigi                      - Innamoratissima? Ma no...

Mila                            - Lascia andare: non lo nasconde nemmeno. E' orgogliosa del suo «genio». Ti chiama genio. E poi perché tante storie? Tu sei libero. Lei è libera. Non dovete mica render conto a nessuno. Allora io vado. Quanto mi dai?

Pierluigi                      - Credo che in Francia non si possa por-lare più di tremila franchi.

Mila                            - E dopo che faccio?

Pierluigi                      - Vai a Parigi?

Mila                            - Di questa stagione, a Parigi? Ma per carità.

Pierluigi                      - E allora, mia cara, accontentati di tre­mila franchi. Io non posso cambiare le leggi... Quando sarai a secco, tornerai qui.

Mila                            - Faremo economia.

Pierluigi                      - E cerca di far la persona seria, se ti riesce. E vorresti andartene ora, subito?

Mila                            - Non aspetto neanche un minuto. Passo in banca dove c'è un impiegato che mi adora: ammira­zione per te, s'intende, riflessa. Mi faccio iscrivere i tremila franchi sul passaporto, e via.

Pierluigi                      - (dandole i danari) Telegrafa almeno.

Mila                            - Da ogni tappa. Di', se incontro un giovanotto che mi piaccia molto, lo posso sposare?

Pierluigi                      - Certo.

Mila                            - Come?

Pierluigi                      - A te, dire di sì, è il solo modo perché tu non faccia una cosa.

Mila                            - Ha ragione la tua amante: sei un genio. Du­rante il mio viaggio scrivi la commedia. Al mio ri­torno avrò bisogno di molti quattrini. Tra quel che ti costo io, quel che ti costa l'ammiratrice, e tutto il re­sto, devi lavorare mio caro: guadagnare molto. Ciao.

Pierluigi                      - Non correre come una pazza.

Mila                            - Centoventi, massimo. (Esce da destra dopo aver baciato ed abbracciato lo zio. Pierluigi resta un istante indeciso, come non ricordando bene quello che deve fare; dalla scala di destra compare Grazia in ele­gante abito da mattina).

Grazia                         - - Ho visto dalla finestra partire la nipote e allora ho pensato che c'era via libera...

Pierluigi                      - E’ partita per l'estero.

Grazia                         - E tu l'hai lasciata andare? Ah, senti: esa­gera, quella ragazza.

Pierluigi                      - E poi, così, tu puoi rimaner qui. Niente più sotterfugi. Non sei contenta?

Grazia                         - Felice, ma... Quella ragazza ti deve costare un occhio della testa.

Pierluigi                      - E' la mia nipote unica.

Grazia                         - (vedendo le carte sul tavolino) Ti sei fatto ancora predire la sorte dal tuo servitore oroscopo?

Pierluigi                      - Io, no.

Grazia                         - Non mentire. Sono ancora lì...

Pierluigi                      - Ti giuro che stamattina non sono stato io. Io ero in barca a fare la mia solita remata mattu­tina. (Entra Nicola con un telegramma su un vassoio).

Nicola                         - Un telegramma...

Pierluigi                      - (prendendo il telegramma ed aprendolo mac­chinalmente) Che sono quelle carte, Nicola?

Nicola                         - E' stata la signorina che...

Pierluigi                      - Va bene. (A Grazia, indicando il tele­gramma) M'aveva detto che avrebbe telegrafato da ogni tappa. Vedi che è di parola.

Grazia                         - (mentre Nicola è uscito) Mi pare un po' presto perché sia lei.

Pierluigi                      - (leggendo il telegramma) Ah, beh, quest'è il colmo!

Grazia                         - Che c'è?

Pieluigi                        - «Votre file evade croyons dirige vers votre villa... Préfet ».

Grazia                         - Come? Come? Tu hai un figlio?

Pierluigi                      - Ma che figlio! Un corno!

Grazia                         - E in prigione anche! Evade! Vuol dire eva­so, ae non mi sbaglio!

Pierluigi                      - Ma qui c'è un errore. Un equivoco. Che io sappia non ho mai avuto figli! (Guarda l'indirizzo del telegramma) Ma naturale... E' quella bestia di Nicola! Non è un telegramma per me... (Suona il campanello).

Grazia                         - E per chi è?

Pierluigi                      - (indicando l’indirizzo) Marchesa Del Torre.

 Grazia                        - (leggendo) Villa La Calma, Strega. Non ca­pisco. (Entra Nicola).

Pierluigi                      - Non potresti leggere gli indirizzi prima di portare i telegrammi? Non è per me. ET per la mar­chesa Del Torre.

Nicola                         - Il signore mi scusi!

Pierluigi                      - Ora prendilo: mettilo in una busta, ag­giungi un mio biglietto, scrivici su che mi scusi di averlo aperto, per errore... Sapevi che la marchesa aveva un figlio in carcere?

Nicola                         - Nossignore... Ma se il signore mi permette... Tre giorni fa la marchesa ha scritto di non rinviarle la corrispondenza perché sarebbe passata lei di qui a riti­rarla.

Pierluigi                      - Ma qui c'è un telegramma... E' una cosa urgente... Se quella non passa!

Grazia                         - C'è da vedersi capitar qui da un momento all'altro l'evaso. Dio, Dio... Con i cancelli che son sempre aperti.

Pierluigi                      - Comunque, stasera chiudi bene tutto. Ma ora come si fa?... Forse all'indirizzo di Milano sapranno dove si trovi ora questa marchesa... Metti giù la comu­nicazione e prova a telefonare...

Nicola                         - Sissignore... (Nicola esce; Pierluigi depone il telegramma sul tavolo accanto alle carte da gioco).

Grazia                         - Ma conosci almeno questa marchesa?

Pierluigi                      - Sì... Cioè, no. Personalmente non l'ho mai vista. Era la padrona, tanti anni fa, di questa villa.

Grazia                         - Non l'hai costruita tu?

Pierluigi                      - No: io l'ho solo rimessa in ordine. In fondo l'ho buttata giù quasi tutta e l'ho rifatta. Oh, un pessimo affare!

Grazia                         - E la villa era di questa marchesa?

Pierluigi                      - Già: che s'era rovinata, pare. Almeno così mi ha detto l'intermediario. Lei, io non l'ho mai veduta. Questo è accaduto otto anni fa. La sola stranezza è stata che la marchesa, da allora, molta posta se la fa­ceva sempre spedire qui, e di qui veniva rispedita al suo indirizzo. Be ne incaricava Nicola.

Grazia                         - Che posta era?

Pierluigi                      - Io non la vedevo: provvedeva Nicola. Forse non voleva far sapere d'aver venduto la villa. Non so. Ma non immaginavo che avesse un figlio in prigione.

Grazia                         - E' per quel figlio, evidentemente, che faceva tutta la commedia!

Pierluigi                      - (riprendendo il telegramma) Per un figlio in prigione non mi pare fosse il caso di avere tanti scru­poli. Montreux! Arrestato in Svizzera... E poi quando mai s'è visto che le autorità avvertano la madre del prigio­niero che il figlio è evaso?

Grazia                         - Forse in Svizzera... Per cortesia!

Pierluigi                      - Non deve esser vera e propria prigione.

Grazia                         - Casa di correzione, per minorenni. Sarà un ragazzo giovane. Io preferirei tornare all'albergo... Al­meno per due giorni, fin che non vedo come si mettono qui le cose.

Pierluigi                      - Hai paura?

Grazia                         - Non mi sorride l'idea d'un galeotto che da un momento all'altro... Quello poi s'arrampica da una finestra, di dove capita, pur di non farsi vedere.

Pierluigi                      - Ci son qua io.

Grazia                         - Meglio che vada in albergo.

Pierluigi                      - Va bene: ti accompagnerò. Anche l'evaso ci voleva! Se mia nipote fosse rimasta, a quella invece un'emozione simile sarebbe piaciuta alla follia. Non si sarebbe più mossa di qui.

 Grazia                        - Vado su a prendere la mia valigetta. Scendo subito. (Nicola rientra mentre Grazia sale la scala)

Pierluigi                      - Ebbene?

Nicola                         - Non c'è nessuno a Milano a quel numero: suona, suona. Nessuno risponde.

Pierluigi                      - E ora come si fa? Dove glielo faccio avere io questo telegramma? Ha scritto che passava lei?..

Nicola                         - Sissignore...

Pierluigi                      - Le lettere che rimandavi di solito ali marchesa venivano dalla Svizzera?

Nicola                         - Sissignore: tutte. Montreux. Ho visto il timbro.

Pierluigi                      - Va bene.

Grazia                         - (ricomparendo con la valigia) Si potrebbero avvertire i carabinieri...

Pierluigi                      - Ah, no. Se lo peschino da sé, se vogliono, Io la spia non la faccio. (A Nicola) Ernesto è giù?

Nicola                         - ' Sissignore.

Grazia                         - (a Pierluigi) Ma non ti disturbare. Mi faccio accompagnare da Ernesto, se tu hai da lavorare.

Pierluigi                      - Figurati! Son cinque minuti... Andiamo via. (Ha lasciato U telegramma sul tavolino delle carte ed esce con Grazia, accompagnato da Nicola. Scena vuota. Dopo un istante, dalla scala interna, compare, un po' sgargiante in una toletta eccessivamente giovanile, Tito Valenti, attore e capocomico. Si guarda attorno come per cercare qualcuno. E' un uomo tra i cinquanta e i sessant’anni. Suona il campanello. Compare Nicola).

Tito                             - Il signore sta lavorando?

Nicola                         - Nossignore. Il signore è uscito ora.

Tito                             - Come mai? Ma ha lavorato, questa mattina? M'ha detto che si sarebbe alzato alle sei.

Nicola                         - Si è alzato alle sette.

Tito                             - E che ha fatto?

Nicola                         - E' andato in barca: a remare. Ogni mattina va in barca a remare.

Tito                             - Per cui, nello studio...

Nicola                         - Che io sappia non ha messo piede.

Tito                             - Ma in questo modo... Le commedie non si scrivono da sole! Giovanotto! Voi siete un po' il con­fidente di Fabriani...

Nicola                         - Confidente forse è esagerato. Ma ogni tanto ha la bontà di chiedere i miei consigli...

Tito                             - Appunto. (In confidenza) Questa commedia la scrive o non la scrive?

Nicola                         - Ecco... L'intenzione ci sarebbe. Manca l'idea.

Tito                             - Me l'aveva promessa per il quindici luglio. Io son venuto qui apposta: doveva leggermela.

Nicola                         - Io, se fossi in voi, ripasserei il quindici agosto!

Tito                             - Sarebbe forse opportuno. Ma m'illudo - e chi non ha le proprie illusioni scagli la prima pietra - di poter essere un po' lo stimolo del lavoro con la mia presenza... Il pungolo. E allora rimango. Il panorama poi è delizioso. Veramente suggestivo. I miei nervi ave­vano bisogno di un po' di riposo. La signorina?

Nicola                         - E' partita. Viaggio all'estero.

Tito                             - Ah! Mi ero illuso che avrebbe abbracciata la carriera teatrale... Aveva delle qualità. Peccato! Un vero peccato...

Nicola                         - Certo, ora che la signorina se n'è andata, il panorama non sarà più lo stesso.

Tito                             - Evidentemente. Evidentemente. Ma, insomma, perché non date voi un'idea a Fabriani? Che è un'idea? Niente: una traccia. Una spinta. Poi del resto pensa lui con la sua fantasia, la sua abilità.

Nicola                         - Io? Che c'entro io?

Tito                             - Chiunque. Molière per esempio... Ma questo non c'entra. Sapete che cosa manca a Fabriani? L'amore. Per lavorare ha bisogno dì essere innamorato. Non è innamorato: non lavora,

Nicola                         - Eppure non gli mancano le donne. Tutt'altro.

Tito                             - Che c'entra? Io parlo dell'amore: di quello uro. che opprime, che dilania, che tormenta. L'ho osservato. Niente. Si: Grazia. Qualche altra. Credete a me: sciocchezze. E allora cervello asciutto come la pietra pomice.

Nicola                         - Forse il signore ha ragione...

Tito                             - Certamente. Ho paura che, quest'anno, la commedia di Fabriani io non l'avrò... Mah! Giovanotto, potete andare...

Nicola                         - Il signore non vorrebbe, per caso, che io gli facessi le carte?

Tito                             - No, no. Troppo caro. E poi non ho nulla da chiedere. So già tutto.

Nicola                         - Ci tenete proprio che il padrone scriva la commedia promessa?

Tito                             - Come? Ma è l'ossigeno per la mia Compagnia.

Nicola                         - E allora ditegli d'aver ricevuto in questi giorni il copione d'un'altra commedia, d'un suo collega, magnifica. Mettete molto entusiasmo nelle vostre parole! Vedrete che gli viene subito l'ispirazione. In letteratura lo stimolo maggiore è questo: la rivalità.

Tito                             - Giovanotto, avete dello spirito d'osservazione. Mi compiaccio. Ma dite in cucina che il caffè stamane era pessimo.

Nicola                         - Non mancherò. (Nicola esce; Tito, rimasto tolo, sieda su una poltrona: prende dei giornali e si mette n leggere. Dopo un istante rientra Nicola in fretta, seguito dalla marchesa Annamaria Del Torre. E' una si­gnora distinta, tra i quaranta e i cinquant'anni, piena di vita e di brio. Nicola sta cercando qualcosa- il tele­gramma - per lei). Deve essere qui... E' giunto proprio fa... Anzi ho telefonato a Milano per sapere dove avrei potuto recapitarglielo... Non ha risposto nessuno...

Annamaria                  - Un telegramma? Oh, santo cielo... Una disgrazia?

Nicola                         - Non credo. Una fortuna, piuttosto. Il signore, per isbaglio, l'aveva aperto... (Trovandolo) Ah, eccolo!

                                    - (e glielo dà).

Annamaria                  - (legge il telegramma) Oh, santissimo Iddio! Accidenti... (Si guarda attorno: vede Tito) Scusate!

Tito                             - Prego.

Annamaria                  - E adesso come si fa? Oh, che guaio, guaio, che guaio!

Nicola                         - La signora marchesa non è soddisfatta? Annamaria          - Soddisfatta? Ah, c'è di che essere sod­disfatti, parola d'onore!

Nicola                         - Preferiva che fosse rimasto lì?

Annamaria                  - Lo credo io. Avevo fatto di tutto perché rimanesse chiuso.

Nicola                         - (quasi tra sé) Curioso amor di madre!

Annamaria                  - (a Nicola) Ma sapete di che si tratta?

Nicola                         - Ho sentito appena mentre il signore leggeva..

Annamaria                  - Scappato!

Nicola                         - Evaso.

Tito                             - (allarmato) Cosa? Cosa?

Annamaria                  - Il signor Fabriani dov'è?

Nicola                         - E5 uscito. Un momento: ma dovrebbe tornare subito.

Annamaria                  - Bisogna assolutamente che lo veda, che mi aiuti lui. Se no è una rovina, una catastrofe!

Nicola                         - Se la signora marchesa vuole attenderlo...

Annamaria                  - Sicuro che lo attendo. Non imi muovo. (Riguarda il telegramma) Quello è capace di esser qui da un momento all'altro.

Nicola                         - Se viene a piedi, ci vorrà un po' di tempo.

Annamaria                  - A piedi? Ma quello prende il treno.

Nicola                         - Sarebbe imprudente da parte sua. I treni saranno sorvegliati. Se la signora marchesa vuole acco­modarsi... (s'inchina ed esce).

Annamaria                  - E' il «olmo. A ventidue anni! Farmi una sorpresa simile...

Tito                             - Certo a ventidue anni si dovrebbe già essere uomini.

Annamaria                  - Quello che dico io! E notate che è in­telligente. Voi non lo conoscete...

Tito                             - No.

Annamaria                  - Ma è intelligentissimo.

Tito                             - Non ne dubito affatto.

