L’angelo e il commendatore

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L’ANGELO E IL COMMENDATORE

Commedia in tre atti

di GIOVANNI MOSCA

PERSONAGGI

L'ANGELO - IL COMMENDATOR ROSSI

ADRIANA – ANNA

MARGHERITA - CARLO SANTUCCI 

LETIZIA - LA CONTESSA EVELINA

 IL GOMMENDATOR MASINI - FRANCA 

L'ISPETTORE - IL PROFESSOR PANDOLFI

GIUSEPPE - LO STRACCIONE

IL SIGNOR FERRETTI - IL BARONE DEL FORTE

LA SEGRETARIA - IL CAVALIER BIANCHI

BAMBINI - UN DOMESTICO -CAMERIERI

UN AGENTE - ALCUNI UOMINI

ATTO PRIMO

La scena rappresenta un'ampia e lussuosa sala da pranzo, di moderno stile. A destra e a sinistra, una porta. Il fondo è quasi interamente occupato da una grande vetrata di là dalla quale è un giardino con alberi.

 (Intorno a una tavola imbandita con esagera­zione d'abbondanza e di fasto, son radunati i convi­tati tutti in abito da sera, e sfarzosamente ingioiellate le signore: il commendator Rossi, Adriana, Anna, Margherita, Carlo Santucci, Letizia, la contessa Eve­lina. Camerieri in guanti bianchi servono silenziosa­mente e attentamente. Il pranzo è giunto al termine. Siamo ai sigari, che i camerieri accendono con reli­gione. Silenzio generale, nuvole di fumo. Poi, appog­giandosi alla spalliera e guardando in alto, come per concludere la discussione che ha tenuto impegnati i convitati durante il pasto)

Santucci                        - (tra i cinquant’anni e i sessant’anni, alto, magro, capelli candidi, vestito con ricercata ele­ganza) Per me, lo ripeto, gli angeli, se pure esi­stono, stanno in cielo, ed è semplicemente ridicolo pensare alla possibilità di una loro apparizione sulla terra.

Rossi                             - (sessant’anni, panciuto, calvo, ma ancor svelto, energico, con ostentazione di giovanilità negli abiti che gli vedremo indossare nel secondo e nel terzo atto. È un capitano d'industria, privo di scrupoli, cinico, convinto dell'onnipotenza del danaro, teso a guadagnarne quanto più è possibile subordinando ad esso affetti, sentimenti, convenienze. Pronto ad adat­tarsi a qualsiasi situazione allo scopo di ricavarne un utile. Lo vedremo nel tentativo di corrompere per­sino gli angeli di Dio) Ma non vi pare che si sia parlato fin troppo d'angeli, questa sera? Ne ho ab­bastanza. Preferirei cambiar discorso.

Anna                             - (il tipo della ragazza moderna. Giovane e graziosa, nasconde, anzi non nasconde sotto la genti­lezza dell'aspetto e dei modi, la patema e materna ari­dità d'affetti e di sentimenti. Ostenta la franchezza e la sincerità, talvolta brutali, proprie dei giovani d'oggi) Papà, ringraziamoli piuttosto. Se non vi fossero stati gli angeli, di che cosa avremmo discorso questa sera?

Rossi                             - Oh, non lo so. Di argomenti ce ne son tanti.

Anna                             - Già, ma noi non ne abbiamo mai nessuno. A meno che non si parli d'affari, non sappiamo che cosa dirci. (Al gioielliere) Lei, Santucci, ci parli, se ne è capace, di qualche cosa che vada di là dai suoi gioielli. (Al padre) E tu, papà...

Margherita                    - (quarantenne, ancor piacente, tin­tinnante di bracciali) È forse perché ci conosciamo da sì lungo tempo. Siamo amici, forse, da troppi anni, e quello che dovevamo dirci, ce lo siamo detto tutto. Del resto, la vera amicizia non è bella appunto per questo? Che senza impaccio, senza imbarazzo, si può rimaner muti, per ore, ciascuno coi propri pensieri...

Evelina                          - (vestita da vecchia contessa, con le stecche intorno al collo grinzoso) Io confesso che, di pen­sieri, non ne ho.

Rossi                             - E come rimane?

Evelina                          - Così, nel nulla. Si sta tanto bene. (Al commendator Rossi) Lei, commendatore, ha pensieri?

Rossi                             - Le dirò che anch'io, quando sono fuori del mio ufficio...

Santucci                        - E allora stiamocene così. (Tutti si accingono, ciascuno nella positura preferita, al si­lenzio).

Adeiana                        - (poco più che quarantenne, anch'essa bella donna, risplendente di gioielli) Volete che facciamo suonar l'orchestrina ch'è di là, nell'altra stanza?

Anna                             - (ironica) È un'idea, mamma.

Evelina                          - (lietamente approvando) La musica aiuta molto i silenzi... (A Santucci) A lei piace?

Santucci                        - Purché sia una musica facile, che non affatichi.

Rossi                             - (parla sottovoce a un cameriere che subito esce per ritornar di lì a pochissimo avendo ordinato air orchestrina di suonare una musica leggera e orec­chiabile, al suono della quale i convitati rimangono a lungo silenziosi e immobili. Sino a che)

Santucci                        - (compiaciuto) Vedete? senza impaccio, senza imbarazzo...

Evelina                          - C'è effettivamente, in certi silenzi, una disinvoltura... (Cessa la musica dell'orchestrina. Come intimorita dal vuoto cagionato dalla mancanza della musica) E adesso che cosa diciamo?

