L’amico del diavolo

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L’AMICO DEL DIAVOLO

commedia in tre atti di Peppino De Filippo

Personaggi:

BARTOLOMEO

ROSA, sua moglie

ELISA, loro figlia

VITTORIO, loro nipote

ORTENSIA, sorella di Bartolomeo

NUNZIA, vecchia cameriera

DON CARLO, nobile benestante

GIOVANNI, garzone di Bartolomeo

VELINA, cameriera di Bartolomeo

IL SIGNOR MILONE, uomo di fiducia

FORTUNATO, farmacista

EGEONE, nipote di Milone

Scene:

La stanza di soggiorno in casa Saraco. Arredamento semplice e di gusto provinciale. Nel centro, in fondo, una larga porta che immette nel giardino. In fondo a sinistra, addossato alla parete, un mobile dispensa a due sportelli con a lato una scaletta. In fondo, alla porta, bidone della spazzatura con coperchio.

ATTO PRIMO

È mattino. Sono in scena Velina e Giovanni.

VELINA - (in ginocchio, sta lustrando il pavimento mentre Giovanni spolvera e rassetta i mobili) Mi sento la schiena spezzata.

GIOVANNI - Lustra bene, se no quello te la spezza sul serio la schiena. Fai piano, piano e non strofinare forte. (imitando il gesto di chi pulisce delicatamente) Così… leggero, leggero… altrimenti dice che si consuma il pavimento.

VELINA - Meglio la galera che questa vita.

GIOVANNI - Un letto sicuro quando la schiena è a pezzi fa sempre piacere trovarlo. Credo nel destino. Forse non potevo sperare meglio dalla vita. Mi poteva capitare di peggio, e allora…

VELINA - Peggio di questo? (levandosi in piedi per riposarsi) Tu hai la mentalità dello schiavo. E quando il padrone ti picchia, non mi fai pena… ma pietà.

GIOVANNI - Mi picchia perché mi lascio picchiare. Vorresti che mettessi le mani addosso ad un vecchio, malato per giunta?

VELINA - Io resto qui perché sono affezionata alla padrona che mi fa tanta pena. Proprio per lei ci resto. Se non fosse così, credi che sarei tanto stupida da sopportare la fame? Ieri sera mi saltA in testa di dirgli che non mi sentivo bene, così, per andarmene a letto un po’ prima… mi ci mandò, ma digiuna. “Mangia poco”, mi disse, “si tratta di indisposizione viscerale” e mi diede per cena un uovo sodo e una pera cotta rimasta in dispensa da una settimana. Meno male che la signora mi rinforzò con mezza tavoletta di cioccolato e qualche biscotto. Lei tiene sempre da parte qualche cosetta in caso di emergenza. (indicando la dispensa) E pensare che qui dentro, tiene nascosto ogni ben di Dio: burro, formaggi, salame…

GIOVANNI - …salsicce secche, uova, caciotte salate. C’è anche quella scatola di dolci canditi che lo zio prete mandò in regalo alla signora per la sua festa, ti ricordi? Quella bella scatola. Ci sono dentro: pere, prugne, ciliegie…

VELINA - …cedro…

GIOVANNI - …quanto mi piace il cedro. Ne vorrei proprio assaggiare un poco. Me ne avesse dato una volta un pezzettino così: mai!

VELINA - (indicando la dispensa) Apriamo la dispensa con lo scalpello, facciamo questa follia, Giovanni.

GIOVANNI - Sei pazza? Ci ha messo il segnale d’allarme che corrisponde in camera sua vicino al letto. C’è la campanella. Drin!… drin!… drin!… E suona forte!

VELINA - Tagliamo i fili elettrici e poi li rileghiamo.

GIOVANNI - Sono messi nel muro e la dispensa è incassata nel muro.

VELINA - Vergogna.

GIOVANNI - Comunque, io gli debbo riconoscenza. Mi ha preso in casa con lui che ero piccino. Senza genitori, dove sarei finito? Me lo ha detto, sai?

VELINA - Che cosa?

GIOVANNI - Che sono suo figlio. Ieri mi disse: “Giovanni, devi andare da Filippone, il massaro, a dirgli di venire a prendere il concime; ma vacci a piedi, lascia riposare l’asino”

VELINA - E ti sei spinto a piedi fino da Filippone? Circa tre chilometri in salita?

GIOVANNI - Lui ha creduto bene così, e disse: “Solo tu che mi capisci come un figlio puoi sapere quanto mi sia cara quella povera bestia”. Così mi rivelò il fatto. (con tono romantico) Sono figlio di una americana che aveva una villa a Sorrento, vicino Napoli, dove lui era andato a liquidare tutti i suoi affari prima di trasferirsi definitivamente da queste parti.

VELINA - Americana? Ma come? L’altra volta ti disse che sei figlio di una torinese?!

GIOVANNI - Una torinese figlia di americani? Io mi sento nel sangue qualche cosa di straniero. Mi prese con sé…

VELINA - Perché ti guardò negli occhi e capì che eri un fesso. Questa volta aveva bisogno di mandare qualcuno da Filippone senza dargli niente, lasciando riposare l’asino, che per quello che gli dà da mangiare non ha neppure la forza di ragliare. Non ti accorgi che ti fa credere di essere suo figlio ogni volta che ha bisogno di farti fare una fatica particolare?

GIOVANNI - Io ti dico di no. Io dico che… sarà cattivo, severo… ma gli debbo riconoscenza.

VELINA - A piacer tuo. Che sfruttatore. Cosa credi? Che lui non lo sappia che il signor Carlo corteggia sua moglie? Sta zitto, lo lascia fare perché sa che quello spesso le manda regali in omaggio all’amicizia.

GIOVANNI - Addirittura?

VELINA - Caro mio, ci sono uomini che a voler scorgere nella loro coscienza qualche cosa di pulito è come volerla cercare in un pozzo nero e col binocolo all’incontrario. (ha finito di pulire) Adesso mi ci vorrebbe una bistecca.

GIOVANNI - E il padrone te la darà. Non di manzo, però, di formica. (ride)

ELISA - (di dentro, dalla camera di Bartolomeo) No, no, no!

BARTOLOMEO - (di dentro) E io ti dico: sì, sì, sì!

ELISA - (c.s) E io ti rispondo: no, non lo sposo.

ROSA - (di dentro anche essa, dalla stanza di Bartolomeo) Elisa, finiamola.

GIOVANNI - (origliando all’uscio) Si ricomincia con la questione del nipote del signor Milone.

VELINA - Si comincia presto. Sta fresca la signorina: se quello se lo è messo in mente, glielo farà sposare.

ELISA - (entrando in scena e parlando con tono forte verso l’interno) Io sono ubbidiente fino a un certo punto, ma in fatto di matrimonio, me lo voglio scegliere io il marito che fa per me. (breve pausa) Hai fatto male a credere che io potessi sposare una persona che non conosco.

BARTOLOMEO - (d.d) La conoscerai, la conoscerai. Intanto, lasciami in pace.

ELISA - Ti lascio in pace, sta tranquillo, ma anch’io voglio essere lasciata in pace. La “vita”, “l’avvenire”, “la sicurezza del denaro”, me ne infischio di tutte queste cose. Il denaro non serve a nulla se non c’è l’amore, ecco! Gliel’ho detto. Ci voleva. E se l’è meritato. Io non sono la stupida che lui crede. (esce rapida)

VELINA - E ha ragione!

GIOVANNI - C’è poco da discutere, con un tipo come la signorina.

VELINA - Si capisce, perché quella, ce l’ha la persona a cui vuole bene.

GIOVANNI - (vedendo entrare la signora Rosa) Ben levata, signora.

VELINA - Buongiorno, signora.

ROSA - Buongiorno.

VELINA - Storie? È vero?

ROSA - Ci mancava, adesso, anche la venuta di Vittorio. È già sveglio?

VELINA - Dorme come un ghiro. Era stanco del viaggio, da Milano fino a qui con l’automobile, è piuttosto lunga la strada.

GIOVANNI - Signora, vado a pulire il pollaio. Tra poco il padrone farà il suo solito giro di ispezione: la vigna, l’orto, le fontane. (fa per andare, poi ritorna ed abbassando la voce) Avete visto quelle povere galline? Quando le comprammo erano grasse, grasse, ora sono diventate magre e spennate. Mi sembrano sette passerotti… per forza, mangiano poco. Poi si lamenta che le uova sono piccole. C’è il gallo, Giacomino, il padrone lo chiama così per ricordare Casanova, dice, beh, Casanova fa pena. Ieri stava sul bastone, triste triste, mogio mogio. Gli si avvicinò una gallina, la rossa, che è la più civetta e cominciò a fargli qualche moina… ma lui si scansò e fece spallucce come per dire: tu che vuoi da me? Chi me la dà la forza? Povero Giacomino, quello morirà. (esce per il fondo)

VELINA - Sempre storie, dalla mattina alla sera. Chiedetegli di farvi andare un po’ dal vostro zio prete in Romagna, assieme alla signorina. Io vi accompagnerei e ci rifaremmo un po’ sul mangiare tutti e tre. Ci rimetteremmo in salute.

ROSA - Glielo chiederò, ma non vuole.

VELINA - Ne avrebbe piacere, lo zio. Ve lo scrive sempre. Vi ha fatto da tutore, vi vuole bene come a una figlia.

ROSA - Non ricordo perché sono uscita dalla mia stanza e sono venuta qua. Ah! Ortensia! Vuole un tubetto di aspirina.

VELINA - Come sta?

ROSA - Ha ancora la febbre.

VELINA - Per me si tratta di febbre reumatica. Quella camera è umida. Il soffitto è tutto da riparare. Ma il padrone dice che non è vero.

GIOVANNI - (di dentro) Salute don Carlo!…

CARLO - (di dentro) Grazie, e salute anche a te, Giovanni.

GIOVANNI - (c.s) Grazie, don Carlo, grazie.

ROSA - (trasalendo alla voce di don Carlo) Don Carlo. Che viene a fare a quest’ora del mattino? Vado di là: non voglio vederlo.

VELINA - Non siate sgarbata con lui. È nobile, ricco, ricco assai, e voi… siete molto più giovane del padrone. Signora, questo sì che ne farebbe di voi la sua regina, ed io so che in fondo, come uomo, non vi dispiace.

ROSA - Tu sai troppe cose, Velina, meno quella più importante per una donna maritata: la fedeltà.

VELINA - Fedele ad un uomo che vi fa desiderare anche l’aria?

ROSA - Non lo fa apposta. Crede di fare il bene della sua famiglia.

CARLO - (dalla porta di fondo) Ben levata, signora Rosa.

ROSA - Anche a voi, don Carlo.

CARLO - Grazie. Buongiorno Velina.

VELINA - (cerimoniosa) Buongiorno. Vi volete accomodare?

CARLO - Se la signora Rosa lo permette.

ROSA - Perché no? Accomodatevi. Mi dispiace di non essere in ordine… (alludendo al suo abbigliamento)

CARLO - Poco male. Voi siete sempre bella. E vostro marito?

ROSA - È di là. Lo faccio chiamare.

CARLO - Lasciate stare. Non posso trattenermi che pochi minuti.

VELINA - Volete una tazzina di caffè? Un po’ ce n’è rimasto… (fa per andare, ma ritorna) Non è possibile! Il padrone si è ripresa la chiave del lucchetto del rubinetto dell’acqua in cucina.

CARLO - Ha messo il lucchetto al rubinetto dell’acqua in cucina?

VELINA - …a quello del lavatoio, a quello dello sciacquatoio…

ROSA - (interrompendola) In verità si consumava troppa acqua, e cara come la fanno pagare… la casa è grande, e ce ne vuole…

VELINA - Già: è come dice la signora. Siccome il padrone tiene molto all’economia della casa…

CARLO - Lo so, la sanno tutti. Ero venuto per dirgli che in giornata mandi Giovanni alla mia tenuta. Gli darò una coppia di fagiani della mia riserva: ho già avvisato il fattore.

ROSA - Grazie.

VELINA - I fagiani sono i tacchini?

ROSA - Se sono fagiani non possono essere tacchini. Il fagiano è una cosa e il tacchino un’altra.

CARLO - Sai come si cucinano i fagiani, Velina?

VELINA - No, perché di fagiani non ne abbiamo mai cucinati. Fagioli sì, spesso, ma fagiani…

CARLO - Prima di tutto, lasciarli ben frollare.

VELINA - Che significa frollare?

CARLO - Farli ammorbidire all’aria. (entra Giovanni dal fondo e fa per andare verso la stanza di Bartolomeo, ma vedendo don Carlo resta ad ascoltarlo) Poi, spennarli…

GIOVANNI - (sottovoce, a Velina) Che cosa?

VELINA - (sottovoce) I fagiani! Ci sta spiegando come si cucina il fagiano.

CARLO - Poi lo si pulisce dalle interiora… lo si mette intero nel tegame e una buona dose di condimento ne completa la preparazione: burro, olio, sale, rosmarino…

GIOVANNI - Senza aglio?

CARLO - A chi piace… lo mette.

GIOVANNI - (facendo l’acquolina in bocca, con tono di voce debolissimo) Io ce lo metterei.

CARLO - Bravo, metticelo!

GIOVANNI - Va bene…

CARLO - Poi si fa rosolare bene, bene da tutte le parti e lo si lascia cuocere a fuoco lento, prima coperto, poi scoperto a fuoco ancora più lento. Man mano che cuoce si aggiunge nel tegame ancora un po’ di olio e burro. Il burro si deve spalmare sul corpo della bestia in modo che penetri nella pelle, che è poi la parte più gustosa a mangiarsi. Per assicurarsi della giusta cottura è facilissimo: si fa la prova della forchetta; la si infila con delicatezza nella parte più carnosa, petto o coscia: se ritirandola esce senza difficoltà il fagiano è cotto. Come lo si serve? Tagliato a pezzi, come il pollo spargendovi sopra il sugo, un pizzico di pepe, e il piatto è pronto. (Giovanni, che aveva seguito con estrema attenzione il discorso di don Carlo, a questo punto cade in terra svenuto)

VELINA - (soccorrendolo) Mio Dio, questo è svenuto. (a don Carlo) Ha ragione, poverino. Glielo avete cucinato sotto il naso, quel fagiano.

CARLO - Su, Giovanni, su, su!

BARTOLOMEO - (di dentro) Giovanni!

ROSA - (andando all’uscio e parlando verso l’interno) Viene, viene, Bartolomeo.

CARLO - Su, su, Giovanni!

GIOVANNI - (riavendosi. Si alza barcollando sostenuto da Velina) Eh…?

ROSA - Ti chiama il padrone.

GIOVANNI - (con fiato mozzo) Vado… vado… eccomi, padrone… stavo cucinando… stavo lavorando… come è saporito, il fagiano. Non l’avevo mai mangiato. (esce barcollando)

VELINA - Permette, vado in cucina a pulire i cardi per la minestra di oggi. (esce)

CARLO - (a Rosa) Vado in città per alcuni affari: sarò di ritorno dopodomani. Vi dispiace?

ROSA - Voi siete padrone di restare, di partire, di fare quello che meglio vi garba.

