L’angelo del miracolo

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L’ANGELO DEL MIRACOLO

Dramma in tre atti (dieci quadri)

di ALESSANDRO DE STEFANI

PERSONAGGI

LA MADRE

ANDREA

FAUSTA

FRANCO

CARLO

CESARE

L'AVVOCATO

IL DOTTORE

LUCIA

MARTA

LISA

ANDREA, ragazzo

UN CAMERIERE

L'ANGELO

La voce del PUBBLICO ACCUSATORE

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

QUADRO PRIMO

 (Un'umile stanzetta; un letto in cui giace Andrea: quindici anni, malato. Accanto al letto un tavolino; sopra, un'immagine sacra. In un angolo, presso una finestra, un catino e una brocca. Una lampada accesa. Poche suppel­lettili. Una porta, la comune, in fondo; un'altra a sinistra. Il malato è assopito: due vecchiette, due vicine di casa, sono sedute presso un tavolo da lavoro e sferruzzano par­lando sommessamente. Marta è piuttosto corpulenta, Lucia è alta e magra e porta gli occhiali).

Lucia                             - Troppe cure: è così che si prendono i ma­lanni. E la maglia se c'è un po' di vento, e la sciarpa se piove. I ragazzi, si sa, vanno allevati in un altro modo. Che possano resistere a tutto.

Marta                            - Voi non avete mai avuto figli, non potete sapere.

Lucia                             - Se, Dio non voglia, il ragazzo se ne va, quella gli va dietro: non resiste.

Marta                            - E' il guaio d'aver un figlio unico. Io ne ho perso uno che aveva quattro anni, un angioletto, ma ne avevo altri tre.

Lucia                             - Che v'hanno lasciata anche quelli. Bella con­solazione avere dei figli!

Marta                            - Hanno fatto la loro vita.

Lucia                             - S'è mosso?

Marta                            - No, riposa...

Lucia                             - Mi pareva... Anche lei, disgraziata, uscire con un tempo simile! Diluvia.

Marta                            - Capirete, ha 39 e 6. Il dottore stamattina gliel'ha detto: se la febbre aumenta, chiamatemi.

Lucia                             - A quest'ora! Il dottore si deve vestire...

Marta                            - La sera rimane sempre fin tardi in farmacia: vedrete che lo trova lì.

Lucia                             - Se accade la disgrazia bisognerà pensare al funerale. Toccherà a me, come per il vecchio Taddeo del quarto piano.

 Marta                           - Voi conoscete tutto quel che c'è da fare.

Lucia                             - Bisognerà badare alla spesa che, poveraccia, Maria con i suoi fiori di carta non ha molto da parte. Che credete?

Marta                            - Son sicura che vorrà invece un funerale di lusso. Relativo, s'intende, ma insomma...

Lucia                             - Cercheremo di far le cose a modo.

Marta                            - Speriamo che non ce ne sia bisogno.

Lucia                             - Non si sa mai. Certo a quindici anni è un po' presto! Era così robusto. Io non capisco...

Marta                            - A me Zaira ha raccontato che è stato per un gioco: ma non lo dite a sua madre, per carità. Sapete, giochi di ragazzi. Gli hanno versato un secchio d'acqua gelata in testa, e allora...

Lucia                             - Si capisce. Invece di andare a dottrina, il pomeriggio era sempre a giocare alla guerra con altri scioperati. Quelli che il mese scorso, con una sassata, mi hanno rotto il vetro della cucina!

Marta                            - A quell'età, che volete!

Lucia                             - E adesso comincia a far freddo; bisogna che ci rimetta il vetro.

Marta                            - Non avete provato a incollarci ' un po' di carta?

Lucia                             - Sì, ci vuol altro!

Andrea                          - Ho sete... (Marta si alza, si avvicina al letto).

Marta                            - (a Lucia) Gli diamo da bere?

Lucia                             - Poco. Un sorso.

Marta                            - (dandogli da bere) To' caro. Sta tranquillo.

Andrea                          - Dov'è la mamma?

Marta                            - E' uscita un momento; ora torna subito.

Andrea                          - Voglio i miei francobolli.

Marta                            - Dove sono?

Andrea                          - Lì, nella credenza. (Marta va alla credenza, la apre, prende un piccolo album di francobolli e lo porta al malato).

Marta                            - Ecco i tuoi francobolli. (Andrea si mette a sfogliare l'album).

Lucia                             - C'è il dottore. (Si alza: la comune si apre e compare Maria, la madre, accompagnata dal dottore; son tutt'e due grondanti di pioggia).

Marta                            - Date a me l'ombrello, dottore.

Il Dottore                      - Vediamo questo malato. Dunque, come va?

Andrea                          - Bene, dottore. Ma ho sete.

Il Dottore                      - Sta buono. (Accende la lampadina ac­canto al letto).

Andrea                          - I miei francobolli!

Il Dottore                      - Niente paura. (Gli tasta il polso) Già...

La Madre                      - Dottore...

Il Dottore                      - Gli avete dato la pozione?

La Madre                      - Sì, dottore.

Andrea                          - E' cattiva.

Il Dottore                      - Ora sentiamo un po'! (Lo ausculta atten­tamente, tentando di nascondere la propria preoccupa­zione) Respira forte. Più forte. (Rimane un istante pen­sieroso, mentre la madre lo fissa ansiosa: le due vicine sono in piedi, in disparte) Adesso ti faremo un'iniezione. C'è dell'acqua da far bollire?

La Madre                      - Ce n'è che bolle di là.

Il Dottore                      - Andiamo. (Il dottore e la madre escono da sinistra).

Andrea                          - I miei francobolli. Dov'è quello della Per­sia? Ah, eccolo.

                                      - (Le due vicine si scambiano delle occhiate: parlano sommessamente).

Lucia                             - Va male.

Marta                            - Il dottore aveva un'aria... (Il dottore e la madre rientrano).

Il Dottore                      - Ecco qua. (Si avvicina al inalato, gli scopre un braccio).

Andrea                          - Non mi far male.

Il Dottore                      - Ma no.

La Madre                      - Sta buono, caro: non è niente.

Il Dottore                      - Fermo. (Fa l'iniezione) Ecco: e ora cerca di riposare. (Gli spegne la luce).

La Madre                      - Ebbene, dottore?

Il Dottore                      - La malattia segue il suo corso.

La Madre                      - Ma la febbre...

Il Dottore                      - Vuol dire che il malato reagisce.

La Madre                      - (piano, allontanandosi dal letto) Non è più grave?

Il Dottore                      - Certo è grave. La polmonite è sempre pericolosa...

La Madre                      - Dottore, me lo dovete salvare.

Il Dottore                      - Io ho fatto il possibile. Adesso bisogna confidare in Dio.

Andrea                          - Mamma, i francobolli... (La madre si avvi­cina al letto, prende l'album dei francobolli del figlio, gli assesta i cuscini. Intanto il dottore si lava al catino: le due vicine gli sono accanto. Egli parla piano con loro).

Il Dottore                      - Arriverà sì e no a domattina.

Marta                            - Finita?

Il Dottore                      - - Non c'è più niente da fare... (Lo madre si è avvicinata e, più che sentire, ha intuito, dall'espres­sione, queste parole).

La Madre                      - Dottore...

Il Dottore                      - Ssst! Non lo spaventate. Ora si assopisce.

La Madre                      - Mio figlio! Dottore, voi dovete...

Il Dottore                      - State calma. Ci vuol coraggio. Domat­tina ritorno. (La madre sì e lasciata cadere, schiantata, su una sedia. Le vicine riaccompagnano il dottore ed escono cercando di non far rumore).

La Madre                      - (come tra sé, balbettando) Più niente da fare... (Si alza faticosamente, si avvicina al letto del figlio).

Andrea                          - Cos'ha detto il dottore?

La Madre                      - Niente: che devi riposare, caro.

Andrea                          - Quando potrò alzarmi?

La Madre                      - Presto, ma prima devi guarire.

Andrea                          - Resta qui, mamma, vicino.

La Madre                      - Non mi muovo.

Andrea ------------------- - (a poco a poco si addormenta).

 La Madre                     - Signore, solo un miracolo... Solo tu. (Essa congiunge le mani e s'inginocchia accanto al letto) Non ho che lui al mondo, mio figlio. Non me lo portare via. Salvalo tu! (Nella penombra si disegna accanto al letto la figura luminosa di un Angelo; la sua mano acca­rezza i capelli del malato; la madre rialza la testa e guarda l'apparizione) Salvalo! Te ne supplico. Salvalo

L'Angelo                       - (con voce piana, soave) No, è meglio che venga via, che me lo porti via.

La Madre                      - No: è buono, perché? Perché?

L'Angelo                       - (mentre continua ad accarezzare i capelli del malato che dorme) Vuoi vedere quale sarebbe la sua vita se egli dovesse vivere? Guarda! (La madre guarda l'Angelo con occhi allucinati, la scena si oscura).

QUADRO SECONDO

 (In un angolo è rimasto il letto con il bambino malato che dorme; accanto al letto l'Angelo, in piedi, e accanto ad esso la madre. Ma il rimanente della scena è cam­biato: è una stanzetta molto umile dove Andrea, di ventotto anni circa, sta conversando con Carlo il quale ha la divisa e il berretto da ferroviere).

Andrea                          - Non vengo.

Carlo                             - Come? Ancora?

Andrea                          - Sì, non mi sento bene...

Carlo                             - Se hai una cera magnifica!

Andrea                          - Beh, insomma, non posso venire.

Carlo                             - Non ti sembra di esagerare?

Andrea                          - Non farmi la predica, non è il caso.

Carlo                             - Sicuro che te la faccio. Il dovere è dovere. Sono due mesi che fai una vita impossibile. Su due viaggi ne manchi uno. Anche il caposezione ieri si è1 lamentato.

Andrea                          - Non avrà più ragione di lamentarsi.

Carlo                             - Avanti, sii serio. Non si deve perdere la testa per una donna.

Andrea                          - Smettila.

Carlo                             - Sai che m'ha detto tua madre, martedì, quando sono andata a trovarla a Venezia?

Andrea                          - Che non riceve più un soldo da me, lo so, da tempo.

Carlo                             - No: questo non me l'ha detto.

Andrea                          - Ebbene, te lo dico io: è la verità.

Carlo                             - Bella prodezza! Quella povera donna è sola: non ha che te.

Andrea                          - Non posso rinunciare alla mia vita per lei.

Carlo                             - La tua vita? Ma quale?

Andrea                          - Vuoi saperlo? Smetto di fare l'ufficiale po­stale. Ne ho abbastanza. Non ne posso più. Sempre sugli ambulanti. Per quel che pagano!

Carlo                             - E gli avanzamenti? La pensione?

Andrea                          - (alzando le spalle) Sciocchezze.

Carlo                             - Allora vorresti dimetterti?... Rifletti bene prima: dopo ti penti.

Andrea                          - Ho già riflettuto abbastanza. Ho già man­dato oggi una raccomandata alla direzione. Finita. Non timbrerò più lettere la notte.

Carlo                             - E cosa farai?

Andrea                          - Me la sbrigherò. Non aver paura.

Carlo                             - Maledetta la volta che ti ho fatto venir a dor­mire in quella stanza.

Andrea                          - Che c'entri tu?

Carlo                             - Ma sì: se non c'era quella finestra e dal­l'altra parte quella donna!

Andrea                          - Si vede che doveva essere così.

Carlo                             - E a tua madre che dico, a Venezia?

Andrea                          - Dille che... No, non dirle niente. Le scri­verò io.

Carlo                             - Ti credevo un ragazzo ragionevole. E invece... (Tossisce) Accidenti! Io sì che dovrei prendermi un po' ili riposo. La tosse non se ne vuole andare.

Andrea                          - Non si muore, va, per un po' di tosse.

Carlo                             - Non si sa mai.

Andrea                          - Da ragazzo io ho avuto una polmonite: ero impacciato. E invece eccomi qua, robusto e sano come un pesce.

Carlo                             - Sei più malato .di me. Anche se non hai la tosse. Beh, e la tua bella che dice della tua decisione? È stata lei a consigliartela?

Andrea                          - Non ne sa niente.

Carlo                             - Io l'ho veduta una volta sola. Ma dà retta «quello che ti dice un amico: non è roba per te.

Andrea                          - Perché? Se ci vogliamo bene...

Carlo                             - Belle scuse. La grande passione. Si deve pen­sare alla famiglia, prima.

Andrea                          - Ci penso, non dubitare.

Carlo                             - Non si direbbe. Allora non mi dai neanche Boa lettera da portare a tua madre?

Andrea                          - Adesso no, le scriverò domani.

Carlo                             - Beh, io vado, se no faccio tardi. Torno col postale di domani. Ti ritrovo?

Andrea                          - Non scappo, va; e quelle duemila lire che mi hai prestato le riavrai.

Carlo                             - Avrei preferito lasciartele, ma che tu avessi continuato a lavorare con me.

Andrea                          - Era impossibile. Voglio restarle vicino.

Carlo                             - Beh, ho capito. (Carlo esce; Andrea, agitato, un alla finestra; guarda fuori. Passeggia. Fuma una sigaretta).

La Madre                      - (con un fil di voce) Andrea!

Andrea                          - (alza le spalle, guarda l'orologio. Poi va ad un rassetto, ne cava fuori un astuccio; lo apre, guarda il braccialetto che è nell'astuccio. Lo mette sul tavolino, chiusa. Getta via la sigaretta. Campanello. Egli va ad aprire. Entra Fausta, bella donna un po' vistosa. Si ba­ciano) Finalmente.

Fausta                           - Non sono mica in ritardo.

Andrea                          - No; questa volta no.

Fausta                           - Credevo di non spiccicarmi più.

Andrea                          - Sempre lui?

Fausta                           - Le solite scene di gelosia.

Andrea                          - Finirà anche questo.

Fausta                           - Brutta vita.

Andrea                          - Non sei contenta di essere qui, con me?

Fausta                           - Si, caro; ma...

Andrea                          - Guarda. (Le dà l'astuccio, essa lo apre).

Fausta                           - Magnifico. Per me?

Andrea                          - Per me no, si capisce.

Fausta                           - Caro! Caro! Ma io non voglio che tu...

Andrea                          - Ssst!

Fausta                           - Dimmi una cosa, Andrea: come fai a tro­ vare latito denaro? Sempre regali. Io non vorrei che...

Andrea                          - Non parlare: dimmi solo che sei felice.

Fausta                           - Certo, ma... .

Andrea                          - Levati il cappellino. Su.

Fausta                           - Non so se posso trattenermi.

 

Andrea                          - Sì che puoi. Resterai qui tutta la notte, tutta la vita.

Fausta                           - Sei un bambino.

Andrea                          - Ho qualcosa da dirti.

Fausta                           - (togliendosi il cappello) Ah, se la vita non fosse così cattiva!