Rossi                             - Non ci rimane che parlar di cotone. (Pausa) Ma ad Anna non piace.

Santucci                        - Temo che dovremo tornare agli angeli.

Rossi                             - No, per carità!

Margherita                    - Si potrebbe fare un brindisi. (I convitati si scuotono alla proposta).

Rossi                             - È un'idea geniale. (Ordinando) Champagne! (I camerieri aprono le bottiglie e versano nei bicchieri) Ma questa è una serata quanto mai piacevole e bril­lante! (Levando il proprio bicchiere, mentre anche gli altri meccanicamente lo levano, senza letizia, tanto per far qualche cosa) Bevo alle vostre fortune. (Bevono) Bevo all'amore dei nostri due cari ragazzi, Anna e Giulio. (Bevono; ma stanchi, annoiati, tanto per far qualche cosa) Bevo... (Lunga pausa, poi rivolgendosi a Santucci) A che cos'altro potremmo bere? (San­tucci gli s'avvicina e gli dice qualche cosa all'orecchio. Rossi continua) bevo alla rinascita materiale e morale del nostro diletto Paese... (Bevono).

Santucci                        - (con estrema serietà) Morale, innanzi tutto.

Evelina                          - (alzandosi, gravemente) E non dimen­tichiamo, nel benessere e nell'opulenza, d'inviare un doveroso, affettuoso pensiero a tanta povera gente che soffre...

Rossi                             - (approvando) - Sempre il nostro cuore è con essa.

Santucci                        - Io penso spesso alla gente che soffre. (Alla moglie) Non è vero, Letizia?

Letizia                           - Continuamente.

Evelina                          - Tutti pensiamo alla povera gente.

Rossi                             - (continuando) ... il nostro affettuoso pen­siero, segno d'una solidarietà che non deve mai venir meno.

Evelina                          - (commossa) Parole sante.

Kossi                             - (in un generoso impeto, levando altissimo il bicchiere) Beviamo alla salute dei poveri!

Tutti                              - Viva i poveri! (Bevono e tornano a sedere. Nuovamente immobilità e silenzio. Fino a che)

Evelina                          - E adesso che cosa diciamo?

Rossi                             - (rassegnato) Ripiombiamo negli angeli.

Un Domestico               - (entrando) Il commendator Marini.

Marini                           - (cui Rossi e Santucci si fanno incontro per salutarlo e condurlo verso la tavola intorno alla quale si svolgeranno i convenevoli d'uso, è un altro tipo di industriale. Bacia sulla fronte Margherita. Accarezza Anna alla quale dice) Giulio sta bene. Ti saluta. (Poi, a tutti) Porto novità. (Pausa) L'angelo è stato avvistato nelle campagne intorno alla nostra città.

Rossi                             - («ecco) Non ci credo.

Marini                           - L'ha detto poc'anzi la radio, a conferma, del resto, di quanto han pubblicato i giornali.

Santucci                        - (alzando le spalle) La radio, i gior­nali possono dir quello che vogliono. Ma non son tempi, questi, nei quali, come una volta, gli angeli discendano dal cielo per visitare la terra.

Rossi                             - Secondo me, si tratta d'una trovata pubblicitaria.

Marini                           - Eppure è stato visto.

Santucci                        - Discendere dal cielo?

Marini                           - Discendere dal cielo. Ci sono i testimoni.

Rossi                             - (con sprezzo) Contadini, massaie, pastori...

Marini                           - Non soltanto contadini, massaie e pastori. Anche distinti professionisti. Avvocati, ar­chitetti, notai... (Seriamente) Ora, quando un notaio... (A Santucci) Lei non stima i notai?

Santucci                        - Li stimo profondamente; ma...

Marini                           - Del resto, ho qui il giornale. (Trae di tasca il giornale, cerca la notizia, legge): « Interrogato dal nostro corrispondente locale il notaio Mattei dottor Stefano, noto e stimato in tutta la provincia, così ha risposto: Prendevo il sole nella mia terrazza, situata in luogo elevato, quando ho veduto distin­tamente un angelo, la cui apertura alare stimo all'incirca di metri due e cinquanta, descrivere larghi giri e compiere evoluzioni sul villaggio di Cerro, quasi volesse rallegrare la popolazione... Improv­visamente, per la rottura di un'ala o per altro inci­dente sul quale, non essendo un tecnico, non posso pronunciarmi, ho veduto l'angelo rovesciarsi da un lato, poi, come si dice in gergo aviatorio, precipitare in picchiata, e scomparire nel folto del bosco con­finante col villaggio ».

Rossi                             - (ironico) E non l'hanno ritrovato?

Marini                           - (riponendo in tasca il giornale, molto se­riamente, scuotendo il capo) Per quante ricerche siano state fatte nel bosco, l'angelo non è stato ritrovato.

Evelina                          - Ma più tardi è stato visto aggirarsi nei pressi di un altro villaggio.

Marini                           - Sì. E c'è chi lo descrive minutamente, in tutti i particolari. È alto, magro, biondo, ha gli occhi celesti, cammina leggerissimamente, senza che l'erba e i fiori su cui passa rimangano calpestati o anche di poco s'inclinino. È gentile di modi e d'a­spetto, e chi lo dice giovane, chi come non avesse età.

Margherita                    - Ha la tunica bianca?

Anna                             - Aveva la tunica bianca, quando l'ha visto il notaio precipitare.

Marini                           - Lo sai anche tu?

