L’amico tradito

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L'amico tradito

L'amico tradito

Di Pier Maria Cecchini

PERSONAGGI

PANTALONE,

veneziano

CINZIO,

suo figlio

DOTTOR GRAZIANO

VIRGINIO,

figlio

CELIA,

nipote vien oggi da Bologna

FRITELLINO,

servo di Virginio

FLAMINIA,

amata e non anco sposata da Cinzio

BAGATTINO,

servo

FRANCESCHINA,

serva

CARLUCCIO,

bambino, figlio di Flaminia e Cinzio

CAPITAN RINOCERONTE

[AL DUCA SANNESIO]

Illustrissimo ed eccellentissimo signore,

L'Amico tradito, comedia da me composta nell'estiva stagione prossima passata, benché ella sotto precetti d'Aristotele non abbia avuto il suo natale, nulladimeno, fatta ardita dalle mie ragioni, osa comparir avanti gli occhi di vostra eccellenza. Vanno le mie ragioni fondate su l'antica servitù che sempre professai divotissima alla felice memoria dell'invitto suo genitore; e non tralignante verso la persona di vostra eccellenza, a cui, per mille favori ricevuti, tanto devo.

La gradisca almeno come parto d'un suo servidore, e pieghi tal ora lo sguardo verso le sue carti, più d'errori piene che di concetti, e me conservi, mentr'io l'inchino, nell'estimatissima sua grazia.

Di vostra signoria illustrissima ed eccellentissima umilissimo servitore Pier Maria Cecchini

ATTO PRIMO

SCENA I

pantalone e dottore

pantalone.

È possibile che sto mondo no possa star senza despareri?

dottor.

Da i dsparer nass l' discordi, da l' discordi l' lit, e da le lit la vita d'i duttur.

pantalone.

I mii despareri ne incaga a i dottori, puo' che no i puol zenerar lite, né altre discordie, che la separazion della nostr'amicizia.

dottor.

Amicitiam frangere potest dici frangere amicitiam et amicus non est amicus, si amicitia non durat.

pantalone.

I sensi de sti vostri latini tanto volgari xe così balordi, quanto che Verzinio vostro xe un dissoluto, per la qual cossa no vogio che Cinzio mio fio pratica più con esso, sotto pena della privazion de tutte le mie facultae, perché ho molto ben compreso che tutto quello che lui opera de mal xe tutto in vertù del mal esempio e del mal consegio de vostro fio.

dottor.

Putana d' mi, an sidi in la gran colra, e sì ha parladi tant'alterad, ch'al s' comprend ch'avidi pers 'l giudizi, e sì an savidi quel ch'an dsì.

pantalone.

Come, se so quel che digo, se mio dir xe fondao su 'l far de mio fio?

dottor.

Vostr fiol ha del far? Mo a lu ndrà ben, perché l'è car quest'ann. E chi gh' l'ha dà Virgini? Ah furb, al m' l'ha rubà a mi! Dadm un poch al mia far, via prest, al mia far.

pantalone.

No se intendemo, sior capochia.

dottor.

Com ch'an v'intend? Al se delina hoc far farriis al furment triticum tritidici. La fava, faba fabae, la fava picciola, haec fabula, fava porcina, Scribonius Cargus. An intend molt ben mi!

pantalone.

Nol xe el far nome, el xe el far verbo, che significa far poltronarie come fa vostro fio, e che sia la veritae, eccolo ch'el vien in qua con una putana.

(E si ritira)

dottor.

O pota d' Zuda, questa è Celia mia nazza, che vien da Bologna per mudar aria.

SCENA II

virginio, celia con una serva [dottore e pantalone]

virginio.

Signora cugina, non mi poteva il Cielo favorir d'avantaggio, che nel farmi giunger a tempo di poterla servire. Ma perché non mandar avviso della sua venuta?

celia.

Lo incomodo non premeditato dà meno incomodo.

virginio.

E qual noia puol porgere chi con la sua presenza non solo scaccia la noia, ma tiene suprema virtù di poter introdurre una consolatissima gioia?

celia.

Signor cugino, le cirimonie ch'oltra passano i termini credibili o sono favolose o puoco lontane dal scandaloso. Non vorrei che fosti udito, per quanto io amo il nostro decoro.

dottor.

(Si fa innanzi, l'abbraccia, e dice)

Oh sgnora Celia, sgnora nvodina mia dolza, mo ch' gust, oh ch' consulaziun, sana, bella, grassa, tonda, mobida e tutta gudibil. Vgnì in ca', vgnidù a rpusar su 'l let. Andem.

virginio.

Entriamo tutti, entriamo.

(Tutti entrano. Pantalone riman solo, senza aver mai udito nulla, ma però, vedute le cerimonie, dice)

pantalone.

Non ho mai visto el più grazioso ruffian de quel dottor, né 'l più libero putanier de so fio, né 'l più bel postribulo de quella casa.

SCENA III

cinzio, pantalone

(Cinzio nell'arrivar guarda le finestre di Flaminia. Pantalone l'osserva, Cinzio dice)

cinzio.

O albergo, vera cagione che Cinzio viva senz'anima. O anima, che colà dentro vivi in Flaminia e che Flaminia sia quasi moribonda, quantunque abbia due anime.

pantalone.

Ecco quel furbo, che guarda, parla e sospira. Ghe voio mortificar le rene con sto baston che vedo qua in terra. Tiò, tiò, tiò, pezzo de can, nemigo mio, scandolo della zitae e traditor di sé medemo!

cinzio.

A me signor padre? a Cinzio? a vostro figlio?

(Pantalone li dà una mano su 'l volto e li rompe il naso)

cinzio.

Ohimè, cavarmi ancor sangue? Questo è pur vostro sangue; e, quello che più vi deve premere, sangue innocente.

(Pantalone piange sotto voce)

cinzio.

Quel sangue che sparso per altro accidente vi averebbe tutto contaminato, ora viene violentato da voi e forse con qualche diletto?

pantalone.

Ohimè, ohimè, i me.

cinzio.

Quel sangue (dico) pura residenza di quell'anima che il Cielo vi fe' mediatore per farla scender in questo corpo?

pantalone.

Non più, ché ste viscere (pur massa tormentae da altri accidenti) no puol più far, incontro al martirio de ste parole, convertie in tante stilettae per destruzer sto corpo, forsi nassuo perché ti nasci, e che senz'altro morirave si ti morissi. Lievate in piè, abbrazzame e basame.

cinzio.

Io non mi levarò mai, s'io non son fatto sicuro che il vostro sdegno abbia finito di contaminar il vostro amore.

pantalone.

Ecco, che mi te lievo, e per segurezza della purità del mio affetto, te do sto baso, e per certezza del pronto mio effetto, te dono sta borsa con zinquanta zecchini trabuccanti. Paga (se ti ha qualche debito) e vien a casa a portarme e a consolarme con quella parte che me manca, quando ti è fuora. A Dio Cinzio.

(Cinzio riman solo)

cinzio.

Segno evidente di ribellata natura al corso di una longa avarizia. O Cielo, e che favori son questi? Anzi, che grazie, in tempo di tanta necessità di Flaminia mia.

SCENA IV

bagattino e cinzio

bagattino.

O povertà, muda luogh! Se non am senti, che 'l bisognarà che mi muda mond, puo' ch'in quest am senti morir de fam.

cinzio.

Ecco quell'infelice di Bagattin, il quale ha unite all'infelicità della sua nascita, l'estremità di quelle de gl'accidenti di Flaminia.

bagattino.

O signor Cinzio. Perdoném, che non g'ho fiat de respondia plu fort, perché l'è doi dì, che tra la signora Flaminia non avem mangiat otter che una zambela da un baioch e un tochet de formai, scampat de bocca a un sorgh, che fuziva de cumbat.

cinzio.

Miseria che solo a udirla contamina e confonde tutt'i nostri sensi.

bagattino.

E a provarla contamin e ammazza i desgraziat.

cinzio.

Che dice la signora Flaminia?

bagattino.

La no parla, per non mandà fuora quel poch de fiat che gh' serv a pena per respirà.

cinzio.

E ho inteso, tu vòi ch'io mora, poiché la mia vita tanto vive, quanto sa che Flaminia vive.

bagattino.

Ul voster viver e morir, sta su le relativ, ma al noster sta su la sustantaria. Mo quel voster bambì, quella cara lengueta, che sa nominà tutt le cose mangiative se ben nol ghe ne ha mai niguna?

cinzio.

Non più afflizioni, non più digiuni o patimenti, poiché le cose passate son tutte finite.

bagattino.

E so anca mi che tutt le cos passat son finide, ma l'è le present, e quelle ch'an da vegnì, che me dan travai.

cinzio.

Ecco il rimedio delle presenti e delle future, eccoti una borsa con cinquanta zecchini. Spendi, mangia, mangiate, state allegri, che forse non mancarà mai più nulla.

bagattino.

Il nulla non n'amanca mai lui, perché l'avem sempre, l'è un qualche cose che n'aviva abbandonat.

cinzio.

Orsù, guarda che la borsa non ti sia rubata. Di' alla signora Flaminia che questo è il tempo di adoperar la prudenza e di vincer soffrendo quello che perderebbe disperando. Bacia il mio Caruluccio, il mio caro figliuolo, compragli ciambelle, frutti e tutte quelle galanterie, le quali son proprie della sua età.

bagattino.

Non è tempo de galanterie, né de zambele, ma de pan, vin, manestra, formai, macarù, carne de bò, con al rest de quelle cose, che la natura me andarà de man in man a dandom la lista.

cinzio.

A Dio Bagattino, mille saluti a quella a cui è appoggiata la mia salute.

(E via)

bagattino.

A Dio signor Cinzi. Zinquanta zecchini? Am dubiti che la quantità non me intorbide la liberalità e che n'm' passi via al temp del spender e del mangià.

SCENA V

capitano e bagattino

capitano.

Io ho perduta la traccia di Celia. Mi dubito che Marte, per farmi una burla, non voglia fingere di averla tolta in fallo per Venere e averla condotta in qualche luoco alle strette. E se ciò credessi su il saldo, le belle piattonate ch'io li vorrei dare! Ma ecco chi me ne saprà forsi dar qualche indizio.

O buon compagno. A Dio, a Dio.

bagattino.

Questa è un'invenziù per invidarm a spender i zinquanta zecchì. Am vuoi logà la borsa. Bondì fradel, bondì.

capitano.

Fratello a chi?

bagattino.

A vu, sol ve par d'essern degn.

capitano.

Degno di che?

bagattino.

D'avì un fradel che sia galant'om.

capitano.

E che ti pensi ch'io sia? Furfante, ignorante, briccone, mascalzone, impiccato, malcreato.

bagattino.

A nol so, nol vuoi savì, no mel desì, lassém sta e andé in colà, che ho olter in cò, che sta chilò, a menà boi, con un sonai da sparavier, a Dio messer.

capitano.

Férmati, in virtù di quell'ordine che puol far che si fermino tutti gli eserciti, ancorché marcianti, spironanti e fuganti.

bagattino.