Andrea                          - Non lo sarà.

Fausta                           - Sei ancora così ingenuo, tu.

Andrea                          - Fausta, come sei bella...

Fausta                           - Era meglio per te se non fossi stata bella.

Andrea                          - Perché? Sei pentita?

Fausta                           - A che servirebbe?

Andrea                          - Tutto per un sorriso. Quel sorriso alla fi­nestra mentre io mi stavo facendo la barba. Dovevo essere ben buffo con tutto quel sapone in faccia!

Fausta                           - Chissà perché ti ho sorriso?!

Andrea                          - Era destino; e poi ci siamo trovati dal ta­baccaio. Oh, ricordo tutto, io compravo un pacchetto di nazionali; tu un francobollo.

Fausta                           - Già. Non ti avevo nemmeno riconosciuto per l'uomo della barba.

Andrea                          - Ma io sì. E da quel momento...

Fausta                           - Però sei stato un imbroglione. Mi hai detto che viaggiavi. Non m'hai detto altro della tua vita.

Andrea                          - Forse se ti avessi detto che ero un impie­gato postale non mi avresti sorriso più.

Fausta                           - Può anche darsi... Chi lo sa! Però, no, non son pentita. Dopo tutto abbiamo passato delle ore magni­fiche assieme. Peccato che siano finite.

Andrea                          - Finite?

Fausta                           - Costa più a me che a te dire queste parole, credimi.

Andrea                          - Ma quali?

Fausta                           - Non si può continuare così: tu ti rovini per me. E io non lo voglio.

Andrea                          - E l'amore?

Fausta                           - Sarebbe stato troppo bello se...

Andrea                          - Se cosa? Basta volere. Quell'uomo non a tuo marito. Io posso diventarlo.

Fausta                           - Tu?

Andrea                          - Sì; perché? Ci ho pensato a lungo.

Fausta                           - Non dire sciocchezze; ti pare proprio che io sia una donna che si può sposare?

Andrea                          - Del tuo passato me n'infischio. Non te ne parlerò mai. Scomparso. Cancellato.

Fausta                           - Come fai presto tu!

Andrea                          - Se tu mi amassi come ti amo lo vedresti che è la sola cosa possibile.

Fausta                           - Io ti amo forse di più perché so rinunciare.

Andrea                          - No; perché puoi soltanto pensare a una cosa simile? Io no; la vita senza di te... No, no. Sarebbe insopportabile.

Fausta                           - Non ti esaltare. Fino a poche settimane fa vivevi benissimo: non mi avevi incontrata. Lavoravi tran­quillamente. Mandavi i tuoi guadagni a tua mamma...

Andrea                          - E con questo? Dopo ti ho incontrata. Tutto è cambiato.

Fausta                           - Intanto io non ero libera.

Andrea                          - Che vuol dire? Avevi quell'uomo. Lo pianti. M'hai detto tu stessa che non lo ami.

Fausta                           - Non si può fare sempre quello che si vuole.

Andrea                          - Che c'è che ti tiene legata a lui? Avanti: confessa una buona volta. I quattrini? Non è nemmeno ricco, mi pare.

Fausta                           - Che c'entra? No, non è ricco. Ma...

Andrea                          - Ma cosa?

Fausta                           - Sono con lui da due anni.

Andrea                          - Due anni di fedeltà?

Fausta                           - Quasi.

Andrea                          - E allora? Non ti senti la forza di piantarlo per me? Dovevi dirlo subito allora. Non dovevi accet­tare che io...

Fausta                           - Sta zitto. Tu eri tanto differente. E' stata un'esaltazione, un'illusione.

Andrea                          - Non è vero. Tu mi vuoi bene. Io lo so. In questa stanzetta miserabile, in queste settimane, tu sei stata felice.

Fausta                           - Sì.

Andrea                          - Lo vedi? E non c'è bisogno neanche che tu me lo dica. E vuoi rinunciare?

Fausta                           - Si può continuare così per qualche setti­mana ancora... Tu trascurerai sempre più il tuo lavoro finché un giorno ti licenzieranno; sarai in mezzo a una strada.

Andrea                          - E tu mi dovrai lasciare perché non avrò più un soldo. E' questo?

Fausta                           - Non dire sempre delle sciocchezze.

Andrea                          - Non sono sciocchezze. Sono io che ti dico invece: così non può continuare, d'accordo. Ma perché non voglio che tu, uscendo di qui, torni da quell'uomo. Non voglio dividerti più. Basta. Ora lo devi lasciare. Essere mia, soltanto mia. Ti pare possibile baciarlo dopo aver baciato me?

Fausta                           - Non lo bacio mai.

Andrea                          - Senti: cominceremo la vita insieme. Io sono attivo, intelligente. Lascio il posto alle ferrovie. Troverò qualcos'altro di più redditizio. Sarà una vita modesta, in principio, e dopo un po' alla volta... Vedrai: basta volersi bene intanto. Essere insieme. Sempre.

Fausta                           - Sarebbe così bello.

Andrea                          - E perché non può essere?

Fausta                           - Perché io sono quella che sono. E tu, con tutto il tuo amore, non lo dimentichi neanche un mo­mento.

Andrea                          - Io?

Fausta                           - Sì. I tuoi regali... Vedi, caro, tu hai l'inten­zione di farmi piacere. E fai dei sacrifici, non so nem­meno come; e mi comperi... Che cosa? Un braccialetto d'oro. Come si fa con una di quelle. Mi paghi.

Andrea                          - Smettila!

Fausta                           - Eppure è così. Io te ne sono riconoscente, perché, arrossisco a dirtelo, ma il braccialetto mi piace. Tanto. Mi piace perché è d'oro. Perché costa caro. No, no, Andrea. Io non sono una moglie. E poi, inutile na­sconderlo, quell'uomo, anche se io volessi lasciarlo, non mi lascia.

Andrea                          - E come può fare a tenerti?

Fausta                           - Come? Tu non lo conosci. Io ho paura di lui. Pensa quello che vuoi, ma ho paura. Tu non «ai che cosa sia la paura fisica. Ma io sì. Ho paura.

Andrea                          - Ti picchia? (Fausta non risponde) E io che ci sto a fare?

Fausta                           - No, tu non c'entri. Non permetterei mai...

Andrea                          - Allora per vigliaccheria vorresti rinunciare a me che ami per restare con un uomo che non ami?

 

Fausta                           - Sì.

Andrea                          - Impossibile. Ormai è impossibile. Io hofatto troppo per te.

Fausta                           - Andrea, non sciupiamo queste ore...

Andrea                          - Io non voglio chiudere gli occhi. Voglio guardare in faccia le cose. Perché io non ho paura di niente. Non ho avuto paura neanche quando... Del rei» tu non farai quello che dici. Non lo puoi fare.

Fausta                           - Se ti avessi incontrato prima...-

Andrea                          - Lascia stare i se. Non servono a niente, Bisogna che ti dica invece, dato che è necessario, dove trovavo i soldi che...

Fausta                           - Non mi dire niente. Non voglio sapere.

Andrea                          - E invece saprai lo stesso. Nelle raccomandate che passavano per le mie mani.

La Madre                      - Andrea!...

Andrea                          - Che buffo! Hai avuto la voce di mia madre in questo momento. Sì. E allora? Vedi quanto ti amavo, quanto ti amo. Ho rubato. Avevo perfino imparato a indovinare che cosa c'era dentro una busta raccomandata, Mi bastava toccarla. Mi sono sbagliato due o tre voltesoltanto.

Fausta                           - E ti hanno scoperto?

Andrea                          - No. Forse c'è stato qualche sospetto.. Tutto finito. Ho già mandato io la lettera di dimissioni. Vedi che non puoi più lasciarmi?

Fausta                           - No, no, Andrea.

Andrea                          - Oh, adesso non mi vuoi più per questo? Su: dillo. Ma io l'ho fatto per te, solo per te. Con quei soldi non mi sono comperato neanche una cravatta.

Fausta                           - Andrea! (Piangendo lo stringe appassionata mente a se) Andrea!

Andrea                          - Devi essere mia.

Fausta                           - Lo sapevo che ti avrei rovinato. Non me lo perdonerò mai.

Andrea                          - Hai dei rimorsi? Ti giuro che d'ora innanzi, se tu vorrai...

Fausta                           - Ma come vuoi che facciamo?

Andrea                          - Siedi qui: ho il mio piano. Ascoltami. Tu non dici niente a nessuno. Insomma, a lui. Prendi di nascosto la tua valigia. Mi raggiungi alla stazione. Lì prendiamo il treno: ce ne andiamo a Milano.

Fausta                           - Sì.

Andrea                          - E' una grande città: chi vuoi che ci trovi lì? Vivremo nascosti. Io lavorerò: un posto lo trovo.

Fausta                           - Sì.

Andrea                          - Avremo una stanza mobiliata: magari in una pensioncina. Lì ci sposiamo.

Fausta                           - Sì.

Andrea                          - Tutto il resto non ci sarà più. Forse avremo un figlio. I figli portano fortuna, sai. Mia madre... Mia madre ti conoscerà: ti vorrà bene. E' tanto buona. Se tu mi vuoi bene, anche lei ti vorrà bene.

Fausta                           - Sì.

Andrea                          - Quello che bai fatto tu, quello che ho fatto io sarà sepolto. Basta volere. Guarda: oggi ho chiesto alla sorte se dovevo sposarti, perché non facevo che pen­sare a questo. Ho buttato in aria un soldo; mi sono detto: se viene croce la sposo, se viene testa no. E' ve­nuto testa. E io ti sposo lo stesso, perché voglio così. Sei d'accordo?

 

Fausta                           - Lascia che ci pensi, Andrea, che rifletta.

Andrea                          - A cosa?

Fausta                           - Ho paura.

Andrea                          - Se scappiamo...

Fausta                           - Ho paura per te.

Andrea                          - E io no, invece. Domani, guarda, domani è 6abato. Alle sei tu mi raggiungi alla stazione. Va bene? Prima mi fai sapere con un biglietto che è deciso. E par­tiamo.

Fausta                           - Chissà. Forse hai ragione tu.

Andrea                          - Certo, ho ragione io.

(La scena si oscura: non rimane in luce altro che il gruppo accanto al letto).

La Madre                      - No, Andrea, no!

QUADRO TERZO

 (Mentre il letto con la madre e il figlio e l'Angelo rimangono immutati, sul rimanente della scena si disegna sommariamente il salottino di un piccolo albergo con la porta che dà sulla strada e. sulla quale si legge « Albergo Gorizia ». Franco fuma, seduto in una poltrona di vimini. Un cameriere gli porta una bibita).

Il Cameriere                  - Che numero?

Franco                           - 26. Non mi conosci?

Il Cameriere                  - Ah, scusate.

Franco                           - Se viene la signora e chiede di me dille che sono qui.

Il Cameriere                  - Va bene. (Il cameriere esce. Dopo un istante entra Cesare, un uomo d'una quarantina d'anni dal passo furtivo, tanto che Franco non lo sente avvici­narsi e sobbalza istintivamente impaurito quando l'altro gli mette una mano sulla spalla).

Cesare                           - Non ti spaventare: non è la polizia.

Franco                           - I soliti scherzi idioti. Siedi.

Cesare                           - Fausta non c'è?

Franco                           - No.

Cesare                           - Avrei avuto piacere ci fosse anche lei.

Franco                           - Che c'è?

Cesare                           - (cavando di tasca un involto) La collana, niente da fare.

Franco                           - Come?

Cesare                           - Non è oro!

Franco                           - Ah! Farabutto!

Cesare                           - Che c'entro io?

Franco                           - Non parlo di te. L'ha ingannata: gliel'ha data per oro!

Cesare                           - E non può neanche protestare': i regali si accettano come sono, senza verifiche.

Franco                           - Sei sicuro che?...

Cesare                           - Ti pare? Garanzia assoluta. Per cui l'an­ticipo che ti avevo dato, favorisci...

Franco                           - Lo avessi!

Cesare                           - Non facciamo storie adesso: gli affari sono. affari. Io ti rido l'oggetto e tu...

Franco                           - Va bene, ma non ora. Potrai aspettare, no?

Cesare                           - Poco. A me queste cose non piace lasciarle in sospeso. Di': ma non riesce a trovare di meglio la ragazza, adesso? Invecchiamo, eh?

Franco                           - Idiota! Se credi che gliel'abbia indicato io! Un bell'arnese davvero!

Cesare                           - Di': non ci sarà sotto una faccenda di cuore?

Franco                           - Va all'inferno.

Cesare                           - Lo dicevo nel tuo interesse.

Franco                           - Non è oro! (Esamina la collana che svolge dall'involto) Però è imitata bene.

Cesare                           - Se sai chi è l'orefice che l'ha venduta ci sarebbe da fare un colpo. « O mi dai tanto o ti denun­cio! ». Perché c'è il bollo, capisci? Falso, naturalmente. Quello, se non vuole pasticci, sborsa.

Franco                           - E' un'idea. (Entra Fausta).

Cesare                           - Buona sera.

Fausta                           - Buona sera. (A Franco) Ciao.

Cesare                           - Io vi lascio; ho ancora qualche cosetta da sbrigare. Allora, Franco, ricorda; ripasso domani.

Franco                           - Va bene.

Cesare                           - I miei rispetti. (Cesare esce).

Franco                           - Sai che cosa ti regala il tuo impostore? Col­lane false! Questa, eccola: non è nemmeno oro. (E la porge sulla mano tesa a Fausta).

Fausta                           - Ridammela.

Franco                           - (ritirando la mano) Un momento. Devi farti dire da chi l'ha comperata.

Fausta                           - Perché?

Franco                           - Una mia curiosità. Quello è un gioielliere che è meglio conoscere per non servirsi da lui.

Fausta                           - Sei impazzito.

Franco                           - Hai ragione, perché non lo rivedrai più quell'uomo e allora non puoi chiederglielo. E' la sola cosa che mi secca.

Fausta                           - Quando ti guardo e ti ascolto, sapessi la nausea che mi viene.

Franco                           - Di me?

Fausta                           - Non solo di te: anche di me.

Franco                           - Non ha importanza. Dunque? Fatti gli addii strazianti? Congedato?

Fausta                           - No.

Franco                           - Oggi era l'ultimo termine che ti avevo fis­sato. Dopo, te l'ho detto, avrei provveduto io.

Fausta                           - Non ho potuto.

Franco                           - Quanta delicatezza. Hai avuto paura di farlo soffrire, povero caro? O di soffrire tu? Avanti: parla. (Le afferra il polso e a un tratto vede il braccialetto) Che cos'è questo?

Fausta                           - Me l'ha dato lui, oggi.

Franco                           - Sarà falso, come la collana. Dammelo.

Fausta                           - No.

Franco                           - Poche storie, non far la scema.