CARLO - Se posso mi tratterrò meno. Non riesco a stare lontano da voi.

ROSA - Don Carlo, parliamoci chiaro una volta per sempre. Voi siete un simpatico amico…

CARLO - …lo so che vi sono simpatico. Sono simpatico a tutti: è un dono.

ROSA - Mio marito vi riceve in casa sua come amico e tale intendo che restiate anche per me. Ma se volete insidiare e offendere la mia onestà di donna maritata e di madre, vi dico di cambiare metodo se volete restare nostro amico.

CARLO - Vi preoccupate troppo del vostro stato, Rosa, perché voi non siete una moglie ma una schiava. Tanto meno siete una madre perché se vi sentiste veramente tale pensereste al bene di vostra figlia che certamente non è quello di continuare a tenerla in questo luogo dove manca tutto: benessere materiale e morale, felicità e amore. Parliamoci chiaro, Rosa. Dov’è il benessere? Nell’eterno vostro desiderio di possedere un vestito nuovo, un paio di scarpe alla moda o un gioiello? La felicità. E dove sta? Questa nasce soprattutto dall’amore… e dove sta l’amore in questa casa? Rosa? Un uomo che ha venticinque anni più di voi! Forse che l’amore sta nel vedere la vostra famiglia rintanata tra queste muraglie dove non si conosce altro che la ingordigia di accumulare il denaro? Ma il mondo è così bello, Rosa, che è un delitto starsene in disparte senza sentire la necessità di conoscerlo. Pensateci bene, Rosa… Avete troppi pregiudizi: la casa, la famiglia, lo zio prete, la figlia…

ROSA - Il mio pregiudizio, come voi lo definite, è uno solo, don Carlo: la fedeltà. Bartolomeo è un uomo che mi vuole bene, a modo suo ma mi vuole bene. È la preoccupazione dell’avvenire che, a volte, lo rende insopportabile. È il pensiero di non poterci dare da vivere la ragione principale del suo attaccamento al denaro, e questo se da una parte può sembrare un difetto dall’altra è una dimostrazione di bene. Comunque, come che sia, come la pensi, egli è mio marito, il padre della mia bambina, e va rispettato. (con più risolutezza) Voi, poi fate sfoggio di una cert’aria spavalda, come se la sola spavalderia fosse sufficiente a conquistare il cuore di una donna.

CARLO - Se si tratta di mettere ai vostri piedi qualche altra cosa oltre la spavalderia, ditemelo: per voi sono sempre pronto a tutto.

ROSA - Lasciatemi stare, vi prego. Lasciatemi stare.

CARLO - Aspetterò. So che mi volete un po’ di bene. (azione di Rosa) Lasciatemi continuare, vi prego… e non vi perderò.

ROSA - Dirò a mio marito di non farvi più venire in casa mia. Avete mai cercato di immaginare cosa accadrebbe se Bartolomeo venisse a sapere che siete così sfacciato con me?

CARLO - Gli direi sinceramente quello che ho nel mio cuore… forse, allora, chissà… le cose potrebbero andare diversamente.

ROSA - (colpita) Che cosa volete farmi credere?

BARTOLOMEO - (entrando) Giovanni? Dove sta quel bastardo fesso?

CARLO - Omaggi, amico.

BARTOLOMEO - Vi saluto. Come mai a quest’ora di mattina?

CARLO - Vado in città per affari, e ci resterò due giorni.

BARTOLOMEO - Sono un po’ preoccupato per Ortensia.

CARLO - Vostra sorella? Come mai è tornata qui? È già da un pezzo…

BARTOLOMEO - …da un mesetto. Ogni tanto i miei parenti sono presi dai rimorsi, si ricordano che io esisto e mi danno l’onore della loro confidenza. La verità è che a Sorrento, dove viveva in una villetta lasciatale da mio padre, non aveva più nessun interesse, per tanti affari sballati…

ROSA - Una donna sola, vedova, dopo tanti stupidi dissensi, ha voluto riavvicinarsi a te, suo fratello maggiore…

CARLO - Un gesto affettuoso. E perché siete preoccupato per lei?

BARTOLOMEO - È a letto da una settimana con un febbrone.

ROSA - È una sciocchezza. Soffre di tanto in tanto di febbri reumatiche.

BARTOLOMEO - Eh, ma questa volta… ieri sera, quando sono andato a trovarla nella sua camera ho avuto l’impressione che stesse in coma.

ROSA - Esagerato…

CARLO - Addirittura! Chiamatele un medico…

BARTOLOMEO - Non lo vuole, non lo vuole…

ROSA - Nessuno lo ha chiamato…

BARTOLOMEO - (per stornare l’argomento) Questa sera, dunque, niente briscola?

CARLO - Mi dispiace. Perderete il solito guadagno.

BARTOLOMEO - Siete voi che mi fate vincere.

CARLO - Vorreste far credere che io vi faccio vincere di proposito?

BARTOLOMEO - Non lo so. Se fosse così, sareste un bello stupido e io una persona furba a lasciarvi giocare con me.

CARLO - La verità è che io non so giocare, e perdo.

BARTOLOMEO - Male. Il danaro, per nessuna ragione al mondo va trattato male. È stato creato perché con esso si possa comprare quello che occorre per la vita. (chiama) Giovanni?

ROSA - Vado a chiamarlo io.

BARTOLOMEO - Ci vado io. Ancora non gli ho dato la razione di cibo per le galline e Giacomino avrà appetito.

NUNZIA - (entrando e tendendo in una mano un cucchiaio e nell’altra un flacone di medicinale) Buongiorno, don Carlo.

CARLO - Buongiorno, Nunzia.

NUNZIA - (a Bartolomeo) Prendi. Te ne dimentichi sempre. Ti sei rimesso in piedi da appena un mese.

BARTOLOMEO - Non è che me ne dimentico, ma sulla boccetta c’è scritto: da due a tre cucchiai al giorno.

NUNZIA - Sempre testardo, da piccino, sempre così.

ROSA - Mi pare che Nunzia abbia ragione: se questa medicina ti ha fatto bene nella proporzione che ti ha ordinato il medico, perché vuoi ridurla?

BARTOLOMEO - Perché io so quello che faccio, Rosa. Se lì c’è scritto da due a tre cucchiai, vuol dire che anche due fanno bene, non c’è nessuna ragione per sciuparne uno.

NUNZIA - (portandogli il cucchiaio nel quale ha messo la medicina) Prendi solo questo. Ti ha fatto tanto bene. (le cade in terra la medicina che aveva versato nel cucchiaio)

BARTOLOMEO - (con furia) Mi hai sciupato la medicina e mi hai sporcato il pavimento! Che campi a fare, che mi sei rimasta a fare fra i piedi? Che mi sei rimasta a fare?

NUNZIA - Mi è tremata la mano.

CARLO - Se l’aveste presa, sarebbe stato meglio.

ROSA - (a Nunzia) Vai a prendere uno straccio e pulisci.

BARTOLOMEO - (forte) Muoviti! (Nunzia esce) Rimbambita. (ricordandosi) Ah, il mangiare per le galline. (da un mazzo di chiavi sceglie quella della dispensa che apre lasciando mezzo sportello chiuso)

CARLO - È una bella comodità tenere le galline; mangiano molto, vero?

BARTOLOMEO - Ma io le sto abituando ad un pasto meno voluminoso ma più nutriente. (entra Nunzia con uno straccio e si mette a pulire il pavimento) Non strofinare forte… Mio nipote si è alzato? (prepara il cibo per i polli misurando il granturco)

ROSA - Non credo.

CARLO - Avete un ospite? (Nunzia esce)

ROSA - È il figlio di un fratello di Bartolomeo.

CARLO - Quello che vive a Milano? È direttore di una banca? Un pezzo grosso si dice.

BARTOLOMEO - Tanto grosso che a Milano non può restarci più.

ROSA - A proposito, che ti ha scritto nella lettera che tuo nipote ti ha portato? Si può sapere?

BARTOLOMEO - Cose che mi aspettavo. Poi ti dirò. Padre e figlio si sono messi d’accordo per guastare la pace della mia famiglia. L’uno facendo il dongiovanni con… tu sai con chi. L’altro… Non basta Ortensia a darmi preoccupazioni con la sua età, la sua salute sempre traballante… è anziana, non ha mezzi, mi dite… e va bene. (chiude la dispensa dalla quale ha preso un barattolo) Rosa, tieni compagnia al signor Carlo intanto che vado di là.

CARLO - (indicando il barattolo) Cosa è?

BARTOLOMEO - Il mangiare per le galline.

CARLO - Così poco?

BARTOLOMEO - Quanto basta perché stiano bene. È granoturco tenuto a bagno in vitamina “B” liquida. È una mia ricetta… Permettete?

CARLO - Vengo con voi. È tardi e non posso trattenermi. Signora Rosa, a presto. Conservatevi sempre così, bella come siete.

BARTOLOMEO - Vero che è bella mia moglie? Non mi date risposta per quella vostra tenuta? (rientra Nunzia)

CARLO - Ne parleremo al mio ritorno, visto che vi sta tanto a cuore. Ci metteremo d’accordo.

BARTOLOMEO - Se vi fa piacere. (escono parlando)

NUNZIA - Hai visto, Rosa? Non ha voluto prendere la medicina.

ROSA - (indifferente) Che vuoi che ti dica o faccia?

NUNZIA - (con rabbia) Qui tutti se ne lavano le mani; quando poi si mette a letto malato sono io che devo restare a penare. E si capisce, me lo sono cresciuto come se fosse stato figlio mio.

ROSA - (c.s) Che ci posso fare? Tu prova a cambiargli la testa.

NUNZIA - Tu, tu non hai più la testa a posto. Ecco quello che ti dico.

ROSA - Cosa?

NUNZIA - Dico che si capisce benissimo che lo hai sposato perché tuo zio prete volle così.

ROSA - Ti sbagli. L’ho sposato perché mi andava di sposarlo. Questo però non significa che mi deve trattare come una serva.

NUNZIA - E che ti manca?

ROSA - (apatica) Lascia perdere. Nunzia, io sto zitta per il quieto vivere. Vai un po’ a vedere quel che si spende nelle case degli altri: dai Delilla, dai Veronesi, dai Tofanelli a fianco. E come vestono, e come mangiano.

NUNZIA - Ha tante spese, tante preoccupazioni. Adesso vuole comprarsi una grossa tenuta a Montaldini, di proprietà di don Carlo. Sì, è vero, potrebbe essere più largo di manica, ma bisogna compatirlo, per lui il denaro…

ROSA - Sarà la sua morte.

NUNZIA - Lui dice che se ha qualche cosa se la è guadagnata da sé ed ha il diritto di farne quello che vuole.

ROSA - Il guaio è che non ne fa nulla.

NUNZIA - Se lo conserva.

ROSA - Ma ha anche una moglie, una famiglia, un decoro da rispettare. Sai perché ieri sera piangevo? Perché non vuol fare l’abito nuovo ad Elisa. Elisa ne ha proprio bisogno e lui dice che non ha denaro. Ed anche io avrei bisogno di tante cose… ma lui pensa a tappare il calamaio perché l’inchiostro non evapori. Ferma l’orologio perché non si consumi la molla, legge poco, legge poco ti dico, per non sciupare gli occhiali. Si è messo in mente, ora, di far sposare Elisa al nipote del signor Milone che non abbiamo nemmeno l’onore di conoscere, e da tempo si è perduta la pace. Certamente c’è sotto l’interesse per qualche affare di denaro. Ed Elisa non ne vuole sapere.

NUNZIA - Perché ha sempre avuto il “pensierino” per Vittorio, suo cugino, diciamo la verità. Adesso, quello è capitato qui come un fulmine, figuriamoci…

ROSA - L’avrà, il pensierino o non l’avrà, il fatto è che certe imposizioni non mi piacciono. Non ha voluto darmi i soldi del viaggio perché potessi andare dallo zio prete che è stato ammalato, e non si sarebbe trattato di molto… A Vittorio, suo nipote carnale, ieri sera ha rifiutato la cena. “Sei arrivato all’improvviso”, disse, “e non c’è niente in casa”. E la dispensa è piena di roba che va a male e lui la mette fuori a milligrammi. Ecco perché ho pianto ieri sera, per tutte queste cose e per tante e tante altre, capisci? Potremmo stare in grazia di Dio, sereni e tranquilli e invidiati, non compatiti. (piange) Non abbiamo un’amicizia, sempre chiusi in casa. Da “questi” non andiamo se no restiamo obbligati, da “questi altri” nemmeno perché ci costringerebbero a spendere soldi che non abbiamo. Ma che vita è questa? Un esilio, forse?

NUNZIA - Non piangere, via. Bartolomeo fa così quando lo si prende di punta. Ti vuole bene, a tutti vuole bene…

ROSA - È al denaro che vuole più bene che a tutti. Il denaro è la sua vera moglie, la sua vera figlia. Quel maledetto denaro, maledetto come il diavolo, quello è il suo vero amico.

VELINA - (entrando) Signora, il signorino Vittorio si è svegliato.

ROSA - Beh?

VELINA - Ma mi ha chiesto per colazione, pane, latte, burro e marmellata. “A casa mia, sono abituato così”, ha detto, “presto”. Quello è arrivato ieri sera e non sa nulla di come vanno le cose qui.

NUNZIA - Si capisce, perché si tratterebbe di una spesa fuori del previsto…

VELINA - Sì, va bene. (a Rosa) La signorina ha detto che ci avrebbe pensato lei.

NUNZIA - Vado io di là. Questi ragazzi… (esce)

ELISA - (entrando) Mamma? Se ne è andato.

ROSA - Chi?

ELISA - Papà. È andato a fare il suo giro per la campagna, l’ho visto uscire col cappello. Ci vorrà una buona mezz’ora perché ritorni. Possiamo occuparci della colazione di Vittorio. (ha con sé un cesto dal quale prende ogni cosa) Prepareremo tutto qui: burro, latte, marmellata e panini freschi. (depone sul tavolo)

ROSA - Ma chi la paga questa spesa?

ELISA - Non c’è niente da pagare. Sono stata dalla signora Delilla, qui accanto, e me la sono fatta dare in prestito con la scusa che papà aveva smarrito la chiave della dispensa. (con altro tono) “Ma non ridatemi niente”, ha detto, “per una cosa da nulla!” Vado a versare il latte nel bricco; è già bello caldo. Intanto, Velina, prepara la tovaglia. (esce)

VELINA - Subito, subito. Come si è infervorata per il cuginetto la signorina.

ROSA - Da ieri sera non ragiona più. Finirà male questa storia. Ci mancava anche l’arrivo di Vittorio. Dio ce la mandi buona.

VELINA - È veramente un bel ragazzo. Simpatico, spiritoso, moderno. Mi pare che abbia portato un po’ d’aria nuova in questa casa. Ve n’era proprio bisogno.

ROSA - Una sorpresa per tutti. Non si vedeva qui da sette, otto anni. Sì, si è fatto davvero un bel ragazzo.

ELISA - (con la tazza piena di latte caldo dice a Velina) Vai a chiamare Vittorio.