Anna                             - Sì, l'ho letto anch'io. Ma successivamente indossava un vestito borghese. g»

Marini                           - Precisamente. Un vestito logoro, sdru­cito. Sembra gli sia stato fornito da una famiglia di contadini alla quale si sarebbe presentato per chiedere cibo.

Rossi                             - Tutti così questi angeli. Molestano le famiglie dei contadini.

Adriana                         - (severa) Filippo!

Evelina                          - Ma gli angeli mangiano!

Marini                           - Questo, non saprei dirlo. Ma come non credere a tante testimonianze?

Santucci                        - (incredulo) I soliti fenomeni di sug­gestione collettiva.

Marini                           - Non dico di no. Ma il notaio sulla ter­razza? Era solo. E i notai, d'altra parte, non si sug­gestionano così facilmente...

Adriana                         - Lei, Marini, attribuisce una grande importanza alla testimonianza del notaio sulla terrazza?

Marini                           - (deciso) Importantissima.

Letizia                           - Sicché, quest'angelo, se davvero si tratta di un angelo, si aggirerebbe da queste parti, lo abbiamo vicino, potrebbe addirittura entrar qui dentro da un momento all'altro... (Suggestionata, con un certo sgomento che traspare dalle parole) Là. Dal giardino.

Marini                           - (ripetendo meccanicamente) Là, dal giardino. (Pausa di silenzio. Dal giardino immerso nelle tenebre l'improvvisa luce d'un lampo, seguito dal sordo brontolar del tuono).

Margherita                    - (con voce sommessa) È alto, magro, con gli occhi celesti?

Marini                           - (annuendo, col medesimo tono di voce) E cammina leggerissimamente, senza che l'erba e i fiori su cui passa rimangano calpestati o anche di poco s'inclinino.

Rossi                             - (coinè per rompere l'incanto d'una sugge­stione che a poco a poco va prendendo i convitati) Sciocchezza! S'anche apparisse, adesso, qui, un individuo uguale in tutto e per tutto alle descri­zioni che se ne son fatte, chi potrebbe provarci ch'è un angelo?

Santucci                        - In tutti i modi, speriamo che non appaia.

Rossi                             - (a Santucci) Si direbbe che tu e Marini abbiate paura.

Evelina                          - Perché? Non mi farebbe davvero paura un angelo. A me piacciono gli angeli.

Rossi                             - (incredulo, ma pensieroso, come parlando a se stesso) Certo, se fosse un angelo davvero, avremmo la prova matematica dell'esistenza di quell’ « al di là » cui crediamo e non crediamo.

Marini                           - Perché dici che non ci crediamo?

Rossi                             - Perché se ci credessimo davvero, caro Marini, non faremmo quel che facciamo, non vi­vremmo come viviamo.

Santucci                        - (ridendo) Sicché tu, se avessi, come dici, la prova matematica dell'esistenza dell'« al di là », cambieresti vita? (Indicando Marini) E la cambierebbe anche lui? (Sempre più incredulo) E la cambieremmo tutti? Via! Siamo gente troppo abile! Troveremmo il modo di non cambiarla, ve lo dico io!

Adriana                         - (pensierosa) Non lo so. Un angelo è sempre un angelo.

Rossi                             - (scrollando le spalle) I tempi sono mutati mia cara. (Nuovo lontano brontolar di tuono. Tutti guardano verso il giardino. Segue un silenzio, poi si sente squillare insistente il telefono ch'è nell'altra stanza).

Un Domestico               - (apparendo sulla soglia) Com­mendatore, la desiderano al telefono.

Rossi                             - (alterato) Chi è?

 Il Domestico                - La polizia, commendatore.''

Rossi                             - (si leva e s'avvia rapidamente) La polizia? E che cosa vuole da me? (Esce seguito dagli sguardi curiosi e ansiosi dei convitati i quali, in silenzio, cercheranno d'afferrare le parole di lui che parla nella altra stanza. Ma non si sente che una voce indistinta, rotta di quando in quando da esclamazioni di stupore).

Adriana                         - (dopo un poco, allarmata) Non com­prendo che cosa possa voler da mio marito la polizia, a quest'ora.

Anna                             - Ma nulla, nulla che debba farti stare in ansia, mamma. Papà è amico dell'ispettore: si trat­terà d'una comunicazione privata. Oppure di una informazione circa qualche suo dipendente.

Marini                           - (come parlando tra sé, a voce bassa) ...senza che l'erba e i fiori su cui passa rimangano calpesti o anche di poco s'inclinino.

Anna                             - (scattando) E la smetta lei, Marini, di rovinarci la serata con questo suo angelo che non calpesta i fiori!

Santucci                        - (affettando disinvoltura) Marini ha paura. (Dall'altra stanza non vien più la voce di Rossi, il quale ha finito di telefonare. Silenzio. Tutti gli sguardi si volgono verso la porta).

Rossi                             - (rientra, avendo sul volto i segni del più alto stupore) Una cosa incredibile, amici miei. (A un cameriere) Giuseppe. (Segni d'attenzione del cameriere) Qualche cosa di forte. (Si siede attorniato dai convitati ansiosi. Beve d'un fiato quel che il ca­meriere gli porta. Poi, scandendo le parole) Hanno arrestato l'angelo.

Marini                           - (trionfante) Che cosa dicevo io?

E velina                         - È dunque già provato ch'è un angelo?

Rossi                             - (frenando con le mani tutte le domande che sente venire) Provato, no. Ma nello stesso tempo, l'ispettore, col quale ho parlato in questo momento, mi dice di non poterlo escludere.