Fausta                           - Ti dico di no.

Franco                           - Fausta!

Fausta                           - Bada: grido. Viene gente.

Franco                           - Non te lo prendo con la forza, non aver paura. Avanti, su, dammelo.

Fausta                           - Questo no.

Franco                           - C'è scritto dentro qualcosa? Amore eterno? I vostri due nomi intrecciati?

Fausta                           - Gli è costato troppo.

Franco                           - Lo avranno imbrogliato: quello dev'essere un ingenuo come non ce ne sono più sulla faccia della terra.

Fausta                           - Certo non ti somiglia.

 

Franco                           - Dimmi che lo ami adesso. Che pianti me per andare a vivere con lui.

Fausta                           - E se fosse?

Franco                           - (ridendo) Avresti fatto una bella scelta, pa­rola d'onore!

Fausta                           - Almeno lui e innamorato. Innamorato dav­vero.

Franco                           - Si vede che sa raccontarti delle parole sceme. E voi, donne, davanti alle parole vi sciogliete in brodo. Io parole non ne dico, lo so. Non è roba per me. Su, allora: racconta.

Fausta                           - Mi ha detto che vuole sposarmi.

Franco                           - Perbacco! Prete e veste candida. Ti ci vedo. Faresti una figurona. E poi viaggetto in luna di miele. Magari a Venezia. Allora, mi raccomando, la fotografia in piazza San Marco con i colombi. Il matrimonio... Pro­prio quel che ci voleva per una stupida del tuo genere. ,E tu, eccoti lì, tutta palpitante all'idea. Ma, dico, sei pazza? Ti ci vedi a cuocere la minestra di fagioli per il tuo maritino che tarda a tornare a casa? Finiscila con le buffonate.

Fausta                           - Di' quello che vuoi: questo non cambia.

Franco                           - Cosa? Gli hai detto di sì? (Fausta non ri­sponde) Su, parla. Gli hai detto di sì? E allora perché sei tornata qui? Potevi restartene con lui. Scappare. No. Lo sai che non puoi. Che il tuo uomo sono io, non lui. Mi hai nel sangue. Magari mi odi: ma non importa. Non puoi fare senza di me. Ti tengo in pugno. (Essa abbassa il viso) Sono io che ti somiglio, non lui. Io sono della tua razza. Quello è stato un errore. Ed io te l'ho per­messo. Un giro di giostra. Ma sì: divertiti. E poi, basta. Finita. Tanto sai che non ti permetterei altro. Adesso scappa fuori anche la storiella del matrimonio. L'idillio col ferroviere. Roba da matti. Tra un mese sarai tu stessa a riderne.

Fausta                           - No.

Franco                           - Ti fa pena? E' questo?

Fausta                           - Sì, perché ha rubato per me.

Franco                           - Ah! Una bella prova d'amore... Cos'ha ru­bato? Quel braccialetto? Allora non lo portare. Potresti andarci di mezzo anche tu.

Fausta                           - Questo l'ha comperato. Ma con soldi che prendeva dalle raccomandate.

Franco                           - Ah?!

Fausta                           - Capisci? Lo faceva per me! Questo è amore. Non il tuo. Non il tuo!

Franco                           - E allora, tu, davanti a questo bel gesto, ti «ei sentita tutta rimescolare. Fausta, dov'è finita la tua intelligenza? Un ladro è un ladro. Ha cominciato, con­tinuerà. E il viaggio di nozze lo finireste per fare in galera. Ti sorride?

Fausta                           - Gli ho detto...

Franco                           - Avanti: cosa?

Fausta                           - Che non volevo che si rovinasse per me. Non voglio. Questo no.

Franco                           - L'unico modo per impedirgli di fare altre sciocchezze è di piantarlo una volta per sempre. Va: non ci morirà per questo. Una settimana di disperazione e poi passa. Tra un mese non ci pensa più, .

Fausta                           - Ci penserò io.

Franco                           - A questo provvedo io. Allora come vi siete lasciati?

 

Fausta                           - Niente. Senza decidere niente.

Franco                           - Adesso gli scrivi un bigliettino, magari con due parole di commozione, se vuoi, ma di quelli che tagliano netto. Vuoi che te lo detti io?

Fausta                           - No.

Franco                           - Allora, ecco qua: scrivo io due parole, (Chiamando) Cameriere...

Fausta                           - No, Franco. No.

Franco                           - Cameriere... (Compare il cameriere) Carta da lettere e calamaio.

Il Cameriere                  - Subito, signore. (Il cameriere esci).

Franco                           - Se hai un po' di sentimento per quel disgra­ziato, l'unica cosa buona che puoi fare per lui è lasciarlo. Anche per gratitudine per quello che ti ha regalato, Questo credo sia di oro vero. Lo faremo vedere. (II ca­meriere rientra con una cartella e il calamaio. Depone il tutto sul tavolino).

Il Cameriere                  - Ecco.

Franco                           - Grazie. (Il cameriere esce. Franco si metti a scrivere) Andrea Fabbri, mi pare...

Fausta                           - (mentre Franco scrive) E' l'unico uomo che mi abbia amato davvero...

Franco                           - (scrivendo) L'hai trovato bene.

Fausta                           - Scrivi quello che vuoi ma non glie la man­derò la tua lettera. Sarebbe troppo crudele. Meglio spa­rire per lui. Sparire silenziosamente. Sì: io sarei la sua rovina. Senza volerlo. Lo sono già stata. (Guarda il pro­prio braccialetto e se lo bacia mentre ha delle lacrime agli occhi) E' un buon figliuolo. Se non mi avesse incon­trata... (Franco ha terminalo di scrivere: rilegge quanto ha scritto e poi porge il foglio a Fausta).

Franco                           - Vuoi leggere? (Fausta scorre il foglio e ha un impeto di rivolta).

Fausta                           - Vigliacco! (Fa per stracciare la lettera ma Franco le afferra il polso, glielo torce e le toglie il foglio).

Franco                           - Non fare la stupida. Ecco.

Fausta                           - Avresti il coraggio?

Franco                           - E' la verità. Non me l'hai detta tu? E allora?

Fausta                           - Una denuncia.

Franco                           - Si capisce. All'amministrazione delle Poste e Telegrafi. (Leggendo la lettera) « Il vostro impiegato Andrea Fabbri sottraeva delle raccomandate...».

Fausta                           - E la vorresti spedire?

Franco                           - Dipende da te. Poche storie. 0 tu lo liquidi subito e in modo definitivo con due parole o domattina questa lettera sarà sulla scrivania di qualche capufficio delle poste. E allora il tuo bello lo perdi lo stesso perché prima di sera è dentro. Scegli.

Fausta                           - Che canaglia sei.

Franco                           - Lo faccio per il tuo bene. Visto che con la persuasione non si viene a capo di niente con te, bisogna adoperare sistemi più energici. Su: scrivi. C'è un altro foglio di carta, lì. Sbrigati.

Fausta                           - In tutto questo la vera vittima sono io.

Franco                           - Scrivi. Non perdere tempo. (Fausta si accosta al tavolino e si mette a scrivere. Franco sorveglia al di sopra della sua spalla) « Non pensare più a me. E' meglio per tutti e due. Addio ». Benissimo. L'indirizzo, adesso. A fargliela recapitare provvedo io. (Prende la lettera, la chiude nella busta e con questa si allontana lasciando sola Fausta. Dopo un istante, dalla porta sulla strada com­pare Carlo, vestito in borghese, che si avvicina a Fausta).

Carlo                             - Scusate, signora... (Essa lo guarda) Voi forse non mi riconoscete. Sono Carlo... Carlo Maestri, il com­pagno di Andrea.

Fausta                           - Vi ha mandato lui?

Carlo                             - No. Non l'ho veduto. Sono tornato da un'ora dal servizio. Ma sapevo che abitavate in questo albergo e allora mi sono permesso...

Fausta                           - Ditemi, presto: che c'è?

Carlo                             - Io vengo da Venezia dove stamattina sono stato dalla mamma di Andrea.

Fausta                           - E allora?

Carlo                             - Ho dovuto dirle per forza che Andrea aveva dato le dimissioni. Non aveva più il suo posto. Le ragioni per cui ha fatto questo, voi lo sapete. La mamma, una povera donna che vive unicamente per quel suo figlio, li è spaventata. Ho cercato di rassicurarla. Ma essa si è messa a piangere.

Fausta                           - Andrea troverà un altro posto.

Carlo                             - Sì, lo spero anch'io. Ma non è questo... Si­gnora, Andrea ha perduto la testa dal giorno che vi ha conosciuta. Del resto si capisce: voi siete bella...

Fausta                           - Lasciate andare.

Carlo                             - No, no: siete bella. E ora che guardo i vostri occhi mi par di vedere che siete anche buona. Voi non vorrete certo che Andrea si rovini...

Fausta                           - Scommetto che siete venuto a pregarmi che lo lasci...

Carlo                             - Ecco: io non oso veramente, ma... Capirete, in gli sono amico, gli voglio bene. E poi c'è quella po­vera donna a Venezia che non mi esce dalla mente. Io non ho madre. Ma penso che se la mia vivesse e si cruc­ciasse cosi; non so che farei...

Fausta                           - Non deve angustiarsi più. Tutto è finito con Andrea.

Carlo                             - Finito?

Fausta                           - Sì. Non c'è stato bisogno del vostro inter­vento. Avevo capito da sola tutto quel che m'avete detto. Se tornate a Venezia...

Carlo                             - Sì, domani.

Fausta                           - Andate da quella donna e ditele che io tono scomparsa dalla vita del suo figliuolo. Ma ora tocca a voi, che gli siete amico, aiutarlo.

Carlo                             - Che è accaduto?

Fausta                           - Ho troncato. Poche parole. Un addio.

Carlo                             - Soffrirà, disgraziato.

Fausta                           - Come si poteva fare diversamente? Non era questo che volevate? Ebbene, è fatto.

Carlo                             - Capisco. Era tanto innamorato di voi...

Fausta                           - Lo so. Guardate questo braccialetto... (Se lo sfila) Me l'ha regalato lui. Bisognerà ridarglielo. Se gliel'avessi rimandato io avrebbe aumentato la sua pena: sarebbe stato un gesto cattivo.

Carlo                             - E perché non volete tenerlo?

Fausta                           - No. Probabilmente costa parecchio. Io finirei col non poterlo tenere. Lo tenete voi: e un giorno, non subito, ma quando si sarà un po' calmato e lo rivedrete sereno, glielo ridate.

Carlo                             - Grazie. (Prende il braccialetto).

Fausta                           - E ora andate. E, mi raccomando, stategli vicino. Cercate di distrarlo. Sarebbe bene che domani venisse con voi a Venezia, andasse da quella povera donna.

Cablo                            - Tenterò.

Fausta                           - Vorrei dirvi di salutarla per me, ma capisco che non si può.

Carlo                             - Già.

Fausta                           - Andate.

Carlo                             - Sì. Buona sera, signora. (Carlo esce dalla porta che dà sulla strada. Al momento stesso in cui scom­pare entra, dall'interno, Franco).

Franco                           - Chi era?

Fausta                           - Uno.

Franco                           - Cercava di te?

Fausta                           - Sì: gli ho dato il braccialetto perché me lo venda. Era meglio, oramai. No?

Franco                           - È' andato il fattorino a portargli il biglietto. A quest'ora l'ha letto e s'è messo il cuore in pace.

Fausta                           - Già.

Franco                           - Su, non fare quella faccia: sembra che ti sia morto qualcuno.

Fausta                           - Oh, passa, non aver paura.

Franco                           - Vuoi che andiamo fuori? A bere un liquore da Gina?

Fausta                           - Non ne ho voglia.

Franco                           - (avvicinandosi a lei con un gesto che vorrebbe essere affettuoso) Ci sono io qua. Il resto, sciocchezze. Capricci. Io, lo sai, eh? Noi due, insieme... La vita la sappiamo prendere. Voglio vederti sorridere. I ragazzi bisogna lasciarli stare. Quelli giocano all'amore e gua­stano tutto. Ci vuol altro. Guardami in faccia. Vuoi che andiamo a ballare, eh? Magari ci si sbronza un po'. E allora...

Fausta                           - Andiamo. (Essa si appende bruscamente al braccio di lui e i due fanno per avviarsi. Sulla porta di fondo è comparso, cappello in testa ed impermeabile, An­drea, che li guarda un istante. Poi alza la mano armata di rivoltella. Franco fa per slanciarsi).

La Madre                      - Andrea!!! (Il colpo parte. Franco gira un istante su se stesso e poi stramazza al suolo. Il quadro si oscura completamente e nell'oscurità si sente la voce del pubblico accusatore).

L'Accusatore                 - Il delitto è di una evidenza assoluta. L'imputato aveva commesso delle gravi infrazioni nell'esercizio dei suoi doveri professionali e la vittima aveva saputo di questi furti ed aveva redatto la denuncia che gli è stata trovata addosso. Andrea Fabbri, con gesto premeditato, lo ha soppresso per eliminare insieme e la denuncia e colui che lo aveva scoperto. Quindi nessuna indulgenza per questo ladro ed assassino. La pena di morte...

QUADRO QUARTO

 (La scena è la stessa del primo quadro. L'Angelo è accanto al letto dove il malato riposa: la madre è ancora là, nella stessa posizione della fine del primo quadro. Soltanto, essa si nasconde il viso con le mani).

L'Angelo                       - Ecco, ora hai veduto quale sarebbe la sua vita se vivesse. E' meglio che venga via con me.

La Madre                      - (alzando il viso) No. Anche se deve es­sere così, sia... accetto, salvalo. Salvalo ugualmente.

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

QUADRO PRIMO

 (Un piccolo negozio di stireria. Lisa, una giovane gra­ziosa e gaia fanciulla, sta lavorando sul tavolone centrale. Il negozio serve anche da stanza da pranzo. Lisa, mentre stira, canticchia. Dalla porta di fondo che dà sulla strada entra Carlo, lo zio di Lisa, sudato).

Carlo                             - Eccomi.

Lisa                               - Fatto tutto, zio?

Carlo                             - Sì, ma non ho trovato nessuno.

Lisa                               - Povero zio!

Carlo                             - Oh, camminare fa bene alla salute. Si suda.

Lisa                               - E non dimagri lo stesso.

Carlo                             - Sono nato così.

Lisa                               - Non sarai mica nato di cento chili.

Carlo                             - Non lo so. Ma da quando io mi ricordo, dalla scuola, so che, se non ero il primo della classe, ero sempre il più rotondo. Comunque... Se non ho trovato nessuno non vuol dire. Ti ho comperato una bottiglia di spumante.

Lisa                               - Spumante?

Carlo                             - Sicuro. Si berrà il giorno del tuo fidanza­mento ufficiale, e siccome potrebbe essere domani, dopo­domani, è bene che lo spumante ci sia, in casa.