VELINA - Subito, signorina. (esce)

ELISA - Faremo un bella figura, mamma.

ROSA - Ma se la signora Delilla dovesse dirlo a Bartolomeo?

ELISA - Era necessario, mamma. Che figura avremmo fatto con Vittorio che, a casa sua, è abituato da milionario? Così ha sempre detto papà no? Tanto che se ne è spesso lamentato. Quando si hanno i soldi, bisogna spenderli. A che servono se no? Per tenerseli chiusi lì, (indica il fondo della parete) come fa lui?

ROSA - Lì, dove?

ELISA - Sei proprio una brava moglie! A me non la darà più a intendere la sua miseria, il signor padre. Questa notte ho sentito che qualcuno si muoveva in questa stanza: ho creduto che fosse Vittorio in cerca di qualche cosa, mi sono alzata, sono venuta qui e ho visto papà che spostava quel quadro, sotto il quale c’è una cassetta a muro.

ROSA - Cosa?!

ELISA - L’ha aperta formando un numero sulla serratura; l’ho sentito che mormorava: tre, tre, sette, tre. Ci si è seduto vicino e si è messo a contare tante monete d’oro che stavano in un sacchetto di stoffa rossa, almeno un migliaio, poi ha preso un grosso portafogli pieno di fogli da mille e da diecimila, li ha messi in ordine, ha rimesso tutto a posto, ha chiuso e se ne è andato a letto. “Non ho che la terra, che non mi rende niente”, dice sempre, “e le tasse mi mangiano vivo”. Invece… Non ne sapevi niente?

ROSA - Che avesse dell’oro nascosto, no.

ELISA - Forse camminiamo sull’oro, mamma. Tre, tre, sette, tre, l’ho sentito io, sai? Vogliamo provare ad aprire? Ti faccio vedere quanto oro.

ROSA - Se impazzita? Son cose che non devi nemmeno pensare, Elisa. E non dirlo ad altri.

VITTORIO - (entrando) Eccomi qua, zia. Ciao, cugina.

ELISA - La colazione è pronta.

VITTORIO - Molto bene.

ROSA - Hai riposato bene? (entra Velina, e di tanto in tanto si affaccerà alla porta di fondo per prevenire l’eventuale arrivo di Bartolomeo)

VITTORIO - Benissimo zia. (siede) Quanta roba.

ELISA - Tutto per te. Mangia. (gli serve la colazione mentre Vittorio la osserva compiaciuto)

VITTORIO - (mangiando) Grazie. Bella casa, questa, zia. L’ultima volta che ci venni con papà, mi pareva più grande, però.

ELISA - Eri un ragazzo, avevi quattordici anni, e a quella età ogni cosa ci sembra sempre più grande.

ROSA - Una vecchia proprietà dello zio.

VITTORIO - Lo so, lo so che siete ricchi. Papà me lo dice sempre. Anzi, dal modo in cui mi ha sempre illustrato la vostra fortuna, credevo di trovare qui un castello.

ROSA - Bartolomeo ha un carattere diverso… è un uomo fatto a suo modo…

VITTORIO - L’ho capito subito. E non da adesso. Papà mio, invece, è il migliore papà del mondo: il più buono, il più generoso e con me il più indulgente. Ogni desiderio è appagato.

ROSA - Sei figlio unico, e tua mamma morì che tu avevi pochi mesi.

ELISA - (porgendo a Vittorio un panino) Senti come è fresco questo panino.

VITTORIO - Grazie.

VELINA - Come odora di forno caldo.

ELISA - (ne mangia) Mamma, mangiane anche tu. (glielo offre e Rosa lo prende e ne mangia) Sono freschissimi. Anche tu, Velina, ne vuoi?

VELINA - Lo accetto volentieri… (lo prende e avidamente lo mangia)

VITTORIO - Anche voi avete appetito. Si direbbe che non avete fatto colazione.

ROSA - Già… si direbbe. Di solito, noi prendiamo solo il caffè alla mattina.

VITTORIO - Zia, più ci penso e meno riesco a capire la ragione per cui mio padre mi ha mandato qua. Ho pensato a te, Elisa. Forse…

ELISA - Sarà scritta nella lettera la ragione… E la sapremo.

VITTORIO - Sai, Elisa, che sei veramente carina? A Milano un tipo come te farebbe furore. Te lo ho sempre scritto. Montenapoleone ai tuoi piedi. San Babila vinta dal tuo fascino.

ELISA - Davvero?

VITTORIO - (alzandosi avendo finito di mangiare) Ci sposiamo?

ELISA - Vittorio, cosa dici?

VITTORIO - Beh? Che ho detto di male? Perché siamo cugini? Ci si può sposare lo stesso, tra cugini, vero zia?

ROSA - Sì, ci si sposa…

VITTORIO - Perché nascondere i sentimenti, Elisa? Non ci siamo sempre scritti delle care letterine? Non ci siamo sempre detti: “la prossima volta che ci incontreremo…” Ecco, ci siamo incontrati. Nessuno di noi ha provocato questo incontro, né io né tu. Papà ieri mi disse: “Corri subito dallo zio, consegnagli questa lettera e torna con la risposta”. Io ci sono venuto e con gran piacere perché, oltretutto, sapevo che ti avrei fatto piacere. Allora?

ELISA - Io non so cosa dire. Ti voglio bene, e mi… ma…

VITTORIO - Mi… ma…

ROSA - Ne parleremo seriamente io e te, Vittorio. Per il momento…

BARTOLOMEO - (dall’interno) Bastardo, farabutto, ti voglio rompere le ossa…

ROSA - (allarmata) Mio Dio!

VELINA - (anche lei allarmatissima) Presto, andate di là. (sparecchia in fretta la tavola)

VITTORIO - Che succede?

VELINA - Presto, andatevene, lo zio è arrabbiato.

ROSA - Andiamo in camera mia: vieni Vittorio, andiamo Elisa. (esce seguita dai due)

GIOVANNI - (entra dal fondo grignando, seguito da Nunzia che cerca di difenderlo dalle ire di Bartolomeo e per trovare scampo si rifugia sulla dispensa salendoci a mezzo di una scaletta a pioli accostata vicino) Aiuto! Aiuto!

NUNZIA - (cercando di trattenere Bartolomeo che tiene in una mano un pollo morto e nell’altra brandisce un grosso bastone) Fermati, Bartolomeo, per carità. Non è stata colpa sua.

BARTOLOMEO - È sua la colpa, sua. L’ho visto che si stava mangiando la crusca delle galline!

GIOVANNI - Non è vero: la stavo mettendo in un recipiente più grande.

BARTOLOMEO - Sì, nel tuo stomacaccio. (a Nunzia mostrando il pollo magro e spennacchiato) Guardalo. Mi ha fatto morire Giacomino, quell’assassino. Da tre giorni non lo vedevo nel pollaio, e lui mi aveva detto: sta nella casetta coperta, forse si sente poco bene, così fanno i polli quando stanno male: si isolano.

GIOVANNI - (dal suo posto) Sì, si isolano.

BARTOLOMEO - Stà zitto! Io, per non chinarmi troppo nel pollaio ho lasciato correre. Ecco: (mostra il pollo) era morto. È da tre giorni che è morto. Stava nascosto sotto il letame. Chissà da quanto tempo rubava la razione di quelle povere bestie, per mangiarsela.

GIOVANNI - Giacomino stava male già da parecchi giorni. È morto di fame e di debolezza. Aveva le visioni. Troppo poco mangiava per badare da solo a sette galline; ve lo dissi di separarlo dalle femmine.

BARTOLOMEO - Scendi, ladro, bastardo.

GIOVANNI - Non dite così; lo so che sono un figlio vostro, nato dalla colpa. (piagnucolando) Papà…

BARTOLOMEO - Sei pazzo? Chi ti ha detto che sei mio figlio? Chi ha mai conosciuto quella squaldrina di tua madre? (entrano Rosa, Elisa e Vittorio, richiamati dalle grida di Bartolomeo)

ROSA - Che succede?

BARTOLOMEO - (mostrando il pollo) Mi ha fatto morire Giacomino quell’avanzo di galera.

GIOVANNI - (piagnucolando) Papà…

BARTOLOMEO - (su tutte le furie) Non sono tuo padre!

GIOVANNI - Sì, me lo avete detto tante volte. Sono adulterino…

BARTOLOMEO - Fatelo tacere! Lo voglio picchiare, fatemelo picchiare se no scoppio!

NUNZIA - Scendi, su, non far piangere il padrone!…

GIOVANNI - Non scendo, non scendo…

NUNZIA - (perdendo la pazienza) Scendi, via, prima scendi e prima finisce.

VELINA - Dice bene Nunzia, scendi. (tutti lo scongiurano di scendere)

GIOVANNI - (scende a malincuore, e quando è a terra dice con tono supplichevole) Non me ne date tante… vi giuro che non ci ho colpa.

BARTOLOMEO - Accostati. (Giovanni gli si accosta strisciando quasi per terra) Inginocchiati. (Giovanni gli si inginocchia davanti) Toh, toh… (lo picchia sulla schiena e sul sedere) Ladro, bastardo, ingrato, traditore. Non bastano le tasse che mi tolgono il respiro, anche tu ti ci metti! Toh… toh… (lo picchia forte)

ELISA - Basta, papà. (Bartolomeo continua a picchiare)

VITTORIO - Zio, ma che modi?

BARTOLOMEO - Zitto, tu, pivello. Vuoi prenderle anche tu?! (a Giovanni) Toh!… (si arresta con affanno. Lunga pausa) Mascalzone… (pausa)

NUNZIA - Riposati un pochino, Bartolomeo e poi riprendi.

BARTOLOMEO - (a Nunzia) Un po’ d’acqua.

NUNZIA - (porgendogli un sedia rivolta a Velina) Va a prendergli un bicchiere d’acqua.

VELINA - Subito. (fa per andare ma ritorna) La chiave del rubinetto.

BARTOLOMEO - (prendendo un mazzo di chiavi dalla tasca, ma poi ripensandoci) Lascia stare, non fa niente. (a Giovanni) E stammi a sentire, traditore: non ti permettere più di chiamarmi papà. Ti ho già detto una volta come sei entrato in questa casa: per pietà. E chi siano i tuoi genitori nessuno lo ha mai saputo in paese. Ci mancherebbe un’altra sanguisuga. Intanto, per punizione, oggi non mangerai. E nemmeno domani mangerai. E neanche dopodomani. Tre giorni a pane e acqua. (a Nunzia) Capito? (Nunzia annuisce) Capito, Velina?

VELINA - Va bene.

BARTOLOMEO - Guai a che gli dà un tozzo di pane in più. (agli altri) Andate via tutti. (più forte) Tutti!

ROSA - Certe volte non resisto più. Andiamo, Elisa. Vieni Vittorio. (Rosa, Elisa, Vittorio escono per la sinistra, Velina e Giovanni per il fondo)

BARTOLOMEO - (quasi piangendo) Povera bestia, ora che la stavo abituando a mangiare le vitamine liquide.

NUNZIA - (accarezzandolo come si accarezza un bimbo) Non piangere, Bartolomeo. Compreremo un altro gallo: te lo comprerò io.

BARTOLOMEO - Tu?

NUNZIA - Ho qualche economia…

BARTOLOMEO - (alludendo a Giovanni) Mascalzone… (ripensandoci) E come ce l’hai da parte queste economie, se non guadagni niente? Le hai prese a me?

NUNZIA - Ma no… lo sai che quando mi va di farlo lavoro un po’ di ricamo…

BARTOLOMEO - Compramelo bello grande. Aspetta quando c’è il mercato. Intanto, mi posso fidare di te?

NUNZIA - Bartolomeo, ti ho cresciuto come un figlio. Avevi dieci anni, quando, da Sorrento, i tuoi genitori si trasferirono qui. Entrai in questa casa con l’obbligo di accudirti e cosa feci se non assisterti con amore, dedizione, dimenticando perfino la mia vera casa? Cosa vuoi che faccia? (lo bacia in fronte)

BARTOLOMEO - Devi essere sempre più severa con i servi e tenere gli occhi sempre bene aperti. Io ho l’impressione che tu stia dalla loro parte.

NUNZIA - Che dici?

BARTOLOMEO - Mi devi dire sempre tutto. Se no saranno guai anche per te.

NUNZIA - Va bene, va bene…

BARTOLOMEO - (quasi piangendo, carezzando il pollo morto) Povero Casanova. (alludendo alla rigidità del pollo) È diventato di ghiaccio. Era così vispo… ed ora? Ora finisce nella spazzatura. (depone il pollo in un bidone di immondizie che si trova quasi sotto l’uscio in fondo e lo copre col coperchio del recipiente) Mah! (Nunzia esce per il fondo ed entra Rosa) Ah! Rosa. Giungi a proposito, volevo parlarti. La questione di Elisa e di Egeone, il nipote di don Milone, va trattata con garbo, è vero… ma nel contempo senza indugi e tergiversazioni sulla mia decisione. Sia questo chiaro per te, per gli altri, per tutti. Conosci la mitologia?

ROSA - No…

BARTOLOMEO - Leggi qua… (apre un libro e cerca alla meglio di trovare la pagina perché senza occhiali vede pochissimo)

ROSA - Perché non ti metti gli occhiali?

BARTOLOMEO - Non occorrono… vedo bene… (ha trovato la pagina) Ecco… leggi…

ROSA - “Egeone fu un gigante di una forza straordinaria. Aveva cento braccia e cinquanta teste. Salvò, secondo la leggenda mitologica, Giove dalla guerra che gli vollero fare Giunone e Nettuno”. Beh?

BARTOLOMEO - Cosa significa questo: beh?

ROSA - Significa che il gigante straordinario assieme a Giove, Giunone e Nettuno non c’entrano affatto con la felicità di mia figlia e di conseguenza nostra.

BARTOLOMEO - Affatto. Perché solamente il nome di quel ragazzo è una garanzia. Comunque, volete capirlo o no che il ragazzo ha una dote di diecine di milioni?

ROSA - Questo non mi interessa, Bartolomeo: Elisa, di questo Egeone non ne vuole sapere, neanche lo conosce e nemmeno io e te lo conosciamo. Ed io…

BARTOLOMEO - …tu faresti bene ad assecondarmi. Per ora si tratta di matrimonio di convenienza. Chi ti dici che non si muti in un matrimonio d’amore vero e proprio?

ROSA - Io ti dico che di questa faccenda ne ho piene le tasche e vivere tra due fuochi non si adatta più al mio carattere. La necessità di maritare Elisa col primo che capita non mi pare così impellente.

BARTOLOMEO - Che vuoi aspettare, che perda la testa per qualcuno che non ha nemmeno gli occhi per piangere? Vai da Elisa e tienila preparata per l’arrivo di Milone e suo nipote. E che non faccia capricci. Pensi, rifletta, ponderi. Non è più una bambina.

ROSA - È proprio una bambina, invece, e sta più a noi pensare, riflettere, ponderare.

BARTOLOMEO - Insomma vai, Rosa. (va sotto la porta di fondo e guarda fuori)

ROSA - Vado. Ma bada che anche la mia volontà conta qualche cosa. E conterà. (esce)

MILONE - (d.d) Don Bartolomeo?… (entrando) Salute e bene, signor Bartolomeo.