Marini                           - È alto, magro, ha gli occhi celesti?

Rossi                             - (allontanando con le mani ogni nuova domanda sì che non venga interrotto il racconto che s'accinge a fare) Sì, sì, è alto, magro, ha gli occhi celesti, corrisponde perfettamente alle descrizioni che se ne son fatte.

Marini                           - E i fiori?

Rossi                             - (seccato) L'ispettore non ha ancor fatto la prova dei fiori. Ma la farà, e si farà tutto, perché un caso come questo esige che si vada a fondo con le indagini e con le prove per stabilire in breve tempo se abbiamo a che fare con un angelo veramente o con un volgare impostore. Davanti all'ufficio di polizia s'è radunata una folla che chiede a gran voce di vedere l'angelo.

Santucci                        - Ma non si sa, ancora, se si tratti davvero di un angelo?

Rossi                             - La folla ne è sicura. Dice l'ispettore che son tutti i poveri e i disoccupati della città. E per i poveri e i disoccupati anche la minima probabilità di trovarsi al cospetto di un angelo si tramuta su­bito in certezza. C'è anche il vecchio colonnello Bertini.

Margherita                    - Quello delle medaglie?

Santucci                        - Ma non le ha più. (Indicando la tasca) Le ho qui io. Il pover'uomo me le ha vendute questa mattina. (Pensieroso) Forse non gliele ho pagate quanto avrei dovuto. (A Marini) Marini, tu sei con­vinto che sia un angelo?

Marini                           - (gli fa cenno di tacere e di ascoltare il rac­conto dì Rossi).

Rossi                             - (tagliando corto alle considerazioni di Santucci) L'arrestato, che ha modi distinti ed un fare che l'ispettore definisce soave, nega recisamente d'essere un ladro o un vagabondo, ed afferma d'essere un angelo incaricato lassù di una ispezione tra gli uomini.

Santucci                        - (scrollando il capo) Dicono tutti così.

Rossi                             - (facendo dei gesti come per avvertire che adesso viene il buono del racconto) State a sentire. Richiesto dall'ispettore di fornirgli almeno una prova della sua natura angelica, l'arrestato ha sollecitato un confronto.

Evelina                          - Un confronto? Con chi?

Rossi                             - (teatralmente) Con me!

Adriana                         - Con te!?

Rossi                             - (spalancando le braccia) Con me, col commendator Filippo Rossi, titolare dell'Anonima Cotonifici Riuniti.

Marini                           - (al colmo dello stupore) Ti conosce?!

Rossi                             - Mi conosce. (Pausa di silenzio e di stu­pore) Anzi, più precisamente, io conosco lui e sono in grado di dare la più definitiva e luminosa prova della sua natura angelica. (Pausa fatta ad arte dal narratore, il quale si compiace di tener viva la curio­sità degli ascoltatori) Sì. Afferma d'essermi apparso una volta quand'ero bambino, e con tal nitidezza e così a lungo da non poter io aver dimenticato questa visione, e da non poter non riconoscerlo ove mi fosse dato di rivederlo.

Letizia                           - Ma lei l'ha avuta davvero questa visione, quand'era bambino?

Rossi                             - (come confessando qualche cosa di cui non che si vergogni, ma per pudore arrossisca, a cagione della non onesta vita trascorsa) Avevo dieci anni. L'ho avuta. M'ero arrampicato su un albero per rubare delle frutta, quando - oh, ma oramai sono tanti anni! m'apparve un angelo, o qualche cosa ch'io credetti un angelo, e mi disse... Anzi, non mi disse nulla. Semplicemente levando un dito, tra il severo e il sorridente mi ammonì di non rubare. Poi, com'era venuto, scomparve. Ma lo ricordo perfettamente.

Marini                           - E tu, intimorito, scendesti dall'albero.

Rossi                             - Sì, ma più tardi. (Pensieroso) Prima rubai le frutta.

Santucci                        - (emozionato) Ed era alto, magro...

Rossi                             - (facendo di sì col capo) ... e aveva gli occhi celesti. Effettivamente, l'ho così impresso che potrei riconoscerlo. E che si tratti di lui o di un im­postore, lo sapremo ben presto, forse tra pochi istanti, perché l'ispettore, mio amico, e gentilis­simo, ha voluto risparmiarmi il disturbo di recarmi all'ufficio di polizia, ed è in istrada per venir qui con l'arrestato. Sono due passi, del resto. (si ode un brusìo proveniente dal giardino, ma nulla si vede, essendo notte fonda.

Un Domestico               - (entrando) Commendatore, l'ispettore viene dal giardino con l'arrestato. Ha con sé anche una donna.

Rossi                             - Una donna?

Un Domestico               - Non so chi sia. (Pausa) Li segue un codazzo di gente senza riguardo che purtroppo, anziché tenersi negli appositi vialetti, cammina sui prati calpestando le aiuole.

Santucci                        - Se fossero angeli anch'essi, non le  calpesterebbero.

Un Domestico               - Non sono angeli, signore. Sono  i poveri e i disoccupati del paese.