Lisa                               - Oh, zio! Prima bisogna vedere se la mamma di Andrea sarà contenta...

Carlo                             - Non deve esser contenta di te? Ma vorrei vedere. Dove la trova una nuora come la mia Lisa? Attenta di non bruciare quelle camicie.

Lisa                               - No, no. Sono del commendatore.

Carlo                             - Dove lo mettiamo lo spumante?

Lisa                               - Mettilo di là. Nella dispensa.

Carlo                             - M'hanno assicurato che quando si stura fa un colpo formidabile. Io ci tengo più che altro a quello. (Esce e rientra poco dopo) Benissimo. E per oggi basta. Io mi levo la giacca. E me ne sto qua a guardarti. (Si leva la giacca e l'appende all'attaccapanni).

Lisa                               - Il mio fidanzato non sei mica tu, zio.

Carlo                             - Ma siccome tu un giorno ti sposerai, magari presto, e avrai la tua casetta...

Lisa                               - Dove tu verrai spessissimo...

Carlo                             - Si capisce. Ma spessissimo non è sempre. E mi mancherai per molte ore al giorno, così adesso, finche ci sei, voglio fare un po' d'indigestione di te.

Lisa                               - Intanto, appena sposati, mica chiudo il negozio. Rende abbastanza. Lo teniamo. Dopo, si vedrà.

Carlo                             - Io però vorrei che questo signor Andrea si decidesse anche lui a guadagnare. Io alla sua età...

Lisa                               - Ha fatto il concorso: e se riesce...

Carlo                             - Beh, vuoi che ti dica la verità? Anche quell'idea di entrare nelle Poste e Telegrafi sugli ambulanti,  a me non va troppo. Sempre fuori. In treno. Ma come? Con una sposina come te, andarsene è un delitto.

Lisa                               - Magari, dopo, gli daranno un posto fisso in città.

Carlo ------------------------------ - Io un'idea l'avrei...  

Lisa                               - Sentiamo.

Carlo                             - Andrea è svelto, sa parlare, si presenta bene. Sfruttiamo queste qualità. Non fa fatica come me a sgam­bettare, se occorre...

Lisa                               - Tu vorresti? (Ma Carlo non può rispondere perché la porta della strada si è aperta ed entra Andrea, festoso).

Andrea                          - Grandi novità! Lisa! Zio! C'è una visita!...

Lisa                               - Chi? (Andrea si volta verso la porta e intro­duce la madre, agghindata con garbo. Essa naturalmente è molto più vecchia che al primo atto. E' una donnina tutta grazia che avanza esitando).

Andrea                          - Mamma, questa è Lisa. (La madre guarda Lisa come avesse temuto di riconoscere in lei la donna « pericolosa », le si avvicina, la tocca, quasi per accer­tarsi, poi si volta verso il figlio).

La Madre                      - Sono contenta, Andrea!

Lisa                               - Oh, mamma! (E si butta fra le braccia della vecchietta).

Andrea                          - (a Carlo) Avete visto? Io lo sapevo. Con­quistata a prima vista. Mamma, permetti che completi la presentazioni? Questo è lo zio Carlo, lo zio di Lisa. Un'istituzione.

Carlo                             - Sono fortunato e commosso... Ma accomoda­tevi. Scusate, la giacca! Lisa! (Lisa stacca la giacca dall'attaccapanni e la porge allo zio, che l'indossa).

La Madre                      - Oh, grazie, grazie. Dunque questo è il negozio.

Lisa                               - Casa e negozio: tutto. Di là ci sono due altre stanze. La cucina.

La Madre                      - Come sei graziosa, Lisa! Hai un visino così buono...

Lisa                               - Oh... Ma come mai, così all'improvviso? An­drea, avresti dovuto avvertirci...

Andrea                          - E' stata una cosa venuta tutt'a un tratto. Ora vi racconterò.

La Madre                      - Aspetta, debbo prima abituarmi. Perché, al primo momento, mi sono spaventata...

Lisa                               -        - (Non ve lo porto mica via, sapete.

La Madre                      - Il matrimonio, si sa. Ma io non sono egoista: non pretendo di tenermelo sempre tutto per me, benché sia sola al mondo.

Lisa                               - Verrete a vivere con noi.

La Madre                      - No, no: non ne parliamo nemmeno. I ragazzi non vogliono controlli. Io sono un po' bisbetica.

Andrea                          - Mamma!

La Madre                      - E' la verità. Ho le mie piccole manie, le mie abitudini. Difficile cambiarle alla mia età. Dun­que, mi sono spaventata. Ma non per la cosa... Un giorno o l'altro, lo sapevo, doveva capitare. Ma perché avevo paura non avesse scelto bene. Lui si affannava a dirmi della sua Lisa che era brava, buona, dolce, laboriosa. Sì, sì; ma sarà vero? Gli occhi innamorati vedono tutto bello. E allora gli ho detto: la voglio conoscere io, su­bito; e appena ti ho veduta tutte le paure sono scom­parse.

Andrea                          - Basta guardarla.

La Madre                      - Sì: a me è proprio bastato guardarti. No, non le somigli.

Lisa                               - A chi?

La Madre                      - Niente, una mia idea. E poi tutto è così diverso qui. C'è l'aria onesta. C'è il lavoro. C'è questo zio che mi par di conoscere da tanto tempo: una brava persona...

Carlo                             - Grazie.

La Madre                      - ... che sa dare dei buoni consigli, che bi­sogna ascoltare, Andrea. Devi fidarti di lui!

Andrea                          - E' un po' fissata, la mammina. Ha sempre certe idee balzane per la testa.

La Madre                      - Dovete compatirmi. Avere indulgenza. Quando si invecchia è sempre così. Io sono un po' su­perstiziosa; Andrea lo sa. Non sono sempre stata così. Ila da un giorno... Anzi una notte. Niente, niente. Tu, Lisa, mi aiuterai? A difendere Andrea, il nostro An­drea... Prima dicevo il «mio»: ora sarà il «nostro»...

Andrea                          - A difendermi da che?

La Madre                      - Da tutto. Ci sono sempre dei pericoli. Tu sarai dalla mia parte, vicina a me, per il suo bene.

Lisa                               - Ma certo, mamma.

La Madre                      - E in due... Perché è buono, Andrea, tanto buono. E bisogna che non gli accada niente di male.

Andrea                          - Che vuoi che mi accada?

La Madre                      - Ora mi sento più tranquilla. Più sicura. Ti guardo, Lisa, e sento che non potrà succedere niente. Grazie, Lisa.

Lisa                               - Di che?

La Madre                      - Di tutto. Di averlo incontrato. E' stata una fortuna. E adesso, Andrea, racconta pure.

Andrea                          - Ah, sì. Perché c'è un'altra grande notizia.

La Madre                      - Non precipitare. Sai le mie idee. Rac­conta con ordine. Io due ore fa me lo vedo capitare a casa tutto trafelato, entusiasta.

Andrea                          - Racconti tu o racconto io, mamma?

La Madre                      - No, no, caro: parla tu.

Andrea                          - Il concorso.

Lisa                               - Ebbene?

Andrea                          - Vittoria. Sono riuscito.

La Madre                      - Non esagerare. Sei riuscito ventunesimo.

Andrea                          - Su trecento. E i posti sono quaranta. Quindi il posto c'è: sicuro. E a questo mio annuncio...

La Madre                      - Badate, io non sapevo nemmeno che aveva partecipato a questo concorso. Aveva fatto tutto di nascosto. Se avessi saputo...

Andrea                          - Beh, lo credereste? A tutta la mia gioia ha risposto con due lagrime! (C'è un attimo di silenzio e d'imbarazzo: tutti guardano la madre non comprendendo bene la situazione).

Carlo                             - La commozione...

Andrea                          - No, no: non c'entra.

La Madre                      - Infatti. Sono rimasta sorpresa dall'an­nuncio. Perché, se l'avessi saputo prima, lo avrei dis­suaso dal dare questo concorso. E ora spero di avere un'alleata in te, Lisa. In voi... Perché non deve andare olle poste. Non ci deve andare. (A poco a poco, la sua noce si esalta, diventando febbrile) Chi gli vuol bene deve aiutarmi ad impedirglielo a qualunque costo.

Andrea                          - Mamma, io sono sempre stato un figlio ub­bidiente. E non so che farei per farti piacere. Ma quando rosa è così irragionevole...

La Madre                      - Non è irragionevole. E poi, sì, è irragionevole. E con questo mi daresti un grande dispiacere. Starei in una pena. E poi, Lisa, diglielo tu: saresti convinta che lui, tuo marito, appena sposati, perché al ma­trimonio io do il mio consenso, fatelo subito, appena sposati, se ne debba star via, sui treni e tu lo debba vedere una due volte la settimana, stanco perché avrà viaggiato tutta notte? Ti pare giusto?

Carlo                             - Lisa, che ti dicevo io poco fa?

La Madre                      - Anche voi? Vedete! Lo sapevo. Perché lui è un uomo di cuore e di buon senso. Capisce. Spie­gateglielo voi. E' una cosa sciocca. Vorrebbe dire che non vuol godersi i giorni più belli della vita. C'è qui una ragazza che è un tesoro, che lo ama e lui vorrebbe scappare per andare a timbrare quelle maledette lettere...

Andrea                          - Mamma, ma sono 1800 al mese subito e poi gli aumenti, gli avanzamenti.

La Madre                      - No, Andrea, io avrei potuto ostacolare la tua inclinazione per Lisa, avrei potuto dirti di rin­viare, di attendere: e invece no. L'ho accolta subito fra le mie braccia. M'è bastato uno sguardo. Ma questo no, te ne prego. Fallo per me. Fa questo sacrificio.

Andrea                          -: Mamma, non agitarti adesso. Non è il caso. Dimmi una ragione qualsiasi che sia una ragione e io ti obbedirò.

La Madre                      - Non mi chiedere ragioni: non ce ne sono. E' come un presentimento. E poi non ti dico più niente. Ti lascio decidere. Se vuoi, va; ma sai che mi fa­resti tanto male.

Lisa                               - Andrea, mi pare che se la mamma desidera...

La Madre                      - Grazie, Lisa.

Carlo                             - Lasciate che dica due parole anch'io? Ecco, quando siete arrivati io stavo proprio parlando del con­corso con Lisa. Lei era piena di speranze. Ma io scotevo la testa. Io sono un po' dell'opinione della signora. Ma io le mie buone ragioni le ho. E te le espongo. Voi due volete metter su una famiglia. Benissimo. Avrete dei figli. Credo anche presto, perché vi volete un gran bene e allora... Dunque il problema finanziario si presenta di importanza capitale. Senza incassi la famiglia cam­mina male.

Andrea                          - Quello che dico io.

Carlo                             - Bravo. E ti pare di toccare il cielo col dito andando a seppellirti in una carriera da lumaca dove gli avanzamenti sono faticosi, lenti, difficili. Dove non ci sono possibilità di sbalzi neanche se fossi il Dante dei postelegrafonici. Avresti un figlio, scommetto, che a ventidue anni guadagnerebbe già più di te e tu ci resteresti male.

Andrea                          - Non esageriamo adesso.

La Madre                      - No, no: ascoltalo, perché dice delle cose giuste.

Carlo                             - Per questo lutto il tuo entusiasmo io non Io condivido. Però quello che importa è trovare qualcosa che sostituisca- il posto. Perché qui c'è una stireria che, per il momento, continuerà a funzionare. Vero, signora? Rende nette almeno 3000 al mese.

La Madre                      - Sicuro, sicuro.

Carlo                             - E ti sembrerebbe bello, Andrea, che tua moglie col ferro da stiro guadagnasse più di te?

Lisa                               - Zio!

La Madre                      - Lascialo dire: è giusto anche questo.

Andrea                          - Non sapevo che rendesse tanto la stireria.

Carlo                             - Vedi che non ti prendi una ragazza qua­lunque senza un soldo? Ha un lavoro, una professione. Dunque, per la tua dignità e per il tuo avvenire, devi metterti a far qualcosa che ti permetta di far carriera presto, perché quello che conta è avere ingegno, buona volontà e voglia di lavorare.

La Madre                      - Le ha, le ha tutt'e tre.

Carlo                             - Che, non lo so? Altrimenti mica gli avrei permesso di prendersi Lisa! Oltre a questo hai anche una bella parlantina, hai una faccia simpatica, e Lisa ne sa qualcosa. Perché dovresti buttar via tutte queste doti? Bisogna sfruttarle.

Andrea                          - Come?

Carlo                             - Io ho tre rappresentanze, che mi fanno trottar da mattina a sera. Comincio col cedertene una. Trotti tu, per me.

Andrea                          - Voi vorreste?

Carlo                             - E' una professione libera, senza orari. Che ti consente di guadagnare in proporzione al lavoro che fai. Conosci le «Velluto»? Sono le lamette da barba a doppio filo: pelo e contropelo. Un articolo di prima necessità. La barba se la fanno tutti. Trovi clienti do­vunque. Io ti cedo le « Velluto ».

La Madre                      - Ecco, questo sì. E poi io ho un po' di risparmi.

Andrea                          - Quelli non si toccano, mamma.

La Madre                      - Ma per le spese di matrimonio...

Carlo                             - A quelle provvediamo noi, perché le «Vel­luto » prima di rendere a te, hanno reso a me. E' un af­fare di prim'ordine, sai. Riflettici. Io ti do l'elenco della clientela affezionata. Con quella vai a colpo sicuro.

Andrea                          - Lisa, che ne dici?.

Lisa                               - Ma certo. Cosi accontenti anche la mamma...

Andrea                          - Non saranno poi delle infami scorticapelle queste «Velluto»?

Carlo                             - Aspetta. (Passa una mano sulla guancia di Andrea) Hai la barba da fare. Vieni di là. La provi su­bito tu, la « Velluto ».

Lisa                               - Ma no.

La Madre                      - Sì, Andrea. Fa quello che ti dice lui.

Andrea                          - Davvero? Ma poi mi dai un bacio anche col sapone in faccia?

Lisa                               - Ma sì.

Carlo                             - E io intanto metto sotto l'acqua la bottiglia. Perché oggi, pareva che lo sapessi, ho comperato lo spu­mante.

Andrea                          - Beh, ecco... che dovessi fare il commesso in lamette da barba, parola d'onore!

Carlo                             - « Velluto »: mica sono le lamette solite. Sen­tirai. « Velluto ». (Andrea esce. A Lisa) Tu non gli dire, mi raccomando, che io adopero un'altra marca! (Esce anche Carlo).

La Madre                      - Davvero la stireria ti rende quanto ha detto?

Lisa                               - Lo zio ha esagerato un po' per sostenere i «noi argomenti.

La Madre                      - Mi piace tanto, tuo zio.