Am fermi, che i furfant, a tutt i or, ha da obedì a i so mazor.

capitano.

Levati il capello.

bagattino.

Eccol levat.

capitano.

Rispondi con riverenza. Hai tu veduto passar di qui la Bellezza in abito di campagna?

bagattino.

Signor no.

capitano.

Hai tu veduto rapir da Marte una che pareva ma non era Venere?

bagattino.

Signor no. Ho ben vedut rapir da Sabàt un che pariva ma non era po' vu.

capitano.

Tu non m'intendi, bisogna ch'io parli più aperto, più chiaro, più intelligibile, più proprio e accomodato al tuo sapere, al tuo ingegno e alla tua intelligenza. Hai tu veduto passare una gentildonna accompagnata da una serva, che veniva da questa parte?

bagattino.

Signor no; ma signor no sul sald, signor no maiuscolament, e signor no, per quant am pudì creder che v'abbia per un chiacchiarù.

(E va correndo)

capitano.

Io non mi poteva imbatter in peggior di costui. Voglio cercar tutta la città, e quando mi avegga esser disperato il negozio di ritrovarla, voglio ritirarmi in un luoco il più eminente della città, e con un soffio gettar a terra tutte le cose. No, ché se Celia fusse in qualcheduna di esse potrebbe perire. Non caderebbe quelle ove fusse Celia, se non per quanto fusse per lasciar Celia visibile a gl'occhi del Capitano; che non può il mio fiato, ben che convertito in Borea, o d'Aquilone, far altro uffizio che di rifrigerante con la mia bellissima Celia. Io non voglio perder più tempo, poiché anche Celia patisce in estremo, non mi vedendo.

SCENA VI

virginio e fritellino

virginio.

Ed è pur vero, o Fritellino, che l'amicizia ch'io tengo con Cinzio, e l'amor grande ch'io le porto, fanno ch'io sia nemico a me istesso, e che per lui ancora abbia in abborimento me medemo.

fritellino.

Se così è, farete rider gl'amici, e in breve tempo doventarete pazzo. Ma come sta questo?

virginio.

Io amo Flaminia, amata con tutte le viscere da Cinzio. Io non oso scoprirmi, per non offender Cinzio, e tacendo occido me stesso.

fritellino.

O che abuso, o che pazzia. Ascoltatemi bene: se uno (fuori di voi) amasse Flaminia, concorrendo Cinzio in amore, che faresti?

virginio.

L'ucciderei.

fritellino.

Perché?

virginio.

Perché io amo Cinzio sopra tutti gl'altri amici ch'io m'abbia.

fritellino.

O questo ha più del credibile, poiché amando voi Cinzio più del suo concorrente, vi porresti a i danni di quello. Ma naturalmente dovendo amar voi stesso più di Cinzio, non è bene il credere che vi poniate a i vostri danni più tosto che a quelli di Cinzio. Onde bisogna concludere che tra Cinzio e un altro, viva Cinzio, ma tra Cinzio e Virginio, viva Virginio.

virginio.

Buono, per mia fé, dottrina più salda della mia. Procurisi adunque Flaminia, e potendola ottenere abbiasi pazienza l'amico, poiché il proprio interesse malamente conosce l'altrui bisogno.

fritellino.

Udite un'altra ragione più costante della prima. Se si dovesse dar una sentenza che dovesse esser cacciato il cuore o a Virginio o a Cinzio, che caldezza d'uffizio vogliam credere che fareste, tutti due, accioché fosse cacciato al compagno?

virginio.

Grande.

fritellino.

Non dite di essere senza cuore, non avendo Flaminia? non lo dice l'istesso Cinzio? Orsù non più, lasciate fare a me, retiratevi, ché or ora vi mostrarò come si confermino i cuori.

(Virginio si ritira. Fritellino batte da Flaminia)

SCENA VII

flaminia, fritellino e virginio

flaminia.

Non ci sarà nissuno che vadi a veder chi batte, eh? Orsù, ci andarò io. Chi batte?

fritellino.

Un vostro servitore, signora Flaminia. Il signor Cinzio è in casa?

flaminia.

Non ci è e di rado ci viene.

(Fritellino rivolto a Virginio dice)

fritellino.

Non vel diss'io che sarebbe dall'amica?

virginio.

Io non lo potevo mai credere, andiamo.

fritellino.

Vengo or ora.

Ah povera signora Flaminia mal trattata, puoco conosciuta e, forse... chi sa! È meglio tacere.

flaminia.

Tu hai detto tanto che il non dir il rimanente non è quasi tacere. Di', che è di Cinzio?

fritellino.

Bene di corpo, ma molto infermo d'operazioni.

flaminia.

E come? Ohimè, tu mi uccidi.

fritellino.

Io non posso dir altro. Andiamo.

virginio.

È meglio. Non affligger più quella povera signora. Andiamo, ché lo trovaremo colà.

(Partono)

flaminia.

Lo trovaremo colà? ma dove? Adunque Cinzio ha luoco di più gusto della casa mia, nella quale ha pur la fede impegnata, il sangue in deposito e l'onore obligato? Sì che può stare, poiché le sue dimore adombrate di scuse sono validissime querele approvate e convinte, e quello che non sai tu, o Flaminia, lo debbe sapere tutta la città. Ma eccolo, non voglio mostrarmi adirata.

SCENA VIII

cinzio e flaminia

cinzio.

Ogn'ora, ch'io sto senza veder la mia Flaminia, è un secolo di tormento a quest'anima mia. Ma eccola.

E come in strada? Guardatevi, guardiamoci, che mio padre non n'abbia qualche relazione, che malbeato me e puoco contenta voi.

flaminia.

Adunque vostro padre procura tanto di saper dove andate?

cinzio.

Ohimè, non si può credere.

(In questo arriva Fritellino)

SCENA IX

fritellino, cinzio, flaminia

fritellino.

Signor Cinzio, venite via correndo, ché il signor Virginio vi aspetta dove voi sapete.

cinzio.

Sì, sì, vengo. Signora abbiate pazienza.

(E via)

flaminia.

E dove va così in fretta?

fritellino.

Da una tal signora, dove credevamo di ritrovarlo.

flaminia.

(sola)

E forsi ch'io gli ho potuto addimandar dove va, forsi ch'egli mi ha detto ora ritorno? L'uno non me l'averebbe detto, e l'altro l'ha taciuto per non mentire. O Cinzio tanto diverso da te, che non sei più Cinzio; ché se fosti Cinzio (com'eri) saresti anco Flaminia, e se fosti Flaminia saresti fedele: onde non sei più né Cinzio né Flaminia né fedele. Chi sei adunque? un'anima diformata, la quale, intorbidate le potenze, informa un corpo senza fede, immemore de gl'oblighi, con l'intelletto così contaminato, che ti sei dimenticato l'obligo e di padre e di marito.

SCENA X

bagattino con robbe da mangiare, e flaminia

bagattino.

Questa è carne e questi son polaster, che tant temp han abbut ul band da casa nostra, signora. Ecco vivand da pudì stà allegrament, questa è tutta spisa fatta del denar del signor Cinz con ul rest de zinquanta zecchì, che ho chilò int'al taschì.

flaminia.

Robbe di Cinzio? danari di Cinzio?

(Getta via tutto)

bagattino.

Fermef signora, ohimè, tanti ingredienti, da metì infossù ne i budei per salut dell'affliziù del corpo, han d'andà adonca a mal tutti? Signora Flaminia, avvertì, che morirem de fam prestissim.

flaminia.

Io non mi curo, son di già avvelenata.

(Entra)

bagattino.

Orvietà, orvietà, prest, orvietà.

SCENA XI

franceschina al romore, e bagattin

franceschina.

Che strepiti? che romori? O quanta robba mangiativa, chi l'ha versata?

bagattino.

Effetti del velen.

franceschina.

E che? è forse robba avvelenata? Levala via.

bagattino.

E no, l'è una signora, che ha ul velen int'al venter, che non ghe ha volut mettì dentr sti altri laùr.

franceschina.

Ah an, ha fatto bene, mangiamolo noi.

bagattino.

Andemoi a mangià.

franceschina.

Bisogna prima cucinare e poi mangiare.

bagattino.

Ul se cusina a chi ha temp d'aspettà.

franceschina.

Vuoi tu dunque mangiar questa carne cruda?

bagattino.

La mangiaravi anc viva.

franceschina.

O lupo, entriamo, e lascia far a me.

(Entrano da Flaminia)

SCENA XII

fritellino solo

fritellino.

Io non voglio lasciar strada intentata, invenzion oziosa, né qualsivoglia modo difficile, per aiutar Virginio. Ne ho pensat'uno che, forse forse, sarà il migliore di quanti me ne sian passati per la mente. Voglio servirmi della signora Celia. O bella se mi riesce, come l'animo mi predice.

SCENA XIII

celia alla finestra, fritellino

celia.

Sarò io forse venuta in questa casa per non veder mai più il mio Capitano? Egli ha pur sempre seguitato la carrozza da Bologna sin qua a Ferrara.

fritellino.

E chi ha seguitato la carrozza?

celia.

Ohimè, che costui mi avrà udita. Un canino, ch'io ho poi smarrito nell'entrar dentro.

fritellino.

Mi dispiace che l'abbiate smarrito prima ch'egli sia entrato.

celia.

Entrarà, se non è entrato, e forsi lo trovarò.

fritellino.

Io non ho veduto cani, ho ben visto un Capitano, il quale va sperso per la città.

celia.

Ohimè, non più, vengo a basso.

fritellino.

O quanto è stato bene per i miei disegni, ch'io abbia udito quel nome di Capitano! Questo senz'altro è un suo amante. Eccola.

celia.

Che dici tu di Capitano?

fritellino.

Che dite voi di cagnolino?

celia.

Parliamo di quello che più importa.

fritellino.

Vi debbe importar più (mi cred'io) quel canino, del qual dovet'esser innamorata, che quel Capitano, che al certo non conoscete.

celia.

Orsù via, furbo, tu mi hai sentita.

fritellino.

E intesa, ch'è peggio.

celia.

E bene, che di' tu? dove è questo Capitano?

fritellino.

Lo cercarò, lo trovarò, ve lo condurò, e che volete di più?

celia.

Nulla, e io che posso far per te?

fritellino.

Gran cose con puoca fatica.

celia.

Eccomi pronta.

fritellino.

Il signor Virginio vostro cugino, per una scommessa fatta con un gentiluomo, il quale fa il bel parlatore, vorrebbe udirlo parlare amorosamente, e che voi lo ascoltaste, per veder se la presenza di una dama lo sgomenta. E, occorrendo, desidera anche che gli rispondiate, per meglio chiarirsi della sua sufficienza.

celia.

O questo non farò mai.

fritellino.

Fate punto su il «non lo farò» e levate via quel «mai».

celia.

Io dico che non lo farò mai, mai, mai.

fritellino.

Questa moltitudine di mai è la ruvina de i vostri negozii.

celia.

E come?

fritellino.

Né io mai, anzi mai, mai, vi condurrò il Capitano, e, di più, procurarò ch'egli se ne vadi via della città. A Dio signora.

celia.