Rossi                             - Fate aprir la vetrata. Il temporale è t passato, la notte è tiepida. (Due camerieri, a un cenno del domestico, uno da una parte e uno dall'altra, fanno scorrere i battenti della vetrata. S'intravvede nel buio una folla che all'aprirsi della vetrata si fa silenziosa),

L'Ispettore                    - (entra con un agente, l'Angelo, Franca,  Tanto l'ispettore che Vagente indossano l’impermeabile. L'ispettore è di civilissimi modi. L'Angelo, in giacchetta, senza cappello, è bagnato di pioggia,  Ha i biondi capelli incollati sulla fronte. È come trasognato, guarda fisso dinanzi a sé, senza curarsi E della curiosità che desta nei presenti. La donna, giovane, ha l'aspetto equivoco, ed è vestita con la miseria e il cattivo gusto delle donne di strada. L'ispettore saluta cordialmente Rossi che gli si fa incontro, e limita a un inchino il saluto a tutti gli altri presenti. Presso la vetrata ha lasciato l’agente che sorveglia Franca. Soltanto l'Angela è rimasto al suo fianco. Rossi fissa l'Angelo scrutandolo attentamente. L'ispettore si scosta, e invita i presenti a scostarsi sì che i due, impegnati nel confronto, rimangono isolati al centro della scena. Silenzio. Sino a che)

Rossi                             - Devo ammettere, ispettore, che la somiglianza è impressionante. Se si trattasse del confronto con un uomo, direi ch'è lui, che non può essere altri che lui. Ma la mia testimonianza serve a stabilire nientedimeno che la natura angelica di un individuo, e occorre qualche cosa di più che una rassomiglianza, per impressionante che sia. (All'Angelo, rispettosamente) Lei afferma d'essermi apparso, quando ero bambino, cinquant'anni fa. E in realtà un angelo, o qualche cosa di simile, m'apparve. Posso pregarla di descrivere con precisione la scena?

L’Angelo                      - (soavemente, contenutissimo nei gesti) Volentieri. Lei s'era arrampicato, ricorda?, su un albero di mele, e stava sporgendosi, aggrappato con una mano a un ramo, per porre l'altra sul frutto più bello e più grosso, quand'io le apparvi venendo giù dalla collina, ricorda? (Rossi fa di sì col capo) Mi fermai ai piedi dell'albero, e le feci un gesto...

L'Ispettore                    - Vuol ripetere il gesto con tutta precisione?

L’Angelo                      - (gentilmente) Volentieri... e le feci un gesto, così (ripete il gesto levando l'indice della mano destra e portandola, lateralmente, all'altezza dell'occhio) con la mano, per ammonirla a non ap­propriarsi ciò che, pur solo una mela, era d'altri. Lei rimase così (imita l'atteggiamento del bambino) tra stupito e intimorito, ma più stupito, poiché i bambini non s'intimoriscono alla vista degli angeli, come invece fanno gli uomini. Era una bella mattina d'autunno, molto somigliante, pel tepore dell'aria e pei colori vivi, a una di primavera.

Rossi                             - Perfino questo, ricorda?

L’Angelo                      - (annuendo) Lei s'accinse a discendere. Allora io disparvi senza risalir la collina.

Rossi                             - (commosso, persuaso) Ma io poi...

L’Angelo                      - (sorridendo) Lo so. Lei poi rubò ugualmente la frutta guardandosi continuamente intorno per il timore ch'io riapparissi. Ma non riap­parvi. Né più riapparvi a lei durante il lungo corso della sua vita e della sua carriera, ritenendo inutile ogni nuovo e più grave ammonimento.

Rossi                             - (abbassando il capo, mentre fra i presenti va radicandosi ormai la convinzione che l'arrestato sia un angelo) Ispettore, ora non soltanto posso, ma « debbo » dire che costui è l'Angelo.

L'Ispettore                    - Ha riflettuto bene, commendatore, all'importanza e alla gravità d'una simile affer­mazione?

Rossi                             - (solennemente) Ogni ulteriore riflessione non potrebbe portarmi che a una più solida e sicura conferma della natura angelica di costui. Lo scarceri, ispettore. Lei ha arrestato un angelo! (Pausa) E io ho paura! (Si scosta di qualche passo. Anche i presenti, intimoriti, si scostano. Dalla folla che ha udito distintamente queste ultime parole pronunciate ad alta voce, parte un alto mormorio d'entusiasmo).

L'Ispettore                    - (garbatamente) Mi scuserà, com­mendatore, se la mia qualità d'ispettore di polizia mi costringe, prima d'arrendermi all'evidenza, a cercare altre prove oltre questa, che pur mi sembra decisiva. Mi son permesso di convocare qui in casa sua l'illustre professor Pandolfi, un concittadino che ci fa onore, dotto anche in teologia. Egli muoverà al presunto angelo quelle domande tecniche e spe­cifiche che noi non siamo in grado di formulare. Una soddisfacente e precisa risposta alle quali ci darà la prova irrefutabile della natura angelica (rivolgendosi rispettosamente all'Angelo) del signore qui presente.

Un Domestico               - (entrando) Il professor Pandolfi. (All'apparire del professor Pandolfi, tutti salutano rispettosamente. È un decoroso, venerabile vecchio dalla lunga barba bianca, spirante da tutti i pori aria professorale. Riceve gli omaggi e i saluti con la suffi­cienza, se pur piena di garbo, di chi è convinto di meri­tare molto di pia. Indossa un lungo soprabito nero. Ha i capelli bianchi precisamente divisi nel mezzo, porta gli occhiali. Voce grave, pacata, ma senza sfu­matura d'indulgenza).