Lisa                               - E' stato per me papà, mamma, tutto.

La Madre                      - E poi sempre allegro.

Lisa                               - Oh, sì: per questo sono cresciuta allegra anch'io.

La Madre                      - E' una grande fortuna. Tu devi aver pen­sato chissà che al sentire che io non volevo che Andrea accettasse quel posto.

Lisa                               - Oh mamma, vi capisco.

La Madre ------------- - No: non puoi capire. Ma, da quando   era piccolo, m'è parso che io avessi il dovere di stare, come una sentinella, a vigilare accanto a lui per evitaci che gli potessero capitare dei guai. Tutte le madri hanno questo senso di responsabilità e di ansia. Ma io più di' tutte perché io ho voluto... perché accanto a lui ci sono sempre stata io sola. E' da quando sono riuscita, non so come, un miracolo, a salvarlo, da piccolo, da una polmonite: era spacciato, sai. Il dottore aveva detto: non pasti la notte! Da allora sono sempre rimasta a spiare intorno, a difenderlo. Ma da era in poi saremo in due.! Ci sarai anche tu. (Piano) Avevo paura che tu potessi essere un pericolo per lui.

Lisa                               - Ma come avete fatto a rassicurarvi di colpo! Non potreste ingannarvi?

La Madre                      - (guardandola) No. Potrei interrogarli, Cercar di sapere. Non occorre. E' il clima, qui.

Lisa                               - Un ferro da stiro, una tavola, uno zio.

La Madre                      - Appunto. Proprio questo. Tu sei la sal­vezza.

Lisa                               - Forse avreste preferito per Andrea...

La Madre                      - No, no. Andrea ti avrà detto; anch'io ho lavorato tutta la vita. Prima facevo fiori di carta: usavano. Adesso non troverei da venderli. Ma lavoro ancora, li faccio di stoffa. Ho potuto così, in tanti anni, mettere da parte qualcosa. Lavorare fa bene. Dà una grande fiducia nella vita. Non ci si sente del tutto soli quando si lavora. Dunque: sarà bene che vi sposiate presto...

Lisa                               - Oh sì... (Andrea fa capolino col viso tutto sporco di sapone).

Andrea                          - Eccomi: li piaccio anche ora?

Lisa                               - Come vanno le « Velluto »?

Andrea                          - Preferisco un bacio tuo. (In questo momento Fausta entra; la madre la vede subito e si interponi tra essa e il figlio; poi, convulsa, rapida, sospinge Lisa),

Lisa                               - Volete signora?

La Madre                      - Va, va a dargli il bacio che vuole. Alla cliente penso io. (E quasi di forza sospinge via Lisa che scompare con Andrea, il quale così non è riuscito a vedere Fausta. La madre, un po' affannata, si volta verso Fausta).

Fausta                           - Scusate, volevo...

La Madre                      - Sì, signora... volevate? Presto. Abbiamo un po' fretta.

Fausta                           - Ho mandato a stirare certi pizzi, di qualche valore...

La Madre                      - Sì, subito... (Si mette a frugare per cer­carli; cerca nei cassetti) Questi?

Fausta                           - No.

La Madre                      - Questi?

Fausta                           - Sì: ecco.

La Madre                      - Sono fatti. Ecco: prendeteli.

Fausta                           - Quanto devo?

La Madre                      - Niente. Niente. Andate. Per carità! An­date.

Fausta                           - Ma come?

La Madre                      - Se vi dico niente...

Fausta                           - Come volete. Grazie. (Esce; la madre cade a sedere senza fiato su una sedia. Entra Carlo con h bottiglia di spumante).

Carlo                             - Ecco la bottiglia. Ora prendo i bicchieri.

La Madre                      - Sì. (Rientrano Lisa e Andrea, mentre Carlo esca).

Andrea                          - Ti pare proprio che la barba sia fatta bene?

Lisa                               - Alla perfezione.

Andrea                          - Hmm. Ho i miei dubbi.

Lisa                               - Mamma, quella cliente?

La Madre                      - Voleva i suoi pizzi: glieli ho dati io.

Lisa                               - Ha pagato? Era un lavoro di fino.

La Madre                      - Sì. (Cerca nella propria borsetta) Ecco: ha dato cento lire.

Lisa                               - Cento? Ma è troppo.

La Madre                      - Io ho detto cento e me le ha date senza discutere.

Lisa                               - Meglio così. (Rientra Carlo con i bicchieri),

Carlo                             - Ecco qua. Adesso bisogna far saltare il tappo. State pronti. Mi raccomando.

Lisa                               - Fa piano.

Carlo                             - Lascia fare. (Tutti osservano Carlo che stappa la coniglia).

Andrea                          - Forza. Volete che faccia io?

Carlo                             - Neanche per sogno. Ecco: viene, viene. (Un colpo e lo spumante trabocca) Evviva! Qua i bicchieri!

Andrea                          - Evviva! Alla nostra felicità, mamma!

La Madre                      - Alla vostra, figliuoli. Alla vostra!

Andrea                          - Che hai, mamma? Piangi?

La Madre                      - Non è niente: un ricordo, un'ombra, ma è svanito. Sono commossa, caro. Evviva!

QUADRO SECONDO

 (Un salottino elegante. Andrea, vestito con molta dignità, è seduto in una poltrona; su un divano è Fausta. I due hanno finito di prendere il caffè).

Fausta                           - E ora bisogna un poco parlare di affari.

Andrea                          - Quali affari?

Fausta                           - Voi, con i vostri consigli, in questo ultimo mese mi avete fatto guadagnare parecchio...

Andrea                          - La fortuna...

Fausta                           - No, no, è la verità. E ricordate quello che vi ho detto il primo giorno?

Andrea                          - Oh, sì; il primo giorno mi avete detto che non trovavate da cambiar cinquecento lire.

Fausta                           - (ridendo) Nella tabaccheria. La colpa era mia. Non si va a comperar un francobollo da cinquanta centesimi con un biglietto da cinquecento lire.

Andrea                          - Ma c'ero vicino io...

Fausta                           - E io sono ancora la vostra debitrice di quei cinquanta centesimi.

Andrea                          - Che hanno avuta la virtù di farci incon­trare.

Fausta                           - Ma non è di questo debito che devo par­larvi. Io vi ho chiesto, quando ho saputo che eravate in mia banca, di darmi dei consigli di carattere amministrativo, ma ad una condizione. Che se le cose fossero andate bene voi avreste avuto una parte dei benefici. TI momento è venuto.

Andrea                          - Vi prego, non è il caso.

Fausta                           - Ma come? I patti erano precisi.

Andrea                          - Ora non è più il caso.

Fausta                           - Ma perché?

Andrea                          - Perché in questo frattempo siamo diventati «mici. E io non vi posso considerare una cliente.

Fausta                           - Non è una ragione.

Andrea                          - Importantissima, invece. Se insistete, guaste­reste la nostra amicizia.

 

Fausta                           - Questo no.

Andrea                          - Vedete bene.

Fausta                           - Eppure non credo che siate così ricco da disprezzare un guadagno più che legittimo.

Andrea                          - Prendere del denaro dalle vostre mani, sarà sciocco, ma sento che mi farebbe morir di vergogna. Ep­pure non sono più un bambino.

Fausta                           - Ma avete ancora molti pregiudizi.

Andrea                          - Può darsi. Comunque se volete farmi un vero favore, di questo non parlate più.

Fausta                           - Manderò un regalo al vostro bambino.

Andrea                          - Nemmeno questo. A casa mia non sanno nemmeno.... Insomma non vi conoscono, neanche di nome.

Fausta                           - E quando venite da me a colazione che dite?

Andrea                          - Affari.

Fausta                           - Vedete che io sono una cliente?

Andrea                          - Ora mi mettete in imbarazzo.

Fausta                           - Da quanto tempo siete sposato?

Andrea                          - Tre anni e mezzo.

Fausta                           - Capisco.

Andrea                          - Mia moglie è una creatura così dolce, così cara...

Fausta                           - Preferirei che non mi parlaste di vostra moglie.

Andrea                          - Scusate.

Fausta                           - Io non vi parlo di mio marito.

Andrea                          - Ne siete divisa.

Fausta                           - Da otto anni.

Andrea                          - Mi pareva però che aveste accennato alla possibilità di una riconciliazione...

Fausta                           - C'è stata quest'idea, un certo momento. L'avrei fatto per passività, non sperando più nulla dalla vita. Ma poi ho capito che sarebbe stato un altro er­rore: l'ultimo. Tutta la mia vita è stata un errore.

Andrea                          - Non si direbbe vedendovi, vedendo la vo­stra casa.

Fausta                           - Oh, le apparenze...

Andrea                          - Eppure la parte materiale ha una grande importanza. E io ne so qualcosa. Quando ci sono tante difficoltà pratiche da superare si ha ogni giorno un mèta, magari piccola, ma che ci impegna tutti. Figuratevi che io... Ma ora vi annoio.

Fausta                           - Al contrario: ditemi, ditemi tutto. Almeno se credete che valga la pena di farmi delle confidenze.

Andrea                          - E' stata una vita dura, la mia. Avrei do­vuto entrare nelle poste: ma la mamma non ha voluto. E io le ho obbedito. Forse ha avuto ragione lei. Ho cominciato facendo il piazzista di certe lamette per la barba che laceravano la pelle, ve lo garantisco. Io non so come la gente facesse a comperarle. Eppure le com­peravano.

Fausta                           - Si vede che voi sapevate venderle.

Andrea                          - Ci mettevo dell'impegno, è vero. Capirete, mi ero sposato allora. Mia moglie aveva una piccola sti­reria e se avessi dovuto dipendere dal suo lavoro mi sarebbe parso avvilente. Ma quanto ho camminato per racimolare quel che occorreva a difendere la mia di­gnità. Otto mesi di lamette.

Fausta                           - E dopo?

Andrea                          - Dopo... Non mettetevi a ridere, vi prego. Sono passato alle suole di gomma. Quasi socio di un amico. Una piccola azienda: lui metteva le suole e io la mia attività. Un anno e mezzo. Affari discreti in prin­cipio e poi tutto è andato a rotoli. Pareva che si fossero dati la parola: nessuno voleva più suole di gomma. E sono rimasto tre mesi a far niente. Tutto il mio lavoro era quello di cercare, non trovare e rodermi il fegato. Alla fine una fortuna insperata. Cercavano un conta­bile per un'officina di biciclette. Io avevo il diploma. M'hanno preso. Due affari importanti conclusi mi han dato autorità. Ho trattato con due tre banche. Han ve­duto che sapevo fare. E un giorno m'hanno offerto il posto di secondo cassiere alla Banca Nazionale, sportello tre. Era un sogno. Ma ci voleva la cauzione. Si son messi insieme i risparmi di mia madre, i, miei, quelli della stireria e quelli dello zio di mia moglie. Così ci siamo arrivati, spennandoci tutti. Questa è la mia vita.

Fausta                           - Il vostro bambino vi ha portato fortuna.

Andrea                          - Credo di sì. E' un amore. Per quanto...

Fausta

Andrea                          - E' forse ingiusto quello che dico, ma da quando è venuto lui, mia moglie... Ma non volete che ve ne parli!

Fausta                           - Che Dite.

Andrea                          - Non è stata più per me quella che era. E' difficile spiegare. Prima si occupava dì me, solo di me. Dopo io sono passato in secondo piano: il bambino è stato tutto per lei. O almeno, insomma... Lei per me è diventata un'altra. La madre è un'altra cosa. Magari più importante. Anzi certo. Ma l'amore è cambiato. E' ve-nuta una specie di soggezione. Di maggior rispetto. Qual­cosa che raffredda. Non so. Tra me e lei c'è il bambino. Che io adoro, badate bene. Forse è colpa mia.

Fausta                           - Capisco.

Andrea                          - No: voi non avete avuto figli, non potete capire. Siamo diventati più seri tutti e due, io e lei. Meno soli. Meno intimi. Io prima di baciare lei, bacio il bambino. E alle volte sto fuori di casa a girare, senza scopo, per non disturbare. Insomma in casa, adesso, c'è una specie di pudore che prima non c'era, e allora... Lisa è la donna...

Fausta                           - Più cara che esista, lo so. Me l'avete detto.

Andrea                          - Ma a lei, per esempio, queste cose non le saprei dire. A voi invece...

Fausta                           - E' la famiglia. I doveri, le responsabilità...

Andrea                          - Che son lieto di avere. Ma...

Fausta                           - Vostra moglie è diventata moglie il giorno che vi ha dato un figlio. Prima eravate soltanto amanti, malgrado il matrimonio.

Andrea                          - Forse. Ma l'amore, quello che non tollera intrusioni...

Fausta                           - (con un sorriso un po' forzato) Oh, certo, Tristano e Isotta, Paolo e Francesca, Giulietta e Romeo non potevano avere figli. Sarebbe stata tutta un'altra cosa.

Andrea                          - Non penserete male di me per questo, ora?

Fausta                           - Che sciocchezze! Ma non lamentatevi. Siete un uomo fortunato, voi.

Andrea                          - Credete?

Fausta                           - Non tormentatevi se vi pare che vi manchi qualche cosa. Pensate alla vostra casa. A quello che avete e che gli altri non hanno. Voi non vivete invano: avete ormai uno scopo nella vita.

 

Andrea                          - Come siete buona, voi.

Fausta                           - Oh! Sapeste com'è difficile essere buoni quando si è soli.

Andrea                          - Ma io vi ho detto tanto di me, e voi invece.

Fausta                           - Un'altra volta. Oggi non avete più tempo. Dovete andare. Io vi ho rubato ad altri. E ne ho quali rimorso.

Andrea                          - Volete che non torni più?

Fausta                           - Adesso mi chiedete troppo.

Andrea                          - Allora telefonatemi in banca.

Fausta                           - No: in banca no. Telefonatemi voi. Ma presto. Domani.

Andrea                          - Sì.

Fausta                           - Vi riaccompagno. (Escono entrambi. La  scena rimane un istante vuota, poi Fausta ricompare. Siede in una poltrona, prende un libro, comincia a tagliarne le pagine. Si sente il suono di un campanella. Entra la cameriera).

La Cameriera                - Signora, c'è l'avvocato.

Fausta ,                         - Fallo entrare. (La cameriera esce e intro­duce l'avvocato).

L'Avvocato                   - Buongiorno, signora.

Fausta                           - Prego, accomodatevi.

L'Avvocato                   - Io mi sono permesso... Oggi è il 15) come avevamo-stabilito. E di là ci sarebbe...

Fausta                           - Chi?

L'Avvocato                   - Vostro marito, signora, il quale ha ca­dalo...

Fausta                           - Non desidero vederlo.

L'Avvocato                   - Data la situazione che ormai si è creata, mi sembra che sarebbe opportuno...