Férmati, ch'io levo il mai! Ma mi riserbo però il quando.

fritellino.

Il quando lo so io.

celia.

E come lo sai tu, s'io non l'ho ancora determinato?

fritellino.

Sarà quando vorrete il Capitano.

celia.

Se così fusse sarebbe or ora.

fritellino.

Facciamo adunque così. Io tornerò, farete, e io farò, e così contenti tutti due, l'uno non si potrà doler dell'altro.

celia.

Io me n'entro, ti attendo, non mancare, ch'io al certo non mancarò.

fritellino.

Il negozio piglia una tal forma, che mi promette ogni bene, e di raro chi ben principia finisce male i negozii.

Ma ecco, per mia fé, Cinzio, ed è accompagnato con Virginio.

SCENA XIV

cinzio, virginio e fritellino

cinzio.

Signor Virginio, vostra signoria mi ha da far grazie di venir meco a cena, ché doppo discorreremo di quello ch'oggi non abbiamo potuto concludere per l'interrompimento di quelli che, con tanta mala creanza, si hanno volsuto accompagnar con noi, senza esser richiesti, e quasi mezo rifiutati.

virginio.

Di questi ce ne son tanti, che il Cielo ne guardi ogn'uomo ch'abbia faccende.

(Fritellino accenna Virginio. Virginio guarda Fritellino e non l'intende)

virginio.

Costui mi accenna, né so che voglia dire.

fritellino.

Signor Virginio, questo è il tempo che voi rimediate a quello di cui forse non sarete per più poterci rimediare se il signor Cinzio vi lascia.

virginio.

Che domine vuol dir costui? Sì, è vero.

fritellino.

Lasciate dir a me, ch'io mi accorgo che non vorresti incomodar il signor Cinzio.

cinzio.

Férmati, ch'io mi dichiaro che il maggior incommodo che potessi aver quest'animo mio sarebbe il credere che il signor Virginio avesse pensiero d'incomodarmi, anche con il tenermi sempre impiegato ne' suoi affari. Di', che cosa poss'io fare per suo servizio?

fritellino.

Sappia, vostra signoria, come il signor Virginio è amante riamato...

virginio.

Che cosa sarà questa?

fritellino.

Di una signora. E perché il padre di lei ambisce di darla ad uno di casa Bisognosi, vorrebbe, per levar il vecchio di sospetto, che i favori di vostra signoria s'impiegassero (almeno per una volta) in parlare a detta signora, accioché una tal serva, posta da lui alla guardia, non avesse cagione di scoprirgli i suoi amori, ma che potesse assicurar il padre che lei parla ad un di casa Bisognosi, sì che con quattro parole amorose ella può assicurar i guste del signor Virginio e della sua dama.

virginio.

O che invenzione storpiata, e dall'ingegno e dalle parole!

cinzio.

Il signor Virginio non vuol altro? Dopo cena faremo il servizio. Entriamo, ché ne discorreremo meglio.

virginio.

Tu glie l'hai pur volsuto dire, an?

cinzio.

Ha fatto bene. O di casa.

SCENA XV

flaminia, cinzio, virginio [fritellino]

flaminia.

O che bella compagnia. Vogliono cenar qui tutti?

cinzio.

Signora sì.

flaminia.

Starete molto bene. Ma perché vien notte, non laudo lo star qui fuori al sereno. Entriamo. O che allegrezza!

SCENA XVI

capitano

capitano.

Io son sicuro che Celia mia è in questa casa, essendomi stato detto che un suo zio abbita qui dentro. Il quale, quando avesse voglia di pazzamente morire, si opporrebbe scioccamente a i miei gusti. O porte, o finestre, se avesti punto di senso, come vi spalancaresti all'avviso de i miei desiderii. A luna, luna cornuta! Io vedo che tu vuoi spontar fuori: non lo fare, sta' nascosta, ché tu porti pericolo ch'io non ispicchi un salto e ch'io non venghi con un guanto di maglia a sfigurarti quel volto, altre volte da me minacciato in simili occasioni. Queste stelle scintillano che par che si rallegrino nel vedermi passeggiar senza quell'alterazione ch'altra volta le pose spavento ch'io li privassi del loro albergo.

SCENA XVII

bagattino e capitano

(Notte)

bagattino.

Ora al no gh'è negot da mangià e ora al gh'è tropp mangiador.

capitano.

Chi parla?

bagattino.

Ecco un olter mangiador.

capitano.

Chi va là?

bagattino.

Mi no vagh in là, ma a sto ferm chilò.

capitano.

Tu parli e non m'addimandi licenza.

bagattino.

Se domanda anc licenza de tasì?

capitano.

Anco di questo.

bagattino.

E com se puol ela domandà, se no se parla?

capitano.

Si addimanda e poi subito si tace.

bagattino.

Mi voraf licenza de parlà e de tasì quando me torna comod.

capitano.

Queste licenze generali non si danno se non in iscritto; onde bisogna che tu vadi alla mia segretaria.

bagattino.

Com l'hoi da domandà?

capitano.

Dimanda la segretaria del Capitano e tanto basta.

bagattino.

An, se' vu Capitano de le secret civil e criminal, n'è?

capitano.

A furfante, passa qui, va' di là, salta, balla, fa' corbette! Io non so che mi tenga ch'io non ti pigli per un braccio o per un piede e gettarti cento miglia oltre i Monti Caspi.

(Bagatin corre via)

SCENA XVIII

cinzio, virginio, fritellino, capitano

cinzio.

Iscusate l'indugio, caro signore, la serva è pazza, il servo mal pratico.

virginio.

Non importa, signore.

cinzio.

Che ho io da fare in suo servizio?

fritellino.

Se si raccorda, gli dissi che il padre della dama riamante del signor Virginio aveva (e ha) gran pensiero di maritarla in uno di casa Bisognosi, onde ogn'altro partito gli par manchevole di merito, e dubitand'egli che la giovane non inclini al signor Virginio, desideriamo che lei parli quattro parole amorose con detta signora, acciò che la sua serva riferisca che non parla con Virginio.

cinzio.

Non era buono ogn'uno di far quest'uffizio e massime dovendosi far di notte?

fritellino.

Si poteva farlo far ad ogn'altro, ma la confidenza del signor Virginio non è generale con tutti gl'amici.

virginio.

Dice bene Fritellino. Io non ho amico più confidente del mio signor Cinzio.

cinzio.

Io non fui mai tanto intricato com'ora: bisogna ch'io diversi le parole dal cuore, e che pazienza.

fritellino.

Quattro parole bastano.

(Fa cenni a Celia)

SCENA XIX

fritellino, celia, virginio e capitano in disparte [cinzio]

celia.

Questa debb'esser l'ora di parlare o di ascoltare quello della scommessa.

fritellino.

Signora Celia, fatemi la grazia compiuta, ch'io vo per il signor Capitano.

Signor Cinzio, all'ordine.

(Ed entra da Flaminia)

capitano.

Se ci fussero altri Capitani che me, in questo mondo, direi che colui andasse per un altro Capitano.

cinzio.

Io non so dove mi principiare.

Signora, signora mia.

SCENA XX

flaminia, fritellino, cinzio e capitano [celia e virginio]

cinzio.

Signora mia, l'amor grande ch'io vi porto m'intorbida i discorsi e mi confonde i concetti.

flaminia.

O traditore!

cinzio.

Onde non posso a pieno iscoprire quello che tanto tempo io ho in animo di dirgli.

flaminia.

Non posso più.

fritellino.

Tacete, o dite piano.

cinzio.

Ah cuor mio tribulato! Anzi, tribulato cuor mio.

flaminia.

È troppo aspettare. Ah traditore!

(E lo ferisce)

(Cinzio cade e dice)

cinzio.

Son morto.

(Virginio fugge)

flaminia.

Se non sei morto morirai, ingannatore, perfido, spergiuro!

cinzio.

Non più, ché queste parole sono peggiori delle ferite.

(Fritellino spinge in casa Flaminia per forza, la serra, poi dice)

fritellino.

Ohimè, che romor è questo?

(E va via)

cinzio.

Medici, amici, non ci è nissuno? Me n'anderò solo, almeno sapess'io dove.

(E via)

capitano.

Al corpo di me, che la mia spada ha ferito un non so chi, ch'io non me ne sono avveduto, né so chi si sia. Voglio che me lo dica.

(E via)

ATTO SECONDO

SCENA I

flaminia

flaminia.

Almeno sapess'io se Cinzio sia morto, o s'io mi debbo assicurare ch'egli sia per morire, poi che in ogni modo la sua vita potrebbe cagionar mill'altre ruvine a mill'altre povere innocenti.

Io avevo quel servo sospetto di mala lingua, e se le prove non mi accertavano il mancamento di Cinzio, forse ch'io averei sempre sospettato della bontà di quell'uomo da bene; poiché per altro tempo non averei mai creduto (a chi si fusse) mancamento nella fede di Cinzio. Ma che dich'io? alla fede di uno che mai non n'ebbe? all'amor mio, dirò, il quale sì come non ebbe mai pari, così Cinzio nel tradimento non ebbe mai uguale. Tant'anni di patimento, carcerazione quasi perpetua, una vita sempre inquieta, e finalmente una morte risuscitante per più volte farmi morire. E come potrò vivamente amare quel parto nato delle nostre congiunzioni, pensando che quello puol più tosto esser venuto alla luce per testimonio del mio mancamento, che per indizio di conformità di sangue tra noi. Io amerò però, e sarà per quella parte di pura concorrenza che solo fu mia, la quale, assicurata dalla mia fede, renderà il figlio legitimo parto di celeste disposizione.

SCENA II

cinzio e flaminia

cinzio.

Il male non è quanto mi dubitava. Ma ecco questa furia infernale.

flaminia.

Ma eccolo, che non è morto.

cinzio.

A me questi tradimenti eh?

flaminia.

Non si puol tradire un traditore.

cinzio.

Che t'ho fatt'io, inumanissima femina?

flaminia.

Ancor me ingiuri?

(E li dà un schiaffo)

cinzio.

A me un schiaffo?

(Li tira e la tocca con il pugnale)

SCENA III

dottor si mette di mezzo, flaminia e cinzio

dottor.

N' v' dadi, n' v' dadi, perché i pugnai cavan sangu e 'l sangu v'imbrattarà i pugn'.

cinzio.

Io non posso dimorarmi senza pericolo di far male, le mie ragioni son troppo potenti. In grazia, conducetela in casa vostra, e s'è ferita, fatela medicare.

flaminia.

Si parte il ribaldo, sapendo che, nel dirvi i suoi mancamenti, non vi potreste tenere d'ingiuriarlo. Io son ferita.

dottor.

Am la mustrarì in casa comdament sul lett dispuià, e sì a vdrò che tasta i vuol. Andém, la mia tosa.

flaminia.

Andiamo, e intenderete gran cose.

dottor.

E sì an vedrò fuors de mazzor.

(Ed entrano in casa)

SCENA IV

virginio e fritellino

virginio.

Quella fa una gran ruvina, Fritellino.

fritellino.

Avete un gran passo, signor Virginio! Ve la cogliesti come se le botte venissero a voi.

virginio.