Annamaria                  - Soltanto ribelle. Ha un carattere un po' brusco. E io per quanto abbia tentato... E' attaccatissimo a me. Mi vuole un bene dell'anima.

Tito                             - Ah, sì?

Annamaria                  - Io poi lo adoro. Non ho che lui. E' lo­gico, vero?

Tito                             - Sì: ma, scusate se mi permetto, fate male.

Annamaria                  - Faccio male?

Tito                             - L'ho visto molte volte anche in arte: quando c'è una così grande differenza d'età, sono sempre cose che finiscono in pianto.

Annamaria                  - Ohe, ma cosa credete? Ma guarda che sporcaccione! E' mio figlio!

Tito                             - Ah, scusate: avevo equivocato.

Annamaria                  - Ma figuriamoci! E io non so chi vi per­metta... Tanto più che non vi conosco...

Tito                             - (presentandosi) Sono Tito Valenti.

Annamaria                  - Piacere.

Tito                             - (calcando) Tito Valenti!

Annamaria                  - Ho capito.

Tito                             - L'attore. Sono qui perché Fabriani deve scri­vere una commedia per me: anzi, dovrebbe. Ma non la fa. E' in periodo di depressione.

Annamaria                  - Lo conoscete bene, questo Fabriani? Io non l'ho mai visto. E vorrei sapere da che parte prender­lo. Perché qui, c'è poco da fare, bisogna che io lo prenda.

Tito                             - E' un grand'uomo.

Annamaria                  - Sì, va bene, lo so. Press'a poco. Devo aver letto qualche libro suo.

Tito                             - Come tutti i grandi uomini, è un debole... sentimentalmente,

Annamaria                  - Sì, ma io, da quel lato... Intanto, quanti anni ha?

Tito                             - Dice quarantasei. Devono essere cinquantadue.

Annamaria                  - Non ha intenzione d'andare a fare un viaggetto in questi giorni, che voi sappiate?

Tito                             - No, non me ne ha parlato.

Annamaria                  - Sarebbe l'unica soluzione.

Tito                             - Deve lavorare: d'urgenza. E lui per lavorare ha bisogno di quella stanza lì, con veduta sul lago, con quel ramo d'albero che batte alla finestra. Le solite manie. Poi non scrive lo stesso: ma insomma...

Annamaria                  - E ora dov'è andato?

Tito                             - A Stresa, credo. Cuore. Ha il cuore lì.

Annamaria                  - Ho capito.

Tito                             - Capriccetti. Uno qui, uno là. Niente di serio. Ed è questo che gli manca. La fiamma interna. Non so se mi spiego.

Annamaria                  - Benissimo!

Tito                             - Eccolo!

Annamaria                  - Sentite: volete farmi un favore? Lascia­temi sola con lui. E una cosa un po' urgente.

Tito                             - Figuratevi. Tanto io non ho niente da dirgli. Auguri. E ancora scuse per gli illeciti sospetti... (Esce dalla porta in giardino. Annamaria si prepara ad incon­trare Fabriani: questi entra, va verso Annamaria).

Pierluigi                      - Nicola m'ha detto... E5 una vera fortuna che siate venuta. Non sapevamo più come fare... Acco­modatevi, prego. Avete avuto il telegramma?

Annamaria                  - Sì: ed è appunto... (Sedendo) Grazie.

Pierluigi                      - L'avevano portato a me. Non ho guardato l'indirizzo: l'ho aperto. Scusatemi.

Annamaria                  - Prego, prego. Mi spiace di fare la vo­stra conoscenza in un'occasione così... Beh, insomma. Voi siete un grand'uomo.

Pierluigi                      - Piccolezze. Qualcuno lo dice, ma non bisogna crederci.

Annamaria                  - Io ho bisogno, un assoluto bisogno di voi... Del vostro cuore, che so generoso...

Pierluigi                      - Ditemi se posso in qualche modo...

Annamaria                  - Non si tratta di questioni finanziarie.

Pierluigi                      - Ah!

Annamaria                  - Si tratta di mio figlio. Egli non sa che io non ho più questa villa. Voi l'avrete immaginato, dal fatto che mi facevo sempre inviare qui la sua corri­spondenza...

Pierluigi                      - Sì, press'a poco.

Annamaria                  - Era una villa a cui tenevamo molto. Ma quando son venuti i rovesci... Sapete com'è... Io, per tentar di salvare le cose, ho fatto anche qualche specu­lazione. Un disastro.

Pierluigi                      - Capisco.

Annamaria                  - Questo nove anni fa.

Pierluigi                      - E allora avete venduta la villa...

Annamaria                  - Già: per poter fare studiare mio figlio. L'ho mandato in Svizzera. E mi son messa... a lavorare. Necessità.

Pierluigi                      - Molto bello: approvo.

Annamaria                  - Sì: ma il mio genere di lavoro era... Ed è tuttora... Insomma, molta gente lo considera con qual­che disprezzo. Non è eccessivamente dignitoso.

Pierluigi                      - Ah... Pregiudizi.

Annamaria                  - Pregiudizi. Ma credo che mio figlio, che tiene molto al titolo, all'aristocrazia...

Pierluigi                      - Ah, ci tiene molto?...

Annamaria                  - Enormemente. Allora non permettereb­be... Sarebbe insomma un dolore. Di più: una delu­sione... In poche parole, mia figlio in tutti questi anni ha sempre creduto che io fossi la ricca marchesa Del Torre... Villa sul lago. Automobile. Lui in Italia da anni non è venuto.

Pierluigi                      - Per forza.

Annamaria                  - E io ho fatto di tutto per mantenere questa situazione. Andavo a trovarlo quando potevo. Non gli facevo mancar niente. E' in Svizzera; col cambio, tutto costa così caro. Ma ha avuto un'educazione perfetta.

Pierluigi                      - Complimenti.

Annamaria                  - Un collegio un po' rigido, ma di prim'ordine.

Pierluigi                      - Ah, un collegio? Era in collegio?

Annamaria                  - Dove credevate che fosse?

Pierluigi                      - In nessun luogo: infatti... E allora, e al­lora...

Annamaria                  - Un giorno o l'altro si doveva giungere a questo. Io - dirò la verità - speravo di poter com­perare una tenutina qui, ritirarmi dalla professione e poi ricevere mio figlio quando fosse giunto... Non ho fatto in tempo. Ho messo da parte qualcosa: ma non abba­stanza.

Pierluigi                      - Rende, allora, la professione?...

Annamaria                  - Non c'è male. Che volete? Tanta gente vuole un po' di conforto: in genere soffrono per amore, e allora vengono da me.

Pierluigi                      - Naturale, naturale.

Annamaria                  - Giorgio s'è laureato quest'anno.

Pierluigi                      - Giorgio sarebbe il figlio...

Annamaria                  - Sì: e, presa la laurea, non ne voleva più saperne di restare in Svizzera. Voleva tornare qui E io a insistere. Che passasse almeno l'estate nel collegio, per la pratica... Così: rimedi. E ora, ecco qua, è scappato.

Pierluigi                      - Ho visto.

Annamaria                  - E viene qui.

Pierluigi                      - Così dice il prefetto.

Annamaria                  - Quando capiterà qui, vedrà, capirà, saprà tutto. E' chiaro. Trova voi invece di me. «Perché hai venduto? E ora dove abiti? Dov'è la tua casa? ». Viene in casa mia... E là vede il resto.

Pierluigi                      - Per forza.

Annamaria                  - Voi siete uomo: e sapete comprendere...

Pierluigi                      - Comprendo tutto, ma quello che non comprendo è che cosa io possa fare.

Annamaria                  - Ma è evidente. Cedermi per qualche giorno la villa.

Pierluigi                      - Cedervi...?

Annamaria                  - Fabriani, mettetevi nei miei panni... Non c'è altra soluzione. Io ricevo mio figlio ; lo ospito due o tre giorni, poi me lo porto via, all'estero. Lo in­stallo come ingegnere - è ingegnere elettrotecnico - in qualche posto. Germania, per esempio. E al ritorno affretto la mia sistemazione...

Pierluigi                      - Chiudete la casa...

Annamaria                  - La cedo a qualcuno. Realizzo. E vado a vivere all'estero, accanto a lui. Insomma, tutto è sal­vato. Ma dipende solo da voi.

Pierluigi                      - Marchesa... Io sono tutto stordito... Cedervi la casa... E' una cosa un pochino audace...

Annamaria                  - Molto: lo so. Ma non c'è che uno scrit­tore, un grande scrittore che possa compiere un gesto così. Per questo ho osato sperare...

Pierluigi                      - E io dovrei andarmene con la servitù, con tutto?...

Annamaria                  - Già: c'è la questione della servitù. Im­possibile fargli trovare una casa vuota, senza servitù... E con l'acqua alla gola come siamo... Facciamo così: voi lasciate la servitù, mettendola per questi giorni ai miei ordini. Magari avvertendola prima... Beh, a questo ci penso io... In quanto a voi...

Pierluigi                      - Marchesa, ma fo, non ho ancora accon­sentito...

Annamaria                  - Ho capito: non volete abbandonare il vostro studio e il ramo d'albero che fa capolino dalla finestra. Avete da scrivere una commedia... Fabriani, perché non accettate d'essere ospite mio per questi pochi giorni? Mi fareste veramente un grande onore... Ho come un vago sospetto che potrei suggerirvi qualche ottimo spunto per il vostro lavoro...

Pierluigi                      - Marchesa...

Annamaria                  - E finitela di chiamarmi marchesa! Se liete ospite mio vuol dire che siamo vecchi amici. Mi chiamo Annamaria. E voi Pierluigi, mi pare. C'è poi nell'impiastro di attore che passeggia in giardino. Che ne facciamo?

Pierluigi                      - Ecco: io avrei tanto desiderio di liberar­mene. Non ci sono riuscito.

Annamaria                  - Ci penso io.

Pierluigi                      - Con garbo, però: deve mettermi su una commedia. E allora ci vuole un po' di maniera.

Annamaria                  - Ho come la sensazione che voi non siate un uomo capace di liberarsi dei seccatori.

Pierluigi                      - Mi pare evidente.

Annamaria                  - Io non so come ringraziarvi di questa vostra adesione che mi salva: è la parola, mi salva. E ora passiamo alla parte pratica, organizzativa, perché Giorgio può capitare da un momento all'altro... Intanto bisogna che faccia portar qui un po' di roba. La mia roba: quella che ho all'albergo. Io ero al « Continentale » a Stresa. Poi bisogna che mi renda conto: che scelga le camere... Una volta conoscevo bene la casa. Ma ora che me l'avete modificata tutta.

Pierluigi                      - Sentite: tre giorni. Non più di tre giorni.

Annamaria                  - Tre giorni: d'accordo.

Pierluigi                      - La mia camera, personale, che intendo conservare, è quella d'angolo.

Annamaria                  - Benissimo.

Pierluigi                      - Voi potete installarvi nella stanza di Mila.

Annamaria                  - Chi è Mila?

Pierluigi                      - Mia nipote.

Annamaria                  - Avete anche una nipote?

Pierluigi                      - E' partita: andata all'estero.

Annamaria                  - E mio figlio dove lo mettiamo?

Pierluigi                      - C'è una bella stanza: non dà sul lago.

Annamaria                  - Lago ne ha veduto tanto, a Montreux. Benissimo. Allora io corro fino a Stresa a prender la roba. Cinque minuti. Prendo la vostra macchina, natu­ralmente. Per tre giorni è mia... Oh, s'intende che, dopo, pago tutto.

Pierluigi                      - Ma andiamo...

Annamaria                  - No: pago, pago. Preparate il conto. Non fate quella faccia: siete un grandissimo scrittore. Vi am­miro moltissimo. (Esce rapidamente; Pierluigi si gratta in testa, poi suona il campanello. Compare Nicola),

Pierluigi                      - Di' ad Ernesto che accompagni la mar­chesa a Stresa...

Nicola                         - Ernesto è partito in questo momento con la signora marchesa.

Pierluigi                      - Va bene. Allora fa' venire subito Matilde e Giulia.

Nicola                         - Qui?

Pierluigi                      - Sicuro: qui. Perché?

Nicola                         - Niente.

Pierluigi                      - E il figlio della marchesa non era in pri­gione, idiota: era in collegio!

Nicola                         - Sissignore. (Nicola esce; Pierluigi passeggia in su e in giù. Rientra dalla veranda Tito).

Tito                             - Che voleva?

Pierluigi                      - La casa.

Tito                             - E tu?

Pierluigi                      - Gliel'ho data.

Tito                             - Come?

Pierluigi                      - E' sua. Non è mai stata mia. Ora è sua.

Tito                             - Scusa, Pierluigi, non so capir bene quello che stai dicendo.

Pierluigi                      - Neanch'io, ma non importa. Cerca di non complicare la situazione: e bada che nella tua camera verrà ad abitare Giorgio. Quindi, provvedi.

Tito                             - Giorgio? E chi è Giorgio? Nella mia camera...

Pierluigi                      - Per forza. Non è mica un albergo questo: io non ho venti camere! (Compaiono Matilde, giovane cameriera, e Giulia, grossa cuoca. Nicola, che è venuto con loro, fa per ritirarsi). No: rimani anche tu. Statemi bene a sentire. E cercate di capire. Matilde   - Sissignore.

Pierluigi                      - Da questo preciso momento voi tutti non siete più al servizio mio.

Giulia                          - Il signore ci licenzia?

Matilde                       - Che è accaduto?

Pierluigi                      - Silenzio. Nessuno è licenziato. Non siete più al servizio mio perché siete al servizio della mar­chesa Del Torre che da questo istante è la proprietaria della villa con tutto quanto essa contiene, cose e persone.

Tito                             - Come? Hai venduto?...

Pierluigi                      - Non devo dare spiegazioni. Per tutti e in ogni occasione non solo siete al servizio della mar­chesa, ma siete sempre stati al suo servizio.

Giulia                          - Non capisco.

Nicola                         - Dopo, ti spiego io. (A Pierluigi) Ma, e il signore?...

Pierluigi                      - Io rimango: ospite della padrona. Tu al­meno, Nicola, hai compreso?

Nicola                         - Sì. M'è capitato una volta. In un apparta­mento che ha cambiato di padrone: e io invece son ri­masto lì, coi mobili.

Pierluigi                      - Però di tutto questo, fuori, neanche una parola. Se no, crederebbero sul serio che sono fallito...

Nicola                         - Ah, perché non è così?...

Pierluigi                      - Vattene! Via. E attenti a non commettere errori, se no la marchesa vi licenzia sul serio: quella non è come me. E' una padrona di ferro.

Giulia                          - (andandosene) Io non riesco a capire... (i tre servi escono).

Tito                             - Pierluigi! Ma che è accaduto? Io sono un vec­chio amico e ti puoi confidare.

Pierluigi                      - No.

Tito                             - Hai avuto dei guai finanziari? Hai giocato?...

Pierluigi                      - Immagina quello che vuoi. (Squilla il te­lefono. Pierluigi va al ricevitore) Pronto... Sì, sono io. Sì, personalmente. E io? Come? Difficile che possa indo­vinare... Grazie: troppo gentile. No, non merito tanto. (Il suo volto si illumina) Ripetete... Come? Io ho passata la notte con voi... No? Voi con me? Non è lo stesso? Ma dove? Ah, a letto... Aspettate: ora ci penso! Questa poi... Non vi conosco? Ho passato la notte con voi e non vi conosco? So di essere distratto; ma fino a questo pun­to... Ah, era un mio libro! Avete letto tutta notte un mio libro? Peccato! Comunque... E non vi ha lasciata mai

dormire?

Tito                             - (piano) Debbo andarmene? (Pierluigi alza le spalle).

Pierluigi                      - (al telefono) Ma dove siete? No, questa è crudeltà. Voi sapete chi sono io e io non debbo sapere chi siete voi! Vi pare giusto? Beh, così dalla voce vi di­rò... Bruna... Occhi luminosi, scuri... Come quasi? Indovinato? Non ve n'andate. Ma no. Pronti... Pronti... (Riattacca) Ha riappeso bruscamente.