Fausta                           - Ho detto dì no. Ma sì, avete ragione. Meglio dire tutto in faccia a lui. Che entri. (L'avvocato si al­lontana e rientra con Franco, il quale s'inchina).

Franco                           - Fausta...

Fausta                           - Siedi.

Franco                           - Era molto tempo che attendevo questo giorno. E se ho avuto dei torti...

Fausta                           - Lascia stare il passato. Quello che conta oramai è l'avvenire soltanto.

Franco                           - Sono lieto di sentirtelo dire: sono anch'io della tua opinione. E con un po' di buona volontà, credo...

L'Avvocato                   - (estraendo dalla borsa delle carte) Io ho preparato, secondo le istruzioni dei due coniugi, un atto che ora vi leggo e che voi, se crederete, firmerete.

Fausta                           - Inutile.

L'Avvocato                   - Mi pare necessario...

Fausta                           - No, perché ho cambiato idea.

L'Avvocato                   - Come?

Fausta                           - Sì. Ho riflettuto su questa riconciliazione e non la posso accettare.

Franco                           - Fausta, ma se avevi detto...

Fausta                           - Lo so. Avevo aderito. E ora non aderisco più. Niente da fare. La cosa migliore è rimanere come siamo rimasti questi anni. Ognuno la propria vita.

Franco                           - Ma che è accaduto?

Fausta                           - Niente.

Franco                           - Non dire così: io ti conosco.

Fausta                           - Non mi conosci, altrimenti non avresti fatto della mia vita un inferno, non mi avresti obbligata a separarmi, allora.

 

Franco                           - S'era detto di non parlare del passato.

Fausta                           - Comunque io non lo posso dimenticare. L'avvocato lo sa: noi due non siamo mai andati d'ac­cordo, fin dal primo giorno. Ho tentato di adattarmi. Ho sopportato. Oggi non potrei più avere questa forza. E siccome tu non sei cambiato, è perfettamente inutile fare dei tentativi che si risolverebbero in un nuovo disastro.

Franco                           - Se hai questi preconcetti...

Fausta                           - Tu non sei cambiato: io nemmeno.

Franco                           - Non puoi sapere se io non sia cambiato.

Fausta                           - Mi basta guardarti.

Franco                           - Ma questa decisione, questo pentimento tu l'hai avuto prima di divedermi.

Fausta                           - Sì.

Franco                           - E da che cosa è dipeso?

Fausta                           - 'Non ti riguarda. Ti basti sapere, che rive­dendoti, ho capito che avevo fatto bene a rinunciare a questa riconciliazione progettata. Io mi ero arresa alle tue insistenze. Senza entusiasmo, l'avvocato lo può dire.

Franco                           - Ma, insomma, avevi detto di si. E ora non puoi, tutt'a un tratto...

Fausta                           - Ah, senti. Non voglio ripetere l'errore di prima. Anche allora, prima del matrimonio, m'ero resa conto che andavo incontro ad un fallimento, e l'ho anche detto ai miei genitori. M'hanno risposto che ormai era tardi, che non potevo più... E invece era ancora possibile salvarmi. Non l'hanno voluto per evitare scandali, per sacrificarmi alle convenienze mondane. E sono venuta in chiesa con te. Ma adesso i miei genitori, poveretti, non ci sono più, E della mia vita dispongo io, libera­mente. Avevo accettato: e con questo? Vuoi farmi causa perché ho cambiato idea?

L'Avvocato                   - No, signora: voi siete pienamente in di­ritto di accettare o rifiutare...

Fausta                           - Appunto: e rifiuto. Definitivamente. Inutile tentare nuovi sondaggi, fare nuove proposte. Niente da fare.

Franco                           - Mi vorrai almeno dire che cosa o chi ha determinato questo mutamento?

Fausta                           - Che te ne importa? Del resto, non so perché ci tenga tanto a me! Quando ero tua moglie hai fatto di tatto perché io mi disgustassi di te e del matrimonio.

Franco                           - Posso aver commesso degli errori: ma il fatto che io desideri questa riconciliazione, vuol dire che ti voglio bene.

Fausta                           - (ridendo) Ti prego. Sono parole che non stanno bene sulla tua bocca.

Franco                           - Ti voglio bene a modo mio.

Fausta                           - Ecco.

Franco                           - Ma forse più di quanto tu creda. E in questi anni di separazione...

Fausta                           - Mi hai fatta spiare, lo so. Questa era la prova del tuo attaccamento, vero? Avvocato, vi prego, tronchiamo questa discussione inutile e penosa. Non può che venirne una maggiore amarezza per tutti.

Franco                           - Tutto ciò dipende da un uomo, il quale ti ha persuasa...

Fausta                           - Sapevo che non eri molto intelligente: ora ne ho la riprova.

Franco                           - Fausta, io ti prometto...

Fausta                           - Inutile: non sciupare le tue parole e non  ti avvilire davanti a un avvocato. Ci son tante donne a questo mondo, e tu lo sai benissimo. Il tuo è un puntiglio. Non è amore il tuo e non è mai stato amore.. E' vanità.

Franco                           - Io non sarò forse intelligente, ma anche tu...

Fausta                           - Vuol dire che saresti davvero molto cam­biato.

Franco                           - Può darsi.

L'Avvocato                   - Una riconciliazione, dopo tutto, potrebbe anche essere un esperimento: nulla vieta che, se vedeste di non andare d'accordo, riprendiate le vostre reci­proche posizioni di libertà.

Fausta                           - No. Non mi sento sedotta da questo genere di esperimenti. Non insistete, avvocato, ve ne prego. (Essa si alza).

L'Avvocato                   - Quand'è così, noi prendiamo congedo.

Fausta                           - Vi ringrazio. E di tutto questo attribuite la colpa alla volubilità femminile.

Franco                           - Saprò chi è colui che mi preferisci.

Fausta                           - Spenderai inutilmente il denaro delle in­dagini.

Franco                           - Arrivederci, Fausta.

Fausta                           - Meglio dirci addio. Credo che partirò, che andrò a vivere lontano.

Franco                           - A questo punto?

Fausta                           - Non ho nessuno motivo per rimanere qui, molti invece per fuggire il più lontano possibile. (Franco e l'avvocato escono).

QUADRO TERZO

                                      - (La scena rappresenta la stessa stanza del primo quadro del primo atto: soltanto non c'è più il letto del ragazzo, ma c'è un divano, delle poltrone. La stanza è diventata un tinello. Qua e là si vedono dei fiori di stoffa, fatti dall'operosità della vecchia madre. Questa è in scena e, se­duta davanti a lei, c'è Lisa, la moglie di Andrea).

Lisa                               - Non avrei voluto dirvi niente: mi costa tal­mente questa confessione, ma non potevo più tener na­scosto tutto quanto ho sul cuore.

La Madre                      - Hai fatto bene, cara.

Lisa                               - Avevo bisogno di sfogarmi, di trovar qualcuno che mi comprendesse. E allora... so di avervi dato un dolore.

La Madre                      - Avevo capito che le cose non andavano bene: lo sentivo.

Lisa                               - > Andrea è ancora affettuoso, in apparenza. Non posso dir nulla contro di lui. Ma ormai lo vedo così di rado. Anche a pranzo non c'è quasi mai.

La Madre                      - E che cosa ti dice? Come giustifica...?

Lisa                               - Affari, sempre affari. E poi parla così poco ormai.

La Madre                      - Ha tanto lavoro, lo sai.

Lisa                               - Una volta mi raccontava tutto anche della sua vita di banca. Anche le cose più insignificanti. Adesso più niente.

La Madre                      - Devi aver pazienza. Il matrimonio un po' alla volta trasforma l'affetto. Ma sono sicura che Andrea ti vuol sempre bene.

Lisa                               - Ma non più come prima: in un modo così diverso...

La Madre                      - E' tanto attaccato al bambino.

Lisa                               - Sì, sì: ma è proprio da quando è venuto il bambino che è cominciato il suo cambiamento.

 La Madre                     - Ma non così radicale...

Lisa                               - Non so: è discesa come una barriera tra noi due, sempre più pesante... E ora, in questi ultimi tempi, vi giuro che non lo riconosco più: non sembra più lui.

La Madre                      - Le responsabilità, la famiglia...

Lisa                               - Mamma, sapeste come mi sento avvilita. Mi sembra di non contare più nulla per lui. D'essere un mobile di casa niente altro. Forse mi aveva abituato male, prima.

La Madre                      - La vita di una moglie, di una madre ha dei pesi: uno è questo. Prima c'è un periodo di spensie­ratezza, di gioventù: è la felicità un po' egoistica dell'amore. Ma anche tu sentivi che questo non era tutto. Mi hai detto tante volte che volevi un bambino.

Lisa                               - Oh sì: lo volevamo ardentemente tutt'e due.

La Madre                      - Ed è venuto. E un figlio muta necessa­riamente il tono d'una casa. L'egoista diventa lui e non tollera più che intorno si esista al di fuori di lui. Io, vedi, mi son dedicata a mio figlio con una tale intensità che... Da quando tu me l'hai portato via...

Lisa                               - Oh, non dite questo.

La Madre                      - Per forza, cara. Io son rimasta due volte vedova. Ma con gioia, sapendo che lui era felice. La sua felicità devi essere tu, deve essere la sua famiglia. Guai se fosse altrimenti.

Lisa                               - E' questo, mamma: io ho paura. Non so di che, ma ho paura.

La Madre                      - Ti ho detto dal primo giorno che saremmo state in due a difenderlo. Forse è venuto il momento in cui egli ha bisogno di questo, di noi. Di sua moglie e di sua madre. Se c'è un pericolo dobbiamo proteggerlo.

Lisa                               - Bisognerebbe sapere. Questa incertezza è ter­ribile.

La Madre                      - Sapremo. Sai se abbia preoccupazioni di carattere finanziario?

Lisa                               - Non credo. A me almeno non hai mai detto niente in proposito.

La Madre                      - Tu sospetti che ci sia di mezzo una donna.

Lisa                               - Non volevo dirlo.

La Madre                      - Ti si legge! n viso.

Lisa                               - Se fosse, mamma, sarebbe una cosa orribile.

La Madre                      - Non fare tragedie. Non sarà. E se fosse non devi fare la cosa più grave di quello che può essere.

Lisa                               - Ma a me, proprio a me...

La Madre                      - Andrea tornerà come prima: o almeno come può essere un marito dopo vari anni di matrimonio. Tu continua a non dirgli niente, a non fargli capire che hai delle delusioni: sii serena, come prima. Anche se non hai voglia, riprendi a cantare, ritrova la tua gaiezza. Non fargli mai vedere che hai pianto.

Lisa                               - Tenterò, mamma.

La Madre                      - Al resto penso io. Un madre deve giovare al proprio figliolo. Il suo compito non è mai finito.

Lisa                               - Ma non gli dite che io...

La Madre                      - Sssst. Non mi dare consigli. Alla mia età si è già imparato tutto quello che c'è da imparare.

Lisa                               - Ma vostro marito...

La Madre                      - Era un brav'uomo, ma un uomo, anche lui. Uomini perfetti non ce ne sono a questo mondo. E te ci fossero tutto sarebbe troppo facile e anche un poco noioso.

Lisa                               - Come siete cara: le vostre parole mi hanno fatto bene. Sono più tranquilla.

 

La Madre                      - Devi esserlo. E ora va: torna a casa. alza, si guarda attorno) Vedi, è stato in questa stami che Andrea... tanti anni fa... il lettino era lì. Dovevi morire: capisci?

Lisa                               - Lo so; me l'avete detto tante volte. E' stato un miracolo.

La Madre                      - Sì, un miracolo. E tutta la vita, dopo, è stata una specie di miracolo. Bisogna che io ringrazi sempre la sorte, qualunque cosa accada. C'è voluto M more di una mamma, per salvarlo. E quell'amore non si è consumato. E' ancora qui per mutare il destino, può tentare di mutare il destino.

Lisa                               - Voi credete al destino?

La Madre                      - No. Baciami il bambino, cara. (La bucini la riaccompagna. Poi rientra. Si mette a lavorare ai suoi fiori di stoffa) E' arrivato il momento: lo aspettavo tanti anni. Sono vissuta solo per questo. Sapevo che sarebbe venuto. La sventura non poteva averlo dimenticato, (Campanello) Ho accettato tutto. Bisogna pagare. (Si i: alzata, va ad aprire ed introduce Andrea dal fondo) Figlio mio! Tu? A quest'ora?

Andrea                          - Sì, mamma. Ho visto giù Lisa che se n'i dava. E' stata qui da te?

La Madre                      - Non le hai parlato?

Andrea                          - No. Non m'ha visto.

La Madre                      - E' stata qui, sì. Siedi. Che hai? Ti vedo tutto stravolto.

Andrea                          - Una disgrazia, mamma.

La Madre                      - Coraggio.

Andrea                          - Se tu sapessi...

La Madre                      - Dimmi tutto. Che disgrazia?

Andrea                          - In banca.

La Madre                      - Lo immaginavo.

Andrea                          - Perché? Che potevi immaginare?

La Madre                      - Sono venuta tante volte a trovarti al tu» sportello, e ho veduto...

Andrea                          - Che cosa?

La Madre                      - I tuoi compagni. I tuoi superiori. E ce n'è uno...

Andrea                          - Ferri. Il capo cassiere.

La Madre                      - Ecco.

Andrea                          - Infatti è stato lui: stamattina... Mi chiama nel suo ufficio. Sai, te l'ho detto, è un uomo di poche parole, un po' chiuso, severo.

La Madre                      - Avanti.

Andrea                          - Una cosa assurda, inverosimile. Nella casti affidata a me c'era un ammanco di 137 mila lire.

La Madre                      - Andrea! Tu?

Andrea                          - No, mamma: te lo giuro. Avevo fatto le verifiche la sera prima, uscendo. Tutto in ordine. Le chiavi le ho sempre tenute io. L'altra chiave, quella di controllo, l'ha lui, il signor Ferri. Stamattina, prima che andassi io in banca, aveva fatto una verifica e aveva trovato... Mi son precipitato a guardare anch'io: era vero. Mancavano 137 mila lire. E non so capire, imma­ginare...

La Madre                      - 137 mila...

Andrea                          - Ferri mi ha detto che la cosa non si doveva sapere, per il prestigio della banca. Mi dava quarantott'ore di tempo per reintegrare la somma, dopo di che, se non l'avessi fatto... La denuncia.

La Madre                      - Figlio mio!

Andrea                          - Tutto il giorno oggi ho cercato, ho tentato: ras è una somma enorme. La cauzione è di cinquanta mila lire, ne mancano 87 mila. Non sono riuscito a niente. E sono qui, sfinito, avvilito, disperato.

La Madre                      - E non sai spiegarti come... sia potuta «cadere.