BARTOLOMEO - Ci sono novità?

MILONE - L’arrivo di vostro nipote ha posto in fermento il cervello di tutti, in paese. Si fanno mille congetture; credono perfino che sia venuto per chiedervi la mano di vostra figlia.

BARTOLOMEO - Parliamo prima di una cosa, poi dell’altra. Come va la faccenda?

MILONE - Vi ho portato in porto l’affare. Ve lo avevo promesso. Una proprietà che, a darla per il prezzo che sapete, è come darla per niente.

BARTOLOMEO - Ora che spese ci sono?

MILONE - Quelle di registro, che bisognerà pagare subito.

BARTOLOMEO - Subito? Prima dovrei avere il contratto firmato, no?

MILONE - Eccolo. (glielo mostra)

BARTOLOMEO - Allora, domani…

MILONE - No, no. Oggi, oggi. Questi sono soldi che ho messo fuori io per conto vostro. Sono: 2.955 lire.

BARTOLOMEO - Tanto?

MILONE - Le pure spese.

BARTOLOMEO - (siede e apre, con chiave, il tiretto della sua scrivania che sta a destra della

scena in avanti, prende una ciotolina, la mette sul piano dello scrittoio e

prende il denaro) Ecco: mille, duemila… cinquanta…

MILONE - …mancano novecento cinque… (prende il denaro)

BARTOLOMEO - (dandogli altro denaro) … ento, duecento, trecento…

MILONE - Mancano seicento cinque…

BARTOLOMEO - …ecco le cinque…

MILONE - …mancano seicento…

BARTOLOMEO - Quattrocento, cinquecento… seicento… cinquanta…

MILONE - …mancano trecento…

BARTOLOMEO - Settecento, ottocento e … e novecento! Quanto denaro vi siete preso. (chiude a chiave)

MILONE - Vi è sembrato, perché me lo avete dato poco per volta. Poi è bene che ve ne togliate un po’ di denaro…

BARTOLOMEO - Perché?

MILONE - Perché… se vostro nipote ha intenzione si sposare la signorina Elisa… vorrà la dote, il giovanotto. Suo padre non vi ha scritto per chiedervi la mano di vostra figlia per suo figlio? Ed egli è ricco quanto voi.

BARTOLOMEO - Mio fratello ricco? Un dissipatore! Leggete questa lettera che mi ha mandato a mezzo di suo figlio. (gli dà un foglio scritto)

MILONE - (dopo aver letto, con stupore) Ma lo credete?

BARTOLOMEO - Mah!

MILONE - E voi?

BARTOLOMEO - Già ne ho di grattacapi.

MILONE - È alla rovina e… il figlio?

BARTOLOMEO - Ragazzo viziato.

MILONE - Allora, se è così, la signorina Elisa… farebbe al caso di Egeone, mio nipote?

BARTOLOMEO - Diceste che Egeone porterebbe 85 milioni di dote?

MILONE - Esatto.

BARTOLOMEO - Allora, per concludere: settanta vanno alla “dote”, e quindici a me per contanti.

MILONE - D’accordo. (con commozione) Pur di sposare quel ragazzo. Egeone è innamorato pazzo di vostra figlia. Una sola volta l’ha vista: pàffete, innamorato sul colpo. E la vide di lontano: di lontano! Solo… ecco… vi mostrai la fotografia di mio padre…

BARTOLOMEO - A proposito, quanti anni ha?

MILONE - Trentuno.

BARTOLOMEO - Tredici anni di differenza.

MILONE - Non è tanto! C’è, poi, che… è leggermente claudicante…

BARTOLOMEO - Zoppo?…

MILONE - No… è claudicante.

BARTOLOMEO - È zoppo, via!

MILONE - No… è claudicante!

BARTOLOMEO - Quando cammina, pende da un lato?

MILONE - Sì.

BARTOLOMEO - Allora è zoppo, per Dio.

MILONE - Ma non si tratta di un difetto di natura. Lui, Dio lo benedica, è nato perfetto, diritto come un fuso; all’età di tre anni gli cadde un ferro da stiro sul piedino; sembrò un banale incidente, invece… col tempo ci si accorse che il ragazzo… crescendo…

BARTOLOMEO - Capisco. (dopo una breve pausa) Abbiamo detto quindici milioni?

MILONE - (con intenzione) Anche di più… se volete. Si tratta di un lascito di mia sorella. In punto di morte mi raccomandò suo figlio… “Fallo sposare”, mi disse, “fallo sposare a tutti i costi. La mia ricchezza va tutta a lui”. Glielo promisi, e morì. Don Bartolomeo, vogliamo fare settanta per la dote e venti per voi? (pausa) Una bella somma venti milioni.

BARTOLOMEO - Andate a prendere vostro nipote e facciamo le presentazioni d’uso. (voci interne)

MILONE - È venuto con me fino al cancello e mi sta aspettando. Torno subito. (esce)

ROSA - (decisa, entrando seguita da Nunzia) Bartolomeo, continua tu il discorso con Elisa, perché non ne vuole sapere di questo nipote di Milone.

ELISA - (seguita da Vittorio) Non occorrono ambasciatori, parlo io. Papà non sono per niente d’accordo sulla scelta del nipote del signor Milone. Se io non ho dote, come tu dici, c’è chi, a questo ci passerebbe sopra. E se Egeone ha una gran dote, ti ho già detto che io me ne infischio del denaro. Voglio solo un uomo che mi piaccia.

NUNZIA - Bartolomeo, Elisa adesso non si sente di decidere su due piedi; ci penserà e ti darà una risposta.

ELISA - Non occorre che io ci pensi, quello che ho detto ho detto. Ed è la mia decisione.

BARTOLOMEO - Un matrimonio fra cugini richiede la dispensa della Chiesa. Inoltre è pericoloso per i figli che nascono. Sareste disposti a correre un rischio simile?

NUNZIA - Io direi, per adesso, Bartolomeo…

VELINA - (dal fondo) Arriva il signor Milone con un altro signore. (esce)

ELISA - Papà, io non ci sto. (esce seguita da Vittorio)

ROSA - Te l’ho detto, ma non occorreva che te lo dicessi: tu lo supponevi. (esce)

MILONE - (entrando con Egeone) Ecco mio nipote.

BARTOLOMEO - (a Nunzia) Chiama Rosa.

NUNZIA - (sottovoce) È zoppo, non lo vedi?

BARTOLOMEO - È claudicante! Vai. (Nunzia esce) Sedete, Egeone. Sono lieto di conoscervi…

MILONE - Don Bartolomeo, bisogna che ve lo dica… Egeone… sente poco.

BARTOLOMEO - È sordo?

MILONE - Fu a causa di uno spavento che ebbe da bambino… Siedi Egeone… Un suo compagno gli legò di nascosto, vicino alla gambetta, all’altezza del polpaccio, una bomba-carta. Lo scoppio improvviso, gli offese entrambe le trombe; ma egli è nato con un udito perfetto. Si sta curando e pare che la cura gli faccia bene. A parte il fatto che c’è sempre una speranza… settanta milioni sono una bella somma. Di questi tempi… Vi assicuro che è un ragazzo d’oro, religioso, pieno di salute. “La salute è il maggiore dei beni, la bellezza il secondo, la ricchezza il terzo”, diceva Platone. (accarezza Egeone)

EGEONE - Grazie zio…

BARTOLOMEO - Ma io non sapevo che mi avreste portato qua un deficiente, scusate. Quello è uscito dal Cottolengo.

MILONE - E va bene… faremo venticinque per voi, ma la dote resta quella. Don Bartolomeo, se voi volete, tutto è possibile. È la vostra volontà che conta.

BARTOLOMEO - Venticinque per me?

MILONE - Venticinque. In contanti…

NUNZIA - (entra) Elisa è per il momento occupata, e poi… poi…

BARTOLOMEO - …poi… poi! La aspetteremo. Sia pure mezza giornata. Una intera, se occorre. Per questo, Milone entrate nel salotto.

MILONE - Sì, però non vorrei attendere molto, per la fretta di venire qui, non abbiamo neanche pranzato… se voleste invitarci ne saremmo ben lieti e aspetteremmo quanto volete…

BARTOLOMEO - (come trafitto da una spada) A pranzo qui… a pranzo, volendo intendere seduti a tavola regolarmente e … mangiare?

MILONE - …e per fare che? Avremmo occasione di gustare la vostra cucina…

BARTOLOMEO - …in casa mia tutto è discutibile tranne la cucina… allora… restate pure… ma dovrete arrangiarvi… sono stato preso di sorpresa…

MILONE - Per noi tutto andrà bene.

BARTOLOMEO - Andate allora… verrò subito con i miei. Con me verranno. Oh… se verranno.

MILONE - (ad Egeone) Andiamo Egeone? Resteremo a pranzo qui. (escono)

NUNZIA - Ma, Bartolomeo… Elisa, appena ha sentito che quello è zoppo…

BARTOLOMEO - Non c’è nato. E ci sente poco.

NUNZIA - Pure?

BARTOLOMEO - Ma c’è speranza; c’è speranza. Prepara la tavola. Cerchiamo di fare bella figura…

NUNZIA - Come faremo a fare bella figura, Bartolomeo? Quello che c’è non basta neanche per noi. Abbiamo una minestrina di cardi e ceci… un uovo a testa e una mela per ciascuno. Il vino non basterebbe… si potrebbe aggiungere un po’ di maccheroni nella minestra, un uovo in più a testa e se ci dai un po’ di formaggio… non so…

BARTOLOMEO - (dopo una breve pausa) Aspetta… con un po’ di patate… a spezzatino… con pepe e aceto… (si dirige verso il bidone della spazzatura e da questo prende il pollo morto)

NUNZIA - No!… Questo no! È morto da tre giorni… puzza…

BARTOLOMEO - Questo andrà bene… (mentre esce di scena con Nunzia che protesta cala la tela)

SIPARIO

ATTO SECONDO

ELISA - (ha una lettera in mano) L’ho trovata, ti dico, sul cassettone in camera sua, stamattina.

NUNZIA - Non sta bene frugare nella roba degli altri. Non sta bene. Chi ti ha insegnato queste cose?

ELISA - Non ho frugato. L’ho vista per caso. Se Vittorio verrà a saperlo…

VELINA - (entrando) Parlate sottovoce, la zia Ortensia dorme.

NUNZIA - Ha ancora la febbre?

VELINA - Non molta. C’è la signora Rosa da lei.

NUNZIA - Se la prese troppo l’altra sera per prendere le tue parti. Hai visto che è successo? Hai messo contro fratello e sorella.

ELISA - Ma di quel nipote del signor Milone non se ne parla più. (a Velina) Mio cugino?

VELINA - Ha detto che doveva recarsi all’ufficio postale.

ELISA - E papà?

VELINA - È fuori. L’ho visto uscire in fretta e furia. È stato a trovare prima la sorella, poi l’ho visto qua tutto solo e pensieroso, infine è uscito.

NUNZIA - Ti ha detto dove sarebbe andato?

VELINA - No, e a voi?

NUNZIA - Nemmeno.

VELINA - Vado a fare il bucato se no passa l’orario e mi chiude l’acqua. (esce)

ELISA - (agitata) Come si fa? Come si fa?

NUNZIA - Ma che cosa c’è scritto in quella lettera?

ELISA - Niente, Nunzia. Sono cose che riguardano me.

NUNZIA - Sempre agitati in questa casa. Sempre nervosi e preoccupati. Vado da Ortensia. Se continua la febbre si chiamerà il dottore.

ELISA - Se lui lo crederà necessario, altrimenti figurati se spende i soldi per il medico. Avrebbe dovuto già chiamarlo. È che noi siano delle pecore! Non ci facciamo rispettare come dovremmo: da cristiani. La mamma è svenuta, ieri sera, per tutto il veleno che le dà lui, dalla mattina alla sera con le sue idee, con le sue convinzioni.

NUNZIA - La lite è stata provocata dal fatto del nipote del signor Milone. In fin dei conti, se vogliamo essere pratici…

ELISA - Aveva ragione, dì la verità?!

NUNZIA - Settanta milioni di dote, ragazza: settanta milioni!

ELISA - Piuttosto che sposare quel tipo mi sarei fatta monaca. Ed ora ho capito come si deve fare col mio signor padre. Si debbono puntare i piedi in terra. Aver carattere. C’è, la persona a cui voglio bene.

NUNZIA - Quello, quello…

ELISA - Che hai da dire sul suo conto? È giovane, bello, allegro, affettuoso, ama suo padre più della sua stessa vita.

NUNZIA - Ti ha baciata: l’ho visto dalla finestra.

ELISA - Ebbene? Gli piaccio. Lui mi piace. Quindi?

NUNZIA - Non si fanno certe cose. E certe idee non credevo proprio che ti potessero passare per il cervello. Tuo padre…

ELISA - …mio padre, mio padre… è una gran seccatore che si è messo in testa di rovinare la famiglia credendo di salvarla. Vittorio…

NUNZIA - …è stato abituato male. E il mezzo più sicuro per rovinare un figlio è quello di concedergli tutto quello che chiede. Tuo padre sarà severo, sarà quello che volete, però ti ha abituata a desiderare la vita e non ad averne nausea. Non lo avete capito, quell’uomo non lo avete capito, io sì. Io l’ho capito.

VELINA - (dal fondo) Arriva! (rientra)

NUNZIA - Io vado di là. (esce con Elisa)

GIOVANNI - (dal fondo, portando una borsa) Metto qui, padrone?

BARTOLOMEO - (entra con Giovanni, vuotando la borsa) Questo lo porti a Velina. È la carne per questa sera. (gli porge un pacchettino molto piccolo)

GIOVANNI - Questo pacchettino così piccolo?

BARTOLOMEO - Volevi che portassi qui mezzo manzo?

GIOVANNI - Ho domandato.

BARTOLOMEO - (aprendo la dispensa) Ecco qua… (si sente squillare fortissimo dall’interno della dispensa un campanello)

GIOVANNI - L’allarme… o mamma mia! Non sono stato io…

VELINA - (entrando) Che succede?

BARTOLOMEO - Ho toccato senza volere il contatto. (il campanello cessa di suonare)

GIOVANNI - Che rumore che fa. Se uno si azzardasse ad aprire di nascosto povero lui. Lo sentireste subito, vero padrone?

BARTOLOMEO - E che, sono sordo?

GIOVANNI - È stata una bella invenzione! Così le provviste non corrono pericolo di essere toccate. Ci sono ancora quei frutti canditi, padrone?

BARTOLOMEO - Lo sai che non mi piace di scialacquare tutto in una volta. (prepara il cibo per le galline)

GIOVANNI - Saranno sempre freschi? È un anno e più da quando vi regalarono la scatola.

BARTOLOMEO - Sono canditi apposta perché durino a lungo, cretino.

VELINA - Si conservano molto.

GIOVANNI - Mi piacerebbe assaggiarne uno. Non ne ho mai mangiati.

BARTOLOMEO - E non ne mangerai. Hai i denti guasti, tu, e lo zucchero ti fa male.