Tito                             - Una delle solite.

Pierluigi                      - No: questa aveva un profumo differente...

Tito                             - Senti il profumo anche per telefono?

Pierluigi                      - H profumo dell'anima. C'era un'anima che vibrava, là dentro. (Attacca il telefono). E' stata sorpresa, forse dal tiranno! Piccoli oscuri drammi fami­liari... Non ha voluto dirmi chi era.

Tito                             - Lascia andare le donne che han tempo da per­dere, e spiegami invece la faccenda della marchesa.

Pierluigi                      - Non posso spiegare nulla: ho ceduto la villa. Io resto qui a lavorare. E fare la tua commedia: ecco tutto.

Tito                             - E io?

Pierluigi                      - Tu... Non so: mettiti d'accordo con la marchesa. Io non c'entro. (Toma a suonare il telefono) Pronti... Sì. Sono io...

Tito                             - Ancora quella?

Pierluigi                      - No. Pronti... Pronti... Sì. Mila? Che t'è successo? Niente di male? Davvero? Beh, del differen­ziale me n'infischio. Va bene. Sì, subito. Domodossola: albergo Milano. No, no, non mi preoccupo. Figurati! Ciao. (Riappende) Mila ha rotto il differenziale.

Tito                             - Non è il tredici, oggi?

Pierluigi                      - (che ha suonato il campanello) No: è il quindici. Perché?

Tito                             - Così. Niente. (Compare Nicola).

Pierluigi                      - Di' ad Ernesto che «vada subito a Domo­dossola: albergo Milano. La signorina ha bisogno di lui. Un piccolo guasto alla macchina.

Nicola                         - Ernesto non c'è: è uscito con la padrona.

Pierluigi                      - Con chi?

Nicola                         - Con la nuova proprietaria: la signora mar­chesa.

Pierluigi                      - Appena torna. Insomma, che corra.

Nicola                         - Va bene. (Esce).

Tito                             - Non mi pare che quest'atmosfera turbolenta ed inquieta possa favorire la tua creazione.

Pierluigi                      - Ho scritto il mio capolavoro al caffè: la sera, su un tavolino, mentre intorno un'orchestrina fa­ceva il diavolo a quattro.

Tito                             - Eri giovane.

Pierluigi                      - (scattando) Oh, insomma, basata! Anche tu!

Tito                             - Sei diventato nervoso, Pierluigi.

Pierluigi                      - Ne avrò diritto, no?

Annamaria                  - (entrando seguita da Nicola con due vali­gie) Eccomi qui.

Pierluigi                      - Oh, brava! Posso mandare la macchina a Domodossola? Mia nipote ha avuto un accidente. Me lo permettete ?

Annamaria                  - Fate, fate pure.

Pierluigi                      - (a Nicola) Di' ad Ernesto...

Nicola                         - (interrompendolo) Già fatto: Ernesto è già partito.

Pierluigi                      - (esasperato) Ma, insomma, c'è una cosa almeno che possa ordinare ancora io?

Annamaria                  - (a Pierluigi) Allora, per di qua, vero? (e indica la scala).

Pierluigi                      - Per di là.

Annamaria                  - (a Tito, mentre Nicola porta su le valigie) Il signore vi ha detto...?

Tito                             - Mi ha detto.

Annamaria                  - Io vi consiglierei una gita al Mottarone: qui, troppo basso per voi. Avete una pessima cera.

Tito                             - Io ho una pessima cera?

Annamaria                  - Olivastra.

Tito                             - E' il mio colorito naturale.

Annamaria                  - Macché! Tre giorni al Mottarone e scen­dete mattone.

Tito                             - Come?

Annamaria                  - Invece di oliva, mattone. Vi par poco?

Pierluigi                      - Tanto più che la tua camera è occupata.

Annamaria                  - Ecco.

Tito                             - Cedo. Ma cedo alla forza, non al diritto.

Annamaria                  - Oggidì, tutti cedono alla forza. Grazie, comunque (e sale a raggiungere Nicola).

Tito                             - (a Pierluigi) Senti: prima di abbandonare le posizioni, volevo avvertirti di una cosa!

Pierluigi                      - Sentiamo.

Tito                             - L'altro giorno ho ricevuto un copione di Gherzi.

Pierluigi                      - Che vuoi che me n'importi. Rimandaglielo indietro.

Tito                             - Ieri sera l'ho letto.

Pierluigi                      - Non riuscivi a dormire?

Tito                             - Mie caro: un capolavoro.

Pierluigi                      - Ma finiscila! Gherzi!

Tito                             - Insomma, se te lo dico io...

Pierluigi                      - Bisogna che lo dica il pubblico.

Tito                             - Lo dirà. Interessante. Vivo. Un dialogo scop­piettante di brio. Una vena di sentimento. Un pizzico di poesia. Un grano di mistero.

Pierluigi                      - E servitelo caldo.

Tito                             - Scherza, scherza: io ti dico che stavolta Gherzi c'è riuscito.

Pierluigi                      - Non l'avrà scritta lui: se la sarà fatta scrivere.

Tito                             - Che importa? Quel che conta è che la com­media c'è. E come!

Pierluigi                      - E mettila su. E dàlia. Come prima! Cosa vieni a seccare me, allora?

Tito                             - Niente: si diceva così per dire. (Annamaria scende la scala).

Annamaria                  - Tutto a posto. Benissimo. Figuratevi che era la stessa stanza che avevo io una volta. Mi ci son ritrovata! A parte le modificazioni... (A Tito) Ancora qui, voi? Non fate i bagagli?

Tito                             - Vado, vado... Ma è una specie di licenziamento, questo.

Annamaria                  - Con la morte nel cuore...

Tito                             - (a Pierluigi) Allora, se permetti, io salgo a...

Pierluigi                      - Permetto. Permetto.

Annamaria                  - (a Nicola che stava scendendo la scala) Aiuta il signore a fare le valigie.

Nicola                         - Sissignora. (Risale e scompare con Tito),

Annamaria                  - Allora siamo quasi a posto. L'evaso può venire!

Pierluigi                      - Vi ammiro.

Annamaria                  - Grazie.

Pierluigi                      - Io non so come abbiate potuto rovinarvi: con lo spirito pratico che avete, con la vostra energia...

Annamaria                  - Eppure... (Vede le carte lasciate da Ni­cola) Per carità!

Pierluigi                      - Che c’è?

Annamaria                  - (raccogliendo in fretta le carte) Non posso vedere le carte. Mi danno ai nervi.

Pierluigi                      - E' Nicola. Ha un'abilità speciale nel pre­dire il futuro con le carte.

Annamaria                  - E voi lo consultate?

Pierluigi                      - Qualche volta. Ho questa debolezza.

Annamaria                  - Malissimo.

Pierluigi                      - Ho capito. Voi avevate la passione del gioco, e allora...

Annamaria                  - Ecco. Per cui voi siete superstizioso... Non lo negate.

Pierluigi                      - Un pochino. Gli scrittori, tutti.

Annamaria                  - Anche i non scrittori. Vi trovo un po' sciupato.

Pierluigi                      - Sciupato io?

Annamaria                  - Sì: avete solo quarantatre anni,.. E ne di­mostrate qualcuno di più.

Pierluigi                      - Quanti?

Annamaria                  - Quarantacinque.

Pierluigi                      - Chi vi ha detto che ho quarantatre anni?

Annamaria                  - Gli scrittori son di dominio pubblico. Si sa tutto di loro.

Pierluigi                      - E' vero: ne ho quarantatre.

Annamaria                  - (tra se) Che impostore!

Pierluigi                      - Avete letto qualcosa di mio?

Annamaria                  - Tutto, credo.

Pierluigi                      - E che cosa preferite?

Annamaria                  - L'ultimo vostro libro.

Pierluigi                      - Infatti - malgrado quel che ne hanno detto i critici - è il migliore.

Annamaria                  - Non date retta ai critici.

Pierluigi                      - Siete una donna d'un'intelligenza...

Annamaria                  - Grazie. (Ricompaiono dalla scala Tito e Nicola: questi porta due valigie).

Tito                             - E ora come si fa?

Annamaria                  - Perché?

Nicola                         - La macchina non c'è.

Annamaria                  - Son due passi da qui a Stresa. Nicola vi accompagna con le valigie.

Nicola                         - Io?

Annamaria                  - Sicuro. Son venuta a piedi anch'io, prima. Fa bene camminare un poco.

Pierluigi                      - Sì potrebbe chiamare un tassì...

Annamaria                  - Volete?

Tito                             - No, no: se Nicola mi porta le valigie...

Nicola                         - (a cui la cosa garba pochissimo) Si tratta di andare dove?

Annamaria                  - Alla funicolare. Proprio qua vicino. Non vale la pena di prendere un tassì.

Tito                             - (salutando mentre Nicola si avvia con le valigie) Allora... Mi raccomando la commedia.

Annamaria                  - Ha già cominciato a buttar giù qualche idea. Credo che ora sia sulla buona strada.

Tito                             - Mi raccomando a voi, marchesa.

Annamaria                  - Non dubitate: non gli darò requie.

Tito                             - (o Pierluigi) Allora grazie di tutto: e arrive­derci fra tre giorni.

Pierluigi                      - Non pretenderai mica che in tre giorni abbia fatto la commedia!

Tito                             - No: mi basterà sapere che è avviata.

Annamaria                  - Precisamente.

Tito                             - Tanti saluti alla signora Grazia...

Annamaria                  - E buon viaggio... (Pierluigi accompagna Tito e poi ritorna presso Annamaria) Anche questo è andato! (A Pierluigi) Chi sarebbe la signora Grazia? Non è per curiosità, ma è bene che io sia informata...

Pierluigi                      - (vago) E' un'amica.

Annamaria                  - Ho capito. Avete un orario?

Pierluigi                      - Sì! Deve essere lì... (Cerca in uno scaf­fale e non trova) Eppure c'era.

Annamaria                  - Siamo un po' disordinati, a quanto vedo. (Cerca anche lei) Fatture... Fatture... Fatture... Pagate?

Pierluigi                      - Che pagherò a rate.

Annamaria                  - Ho capito: avete bisogno d'un ammini­stratore!

Pierluigi                      - Ecco l'orario (lo dà ad Annamaria, che si mette a sfogliarlo).

Annamaria                  - Scommetto che voi non sapete nemmeno quello che guadagnate...

Pierluigi                      - Lo giuro.

Annamaria                  - Si vede. (Avendo trovato) Ecco. C'è un treno... (Suona il telefono).

Pierluigi                      - (rispondendo) Pronti... Sì. No, per ora niente... Ma era un collegio... Già. (Annamaria facendo finta di niente ascolta). Eh, no... Son successi dei fatti nuovi... E' difficile spiegarti. Verrò dopo ; ma no. Nessuna donna. Che ti viene in mente? Cioè... insomma... non in­sistere. Va bene. (Riappende).

Annamaria                  - Grazia?

Pierluigi                      - Come? Sì... No. Cioè...

Annamaria                  - Avete fatto bene. Bisogna avvertirla. Se capitasse all'improvviso, potrebbe far nascere dei pa­sticci. E poi, ospite mio, sì, ma solo. Se no, dove finisce la moralità?

Pierluigi                      - Ecco, signora...

Annamaria                  - Che donna è? Giovane?

Pierluigi                      - E' giovane. E abituata male.

Annamaria                  - Ma voi avete abituato male tutti: la servitù, gli amici, le amiche, voi stesso...

Pierluigi                      - Nicola, per esempio, non vi perdonerà mai l'affare delle valigie. E' poi così permaloso!

Annamaria                  - Afa, sì?

Pierluigi                      - Io ho sempre molti riguardi per lui.

Annamaria                  - Per via delle carte?

Pierluigi                      - No. Ma siccome è un servitore molto di lusso...

Annamaria                  - Ho capito.

Pierluigi                      - Ha servito in case aristocratiche.

Annamaria                  - E allora non porta le valigie? In casa mia...

Pierluigi                      - Lasciamo stare la casa vostra, marchesa. E' tutto un altro genere.

Annamaria                  - Avete ragione.

Pierluigi                      - Ecco. (Dopo una breve pausa) Ma non comprendo come mai voi, così fine, così intelligente, ab­biate potuto...

Annamaria                  - Me l'avete già detto.

Pierluigi                      - No. Alludevo alla vostra professione...

Annamaria                  - Ah, perché avete capito?...

Pierluigi                      - Eh, sì.

Annamaria                  - Che volete? Bisognava far qualcosa. E io non sapevo far altro.

Pierluigi                      - Ah?!

Annamaria                  - Già. Anche prima, nel mio mondo...

Pierluigi                      - Prima, cosa?...

Annamaria                  - Venivano tante volte da me: « Vorrei fidanzarmi col tale. Che ne dici tu? ». E io davo consigli. Favorivo le unioni.

Pierluigi                      - E' un'altra cosa.

Annamaria                  - Press'a poco è lo stesso: si tratta di in­tuire.

Pierluigi                      - Già: sotto quest'aspetto...

Annamaria                  - Molta gente è stata felice, per merito mio. E molta gente lo è ancora.

Pierluigi                      - Felicità passeggera.

Annamaria                  - E qual è la felicità che resiste?

Pierluigi                      - Non discuto. Del resto, contenta voi.

Giorgio                       - (di fuori) Si può? Non c'è nessuno in que­sta casa!

Annamaria                  - (balzando incontro al figlio) E' lui!

Giorgio                       - (entrando) Mamma! (Si abbracciano. Gior­gio è un [giovanotto bruno, di ventidue anni, elegante e disinvolto).

Annamaria                  - Giorgio! Giorgio! Ma che pazzia!

Giorgio                       - -Che ci vuoi fare? Ero stufo. Basta Svizzera. Non mi lasciavano venir via con le buone. E allora... Ormai ho l'età di fare un po' quello che voglio. Ma la­sciami vedere... Nove anni che non metto più piede in casa mia! Ma è tutta cambiata...

Annamaria                  - Sì: ho fatto qualche modifica... Nuovi tempi, nuovi gusti...

Giorgio                       - (indicando Pierluigi) E quel signore?...

Annamaria                  - (presentandolo) Un amico... Fabriani. Pierluigi Fabriani. Lo scrittore.

Pierluigi                      - (dando la mano a Giorgio) Fortunatissimo. Fatto buon viaggio?

Giorgio                       - Sì, grazie. (Continua a guardarsi attorno) Qualcosa va bene. La veranda, per esempio.

Pierluigi                      - Grazie.

Giorgio                       - (sorpreso) Come?

Annamaria                  - Ha dato delle idee, idei consigli. E' un po' architetto.

Giorgio                       - (indicando lo studio di Pierluigi) E di là?

Annamaria                  - Uno studio... (Giorgio va sulla porta, guarda dentro).

Giorgio                       - Benissimo. Qui mi installo io, mamma. E subito.

Annamaria                  - Non precipitiamo, caro. Ci sono altre stanze. Tante altre stanze.

Giorgio                       - No, no: mi metto qui. Me l'hai preparata con gusto. Grazie, mamma. Sei un amore. E ora io, di qui, per tutta estate non mi muovo più. Te lo prometto.

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

La scena è la stessa; è la mattina del giorno dopo.

(Giorgio sta esaminando i libri di alcuni scaffali: li toglie dal loro posto e li ammucchia su delle poltrone. Suona il campanello: compare Nicola, in tenuta mattu­tina da fatica).

Giorgio                       - Dite un po': qui ci sono dei libri che mi preoccupano.

Nicola                         - Non c'è niente di disonesto: i libri scabrosi li ho da tempo tolti io, per via della signorina.

Giorgio                       - Che signorina?...

Nicola                         - Una signorina che se n'è andata all'estero.

Giorgio                       - Non sono i libri scabrosi... Almeno io non li ho letti: non posso sapere. Ma qui ci sono, in fila, venti copie del « Nostro perduto amore » di Pierluigi Fabriani. Venti copie. Che mia madre ammiri quello scrittore non discuto. Ma venti copie!