Andrea                          - Mi sono fatte tutte le ipotesi. Niente. Un furto è impossibile, la cassaforte è in ordine perfetto.

La Madre                      - E sei sicuro che tu...?

Andrea                          - Mamma, puoi supporre?

La Madre                      - No, Andrea, no. Io non suppongo niente, ma lu da qualche tempo non sei più quello di prima. A una madre certe cose non sfuggono.

Andrea                          - Il lavoro...

La Madre                      - No, Andrea: non abbassare gli occhi. Guardami. Tanto, io so tutto.

Andrea                          - Che cosa sai?

La Madre                      - Che tu hai incontrato una donna.

Andrea                          - Non è vero.

La Madre                      - Non mentire, Andrea. Io la conosco.

Andrea                          - Tu la conosci?

La Madre                      - Da tanti anni, da quando eri bambino.

Andrea                          - Mamma!

La Madre                      - Non credere ch'io vaneggi. Sapevo che avresti finito per incontrarla.

Andrea                          - Lei non c'entra.

La Madre                      - Lo vedi? Tu lei hai fatto dei regali.

Andrea                          - No, mamma. Niente che possa...

La Madre                      - Hai trascurato tua moglie, la tua famiglia...

Andrea                          - Mamma, e ti pare questo il momento?... Con la minaccia che pesa su di me?

La Madre                      - E' una cosa legata all'altra.

Andrea                          - No, mamma: ti assicuro, non c'entra niente.

La Madre                      - Tu non sai, non puoi sapere, quando ho veduto quell'uomo, nella tua banca, avrei voluto che tu venissi via. Che ti allontanassi. Ricordi quanto ho insi­stito?

Andrea                          - Senza una ragione.

La Madre                      - Io prevedevo tutto. Sapevo che sarebbe accaduto.

Andrea                          - Che cosa? Che sparissero dei quattrini dalla mia cassa?

La Madre                      - Oramai, inutile pensarci. Quello che è stato, è stato. Bisogna evitar il peggio.

Andrea                          - Ma come? Come?

La Madre                      - Intanto i miei risparmi... Li ho depositati nella tua banca. Ti firmerò un assegno.

Andrea                          - Mamma, sono settemila lire.

La Madre                      - E' già qualcosa. Comincia a versarle. Dimostreranno la tua buona volontà. E poi bisognerà vedere... Lasciando una parte dello stipendio... (Va a prendere in un cassetto il libretto degli assegni e lo riempie mentre parla).

Andrea                          - No, mamma: Po già proposto io a Ferri. Non vuole sentir ragioni.

La Madre                      - Non avrai saputo convincerlo. Andrò a trovarlo io. Non ti disperare. Se davvero non sei col­pevole di niente...

Andrea                          - Di niente, mamma. Su che te lo debbo giurare?

La Madre                      - Su niente. Ti credo, ti credo. Ecco l'as­segno. Avevo messo lì questi pochi soldi per avere un pretesto e venir spesso allo sportello a trovarti. Tu hai qualche economia...

Andrea                          - Sì: diecimila lire in tutto.

La Madre                      - E sono diciassette. Da quell'uomo vado io. Hai detto che si chiama Ferri?

Andrea                          - Sì, Ferri: ma è tutto inutile, mamma. Mi denuncia se domani non li trovo. E come vuoi che faccia a trovare altre settanta mila lire?

La Madre                      - Hai parlato di questo a quella donna?

Andrea                          - No. E non gliene parlerò. Sarebbe capace di volermele dare lei, e questo, no, mai.

La Madre                      - Preferisci andare in prigione?

Andrea                          - Sì.

La Madre                      - Non dire sciocchezze.

Andrea                          - E poi in prigione, in ogni modo, non ci vado.

La Madre                      - Che hai in mente? Andrea! (Essa ora è accanto a lui, vicina, in piedi).

Andrea                          - Mamma, ero venuto soltanto per abbrac­ciarti. E io...

La Madre                      - Andrea, questo no. No. Non dire pazzie. (Lo tocca ansiosa, tremando) Che hai qui?

Andrea                          - Niente, mamma.

La Madre                      - Fa vedere.

Andrea                          - No.

La Madre                      - Una rivoltella? Sei pazzo? Questa non te la do più, la tengo io.

Andrea                          - Mamma, io in prigione non ci voglio andare. Sono onesto; non ho fatto niente di male.

La Madre                      - E non è questo quello che importa?

Andrea                          - Ma non salva niente: io so di non essere un ladro, ma per gli altri...

La Madre                      - Che contano gli altri? Conta tua madre. Tua madre e la tua coscienza. Ora tu devi andar a casa: non far sospettare niente a Lisa.

Andrea                          - Che ti ha detto quand'è venuta qui?

La Madre                      - Niente: mi ha parlato del bambino.

Andrea                          - Il figlio di un ladro!

La Madre                      - Non lo dire. Hai ancora tutto domani. Una giornata. Tante cose possono accadere.

Andrea                          - Sì: un'eredità!

La Madre                      - T'ho detto che andrò io da quel Ferri. Gli parlerò.

Andrea                          - Non voglio che tu ci vada.

La Madre                      - Una madre può trovare le parole che non hai saputo trovare tu. Riuscirò.

Andrea                          - Mamma, tu non Io conosci.

La Madre                      - So che devo farlo, e lo farò.

Andrea                          - Povera mamma, credi che la gente sia buona come te.

La Madre                      - E adesso dimmi di questa donna. Chi è? Dove sta?

Andrea                          - 'No.

La Madre                      - Andrea, ora tu sei in pericolo: devi aver fiducia in tua mamma. Avanti, voglio sapere tutto. E’ una donna che ami?

Andrea                          - Non so. Non so più niente. Da stamattina sono come ubriaco.

La Madre                      - Hai commesso un errore. Ma non ne hai colpa. Io sola posso sapere che tu non ne hai colpa.

Andrea                          - Mamma, è stata una cosa così assurda. L'ho incontrata in una tabaccheria... e dopo...

La Madre                      - Si chiama Fausta?

Andrea                          - Come lo sai?

La Madre                      - Ti dico che io so tutto.

Andrea                          - Fausta Ceriani.

La Madre                      - Fausta Ceriani.

Andrea                          - E' una donna di cuore: un'infelice anche lei.

La Madre                      - So anche questo.

Andrea                          - E certo se sapesse che io mi trovo in questa situazione...

La Madre                      - Dove abita?

Andrea                          - Perché vuoi saperlo?

La Madre                      - Devi dirmelo. Non farò nulla di quanto tu non vuoi, te lo prometto. Ma bisogna che sappia.

Andrea                          - (con riluttanza) Via Vitruvio 10.

La Madre                      - Domani tu devi continuare a cercare, a tentare. Hai parlato con lo zio Carlo?

Andrea                          - Se dopo lo dice a Lisa?

La Madre                      - Non lo dirà. E' un nomo che capisce le cose. Non potrà aiutarti molto ma, quello che può, lo farà. E poi ha delle conoscenze. Se mettiamo assieme almeno altre cinquanta mila lire, con la cauzione, dovrà ben accontentarsi per ora, quel signor Ferri. Vedrai che si accontenterà.

Andrea                          - Ho così poche speranze.

La Madre                      - Devi averne. Ti salverò. Coraggio, Andrea. Quello che conta è che tu non abbia toccato quei soldi non tuoi. Non è un dono della sorte? Avresti davvero potuto essere un ladro e non lo sei. E' una cosa magnifica questa. Questo è l'importante. E Ora va; va da tua moglie, dal tuo bambino. E abbi fede.

Andrea                          - Mamma, io non so come...

La Madre                      - Va, va.

Andrea                          - Sei la mia forza, mamma.

La Madre                      -Sì. (Andrea esce. La madre si appoggia a una parete, si sente male, vacilla) Dio mio, no, non farmi morire ora. Mio figlio ha ancora bisogno di me. 'Non farmi morire ancora. (E si abbatte, soffocata, come se mancasse, su una sedia, mormorando) Ferri... Fausta Ceriani... Non devo... Non posso morire ancora...

Fine del secondo atto

ATTO SECONDO

QUADRO PRIMO

(La stessa scena. Lampada accesa. Sera. La madre, che è andata ad aprire la porta, introduce Fausta).

La Madre                      - Accomodatevi, signora.

Fausta                           - Ho ricevuto solo stasera, poco fa, il vostro biglietto. So che siete stata a casa mia.

La Madre                      - Sì, avevo bisogno urgente di parlarvi, per mio figlio Andrea.

Fausta                           - Voi sapete?...

La Madre                      - Tutto, signora. Ma, prego, accomodatevi.

Fausta ----------------- - Che è accaduto? Non vedo Andrea da avanti ieri...

 La Madre                     - Appunto.

Fausta                           - Non sapevo che egli vi avesse parlato me, e sono confusa...

La Madre                      - E' inutile: io sono sua madre e quindi.

Fausta                           - So che Andrea vi vuol molto bene. Mi tanto parlato di voi.

La Madre                      - Sì: anch'io gli voglio molto bene. E tutti coloro che gli vogliono bene in questo momento devono essere alleati perché gli è accaduta una disgrazia.

Fausta                           - Una disgrazia?

La Madre                      - Sì. Io, lo vedete, non voglio farvi li morale. Neanche a lui ho detto niente. Certe cose capitani senza che nessuno ne abbia colpa.

Fausta                           - Oh, signora...

La Madre                      - Quindi non vi chiedo giustificazioni,

Fausta                           - Ma ditemi: di che disgrazia si tratta?

La Madre                      - Stanno per denunciarlo per flirto.

Fausta                           - Per furto? Lui?

La Madre                      - Sì. Il cassiere capo della banca ha scoperto un ammanco che mio figlio non ha commesso: lui ha giurato. Ed io gli credo.

Fausta                           - Anch'io. Non ha toccato niente: ne sono sicura.

La Madre                      - Non ha rubato, ma questo non vuol dire, il denaro manca ed egli ne risponde. Ne deve rispondere.

Fausta                           - Ma come è accaduto?

La Madre                      - Credevo che voi poteste saperlo o immaginarlo.

Fausta                           - Infatti, temo di immaginarlo.

La Madre                      - Ecco.

Fausta                           - Mio marito.

La Madre                      - E' vostro marito?

Fausta                           - Sì.

La Madre                      - E Andrea lo sa?

Fausta                           - No: non gli ho mai detto il nome di mio marito. Viviamo separati da molti anni.

La Madre                      - E perché avrebbe simulato questo furto!

Fausta                           - Per vendicarsi. Ma io ora andrò da lui„

La Madre                      - E' inutile.

Fausta                           - Ah no: non lascerò che si commetta una simile infamia.

La Madre                      - Sono stata io, oggi, da lui.

Fausta                           - E che vi ha detto?

La Madre                      - Non l'ho trovato. Non era in casa. Gli ho lasciato un biglietto. Che dovevo parlargli e lo pregavo che venisse da me. Lo aspetto. Se verrà, gli parlerete anche voi.

Fausta                           - Io, io sola. Non c'è bisogno del vostro in-tervento.

La Madre                      - Voi non avete paura di lui?

Fausta                           - Paura? Perché?

La Madre                      - Credevo che ne aveste paura. Ma se siete separati...

Fausta                           - Sì. Avrebbe voluto una riconciliazione. Non l'ho voluta io.

La Madre                      - Probabilmente perché avevate incontrato Andrea.

Fausta                           - Egli non può sapere che sia per questo.

La Madre                      - Si vede che l'avrà saputo.

Fausta                           - E' un uomo cattivo. Ma avrà a che fare con me. Saprò essere più cattiva di lui. Questa volta si tratta di Andrea...

La Madre                      - Voi forse non vi ricordate di me...

Fausta                           - Non credo di avervi mai conosciuta prima di oggi, signora.

La Madre                      - Eppure un giorno siete entrata in una sti­reria per ritirare certi pizzi. E sono io che ve li ho dati.

Fausta                           - Qualche anno fa.

La Madre                      - Sì. La stireria era della moglie di Andrea. E Andrea stava per conoscervi, allora. L'ho impedito.

Fausta                           - Come potevate prevedere?

La Madre                      - Tutto prevedevo. Non proprio così. Di­verso. Si vede che a forza di amore si può mutare qual­cosa del destino: ma non tutto. E vi siete conosciuti ugualmente.

Fausta                           - Se avessi potuto immaginare...

La Madre                      - Che cosa? Niente. Voi, lui, siete strumenti della sorte: niente altro. C'era un solo mezzo per evitare tutto. Che morisse, allora. E io non ho voluto. Ora pago. Bisogna pagare.

Fausta                           - Quanto deve pagare Andrea?

La Madre                      - Egli non vuole assolutamente che in que­sto interveniate voi.

Fausta                           - Voglia o non voglia, se credete che io ob­bedisca! E' per colpa mia che gli è capitata questa di­sgrazia: la responsabile sono io. Egli non sa che si tratta di mio marito.

La Madre                      - Mio figlio, badate, non ve lo perdone­rebbe: lo perdereste.

Fausta                           - Preferisco perderlo, ma salvarlo.

La Madre                      - Grazie. Siete buona. Malgrado tutto. E non ho nessun rancore per voi. Io ho fatto di tutto per impedire che questo avvenisse: ho forse ritardato, sviato le cose. E poi... non è stato più possibile. Ma e se quell'uomo non viene?

Fausta                           - Domattina vado io da lui.

La Madre                      - E' troppo lardi. Domattina egli lo avrà denunziato.

Fausta                           - Gli telefono stanotte. A casa.

La Madre                      - E credete?

Fausta                           - Oh, sì.

La Madre                      - Se è giunto a fare quello che ha fatto... No, son quasi le dieci. Oramai non viene più.

Fausta                           - Allora scendo, gli telefono da un bar. E poi vado da lui.

La Madre                      - Aspettate fino alle dieci. Dopo chiudono il portone qui. E non può più entrare.

Fausta                           - E Andrea?

La Madre                      - Ha tentato tutto ieri e tutto oggi di tro­vare quel denaro. Ha racimolato qualcosa. Gli ha offerto stamattina di pagare la metà di quanto manca chiedendo di rimborsare il resto sullo stipendio un po' alla volta. Io speravo che avrebbe accettato. E invece è irremovi­bile. Nessuna transazione.

Fausta                           - Oh, lo conosco.

La Madre                      - E' un uomo senza cuore.

Fausta                           - Cattivo, cattivo, cattivo.

La Madre                      - Come avete potuto amarlo?

Fausta                           - Non lo so.

La Madre                      - Gli parlerò in nome di sua madre; avrà una madre anche lui.

Fausta                           - Non l'ha mai conosciuta. E' morta che lui era di pochi mesi.

La Madre                      - Allora capisco.

Fausta                           - Ma voi non gli dovete parlare. Vi dico che ci penso io. Voi dovete stare tranquilla, con la vostra salute. Andrea mi ha detto...