GIOVANNI - Padrone, io ho i denti tutti sani.

BARTOLOMEO - Questa è la razione delle galline, per questa sera. Ricordati che sei stato tre giorni digiuno per punizione. (Giovanni esce) Tu Velina…

VELINA - …debbo pulire il pollo per vostra sorella.

BARTOLOMEO - Aspetta per questo pollo. Se Ortensia ha la febbre è pericoloso darle da mangiare. Verrà il farmacista Fortunato. Sono passato per la farmacia, e ci dirà lui. Nessuno mi venga a disturbare: ho un appuntamento.

GIOVANNI - (da fondo) Padrone… ci sono quelli… li ho fatti entrare in camera vostra. Hanno detto che hanno un appuntamento con voi.

BARTOLOMEO - Va bene. (esce)

GIOVANNI - Mio Dio, Velina, sono i Malincore. Proprio loro.

VELINA - (guardando verso l’interno) Quelli delle pompe funebri… Giuseppe e Saverio, tutti e due i fratelli. Sentirò che cosa dicono…

GIOVANNI - Arrivare al punto di chiamare i becchini perché sua sorella si è messa a letto con la febbre! Certamente! Per trattare il prezzo prima che quella muoia!

VELINA - Parlano di autofurgone. Lui non vuole… vorrebbe farla portare al cimitero a spalle… da noi, capisci? Da me, da te… (origlia)

GIOVANNI - Almeno le dia il tempo di morire a quella poveretta… e poi chi ce l’ha la forza di portarla al cimitero… io non la porterei… mi farebbe impressione… no, no: proprio no! Mi rifiuto!

VELINA - (dopo aver origliato) Pare che si convinca per l’autofurgone, ma di terza classe… e ai ceri ci pensa lui.

GIOVANNI - Che taccagno!

VELINA - Ora lo dico alla padrona. Glielo voglio proprio dire. Voglio fare uno scandalo… (via a soggetto)

ELISA - (entrando) Che succede?

GIOVANNI - Il padrone sta trattando con i Malincore. Quelli delle pompe funebri.

ELISA - Perché?

GIOVANNI - Perché la signorina Ortensia è malata e… temendo che muoia, vuole trattare prima la spesa dei funerali.

NUNZIA - (dalla sinistra) Cosa è questo trambusto?

ELISA - Sai che sta facendo papà? Perché zia Ortensia è a letto malata, tratta con i fratelli Malincore, come fece con te!

NUNZIA - Ma no… sarà per un’altra cosa.

GIOVANNI - Ho sentito io. Pretende che siamo noi, io e Velina a portarla a spalle al cimitero. E senza ceri, ha detto.

NUNZIA - Tu sta zitto, se no ti faccio picchiare.

ORTENSIA - (d.d) E pretenderesti che non andassi da lui a dirglielo?

ROSA - (d.d) Non mi pare il momento. Gliene parlerai domani.

VELINA - (d.d) Io posso dire che quello che ho detto è la verità, l’ho sentito io. E c’era anche Giovanni.

ELISA - Difendilo, difendilo ancora. Possiede fondi, palazzi, poderi, poi al fratello…

NUNZIA - Al fratello, cosa?

ELISA - …niente!

ORTENSIA - (entra in camicia da notte e vestaglia) Dove sta, dove sta mio fratello, il mio signor fratello? Dove sta?

ROSA - (è entrata con lei) Ortensia, calmati. Hai la febbre.

ORTENSIA - Non me ne importa nulla. Mi venga quel che mi deve venire: la colpa è sua. A lui non gliene importa, lo so, lo sapete tutti, ma almeno il rimorso gli resterà!

ELISA - Zia, calmati…

NUNZIA - Su, ritorna a letto…

ORTENSIA - Ma questa sì che è nuova. Ma che nuova? È incredibile, è incredibile, è incredibile. Perché sono a letto da un po’ di tempo e perché ieri mi è venuto un collasso… Quello mi mette nelle mani dei becchini. Scusate, mi gratto. Faccio uno scongiuro.

ROSA - C’è da restare allibiti. È impazzito.

ORTENSIA - Io, in qualche modo, l’ho sempre difeso, e lo sapete. Lo sai tu, Rosa. (a Giovanni) Vammi a prendere il termometro. Sta sul comodino.

GIOVANNI - Dove?

ORTENSIA - Non lo so, sta di là, cercalo. (Giovanni esce) Dio la testa, la febbre… m’è salita la febbre, m’è salita… lo sento. Sono tre giorni che ho chiesto un po’ di bagnature di acqua e aceto… l’acqua è chiusa e la chiave la tiene lui… L’aceto sta in cantina e la chiave non l’abbiamo… (esasperata) Tutto chiuso, in questa casa; tutto chiuso. Aprite, aprite le porte, i cassetti, le dispense, i cancelli, la cantina; aprite, aprite, aprite!…

GIOVANNI - (col termometro) Ecco il termometro…

ORTENSIA - Dammelo!

NUNZIA - Ortensia, tu hai ragione, ma conosci il suo carattere. Fece la stessa cosa con me quella volta che mi ammalai di tifo…

ORTENSIA - Ah sì? Se tu lo hai tollerato, io no. Rischierei di essere creduta pazza se ancora cercassi di scusarlo. Il termometro? Dove sta?

GIOVANNI - Ve l’ho portato.

ORTENSIA - E non lo trovo, dove sta?

GIOVANNI - Qui sul tavolo.

ORTENSIA - Ieri sera non gli rispondevo perché ero in crisi, ma lo vedevo, lo intravedevo, insomma mi stava sopra, mi guardava, mi domandava: “Ortensia? Mi vedi? Mi senti? Vuoi dirmi le tue ultime volontà? Dove stanno i tuoi averi? I tuoi preziosi?” Quali preziosi? Io non ho una lira! Ho solo un po’ di denaro per andarmene da questa casa. Me ne vado, me ne vado… (cercando il termometro) Il termometro?…

NUNZIA - Te lo sei messo.

ORTENSIA - Non lo trovo… Dove me lo sono messo?

GIOVANNI - Me lo sono messo io, credevo di avere un po’ di febbre…

ORTENSIA - E dammelo!… (scuote il termometro)

BARTOLOMEO - (entrando calmo) Ti sei alzata, Ortensia. Stai bene? Mi fa piacere.

ORTENSIA - Bartolomeo, mi duole, mi duole, mi duole di essere tua sorella. La sola cosa che mi ha fatto sopportare la tua esosità e la tua disumana mentalità è stato l’affetto. Ma se Dio mi farà la grazia di farmi star bene, me ne ritornerò a Sorrento, al mio paese natio. Ho ancora qualche interesse da quelle parti. (furiosa) Chi ti aveva detto che stavo per morire? Chi te lo aveva detto?

BARTOLOMEO - Sei stata per morire, e forse ti sei ripresa. (forte) Ieri sera avevi perduto la conoscenza, hai capito, avevi la faccia color della cera… e il fiato era quasi freddo.

ORTENSIA - Me ne vado. Me ne vado. (forte) Mi viene a sentire il fiato, cose da pazzi! E si accorda per un funerale con autofurgone di terza classe, la bara portata a spalla dai servi e ai ceri ci avrebbe pensato lui. Hai qualche moccolotto messo da parte? E la misura della cassa me l’hai presa? Scommetto che me l’hai fatta prendere nel sonno: zitto, zitto, piano piano, per paura che mi svegliassi. Un funeralino di terza classe? La processione appresso, voglio io! Le bandiere nazionali, la banda, i fuochi d’artificio e i carabinieri a cavallo. Me ne vado. Appena sfebbrata me ne vado!

BARTOLOMEO - Bene! Vattene. Una preoccupazione in meno. Non hai mica mangiato aria in casa mia, e mi sei costata, sai? Perché anche tu, come quel pazzo a Milano, ti sei mangiata una fortuna. Ed io ho fatto fronte.

ORTENSIA - Basta! Basta! Me ne vado, me ne vado. Dio, la testa!… Dio, la febbre… (cerca il termometro) Il termometro, per Giove, dove me lo sono messo… accidenti! Me ne vado, me ne torno a Sorrento, me ne vado, me ne vado!… (esce seguita da Elisa, Giovanni e Velina)

BARTOLOMEO - La famiglia, i parenti: che disperazione!

ROSA - Non ti accorgi che disgusti tutti quelli che ti stanno vicino? Che si ha paura di te? Di quello che sei capace di pensare e di fare pur di risparmiare un centesimo?

BARTOLOMEO - Si è trattato di una semplice misura precauzionale. I Malincore sono degli approfittatori. Stanno sempre al di sopra della tariffa! Allora, per non subire abusi… (la fissa. Pausa)

ROSA - Non avrei dovuto sposarti. Mi hai tolto la felicità di essere donna. Il gusto di sentirmi ammirata, invidiata… e più per te che per me.

BARTOLOMEO - Mi pare che tu stia esagerando. Cosa vorresti, insomma? Che io spendessi tutto in un giorno? Quel poco che ho me lo voglio guardare perché è sangue mio. Qualcuno lavora, in questa casa? No. Solo io, io solo che ho il peso di tutta la famiglia sulle spalle. (entra Nunzia)

ROSA - Ma sei ben sicuro di averla una famiglia? Hai pensato, se, per caso, tu non l’abbia mai avuta, o se, avendola, tu non la stia perdendo? No, tu non ce l’hai la famiglia perché non la vuoi! E per denaro volevi far sposare Elisa con quel deficiente! Sì! Si è saputo! È stato detto in giro: il signor Milone ti dava i milioni perché tu costringessi nostra figlia a sposare suo nipote. Ma non ti è riuscito! (esce)

BARTOLOMEO - Hai sentito, Nunzia? Io, barattare la felicità di mia figlia. Tu non ci credi, vero?

NUNZIA - Tutte malelingue, in questo paese: ma non prendertela tanto. Hai la faccia bianca bianca… prenditi un bicchierino di liquore. Ti ristora.

BARTOLOMEO - E Vittorio?

NUNZIA - Non so. C’è una tale confusione stamattina, che chi ha avuto il tempo di badare a lui?

BARTOLOMEO - Hai sentito?… È stanca forse. Pensa di lasciarmi. Dopo tanti anni?

NUNZIA - Dice per dire, per sfogarsi.

BARTOLOMEO - Per sfogare che cosa? Quello che è necessario non le manca. Chiama una sarta, domani, e le farò fare un bel vestito, un cappotto, e poi le comprerò un paio di scarpe e anche un cappello. Che ne dici?

NUNZIA - Le farai piacere.

BARTOLOMEO - Quanto mi costerà un vestito?

NUNZIA - Secondo la qualità della stoffa. Trentamila lire.

BARTOLOMEO - Tanto?

NUNZIA - Anche ventimila.

BARTOLOMEO - Meglio ventimila, tanto, la stoffa è tutta uguale, si tratta di un bollo o di una marca. E le scarpe, e il cappello?

NUNZIA - Ventimila, pressappoco.

BARTOLOMEO - E sono quarantamila. E il cappotto?

NUNZIA - Pesante?

BARTOLOMEO - Pesante?! Ha il vestito sotto.

NUNZIA - Credo sulle trentamila…

BARTOLOMEO - E sono settantamila. (pausa) Settantamila lire! Le faccio un bel vestito pesante. Quanto mi può costare?

NUNZIA - Cinquantamila lire.

BARTOLOMEO - E le scarpe e il cappello?

NUNZIA - Ventimila.

BARTOLOMEO - E sono settantamila. No, non posso spendere una cifra simile. Le faccio un bel cappotto pesante. Quanto mi può costare?

NUNZIA - Una cinquantina di migliaia di lire.

BARTOLOMEO - E le scarpe e il cappello?

NUNZIA - Ventimila…

BARTOLOMEO - …e sono settantamila. Insomma, vuoi per forza farmi spendere settantamila lire? (deciso) Non le faccio niente. Roba ne ha, e sarebbe uno spreco di soldi. Poi, con quello che mi ha detto poco fa…

GIOVANNI - (entrando dal fondo) C’è il signor Fortunato, il farmacista.

BARTOLOMEO - Fallo entrare. (Giovanni esegue)

NUNZIA - Vado a chiedere ad Ortensia se può riceverlo. (esce)

BARTOLOMEO - (a Fortunato) La settimana scorsa Ortensia si è messa a letto dopo una crisi nervosa. Ieri ebbe una specie di collasso. Nella notte le è venuta la febbre, temperatura altissima, trentanove e tre linee.

FORTUNATO - Trentanove e mezzo, via.

BARTOLOMEO - No, trentanove e tre linee, perché volete aumentare senza ragione. Sempre ingiustificati sciupii. (rientra Nunzia)

NUNZIA - Non vuol essere visitata. Dice che si sente bene. Non ha voluto aprirmi la porta.

BARTOLOMEO - Allora andatevene, Fortunato.

FORTUNATO - Ma i soldi della vettura? Centocinquanta lire…

BARTOLOMEO - Perché avete preso la vettura? Vi permettete certi lussi…

FORTUNATO - Ho creduto che il caso fosse urgente…

BARTOLOMEO - Che urgente! Mettetemi in conto le centocinquanta lire, ma visitatemi gratis Giovanni, Velina e Nunzia. (a Giovanni) Chiama Velina.

GIOVANNI - Velina?…

VELINA - (sull’uscio) Che c’è?

GIOVANNI - Visita medica.

VELINA - Io sto bene…

NUNZIA - Anche io, Bartolomeo…

BARTOLOMEO - Una visitina fa sempre bene. Bisogna prevenire i malanni. Poi dite che non mi interesso alla vostra salute. Penso a tutto io: a tutto. Fortunato, visitate. (indicando Velina) Questa soffre di reumatismi.

FORTUNATO - (a Velina) Mangi carne?

VELINA - Quale carne? Chi la mangia mai? E poi, io voglio essere visitata da un medico, non da una farmacista.

FORTUNATO - Perché? Che hai da dire sul conto dei farmacisti? Non sono medico, ma è come se lo fossi. Mi basta guardarla negli occhi una persona, per sapere se è sana o malata. (guarda negli occhi Velina) Don Bartolomeo, niente carne a questa.

BARTOLOMEO - Né pasta, né pane, va bene!

VELINA - Solo aria.

FORTUNATO - (a Giovanni) Vediamo te.

GIOVANNI - Io… mi sento debole.

BARTOLOMEO - Ha un carattere sensitivo, emotivo, subito si mette a piangere. Ieri l’ho sorpreso appoggiato a quella dispensa che piangeva, piangeva.

FORTUNATO - Perché piangevi?

GIOVANNI - Mi venivano in mente certe cose.

FORTUNATO - Fammi vedere la lingua. (Giovanni esegue) Bianchissima.

BARTOLOMEO - Per forza. Si è mangiato il mangime delle galline.

FORTUNATO - Si tratta di fegato ingrossato. Niente uova, niente sughi, niente vino, niente fritti, niente cioccolato, niente crocchettine, salumi, peperoni, budini e creme… (Giovanni cade a terra svenuto)

NUNZIA - Portiamolo fuori… Aiutami Velina. (le due donne portano via Giovanni)

FORTUNATO - Tenetelo a dieta.