Nicola                         - Intonse.

Giorgio                       - E qui un altro ripiano, tutto di « La mia salvezza sei tu ». Di Fabriani.

Nicola                         - Un capolavoro.

Giorgio                       - Sarà un capolavoro, ma... E' molto tempo che questi libri sono qui?

Nicola                         - Dal giorno della loro pubblicazione.

Giorgio                       - Beneficenza?

Nicola                         - Pubblicità. Ogni tanto ne regaliamo una copia.

Giorgio                       - (abbandonando lo scaffale) Non capisco.

Nicola                         - (per andarsene) Se il signore non ha altro da chiedere...

Giorgio                       - Rimanete. E' molto tempo che questo Fa­briani abita qui?

Nicola                         - Da un mese e mezzo.

Giorgio                       - (sorpreso) Un mese e mezzo?

Nicola                         - Prima abitava in città. Milano. Ma poi, per lavorare, ha preferito trasferirsi qui.

Giorgio                       - Un mese e mezzo! E sapete se abbia inten­zione di andarsene? Quando?

Nicola                         - Ignoro.

Giorgio                       - Provvedere» io.

Nicola                         - Sta bene, signore (fa per andarsene).

Giorgio                       - Un momento! Aiutatemi a cambiar di posto a questi mobili... La disposizione non mi piace.

Nicola                         - Non so se...

Giorgio                       - Obbedite quando vi ordino una cosa.

Nicola                         - Sissignore.

Giorgio                       - Intanto tutti quei libri di Fabriani, via.

Nicola                         - (esitando) Dove li devo mettere?

Giorgio                       - Dove volete. In cantina.

Nicola                         - (disponendosi ad eseguire l’ardine) Sta bene (e comincia a far pile di libri).

Giorgio                       - (cambiando di posto alle poltrone e alle sedie, mentre il servo ammucchia i libri) Beneficenza, va bene. Ma ora basta. (A Nicola) E' un uomo che non sa come vivere, questo Fabriani?

Nicola                         - Non credo.

Giorgio                       - Di solito, gli scrittori! Questo portacenere, to': ve lo regalo. E' di un gusto impossibile.

Nicola                         - (prendendo il portacenere e portandolo nel fondo) Grazie, signore.

Giorgio                       - (trovando una fotografia e leggendone la de­dica) «A Pierluigi, Magda con gratitudine imperi­tura ».... Che roba è?

Nicola                         - Era una ballerina: ora s'è sposata!

Giorgio                       - Ma abusa, questo signore. Prendete questa fotografia...

Nicola                         - Che ne devo fare?

Giorgio .                     - Ridatela al signor Fabriani: potrebbe al­meno avere la delicatezza di non lasciare in giro i suoi ricordi amorosi!

Nicola                         - Sta bene. (Prende una pila di libri e si avvia; in quella compare Pierluigi).

Pierluigi                      - (a Giorgio) Buongiorno!

Giorgio                       - Buongiorno.

Pierluigi                      - (a Nicola) Cosa fai?

Nicola                         - Porto in cantina questi libri: me l'ha ordi­nato il signore. E poi ci sarebbe anche quella fotografia... (Esce).

Pierluigi                      - (prendendo la fotografia che Nicola aveva indicato) Che ha questa fotografia?

Giorgio                       - Non mi piace. Io, quella Magda, non la conosco, e allora mi pare che stoni un po', così, in giro...

Pierluigi                      - Forse avete ragione: tanto più che ora­mai... Era una buona figliola, sapete.

Giorgio                       - Non ne dubito. In quanto ai libri, scuserete, vero?... Ma qui vorrei collocare dei volumi un po' meno... come dire?, ameni...

Pierluigi                      - E cioè?

Giorgio                       - Scienza. Elettricità. Mia madre deve avere una grande simpatia per le vostre opere: tante copie dello stesso romanzo. A me, in fondo, può bastarne una.

Pierluigi                      - Comprendo.

Giorgio                       - Ho visto poi che, di là, nello studio, c'è ancora tutta la vostra roba. Non vorrei avvilire la vostra ispirazione, ma là vorrei proprio stabilirmici io...

Annamaria                  - (entrando, ha udito le ultime parole) Non c'è fretta, Giorgio. Abbi un po' di diserzione. Tu, per ora, non hai nulla da fare. Sei in riposo. E io voglio che tu riposi. (A Pierluigi) Buongiorno. Dormito bene?

Pierluigi                      - Grazie. Grazie. Ma...

Annamaria                  - (a Giorgio) Sai che cosa ti ho prepa­rato? Un canotto! Un bellissimo canotto. Sapevo che tu avevi la passione di remare. E allora...

Giorgio                       - Mamma, sei tanto cara!

Annamaria                  - E allora approfitta! Va' a fare un po' di voga sul lago.

Pierluigi                      - A quest'ora? E' presto e...

Annamaria                  - E' l'ora migliore.

Giorgio                       - Si: di prima mattina. Arrivederci. A più tardi. [Esce dal fondo).

Pierluigi                      - (sbottando) Ah no, signora marchesa, no no no!

Annamaria                  - Che c'è che non va?

Pierluigi                      - Tutto. Vi pare possibile che io mi lasci cacciar fuori di casa mia, a questo modo, da quel tipo di vostro figlio?

Annamaria                  - Ma che vi ha fatto?

Pierluigi                      - Intanto, i miei libri. Ha trovato, lì, i miei libri. E ha ordinato a Nicola che li porti in cantina.

Annamaria                  - E' umida la «ratina?

Pierluigi                      - No, perché?

Annamaria                  - E allora non si sciuperanno. Tutto il male sarà riportarli su dopo. Capirete che era anche lo­gico. Trova qui, in casa mia, tante copie di romanzi vostri! Anzi, è un ipochino compromettente per la mia reputazione...

Pierluigi                      - Marchesa, non è di questo che si tratta ora!

Annamaria                  - E di che?

Pierluigi                      - Vuole che io lasci il mio studio: che glielo ceda.

Annamaria                  - Scusate; se la casa fosse vostra, che stanza scegliereste voi come vostro studio?

Pierluigi                      - Quella: e infatti là sto.

Annamaria                  - E lui crede sua la casa e là sceglie di stare.

Pierluigi                      - Ma voi dovreste fargli capire... Insomma, dovreste condurlo via. Io ho accettato di farvi un favore, perché m'era parso che foste davvero negli impicci, ma non credevo poi di giungere a questo. Non gli piace che circolino, qui, le fotografie delle mie amanti...

Annamaria                  - Fate vedere. (Pierluigi le passa la foto­grafia).

Pierluigi                      - Dice che è brutta.

Annamaria                  - Ha ragione: non è molto bella.

Pierluigi                      - Come? (riprende la fotografia e la os­serva).

Annamaria                  - Gambe troppo lunghe. Comunque, que­sto non c'entra. Non è elegante lasciare in giro simili fotografie. Mi meraviglio di Nicola.

Pierluigi                      - Che c'entra, Nicola?

Annamaria                  - Non avete detto che è un cameriere molto distinto? Ebbene, avrebbe dovuto fare sparire lui le tracce di queste... debolezze.

Pierluigi                      - Ah, sì? E la barca? il canotto? A quest'ora vado io, di solito, a remare! E, invece, voi ci avete mandato lui! Qui si esagera, signora! Si abusa!

Annamaria                  - Avete ragione. Forse avete ragione...

Pierluigi                      - Come « forse »? Gli avete parlato almeno della partenza, dello sgombero? Che, insomma, fra due giorni dovete filare?

Annamaria                  - Sì, ieri sera. Ho accennato alla cosa.

Pierluigi                      - E lui?

Annamaria                  - Ho trovato in mio figlio una resistenza inattesa. Sapevo che aveva un carattere forte, ma ora l'ho trovato ancora più forte.

Pierluigi                      - Comunque, bisognerà pur- che vi deci­diate.

Annamaria                  - Certamente. Però non mi pare che la presenza di mio figlio sia un motivo sufficiente per giu­stificare il vostro ozio. Io avevo promesso a quell'attore che vi avrei fatto lavorare.

Pierluigi                      - Se credete che ne abbia voglia...

Annamaria                  - Mio figlio ritorna, vi trova lì, nello studio, che scrivete. Rispetta la vostra fatica.

Pierluigi                      - Quello non rispetta niente.

Annamaria                  - Non avete tentato di sedurlo? Di far­velo amico?

Pierluigi                      - Ci vuol altro! In genere, io questa buona volontà la impiego solo con le donne. Cioè, la impie­gavo: oramai!

Annamaria                  - Non buttatevi giù: siete ancora pieno di fascino.

Pierluigi                      - Ma via...

Annamaria                  - Se ve lo dico è perché lo so.

Pierluigi                      - Ieri sera sono andato al «Borroomee ». Qui c'era invasione...

Annamaria                  - Ebbene?

Pierluigi                      - Cercavo una creatura giovane, dalla voce un po' cantante... Bruna...

Annamaria                  - Dove l'avevate conosciuta?

Pierluigi                      - Al telefono.

Annamaria                  - E l'avete trovata?

Pierluigi                      - No: cioè... Non con sicurezza. Ho esitato fra tre. Ce ne son tre che rispondono a tutti i requisiti. Datemi un consiglio. Anzi, aiutatemi. Voi dovete pur fare qualcosa per me. Avete pratica.

Annamaria                  - Non saprei come fare...

Pierluigi                      - Andate all'albergo: io vi segnalo le indi­ziate, trovate modo di attaccare discorso, parlate di me. Capite subito. Una - quella che telefona - è innamo­rata di me.

Annamaria                  - Vedete che piacete ancora?

Pierluigi                      - Innamorata forse è troppo. Non so. Ma mi dà proprio l'idea che abbia preso una cotta. Ma è ti­morosa. Non vuole svelarsi. Il mistero... Voi capite.

Annamaria                  - Oh! Perfettamente... Ma di solito la donna che non vuole svelarsi è zoppa o gobba o guercia. Ha, insomma, una ragione perentoria per rimanere nell'ombra.

Pierluigi                      - Come? No, no. Quelle tre son tutt'e tre di prim'ordine.

Annamaria                  - Auguri.

Pierluigi                      - Allora, mi date una mano? Solo a questo patto tollero vostro figlio.

Annamaria                  - A condizione che, ora, vi mettiate a la­vorare, e subito anche.

Pierluigi                      - Qua la mano. Solo appena ho scritto qual­cosa di buono, o che almeno a me sembra tale, ho bi­sogno di leggerlo subito a una donna che stia lì a guar­darmi, bocca aperta, occhi aperti...

Annamaria                  - E Grazia fa questo?

Pierluigi                      - Si rassegna. Ha imparato ad ascoltaresenza udire. Se le chiedete, dopo, che cosa ho letto, non sa rispondere. Ma intanto rimane immobile, fingendosi attenta: e per me è sufficiente.

Annamaria                  - Se si tratta solo di ascoltare, provviso­riamente, in attesa di meglio posso sedermi io sulla pol­trona vicino al tavolino. Occhi così, bocca così, va bene?...

Pierluigi                      - No, grazie. No...

Annamaria                  - Come no? La scena l'avete scritta sì o no?

Pierluigi                      - Sì.

Annamaria                  - La voglio sentire.

Pierluigi                      - E' bella anche!

Annamaria                  - Questo ve lo dirò io: e non crediate che io finga d'ascoltare, e pensi invece ad altro. Neanche per sogno: giudice severa e precisa.

Pierluigi                      - Beh, andiamo: ha fiducia in voi.

Annamaria                  - Sì?

Pierluigi                      - Nei vostri gusti. Venite.

Annamaria                  - Vi ringrazio dell'onore, Fabriani. (Entra nello studio, seguita da Pierluigi. Dopo un istante di scena vuota Giorgio rientra dal fondo. Accende una si­garetta: siede su una poltrona. Dopo un istante entra, da destra, Mila nella stessa tenuta da viaggio del prim'atto. La segue Nicola con la valigia).

Mila                            - (a Nicola) Portala su, in camera mia.

Nicola                         - La camera della signorina è occupata.

Mila                            - Da chi?

Nicola                         - Dal signorino.

Mila                            - (sorpresa) Che signorino?

Nicola                         - (indicando Giorgio) Il signorino Giorgio.

Mila                            - (vedendo Giorgio, lo squadra e poi dice a Nicola, indicando la valigia) Posate lì. Richiamerò.

Nicola                         - Sta bene. (Eseguisce e si allontana).

Mila                            - (a Giorgio) Scusate: chi siete?

Giorgio                       - Non l'avete inteso? Il signorino Giorgio.

Mila                            - Ne so come prima.

Giorgio                       - E voi?

Mila                            - La signorina Mila.

Giorgio                       - Mai vista.

Mila                            - La nipote di Fabriani.

Giorgio                       - Ah, voi siete la nipote di Pierluigi Fa­briani?...

Mila                            - Precisamente.

Giorgio                       - E come mai siete qui, se non sono indi­screto? Vi ha invitata lui?

Mila                            - No: mi s'è rotto il differenziale. Ho tentato di farlo riparare a Domodossola... Poi ho rinunciato: ho lasciato lì la mia macchina. E sono tornata con Ernesto.

Giorgio                       - Col mio autista? Ernesto è l'autista della mamma.

Mila                            - Ernesto è l'autista dello zio.

Giorgio                       - Non ho l'abitudine di leticare con una si­gnorina, appena la conosco, ma vi assicuro...

Mila                            - Io, invece, ve lo dico a scanso d'equivoci, ho l'abitudine di trattare malissimo i giovanotti che fanno troppo i disinvolti con me. Siete avvertito.

Giorgio                       - Ma che cosa credete?...

Mila                            - E' chiaro. Il vostro modo d'agire è oramai standardizzato. La vostra macchina è la mia. Voi avete la mia cravatta. Il mio profumo. Conosciamo. Non at­tacca.

Giorgio                       - Ora poi mi fate, perdere anche quel po' d'educazione che m'era rimasta dalla Svizzera. Non ho nessuna intenzione d'attaccare con voi. Non ho i gusti e le abitudini del vostro signor zio che corre dietro a bal­lerine d'ogni genere.

Mila                            - Non sono ballerina.

Giorgio                       - E che so io cosa siete? Comunque, trovo curioso che vostro zio vi faccia venir qui senza consul­tarmi!

Mila                            - Questa poi!

Giorgio                       - E trovo inaudito che la vostra pretensione sia tale da credere che io, appena vista, mi precipiti a farvi la corte. Roba da matti! E ora, chiuso l'incidente.

Mila                            - (dopo una pausa) E' vero che voi avete occu­pato la mia camera?

Giorgio                       - A fiori verdi?

Mila                            - A fiori verdi. La tappezzeria l'ho scelta io.

Giorgio                       - Voi? E' orribile.

Mila                            - E perché ci dormite allora?

Giorgio                       - Al buio non vedo i fiori.

Mila                            - Comunque, ora sloggiate.

Giorgio                       - Come?

Mila                            - Son tornata io: voglio la mia camera.

Giorgio                       - Sentite, io sarò maleducato, ma voi... Cre­dete forse che, perché siete donna, tutto vi sia permesso?

Mila                            - Quasi tutto.

Giorgio                       - Vi sbagliate. Avrete incontrato finora i so­liti fantocci smidollati e compiacenti.

Mila                            - Avanti, avanti: mi divertite!

Giorgio                       - Ah, vi diverto?

Mila                            - Enormemente. Ero avvilita di dover tornare qui dove, in fondo, ci si annoiava. Ma ora vedo che una nuova distrazione è comparsa. Voi!

Giorgio                       - Sono una distrazione?

Mila                            - Inattesa. Di dove siete scappato fuori?

Giorgio                       - Scappato: è la parola. Non avevate sentito mai parlare di me?

Mila                            - Mai. Mio zio non m'aveva detto...