Io lo feci per non esser addimandato per testimonio.

fritellino.

E acciò ch'io fussi testimonio della vostra buona disposizione di gambe.

virginio.

Lasciamo le burle. E che crediamo che succedesse di Flaminia e Cinzio?

fritellino.

Non si può creder nulla di buono, egli fu ferito, ch'io lo so di sicuro.

virginio.

Malamente?

fritellino.

Buonamente non può essere.

virginio.

Vogliamo veder s'egli è in casa?

fritellino.

Non ci sarà (mi cred'io).

virginio.

Dove lo trovaremo?

fritellino.

Ecco vostro padre ch'esce di casa.

SCENA V

dottor, virginio e fritellino

dottor.

Capucci! Che quas a i ho det com dis una volta un altr. La cos è intrigada, insanguinada, invlupada e quas desprada.

virginio.

Di dove venite, signor padre?

dottor.

De casa dov al gh'è... O gran cossa! Ascolta, stupiss, e puo' di' com puol esser. L'è un poch longa, tutt'via rassumém, restringém e cavàm sola la sostanzia, la qual è questa. I aspetti del Ciel non cognosudi da tutti mnazzava sangu, per via di fer adoperad per man d'una donna.

virginio.

Ohimè, il caso di Flaminia!

dottor.

Donc, sent la miseria de l'accident, mentr ch'in strada iera. Tas mo, una, dò, tre, quattr, vint dò or, a i ho da far. Bon dì.

(E va via)

virginio.

Se n'è andato e lasciatoci in una confusione così gagliarda, che meglio era il non vederlo.

fritellino.

Abbiamo però rassunto la ferita e non so che altro, che quasi pare che il tutto sia noto alla casa vostra. Questi principii mi bastano per fondamento di una gran fabrica.

SCENA VI

capitano, virginio e fritellino

capitano.

La mia spada mi giura esser più di trent'anni che non ha offeso niuno. Ma il romore fu però grande, e quello che mi fece incolpar la spada fu ch'io udii uno che disse: «Ohimè son morto!», e mi parve anco di udir la voce di Celia mia.

virginio.

Questo è il signor Capitan Rinoceronte, amico e signor mio di tant'anni.

fritellino.

O questo è maggior ciarlone di vostro padre!

virginio.

Io fo riverenza al signor Capitano, raccordandogli la mia divozione di tanto tempo.

capitano.

E io l'auguro quelli anni di salute ch'io ho levati di vita a 7834 Maumetani.

virginio.

Grand'affetto, in gran parte ristretto alla mia credenza.

capitano.

Io debbo dire al signor Virginio, in conformità della mia svisceratezza, che il Cielo mi ha infuso di volergli esser cognato, o vogliamo dir cugino, essend'ella fratel cugino della signora Celia, desiderando io che mi divenghi moglie per moltiplicar quella specie, mortificazione de gl'infedeli.

virginio.

Il partito di queste nozze è molto avantaggiato alla nostra condizione, ma l'autorità di far ciò non è propria mia, ma sì ben di mio padre, come quello che di Bologna ne tiene assoluto mandato. Ne parlerò con lui e sarò sollecito negoziatore de' suoi desiderii. In tanto vado, per non mi poter più trattenere. Servitor suo.

capitano.

A Dio, signor Virginio.

fritellino.

Rimanete in tanta buon'ora.

(Partono. Capitano rimane)

capitano.

S'io non sapessi che la signora Celia tien meco commune il desiderio, dubitarei di qualche intoppo, che mi astringesse ad una delle mie stravagantissime stravaganze.

SCENA VII

celia e capitano

celia.

Io son pur stata tanto sollecita, ch'io ho quasi importunatamente impetrato dal Cielo di poterla vedere.

capitano.

E io stava sospetto che la notte passata non si fusse lasciata vedere alle finestre, anzi che non avesse amorosamente parlato con un cavaliere.

celia.

Io mi feci alla finestra, e gli volevo parlare, ma però fintamente; e questo per servir ad uno il quale mi aveva promesso in premio di farmi parlare con vostra signoria.

capitano.

Anco quest'ombra di sospetto mi potrebbe porger alterazione, s'io non fussi certo che la memoria ch'io l'amo non l'avrebbe lasciato commetter minima scintilla d'errore.

celia.

Vi si può anco aggiungere che la rimembranza della mia qualità non mi averebbe permesso ombra di mancamento.

capitano.

Io l'ho chiesta in moglie al signor suo cugino, il quale mi ha promesso di unire l'autorità di suo padre alla prontezza della sua volontà, e quanto prima darmi libero il possesso dell'impero (anzi della monarchia) de i meriti e della bellezza di vostra signoria.

celia.

Io vorrei ch'ella lasciasse gl'iperboli per deridere, e non l'esercitasse nel laudare, poiché mi porrà in dubbio se mi burla o se mi lauda.

capitano.

Burlar quando laudo la signora Celia? Io burlerei più tosto quand'io giuro a fé da generale.

Vado per il signor Virginio, rimanghi lieta, ché oggi spero la vanità delle parole s'abbia a ridurre in generosità de' fatti.

SCENA VIII

bagattino con una lettera, e celia

bagattino.

È possibil che noss possa viver senza travai? e che 'l bisogna anc piass i fastidii d'olter?

Bondì, signora Celia.

celia.

Bon dì. Ho visto costui, sì, sì.

Che lettera è quella?

bagattino.

Una lettera del signor Cinzi, che va alla signora Flaminia.

celia.

La signora Flaminia è in casa nostra travagliata, disperata e anco leggiermente ferita. Io li dirò che tu gli vuoi parlare, aspetta non ti partire.

(Ed entra)

bagattino.

Ul signor Cinzi me ha datt caregh che la faci tornà a casa soa, e far che la lezi sto scartabel. Ma se no la 'l voless lezil, che farò io?

SCENA IX

flaminia e bagattino

flaminia.

Chi mi vuole?

bagattino.

Mancaraff che ve piarav.

flaminia.

Orsù, manco ciancie, sei tu che mi domanda?

bagattino.

Signora sì, ma no tant furiosa.

flaminia.

La mia furia a te poco debb'importare. Che vuoi?

bagattino.

Parlarve.

flaminia.

Parla, di' presto, né mi tener su le burle.

bagattino.

Se parli prest, a no m' poss fà ben intender, né dis delle zanze chi parla a proposit.

flaminia.

O tu sei pontuale nelle risposte.

bagattino.

Sie' mo anca vu pontual ne l'ascoltarm?

flaminia.

Orsù di'.

bagattino.

Ul signor Cinzi...

flaminia.

Ohimè, che odioso principio!

bagattino.

Ul fi' sarà fors amoros. Ul signor Cinzi, tutt afflitt, sconsolat e mez mort, m'ha chiamat.

flaminia.

Questi sono principii per rendermi curiosa di saper perché tante disgrazie. Io non le voglio sapere, poiché non possono andar disunite da quelle materie che mi rendono più di lui sconsolata e afflitta. E s'egli è mezzo morto, è un grand'avantaggio che hanno i suoi meriti, che lo ricercarebbero morto di molto tempo.

bagattino.

Augurémegli dal ben, per non av da pianzer ul so mal.

flaminia.

Hai tu altro che dirmi?

bagattino.

Non ho ancora cominzat.

flaminia.

Comincia, e quanto prima finisci.

bagattino.

Me chiamò, com av diss, Cinzi e me diss: Bagattin, quel che mi no poss fà per impedimento de forze e per mancament de fiat, fal ti per quell'amor e per quell'affett, che ti ha semper mostrat alla signora Flaminia e a mi. Digli che la torni alla casa nostra, per non far savì a tutta la città i fatt noster, e dagli in man sta lettera che a volivi scriver con al mé sangu, se i amis non m'impediva.

flaminia.

Sue lettere? o questo no!

bagattino.

Lézila e po' stràzzela.

flaminia.

Legger caratteri impressi da quella mano che mi voleva uccidere? chi mi consigliarebbe?

bagattino.

Ah signora, che l'intenziù del signor Cinzi no ha mai peccat, se bè la colera l'ha fat parì peccador. Lézine dò righe sole.

flaminia.

Da' qui, vediamo quello ch'egli sa dire.

«Amatissimo mio bene... », menti per la gola! Dir mio bene, quando egli sa che io mi sono avveduta ch'egli mi vuol male, sì per le parole udite, come per essermi poi certificata dalla crudeltà de' suoi fatti, che s'egli non mi ha uccisa è stato per la cura che ha tenuto il Cielo di me.

bagattino.

Lézin un olter verset.

flaminia.

«L'afflitt'anima mia, ohimè, avolta tra queste apparenze di colpe, che la possono rendere odiosa alla mia Flaminia (parendoli forsi somministratrice di costumi infedeli) non potrà mai respirare sino all'avviso della sua salute», avviso di salute di chi procurasti darli la morte? Piglia, ch'io non ne voglio altro.

bagattino.

Ohimè. Dò altre paroline.

flaminia.

«Che quando tosto non l'abbia, niuno speri di più vivo rivedermi», vuol morir? Ah!

bagattino.

Pur che 'l nun sia mort.

flaminia.

«Io non niego, mia vita, che quell'amorose parole, che tu forsi potesti avermi udito dire a Celia, non possino esser state accenditrice di sdegno; ma non erano mie (testimonio il mio core, che mai vi concorse), ma sì ben dette ad istanza d'amico, il qual fece parer affetto di Cinzio quello che fu stimolo delle sue parole. S'io potessi più regger la penna, direi d'avantaggio, ma il dolor mi contamina lo spirito e indebolisce la mano.» E chi potrebbe legger con gli occhi asciutti parole così lacrimevoli? Ohimè, Bagattino.

bagattino.

Lezì ul rest, cara signora.

flaminia.

«Dirò solo che il ritorno alla casa è tanto dovuto, quanto che non è ragionevole che il picciolo nostro bambino rimanghi senza la cara mamma», né meno debbe stare senza il caro babbo. Sustentami, Bagattino, e accompagnami in casa, ché quasi non mi posso più reggere. O affetto di madre, o credenza d'amante!

(Entrano)

SCENA X

virginio, fritellino

virginio.

Io non ho più dubbio che Flaminia non debb'esser mia.

fritellino.

Se l'avete in casa, non è vostra?

virginio.

Riman solo ch'ella si contenta per non mi dar occasione di sforzarla.

fritellino.

Ne vengon sforzate puoche.

virginio.

E pur qualched'una...

fritellino.

Qualcheduna lo dice, ma niuna vien creduta.

virginio.

Battiamo e informiamoci da Celia del modo che dobbiamo tenir per scoprirci. Tic, toc.

SCENA XI

celia, virginio, fritellino

celia.

Siete voi, signor cugino? e perché non venir in casa?

virginio.

Sarebbe stato forse meglio per più comodamente poterli dimandare della signora Flaminia. O bene, come sta, che dice?

celia.

Per ora io non so quello ch'ella dica, poiché per quello ch'io mi sono avveduta è andata a casa sua, e, mi perdoni sua signoria, con qualche mancamento di buona creanza, non mi avendo pur detto a Dio.

virginio.

