L’ancora

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L’ANCÒRA

Commedia in un atto

DI EDOARDO GRELLA

PERSONAGGI

GIOVANNI BRUNELLI

ELENA

NELLY

RICCARDO

ALBERTO MORANI

FABRIZIO

Commedia formattata da

Salotto-studio. A sinistra, di lato, una scrivania con lampada e gran paralume verde, ingombra di carte e libri in disor­dine. Dinanzi alla scrivania, una poltrona bassa. Più avanti, un tavolino col telefono, A destra, avanti, un divano e due poltrone e, dietro, un paravento. Alla parete di destra, in prima, un caminetto con specchio; in seconda, una finestra. Porta al centro, in fondo. Due porte a sinistra. (Si ode, Nelly che canterella).

Fabrizio                         - (dal fondo, con parecchi plichi e lettere, va alla scrivania) Sono le sei del pomeriggio e dorme! Firmerò io... Non c'è una penna... A trovarla! Ah, eccola. (Firma, va fuori in fondo). A voi, prendete... (Torna alla scriva­nia). Questa è dello stabilimento... Tre raccomandate... que­sta verde dev'essere un atto giudiziario... Un espresso... Ma se c'è ancora la posta di ieri e non l'ha neanche guardata!

Riccardo                       - (chiuso nell'impermeabile e con un pacco di libri sotto il braccio. Piano, dal fondo) Fabrizio...

Fabrizio                         - Signorino Riccardo, voi...

Riccardo                       - (facendogli cenno di parlare basso) Sss... Avete lasciato la porta aperta.

Fabrizio                         - E' tornato! Con questo tempaccio...

Riccardo                       - Una pioggia che non smette.

Fabrizio                         - E' tutto inzuppato...

Riccardo                       - Se continua così... Il fiume è in piena. (Udendo la voce di Nelly, con gioia) E' lei?

Fabrizio                         - E' la padroncina, la signorina Nelly che canta. Canta sempre...

Riccardo                       - E la zia?

Fabrizio                         - E' uscita.

Riccardo                       - E zio Giacomo?

Fabrizio                         - (con gesto sconsolato) E' di là che dorme!

Riccardo                       - Benissimo.

Fabrizio                         - No, signorino.

Riccardo                       - Perché no? Hanno detto qualcosa di me?

Fabrizio                         - No, ma... sa, il signore è così nervoso... Era l'uomo più calmo della terra, ma ora, voglio dire da un pezzo...

Riccardo                       - Ebbene?

Fabrizio                         - Potrebbe seccarsi. Non s'inquieti, ma... lei è venuto ieri, è venuto stamane, torna ora...

Riccardo                       - Io vengo per studiare con mia cugina.

Fabrizio                         - ...Appunto, ma... prima non si vedeva mai, così hanno detto...

Riccardo                       - Gli zii?

Fabrizio                         - M'è parso di sentire. Poi, non so...

Riccardo                       - Sfido, Nelly era in collegio!

Fabrizio                         - Ecco, sì, ma sono tre giorni che ne è uscita e lei è già venuto dieci volte.

Riccardo                       -   ... Per studiare. Io sono una persona seria.

Fabrizio                         - Non ne dubito, signorino.

Riccardo                       - Guardate, ecco i libri. Da solo non ci racca­pezzo nulla. Ah, la matematica, Fabrizio, è stata la ietta­tura della mia vita! A quest'ora sarei anch'io licenziato... Meno male che Nelly m'aiuterà, è tanto amabile!

Fabrizio                         - E lei... come un moscone...

Riccardo                       - Non vi pigliate confidenza. Non sono un mo­scone. Ho altro per la testa, io!

Fabrizio                         - Se mi son permesso,., e stato per consigliarlo.

Riccardo                       - Non accetto consigli.

Fabrizio                         - Faccia pure, s'accomodi, mi scusi…..

Riccardo                       - (dopo una pausa) Fabrizio, non state in collera. Ditemi, gli zii potrebbero trovar strana questa mia frequenza?

Fabrizio                         - Può darsi. E' che il mio padro­ne da un pezzo non è più lui...

Riccardo                       - Non è più lui?