Giorgio                       - Neanch'io avevo mai sentito parlare di lui. Lo zio non c'entra. Conoscerete mia madre!

Mila                            - Non so.

Giorgio                       - Se eravate prima qui... Lei e questa casa sono una cosa sola.

Mila                            - Ah! (Afe sa quanto prima: forse immagina che Giorgio sia il figlio di Giulia, la cuoca) Allora chie­derò a vostra madre che vi faccia mettere giudizio. Pren­detemi la valigia...

Giorgio                       - Potete aspettare un pezzo!

Mila                            - A questo punto?

Giorgio                       - Voi, donne moderne, siete fantastiche: vo­lete essere in tutto eguali agli uomini, eguali diritti, eguale educazione, eguale libertà: e poi, appena c'è una fatica da fare, una ruota da cambiare, una valigia da portare, tirate in ballo che siete donne e volete i nostri muscoli. Decidetevi!

Mila                            - La porto io! (Prende la valigia) Ma la porto nella camera a fiori verdi.

Giorgio                       - Ve lo proibisco.

Mila                            - Vedremo... (Essa sale rapida la scala con la valigia: egli fa per inseguirla, poi rinuncia).

Giorgio                       - Riderà bene chi riderà ultimo. Le superiori gerarchie interverranno. (Mila è salita: è entrata in ca­mera e dopo un istante riesce e butta dall'alto il pigiama di lui, le pantofole, la vestaglia da camera e altri ammenicoli maschili che avrà trovato in camera). Che fate? Ma è indemoniata, quella ragazza. Ora salgo io e la prendo a sculacciate. E' il solo sistema utile con certa gente... (Nel dir questo sale di corsa le scale: intanto Pierluigi e Annamaria son rientrati dallo studio. Mentre avanzano, due camicie piovono dall'alto e vengono a ca­dere in testa allo scrittore).

Annamaria                  - (tutta compresa di quanto ha udito) E' una scena veramente deliziosa... Lui poi si presenta così bene...

Pierluigi                      - Ma che è questa roba? (Guarda in alto: Giorgio è sparito' nella camera dov'era entrata Mila).

Annamaria                  - Piovono camicie, pigiama... (Dalla porta in alto vien scaraventata giù la valigia di Mila).

Pierluigi                      - E' una valigia!

Annamaria                  - La vedo. Il pigiama è di mio figlio.

Pierluigi                      - La valigia è di mia nipote!

Annamaria                  - Vostra nipote?

Pierluigi                      - Sì: ho una nipote. Era partita. Evidente­mente è tornata!

                                    - (Dall'alto si sente la voce dì Mila gridare: « Villan­zone! ì>).

Annamaria                  - Evidentemente!

Pierluigi                      - E ora come si fa? Quella non è al corrente di niente. (Giorgio ricompare, succhiandosi una mano: la porta dietro di lui vien chiusa a chiave; egli la picchia, fa per rientrare, sbraita).

Giorgio                       - Vipera! Iena! Non ve la voglio dar vinta!

Pierluigi                      - Ci saranno anche dei danni, materiali! Delle riparazioni da fare!

Annamaria                  - (al figlio) Giorgio!

Giorgio                       - (alla madre) C'è qui una pazza...

Annamaria                  - Lo so. Scendi subito. Non è una ragione per demolire la casa.

Giorgio                       - Vuole la camera mia...

Annamaria                  - Scendi!

Giorgio                       - Non cedo a una donna...

Annamaria                  - Io sono tua madre!

Giorgio                       - Io parlavo dell'invasata...

Annamaria                  - Obbedisci... (Giorgio scende succhian­doci sempre la mano).

Giorgio                       - Mi ha morso. Guarda che roba!

Annamaria                  - (a Pierluigi) Complimenti!

Giorgio                       - (a Pierluigi) Dice di essere vostra nipote...

Pierluigi                      - Come dice!?

Giorgio                       - Nono sono autorizzato a credere. Potrebbe anche essere un tipo ballerina.

Annamaria                  - Non ammetto questi conflitti. Ne que­ste insinuazioni.

Pierluigi                      - E' una ragazza che ha avuto la miglior educazione!

Giorgio                       - Spesi bene, quei soldi!

Annamaria                  - Giorgio! Quella signorina è ospite no­stra: e l'ospitalità è sacra.

Giorgio                       - Ma non quando giunge fino all'invasione degli alloggi, alla spoliazione dei residenti, al ferimento dei proprietari... (Si dà a raccogliere i propri indumenti).

Annamaria                  - Tolleranza. Tua madre ti insegna la tolleranza...

Pierluigi                      - (scattando a questa parola) Marchesa, questa parola in casa mia no. Non permetto...

Giorgio                       - In casa vostra? (Alla madre) Ma quello si crede in casa sua? Ma dove siamo, mamma?...

Annamaria                  - Abbi pazienza, caro. E' un grande scrit­tore. Un grandissimo scrittore.

Giorgio                       - E a me cosa...?

Annamaria                  - Giorgio! Ha scritto testé una scena de­liziosa. L'atmosfera di questa villa gli è propizia. Si ispira...

Pierluigi                      - Mi era propizia...

Annamaria                  - Non è vero. Fabriani, perché dite questo? Fino a ieri siete rimasto in ozio... Stamattina in­vece... Certe cose bisogna confessarle. E avete scritto delle pagine, poche, ma veramente squisite.

Giorgio                       - Mamma, io non m'intendo di letteratura...

Annamaria                  - Male!

Giorgio                       - Ma non mi pare che questo giustifichi!...

Annamaria                  - Tutto: l'arte è sacra, mio caro!

Giorgio                       - Anche la nipote dell'arte?

Mila                            - (aprendo la porta della camera e sporgendo la testa) La mia valigia!

Annamaria                  - Sii gentile: portale su la valigia!

Giorgio                       - No!!

Annamaria                  - Un po' di cavalleria...

Giorgio                       - Neanche un briciolo.

Annamaria                  - (guardando in alto) Non è neanche brutta.

Giorgio                       - E chi l'ha guardata?

Mila                            - (dall'alto) Zio, qui succedono cose dell'altro mondo.

Pierluigi                      - Esatto. Dell'altro mondo. (A Giorgio) Ai miei tempi, signorino, gli uomini si comportavano in ben altro modo con le donne. »

Giorgio                       - Può darsi: sono passati.

Pierluigi                      - Cedevano il posto a una donna sul tram.

Giorgio                       - Ma non credo che cedessero le camere, neanche ai vostri tempi!

Annamaria                  - Giorgio, basta.

Giorgio                       - Va bene.

Annamaria                  - La valigia la porterò su io    - (fa per pren­derla).

Giorgio                       - (a Pierluigi) Ai vostri tempi si lasciava che una donna portasse le valigie?...

Pierluigi                      - (esasperato). No! (toglie di mano brusca­mente la valigia ad Annamaria e la porta su di corsa per le scale).

Giorgio                       - Bravo!

Annamaria                  - (rapidamente, piano a Giorgio) Quella ragazza lassù piena di capricci, è stata allevata malis­simo, viziata: bisogna essere indulgenti con lei!

Giorgio                       - L'ho sculacciata!

Annamaria                  - Cosa?

Giorgio                       - Sì: che è questo romanticismo? E' giovane, come me! Ce le siamo date. Per il possesso del giaciglio. E' quello che è sempre successo tra gli uomini, fin dall'origine del mondo.

Annamaria                  - E tu l'hai picchiata?

Giorgio                       - Sì: ma lei mi ha morso. E allora...

Annamaria                  - Beh, ora bisogna fare la pace.

Giorgio                       - E' impossibile. Devi mandarla via. Io non coabito con quella indemoniata.

Annamaria                  - La faremo andar via al più presto, ma intanto... Io l'ho invitata. Non potevo immaginare che saresti giunto tu. Cerca di capire la mia situazione. Non è facile.

Giorgio                       - Dov'è un'altra camera?

Annamaria                  - Non so.

Giorgio                       - Come?

Annamaria                  - Cioè... Ce ne sono altre... Guarda: quel-, la che preferisci, caro. Va su, apri. Quella che ti piace di più, te la prendi.

Giorgio                       - (con i suoi indumenti in mano) E quando se ne va?

Annamaria                  - Ora sentiremo. Non so.

Giorgio                       - Presto. Del resto, io le renderò la vita tale in questa casa che se ne andrà prestissimo.

Annamaria                  - Ma perché vuoi essere così violento?

Giorgio                       - Perché mi fa male la mano, ecco! (e sale la scala: s'imbatte in Pierluigi che frattanto scende. Gior­gio entrerà in una camera accanto a quella di Mila).

Pierluigi                      - (od Annamaria) Vuole che io licenzi sua madre...

Annamaria                  - Chi?

Pierluigi                      - Mia nipote.

Annamaria                  - Licenziarmi?

Pierluigi                      - Crede che quel ragazzo sia il figlio della cuoca. Pare ch'egli le abbia detto: «Mia madre e questa casa sono una cosa sola »... Allora lei ha pensato... Fi­gurarsi l'indignazione! Il figlio della cuoca che alza le mani su di lei!

Annamaria                  - Ma voi le avete spiegato?...

Pierluigi                      - No!

Annamaria                  - E perché?

Pierluigi                      - Perché non sapevo da che parte rifarmi... Volevate che le dicessi la verità?... Ma quella non la teneva neanche un minuto per sé.

Annamaria                  - Ah, no?

Pierluigi                      - No, no. E inventare nuove bugie non so più: non me la sento. Vi giuro che non ho più idee in testa. Le ho lasciato credere che fosse il figlio della cuoca, quel che voleva. Non ho aperto bocca. (Giorgio ricom­pare in alto e va a bussare da Mila).

Annamaria                  - Giorgio!

Giorgio                       - Voglio il mio rasoio. Che se ne fa lei?

Mila                            - (di dentro) Chi è?

Giorgio                       - Il mio rasoio! (Dopo un istante la porta si socchiude: un braccio sporge e dà il rasoio a Giorgio. Egli esita un istante e poi dà un pizzicotto energico a quel braccio. Mila caccia uno strillo e ritira il braccio. Giorgio raccoglie il rasoio caduto). Ora siamo pari! Pa­gato il morso! (e si ritira in camera sua).

Pierluigi                      - E io devo rimaner immobile? Assistere mentre il figlio della cuoca pizzica mia nipote!!...

Annamaria                  - Non è il figlio della cuoca!

Pierluigi                      - E' peggio. Cioè, lei lo crede: quindi... Sentite, io me ne vado. Non ne posso più.

Annamaria                  - E dove andate?

Pierluigi                      - Non lo so.

Annamaria                  - Lo so io. Al «Borromee». Ad adoc­chiare le tre sconosciute minorenni.

Pierluigi                      - Come sapete che sono minorenni?

Annamaria                  - Oramai conosco i vostri gusti. Io intanto mi occuperò di metter pace tra i due ragazzi.

Pierluigi                      - Non ci riuscirete.

Annamaria                  - Chi lo sa?

Pierluigi                      - Auguri...

Annamaria                  - E ancora complimenti per quella scena...

Pierluigi                      - (lusingato) Dite la verità: in Italia, chi avrebbe saputo schizzare così in poche pagine la figura d'un tipo?...

Annamaria                  - Nessuno. Vi giuro, nessuno.

Pierluigi                      - Grazie. Ma è proprio vero: nessuno. E voi siete una donna che avrà dei difetti, magari gravi, ma in fatto d'arte avete molto intuito, molto senso cri­tico, moltissimo. (Esce. Annamaria si volta verso Colto e chiama).

Annamaria                  - Signorina! Signorina!

Mila                            - (apre la porta di camera propria e ricompare con un altro vestito) Che c'è?

Annamaria                  - Volete scendere per favore? Avrei da parlarvi.

Mila                            - (scendendo la scala) Non ho il piacere...

Annamaria                  - Sono la marchesa Del Torre... La madre di quel giovanotto che...

Mila                            - Come? Non è il figlio della...?

Annamaria                  - No: non è il figlio della... E' figlio mio.

Mila                            - Ne capisco ancora meno.

Annamaria                  - Sedete, vi prego... (In gran confidenza) Io avevo promesso di non dirlo. E' un segreto. Ma io sono la proprietaria di questa villa.

Mila                            - Come?

Annamaria                  - Sì. Lo zio fa credere d'essere lui. Per la pubblicità. E' un accordo che c'è tra noi due. Del resto, io ci vengo d'inverno, lui d'estate. Finora le cose erano andate avanti benissimo.

Mila                            - E lo zio paga l'affitto?

Annamaria                  - Dovrebbe pagarlo: non sempre lo paga. Ma siccome siamo vecchi amici...

Mila                            - Ah!

Annamaria                  - Ora è capitata la sorpresa, impreveduta, dell'arrivo di mio figlio in estate.

Mila                            - Durante il periodo dello zio.

Annamaria                  - Ecco: e siccome mio figlio non sa nulla di questo nostro patto, e magari non approverebbe che io... Capite, vero?

Mila                            - Già. (Riflettendo) Ma allora lo zio non gua­dagna tutto quello che io credevo?...

Annamaria                  - Molto meno, molto meno. Ricordatevelo, tutti guadagnano sempre molto meno di quello che si crede.

Mila                            - Per cui quel giovanotto di sopra...

Annamaria                  - Si ritiene defraudato da un'ospite, ca­rina, ma ospite. Questo giustifica tutto.

Mila                            - Quasi tutto. (Si alza) Va bene. Ma non è ca­valiere...

Annamaria                  - L'educazione moderna. (Dall'alto scende Giorgio: Mila lo squadra senza parlare. Pausa).

Mila                            - Potete riportare la vostra roba nella camera a fiori verdi. Ve la cedo.

Giorgio                       - Grazie. Tenetela. Non la voglio. (Annamaria silenziosamente si allontana).

Mila                            - C'è stato un equivoco. Io non sapevo.

Giorgio                       - Accetto le vostre scuse.

Mila                            - Che scuse? Non ho mai detto una cosa simile.

Giorgio                       - Mi pareva.

Mila                            - Ho detto solo che vi dò la camera. (Pausa). In caso, comunque, le scuse dovreste farmele voi, se ave­ste un briciolo di educazione.

Giorgio                       - Io?

Mila                            - Avete alzato le mani su una donna...

Giorgio                       - (alzando le spalle) Nessuno vi aveva mai picchiato sinora?

Mila                            - Nessuno: mai.

Giorgio                       - Malissimo. Era questo che vi mancava.

Mila                            - Insolente!

Giorgio                       - Ricominciamo?

Mila                            - Spero di avervi lasciato un segno indelebile sulla mano, almeno!

Giorgio                       - Doloroso.

Mila                            - Molto?

Giorgio                       - Discretamente.

Mila                            - Anche il mio, sul braccio.

Giorgio                       - Beh, per questo - ma solo per questo, in­tendiamoci - vi chiedo scusa.

Mila                            - Anch'io, per la mano, solo per la mano. Scu­sate.

Giorgio                       - Finito.

Mila                            - Credevo che foste il figlio della cuoca.

Giorgio                       - Come?

Mila                            - Sì: mi ero sbagliata. Ci si può sbagliare, no?

Giorgio                       - Non fino a questo punto.

Mela                            - Ah, perché voi siete infallibile? Avete una bella presunzione!

Giorgio                       - Eppure vi avevo detto che mia madre...

Mila                            - Non ci pensavo. Ero lontana...

Giorgio                       - Che avete detto? Che vi sì è rotto il dif­ferenziale?

Mila                            - Si, della mia macchina. Allora l'ho dovuta la­sciare a Domodossola.

Giorgio                       - I soliti guai che succedono alle donne quando vogliono guidare.

Mila                            - Ma sarebbe successo a chiunque!

Giorgio                       - Ne dubito... A me, no, di certo.

Mila                            - Sentite! Finitela!

Giorgio                       - Dove andavate?

Mila                            - In Francia.

Giorgio                       - A far che?

Mila                            - Che c'entrate voi con i fatti miei?