BARTOLOMEO - Senz’altro.

CARLO - (dal fondo) Caro amico.

BARTOLOMEO - Bentornato. Ci vedremo in farmacia, Fortunato: ora ho da trattare un affare. Ricordatevi che non avete visitato Nunzia, nelle centocinquanta lire è inclusa anche una probabile visita gratis per la vecchia.

FORTUNATO - Buone cose, don Bartolomeo. Buona giornata.

BARTOLOMEO - Buoni affari, in città?

CARLO - Ci sono andato per comprarmi una macchina nuova, più veloce.

BARTOLOMEO - Quella che avevate non corre abbastanza?

CARLO - Non quanto voglio io. Io voglio arrivare lontano, don Bartolomeo.

BARTOLOMEO - Accomodatevi. (seggono)

CARLO - Prima di tutto, come sta la signora Rosa?

BARTOLOMEO - Abbastanza bene. Ieri si è sentita un po’ indisposta ma si è trattato di una cosa da nulla.

CARLO - Mi dispiace. Guarda un po’, mi sono allontanato e…

BARTOLOMEO - …si è sentita male! Forse è innamorata di voi.

CARLO - Che dite? La signora Rosa è una donna onesta. Non è di quelle che tradiscono il marito.

BARTOLOMEO - Perché? Siete un bell’uomo. Siete conte. Giovane, ricco, nobile, elegante… in paese si sa che avete avuto qualche amante…

CARLO - Qualche? Per questo, parecchie, don Bartolomeo, parecchie.

BARTOLOMEO - Siete di sangue caldo.

CARLO - Già! Dite un po’, don Bartolomeo, voi volete tutta la tenuta?

BARTOLOMEO - Tutta!

CARLO - In prevalenza è tutta vigna. Sono cinque ettari.

BARTOLOMEO - Sta qui l’affare: o tutta o niente.

CARLO - Trattammo per…?

BARTOLOMEO - Otto milioni e mezzo. Ho qui l’appunto segnato. (mostra un quadernetto sulla scrivania)

CARLO - Sì, vedo. Vi dispiacerebbe perderla?

BARTOLOMEO - Mi dispiacerebbe, se no non starei qui a perdere tempo, né a farne perdere a voi signor Conte.

CARLO - Che fareste, perché io ve la vendessi… magari a meno?

BARTOLOMEO - A meno di quello che abbiamo trattato?

CARLO - Per…

BARTOLOMEO - Per…

CARLO - Per la metà.

BARTOLOMEO - Voi scherzate.

CARLO - Non scherzo. Parlo seriamente. Volete che ve lo ripeta?

BARTOLOMEO - Sì.

CARLO - Che fareste se vi cedessi la terra per la metà del prezzo pattuito?

BARTOLOMEO - Che cosa potrebbe accontentarvi, fuorché il denaro?

CARLO - Fuorché il denaro? (dopo una pausa) Lasciamo andare. Vorrei salutare la signora Rosa e poi ci vedremo questa sera. A proposito: i fagiani?

BARTOLOMEO - Parliamo della terra. (lo invita a sedere)

CARLO - Don Bartolomeo… mi avete detto che cosa chiederei fuorché il denaro. Bene… una cosa che per me sarebbe tutto. Un gusto che non mi fa dormire, tant’è il desiderio di provarlo.

BARTOLOMEO - Cosa?

CARLO - (dopo una pausa) Vi dirò un’altra volta.

BARTOLOMEO - (trattenendolo) Ditemi adesso. Volete che chiuda la porta? (esegue)

CARLO - È un tesoro, per voi, quella terra. Un tesoro inestimabile… e ne avete uno che non teme confronti.

BARTOLOMEO - Quale?

CARLO - Rosa.

BARTOLOMEO - È una bella donna.

CARLO - Una cosa rara.

BARTOLOMEO - Ne siete innamorato?

CARLO - Sì, lo confesso. Ve ne eravate accorto? Dite la verità.

BARTOLOMEO - Sì, mi ero accorto che vi piaceva.

CARLO - Non sogno che lei, non vedo che lei notte e giorno. È come una smania, una febbre, una frenesia. Solo se mi guarda, se mi dice una parola anche sgarbata, mi si gonfia, il cuore di desiderio… un desiderio che non ha fine… e mi piace parlare di lei con voi; non so, il desiderio mi pare appagato. Ma basta. È vergognoso. Finiamola con questi discorsi. Sono stato un avventato e un ingrato. Ho ripagato male la vostra amicizia. Sono pentito di quello che ho detto e vi chiedo scusa… perdono. Non voglio guastare la vostra pace… Io sono ancora giovane e voi…

BARTOLOMEO - …un povero vecchio e per giunta attaccato al denaro come dice la gente.

CARLO - Io non so cosa dice la gente. Ma se lo rispettate il denaro fate bene. È per il denaro che si ruba, si ammazza, si finisce in galera, si rischia la vita. È saggezza, dunque essergli amico e metterne da parte. Del resto, io non avrei mai e poi mai cercato di scomporre la vostra famiglia. Questo no! Conosco il bene che le volete e quanto Rosa, per prima, tenga alla sua reputazione. (deciso) Don Bartolomeo, vi parrà impossibile, ma un certo momento, fra i mille e i mille pensieri per Rosa non ho pensato soltanto alla mia felicità, ma conoscendo il vostro modo di pensare, anche alla vostra, sì, soprattutto alla vostra. Mi sono detto: in fondo, potrebbe dare un valido aiuto finanziario alla sua famiglia, con i tempi che corrono, poi? Ai tempi d’oggi, c’è da badare poco a certi pregiudizi. Voi avete una certa età, Rosa è giovane e sotto questo aspetto, umanamente parlando, non è da invidiare. Vi rendete conto che una donna, quando sente scorrere per le vene quel vivo desiderio che la natura stessa le impone, ostacolarglielo è fatale, fatale, fatale. Potendo trovare, come dire, una reciproca comprensione senza suscitare scandali… si farebbe il bene di tutti. Feci un sogno, tempo fa. Sognai Rosa, elegante, altera, superba nella sua bellezza, bene vestita e ingioiellata… accanto a me… lieta, felice della sua femminilità, soddisfatta nello spirito e nei sensi, perché serena, calma, più bella che mai. Venivamo da una lunga e romantica passeggiata. Voi ci aspettavate ed io vi portavo tanto oro. Tutte monete lucide, lucide, e pacchi di denaro, denaro, denaro. E perle, brillanti… gioie, tante… che ne riempiste la casa. Poi… mi svegliai. Ma tutto questo è stato un sogno… un sogno che Bartolomeo… e non ne parliamo più. Diraderò le mie visite in questa casa e cercherò piano piano, di non farmi vedere più. Lascerò questo paese il più presto possibile. Mi stringete le mano? (gli tende la mano)

BARTOLOMEO - (senza prenderla, lo fissa, poi dice) Bel sogno.

CARLO - Vi siete offeso? Don Bartolomeo, io ho creduto di parlarvi franco, come si può parlare ad un uomo di mentalità evoluta.

BARTOLOMEO - Siete stato franco, non capita spesso di trovare un tipo franco come voi, don Carlo. In fondo, che c’è di male? Al cuore non si comanda, specialmente quando si è giovani. Il ragionamento che avete fatto, a parte il sogno, potrebbe essere giusto se lo si guarda da tre lati: primo, se io non volessi bene a mia moglie; secondo, se mia moglie non mi volesse bene; terzo, ma forse dovremmo considerarlo il primo, se voi foste capace di conquistare Rosa, ammesso che dovessimo scartare la prima e la seconda ipotesi.

CARLO - (ridendo) Se fosse così, Rosa non mi sfuggirebbe, don Bartolomeo.

BARTOLOMEO - Tentate, allora.

CARLO - (scandendo le parole) Voi mi permettereste di conquistare Rosa?

BARTOLOMEO - Vi rifiutate ora?

CARLO - Mi rifiuto? Non credo a me stesso. E… e… voi che farete?

BARTOLOMEO - (dopo averlo fissato negli occhi) Feci un sogno tempo fa…!

CARLO - Raccontate.

BARTOLOMEO - Io credo ai sogni… e… voi?

CARLO - Mai come in questo momento. Raccontate… m’interessa molto.

BARTOLOMEO - Sognai che eravamo seduti qua, io e voi, come adesso. Io vi parlavo della terra da acquistare e voi… di mia moglie. Ad un tratto concludemmo: l’una vale l’altra purché le cose… si facciano con una certa cautela. Voi impegnaste la vostra parola: “Non crediate di togliermela per sempre”, dissi io. “Non dubitate”, diceste voi, “si tratta di soddisfare un semplice capriccio… d’accordo?” “D’accordo”, risposi io. Mi cedeste, in cambio, i cinque ettari di terra con regolare contratto… e il sogno finì! Ma… si è

trattato di un sogno!

CARLO - (insinuante) E… se diventasse realtà? Se accettassi? (prende di tasca un foglio e lo mostra a Bartolomeo) Ecco la carta della zona che vi interessa. (Bartolomeo lo prende subito e subito inforca gli occhiali per osservarla attentamente) Guardatela. Dove sta la crocetta vi è compresa la casa colonica. In ottime condizioni. In tutto otto vani, con stalla, portico, fienile, porcile… l’anno scorso, nella zona, ci feci fare anche due pozzi artesiani. C’è acqua quanta se ne vuole. È una terra benedetta. Sarà la vostra ricchezza. Accettate?

BARTOLOMEO - (dopo un attimo di pausa dice deciso) Accetto. (rimette in tasca gli occhiali)

CARLO - Allora ecco il contratto. (lo mostra) Intanto firmerò il compromesso. Domani andremo dal notaio. (Bartolomeo non risponde) Don Bartolomeo, siete pentito? Se non volete, per carità, non se ne fa niente. Queste sono cose delicate e si capisce che uno ci deve pensare. Ci volete pensare?

BARTOLOMEO - Don Carlo, voi non farete scandali?

CARLO - Se ve lo prometto…

BARTOLOMEO - Voi capite che quello che sto per fare è enorme e lo faccio solo se la bocca resta cucita e se vi dimostrate uomo di parola: di parola!

CARLO - Contateci. Firmo?

BARTOLOMEO - Non mi farete restare solo? Ho un’età e Nunzia è vecchia.

CARLO - Vi ho già promesso che la vostra famiglia resterà intatta. Don Bartolomeo, che interesse avrei a suscitare uno scandalo? E Rosa stessa? Una donna maritata è sempre una donna maritata e non penserebbe mai a rovinarsi scioccamente la reputazione. Firmiamo il compromesso?

BARTOLOMEO - Rosa non deve sapere niente.

CARLO - Niente. Neanche l’aria…

BARTOLOMEO - Neanche… se non ci riuscirete?

CARLO - D’accordo. Firmiamo.

BARTOLOMEO - Un mese di tempo…

CARLO - Va bene, un mese.

BARTOLOMEO - Trascorso il quale, se non ci riuscirete, lascerete in pace la mia casa.

CARLO - D’accordo.

BARTOLOMEO - Intanto, io entro subito in possesso di ogni bene.

CARLO - Immediatamente.

BARTOLOMEO - Non ci riuscirete. E avrete fatto un pessimo affare. Di questo ne sono sicuro. Rosa non cede.

CARLO - Ci tento.

BARTOLOMEO - Rosa, oltre ad essere una moglie onesta, mi rispetta.

CARLO - Rischio. (entra Elisa) Intanto abbozziamo il compromesso.

ELISA - Papà…

BARTOLOMEO - Che vuoi?

ELISA - La zia si sente meglio.

BARTOLOMEO - Mi fa piacere.

ELISA - Io… volevo sapere di quella lettera che ti ha portato Vittorio… egli vorrebbe sapere…

BARTOLOMEO - Vattene; ho da fare.

ELISA - Ma Vittorio…

BARTOLOMEO - Ho da fare, ti ho detto. Si tratta di una cosa importante. Te ne vai? (Elisa rientra) Scrivete: (Carlo scrive mentre Bartolomeo detta) “Io sottoscritto, Conte Carlo Palazzolo, in data 15 settembre, eccetera… dichiaro che con questo compromesso…”

SIPARIO

ATTO TERZO

È tardo pomeriggio. Fuori, il tempo, è chiuso.

ELISA - (dalla sinistra entra chiamando) Giovanni? Velina? (esce per il fondo) Giovanni? (d.d) Giovanni?

GIOVANNI - (entrando dalla parte opposta) Comandi? Chi mi ha chiamato? (passando davanti alla dispensa) Che profumo! (annusa nelle fessure del mobile) Qui ci sono i salami… (annusa dalla parte opposta) Qui le caciotte: faranno la muffa. Che peccato! (sollevandosi sulle punte dei piedi) Qui i frutti canditi… il cedro… cosa pagherei per assaggiare un pezzo: uno solo. (cerca di forzare lo sportello) Se potessi allungare la mano… (allegro) Ci riesco… Ci riesco… (tenta ancora)

VELINA - (dal fondo) Che fai?

GIOVANNI - (sussultando) Mamma mia! Che paura! (ritrae la mano)

VELINA - Che stavi facendo? (interessata) Stavi cercando di aprire?

GIOVANNI - Stavo quasi per riuscirci, ma tu…

VELINA - Prova… portiamogli via qualche cosa, io faccio la guardia.

GIOVANNI - Ho paura del segnale, dov’è il padrone?

VELINA - In fondo all’orto. Sta contando i peperoni sulle piante. Prova, prova… coraggio!

GIOVANNI - (infilando le dita) Velina, ci ho messo tutta la mano…

VELINA - Continua!…

GIOVANNI - Ecco… (si sente forte la campanella d’allarme che squilla)

VELINA - Mio Dio!

GIOVANNI - Madonna Santa, non riesco a togliere la mano! Fai qualche cosa!

VELINA - Ora il padrone ti ammazza.

ELISA - (dal fondo) Velina?

VELINA - (Giovanni è rimasto con la mano presa nello sportello della credenza e l’allarme suona) Signorina?

BARTOLOMEO - (d.d) Giovanni? Velina?

VELINA - Io scappo.

ELISA - Aspetta, hai visto mio cugino?

VELINA - È uscito, mi pare.

ELISA - Dove è andato?

VELINA - Non lo so, in paese, credo. (esce di corsa)

GIOVANNI - (ad Elisa che fa per andare) Signorina? Mi lasciate così?

ELISA - Cerco mio cugino… e poi, anche se resto qui papà ti picchia lo stesso. (esce per il fondo)

GIOVANNI - Aiuto! Aiuto!

BARTOLOMEO - (seguito da Nunzia) Eccolo. L’ho preso!

GIOVANNI - (implorando) Padrone, io stavo spolverando.

BARTOLOMEO - (a Nunzia) Vammi a prendere il bastone.

NUNZIA - Perdonalo, via…

BARTOLOMEO - Vammi a prendere il bastone. (Nunzia esce) Che piacere che provo a vederti preso in trappola. Ci sei rimasto. Ci sei rimasto, eh? Me l’aspettavo!