Fabrizio                         - ...E non vorrei che... Tutto lo irrita. E' divenuto aspro con tutti, di caratteri cupo, taciturno, irascibile. Trascura gli affari, la sua vita è una baraonda; a quest'ora donne, la notte è fuori...

Riccardo                       - E' chiaro: ha un'amante.

Fabrizio                         - No, signorino, lo conosco bene. .Sono un vecchio servitore, io. Ma qualcosa ci dev'essere, mi creda. Lui, così ordinato, la­borioso! E' irriconoscibile. Guardi ora quel tavolo: butta tutto lassù e così lo lascia!

Riccardo                       - Non v'impressionate: è il mio stesso sistema.

Fabrizio                         - E' una rovina!

Riccardo                       - E la zia? Cosa dice la zia?

Fabrizio                         - La signora! Comincia a fare co­me lui.

Riccardo                       - Esce la notte?

Fabrizio                         - No, ma... lo sa come avviene? Tu mi trascuri, io faccio lo stesso. Tu sei in­differente, io peggio. Mi spiego? Si sta nella stessa casa ma ognuno va per conto suo. Se sapesse! Sono segreto, non dico i fatti di casa, ma...

Riccardo                       - Lo vedo.

Fabrizio                         - ...Stringe il cuore, mi creda. Som da dicci anni qui.

Riccardo                       - Lo so.

Fabrizio                         - Ricordo com'erano prima. Co­me si fa a cambiare così! E' uno scandalo. Ogni sera poi la signora va dai vicini a giuo-care al poker sino a tardi. Qui non c'è mai nessuno, mai!

Riccardo                       - Vorreste che restassero a farvi compagnia?

Fabrizio                         - No... dico, la signora è ancora giovane, ha una figlia...

Riccardo                       - Nelly!

Fabrizio                         - ...Che sembra sua sorella. Guardi, in questa stessa camera, prima: la sera, là, dietro quel tavolo il signore: su quel­la poltrona la signora col. lavoro; su quei cu­scini, ai suoi piedi, la piccina; il caminetto acceso e nell'aria un tepore, un senso di pace. Sente ora... che freddo?

Riccardo -------------- - Come siete romantico, vecchio mio. Sono quadretti fuori uso, questi. Siamo nel millenovecentotrentuno. E' tutta roba sor­ passata. Le donne pilotano gli aeroplani. I miei zii seguono i tempi. Il caminetto acce­so... lui, là dietro, sulle carte... lei accanto a lui... la piccina accanto a loro... Mi fate ri­dere! Lui ha un'amante e lei, se non l'ha...

Fabrizio                         - Signorino!

Riccardo                       - Sono i tempi!

Fabrizio                         - Sono i tempi?!

Riccardo                       - (udendo il canto di Nelly) Zit­to! E' Nelly?...

Fabrizio                         - E' lei.

Riccardo                       - Che mi consigliate, Fabrizio?

Fabrizio                         - Di andarsene.

Riccardo                       - Avrei tanto bisogno di studiare, Fabrizio! Ma... è meglio evitare. Lo zio, avete detto, esce?

Fabrizio                         - Più tardi.

Riccardo                       - Allora... tornerò più tardi.

Giacomo                       - (di dentro, chiamando forte) Fabrizio, Fabriziooo...

Fabrizio                         - (tornando al primo uscio a sini­stra) Eccomi, signore.

Giacomo                       - (c. s.) Si può sapere con chi parlavate?

Fabrizio                         - Con nessuno, signore.

Giacomo                       - (entrando in pigiama) Non si può dormire, in questa casa, non si può riposare!

Fabrizio                         - Ma... non ho colpa. Farò at­tenzione.

Giacomo                       - (c. s.) E' inutile ora che mi avete svegliato. Andate, non ho bisogno di niente! (Pausa) Fabrizio!

Fabrizio                         - (tornando) Comandi.

Giacomo                       - Portatemi un caffè, presto!

Fabrizio                         - Subito, signore...

Giacomo                       - Fabrizio!

Fabrizio                         - (c. s.) Comandi.

Giacomo                       - Telefonate subito a Morani.

Fabrizio                         - Ha detto?

Giacomo                       - Siete sordo? Morani. Pregatelo di venir subito da me. Ho bisogno di parlar­gli. Fate presto. Ditegli che lo aspetto. Muove -levi, telefonate, datemi la risposta e portatemi il caffè.