A casa è ita? e come si mostra alterata?

celia.

Tanto che niuno lo saprebbe dir se non lei.

virginio.

Si è riposata? ha male?

celia.

Il suo maggior mal è nell'animo, luoco che non ha ricorso alle medicine ordinarie. L'infelice isvenì. Io la slacciai e con mille parole e baci la ridussi capace di consiglio, ché prima non era possibile il potergliene dare.

virginio.

Si spogliò tutta?

celia.

Si lasciò spogliar quelle parti che gli potevano render meno noiosa l'agitazione del male.

virginio.

Male assai, eh?

celia.

Una ferita, ma di puoco momento, che anco si sanarebbe con lo scordarsi di averla. Ma cercando per tutto il corpo per vedere se ve n'era più d'una, non ne trovai d'altre.

fritellino.

Non dovesti cercar bene.

celia.

Cercai, e ne l'usar diligenza più che ordinaria, viddi (ohimè viddi) un neo, ch'ella tiene sotto la zinna manca, che fieramente mi violentò l'animo e ordinò alle labra che per tributo li dessero mille baci. Egli non si spiccava punto dall'avvorio delle sue carni, ma v'era impresso qual stella fissa nel cristallino di quel corpo, ch'io non so dir se sia cielo o pur s'io la debba chiamar materia terrestre come son l'altre, che so io? Orsù, non più di questo.

fritellino.

Sotto la zinna manca?

celia.

Sì, sotto la zinna manca.

fritellino.

Seguitate il vostro discorso.

celia.

Io la rivestei, la ribaciai, e tanto mi sono rimaste impresse le sue bellezze, ch'io mi sono mortificata l'opinione ch'io aveva di esser bella anch'io. Me n'entro, per andare a baciar anche quel luoco tocco dalla divinità di quelle membra, che sono pure insidiatrici dell'idolatria del suo bello.

(Lei entra)

fritellino.

Scopritevi alla signora Flaminia, senza pur perdere un momento di tempo, ch'io vado per por all'ordine una tal invenzione, la più criminale che mai sia stata posta in opera ne gl'atti civili de gl'amanti.

(via)

virginio.

Guarda di far bene, accioché il civile non divenga poi criminale, per te, poiché ne gl'atti civili de gl'amanti, non comprendo che v'abbia luoco la criminalità delle tue invenzioni. Ma come dirò, e come? e come mi scoprirò con Flaminia? adulterò dell'amicizia ch'io tengo con Cinzio? La dottrina di Fritellino, dettami nel principio, è quella che può esser legge a gl'amanti. Tic, toc.

SCENA XII

flaminia e virginio

flaminia.

Non è in casa il signor Cinzio.Volet'altro?

virginio.

Voglio lei, e non compiacendosi di udirmi, gli dirò cosa che forse non gli dispiacerà.

flaminia.

Ancorch'ella fusse per dispiacermi, temperarei il dispiacere con l'intendere che a lei piace di parlarmi.

virginio.

Dovendo imprimere le mie parole nel più vivo del cuore della signora Flaminia, bisognarebbe ch'io avessi una suavità di concetti, che dolcemente la rendessero capace ch'io non posso di meno di non amarla, sì per l'obligo commune che ogn'un tiene di amarla, sì per quello che è poi mio solo, per non poter vivere senza servirla. È gran tempo che lo stimolo della mia salute mi sprona di venirla a ritrovare, ma dubitando che Cinzio non rimanesse offeso per l'amore ch'io mi credeva che vi portasse, ho taciuto sin qui, e forse non averei mai detto nulla, s'io non mi fussi accertato de i suoi mancamenti.

Vengo adunque a supplicarla di voler dar luoco nella sua memoria a chi non è mai per scordarsi la grandezza de' suoi meriti.

flaminia.

Io ho rassunto dall'infedeltà del vostro discorso come vorresti ch'io tenessi Cinzio per infedele, la qual cosa potendo anche essere, ed essendo di ragione che l'una e l'altra si palesi in fronte del mondo, sarà necessario il dar principio dalla vostra temerità di soverchio biasimevole per non dir infame, e perché Cinzio sappia ch'io so i suoi mancamenti, li dirò che me gli avete scoperti.

virginio.

Ohimè, ch'io perdo in uno l'amico e l'amata, meglio è ch'io occida costei.

flaminia.

Io gli dirò insieme...

virginio.

(mette mano al pugnale)

Che gli dirai, scelerata?

SCENA XIII

cinzio subbito, virginio e flaminia

(Virginio sotto occhio vede Cinzio e dice)

virginio.

Questo pugnale sia la mia morte, se il signor Cinzio non vi ama di tutto cuore.

cinzio.

O amico caro, o uffizio degno di un animo nobile com'è il vostro!

(E l'abbraccia, poi rivolto a Flaminia, entrano)

virginio.

Né anche Fritellino avrebbe saputo trovar così subbito un partito così bello. Pur ch'ella non gli dica ora il tutto. Forse che no. Ecco Fritellino.

SCENA XIV

fritellino con una lettera, e virginio

fritellino.

O io l'ho trovata bella!

virginio.

O se tu sapessi, fratello, mi è pur intervenuto la bella cosa! Orsù, te la dirò poi. Che lettera è quella?

fritellino.

Questa è una materia che ti renderà gustatissimo, sappi. O ecco gente.

SCENA XV

capitano, virginio, fritellino

capitano.

Bondì. Io son venuto per la risposta.

fritellino.

Che termini son questi?

Attaccàtela, dite che non sapete ciò che si dica.

virginio.

Ma s'io lo so.

fritellino.

Attaccàtela, ché so io perché.

virginio.

Non so che vi dichiate di risposta.

capitano.

Non mi avete promesso la signora Celia per moglie?

fritellino.

Dite: «Menti per la gola! ».

virginio.

È troppo, lascia dir a me.

Io non me lo ricordo.

capitano.

Signor Virginio, non dite ch'io metta mano, ché me la vorresti aver data prima che promessa.

virginio.

Ho la spada anch'io.

capitano.

Metti mano!

virginio.

Eccomi.

(Fanno alle coltellate)

SCENA XVI

[Tutti i personaggi della precedente, più cinzio]

(Cinzio difende Virginio.Fritellino si lascia cader la lettera)

capitano.

Io non voglio ammazzar tanti in una volta.

(E via)

fritellino.

I pari miei non fanno il ruffiano.

cinzio.

Che differenze sono le vostre?

fritellino.

Lasciatele dire a me, signor Virginio.

virginio.

Di', ché se bene le so, tu lo sai meglio di me.

fritellino.

Quel Capitano Cucuzza mi aveva data quella lettera, ch'io ho poi gettata in terra, acciò che io la portassi alla signora Flaminia.

(Cinzio piglia la lettera)

cinzio.

Questa lettera?

fritellino.

Signor sì, e mi soggiunse: "Né ti creder di far offesa alla signora Flaminia, poiché ella non ha altro gusto che il legger le mie, anzi ch'io ti assicuro che ne trarrai non solo mille benedizioni, ma buona mancia ancora, poi che la nostra prattica è di molti mesi".

cinzio.

Non più, io ho inteso abbastanza. Il prenderne vendetta sarà pensier mio.

virginio.

Mi dispiace de i vostri disgusti.

(E via)

fritellino.

Anc a mi.

(E via)

cinzio.

Voglio veder un poco la leggiadria de i concetti. «Non v'ha titolo che arrivi a i gran meriti di vostra signoria, onde dirò solo: anima di questo corpo, poiché lontano da lei vivo quasi disanimato, e di già sarei morto, se quel fiato, ch'io ricevei dalla sua bocca in virtù di quel bacio che mi diede, non mi avesse alimentato sin ora. Non gli sarà adunque discaro di trovar modo, ond'io possa la notte a ventura venire a ricevere nuovo alimento e a ribaciar quel neo dilizia di queste labra... », ohimè, ch'io non posso più, «le quali non osano di accostarsi più ad altr'oggetto, per non offender la grandezza del suo gran merito. Non sarebbe gran cosa che quel Cinzio... », quel Cinzio? «non venisse a casa questa notte, avendo inteso ch'egli ha fatto la pace con suo padre? » Io so che va ispiando tutti i fatti miei. Io... non occorre l'andar moltiplicando i disgusti con la lunghezza del leggere. A i rimedii! Ma che rimedio si può pigliare ad un caso seguìto? Altro non saprei che mi fare, salvo che con la lor morte dar la gloria in mano della vendetta. Morirai, indegna, e s'io morrò, sarà solo per non lasciarti senza le mie persecuzioni anco nell'altra vita.

SCENA XVII

pantalone, cinzio tutto suspeso

pantalone.

Non ho mai più visto Cinzio da i zinquanta zecchini in qua. Mi vago dubitando de no ghe aver pagao el viazo d'andarse con Dio, con qualche morosetta. Ma eccolo, tutto sospeso estatico.

Cinzio? o Cinzio? Cinzio? Ti no rispondi.

cinzio.

O quanto faresti meglio a levarvi di qui, prima ch'io vi rompi il naso con un pugno.

pantalone.

Costui parla, ma nol me vede, né sa chi el diga ste parole. Cinzio, fio mio, sappi che t'ho maridao in un partio tanto bon, che ti medemo non saveresti desiderar meio.

cinzio.

Fio mio te ho maridao? Andeve a far dar un boio al cervello!

pantalone.

Un boio al cervello? Vago in casa a tior un baston per darte un boio alle spalle, forfante insolente!

(Cinzio non lo guarda mai, e doppo partito dice)

cinzio.

Chi era costui che mi rompeva il capo? Orsù, Cinzio, non è più tempo di star su le considerazioni, ma determinatamente lasciar i dubbii e porsi con ogni fretta alle vendette di quel Capitano. O eccolo là.

(Getta il ferraiolo, cappello, mette mano alla spada, e corre via)

SCENA XVIII

dottor

dottor.

Am vuoi andar a vder quel che fa la signora Flaminia. Che pagn son questi? O che bel fraiol, al i è anc al capel, e si al n's' ved al patron, am vuoi vestir un poch suldadescament.

(In questo)

SCENA XIX

pantalon e dottor

(Pantalon, credendolo Cinzio, lo bastona, e dice)

pantalon.

Tiò forfante, impara de responder a to pare!

dottor.

Non più, caro signor padr.

(E via)

pantalon.

L'ho io castigao sto furbo.

(E via)

ATTO TERZO

SCENA I

dottor

dottor.

Ch' vuoia è vgnù a mio padr d' vegnirm a bastonar, ch'è trent'an che l'è mort e fuor che 'l n'mnava l' man? Se gh' diff vgnir in ment ch'una volta am diss a un mia fradel fiol d'un bech?

SCENA II

cinzio e dottor

(Cinzio senza parlarli leva le sue robbe d'intorno. Dottor non parla e si lascia levar il tutto, poi con una bella riverenza si parte).

cinzio.