NUNZIA - (rientrando) Non c’è il bastone, in camera tua non c’è.

BARTOLOMEO - Guarda nella verandina, ma fa presto. (Nunzia esce per un’altra porta) Questa giornata te la devi ricordare per tutta la vita. È così che mi sei fedele? Rubandomi? Non ti basta quello che ti do da mangiare? (forte) Non ti basta? Ladro!

NUNZIA - (dal fondo) Non lo trovo, questo bastone.

BARTOLOMEO - (gridando) Dov’è per Dio: dov’è il bastone?

GIOVANNI - Sta lì, nell’angolo, non lo vedete?

BARTOLOMEO - (prende il bastone) Te ne voglio dare tante, ma tante, che se anche dovessi pagarle mille lire l’una te le darei lo stesso! Toh! (lo picchia) Toh! (Giovanni piange) Toh! Toh! Toh! Prendi.

NUNZIA - Basta, riposati adesso, Bartolomeo.

GIOVANNI - Risparmiate qualche migliaio di lire.

BARTOLOMEO - L’ultima, toh! (gliela dà) Farabutto! (apre, con la chiave, la dispensa)

GIOVANNI - (cadendo quasi svenuto) Mio Dio!

ROSA - (entrando) Cosa succede?

BARTOLOMEO - L’ho pescato che stava per aprire la dispensa.

ROSA - E lo hai picchiato?

BARTOLOMEO - Per caso non vorrai difenderlo? (lascia, inavvertitamente, la chiave nella serratura della dispensa)

ROSA - Dico che sarebbe tempo di finirla, lui di rubare e tu di picchiarlo.

BARTOLOMEO - Smetta lui, per primo.

GIOVANNI - Non lo farò più.

BARTOLOMEO - (a Rosa) Sei ancora così?

ROSA - Così come?

BARTOLOMEO - Vestita così.

ROSA - E che cosa dovrei indossare? Il “decoltè”?

BARTOLOMEO - Che c’entra? Riordinati in po’. Se viene qualcuno a farci visita… (come ricordandosi) Appunto, aspetto don Carlo.

ROSA - Allora mi ci vorrà l’abito con lo strascico. Mi pare che ti occupi troppo di queste cose.

BARTOLOMEO - Mi piace che gli amici ti trovino sempre più bella e seducente.

NUNZIA - Ecco, questa è una bella idea, gentile.

ROSA - Bene. E da quando in qua ci sono venuti questi scrupoli?

BARTOLOMEO - Da quando sono riuscito a concludere un buon affare che mi permetterà di pensare di più alle tue necessità di donna… non ho più neanche la preoccupazione di Ortensia. Ha voluto andarsene.

ROSA - Mi compiaccio del tuo pensiero generoso, ma per ricevere Carlo così vestita, sto bene. (esce)

GIOVANNI - Posso andar via, padrone?

BARTOLOMEO - Vattene.

GIOVANNI - (comprimendosi con la mano sinistra la destra, piange) Ma io vado via da questa casa.

BARTOLOMEO - Una bocca di meno.

GIOVANNI - Sì, ma soprattutto due braccia di meno. E qui, di braccia, ce ne vogliono. Vai da questo, vai da quello, e vacci a piedi se no l’asino si sciupa la salute e i ferri, e bisognerà rimetterceli… e costano, come costano…spacca la legna, lava per terra, ramazza l’orto, fai questo, fai quell’altro. Anche il bucato ho fatto e pretendevate che lo facessi senza sapone. Il lavoro di quattro persone mi avete fatto fare, per poi darmi un sacco di legnate! Me ne andrò, e vedremo chi ci avrà perduto, se io o voi.

BARTOLOMEO - Io certamente. È la ricompensa che mi spetta dopo averti accolto a casa mia come un figlio. Perché è da un figlio che si pretende rispetto e devozione, gratitudine e affetto: da un figlio! E se finora non ho potuto…

GIOVANNI - (commosso) Papà…

BARTOLOMEO - Vattene. E non chiamarmi papà, non lo meriti!

GIOVANNI - Sì, vado… e resterò con voi… non vi lascerò!

NUNZIA - Vieni con me. (Giovanni prorompendo in un pianto dirotto le si butta al collo ed esce con lei per il fondo)

ELISA - (dalla prima a sinistra) Papà, questa lettera… è quella che ha portato l’altra sera Vittorio da consegnarti da parte dello zio Andrea. L’ho vista per caso sul tuo cassettone e tratta una cosa che riguarda anche me.

BARTOLOMEO - Lasciami in pace.

ELISA - Ma davvero non ti interessa il contenuto di questa lettera?

BARTOLOMEO - No.

ELISA - …ma dico: (legge) “…confido in te, mio caro fratello, in te che sei l’unica persona cara che mi sia rimasta al mondo. Ho sottratto una somma al bilancio mensile della mia banca ed entro quattro giorni debbo rimettere la somma al suo posto. Non rifiutarmi questa grazia. Altrimenti non sopravviverò alla vergogna e a quell’ora, te lo giuro sul bene che voglio a mio figlio Vittorio, che nulla sa di quanto mi accade, mi ucciderò”. (lasciando di leggere) Capisci?

BARTOLOMEO - Ebbene?

ELISA - Vittorio è qui da tre giorni… e il quarto giorno è questo… e “quell’ora” potrebbe essere un’ora di questa giornata… e… in “quell’ora” Vittorio non avrà più suo padre…

BARTOLOMEO - Lo sapevo da tre giorni.

ELISA - (indignata) E te ne sei stato sereno, tranquillo, come se nulla dovesse accadere? Un suicidio? Ma è una cosa orrenda, papà, una cosa di cui si deve avere terrore.

BARTOLOMEO - E cosa vuoi che faccia, io?

ELISA - Telegrafargli subito. Rassicurarlo. Salvarlo. Dare subito a Vittorio l’assegno per la somma che ti chiede e farlo partire immediatamente. Colla macchina non ci impiegherà molto. Si tratta di tuo fratello. Papà?!

BARTOLOMEO - Mi chiede otto milioni.

ELISA - Ti offre delle cambiali.

BARTOLOMEO - Ed io dovrei accettare delle cambiali da lui? Da un ladro? Ha sottratto denaro per darsi alla bella vita!

ELISA - Ha giurato sull’affetto che ha per Vittorio che ti renderà il denaro. E Vittorio stesso, quando saprà, lavorerà e si reputerà felice di lavorare per suo padre che è tanto buono.

BARTOLOMEO - È un pazzo, un megalomane, e sono state le sue idee di grandezza che lo hanno condotto sulla via del precipizio. Si sa bene come viveva a Milano, camerieri, servitori, lacchè, automobili, una per sé, un’altra per il figlio e un’altra per l’amante. Ecco le conseguenze. Quando lo andai a trovare con tua madre, a Milano, mi disse che avevo l’aria provinciale e che il mio abito era grossolano. E sai come mi chiamava da piccolo, perché fin da allora mi piaceva spendere bene il mio denaro? Spilorcio. È stata una parola che non ho mai dimenticato!

ELISA - Ascolta papà, se non vuoi farlo per lo zio, fallo per Vittorio, povero ragazzo, che non sa nulla e che, se dovesse accadere una disgrazia a suo padre ne morirebbe. E se non vuoi farlo per lui, fallo per me, per tua figlia. Faremo ancora più economia. Non mi comprerò più un paio di scarpe nuove dovessi ridurmi con le ciabatte ai piedi. Né vestiti, mi comprerei, e non mangerò più due volte al giorno. In ginocchio te ne scongiuro. (si inginocchia) Se non ascolterai le mie preghiere, sarò capace di tutto per salvare lo zio e Vittorio.

BARTOLOMEO - Ti preoccupa Vittorio? È lui che ti piace? È per lui che hai rifiutato settanta milioni? Non credi di doverla pagare una sciocchezza simile? E non credi che io sia già stato fin troppo buono con te?

ELISA - Ma papà…

BARTOLOMEO - Si arrangi, il signor Andrea! Ora lasciami in pace! (esce)

ELISA - Mio Dio! (rimasta sola ha un attimo di smarrimento, poi, dopo una esitazione, si guarda in giro e con decisione va a socchiudere la porta di fondo. Poi si avvicina al quadro che nasconde la cassaforte, lo sposta, compone il numero della serratura e l’apre: prende un sacchetto di tela rossa, pieno di monete e un portafogli. Richiude la cassaforte e fa per uscire per il fondo)

VITTORIO - (dal fondo) Oh! Elisa? Sono stato in piazza all’ufficio telefonico, ma era chiuso. Volevo telefonare al babbo per sapere se potevo restarmene qui ancora qualche giorno e nel frattempo domandargli due cose: la prima, se mi permette di sposarti, e questa è cosa certa; la seconda, perché mi ha mandato qui con quella lettera. (notando l’agitazione di Elisa) Che cosa hai? Sei preoccupata?

ELISA - Devi partire subito e raggiungere tuo padre.

VITTORIO - Perché?

ELISA - È in percolo.

VITTORIO - Cosa dici?

ELISA - Sì, è in pericolo e papà vuole che tu vada subito da lui.

VITTORIO - Da lui? Voglio parlare con lo zio.

ELISA - Lascia stare lo zio. Egli mi incarica di dirti di partire subito e raggiungere tuo padre. Non vuole che tu gli domandi niente. Vieni, ti prego, ti spiegherò meglio. (escono)

NUNZIA - (dal fondo assieme a don Carlo) Accomodatevi, don Carlo, Bartolomeo viene subito.

CARLO - Grazie. La signora Rosa è in casa?

NUNZIA - Per servirvi, sissignore. (ammirandolo) Come siete elegante. Più del solito.

CARLO - Grazie. Ma io sono sempre elegante. Ho visto Elisa, che saliva in macchina assieme al cugino.

NUNZIA - Una passeggiatina…

CARLO - Si sposeranno, vero, Elisa e Vittorio?

NUNZIA - Che ne so io?

CARLO - In paese si dice.

BARTOLOMEO - (entra) Buon giorno. Ben tornato.

CARLO - Ben trovato, don Bartolomeo. Avete una buona cera.

BARTOLOMEO - Dovrebbe essere il contrario. Si vede che Dio mi protegge. Stavano per rubarmi.

CARLO - Davvero? Un ladro?

BARTOLOMEO - Il mio servo. Traditore come Giuda. L’ho sorpreso che stava per scassinare…

CARLO - …la cassaforte?

BARTOLOMEO - No… e poi, chi ha cassaforte in casa?

CARLO - Allora?

NUNZIA - La dispensa. Stava per aprire la dispensa di nascosto.

BARTOLOMEO - Ingordo, non c’è cibo che gli basti, e non solamente a lui. Anche tu, Nunzia. (azione di Nunzia) Anche tu, sì. Poco fa, ti ho vista dalla finestra, stavi nell’orto, ti sei guardata intorno, e come una ladra, hai strappato un pomodoro dalla pianta e te lo sei mangiato avidamente! È così che mi curi l’orto? È così

che rispetti la roba degli altri?

NUNZIA - Avevo un po’ di languidezza… ieri sera…

BARTOLOMEO - È un languore generale… vattene e avvisa mia moglie di non uscire perché, poi, la chiamerò. (Nunzia esce) Tutti affamati in questa casa.

CARLO - Ho portato il compromesso firmato, secondo l’accordo di ieri.

BARTOLOMEO - Non ci pensavo più.

CARLO - Ho scritto tutti gli accordi che riguardano la compravendita. A conclusione c’è una mia dichiarazione dalla quale risulta che mi avete versato, alla firma, un acconto di tre milioni. Domani, dal notaio, che è persona di mia fiducia, stipuleremo il contratto di vendita e sarete rimborsato anche delle spese di registrazione. Va bene?

BARTOLOMEO - E il compromesso?

CARLO - (mostrando il compromesso) Eccolo. Prendete atto della dichiarazione della avvenuta caparra. (Bartolomeo osserva il foglio) Don Bartolomeo… voi… non vi siete mai mosso dal paese? (si riprende il foglio) Vi siete mai mosso?

BARTOLOMEO - Sì. Dieci anni fa, quando, assieme a Rosa, mi recai a Milano a far visita a mio fratello.

CARLO - Poi… mai più?

BARTOLOMEO - Mai più. Ma che c’entra questo con i nostri affari?

CARLO - (accendendo una sigaretta) Permettete? Mi spiego; un viaggetto, così, per affari… lo crederei opportuno. Non voi solo, si intende, ma con la signorina Elisa e Nunzia. “Approfittando di questo affare che devo concludere”, potreste dire, “voglio portarvi a fare in viaggetto così vi divertirete un po’”. Una volta via da questa casa, voi mi capite… tutto sarà meno complicato e criticabile. Naturalmente, se lo chiedeste, vi rimborserei anche le spese di questo viaggio. (Bartolomeo tace) Allora?

BARTOLOMEO - Don Carlo, pensando ai diversi aspetti di questa faccenda, io non so chi di noi due è più riprovevole o più furbo. Questa notte non ho potuto dormire pensando a tutto quello che ci siamo detti ieri sera. Avrete immaginato di me chissà che cosa, ma non crediate che io vi abbia risparmiato nella pessima considerazione in cui vi tengo. Credete che a Rosa, io, non voglia bene? Sono vecchio e capisco che non sono il marito ideale per una donna come Rosa… Ma il cuore è sempre giovane nel petto di chicchessia e a immaginare Rosa fra le braccia di un altro uomo… mi sento correre un brivido per le vene, non so decidermi e mi viene da piangere come un bambino. (piange) Voglio dirvi una cosa: siete un farabutto, un gran farabutto! Certe cose non si propongono. Né si accettano, è vero, per questo sono un farabutto anche io! (piange)

CARLO - Non fate così, don Bartolomeo, non se ne fa più niente e amici come prima, come nulla detto, come nulla avvenuto tra noi.

BARTOLOMEO - Forse sarà meglio così.

CARLO - D’accordo. Peccato! Nella vendita avevo incluso anche la casa colonica. Questa notte ci ho ripensato e mi son detto: in fondo mi conviene non disgustarmi don Bartolomeo… così… ma non fa niente. (come ricordando) Ah, vi avevo incluso anche i maiali. (ridendo) Ma guardate un po’ che pazzo! Capisco che per me Rosa vele un tesoro, ma Santo Dio, una tenuta di cinque ettari di terra a vigneto e ulivi, una casa colonica di otto ambienti e stalla, fienile, porcile, due pozzi artesiani con due motori nuovi, marca “Vittoria” mi pare che non sia poco. (rimettendo in tasca il compromesso) Non fa niente. Come vi dissi ieri, mi allontanerò dal paese. Pazienza! Il viaggetto andrò a farmelo io.

BARTOLOMEO - Mi dispiace di perdere la vostra amicizia.

CARLO - Non pensiamoci più, tanto più che la tenuta la venderò lo stesso. Come sapete, ero in parola con don Benedetto, il consigliere comunale.

BARTOLOMEO - (pensando ad altro) Ah?!…

CARLO - Arrivederci, don Bartolomeo, e tanti saluti a Rosa.