Fabrizio                         - Il numero?

Giacomo                       - 25137. Fate presto, vi dico.

Fabrizio                         - (in fretta, al telefono, forma auto­maticamente il numero) Pronto... pronto... Non risponde... (Ripone il ricevitore e forma di nuovo il numero) Pronto... pronto... Il si­gnor ragioniere Morani? ...No? Ho sbagliato?

Giacomo                       - Ma che ci vuole? E' così sem­plice. Ecco, così, vedi, è fatto... Pronto... Morani? Alberto, sei tu?... No? Scusi tanto. (Fe­roce a Fabrizio) Perché mi guardi? (Telefona di nuovo). Pronto... Morani? Oh, finalmen­te!... Sì, sono io, Giacomo... Ho bisogno di parlarti... Perfettamente. (Con un sospiro) Hai capito!.. Ancora una volta... Tu solo puoi aiutarmi... Ti aspetterò... Cinquemila... sì grazie... cinquemila... Eh! se avrò buona stella, o è meglio la fine... la fine di tutto... No, no, dico così. Grazie, ti aspetto. (Veden­do Nelly) Oh, Nelly...

Nelly                             - Papà...

Giacomo                       - Vieni avanti, piccolo tesoro. Beh? Che ne dici del tuo nuovo mondo? Sei felice ?

Nelly                             - Tanto, papà! Sono appena tre giorni... Mi pare di essere, non so... come stor­dita... Una gran gioia, un desiderio di canta­re, di correre, di vedere... ma, lo confesso, anche un po'...

Giacomo                       - Di nostalgia?

Nelly                             - Penso...

Giacomo                       - Alle monache?

Nelly                             - ...alle compagne,

Giacomo                       - Le incontrerai nella vita.

Nelly                             - ...all'aula dove si studiava, alla cappella... se tu avessi visto, cappella...

Giacomo                       - (distratto, tra se, sarebbe bello...

Nelly                             - Che dici?

Giacomo                       - Io? Sì, dico...

Nelly                             - E' vero? Anche tu... vai in chiesa?

Giacomo                       - Sì, sì...

Nelly                             - Quando?

Giacomo                       - La notte.

Nelly                             - Che hai?

Giacomo                       - Un po' d'emicrania.

Nelly                             - Vuoi il rimedio? Le cartine con la preghiera di Santo Espedito. Le sai?

Giacomo                       - No. (Entra Fabrizio col vassoio).

Nelly                             - Sono contro tutti i dolori e salvano dalla morte improvvisa.

Giacomo                       - Grazie.

Nelly                             - Le vuoi?

Giacomo                       - Sì, ma..

Nelly                             - Le prendo?

Giacomo                       - .. .fammi portare un po’ d’acqua per ingoiarle.

Nelly                             - Ma no! Si portano addosso nel  portafogli. Chi sa dove le ho ficcate. Ma le troverò. Non hai fretta?

Giacomo                       - Trovale, anzi, col tuo comodo. (Nelly va via. A Fabrizio) Dammi i sigari. (Fabrizio esegue. Gliene accende uno) Grazie.

Fabrizio                         - Vuole altro?

Giacomo                       - No, Fabrizio, grazie... (S'ode suonare un campanello).

Fabrizio                         - Sarà la signora.

                                      - (Giacomo, seduto alla poltrona innanzi alla scrivania, continua a fumare. Elena entra. Si toglie piano i guanti poi il cappello. Va in­nanzi allo specchio, si ravvia piano i capelli. Va in fondo, guarda delle carte su uno scaf­fale, poi le ripone. Viene avanti, siede. Si­lenzio).

Elena                             - Che tempo uggioso! (Pausa) Sono stata dal fioraio. (Altra pausa) E' venuta Ma­ria Rivelli con lo sposo?

Giacomo                       - Che io sappia, no.

Elena                             - Strano. Li incontrai ieri, stretti l'una all'altro. Mi promisero una visita per

oggi.

Giacomo                       - Sarà capitato loro qualche cosa d'imprevisto. Sono sposi. Da un momento all'altro, sai... non c'è orario.

Elena                             - Del resto, poco importa.