La Madre                      - Sì: sono malata di cuore. Ma mi basta che resista ancora un poco.

Fausta                           - Vedete? Gli parlerò io.

La Madre                      - Sia: se non viene... (Campanello) E' lui.

Fausta                           - Vado ad aprirgli io. Voi non fatevi vedere.

La Madre                      - No, signora...

Fausta                           - Fate come vi dico io. (Fausta va verso l'in­gresso mentre la' madre scompare dall'uscio di destra. Fausta rientra con Franco).

Franco                           - Ah, era una trappola? C'eri tu ad aspet­tarmi.

Fausta                           - Sì. Ti sorprende?

Franco                           - Non completamente.

Fausta                           - Dovevi immaginarlo, mi sembra. Non pen­savi credo, che ti avrei lasciato commettere questa in­famia senza reagire.

Franco                           - Non so di quale infamia parli. Se qualcuno l'ha commessa, non sono stato io, mi pare.

Fausta                           - Insisti con la storiella del furto?

Franco                           - I denari mancano. I fatti parlano chiaro.

Fausta                           - Mancano perché li hai fatti sparire tu.

Franco                           - Non ti rispondo nemmeno.

Fausta                           - Ma in prigione non lo mandi, te lo assicuro.

Franco                           - Ci soffriresti molto, eh?

Fausta                           - Sapevo che eri una canaglia, ma non cre­devo fino a questo punto.

Franco                           - I tuoi insulti non cambieranno niente. Di chi è questa casa? L'hai inventata tu la madre di quel bel tipo? E' qui forse, che vi date i vostri convegni d'amore? Ambiente modesto!

Fausta                           - Quanto è il denaro scomparso?

Franco                           - Non te l'ha detto?

Fausta                           - Non ha detto niente.

Franco                           - Che discrezione! Se aspetti che te lo dica io...

Fausta                           - Franco, ti prego: non puoi fare una cosa simile.

Franco                           - Ah, cambi tono? Vuoi intenerirmi?

Fausta                           - So che con te è fatica perduta.

Franco                           - Dovevi scegliertelo meglio, cara, il tuo amante. Ora dovrai andare a trovarlo attraverso alla grata. E lì neanche un bacio!

Fausta                           - Dì: m'hai fatto spiare ancora?

Franco                           - (alzando le spalle) Sapevo che sotto il tuo rifiuto a riconciliarti con me c'era un uomo.

Fausta                           - E l'hai trovato. Ed era sottomano, proprio un tuo dipendente.

Franco                           - Una bella combinazione, no?

Fausta                           - Ma io dirò che sei stato tu a simulare il furto.

Franco                           - Se credi che qualcuno ti crederà.

Fausta                           - Nessuno, tranne che te poteva avere inte­resse a far sparire quel denaro.

Franco ----------------- - E figurati il peso che si darà alle parole di un'amante che tenta di difendere il proprio compagno!

Fausta ----------------- - Mi crederanno!

Franco                           - No, perché io ho un passato intemerato, una carriera impeccabile, mentre tu...

Fausta                           - E se io rimborso quello che è scomparso?

Franco                           - No.

Fausta                           - Tu stesso gli hai concesso un termine.

Franco                           - E' scaduto.

Fausta                           - Non è vero. Scade domattina e prima che scada tu riavrai quello che è scomparso. Che hai fatto scomparire tu.

Franco                           - Non serve. Lo denuncio lo stesso.

Fausta                           - Lo vedi che è solo una tua vendetta?

Franco                           - E ti pare che non ne abbia il diritto?

Fausta                           - No.

Franco                           - Come? Prima di rubare in cassa mi ha ru­bato la moglie. Devo dirgli grazie, favorire i vostri con­vegni?

Fausta                           - Tu non hai mai tenuto a me!

Franco                           - Si vede che non è così. La prova è questa.

Fausta                           - Avanti: quanto vuoi? Se si tratta di denaro...

Franco                           - Non so che farmene.

Fausta                           - Lo vuoi denunciare egualmente?

Franco                           - Sì: la lettera è già scritta, l'ho qui nella mia tasca. E se tu minacci d'intervenire, la porto sta­notte stessa.

Fausta                           - Confessa allora, confessa la verità.

Franco                           - E con questo? Anche se fosse, non avrei ragione?

Fausta                           - Lo dirò, lo griderò che è così. Che me l'hai confessato tu stesso.

Franco                           - Ed io smentirò. Non ci sono testimoni. Follie di una donna pazza e innamorata del suo uomo. Perché ne sei innamorata, eh? Questo te lo si legge in faccia.

Fausta                           - Sì, perché è un uomo tutto diverso da te.

Franco                           - Un bel tipo, in verità! Ore e ore insieme, tutti i giorni: è vero? Io per otto anni non potevo nem­meno vederti, tu, mia moglie, e lui invece...

Fausta                           - Dovevi farti amare quando eri vicino a me.

Franco                           - Lascia stare il passato.

Fausta                           - Sì: lo amo.

Franco                           - Brava! . Gridalo a me, a tuo marito. Ami un ladro.

Fausta                           - Il ladro sei tu.

Franco                           - Nessuno ci sente, va! E' inutile...

Fausta                           - Peggio di un ladro.

Franco                           - Sono un marito tradito: questa è la verità. Quella che conta.

Fausta                           - Allora? Rifiuti?

Franco                           - Che cosa?

Fausta                           - Rifiuti di rinunciare alla tua vendetta igno­bile?

Franco                           - Mi pare di non averti lasciato dubbi in merito.

Fausta                           - Anche se ti dicessi che accetto di ritornare con te?

Franco                           - Saresti capace di un tale sacrificio?

Fausta                           - Avanti: rispondi.

Franco                           - Davvero vorresti per amor di quell'uomo, tornare accanto a questo marito che odi? Accettare i miei baci?

Fausta ----------------- - Rispondi.

Franco                           - Ti ammiro. Sei proprio eroica. E' già  un risultato.

Fausta                           - Ti dico di rispondere.

Franco                           - Saresti magari capace di fingere l'amore conme? Di': arriveresti fino a questo punto?

Fausta                           - Sì.

Franco                           - (afferrandola bruscamente) Ma ti rendi conta dì quello che dici?

Fausta                           - Ti ho fatto una proposta, rispondi.

Franco                           - Mi hai insultato più che con qualunque parola, in questo modo. Cosa credi? Che io ti possa sopportare vicina? Rassegnata a me pur di salvare dalla galera quell'altro, il tuo amante? L'uomo che ami lino a questo punto, ma cosa pensi dunque, idiota? Se potevo avere uno scrupolo qualunque, e non l'avevo, ora mi l'hai distrutto. Andrei in galera io pur di mandarcelo anche lui, pur di strappartelo dalle braccia E mica per un anno, sai: gliene affibbieranno quattro o cinque. E quando uscirà tu sarai invecchiata. E lui penserà sempre, anche non volendo, che a mandarlo dentro sei stata tu, indirettamente. Quindi finito, se Dio vuole, il vostri amore, la vostra felicità. Perché voi l'avete goduta, quella felicità che io non ho potuto avere. Hai capito? Hai capito ora?

Fausta                           - Ti guardo. Ho visto la tua vera faccia. Sapevo chi eri: ma non interamente. Ora sì.

Franco                           - Allora sai anche che ogni parola è inutile: che è stata inutile questa convocazione, stasera. Tutto.

Fausta                           - Ma prima che lo arrestino io andrò da lui,

Franco                           - A dargli l'ultimo bacio?

Fausta                           - A dirgli la verità, che egli non sospetta neppure.

Franco                           - E con questo?

Fausta                           - Credi che si rassegnerà a farsi mettere le manette, lui, innocente?

Franco                           - Vuoi che scappi? Che riesca a scappare?

Fausta                           - No, farà di più.

Franco                           - Che cosa?

Fausta                           - Verrà da te. Te lo vedrai comparire davanti.

Franco                           - Per rinfacciarmi forse d'essere il marito della donna che s'è presa?

Fausta                           - No, no: per ammazzarti. Per ammazzarti.

Franco                           - (scoppia a ridere, ma d'improvviso la risata gli muore in bocca perché, sulla soglia della porta di sinistra, è comparsa la madre che tende verso di lui la mano armata di rivoltella e spara. Franco si piega, colpito, si raddrizza, poi barcolla e precipita a terra di schianto).

Fausta                           - Cosa avete fatto?

La Madre                      - Quello che bisognava fare. (La pendola batte ora le dieci, lentamente) Non abbiate paura. Nes­suno vi ha veduta salire?

Fausta                           - (terrorizzata) No, non credo.

La Madre                      - Ora scendete. Fate in modo che nessuno vi veda. Distruggete il biglietto col quale vi avevo convo­cata qui. Nessuno deve sapere che voi siete venuta da me. Voi stasera non siete venuta qui. Capito?

Fausta                           - Sì, ma... e lui?

La Madre                      - Non ci pensate. Provvedo io a tutto. Io, ormai... Non ci rimetto più niente.

Fausta                           - (guardando il morto) E'... morto?

La Madre                      - Sì. Ora andate, andate. Andrea...

Fausta                           - Andrea?

La Madre                      - Non deve saper niente. Saprà dopo. Ma niente, nessuno lo potrà incolpare. (Fausta tremante si avvia) Ma ora voi dovrete rinunciare a lui; per salvarlo io ho (alto questo. Voi fate il resto. Andrea deve tornare alla sua famiglia. Eravate pronta a qualunque sacrificio per lui. Fate questo.

Fausta                           - Sì. Partirò. Ma voi?...

La Madre                      - Ssst. Lasciatemi sola, con lui. (Fausta esce. La madre, rimasta sola, si avvicina al morto, s'ingi­nocchia, cerca nelle sue tasche, trova una busta, la prende. Sì rialza. Va accanto alla lampada: l'apre e la legge. Poi va alla stufa e la brucia. Fatto questo, si avvicina ancora al morto, si inginocchia e comincia a recitare sommessa­mente il rosario. La scena si oscura completamente).

QUADRO SECONDO

 (La scena si rillumina: è la stessa. Soltanto non c'è più il cadavere di Franco, e  non c'è nemmeno la madre. Si sente il campanello. La madre entra da sinistra, attra­versa la scena, esce dal fondo per andare ad aprire. Ricompare con Andrea, soprabito addosso, febbrile, agitato).

Andrea                          - Mamma, mamma.

La Madre                      - Che c'è?

Andrea                          - Sono salvo.

La Madre                      - Sì, caro. Ma come hai fatto? A quest'ora? E' l'ima di notte...

Andrea                          - E' mezz'ora che son giù. Ho aspettato che qualcuno rincasasse per poter entrare. Ma non volevo che tu passassi una notte d'angoscia. Volevo dirtelo subito.

La Madre                      - Che cosa?

Andrea                          - I denari...

La Madre                      - Ebbene?

Andrea                          - Stasera, disperato, visto che non c'era più alcuna salvezza, sono andato... sono andato a giocare, con i miei risparmi, con i tuoi... anche con i tuoi... era l'ultimo tentativo.

La Madre                      - Sì.

Andrea                          - Tutto andava a rovescio: ho perduto quasi tutto. Quando ad un tratto... alle dieci precise.

La Madre                      - Alle dieci?

Andrea                          - Tutto è cambiato. Una fortuna continua, incredibile. Tutti mi guardavano sbalorditi- Non più un colpo contrario. Non facevo che vincere, vincere.

La Madre                      - Sì.

Andrea                          - Sai quanto ho vinto? Tutto. Le centotren-tasette mila lire. Non occorre nemmeno toccare la cau­zione. Posso ridarti i tuoi denari; allo zio, i suoi. Mi son fermato quando ho raggiunto quella cifra. Esatta­mente quella. Sono stati i tuoi risparmi, mamma, che m'hanno portalo fortuna.

La Madre                      - Sì.

Andrea                          - Domattina potrò rimettere quella somma nella cassa, tutta.

La Madre                      - Sì.

Andrea                          - Ma il direttore mi licenzierà lo stesso. Per­derò il posto.

La Madre                      - No: non lo perderai. Se il capo cassiere non ha detto nulla a nessuno, nessuno saprà niente. Non perderai il posto.

Andrea                          - Credi, mamma?

La Madre                      - Ne sono certa. Ma adesso...

Andrea                          - Adesso?

La Madre                      - Adesso che hai superato queste ore ter­ribili pensa a te stesso, pensa al tuo bambino, a quello che è accaduto, a Lisa. Bisogna che tu torni quello di prima. Perché questa prova, credi alla tua mamma, è stata una minaccia. Capisci? Bisogna che d'ora in­nanzi... Non ti dico altro.

Andrea                          - (abbracciandola) Mamma!

La Madre                      - Non voglio altro da te. Io ti ho dato tutto quello che ho potuto, tutto.

Andrea                          - Lo so, mamma.

La Madre                      - E tu compensami così.

Andrea                          - Te lo prometto.

La Madre                      - Va da tua moglie, dal tuo bambino ed amalo come io ho amato te, Andrea. Fino al maggior sa­crificio.

Andrea                          - Sì, mamma. (Esce).

QUADRO TERZO

 (La scena, completamente occupata da un velluto nero, non ha che una gabbia in un angolo, dentro la quale, quasi rannicchiata su una panca, c'è la madre. Tutto il resto è deserto. Si sente la voce del pubblico accusatore).

Il Pubblico Accusatore           - La premeditazione è com­provata dal biglietto che è stato trovato in casa della vittima, con il quale l'imputata lo convocava a casa sua. I moventi di questo delitto rimangono inspiegabili, poi­ché risulta che nessun rapporto intercedesse tra la vit­tima e l'accusata, a meno che si voglia far capo al fatto che il figlio dell'accusata era impiegato nella stessa banca dove la vittima era capo cassiere.

La Madre                      - (con un grido) Mio figlio non c'entra: quella sera era a giocare. L'hanno veduto tutti. Non si è mosso dal tavolo da gioco.

Il Pubblico Accusatore           - Per cui, davanti a questi fatti, alla legge non rimane che chiedere... (Mentre la voce del pubblico accusatore si perde, da destra compare in scena Andrea che tende le braccia verso la gabbia, dalla parte opposta del palcoscenico).

Andrea                          - Mamma!

La Madre                      - Figlio mio! (Gli tende le braccia).

Andrea                          - (come pregando mormora) Solo un mira­colo... (A queste parole accanto alla madre compare la figura luminosa dell'Angelo che si avvicina alla vec­chietta, la fa alzare).

L'Angelo                       - Vieni: c'è tanta strada prima di giungere lassù... (Lentamente la madre e l'Angelo iniziano l'ascesa di un'invisibile scala. La madre si volta a guardare in basso il figlio ancora una volta e si ferma. Ma l'Angelo la chiama) Su, sali, con me.

FINE