BARTOLOMEO - (fermandolo) Ditemi…

CARLO - Dite?

BARTOLOMEO - Non sposereste Elisa?

CARLO - In cambio di Rosa? No.

BARTOLOMEO - Siete scapolo, e le darei anche una piccola dote.

CARLO - Sinceramente vi dico di no. Bella ragazza Elisa… ma… (gli tende la mano)

BARTOLOMEO - Dove dovrei andare? Non mi sono mai mosso dal paese. Ho le mie abitudini e poi… che avverrebbe di questa casa senza il mio controllo? Potrei lasciare Nunzia… con la consegna di non disturbare troppo Rosa ma di badare a Giovanni e a Velina. A don Milone, pregandolo, potrei dare l’incarico di curare i miei interessi. Ho qualche bottega affittata, in piazza… ma penso che Elisa non verrebbe con me. È più attaccata alla madre. Ma facendo la voce grossa, potrei tentare.

CARLO - Fate scegliere a Elisa il luogo dove vorrebbe andare. Le farà piacere scegliere lei stessa un posto per divagarsi un po’. Sta sempre tappata in casa e non le sembrerà vero.

BARTOLOMEO - Potrei dirle che le permetterei, in un secondo momento, di far tornare qui mio nipote Vittorio, so che simpatizzano…

CARLO - Decidete voi, purché partiate.

BARTOLOMEO - Quanto tempo?

CARLO - Vi chiamerò io. E la partenza?

BARTOLOMEO - Al massimo tra due o tre giorni. Il tempo di raccogliere un po’ di roba.

CARLO - Posso fidarmi della vostra parola? Perché nel caso di uno scherzo, don Bartolomeo, saprei rendervi la pariglia. Ho la lingua lunga io… sarebbe una gran vergogna per voi sentirvi pubblicamente smascherare.

BARTOLOMEO - Vi dico di credermi e di fidarvi. Datemi il compromesso. (vedendo Rosa che entra) Rosa?

CARLO - (galante) I miei omaggi devoti, Rosa.

ROSA - Disturbo?

CARLO - Voi disturbare, Rosa? Si stava parlando, con vostro marito di un viaggetto.

BARTOLOMEO - Già, di tratta di un affare che dovrei concludere a… a…

ROSA - Un affare? Deve essere un affare che ti sta molto a cuore per deciderti a partire.

CARLO - Infatti si tratta di un affare molto importante mi diceva.

ROSA - Mi fa piacere. E dove devi trattare questo affare?

BARTOLOMEO - A… a… è un affare che mi ha proposto Milone… si tratta di una tenuta: però non ricordo la località.

CARLO - L’affare è ottimo, ma credo che farete un buco nell’acqua. Visto però che insistete per andarci, andateci.

ROSA - (prendendo dalle mani di don Carlo il compromesso) Permettete?

CARLO - È un compromesso che devo consegnare a vostro marito.

ROSA - Capisco. (forte) Datemelo! (lo prende e lo strappa)

BARTOLOMEO - Rosa, che fai?

ROSA - Almeno questa macchia la voglio togliere dalla tua sporca coscienza. (a Carlo) Complimenti, don Carlo. Se ogni donna che volete conquistare vi costa cinque ettari di terra, con tutte le donne che vantate di avere conquistato immagino quale doveva essere il vostro patrimonio terriero. Padrone dell’universo.

BARTOLOMEO - Ma Rosa…

ROSA - Andrò via da questa casa e per sempre. Elisa verrà con me e penserò io alla sua felicità. Me ne andrò da mio zio. (a Carlo) Uscite di casa, voi e finché ci sarò io non ci metterete più piede.

CARLO - Mi dispiace, Rosa, ma…

ROSA - Forse voi deridete questa mia onestà che ha per risultato tutto questo, ma l’onestà è un sentimento con il quale si nasce e più lo si combatte tanto più è bello e giustificato. Avreste potuto coprirmi d’oro, mi sarei sottratta ugualmente alle vostre provocazioni. Andatevene.

CARLO - Vi auguro buona fortuna. (esce)

BARTOLOMEO - Rosa, tu hai capito, io ho fatto finta di assecondare i suoi desideri per trarne profitto e prendermi la sua tenuta. Una volta fatto il contratto lo avrei cacciato via di casa come si meritava. Sapevo bene che tu l’avresti rifiutato. È un millantatore, in paese lo sanno tutti. Nessuno gli avrebbe creduto e noi saremmo diventati più ricchi.

ROSA - Ho sentito tutto quello che vi siete detti… Non dirò nulla ad Elisa. Non voglio che un giorno mi possa rimproverare di averle dato un padre capace di barattare l’onestà di sua moglie per un pezzo di terra, con casa colonica e maiali. Bartolomeo, sapessi quante volte ho pensato alla nostra felicità. Specialmente durante i primi anni di matrimonio. Ti volevo bene allora. Mi dispiaceva vederti sempre preoccupato, sospettoso ed incerto, ed allora mi dicevo: “Io sono sua moglie, ho il dovere di aiutarlo, forse quello che dice

lui è ben fatto e anche io voglio fare come lui”. Ebbene, adesso ti posso dire che non ci abbiamo guadagnato niente. Quante gioie perdute per così poco, Bartolomeo. Quanto ci sarebbe costato, allora, essere veramente felici? Tentarlo, almeno? Una semplice gita di svago, un dono, un qualsiasi desiderio soddisfatto? Poco. Adesso? Adesso per noi queste cose, sia pur semplici, non hanno più prezzo perché non possiamo più farle. I figli! Gli “altri” figli che tu non hai voluto io ti dessi per non “accrescere” il peso della famiglia, come dicevi tu, quanto varrebbero adesso? Miliardi! Allora ci sarebbero costati solo qualche piacevole preoccupazione e ci avrebbero data tanta, tanta felicità. Anche io ho sbagliato. Avrei dovuto “pretendere” e non secondare le tue manie; ma ti volevo bene. Dicevo, guarda quanti sacrifici fa per noi. E non mi rendevo conto che invece i sacrifici eravamo noi a farli: tua figlia ed io. (entra Nunzia) E adesso che ti ho conosciuto, adesso che ho visto quello che realmente sei, Bartolomeo, ti devo lasciare. Me ne debbo andare. Non si può, non si deve voler bene a chi non vuole e non sa volerti bene. Avrei vergogna di me stessa.

BARTOLOMEO - Rosa, tu non mi lascerai! Tanto meno continuerai a parlarmi in tal modo.

ROSA - Parlerò come voglio e farò quello che voglio. Intanto dammi i gioielli: sono miei.

BARTOLOMEO - Non te li do. Tuo zio li affidò a me.

ROSA - Ed ora li rivoglio. Dammeli o sono capace di fare uno scandalo. Ti muovi? Li voglio adesso, perché adesso voglio lasciare questa casa maledetta. Ti sbrighi? (a Nunzia) Nunzia, digli che li metta fuori!

BARTOLOMEO - Non te li do. Conservo una lettera di tua zio nella quale mi raccomanda la buona conservazione di quegli oggetti.

ROSA - Me li darai per quanto è vero Dio!

BARTOLOMEO - Non te li do. Vuoi lasciarmi? Vattene. Almeno i gioielli serviranno a ripagarmi di tutte le spese che ho sostenuto per te in venti anni che siamo stati insieme. Ti diede la dote tuo zio? No! Sei entrata povera in questa casa: povera!

ROSA - (furiosa) Ma ricca di giovinezza e tu te la sei presa dandomi in cambio la tua vecchia esosità. Vivevi solo in questa casa, come un lupo nella sua tana, abbandonato da tutti. Assecondato solo dall’affetto morboso di questa povera donna. (indica Nunzia) Ridammi i gioielli!

NUNZIA - Non facciamo scandali per amor di Dio… Badate a quello che fate tutti e due. Bartolomeo accontentala. Su… te ne prego io…

BARTOLOMEO - E va bene. Del resto si tratta solo dell’anello col brillante.

ROSA - Le due spille di brillanti, i tre bracciali d’oro, l’orologio d’oro di Elisa e gli orecchini con gli zaffiri. Presto!

BARTOLOMEO - Vai di là e ti darò i gioielli…

ROSA - So bene che la tua cassaforte è lì, sotto quel quadro.

BARTOLOMEO - Chi te lo ha detto? L’hai aperta? (fuori si sé) L’hai aperta? Chi te l’ha detto?

ROSA - Spicciati.

NUNZIA - Bartolomeo, stai tranquillo, nessuno l’ha mai aperta, non agitarti. Rosa, me lo fai morire così.

ROSA - Tientelo caro il tuo Bartolomeo. (a Bartolomeo) Insomma, ti muovi?

BARTOLOMEO - (che ha spostato il quadro in fondo ed ha aperto la cassaforte) Ecco la borsetta… (Rosa la prende e ne esamina il contenuto. Bartolomeo, intanto, si accorge della mancanza del portafogli e del sacchetto di monete) Mio Dio, Nunzia? (forte) Nunzia? Mi hanno derubato. Le monete d’oro, il sacchetto rosso, il portafogli. Tre milioni in biglietti da diecimila, mille sterline d’oro.

NUNZIA - Sei sicuro di aver messo tutto qui dentro?

BARTOLOMEO - E dove vuoi che tenessi il mio denaro? Sotto un mattone? (barcolla) Mio Dio… mi gira la testa… ora sarete tutti contenti di vedermi ridotto alla carità. (sempre più agitato) Alla carità! Alla carità!

NUNZIA - Ti farai scoppiare il cuore…

BARTOLOMEO - Tra i ladri ho vissuto. Tra gente che ha cospirato giorno e notte contro la mia salute. Ho lasciato vivere degli sciacalli, permettendo loro che mi mangiassero vivo. (a Rosa) Non ti muoverai di qui. Dì pure tutto quello che vuoi, non ti crederanno. Crederanno a me che ho i capelli bianchi. Ti giudicheranno invece una sconsigliata per volere abbandonare la mia casa, e quel che è peggio, per aver corrotto mia figlia che non ha più timore del padre né più rispetto. (chiama) Giovanni! Velina! Mio nipote, dov’è?

GIOVANNI - (dal fondo seguito da Velina) Comandate.

BARTOLOMEO - (indicando un angolo della scena) Lì, tutti lì. Manderò a chiamare il maresciallo. Tutti in galera.

GIOVANNI - Ma io, padrone…

NUNZIA - Tu stai zitto, e mettiti là.

BARTOLOMEO - Anche tu mettiti lì con gli altri: ladra! Ti ho segnata, ti ho sorpresa che rubavi. (chiama) Elisa?! Dov’è Elisa? Chiamatela. (a Giovanni che fa per entrare) No, resta, non muoverti ti ho detto. (si accascia su una sedia) Mio Dio, mi sento soffocare… mi sento male… male…

NUNZIA - (soccorrendolo) Bartolomeo? Bartolomeo? Il diavolo, il diavolo c’è in questa casa! Rosa, chiama qualcuno… (esce per il fondo)

ROSA - Vado a cercare Elisa e Vittorio, verranno con me. Ho la coscienza pulita, io! (esce)

VELINA - Anch’io! E tanto perché lo sappiate, io seguirò la mia padrona. Andasse anche all’inferno. All’inferno, non potrei stare peggio di qui!

VITTORIO - (seguito da Elisa) Zio, immagino cosa sarà successo. Non abbiate paura, tutto è salvo e non incolpate nessuno, che non sia Elisa, di quanto è accaduto. Voleva salvare mio padre. Quanto a lui, l’ho scongiurato per telefono di non commettere follie, assicurandolo che appena sarò ritornato a Milano, questa sera, troverò la persona che potrà salvarlo: c’è tempo fino a domani.

BARTOLOMEO - (ad Elisa) Tu? Sei stata tu? Tu, mi hai rubato? Tu? Mia figlia! E come hai potuto fare ciò? Ah, per amore di quel pazzo di tuo zio e di questo degnissimo figlio? Ma non vi sposerete!

ELISA - Noi ci vogliamo bene.

BARTOLOMEO - Intanto, dov’è il mio denaro? Fuori, o vi faccio arrestare tutti!

ROSA - (entrando) Elisa, dove sei stata?

ELISA - (le si avvicina) Mamma…

VITTORIO - Vi spiegherò, zia Rosa, una ragazzata a fin di bene.

BARTOLOMEO - (forte) Fuori il mio denaro! Dov’è?

VITTORIO - Eccolo. (glielo dà) Il vostro denaro! Sappiate che né io né mio padre, né Elisa, vorremmo una sola lira del vostro denaro. Elisa sarà mia moglie, come è vero che mio padre sarà salvo.

BARTOLOMEO - (agguanta il denaro e se lo stringe al petto mentre grida con quanto fiato ha in gola) Ladro! Ladro: tu e tuo padre: tutti e due ladri!

VITTORIO - (lo supera con tono di voce e continua) Elisa verrà con me… Non ho tempo da perdere.

ELISA - Vengo con te. (Vittorio esce rapido per il fondo)

ROSA - No, tu verrai con me. (a Bartolomeo) Non porterò nulla con me perché non ho nulla da portare. Resta solo, con la miseria della tua ricchezza. (esce con Elisa)

NUNZIA - (entrando seguita da Fortunato) Qui… qui… Si è sentito male, fategli qualche cosa, la solita iniezione.

FORTUNATO - Ora si vedrà. Intanto fate scaldare un po’ d’acqua. I rubinetti sono aperti o no?

GIOVANNI - Sul fuoco c’è la pila con l’acqua.

FORTUNATO - Intanto mettiamolo a letto. (aiutato da Giovanni conduce Bartolomeo via con tutta la sedia dov’è seduto)

NUNZIA - (prendendo il portafogli e il sacchetto) Questi soldi… maledetti… maledetti… (esce di scena)

VELINA - Quello ci ha i sette spiriti, come i gatti. Addio! Vado a fare la valigia. Vieni via anche tu, altrimenti ci rimetterai la pelle.

GIOVANNI - Velina! Ha dimenticato la chiave nella serratura della dispensa.

VELINA - Già…

FORTUNATO - (entra con espressione grave, seguito da Nunzia che piange sommessamente) Vado a chiamare il medico per la constatazione del decesso. Nessuno lo tocchi. (resta a scrivere qualche cosa nel suo taccuino)

NUNZIA - (affranta) Ecco qua. Una casa e una famiglia distrutta per sempre. Ah! Il prete. Almeno che lo benedica… (esce piangendo)

GIOVANNI - Don Fortunato? Beh?

VELINA - Che gli è successo?

FORTUNATO - Una sincope. Pace all’anima sua. Nessuno lo tocchi. (esce per il fondo)

GIOVANNI - Morto! Ci credi?

VELINA - Mah!

GIOVANNI - (si accosta alla dispensa e l’apre con cautela. Immediatamente dall’interno squilla il solito segnale. Impauriti i due si nascondono a lato della dispensa. Pausa. Il segnale suona a lungo. Giovanni con circospezione si avvicina cauto alla porta di Bartolomeo, origlia un attimo, poi con gioia grida) È morto!… Velina, è morto! (corre alla dispensa e con avidità mangia quello che trova imitato da Velina)

SIPARIO