Giacomo                       - Eppoi, non t'avrebbero trovata, in casa.

Elena                             - Infatti. (Silenzio. Va alla finestra) Che serata noiosa!

                                      - (Giacomo si alza e si avvia alla porta a si­nistra. Elena lo guarda).

Elena                             - Giacomo...

Giacomo                       - M'hai chiamato?

Elena                             - No, dicevo...

Giacomo                       - Su, parla.

Elena                             -   Nulla.

Giacomo                       - Come? Nulla? Ma allora lascia­mi andare!

Elena                             - (recisa) No, Giacomo, resta, non si può continuare.

Giacomo                       - E' dunque un colloquio chiedi?

Elena                             - Proprio.

Giacomo                       - Avanti...

Elena                             - Credo, dopo tanto, il diritto.

Giacomo                       - Il sacrodiritto, fa effetto.

Elena                             - Se tu mi vedessi nell'anima, comò, non faresti dello spirito.

Giacomo                       - (sedendo di nuovo) Me ne guar­do. Eccomi a tua disposizione.

Elena ;                           - Sì, è necessario, perché alla fine...

Giacomo                       - Scusa se t'interrompo: volevo dirti di essere, se è possibile, breve.

Elena                             - Oh, lo sarò tanto per quanto è stato lungo questo periodo di tortura!

Giacomo                       - Di tortura? Sarei un carnefice?Siete un po' strane, voi donne. Trovate un Marito che, in un modo o nell'altro, vi perseguita e, giustamente, gridate al martirio; ne capitate uno che vive per conto suo, non parla, inni chiede nulla, e dite che è una tortura. francamente, do in qualche modo fastidio a qualcuno?

Elena                             - No.

GIACOMO                  - Preferiresti il contrario?

Elena                             - No.

Giacomo                       - Ti lascio libera, fai quello che vuoi sei la padrona, non è vero? Si può dire che, in casa, ho limitato la mia vita a quell'angolo, in quella camera...

Elena                             - E' vero.

Giacomo                       - Non sono di quelli che s'intrigano che impongono la loro volontà, che mettano divieti, proibizioni, « questo voglio, questo no »...

l'i ENA                         - Magari!

Giacomo                       - Che significa?

Elena                             - (con tristezza) Niente... Significa

niente!

GIACOMO                  - Non fare l'enigmatica, la misteriosa. Riconosci piuttosto che hai avuto uno scatto, così, senza alcun motivo. Siamo seri! Se proprio hai voglia di parlare, parliamo di ritto. Dicevamo... La visita dei Rivelli.., A proposito, chi ha sposato Maria Rivelli? (silenzio) Non rispondi? Oh, bella! Ma allora perché trattenermi? (Fa per andarsene).

NA                                - Giacomo, ti dico, resta.

Giacomo                       - Ma che hai?

Elena                             - Resta sino a che voglio.

GIACOMO                  - Elena, tu sai che non ho avuto mai uno scatto con te.

Elena                             - Voglio, pretendo che tu m'ascolti.

Giacomo                       - (impassibile) Di' tutto quello clic vuoi ma non essere scortese. Io ti ascolto. Ma non provocarmi. Sarebbe un tentativo   ano perché non mi vedrai mai, per nessuna ragione, perdere la mia calma.

Elena                             - (fremendo) La tua freddezza inesplicabile, la tua indifferenza esasperante!

Giacomo                       - (pacato) Piano. Potrebbe essere un difetto del mio carattere.

Elena                             - Ma prima...

Giacomo                       - (c. s.) Prima? Ah, vuoi dire quando eravamo anche noi sposina! Via, non trovi che si diventerebbe ridicoli?

Elena                             - Ma anche dopo...

Giacomo                       - (c. s.) Dopo? Non ti capisco.

Elena                              - Sino a qualche tempo fa. Tu erimio. Tu eri quello che io avevo conosciuto,quello che io amavo, quello che io aspettavocontando le ore e che, rientrando, riempivaqueste camere della sua vita...

Giacomo                       - Sei in errore, Elena..,

Elena                             - No. no, non sono in errore.

Giacomo                       - Lasciami parlare. Non so perché oggi vuoi agitarti così. Mi vedi un po' diverso da quello che ero e...

Elena                             - Sei un altro.