Pandolfi                        - Dov'è colui che si dice un angelo! (Gli viene indicato e lo squadra a lungo, poi si siede su una poltrona davanti a un piccolo tavolo. Si toglie gli occhiali, li pulisce con l'apposita pezzuola, li rinforca, poi, nel silenzio generale, all'Angelo) S'accomodi. (L'ispettore spinge l'Angelo dinanzi al tavolo. Il pro­fessor Pandolfi si frega le mani, riflette, poi) Angelo. Sa dirmi l'etimologia della parola angelo?

L’Angelo                      - (prontamente e senza incertezze) Viene dal greco αγγελοϭ che significa nunzio, araldo, ministro. E precisamente noi, esseri sovrumani in­termediari fra il cielo e la terra, siamo i ministri di cui Dio (si inchina nel pronunciare questa parola) si serve per annunciare agli uomini e per far eseguire sulla terra la sua volontà.

Pandolfi                        - (all'ispettore che lo interroga con lo sguardo) Meglio non avrebbe potuto rispondere. (Tor­nando all'Angelo) Andiamo avanti. (Gli punta il dito contro come fanno i professori quando vogliono far intendere che la domanda sarà difficile) Lei, a quale gerarchia d'angeli appartiene?

L’Angelo                      - (prontamente, quasi mettendosi sull'at­tenti, come i militari cui viene chiesto a quale forma­zione appartengono) Terza gerarchia, terzo coro, quindicesima compagnia.

Pandolfi                        - (approva stupito e guarda più volte l'ispettore. All'Angelo) Vuol ripetermi, nell'ordine, le suddivisioni in cori delle tre gerarchie?

L'Angelo                       - Prima gerarchia: comprende i cori dei Serafini, dei Cherubini, dei Troni. Seconda ge­rarchia: comprende Dominazioni, Virtù, Potenze. Terza gerarchia: comprende Principati, Arcangeli, Angeli. Ed è appunto al coro degli Angeli ch'io mi onoro di appartenere.

Pandolfi                        - E qual è l'ufficio del Coro degli Angeli?

L’Angelo                      - (sempre con la medesima prontezza) D'annunziare i voleri e le promesse di Dio. Di per­lustrare la terra e d'informarsi della condotta soprat­tutto morale e religiosa degli uomini. Di metterli alla prova e accusarli al tribunale divino se convinti o sospetti di colpa. (Si volge e fissa a lungo il commendator Rossi che non sostiene lo sguardo) Di assi­stere i buoni e i devoti. Ma a costoro provvede una categoria a parte, non ufficialmente riconosciuta, ch'è quella degli angeli custodi.

Pandolfi                        - Lei è un angelo perlustratore?

L'Angelo                       - Sì, sono un angelo perlustratore.

Pandolfi                        - Avete un comandante generale?

L'Angelo                       - Lo abbiamo.

Pandolfi                        - A chi si manifestò questo comandante generale?

L'Angelo                       - A Giosuè, sulla via di Gerico. (II professore fa continui ammirati cenni d'assenso) « Giosuè alzò gli occhi e riguardò, ed ecco, un uomo stava ritto davanti a lui, il quale aveva la sua spada in mano. E Giosuè andò a lui e gli disse: Sei tu dei nostri, ovvero dei nostri nemici? E l'uomo disse: No; anzi, io sono il « Capo dell'esercito del Signore ». (Ammirazione del professore, sensazione fra i presenti).

Evelina                          - (a Pandolfi) Gli domandi perché è senz'ali e in borghese.

Pandolfi                        - Ha sentito la domanda della contessa?

L'Angelo                       - « Giosuè alzò gli occhi e riguardò, ed ecco, « un uomo » stava ritto davanti a lui... ». Un uomo, contessa. Spesso gli angeli prendono parvenza umana quando scendono fra gli uomini. E indossano le vesti dell'epoca.

Pandolfi                        - Lei che età ha?

L'Angelo                       - Sono stato creato insieme al cielo e alla terra.

Pandolfi                        - (approvando) È vero. Lo si può leg­gere in Sant'Agostino. (All'Angelo) E mi dica (stia attento è una domanda difficile): non contraddice alla sua evidente corporeità la sua natura angelica e perciò spirituale?

L'Angelo                       - Noi partecipiamo del cielo e della terra, professore. Del resto, lei sa meglio di me che pur insistendo sulla loro differenza dagli uomini, i Padri orientali erano tutti d'accordo sulla corpo­reità degli angeli.

Pandolfi                        - Benché i Padri occidentali...

L'Angelo                       - Mi perdoni, professore, ma i Padri occidentali, ammettendo, come fanno, una corpo­reità « sui generis » affermano, in sostanza, la mede­sima cosa. « Nisi est incorporeum nisi quod non est » dice Tertulliano; e lo stesso San Tommaso, che pur sostiene la immaterialità degli angeli, è costretto ad ammettere delle « forme sussistenti ».

Pandolfi                        - Lei è apparso altre volte ad altre persone oltre che al commendator Rossi?

L'Angelo                       - Innumerevoli volte, ad innumere­voli persone. Sono io l'angelo che apparve al profeta Zaccaria, io che annunciai ad Abramo la nascita di Isacco; io che avvertii Lot di allontanarsi in tutta fretta da Sòdoma; io che lottai con Giacobbe, per tentarlo; io che, prendendo l'aspetto d'una fiamma in mezzo a un pruneto, mi mostrai a Mosè; io che ai piedi d'una quercia apparvi a Gedeone.

Pandolfi                        - (come chi fa l'ultima e decisiva domanda) Bene. E Gedeone che cosa stava facendo?