Giorgio                       - Avete ragione. Ma perché non avete preso con voi vostro zio? Era un viaggio che certamente gli avrebbe fatto piacere..

Mila                            - Oh, no. Lo zio deve stare tranquillo. Ha un programma da svolgere. Passerà qui tutta l'estate.

Giorgio                       - Ah, passerà qui tutta l'estate?

Mila                            - Certamente.

Giorgio                       - Ha un programma vasto, allora.

Mila                            - Abbastanza. La cosa vi contraria, forse?

Giorgio                       - M'incanta; ma non era prevista.

Mila                            - Ho come la sensazione che non abbiate molta simpatia per lo zio.

Giorgio                       - Come no? Moltissima.

Mila                            - E' un uomo d'oro. Ora poi che ho sapute, proprio da vostra madre, che fa dei sacrifici per me, senza nemmeno dirmelo, sento moltiplicato il mio af­fetto.

Giorgio                       - E che sacrifici fa per voi?

Mila                            - Inutile spiegarvi: ci vuole un'altra sensibilità per comprendere.

Giorgio                       - Credete che io non sappia comprendere?

Mila                            - Non ho molta fiducia. Del resto anch'io, fi­nora, non avevo molto riflettuto: pretendevo anzi, ac­cettavo... E che davo in cambio? Povero zio!

Giorgio                       - Ma, insomma, che ha? E' malato?

Mila                            - Oh, no. Ma forse io potrò fare qualcosa per lui.

Giorgio                       - Che cosa?

Mila                            - Un bel matrimonio, per esempio. Con qual­cuno molto ricco.

Giorgio                       - Ah, e lo fareste per lui?

Mila                            - Si capisce. Così non avrebbe più preoccupa­zioni. Comprerei questa villa.

Giorgio                       - Non la vendo.

Mila                            - Ne farei costruire un'altra, più bella, qui vicino.

Giorgio                       - Siete ammirevole nei vostri slanci di sa­crifizio. Magari prendereste un marito con vari milioni...

Mila                            - Già.

Giorgio                       - Che vi coprisse di gioielli. E tutto questo per lo zio!

Mila                            - Sicuro.

Giorgio                       - E l'avete di già sotto mano un candidato del genere ?

Mila                            - No: ma lo cercherò. Finora non avevo mai pensato a questo... E' venuta l'ora di mettere giudizio.

Giorgio                       - E qual è questa improvvisa rivelazione che vi ha aperto gli occhi?

Mila                            - Lo zio ha dei debiti.

Giorgio                       - Se non avete altro... Uno scrittore!

Mila                            - No, no: debiti seri. Anche qui, con vostra madre...

Giorgio                       - Come? La mamma gli ha prestato?...

Mila                            - No: ma l'affitto... E' in arretrato con l'affitto.

Giorgio                       - Ah, non è ospite? Paga?

Mila                            - Scusate: non ve lo dovevo dire.

Giorgio                       - Perché? Preferisco che sia così. Che paghi.

Mila                            - Dovrebbe pagare... Ma...

Giorgio                       - E la vostra macchina?... Mi pare un lusso che in queste condizioni...

Mila                            - Appunto: ecco i sacrifici che fa per me. Mi ha sempre accontentata in tutto, in ogni mio capriccio. (Rientra Annamaria).

Annamaria                  - Fatta la pace?

Giorgio                       - Tregua, per lo meno.

Annamaria                  - Basta metterci un po' di buona vo­lontà. (Annamaria siede: pausa tra i tre).

Mila                            - Marchesa...

Annamaria                  - Che c'è, figliola?

Mila                            - Quanto vi deve, con esattezza, lo zio?

Annamaria                  - Come? Ma niente...

Mila                            - Sì, sì: non abbiate scrupoli, ditemi.

Giorgio                       - Tanto, oramai so. La signorina mi ha detto...

Annamaria                  - Non potevate tenere la lingua a posto?

Mila                            - Scusatemi. La cosa mi ha talmente preoc­cupata.

Annamaria                  - Sono sciocchezze: non è il caso di par­larne.

Mila                            - Millecinquecento lire?

Annamaria                  - Come?

Mila                            - Marchesa, non posso sopportare l'idea che noi, qui, ci troviamo in una condizione di... come dire?, di inferiorità...

Giorgio                       - Lasciate stare.

Mila                            - Lo zio mi aveva dato, per il mio viaggio... E siccome ho rinunciato al viaggio...

Giorgio                       - Insomma, no. La mamma ed io non vo­gliamo niente.

Annamaria                  - Avete sentito?

Mila                            - Come volete, ma...

Giorgio                       - Basta: non voglio sentir parlare di da­naro... (Pausa).

Annamaria                  - A Milano, che vita fa vostro zio?

Mila                            - Non so: ci vediamo poco. Io vado spesso a ballare...

Giorgio                       - E lui non vi accompagna?

Mila                            - Non può. Ha da fare.

Giorgio                       - Ma non avete altri in famiglia?

Mila                            - No.

Giorgio                       - E chi vi sorveglia allora?

Mila                            - Ma io non ho nessun bisogno di essere sor­vegliata!

Giorgio                       - (con un sospiro) Lo vedi, mamma, che sistemi! ?

Annamaria                  - Lascia fare. Tu che c'entri?

Giorgio                       - Fabriani, per forza di cose, avrà di con­tinuo per casa attrici, ballerine...

Mila .                          - E con questo?

Giorgio                       - Non è un ambiente adatto per una signo­rina sola...

Annamaria                  - Giorgio, mi sembra che tu ficchi il naso nelle faccende altrui.

Giorgio                       - Ma ora la signorina si sposa. Già. Sposa un milionario.

Mila                            - E' ancora prematuro. Ho espresso solo un'in­tenzione.

Giorgio                       - L'intenzione è già molto. Anzi, è tutto.

Mila                            - Chissà se lo troverò...

Giorgio                       - Lo troverete. Avete tutto per trovarlo.

Annamaria                  - Certamente; siete carina.

Mila                            - Grazie.

Annamaria                  - Intelligente.

Giorgio                       - Mamma... Cambiamo discorso.

Annamaria                  - Sei stato tu a intavolare quest'argomento.

Giorgio                       - Non importa. Vado in giardino.

Annamaria                  - Sì, caro.

Mila                            - Anch'io. E' permesso?

Giorgio                       - Per carità. Basta che uno vada da una parte. L'altro dall'altra.

Annamaria                  - Andate. Andate. Dopo vi raggiungo anch'io... (Annamaria va al telefono, forma un numero) «Borromee»?... Volete vedere se c'è Fabriani?... Pier­luigi Fabriani... Sì, per favore... Grazie... (Pausa). Pronti... Sono io... La sconosciuta... Come ho fatto a sapere che eravate lì? Ho telefonato a casa vostra. M'han detto che eravate al «Borromee». Naturale! A cercare me? E come avete fatto a sapere che sono al «Borromee »? Può darsi che non sia vero. Ci son tanti alberghi a Stresa. Sì: ho pensato molto a voi. Grazie. Ma non ed credo. Direte così a tutte le donne... Ma via, andiamo. Non sa­pete nemmeno come sono... Potrei essere un mostro. Una balena. No: vi garantisco che dalla voce non si può ca­pire... La mia vita? Molto controllata Eh, no: niente tempo libero... Un'indagine per scoprirmi? Non ci riu­scirete. No, no. Ditemi: che cosa vi interessa di me? Chissà quante altre ammiratrici intelligenti avrete! Sono lusingata... Sentite: ecco, sì. Una cosa voglio da voi... Che stasera scriviate una novella, per me, tutta per me... Dove la protagonista si chiami Marcella. Sì... E che la descri­viate come vi immaginate. Promesso? Ma voglio che sta­sera sia finita. Lo farete? Bravo. Come? Birbante... No, no. (Dal fondo riappare Giorgio) Vi lascio. C'è gente. Chi? Mio padre... (Riappende bruscamente).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

È la stessa scena. Alcuni giorni dopo. Un pomeriggio luminoso.

(La scena è vuota: squilla il telefono. Dallo studio compare, a precipizio, Pierluigi, mentre dal fondo entra in scena Tito Valenti).

Pierluigi                      - (al telefono) Pronti. Pronti... (si vede che il suo viso cambia espressione: l'ansia gioiosa cede il posto a un'irritazione) Ma come? Per quella fattura dell'anno scorso? E che volete che sappia io?... Aspetta­te... (Parlando verso destra) Marchesa....

Annamaria                  - (entrando) Che c'è? Che c'è?

Pierluigi                      - Non so: mi parlano d'una vecchia fat­tura... Deve essere una di quelle che ho dato a voi...

Annamaria                  - Scusate... (Prende lei il microfono) Chi parla? Ah, sì. Pagata. Come? Naturale... Intanto c'era un errore nella somma: provate a controllare e vedrete. Già! E poi ho detratto il 50 % perché ve l'abbiamo ver­sato in pubblicità. In una novella abbiamo citato la vo­stra ditta. Precisamente... Oh, a questo proposito, devo avvertirvi che c'è la Ferrari e Mariani che si è offerta di farci la fornitura gratis se noi la citiamo in una com­media. Ah, quand'è così... Però desidereremmo un im­pegno scritto. Per regolarità. Grazie. (Riappende) Tutto a posto.

Pierluigi                      - Ma ti sembra giusto, Tito, che io debba fare la pubblicità a questo modo?

Annamaria                  - Se in una commedia, in una novella, do­vete citare il nome d'una radio, che gusto c'è ad inven­tarla? Mettete: « Radiomarelli ». E' più vero. Ci tenete tanto ad essere vero...

Pierluigi                      - Ma guadagnarci anche sopra...

Annamaria                  - Non temete: sono gli altri che ci gua­dagnano... Permettete? Ho giù il giardiniere: devo an­dare a sorvegliare un istante... (Esce dal fondo).

Tito                             - E' straordinaria, quella donna. Veramente straordinaria!

Pierluigi                      - Per quello, «ì. E non insisto nemmeno perché se ne vada proprio per questo. In una settimana mi ha sistemato la casa. Ha fatto miracoli. Io avevo un disordine amministrativo che tu del resto conosci.

Tito                             - E come?

Pierluigi                      - Scomparso. Credo di non aver neanche un debito: sai, di quei conti sospesi... Niente. Quell'acci­dente di donna sai che ha fatto? E' riuscita a farsi dare un anticipo da Ghedini, per me, s'intende. A me non voleva più dare un soldo. A lei li ha mollati. E con quelli ha regolato tutte le mie pendenze.

Tito                             - Insomma, una fortuna che ti è piovuta in casa!

Pierluigi                      - Sì: non c'è che dire. Ma invadente, tiran­nica... La commedia, per esempio... Non mi dà fiato. Ogni mattina, orologio alla mano, pretende che io scriva...

Tito                             - Ma intanto il prim'atto l'hai finito.

Pierluigi                      - Sì, lo ammetto. Forse, senza di lei... Ma è un pochino asfissiante, non potere far più quel che si vuole.

Tito                             - Cioè, niente. Perché quello che volevi far tu è quello: niente.

Pierluigi                      - (in confidenza) Non più. Tutto è mu­tato.

Tito                             - Perché? Che c'è? Silenzio: ho capito. Conosco oramai a memoria quel tuo sguardo luminoso. L'avevi per la Trabalza, per la Giovannini, per la Marieschi... Tu sei innamorato.

Pierluigi                      - Come Jaufrè Rudel.

Tito                             - Jaufrè Rudel?

Pierluigi                      - Si: egli amava una principessa lontana che non aveva mai visto. Io amo, pazzamente, una donna che non ho mai visto, che non conosco, che non so chi sia.

Tito                             - Ma va... Questi romanticismi, in te, non li con­cepisco...

Pierluigi                      - Eppure è così. Siediti. E ascolta.

Tito                             - ET una cosa lunga? Di solito quando tu mi pigli a confidente...

Pierluigi                      - Non ti sei stupito, tornando, di aver tro­vato il prim'atto finito? E che atto: di' la verità!

Tito                             - Bello: non c'è che dire, bello!

Pierluigi                      - In una settimana! E in più avevo fatto anche due novelle... Che ne dici?

Tito                             - E' tornato il momento buono per te!

Pierluigi                      - Lei! Tutto merito suo!

Tito                             - Ma chi è?

Pierluigi                      - Se ti dico che non lo so. E' una scono­sciuta che mi telefona. Non so altro.

Tito                             - Mi pare un po' poco.

Pierluigi                      - Pochissimo: ma oramai è tutto. Mi tele­fona alle ore più curiose. E mi obbliga intanto a rimaner qui, perché non voglio perdere la sua telefonata. Quindi niente vagabondaggi. Al telefono mi dice delle cose che nessuna donna mai ha saputo dirmi.

Tito                             - Bada che una volta hanno punito uno perché al telefono... Non si può, sai».

Pierluigi                      - Idiota! Dolcezze... Cose intelligenti.

Tito                             - Ah, va bene.

Pierluigi                      - E pretende, ogni volta, che io, per tele­fono, le legga quello che ho iscritto in giornata.

Tito                             - E tu obbedisci?

Pierluigi                      - Naturale. Le leggo le ultime pagine. Beh, sentissi che acutezza di osservazioni, che critiche pro­fonde!...

Tito                             - Ho capito: dice che son tutti capolavori!

Pierluigi                      - Come lo sai? No: una volta mi ha fatto rifare una scena. Mi ci sono arrabbiato sul momento, ma aveva ragione lei.

Tito                             - E non hai la minima idea chi sia questa ninfa Egeria?

Pierluigi                      - Ho cercato, tentato... Per ora niente. C’è anche la marchesa che indaga per me...

Tito                             - Invecchi, Pierluigi!

Pierluigi                      - Un accidente! Lascia che la peschi...

Tito                             - Ma intanto ti accontenti, ci ricami su con la fantasia, e che hai? Un pugno di mosche. Senilità.

Pierluigi                      - Non capirai mai niente. Questa, mio caro, è poesia. E' anima. Lo so che lei fa acrobazie per riuscire a darmi un salutino. Entra in una pasticceria... Da un farmacista. Forma il mio numero. Dice: «Penso a voi... ». E basta. E sa che è una cosa assurda: io po­trei essere suo fratello...

Tito                             - Suo padre, va. Suo padre, se non nonno.

Pierluigi                      - Finiscila. Non mi danno neanche quarant'anni.

Tito                             - Ma te li cali ogni giorno?

Pierluigi                      - Sta' zitto. Ieri m'ha detto che mi telefo­nava dalla libreria... Mi ci son precipitato.

Tito                             - Ebbene?

Pierluigi                      - Nessuno aveva telefonato di lì così?

Tito                             - Mentisce allora?

Pierluigi                      - Ora non so che darei per scoprirla. (Squil­la il telefono. Pierluigi si precipita) Pronti... (Piano a Tito): E' lei... (Al telefono) Sì. Grazie. Non hai potuto?

Tito                             - Ah, vi date del tu?

Pierluigi                      - (facendo cenno a Tito di tacere) Capisco... Ma senti, non potresti... Dimmi almeno il colore del tuo vestito... Verde? Grazie... Verde chiaro. (Commenta con cenni a Tito) Borsetta verde, naturalmente... Senti, ma io vorrei almeno scriverti... Fermo in posta, se non vuoi dirmi dove... In una lettera uno può dire quello che per telefono non può... Sì: ma ritelefona... (Riappende). Difficile che una donna resista a questa tentazione: le lettere di un grande scrittore. E allora la pesco. Sorveglio la posta.

Tito                             - Lei ci manda un'amica a ritirare: una came­riera. E tu non peschi che un granchio!

Pierluigi                      - Vedremo!

Tito                             - E Grazia?

Pierluigi                      - (alzando le spalle) Era un'oca. Non mi comprendeva. Piccola donna venale. L'ho lasciata per­dere.

Tito                             - (alzandosi) Ho capito. Ti ha piantato.