Giacomo                       - ... e non pensi che son trascorsi parecchi anni dalla nostra unione. Con ciò non voglio dire che... ma insomma, quello stesso amore, quella stessa espansione...

Elena                             - Bisognava custodirli.

Giacomo                       - Il tempo esercita anche su que­ste cose, mia cara, la sua azione trasformatrice.

Elena                             - Bisognava non lasciarli disperdere.

Giacomo                       - E' la forma che muta; la so­stanza è la stessa.

Elena                             - Ah, è la forma? Ebbene, non do­veva mutar nulla. Era il nostro patto.

Giacomo                       - ,Ma... in che modo?

Elena                             - Vivendo l'una della vita dell'al­tro, Giacomo, restando uniti.

Giacomo                       - Ma scusa, non siamo uniti?

Elena                             - Fingi di non comprendere? E non t'accorgi che, a poco a poco, abbiamo creato tra noi l'indifferenza, l'abbiamo lasciata cre­scere senza avvedercene, l'abbiamo lasciata in­gigantirsi facendole largo, scostandoci l'uno dall'altra, non t'accorgi che siamo due estra­nei?... Cosa è divenuta la tua vita, Giacomo, e la mia vita!

Giacomo                       - Per carità, evitiamo le scene sentimentali: le detesto.

Elena                             - Oh, il tuo cinismo, la tua calma meravigliosa! « E' la forma che muta, la so­stanza è la stessa ». E' così, bravo, è così... Quando vi siete preso tutto, quando avete af­fondato a vostro piacere le mani avide nella nostra anima, nel nostro corpo, per frugarne e impossessarvi di ogni sua vibrazione più inti­ma, e ve ne siete saziati - è la parola che ci vuole - viene la noia, vengono gli affari, gli amici e si fugge la casa, si fugge quest'essere debole, ignaro, che s'è abbandonato tra le vostre braccia per darvi tutto e per essere poi, buttato così, da parte, lasciato con la sua amarezza, col suo disinganno, con la sua delu­sione. E sia! Ma, ascoltatemi: non dovreste al­lora vantare più alcun diritto su di noi, non do­vreste esercitare più alcun potere su di noi perché la nostra anima non vi appartiene più, né le nostre ansie, né le nostre aspirazioni, né la nostra vita alla quale vi siete resi estranei!

Giacomo                       - (frenando la collera) E a me lo dici? Quale diritto esercito su di te, io che non domando più nulla?

Elena                             - (dolorosamente) Perché, Giacomo, di', perché?!

Giacomo                       - (c. s.) Perché non so più nulla di te... Perché non so oggi dove sei stata, com­prendi ?

Elena                             - Giacomo!

Giacomo                       - ... Dove sei stata ieri, gli altri 'giorni, con chi hai parlato, chi hai visto... Non so più nulla di te, ti dico.

Elena                             - Ma... spiegati.

Giacomo                       - Vuoi anche che mi spieghi?

Elena                             - Tu pensi...

Giacomo                       - (impetuosamente) Penso che que­sta vita stessa è la mia rovina, penso che per colpa tua non tornerò più a quel posto, dietro quel tavolo, dove lavoravo in santa pace, mai più, e che sono finito per colpa tua; penso che oggi per la prima volta ti sei accorta del mio stato...

Elena                             - Giacomo, tu mi fai paura!

Giacomd                       - ... e che per mesi e mesi ho na­scosto l'inferno qui dentro, guarda, qui dentro, perché t'ho perduta...

Elena                             - Lasciami!

Giacomo                       - ... Perché m'accorgo che non sei più mia, perché questo profumo che porti ad­dosso non è per me, non può essere per me, co­sì come questa rosa, e che in fondo a quegli occhi grigi è nascosto qualcosa di malvagio, di perfido, e che mi perdo per stordirmi, per non pensare a te, Elena, a te, a te che ho amato, che ho adorato, che avevo scelto perché fossi la mia compagna, e che ora fuggo, detesto, odio.., e dio perché sei ancora giovane, perché puoi pia. cere, perché sei bella...

Elena                             - Uccidimi!

Giacomo                       - Oh!... (Accasciato, sconvolto, si abbandona su una sedia).