L’Angelo                      - (con estrema sicurezza) Stava maci­ nando il grano nel torchio.

Pandolfi                        - (levandosi in piedi di scatto, a gran voce) Ispettore, non ci sono più dubbi. È un angelo. Mi assumo tutta la responsabilità dell'affermazione. Le lascerò una dichiarazione scritta. (Dalla folla raccolta nel giardino si leva un grido d'entusiasmo. L'ispettore, commosso, stringe la mano all'Angelo, congratulandosi ).

L'Ispettore                    - Lei è libero. E non so come farmi perdonare...

L’Angelo                      - (sorridendo) Lei ha fatto il suo dovere, ispettore. Avevo, ed ho, l'aspetto più di ladruncolo che d'angelo. (Sollevando Evelina che gli s'è gettata ai piedi) E lei non stia in ginocchio, contessa. (Ve­dendo che altri accennano ad inginocchiarsi) Nessuno deve stare in ginocchio davanti a me. (A Pandolfi) Tanto meno lei, professore, di cui conosco la retta ed integra vita, solamente offuscata, forse, (sorri­dendo) da una punta di presunzione. (Il professore abbassa il capo, l'Angelo gli accarezza dolcemente i capelli bianchi) Apparso in veste d'uomo, io vi prego di considerarmi uomo fra gli uomini... (Vedendo che tutti si scostano da lui impauriti, e vorrebbero sparir sottoterra) E non dovete aver paura di me. Gedeone ebbe forse paura di me, quando gli apparvi?

Rossi                             - (pallido) Ma Gedeone aveva la coscienza pulita. Non aveva speculato nei cotoni.

L’Angelo                      - (amichevolmente) Io non son qui solo per condannare. Anche per rimettere il peccatore sulla retta via, e perdonare. (Indicando dalle parte del giardino) Guardate i poveri, fuori, in giardino. Nessun timore. Nulla, anzi, li rallegra quanto la mia venuta.

Rossi                             - (c. s.) Non hanno niente da farsi perdonare.

Margherita                    - (facendosi avanti) Io ho avuto rapporti col commendatore Rossi.

Adriana                         - (c. s.) Io li ho avuti col commendator Marini!

L’Angelo                      - (imponendo il silenzio e allontanando Letizia che anche essa è sul punto di dir qualcosa) A più tardi, signori, le confessioni. (Guardando verso Rossi la cui paura è ancora pia evidente che quella degli altri) Ora io debbo ringraziare il padrone di casa per la sua preziosa testimonianza - oh, non ha rinnegato l'angelo che gli apparve quand'era bam­bino! - e per la generosa ospitalità (gli s'avvicina pian piano e gli pone sorridendo una mano sulla spalla) che concede a me e alla povera gente che aspetta nel giardino.

Rossi                             - (gridando, pieno d'enfasi) Ma natural­mente! Chi più di me ama i poveri? Non abbiamo fatto noi, qui, un brindisi, prima che lei arrivasse, in onore dei poveri, e rivolto ad essi un affettuoso pensiero di commossa solidarietà? Chi più di me si preoccupa di dar lavoro ai disoccupati? (Avanzando verso la vetrata) Avanti, avanti, brava gente, bravi lavoratori, prossimo mio adorato! Avanti, avanti, fratelli in Cristo! (E ogni tanto si volge a guardar l'angelo per vedere se approva) Vi darò il lavoro cui avete diritto, la mercede che meritate, il benessere che solo l'ingiustizia sociale fino ad ora vi ha negato. E per questa notte siete miei ospiti, la mia tavola v'aspetta... avanti, avanti... (sempre guardando ogni tanto l'Angelo, mentre il gruppo dei poveri entra timi­damente, come trasognato, nella sala) ...ch'io abbracci almeno qualcuno di voi. (All'Angelo) Mi permettete d'abbracciarne qualcuno? Mi piace tanto di abbrac­ciare i poveri. Spesso passo gli interi pomeriggi, ad abbracciarli... (Ne abbraccia qualcuno)... Non posso abbracciarvi tutti, ma vi ho tutti qui, nel mio cuore... (Alla moglie) Adriana, abbracciane anche tu qualcuno. (Adriana ne abbraccia uno dalla lunga barba che si profonde in inchini) Sigari! Volete dei sigari? Giu­seppe! (Al domestico). Giuseppe. Dei sigari per il pro­letariato! (Giuseppe viene avanti con la scatola dei sigari. Rossi ne distribuisce a tutti, mentre Marini e gli altri premurosamente offrono il fuoco).

Una Donna                   - (a Rossi che ha offerto un sigaro anche al suo bambino) Signore, ha poco più di otto anni e non fuma ancora sigari.

Rossi                             - Se non fuma mi offendo! (Glielo accende, e il bambino manda grandi boccate. Rossi, all'Angelo) Ha visto come tratto i poveri? (Di nuovo, ai poveri) Siete miei ospiti. Mangiate, bevete, correte per le stanze, dormite sui nostri letti, indossate le pellicce di mia moglie. (Ai camerieri) Voi apparecchiate le tavole. (I camerieri aggiungono vivande sulla tavola ancora imbandita) E voi (rivolto agli amici e ai parenti) servite questi miei ospiti, umilmente, fraternamente, perché siamo tutti uguali al cospetto di Dio di cui questo signore,           (indicando l'Angelo) mio amico, è il rappresentante. Chi si esalta sarà umiliato, ma chi si umilia sarà esaltato. (All'Angelo, della cui approva­zione è avido) Non è così?