E come sono capitate queste robbe in man di costui? Ah, sì, io mi ricordo che quasi pazzo lo gettai a punto in questo luoco. Oh lettera, lettera impressa de quei caratteri che furono originati dal tuo cuore a pregiudizio della mia vita e a distruzione de l'onor mio! Ma sì come io non ho più nulla di tuo, avendo tu donato ciò c'hai di buono a quel Capitano (sì come ho letto meglio su la tua), né tu ragionevolmente devi aver nulla del mio. E prima che tu dia principio a mal trattar Carluccio mio, voglio che tu me lo renda. Dico mio, poiché in quel tempo so che tu non avevi mezzo adulterati i pensieri, né sapevi che al mondo ci foss'altri per te che Cinzio solo. Ora lo voglio, né voglio tardar un momento a levartene il possesso.

Tic, toc, o di casa!

flaminia.

Sarà forse uno di quelli amici fedeli.

SCENA III

flaminia e cinzio

flaminia.

O siate il benvenuto, io ho pur da dirvi le gran cose. Par che siate alterato, che avete?

cinzio.

Chiama Carluccio.

flaminia.

E perché?

cinzio.

Bagattino, Bagattino.

SCENA IV

bagattino, cinzio e flaminia

bagattino.

Che me comandef, signur?

cinzio.

Presto, va e conducimi qui Carluccio.

bagattino.

Vaghi e vegni adess adess.

flaminia.

Non offendete la ragione con lo soverchio esser alterato. Che novità è questa?

cinzio.

Non hai ancora provato la mia alterazione.

SCENA V

bagattino, cinzio, flaminia e carluccio

bagattino.

Eccol, che 'l voliva far la cacca.

cinzio.

Vien meco, ché il luoco de gl'angeli non è tutt'uno con quello delle furie.

(Lo porta via)

flaminia.

Cinzio, Carluccio? cor mio? ohimè, che sorte di furto è questo? rubbarmi l'anima? dove s'intese mai la ferità di quest'uso sacrilego? Cinzio avverti, ch'è tuo, non lo niego, ma che però è anco mio; onde del pari lo dobbiamo godere senza pregiudizio delle comuni ragioni. Ah, che non è tempo di dimorarsi, ma di seguirlo, e farmi restituire quello che non mi poteva levare.

bagattino.

Questa è una lit, che ha molt del stravagant. Cinzi ha purtat via ul putel per no tornà più, Flaminia ul seguita e starà via un gran pez, la casa è vuoda de zent e piena de robba. Chì ghe va fà 'l consei e intender quel che dis Franceschina.

Tic, toc. Franceschina? o Franceschina.

SCENA VI

franceschina e bagattino

franceschina.

Che furie son queste?

bagattino.

La fortuna, che ha pressia de sbrigàn de povertà.

franceschina.

E come? Di', presto.

bagattino.

A sem patroni della casa, dal momebel, se però stem stabil int'al portal via.

franceschina.

Ce l'hanno donato?

bagattino.

No, i ne l'ha lassat.

franceschina.

E che son morti?

bagattino.

I è vini tutti dal cervel in fuora, che 'l se gh'è svanit e lor gh'è cors dré.

franceschina.

O tu m'intrichi.

bagattino.

A te digh che Cinzi ha portà via Carluzz. Flaminia è tegnù dré a tutti dò, al negozzi è desperad, la robba è in le nostre man, che se anca nu no perdem al zervel, me par che la n'posse servì inte i noster bisogn, che puol vegnì a remedià anc ai present.

franceschina.

O bene, come faremo?

bagattino.

Vender tutt. Che se a sort i se tornass accordà, che i se accordi anc a comprà de l'altra robba.

SCENA VII

pantalone, non conosciuto da loro, bagattino e franceschina

pantalone.

Come quel furfant de Cinzio se lassò bastonar senza quasi muoverse mai? Forsi che fu per obedienzia. O e son pur bestial in le mie ressoluzion (podeva anco far de manco de darghe).

bagattino.

Quest'om ne savrà fors insegnà chi comprarà le robb.

franceschina.

Ci vuole una qualche invenzione, per non parer che le robbiamo.

bagattino.

L'ho bella e trovada.

pantalone.

Costù ha ciera del solenissimo furbo.

bagattino.

Signor, un mé parent, che è mort, m'ha lassat certi mobili, che voraf mo venderli. Com'hoi da fà, perché mi no son pratich della terra?

pantalone.

Bisogna mostrar el testamento del parent, per veder s'el xe la veritae, ch'el vi abbia lassai.

bagattino.

Al dir ul vira, i è mobei d'un mé patrù, che è andat fuora della città e me ha dat ordine che i vendi.

pantalone.

Bisogna che ti mostri l'ordine in scritto. E però, a dirte al vero, compro anca mi robbe, ma no compro se non robbe rubbae.

franceschina.

Di questo abbiamo bisogno noi.

bagattino.

Signor, per non avì testament, né mandat, fé conto che l'abbia rubbat e comparé vu.

pantalone.

Dove xele?

bagattino.

In quella ca', che a dirv al vira ghe stava un gentilom chiamat ul signor Cinzi, fiol d'un tal vecchiazz, beccù cornut, avar, spilorz, miser, al qual, avend una murusa, bisognava per mantegnirla rubbar in casa, stocchizà con i amisi e far quel fa un pover zoven fiul d'un pader sassin.

pantalone.

No lo inzuriar tanto! Come hallo nome?

bagattino.

Polenton, Pelizon, Poltrunzon... no, no, Pantalon! un nom infin da scopazzon.

pantalone.

Orsù tornemo alle robbe, dove xele? Vedemole.

bagattino.

Aspetta, Franceschina, che a vegni adess adess.

(Entrano)

franceschina.

Il Cielo ce la mandi buona. Se i patroni tornassero mentre che siamo su la vendita, bella frustatura per me e solenne galera per Bagattino. Ma io direi di non ne saper nulla, in ogni modo io non ho parlato e non ho contrattato con questo vecchio né con altri.

(Pantalon parla in casa)

pantalone.

Sto pavaion, che credeva che fosse in le altre mie robbe da inverno, xe vegnuo a sborarse in sta casa che no cognosco. E ste spagliere, che ho dao la colpa a più de diese, che me le abbia robbae?

bagattino.

Messer, o messer, vegnì de qua, che el gh'è dell'altro, robba bona.

pantalone.

Me basta d'aver visto sin qua. Andemo fuora a far el mercao.

bagattino.

Andém.

pantalone.

Quanto vustu de tutto?

bagattino.

Cent trenta sett scud e un terz.

pantalone.

Robba che me costa a mi più di zinquezento. Te ne voio dar ottanta.

bagattino.

Cossa è più, ottanta o zent?

pantalone.

Zento xe vinti più de ottanta.

bagattino.

Ghe ne voio donca ottanta e po' vinti.

pantalone.

Orsù, tiò questi a bon conto. Dame la chiave della casa, che vago per il restante.

bagattino.

Mo perché volif la chiav?

pantalone.

Per esser seguro che ti no vendi le robbe a qualchedun altro.

bagattino.

Non so fà poltronerie. Eccov la chiav.

pantalone.

Mostra quei soldi, che te i voio dar tutti in tanti zecchini traboccanti.

bagattino.

Tolì, demen assé.

pantalone.

Quel Pelizon, Poltronzon (ma però Pantalon) son mi; quel vecchio spilorzo, becco, cornuo, non son mi, el xe to pare! Furbo, laro, nassuo per le forche e la frusta.

franceschina.

Questa vien a me.

pantalone.

Xe poco a i to meriti, ma adesso vago a formar una querela dalla qual ensirà una sentenzia che forsi gramo quando ti sii nassuo! E ti, porca, putana, poltrona, ruffiana, strega, te vogio far metter su l'aseno con la coda in man, e darte una frustadura, che te serva per memoria, e al popol per esempio.

franceschina.

Signor, io non ce ne ho colpa, ma sì ben quel ribaldo, il quale, ripreso da me, voleva ammazzarmi. E quante volte ho conteso con te dicendo: il signor Cinzio è figlio di un uomo da bene, ché così dice tutta la città? Non ti voglio più vedere, ché le tue furbarie mi avvelenano.

A Dio signore, il Cielo v'ispiri a conoscermi.

(E via)

pantalone.

Isquisitissima mariuola, astutissima poltrona, che xe questa.

E ti, furbo, lievate de qua, puo' che me resolvo de lassar ch'el Cielo te gastiga.

bagattino.

A credi, signor, che ve sie' accort che non so fà ul lader, se ben ul bisogn me voliva insegnà.

(E via)

pantalone.

O mondo, o Cinzio, o robbe, o furbi, o accidente, che in vero me ha disciplinà 'l giudizio a non incolpar né a far reo de cause criminal mai più nissun, se prima con el levar la fede alle relaziò, no lasso luogo che giusto abbia spazio de comparir. No truovo però scusa per Cinzio, qua dentro ghe xe la domestichezza de i furti, qua ghe giera la signora e qua xe il tempio de tutt i so mancamenti e qua xe la dogana, dove se desgabellava tutte le poltronerie che se faseva in casa mia.

SCENA VIII

flaminia in abito di serva, pantalone

flaminia.

Io non saperei trovar abito proporzionato alle mie miserie, anco ch'io vestissi quello della necessità. O Flaminia, se la divisione dell'anima da questo corpo è di tanto dolore, e qual dolore debb'esser il tuo, che con uno non più inteso modo hai un'anima tripartita? e ogni parte così alienata, che non puoi trovar modo di unirle? Cinzio in virtù d'amore ne tien una, l'altra in virtù dell'odio te l'involò con il figlio, e tu sei rimasta con quella sola porzione che non ti basterebbe per vivere, se chi te la diede non la facesse servire per un'anima intiera.

pantalone.

L'uso della curiositae me ha fatto fermar per saver le cause delle lamentazion de quella povera zovene. Bonzorno fia.

flaminia.

Buon anno, mio signore.

pantalone.

Che aspetto, che maestae, che portamento? ma non halla un'illustrissima depenta nella fronte? Me sento una violenza d'offerirghe 'l mio servizio, che me sforza a lassar 'l pensier de i mii affari e tutto dedicarme a i so comandi.

flaminia.

Vostra signoria non se maravigli se così immota me ne sto, quasi ch'io non avessi a far nulla, poiché il molto che fare mi confonde il modo di ritrovar la via per dar principio.

pantalone.

Le vostre passion me ha de muodo intorbidao l'arbitrio, che ad altro nol me lassa pensar che nell'impiegarme ne i vostri commandi.

flaminia.

La pregarei a farmi grazia di ritrovarmi una casa onorata per potervi fedelissimamente impiegare il mio servizio.

pantalone.

El Ciel ve ha de zà provisto d'un liogo dove poderé comandando farve obbedir.

flaminia.

Il mio merito non arriva tant'oltre.

pantalone.

Gl'ordini del Ciel conferisce i meriti e dona le comoditae. Fé conto che mi sia istromento della divina disposizion e che quello sia el liuogo determinao all'esercizio de i vostri meriti.

flaminia.

Io non posso altro che credere che voler divino vi abbia eletto istromento per solevar le mie passioni, le quali, con aggio maggiore, vi narrerò entrati che saremo in casa.

pantalone.