Elena                             - Finalmente! So qualcosa!... Povero Giacomo! Dov'eri giunto! Dimmi, però, dim­mi... tu che sai tutto... dimmi anche il nome... chi sarebbe... chi è?

Giacomo                       - (smarrito) Non so...

Elena                             - Dimmi almeno... dove tu pensi che io...

Giacomo                       - (c. s.) Non so...

Elena                             - Quando?...

Giacomo                       - (c. s.) Non so... non so...

Elena                             - E tutto questo... per nulla! Dove si può arrivare, vedi, perché non abbiamo saputo tenerci per mano, Giacomo, né tu né io, credi­mi... Poca fa, oggi, quando sono uscita, uscita, come tu pensi, per andare a uno dei miei con­vegni  - oh, ma io ti perdono! e sotto quella pioggia insistente, gelida, andavo disperata pensando alla mia solitudine, pensando a que­sto male che è entrato in silenzio, a tradimento, nella nostra casa, Giacomo, e l'ha invasa, la nostra piccola casa felice, mi son fermata al pa­rapetto del fiume. Mi sentivo stanca, sfinita. Mi sono appoggiata sui gomiti a guardare l'acqua torbida, gonfia, che correva. Alcuni ragazzi ave­vano, di soppiatto, slegato due piccole barche, di quelle come un guscio di noce. Le ho viste muoversi, urtarsi e poi correre, andare, ognuna abbandonata a sé stessa. Ed ho pensato a te, ho pensato a me...

Giacomo                       - (si alza. A Elena) E ora che sei riuscita a strapparmi quello che avevo giurato di nascondere,, lasciami solo.

Elena                             - Giacomo...

Giacomo                       - Non chiamarmi. Se puoi, fa' come se non esistessi.

Elena                             - (è come stordita. Poi preme il bottone di un campanello).

Fabrizio                         - Comandi.

Elena                             - Portate via questa roba. (Gli porge l'ombrellino, i guanti, ecc.).

                                      - (Elena resta sola, immobile, con gli occhi fis­si nel vuoto. Nel vano della porta in fondo ap­pare Morani).

Morani                          - Si può?

Elena                             - (voltandosi) Oh, Morani...

Morani                          - Buonasera.

Elena                             - Accomodatevi, Morani.

Morani                          - Avete gli occhi rossi di pianto, Elena.

Elena                             - » No,

Morani                          - Anche un'altra sera vi trovai così.

Elena                             - Vi dico di no...

Moiuni                          - Consideratemi pure da estraneo. Ci conosciamo, si può dire, da ragazzi e avete .'posalo un mio amico. Conosco bene voi e cono­sco benissimo lui. Baruffe, amica mia, baruffe!

Elena                             - Qualche volta... capita.

MORANI                     - Avevate gli occhi meravigliosa-mente belli e li state sciupando.

ELENA                        - V'interessate dei miei occhi.

Morani                          - Di voi, come di una piccola amica d'infanzia. Per quanto, ora, io non goda più il vostra fiducia.

ELENA                        - Perché non dovrei averne, Morani?

Morani                          - Eh... per la stessa ragione che, prima, da ragazza, mi chiamavate Alberto e ora mi chiamate Morani... Volete tenermi a distan­za. Siete in verità una moglie austera. Sì, mi chiamavate Alberto... Ricordate? Bei tempi! La villeggiatura a Castelrosso, le partite di tennis... Eravate invincibile. Giacomo da poco s'era lau­reato ingegnere. Io scrivevo versi. Preferiste le sin' pompe idrauliche alla mia povera musa... Vi rivedo ancora svolazzare col vostro vestito bianco... Giornate di sole, giovinezza, allegria! (Sorpreso) Voi piangete, Elena? (Ella piange in silenzio) Ma che cos'è? Forse, senza volerlo... (Dopo un po') Sono venuto per consegnare del­le parte a Giacomo...

Elena                             - Datele a me.

MORANI                     - (in imbarazzo) No... perché vor­rei vederlo. Abbiamo assieme un affare impor­tante.

Elena                             - Con lui? Ma se non s'interessa più di nulla, non fa più più nulla! Morani, voi mi nascondete qualcosa.

kaai                               - Io? No...Sì, lo vedo. In nome di quell'ami­cizia che avete ricordato, ve ne scongiuro, par­late. Voi siete intimo di Giacomo... Egli passa quasi tutta la notte fuori casa... E' sempre più agitato... è violento.