Pierluigi                      - Che vuoi che conti? Miserie femminili. Banalità. (Dal fondo entra Giorgio).

Giorgio                       - (a Pierluigi) Buon giorno maestro. (Gli porge una rosa) Per voi.

Pierluigi                      - Per me?

Giorgio                       - Avevo visto che sulla scrivania il vaso era vuoto, e allora...

Pierluigi                      - (prendendo la rosa) Ah, grazie!

Giorgio                       - Prego... (A Tito) Sentito che atto ha scritto Fabriani? Fantastico...

Pierluigi                      - Non esageriamo... Sì: è ben fatto. Ma non bisogna esagerare.

Giorgio                       - Dico la verità.

Pierluigi                      - (di colpo) Ma, scusate, voi non lo cono­scete...

Giorgio                       - No.

Pierluigi                      - E allora?

Giorgio                       - Me n'ha parlato la mamma, diffusamente. E anche vostra nipote. Me l'hanno riferito. Mi son reso conto. Caro Valenti, quest'anno avete - come si dice in gergo teatrale? il pezzo!

Tito                             - Così sia. Perché coi tempi che corrono, col pubblico che a teatro non ci vuol venire, neanche se recito io...

Giorgio                       - Questa volta verrà. Vedrete. (A Pierluigi) Avete veduto Mila, per caso, maestro?

Pierluigi                      - Dev'essere uscita. Mi pare che dovesse comperare qualche cosa.

Giorgio                       - (con improvvisa fretta) Arrivederci, mae­stro. Valenti, a più tardi  (e ritorna via).

Trro                             - E quello ti dà del maestro tutto il giorno.

Pierluigi                      - E’ un bravo ragazzo. In principio non andavamo molto d'accordo. Poi s'è messo a leggere, qual­che libro mio... E s'è innamorato del mio stile. Ha ca­pito chi sono io. E' cambiato da così a così. Ora è pieno di deferenza, dà ossequio, di stima. Potenza dell'arte, mio caro. Potenza dell'ingegno.

Tito                             - Non c'è che dire, maestro!

Pierluigi                      - Che hai?

Tito                             - Niente, niente. Beh, io esco: vado a fare due passi. Tu?

Pierluigi                      - No: ho alcune cose da sbrigare qui.

Tito                             - Non ti stacchi dal telefono! Sta' attento, mio caro. Rammollisci, sai?

Pierluigi                      - Finiscila.

Tito                             - No, no. Rammollisci.

Pierluigi                      - Non si direbbe, da quel che scrivo!

Tito                             - C'è almeno quella risorsa lì. Scrivi. Meno male. Auguri, allora... (Esce. Pierluigi passeggia. Si guarda allo specchio. Entra Matilde, la cameriera gio­vane).

Pierluigi                      - Matilde! La verità. L'assoluta verità. Quanti anni mi dai?

Matilde                       - Oh, signore...

Pierluigi                      - Maestro. Per te fa lo stesso, no? Invece di signore, di' « maestro ».

Matilde                       - Perché? Il signore insegna?

Pierluigi                      - Non puoi capire. Beh! quanti anni. Su! (Dal fondo è comparsa Annamaria: Pierluigi non la vede, ma Matilde sì).

Matilde                       - Cin... (Annamaria le fa cenno di calare ed essa si corregge). Circa... qua... (Annamaria le fa cenno di calare ancora). Quasi... Trentotto...

Pierluigi                      - Eh, no. Son di più, purtroppo. Son quasi quaranta... (Occhi al cielo di Annamaria).

Matilde                       - Non si direbbe, maestro.

Pierluigi                      - Sei una brava figliola. Metti questa rosa nel mio studio, nel vaso sulla scrivania.

Matilde                       -Subito, maestro. (Matilde esce da sinistra, mentre Annamaria avanza e chiede, accennando alla rosa).

Annamaria                  - Un'ammiratrice?

Pierluigi                      - Un ammiratore! Vostro figlio...

Annamaria                  - Ah!

Pierluigi                      - Intelligente, quel ragazzo. Farà strada. Molto intelligente. (Matilde ripassa ed esce. Appena sparita, Pierluigi fa sedere Annamaria vicino a sé) Dun­que, nessuna novità? Come andiamo...

Annamaria                  - Bene.

Pierluigi                      - Davvero?

Annamaria                  - Giorgio s'è persuaso: partiremo do­mani... o dopodomani...

Pierluigi                      - Ma chi parlava di questo? Che c'entra?

Annamaria                  - Abbiamo abusato anche troppo. Ora è venuto il momento... Giorgio ed io andiamo a fare un viaggio in Germania...

Pierluigi                      - Ma che è questa fretta? Perché?

Annamaria                  - I tre giorni son diventati otto, nove...

Pierluigi                      - Se vi dico di restare, di trattenervi. Tanto più che io e Giorgio siamo diventati amici...

Annamaria                  - Appunto: è la ragione che mi spinge ad affrettare la partenza.

Pierluigi                      - Non capisco.

Annamaria                  - Fidatevi idi me.

Pierluigi                      - Ma io, intanto, volevo sapere l'esito delle vostre indagini sulla misteriosa telefonatrice...

Annamaria                  - Come? Ci pensate ancora?

Pierluigi                      - Che domande! Naturale che ci penso...

Annamaria                  - Io, se volete che vi dica la verità, vi trovo un po' ingenuo in questo interessamento per una scervellata che...

Pierluigi                      - "Voi non potete sapere.

Annamaria                  - Ah, io non posso?...

Pierluigi                      - No: quella scervellata, come la chiamate voi, è una donna unica.

Annamaria                  - Oh, guarda, ditemi, ditemi: m'interessa.

Pierluigi                      - Intanto, ha un modo così intelligente, giovanile, fresco d'interessarsi a me che non mi era mai ca­pitato.

Annamaria                  - Giovanile?

Pierluigi                      - Oh, sì: è una ragazza di ventidue, ventitré anni al massimo.

Annamaria                  - Troppa differenza d'età, allora.

Pierluigi                      - Ma io ho il cuore di vent'anni. E' il cuore quello che conta.

Annamaria                  - E se anche lei, l'ignota, avesse un cuore di vent'anni, ma solo il cuore?...

Pierluigi                      - Impossibile. In queste cose io non mi sbaglio. I suoi pensieri sono pieni di primavera. E poi nessuna di quelle frasi banali con la solita ammirazione idiota per lo scrittore celebre. No, no, vuole che io le legga quello che scrivo, dice che son pagine immortali, ma questo non conta, sono inezie. Io per lei sono l'uomo.

Annamaria                  - Forse vi ha visto solo da lontano...

Pierluigi                      - Macché: mi vede di continuo, non so dove! E' questo il curioso... Oggi mi ha fatto i complimenti sulla mia cravatta a palline. Questa. Per cui me l'aveva vista. Ebbene - detto qui tra noi - vi confesserò che forse mi fanno più piacere i complimenti sulla mia ele­ganza che quelli sulla mia arte. Debolezze, vero?

Annamaria                  - Ma no, Pierluigi. Capisco. E' molto ma­schile questo.

Pierluigi                      - Davvero?

Annamaria                  - Ma io credevo che voi riceveste chissà quante telefonate idi ammiratrici... Una più, una meno.

Pierluigi                      - Sì: molte. Ma non bisogna poi esagerare. Qualcuna. Ma si capisce subito che è gente che non conta. Di solito son aspiranti scrittrici che poi ti vogliono sot­toporre il loro manoscritto. Questa invece... E poi dove mettete la sfida, l'irritazione? E’ una specie di sotutto, son dappertutto, e io non riesco a individuarla!

Annamaria                  - Già.

Pierluigi                      - Dunque avete parlato con la terza? Le altre due, oramai, scartate.

Annamaria                  - Ho parlato oggi con la terza.

Pierluigi                      - Era vestita di verde? '

Annamaria                  - No. Perché?

Pierluigi                      - Allora non è lei. Lei, oggi, era vestita di verde. Me l'ha confessato.

Annamaria                  - Può aver mentito: per darvi una falsa traccia.

Pierluigi                      - Giusto. Ebbene?

Annamaria                  - Ho fatto cadere il discorso, come per caso, su di voi: vi ammira moltissimo.

Pierluigi                      - Veramente? Ma mi ammira... come?

Annamaria                  - Dice che i vostri libri la incantano.

Pierluigi                      - Ma di me, personalmente, che dice?

Annamaria                  - Niente. Poi mi ha confessato d'essere fidanzata. Sposa a ottobre.

Pierluigi                      - Allora non è lei.

Annamaria                  - Un ufficiale di marina del quale è pazza.

Pierluigi                      - Non è lei.

Annamaria                  - Così ho concluso anch'io.

Pierluigi                      - Ma allora chi può essere? Chi?

Annamaria                  - Non tormentatevi. Un giorno si deci­derà... Le donne un giorno o l'altro si decidono sempre e allora verrà lei, siederà qui, su questa poltrona, vicino a voi e vi guarderà come vi guardo io, ora...

Pierluigi                      - Credete?

Annamaria                  - Ma ne sono certa. Bisogna saper aspet­tare. (Dal fondo entra Mila, un po' affannata come se avesse corso).

Mila                            - Oh, marchesa... (Le porge dei fiori) Per voi...

Annamaria                  - Grazie, cara

Mila                            - Ho pensato che...

Annamaria                  - Sono bellissimi.

Pierluigi                      - (alzandosi) Oggi è la giornata dei fiori... Prima Giorgio. Ora tu.

Mila                            - A proposito, dov'è Giorgio?

Pierluigi                      - E' uscito: credo cercasse di te. Forse aveva qualcosa da dirti.

Annamaria                  - Qualcosa di urgente, forse.

Mila                            - Allora gli vado incontro. Arrivederci. (Esce).

Pierluigi                      - Non sono più tanto violenti l'uno contro l'altro i due ragazzi, vero? Almeno così mi pare.

Annamaria                  - No, non sono più tanto violenti.

Pierluigi                      - Meglio così. Che ne direste di « Uno schiaffo a mezzanotte »?

Annamaria                  - (sobbalzando) A chi?

Pierluigi                      - Come titolo. Per la commedia che sto scri­vendo.

Annamaria                  - E' un titolo energico. Ma io non posso pronunciarmi... Oramai non mi leggete più nulla. Leg­gete tutto all'ignota.

Pierluigi                      - E' vero. Ma vi sono riconoscente lo stesso perché voi mi avete obbligato a lavorare. Siete stata la messa in marcia.

Annamaria                  - Ma lo schiaffo va bene. L'ignota cosa ne dice? Lo ha approvato?

Pierluigi                      - Sì: anzi, è lei che ha voluto che aggiun­gessi «a mezzanotte ». Ci tiene.

Annamaria                  - E allora...

Pierluigi                      - Sentite, Annamaria, promettetemi una cosa: rimanete qui almeno fin che ho finito la commedia. Sacrificatevi.

Annamaria                  - Non so se Giorgio... Credo che oramai ci tenga molto a questo viaggio... Che sia impaziente...

Pierluigi                      - Cercherò di persuaderlo io.

Annamaria                  - Ecco. Cercate voi... Chissà! (Annamaria è andata verso la veranda e guarda fuori. Si volta verso Pierluigi) Valenti ci chiama. Vogliamo andare...

Pierluigi                      - Sì, sì, vengo subito. Ditegli che vengo subito.

Annamaria                  - Oggi non telefona più.

Pierluigi                      - Credete?

Annamaria                  - Sono pronta a scommettere.

Pierluigi                      - Non si sa mai: quando una donna ci si mette, trova cento pretesti.

Annamaria                  - Va bene. (Annamaria esce. Pierluigi suona il campanello. Compare Nicola).

Pierluigi                      - Le carte. Il gran gioco.

Nicola                         - Sissignore. (Va a prendere le carte e co­mincia a mescolarle. Poi le dà a tagliare a Pierluigi) Il signore desidera sapere?

Pierluigi                      - Un nome. Possibilmente in indirizzo. E magari anche un'età.

Nicola                         - (disponendo le carte) Non si tratta di un uomo?

Pierluigi                      - No: non si tratta di un uomo.

Nicola                         - E' un po' complessa la richiesta.

Pierluigi                      - Rifletti bene: pago anche il doppio. E se indovini c'è poi un premio per te.

Nicola                         - (osservando le carte) Vedo intanto che è una donna... Una donna che sta molto al telefono.

Pierluigi                      - Dove lo vedi?

Nicola                         - Sei di fiori: è il telefono. E' vicino alla dama di fiori. Questo con la barba siete voi.

Pierluigi                      - Avanti.

Nicola                         - (contando 'le carte) «A», «b», «e», «d», «e», «f», «g»... «igi». Il nome comincia per «gi». (Dal fondo entrano Mila e Giorgio: Pierluigi intento alle carte non li vede. Essi sono un po' esitanti e guar­dinghi).

Pierluigi                      - Avanti. La seconda lettera.

Nicola                         - «A», «b», «e», «d», «e»... E' «e».

Pierluigi                      - Avanti.

Nicola                         - « A », « b », « e », « d », « e »... « 1 ». E' « 1 ».

Pierluigi                      - Gel...? Gelosa? Ma io voglio il nome. Che vuoi che m'importi se è gelosa?

Mila                            - Male, zio.

Pierluigi                      - (voltandosi, seccato d'essere sorpreso) Che fai qui? Che fate?

Mila                            - Se è gelosa vuol dire che è innamorata. (Ni­cola si è alzato ed ha interrotto il gioco).

Pierluigi                      - Sciocchezze. Stavo divertendomi a chie­dere... Beh, non ha importanza. Nicola, va' pure. (Nicola esce lasciando le carte comperano sul tavolino).

Giorgio                       - Scusate se abbiamo disturbato...

Pierluigi                      - Non si entra nelle stanze in punta di piedi. Non è prudente. Non si sa mai.

Mila                            - Va bene. D'ora innanzi busseremo.

Pierluigi                      - (a Giorgio) A proposito, è vero che voi volete andare in Germania d'urgenza? Perché? Nessuno vi aspetta. Poi, di questa stagione, la Germania non ve la consiglio.

Giorgio                       - (cascando dalle nuvole) Io, in Germania?

Pierluigi                      - Con la mamma.

Giorgio                       - E' la prima volta che sento questo.

Mila                            - No, no: per ora rimane qui.

Pierluigi                      - Grazie. Sono molto soddisfatto che accet­tiate di rimanere qui ancora un po'... Anch'io intendo rimanere appunto...

Giorgio                       - Ma finché volete. Più rimanete, più farete piacere alla mamma e a me.

Pierluigi                      - Grazie.

Giorgio                       - Dovete considerare la villa come vostra.

Pierluigi                      - Ah, sì?

Mila                            - Anzi, avevamo pensato, poco fa, il marchese ed io, al modo di liberarci dal peso dell'affitto.

Pierluigi                      - Di liberarmi...?

Mila                            - Tu devi pagare l'affitto.

Pierluigi                      - Infatti. Non è caro, ma insomma...

Mila                            - D'ora innanzi non lo pagherai più: grazie a me.

Pierluigi                      - Non lo pagherò più. Lo credo.

Mila                            - Io sposo Giorgio: e così tu puoi star qui li­beramente fin che vuoi.

Pierluigi                      - (scattando) Che cosa?

Mila                            - Sposo Giorgio. E' evidente.

Pierluigi                      - Come, evidente?

Mila                            - Ma sì: lui m'ha picchiata appena «n'ha vista, io l'ho morso. Era più che logico che finisse così. Troppa intimità, subito. Le mani addosso. Ci sposiamo.

Pierluigi                      - Ah, no, miei cari. Neanche per sogno.

Mila                            - Come?

Pierluigi                      - Ti giuro che se finora hai fatto quello che hai voluto tu, sempre, su questo argomento farai quello che voglio io.

Mila                            - Come, non posso scegliermi il marito?

Pierluigi                      - Ti potrai scegliere chi vuoi. Chi vuoi. Meno questo signore. Capito?