Entremo, ché reposada me diré puo' quello che v'importa e che più ve preme.

(Entrano)

SCENA IX

cinzio e carluccio

carluccio.

Pappa, io ho fame. Vorrei veder la mamma.

cinzio.

Mangiarai, figliuol mio, ma della mamma non ne parlar, m'intendi?

carluccio.

Perché, che gl'ho fatto? Son pur anco stato buono.

cinzio.

Foss'ella così buona, come se' tu.

carluccio.

Mo ella non grida mai, se non quando non ci è pane e ch'io ho fame.

cinzio.

Orsù taci, ch'io ti portarò in luoco dove starai meglio che con la mamma.

carluccio.

Voglio la mamma io, mamma, mamma.

SCENA X

flaminia, carlo e cinzio

flaminia.

Eccomi, figlio.

(Lo piglia per un braccio)

cinzio.

Lassalo, traditrice!

flaminia.

Menti per la gola, scellerato!

SCENA XI

[Personaggi della precedente, più pantalone]

(Pantalone in casa dice)

pantalone.

Che romori sent'io in strada?

(Cinzio, udendo il padre, fugge)

pantalone.

(in strada)

Che romori? che fio xe questi?

flaminia.

Ecco cessato una gran parte del mio dolore ed ecco in questo solo oggetto la tregua de gl'infiniti miei dispiaceri. Signore, questo è mio figlio, involatomi da un barbaro che quasi mi aveva ridotta fuor di me stessa, e con molta ragione, poiché se fuori della mia vita v'era il figliuolo ed entro alle viscere la barbarità del furto, e come potea io non esser tutta contaminata? Ora mi sono in gran parte riauta. Baciami, caro il mio bene, bacia la tua mamma, figlio.

carluccio.

Mi aveva pensato di andar sempre gridando mamma così forte, ché, se fosti anco stata su 'l tetto, m'avresti sentito.

pantalone.

Cara lenguetta, caro bambino, mo chi no xe innamorarave in quelle care parolette de zuccaro? Portelo in casa, ché vegno anca mi.

(Flaminia e Carluccio entrano in casa)

pantalone.

Voio tior sta fia per moier, per governo e per caritae, e lassar che Cinzio fazza anch'esso a so modo. Mo come me chiamerà sto fantolin? Babo, pare, missier? El par che quel missier se asseta meio a sta etae, de tutti i altri nomi.

(Carluccio in casa dice)

carluccio.

Missere, missere, ove siete?

pantalone.

Vegno fio, vegno. Orsù, sou 'l missier.

SCENA XII

dottor e capitano

capitano.

Voi Dottore? esercitate l'avvocato? o siete giudice? o pur un uomo vestito così per far ridere?

dottor.

A son Dottor, a so far l'avocat, e sì a spier d' far al zuds per mandarv in galea a farv pianzer.

capitano.

Io non intendo la scabrosità di questa vostra lingua. Ditemi, conosceresti voi il Dottor Graziano?

dottor.

A n' al cgnoss.

capitano.

Bisogna conoscerlo, trovarlo, parlarli e dirli che non vadi questa notte a casa, per quanto egli ha accaro di levarsi domattina; se però egli ha negozii in Europa, poi che voglio portar la sua casa in Affrica con Celia mia moglie, di dove l'ho fatta regina di tutto quel paese.

dottor.

Celia sa 'la sta vostra deliberazion?

capitano.

Chesto signor no, io voglio fare il tutto all'improviso.

dottor.

I aviv mai parlà?

capitano.

Io gl'ho data la fede sino in Bologna, ho poi ratificata in questa città.

dottor.

I aviv dit di condurla in Affrica?

capitano.

Signor no. Io glie lo voglio dir poi, per il cammino.

dottor.

Mo com purtariv la casa?

capitano.

Con un soffio la anderò spingendo per l'aria sino che arriviamo alla nostra reggia.

dottor.

A dir al vera a son so barba e son 'l Dottor Grazian. Av la concied con pat ch'av voi andar in casa, andar a let e dormir sin a tant ch'am dsì: a sem in Affrica.

capitano.

Vostra signoria, padre, volsi dir zio, della regina Celia? Io mi risolvo di far le nozze in questa città, a fine che voi possiate regalar tutt i Dottori, per poterli poi far un privilegio, che hanno mangiato alla mia tavola. Io vorrei parlarli.

dottor.

Chi v' tien? n'i aviv tuccà la man senza mi?

capitano.

Signor sì.

dottor.

Mo tucai anc 'l rest. O d' casa?

SCENA XIII

celia, dottor e capitano

celia.

Che addimandate signor zio?

dottor.

An dimand nient mi, l'è chì al re d'Affrica ch' dmanda la regina.

celia.

O signor Capitano.

dottor.

L'è calà d' condizion.

celia.

Iscusatemi, ch'io non vi aveva veduto.

capitano.

Il signor Dottor sa ben quello ch'io aveva pensato di fare, ma mi son mutato di pensiero.

celia.

Vi par che ci ritocchiam la mano in presenza del signor zio?

dottor.

Bisogna toccar quel che n'v' sid tucà, perché la man av la tuccassi sina in Bologna.

celia.

È vero, che ci rimane dunque che fare?

dottor.

Quel che n'è fat. Andanv in casa, ch' la natura v'insegnerà 'l rest.

capitano.

Andiamo monarchessa delle donne e moglie del monarca delle milizie.

(Entrano)

dottor.

Da chì a poch, la monarchia sarà stracca.

SCENA XIV

virginio e fritellino

virginio.

Io voglio Flaminia in tutti i modi. Vada la robba, non si estimi la vita, e se l'onor patisce, abbia pazienza anco lui ché Amor non guarda ad altro che al proprio interesse.

fritellino.

Se la robba se ne va, la vita riman tribulando; e un corpo tribulato dalla povertà non serve all'onore per altro che per una carcere secreta che non lo lascia venir mai alla luce.

virginio.

Come faremo per aver Flaminia?

fritellino.

Non la volete per goderla, o per amor o per forza?

virginio.

Sì.

fritellino.

Godendola non la disonorate?

virginio.

La vorrei per moglie io.

fritellino.

Ed ella non vuol voi, adunque non puol essere.

virginio.

Pigliamola adunque a disonorare.

fritellino.

Dovendola disonorare, disonoratevi per meglio disonorarla.

virginio.

Forfante, disonorarmi?

fritellino.

E che? crederesti forsi d'onorarvi con il furto d'una donna che non vi vuole? E questo non è meno lo intiero disonore ch'io son per dirvi.

virginio.

Che ci è di peggio, o di più grave, che non possi esser stato commesso da chi professa e spende il nome di uomo onorato?

fritellino.

Si spendono anco tante doppie per buone e pur son false. Orsù a i fatti nostri. Sapete quello che bisogna che di necessità voi facciate? Ve lo dirò: bisogna che amazziate Cinzio.

virginio.

Ohimè, questo non mai.

fritellino.

Lasciatelo dunque far a lui?

virginio.

E come?

fritellino.

E che, voi dubitate forsi che Cinzio non vi amazzi, accorgendosi che l'insidiate la donna? o pur almeno non v'impedisca che non l'abbiate, la qual cosa (secondo voi) sarebbe pur anche una ferita mortale?

virginio.

Lo farei poi anche, quando il mondo potess'aver qualche sodisfazione intorno al perché, onde non si dicesse che io l'avessi fatto solo per levargli la donna.

fritellino.

Io ho per la mente un perché tanto onorato, che al dispetto dell'essere, parerete uomo da bene.

virginio.

Nel parere consist'oggi l'importanza. Se così è, facciamolo.

fritellino.

Voglio che sparghiam voce che Cinzio si vanta di goder Celia, vostra cugina, e io trovarò doi uomini da bene che giureranno di averlo udito.

virginio.

O bello, o buono, o ingegno nato solo per dar consiglio! Io al primo incontro senza parlare li darò una pugnalata.

fritellino.

Eccolo che viene. Animo, ardire, coraggio!

SCENA XV

cinzio, virginio e fritellino

(Virginio senza parlare mette mano al pugnale)

SCENA XVI

[Personaggi della precedente, più flaminia]

(Flaminia per di dietro li leva il pugnale, che non lo vede e dice)

flaminia.

O traditore!

(Cinzio si volta)

virginio.

(subito dice)

Traditrice sei tu, che vuoi occidere uno amante di cui certo sei indegna!

cinzio.

Ah scelerata!

fritellino.

La cosa s'intriga.

cinzio.

E perché a me questo?

flaminia.

Uditemi due parole.

cinzio.

Non debbe parlare chi è indegna di aver tanto parlato.

flaminia.

Concedetemi in grazia ch'io parli, per non vi aver a pentire di non mi aver lasciato parlare.

cinzio.

Di', ma di' presto.

flaminia.

Ditemi, la casa non è l'albergo di chi ci sta?

cinzio.

Che proposito? Sì, che vòi tu dire?

flaminia.

Quel fodro, che tiene a canto quel traditore, è l'albergo di questo pugnale, con cui vi voleva tradire. Io glie lo levai, acciò non vi togliesse la vita. Se questo è l'errore, condannatemi, ma leggete prima nel suo volto il processo del suo mancamento.

virginio.

Non più, il caso è tanto apparente, che ogni negativa sarebbe una irriverente bugia in offesa della purissima innocenza di Flaminia, tradita da me in tante guise, che il solo accennarle sarebbe il martiro di ogni anima ben composta. Io ho amato con ogni sfrenatagine la bella Flaminia e dalla perfida natura di un mio servo ebbi per consiglio...

fritellino.

Non è tempo di star più qui.

(E fugge)

virginio.

Ebbi, dico, per consiglio di romper il rispetto all'amicizia e d'esser sollecito persecutore del signor Cinzio, da me per altro tempo osservato e riverito quanto le mie forze mi permettevano (se non quanto il suo gran merito richiedeva). Fui invitato da quel perfido a persuader vostra signoria di amorosamente parlare in tempo di notte a quella dama, per far che la signora Flaminia, ingelosita, si fuggisse di casa. Successero qui intorno diversi accidenti, che ridussero il caso in una disperata risoluzione di ferir Flaminia, la quale salvata (a persuasione del signor Cinzio) dal Dottor mio zio, fu poscia ridotta in casa e in letto, dove poi Celia mia cugina la spugliò e li fece quella poca servitù che la picciol offesa del ferro per allora ricercava. Viddi Celia (e semplicemente mi riferì) un tal neo sotto la zinna manca alla signora Flaminia, e con parole (puramente adescatrici) me lo rappresentò in guisa ch'io immediate mi sentii rapire di grembo alla ragione e precipitare nelle braccia della lascivia. Sopra di questo neo fu, dalla diabolica natura di quel mio servo, fabricata una perfidissima invenzione (che senz'altro il demonio non era capace di una così perfida dottrina) e fu che in nome di un tal Capitano si dovesse formar una lettera amorosa nella quale descrivesse la bellezza del neo, la grazia più volte ricevuta di ribaciarlo e molt'altre bugie, che unite, la morte a pena bastarebbe per indice di quel male che merita quel ribaldo. Mi fece poi fare quella spropositata quistione sotto spezie di difensore della sua dabenaggine, che non arebbe permesso ch'egli portasse lettere amorose. Mi consigliò il medesimo traditore ch'io vi occidesi sotto certi pretesti che vi avantavate di goder Celia, che so io? Orsù, non più, poiché non è di dovere che più viva un aperto occisore della fama di Flaminia, un pubblico distruggitore della vostra quiete, e un deliberato occisore della vostra vita, la quale tanto è viva, quanto che il Cielo l'ha conservata come innocente.