Morani                          - Con voi? Povera Elena!

ELENA                        - Forse i suoi affari vanno male?

Morani                          - Non so. Ma se dite che non se ne cura più!,

Elena                             - Ha forse un'amante?

Morani                          - Non credo, lo escludo. Poi... chi può sapere!

ELENA                        - Per carità, ditemi tutto. Se siete ve­nuto qui, se dite che dovete parlare con lui, dev'essere pure per qualche cosa.

Morani                          - Ebbene, sì. Avrei voluto da tempo avvertirvi. Voi non siete per me un'estranea, l'Iena, ve l'ho detto. Non avete mai voluto per­suadervi, né prima né poi, cosa eravate divenuta mila mia esistenza dal giorno che vi conobbi.

Elena                             - (con ansia) Parlate di lui, ditemi la verità, non mi celate nulla!

Morani                          - Giacomo si rovina. Giuoca.

Elena                             - Ma se...

Morani                          - Lo so. Non aveva questo vizio. Ma ora vi, ricorre, direi quasi con voluttà; come certi bevitori che s'aggrappano alla bottiglia e bevono sino in fondo pur sapendo che per loro è veleno.

Elena                             - Quanto ha perduto, ditemi, quanto ?

Morani                          - Oh, che volete che sappia... Certo che tutte le sere egli è a quel tavolo maledetto,

Elena                             - E voi...

Morani                          -   Ho fatto qualcosa per lui, ho cercato di persuaderlo. Ma egli fa certe minacce; anche oggi, per telefono, ha detto che... che l'avrebbe fatta finita.

Elena                             - Dio! Dio!

Morani                          - Oh, non temete. Io lo sorveglio e, permettetemi di dirlo, lo... aiuto.

Elena                             - In che modo?

Morani                          - Dico... sì, qualche volta, egli si è trovato di non poter fare onore, nelle ventiquattr'ore, ai suoi impegni, e allora... sono in­tervenuto.

Elena                             - Gli avete dato del denaro?

Morani                          - Per evitare uno scandalo e anche... per risparmiare, soprattutto a voi, un dolore, Elena, credetemi, a voi!

Elena                             - Alberto...

Morani                          - Ho fatto ben poco.

Elena                             - Occorre ora assolutamente persua­derlo, fermarlo su questa strada.

Morani                          - Tocca a voi.

Elena                             - Ditemi che cosa debbo fare.

Morani                          - Distrarlo, distaccarlo da quell'am­biente, tenerlo con voi, qui. Tutto sta a tronca, re, forse anche per una sera, quest'abitudine.

Elena                             - Oh, non sarò io, certo, capace di trattenerlo! Se voi sapeste... Poco fa egli m'ha detto che mi odia...

Morani                          - E' arrivato a questo?

Elena                             - ... Ma forse m'ama ancora! Ha det­to che io sono la sua rovina, m'ha parlato come si può parlare a una...

Morani                          - Amica mia, cosa avete ricavato dalla vostra ostinata purezza!

                                      - (Elena e Morani sono seduti sul divano na­scosto dal paravento. Dal fondo, circospetto, en­tra Riccardo. Si apre la seconda porta a sini­stra).

Riccardo                       - (vedendo la porla che si apre) O Dio, è lui! Non è uscito! (Chiude la luce. E' invece Nelly che entra; s'incontra con lui. Ric­cardo, senza voce) Sì, sono io!...

Nelly                             - Riccardo?

Riccardo                       - Nelly! Zitta, per carità...

Nelly                             -   Hai paura?

Riccardo                       - Di tuo padre.

Morani                          - (a Elena che fa per alzarsi) No, restate. Tornerà subito: è una delle solite in­terruzioni.

Riccardo                       - (a Nelly) C'è gente, cugina.

Morani                          - (a Elena)   Sono un gentiluomo.

Riccardo                       - (a Nelly)   E' un uomo.

Nelly                             - Con chi parla?

Riccardo                       - Credo con un altro uomo o con una donna.

Morani                          - (a Elena) Non vi avvilite! La vita è innanzi a voi. Risorgete. Basta aver coraggio, per guarire la piaga.