Giorgio                       - Come? Che vorrebbe dire? Perché «meno me »?

Pierluigi                      - Insomma, io non devo render conto a nessuno, ma è così. E allora, giovanotto, se volete partire per la Germania, fate pure senza complimenti. Più presto andrete meglio sarà.

Mila                            - Ma io lo seguo.

 

Pierluigi                      - Tu non ti muovi. E finiscila! Insomma, basta. Non più una parola su questo argomento. Ci man­cherebbe altro! (Entra nello studio con furore).

Giorgio                       - Ma che ha?

Mila                            - Io non capisco. E' sempre stato così remis­sivo, anche su cose importanti... E oggi tutt'a un tratto su un argomento che non lo riguarda.

Giorgio                       - E' proprio contro di me che ce l'ha.

Mila                            - L'hai trattato male in principio.

Giorgio                       - Ma dopo c'era stata conciliazione: ho letto i suoi libri. L'ho elogiato. Gli ho perfino portato una rosa!

Mila                            - E' incredibile. L'anno scorso aveva acconsen­tito che sposassi...

Giorgio                       - Chi?

Mila                            - Niente: un mio capriccio!

Giorgio                       - Sentiamo: chi era questo capriccio?

Mila                            - Un aviatore.

Giorgio                       - Eri innamorata?

Mila                            - Sì. No.

Giorgio                       - E perché non l’hai sposato?

Mila                            - Non so. Non mi piaceva abbastanza... Era così un'idea strampalata... Ma lo zio non s'era opposto. Non capisco perché ora...

Giorgio                       - Ohi era l'aviatore? Dov'è?

Mila                            - Lascia stare l'aviatore. Appena lo zio ha detto di sì, ho capito che non lo amavo.

Giorgio                       - Allora è una fortuna che per me abbia detto di no!

Mila                            - Ma non ne capisco la ragione... Sei perfino marchese: sei ricco.

Giorgio                       - Ricco, no.

Mila                            - Più dell'aviatore: quello non aveva un soldo! Me li autorizza tutti, meno te... Oh Dio!

Giorgio                       - Che hai?

Mila                            - Che lo zio abbia conosciuto tua madre molti anni fa?

Giorgio                       - Non dire idiozie! Per tua regola mia ma­dre è una santa.

Mila                            - E poi non sarebbe una ragione: io sono solo nipote di Pierluigi Fabriani.

Giorgio                       - Ma che romanzi ti inetti a fabbricare ora?

Mila                            - Ma, insomma, ci sarà pure un motivo perché lo zio, che è sempre stato così docile, in mano mia, tutt'a un tratto si metta a fare il tiranno! Non l'hai visto? Sembrava il re di picche!

Giorgio                       - Senza contare che mi ha offeso! Dopo tutto, che si crede? Se è un grande scrittore, questo non lo autorizza... Sicuro: offeso. E mi ha offeso in casa mia. L'ospitalità la accetta: e poi non vuole che io ti sposi!

Mila                            - Gli farò cambiar idea, io, non aver paura.

Giorgio                       - No: ora vado a chiedergli spiegazioni! (Si avvia verso lo studio).

Mila                            - Così Io imiti anche di più! (Rientra Anna­maria: guarda i due, vede che sono imbarazzati e in­quieti).

Annamaria                  - Che c'è?

Giorgio                       - .Ci sono delle novità: delle grandi novità.

Annamaria                  - Spero di poterle sapere anch'io, no?

Giorgio                       - Sicuro. Ho fatto l'onore di chiedere a Pier­luigi Fabriani la mano di sua nipote.

Annamaria                  - Di già?

Giorgio                       - Come, di già? Te l'immaginavi?

Annamaria                  - Sì: ma credevo che avreste aspettato ancora un po'...

Mila                            - Non c'era ragione.

Giorgio                       - Allora tu approvi, vero, mamma?

Annamaria                  - Se è oramai una cosa fatta!

Giorgio                       - Ma approvi?

Annamaria -                - ' Direi di sì: non vedo ostacoli positivi a questo progetto.

Giorgio                       - (a Mila) Ecco: la mamma non mette nes­sun ostacolo. E invece, figurati, l'ostacolo lo mette lo scrittore. Là, il genio!

Annamaria                  - Come? Come?

Mila                            - Sì, marchesa: si è opposto. E con una vio­lenza incredibile!

Annamaria                  - E perché?

Mila                            - Non lo ha detto.

Annamaria                  - E non glielo avete domandato?

Giorgio                       - Sicuro. Muto e sdegnoso. Si è ritirato.

Mila                            - Come se il suo rifiuto significasse poi qual­cosa!

Annamaria                  - Ragazzi, niente pazzie. Prima di tutto, sale in testa. Fabriani è un grand'uomo.

Giorgio                       - Non basta. E poi il libro suo che ho letto non oli piace. E' noioso.

Mila .                          - Se avevi detto...

Giorgio                       - L'ho detto per fargli piacere. Anche «mae­stro » lo chiamavo per fargli piacere! Noiosissimo...

Annamaria                  - Zitto, figliolo. E' un grand'uomo e i grand'uomini hanno le loro piccole manie. Ora inter­vengo io e vedrete che metto in chiaro tutto.

Giorgio                       - Sei un amore!

Mila                            - Marchesa, sento già di amarvi...

Annamaria                  - Mila, andate a chiamarlo, per favore...

Mila                            - A un patto...

Annamaria                  - Come?

Mila                            - Che mi diate del tu.

Annamaria                  - E allora va' a chiamare il cerbero. Tu, Giorgio, siediti lì. E non aprir bocca se non quando te l'ordino io. D'accordo?

Giorgio                       - Va bene. (Mila intanto è entrata nello star dio di Pierluigi). Ma capirai che è assurdo...

Annamaria                  - Silenzio. (Pierluigi entra con Mila).

Pierluigi                      - Mi avete fatto chiamare, marchesa?

Annamaria                  - Sì: volete sedere? (Esso intanto si è seduta dov'era prima Nicola davanti alle carte disposte sul tavolino).

Pierluigi                      - Preferirei che la gioventù si allontanasse...

Annamaria                  - No. E' troppo interessata.

Pierluigi                      - Appunto...

Annamaria                  - Ho sentito che questi due ragazzi si erano messi in mente, oggi, tanto per fare una cosa di­versa dagli altri giorni, di fidanzarsi. E' esatto?

Mila                            - Esatto.

Giorgio                       - Esatto.

Annamaria                  - E che hanno comunicato la cosa a voi. Esatto?

Pierluigi                      - Esatto. E io mi sono opposto in modo perentorio a questa idea insensata.

Annamaria                  - Vorreste dirmene la ragione?

Pierluigi                      - Così: non c'è ragione., Non voglio. Non ammetto. E basta.

Annamaria                  - Pierluigi...

Pierluigi                      - Non mi chiamate Pierluigi, vi prego...

Annamaria                  - Maestro!

Pierluigi                      - Finitela!

Annamaria                  - Non è passibile che voi assumiate un contegno di una tale intransigenza senza fondate ragioni. Vi dirò che anch'io ho i miei dubbi sulla buona riuscita di quest'unione... (e intanto strizza l’occhio ai due giovani). Vostra nipote non è l'ideale che avrei vagheggiato per mio figlio. Poi, impulsivi tutt'e due, capaci di fra­cassarsi chissà quanta cristalleria nei primi sei mesi di matrimonio! Inoltre, questa decisione subitanea...

Pierluigi                      - Lo vedete? Anche voi...

Annamaria                  - Ma che mi fossi opposta io che ho molto buon senso l'avrei potuto capire. Voi, no.

Pierluigi                      - Eppure, marchesa, se c'è una persona al mondo che dovrebbe comprendermi siete voi, proprio

Annamaria                  - Forse perché Giorgio non ha ancora una posizione?...

Pierluigi                      - Ma che posizione? Io, per questo, darò a mia nipote una dote...

Mila                            - Zio, so che tu non puoi. Che sei in difficoltà... Pierluigi    - Chi t'ha detto una cosa simile? Neanche per idea. C'era un po' di disordine nelle mie cose. Ora non c'è più neanche quello.

Annamaria                  - Grazie a me.

Pierluigi                      - Ma questo non basta perché io aderisca a questo matrimonio impossibile.

Annamaria                  - E allora esigo che vi spieghiate.

Pierluigi                      - (scattando) Voi due andatevene, per favore.

Giorgio                       - No: io rimango.

Annamaria                  - Allora, vattene almeno tu, Mila.

Mila                            - Subito. (Mila si alza e si avvia).

Giorgio                       - (alzandosi a sua volta). Vado anch'io.

Annamaria                  - Ecco. Vi richiameremo subito. Non vi allontanate. (I due giovani sono scomparsi. Annamaria giocherella con le carte da gioco che sono sul tavolino mentre Pierluigi non sa nascondere il proprio nervo­sismo).

Pierluigi                      - Benissimo.

Annamaria                  - Ora parlerete, spero. Su, fuori quel che avete di così grave contro mio figlio.

Pierluigi                      - (alzando le spalle) Contro di lui non ho niente.

Annamaria                  - E allora?...

Pierluigi                      - Io sono al di sopra dei soliti pregiudizi, d'accordo, sono lontano dalle meschinità borghesi, sono un uomo superiore, e voi lo sapete...

Annamaria                  - Avanti: saltate gli elogi personali.

Pierluigi                      - Che vuol dire? La mia modestia è più che nota.

Annamaria                  - Famosa.

Pierluigi                      - Ma capirete che ci son delle cose sulle non si può chiudere un occhio.

Annamaria                  - E cioè?

Pierluigi                      - Ma, insomma, dov'è finita tutta la vostra intelligenza? Marchesa, vostro figlio, beato lui, non co­nosce la professione che voi esercitate. Ma io la conosco.

Annamaria                  - Ah!

Pierluigi                      - E’ una professione tollerata ma non auto­rizzata. E io, per quanto spregiudicato, non posso accon­sentire che mia nipote sposi un figlio di tale professione. Ecco. Mi spiace d'essere stato duro, poco cortese con voi che vi siete prodigata - lo riconosco - a mio beneficio, ma bisogna pur che ammettiate che noi viviamo in mezzo ai nostri simili e non possiamo totalmente infischiarcene delle opinioni altrui.

Annamaria                  - Così intransigente?

Pierluigi                      - Sì. La cosa è troppo... E' troppo... clan­destina ed al tempo stesso risaputa perché io... Voi stessa, ieri, mi avete confessato che i vostri clienti vi chiama­vano l'amica di tutti...

Annamaria                  - E di nessuno. Vi faccio notare che c'è anche il nessuno.

Pierluigi                      - Che vuol dire? So che voi avete solo funzioni direttive. Ma, secondo un punto di vista, è peggio.

Annamaria                  - Come, solo funzioni direttive? Io lavoro da sola, personalmente. Il miei clienti vogliono me, in persona.

Pierluigi                      - Sentite, marchesa, il vostro cinismo è tale che io mi ci perdo.

Annamaria                  - E la vostra ipocrisia mi sbalordisce. Ma come? Prendete tali arie con me, quando voi stesso...

Pierluigi                      - Che c'entra? Io sono un uomo. E poi da anni...

Annamaria                  - Bugiardo! Ma se vi ho visto io, con i miei occhi...

Pierluigi                      - (sobbalzando) Visto voi, con i vostri occhi!?...

Annamaria                  - Sicuro: con Nicola, il vostro servitore.

Pierluigi                      - Basta. Non una parola di più.

Annamaria                  - E queste? (indica le carte). Che cosa sono queste?

Pierluigi                      - (alzando le spalle) Sciocchezze. Chiedevo delle informazioni sulla mia sconosciuta. Non sarà un delitto domandare un po' per gioco e un po' per dispe­razione...

Annamaria                  - E Nicola vi ha risposto?

Pierluigi                      - Almeno fosse una cosa segreta, che nes­suno sapesse... (Annamaria dispone le carte sul tavolino).

Annamaria                  - No: non adopero la maschera, io!

Pierluigi                      - Alla vostra età!

Annamaria                  - Oggi la sconosciuta vi ha telefonato tre

volte.

Pierluigi                      - Come lo sapete?

Annamaria                  - Questo, scommetto che Nicola non ve l'aveva saputo dire!

Pierluigi                      - No.

Annamaria                  - E vi ha detto: bella la vostra cravatta a palline...

Pierluigi                      - Brava! Questo ve l'avevo già detto io...

Annamaria                  - Ma - ha soggiunto la sconosciuta - preferirei che fosse a rigoni.

Pierluigi                      - Come fate?

Annamaria                  - Questo non me l'avevate detto!

Pierluigi                      - E' vero: ha detto a rigoni!

Annamaria                  - Cominciate ad avere un po' di fiducia in me, vero? Sapeste le difficoltà che deve superare ogni volta, quella creatura, per telefonarvi!

Pierluigi                      - (interessato quasi suo malgrado) Quali difficoltà?

Annamaria                  - (sempre consultando le carte) Deve ogni volta uscire di casa. Badare che nessuno la sorprenda.

Pierluigi                      - Ma chi è?

Annamaria                  - Una giovane...

Pierluigi                      - La conoscerò? Finirò con lo scoprire chi è?

Annamaria                  - Difficile. Direi quasi impossibile.

Pierluigi                      - Ma è una bella donna?

Annamaria                  - Bellissima. Un vero splendore. Intelligente...

Pierluigi                      - Questo lo so.

Annamaria                  - Vi vuol molto bene, moltissimo... Malgrado tutto. Oggi vi ha detto... Leggo queste parole: sei l'uomo che avevo sempre sognato.

Pierluigi                      - E' sbalorditivo!

Annamaria                  - Avete ancora tanta ostilità contro la mia professione?

Pierluigi                      - Che c'entra? Sapete fare le carte... Se vi foste messa a fare la Cartomante avreste fatto meglio, credete a me!

Annamaria                  - Ma che cosa credete? Io faccio la car­tomante!

Pierluigi                      - Come?

Annamaria                  - Questa è la mia professione: gabinetto di consultazioni del futuro.

Pierluigi                      - Voi!?...

Annamaria                  - Sicuro. Perché? Che cosa credevate?...

Pierluigi                      - Ma allora...

Annamaria                  - Fabriani, che cosa avevate immaginato?

Pierluigi                      - Che idiota; scusatemi. Avanti, avanti al­lora... Leggete...

Annamaria                  - Mio figlio non deve saperlo... Capirete...

Pierluigi                      - Ma naturale. Cara marchesa! Pregiudizi... Dunque, l'ignota?...

Annamaria                  - Vedo che voi acconsentite al matrimo­nio dei due ragazzi...

Pierluigi                      - Sicuro. Ma non è questo, non è questo... Leggete: voglio la mia sconosciuta... (Squilla il telefono. Pierluigi balza in piedi).

Annamaria                  - Inutile. Non è lei.

Pierluigi                      - Come lo sapete?

Annamaria                  - C'è nelle carte. Non è lei.

Pierluigi                      - Scommettiamo.

Annamaria                  - Quel che volete. Non può essere lei. (Il telefono suona ancora).

Pierluigi                      - (al telefono) Pronti... (Ad Annamaria) E' lei.

Annamaria                  - (con un sobbalzo) Cosa? Impossibile?

Pierluigi                      - (ascolta, poi dice solo) Si.. sì...

Annamaria                  - (gli si avvicina) Bugiardo!

Pierluigi                      - (deponendo il ricevitore) Avete ragione. Non è lei. Credete proprio che non si svelerà mai?

Annamaria                  - Non credo: ci tiene troppo ad essere ancora amata... Ad essere bella giovane... L'ideale, in­somma! Ma vi sarà sempre vicina lo stesso...

Pierluigi                      - Anche voi, spero.

Annamaria                  - Sì, Pierluigi, anch'io. In un altro modo...

Pierluigi                      - S'intende.

Annamaria                  - Ma vi sarò vicina anch'io. Come suo­cera, se non altro...

FINE