(Cinzio abbraccia Flaminia)

cinzio.

Non si tratti più di colpe, essendo rassunte tutte in

virginio.

Non si tratti meno di castigo, essendo offizio del Cielo. Trattisi adunque solo di perdoni, essendo uffizio di quell'uomo onorato, non conosciuto da chi usa di far vendetta.

flaminia.

Io non poteva essere ben conosciuta da voi, se non con il mezzo di questo che ha posto il suo onor a sbaraglio per conservazione del mio.

virginio.

Sapendo di non meritar perdono, io sto anco in dubbio di averlo ottenuto.

cinzio.

Il Cielo faccia l'istesso e sarete sicuro del castigo.

virginio.

A Dio, signori.

(E via)

cinzio.

Ohimè, la porta de mio padre si apre. O il mio padrone esce di casa.

SCENA XVII

pantalone e flaminia

pantalone.

Dove seu, fia mia?

flaminia.

Son qui, signore.

pantalone.

Che feu qua in strada?

flaminia.

Mi pareva che fusse stato battuto alla porta, ma non fu poi vero.

pantalone.

Orsù fia, sta' a sentir quello che me ha ispirao el Ciel per vostro ben e per mio gusto. Cioè, che senza cercar altra fede della vostra nascita, che quella sola che me fa i vostri costumi, de volerve tior per mogier. Mo disème, quel fantolin di chi èllo o di chi fu ello fio?

flaminia.

Con più comodo glie lo dirò, né mi par che sia bene lo strigner tanto negozio così importante fino all'intiero conoscimento, se si dee fare. Vadi e torni, ché forsi da un mio discorso comprenderà ch'io merito l'amor suo per la realtà di questo animo mio svilupato da tutti gl'interessi.

(Ed entra)

pantalone.

Questo xe un accrescimento di desiderio che me farave levar gl'intoppi a tutte le difficultae. Mi no credo che l'abbia mario, se ben quel fantolin è una certa raise, è qualche sospetto. El puol anch'esser fio d'un amante che se interponesse a i mii disegni, questo vuol dir niente, quando mi ho el consenso della zovene. El xe stao un gran colpo quello aver detto che comprenderò che la merita l'amor mio.

SCENA XVIII

cinzio e pantalone

cinzio.

Io non so se Flaminia sarà tornata a casa sua o se pur smarrita (non volendo star sola) sarà ritornata in casa dalla signora Celia. O ecco mio padre.

Buon giorno, signor padre. In grazia mi scusi di tanti mancamenti di creanza, poiché preda di mille agitazioni e d'animo e di corpo, non so ormai più quello ch'io mi faccia o in virtù di chi operi.

pantalone.

Orsù, te voio agiustar la mente e accomodart 'l corpo. Ti xe innamorao, ch'el so, e sin adesso ti ti è vardao da mi, che forsi ti averessi sposà quella che zà molto tempo ti galdi. Te do rason, no vogio più che i legami del timor te fazza adulterar i oblighi delle promesse. Tiola, se ti la vuol, né ti averà però causa de inzelosirte per tema d'accrescimento d'eredi, essendo int'una tal etae, che più tosto me abreviano i zorni che prestarli alla discendenza. Però marìdate ché me marido, né se parli tra nu de cose che abbia da introdur disputa intorno a quello che xe che no xe 'l dover.

cinzio.

La legge del dovere è quella che si spicca dal vostro volere. Ma chi è la sposa?

pantalone.

Te vogio far rider e stupir. Truovo qua in strada una zovene preda della necessitae, che lacrimevolmente va cercando patron. Me ritiro in mi, la guardo, vedo una tal serenitae in la so fronte, che immediate me dispose a tiorla più per servirla che perché essa me servisse. E qua deti subito le chiave del mio arbitrio in mano della compassion, la qual subito l'ha inserao nella stanzia della caritae, con un ordine espresso ch'el debba sposar per quanto el tien cara la grazia del Ciel.

cinzio.

E chi vorebbe contradire alla giustizia di questa causa? Ma ditemi, e dove è questa giovine?

pantalone.

La xe in casa e sì a te zuro da pare che no ghe ho manco toccao una man. Ma te ho da dir de più bello: questa ha un fantolin el più caro, el più bello e 'l più dolze mataziuol de tutto el mondo, no te digo altro, el meterave l'allegrezza nel tempio della malenconia! El noma Carluzzo, Carleto, Carlin.

cinzio.

Carluccio?

pantalone.

Sì, ma ascolta el più bello. Un fio d'un becco cornuo ghe l'aveva tiolto, no so se per burlo o per farla desperar; basta, ché al despetto de quella bestia se ha trovao. Se ti avessi visto quanto la povera zovane s'è muà de ciera! Fa' conto ch'el si sia visto el caligo convertirse in sol: la se ha abbelio tutto l'asetto, de muodo che mi giudico ch'el mondo non abbia niente de più bello de sta zovene.

cinzio.

Com'ha ella nome?

pantalone.

Flaminia.

cinzio.

Et est. Si può vedere?

pantalone.

Se puol, ma no vogio. Andemo, prima che ti la vedi, a tior delle veste che possa servir per indizio del so merito e per la medema strada ne compraremo anca per vestir la toa. Andemo.

cinzio.

Andiamo.

Non ho più dubio che non sia Flaminia mia.

SCENA XIX

dottor

dottor.

An so s'al re d'Affrica abbia ancora consgnà l' scetr alla razina. Al diss d' portar la casa in Affrica, è possibil ch'in quel paes al re n'abbia dov aluzar?

SCENA XX

franceschina filando, bagattino aguchiando, e dottor

franceschina.

Tu sei cagione ch'io fila, né trovarò mai più una patrona come la signora Flaminia.

bagattino.

E mi vagh agucchiand, né poss guadagnà tant ch'accompri l'acqui vita. O ecc un om.

Bondì messir.

dottor.

Bondì e bon ann.

bagattino.

Me savrisev insegnà un patrù?

franceschina.

E a me una patrona?

dottor.

Fad cont d'aver truvà tutt du la vostra vintura. Ti at vuoi metter con al re d'Affrica e tu con la razina.

bagattino.

Dai al mat! Dai al mat!

(E via)

franceschina.

Dagli, che è matto, dagli, dagli!

(E via)

dottor.

O ch' besti, com l' zent s' zuoga la sort.

(Piglia le chiave, apre ed entra in casa)

SCENA XXI

pantalone, cinzio, mercante con veste

pantalone.

Se ben le xe veste fatte, le xe però niuove.

cinzio.

Diamo le sue alla vostra sposa e l'altre le portaremo poi alla mia.

pantalone.

Bon, ti parli ben. O de casa!

SCENA XXII

flaminia, cinzio, pantalone

pantalone.

Nel costituirve mia maggior, ve costituisso anco patrona del mio aver e comenzo de ste vesture.

(Flaminia guarda sott'occhio Cinzio. Cinzio accenna che pigli le veste. Pantalone gli guarda tutti doi e dice)

pantalone.

Par che ve cognosse.

cinzio.

La riconosco e so ch'ella è gentildonna meritevole di maggior presente di questo.

flaminia.

Fo quanto mi comandate.

cinzio.

Pigliate ancor queste dua per mia moglie.

pantalone.

La cognosèla?

cinzio.

Meglio di nissun altro.

pantalone.

E l'ho accaro, a fé de omo da ben.

cinzio.

O eccola.

pantalone.

Dove xela?

(Cinzio tocca la mano a Flaminia e dice)

cinzio.

O signora consorte.

SCENA XXIII

carluccio e stessi

carluccio.

Signor padre bello caro. Ecco il mio missere.

pantalone.

Ecco i miei furbi.

cinzio.

Signor padre, questa è mia moglie, il cui merito è sottoscritto dal vostro giudizio.

pantalone.

Non ho liogo da dolerme, né da reprenderve. Tiolève, ch'el Cielo ve benedighi.

SCENA XXIV

capitano, celia, dottor, cinzio, flaminia, pantalone

dottor.

Larg al re e alla regina d'Affrica!

pantalone.

Dove setli?

dottor.

Eccoli.

pantalone.

O che bestia!

capitano.

Io invito tutti alle nozze, alle feste, al torneo e alla giostra, la qual si farà all'arrivo di due mila cavaglieri ch'io aspetto d'Affrica e di Portugallo.

dottor.

E si n' saran tant, quattr Ebrei, che faran una moresca.

celia.

Signora Flaminia mi rallegro somamente di vederla e forsi risanata del corpo e dell'animo.

flaminia.

Le cicatrici rimaranno però sempre.

pantalone.

Chi è costù, scapao dalle forche?

SCENA XXV

fritellino con una corda al collo, celia, capitano, cinzio e flaminia

fritellino.

Eccovi, o signori, il ritratto di tutte le scelleragini, il compendio di tutte le furbarie, e, per dirvi tutto in una parola, eccovi Fritellino!

cinzio.

Taci, ché sappiamo tanto che tu senz'altro non confessaresti tanto. Divieni quello che non sei mai stato e sarai uomo da bene.

fritellino.

Io ho una cosa molto difficile, il far un esercizio che non si abbia mai imparato.

SCENA XXVI

[Personaggi della precedente, più bagattino e franceschina]

(Bagattino e Franceschina sono stati in disparte a veder il tutto)

bagattino.

A sem chilò per domandat perdon d'un mal ch'a non avem finit de fà. Però se avì perdonat a chi ne ha fatt tanti, perdonén anca nu, che non avem fatt se non mez.

pantalone.

Non doventar laro, ché ti non sa far el mestier. Lassalo far a chi el fa senza paura della nostra giustizia. Te sia perdonao.

franceschina.

E io domando perdono di non aver fatto nulla.

SCENA XXVII

(Uno togato parla con l'Auditorio)

TOGATO.

Cortesissimi signori, che con qualche incommodo averete favorito l'autore e con esso i rappresentanti, servite ancora all'occorenza de i vostri interessi con il negar il consenso a chi vi persuade al male; accioché non crediate ne gl'errori che quasi hanno consumato a Virginio, con la riputazione, la vita ancora.

E voi, signori carichi d'anni, non allegerite il cervello con lo alterarvi se in casa avete giovani innamorati, poiché vi mettete a pericolo di servir per esempio di leggerezza nel tempo assegnato apunto alla vostr'età per correggere chi è leggier di mente. Lo so che averete raccolte materie di maggior profitto, le quali, per non più stancarvi, lasciarò il carico alla rettitudine del vostro giudizio.

 FINE