Riccardo                       - (a Nelly) E' un medico.

Morani                          - (a Elena) Non avete voluto cre­dermi. E ora passate pure le vostre giornate a piangere. Voi che avreste potuto essere felice, voi che avevate tanto bisogno di tenerezza, di amore...

Riccardo                       - (a Nelly) Non è un medico.

Morani                          - Continuerò in silenzio ad amarvi, consentitemelo, a esservi vicino, a esservi in qualche modo di conforto, di aiuto...

Riccardo                       - (a Nelly) Ma... chi sono?

Nelly                             - Che dicono?

Riccardo                       - Parlano d'amore.

Morani                          - (a Elena) ... Siete così sola e non vi chiedo che d'essere il vostro schiavo...

Nelly                             - (in estasi) Come nei romanzi!

Morani                          - (a Elena) Attendo una parola so­la, ditemela.

Elena                             - (a Morani) Ho la vertigine, crede­temi...

Morani                          - Elena...

                                      - (Nelly dà subito luce alla camera).

Elena                             - (vedendola) Nelly... tu! (Nelly corre tra le sue braccia e si aggrappa a lei- Ehm, stringendola a se) No, non è vero, mai... mai! Non ho pensato a te! (Restano abbracciate. Morani, in piedi, è muto, pallido).

Riccardo                       - (fa di lontano una serie di inchini e di sorrisi a Morani). Sono Riccardo, il nipote di zio Giacomo, suo amico... Ella è molto i amico di zio Giacomo... Studente all'Istituto commerciale: ultimo corso! (Silenzio) Piacere 1 di aver fatto la sua conoscenza. (A Elena) Zia, me ne vado. Vedo che siete... fuori pericolo. Addio, Nelly, coraggio! (Andandosene) E' una disdetta! Non posso studiare!

Morani                          - Dovreste avere la compiacenza di V consegnare a Giacomo questa busta.

Elena                             - No, Morani... Tenetevela con voi. (Morani s'inchina, ed esce).

Giacomo                       - (da sinistra, col pastrano sul brac­cio e il cappello, vedendole abbracciato).Cos'è? Che fate? Chi è venuto?

Elena                             - Morani.

Giacomo                       - Ma... chi l'ha mandato via?

Elena                             - Nelly.

Giacomo                       - (guardandola esterrefatto) E tu...

Elena                             -   Io?... Io starò qui, con lei... Sempre! Finirà tutto, vedrai... ogni sospetto...

Giacomo                       - Ma perché?... Nelly, dimmi... tu hai male...

Nelly                             - Sì...

Giacomo                       - Che accade? Che hai?...

Nelly                             - Male. E se tu vai via...

Giacomo                       - Ma se vuoi... non so... se tu vuoi... Non far così... (Come stordito egli poggia il pa­strano e il cappello su una sedia. Elena piano va a sedere alla poltrona dinanzi allo scrittoio).

Nelly                             - (sedendo sul cuscino dinanzi alla poltrona) Sì, mamma, siedi qui. E tu babbo, là, come allora... Mi sembra un sogno. Vorrei narrarvi tante cose. A quest'ora in collegio... ' Oh, guarda, una rosa!  (Raccogliendola, a Elena) E' del tuo vestito...

Giacomo                       - Dagliela...

Elena                             - (la riappunta al suo petto, poi a Nel­ly che si è rimessa ai suoi piedi) Dicevi... racconta... (Fabrizio, sorpreso, guarda la scena).

Nelly                             - A quest'ora, dicevo, scendevano le suore a due a due lungo lo scalone. S'udiva l'or, gano. Noi le seguivamo in silenzio. Tante fiam­melle in fondo, sull'altare... (A un tratto, le­nendola forte) Ma è meglio qui, mamma, così!

                                      - (Fabrizio, quasi in punta di piedi, va al ca­minetto, e vi ripone la legna).

Elena                             - (a Fabrizio) Fabrizio...

Fabrizio                         - Signora...

Elena                             - Che fai?

Fabrizio                         - Riaccendo il focolare...

                                      - (Giacomo va rimettendo in ordine la scriva­nia, Elena bacia in silenzio Nelly, sui capelli).

FINE