L’Angelo                      - (sorridendo) È così. Ma ora lasciate che i poveri vengano a me. (Stende loro affettuosa­mente le braccia. I poveri, dapprima un poco incerti, anziché avanzare verso di lui si precipitano verso la tavola che i camerieri hanno terminato d'imbandire sontuosamente).

Rossi                             - (li segue premurosamente invitando gli amici e i parenti a servirli, ciò che essi eseguono con zelo. Poi tornando verso l'Angelo, ch'è mortificato) Ha visto come fanno? (Scorgendo, rimasta presso la vetrata, Franca sorvegliata da un agente) Chi è quella donna?

L'Ispettore                    - (desolato) Commendatore, la prego di scusarmi. Venendo qui da lei con l'Angelo, i miei agenti hanno fermato una donna di facili costumi, una venere vagante. Non potendo lasciarla, mi son permesso di condurla qui e di farla rimanere presso la vetrata sotto la vigilanza dei miei agenti. Come vede, per non recare offesa alla casa, è più nel giardino che nella sala. Voglia ancora perdonarmi. Tra poco la condurremo in camera di sicurezza.

Rossi                             - (sempre in preda all'eccitamento, guardando verso l'Angelo) Come si chiama?

L'Ispettore                    - Franca.

Rossi                             - (all'Angelo) Guardi come mi comporto io con queste sventurate la cui sciagurata professione è più da imputarsi alla miseria che al vizio. (Aprendo le braccia) Franca, sorella mia, qui sul mio petto. Mia ospite anche tu! (Poi che la donna non si muove, va a lei e trascinandola, timida e riluttante, per un braccio, la porta al centro della scena. Adriana, Mar­gherita, Anna, Giulio, che hanno visto e udito, lasciano di servire i nuovi ospiti, e accorrono allarmati. Giulio è indignato).

Marini                           - Filippo, questo non te lo posso per­mettere! Introdurre una donna simile in una casa dov'è tua moglie, dov'è tua figlia, dov'è la promessa sposa         - (indicando Anna) di mio figlio! (Si appella con lo sguardo ai presenti, i quali anch'essi disapprovano).

Rossi                             - (avvicinandosi confidenzialmente all'Angelo, verso il quale ha perduto ogni timore, e indicando Marini) Glielo dica lei a questo cattivo uomo che forse l'ha dimenticato, in qual maniera il Signore accolse la Maddalena, la peccatrice da cui tutti rifuggivano con orrore. (Rivolgendosi con decisione ai parenti) Ora io vi dico che sino a che l'Angelo rimarrà ospite sotto il mio tetto.... (Pausa... All'Angelo) Lei si trattiene molto sulla terra?

L’Angelo                      - (sorridendo) Può essere un'ora, può essere un giorno, possono essere sei mesi. Non lo so.

Rossi                             - (cordiale) Si ricordi che più si trattiene e più mi fa piacere. (Tornando ai parenti e ripren­dendo il suo tono autoritario) Fino a che l'Angelo rimarrà in questa casa e anche dopo che l'Angelo se ne sarà andato... (all'angelo, sorridendo)... - ma con la promessa di tornare, non è vero? - in questa casa rimarrà mia sorella Franca, ch'è anche (rivol­gendosi alla moglie e alle amiche) la vostra sorella. (A Franca che tenta d'allontanarsi) No, Franca, tu devi rimanere. (All'Angelo) Non è vero che non deve andarsene? Glielo dica lei.

L’Angelo                      - (a Franca dolcemente, guardandola negli occhi, mentr'ella U abbassa) Ti dico, Franca, che tu puoi rimanere.

Rossi                             - Anna, conducila nella tua stanza e rive­stila d'uno dei tuoi migliori abiti.

Anna                             - (ironica) Avrà bisogno, prima, di un bagno.

Santucci                        - (di rincalzo) AI corpo e all'anima.

Rossi                             - (all'Angelo, prendendo Santucci per un orec­chio) Non gli dia retta a questo scioccone. (A Santucci) Non giudicare, se non vuoi essere giudicato. (All'Angelo) Non è così? (Ad Anna) Va e fa quel che ti ho detto.

Anna                             - (e Franca escono. Prima di uscire, Franca guarda a lungo l'Angelo, il quale ricambia lo sguardo).

 Rossi                            - (all'Angelo ) Ha visto di che cosa sono capace? Lo riferirà, spero, lassù, quando farà il suo rapporto. (Al domestico) Giuseppe, (indicando l'An­gelo) provvedi il signore di tutto quanto gli occorre in fatto d'abiti, e assegnagli la più bella stanza.

Giuseppe                       - Ai suoi ordini, signor... (S'arresta, non sapendo come chiamarlo).

L’Angelo                      - (sorridendo e toccandogli la mano sulla spalla) Chiamami semplicemente angelo. Non c'è altro modo di chiamarmi. Non ho un nome.

Giuseppe                       - (cut sembra poco) Non so... Dottore... Cavaliere...

L’Angelo                      - (c. s.) No, basta angelo. Non ti sem­bra abbastanza?

Rossi                             - Voglia scusarlo. Qui in terra c'è l'abi­tudine di dare un titolo a tutti. Sono di quelli che potrebbero meritare rispetto col solo nome e il solo cognome. (Pausa) Ha visto? Tutta una nuova vita. Solidarietà umana, giustizia sociale, assistenza alla vecchiaia, alleanza fra capitale e lavoro, redenzione della gioventù traviata. (Allegramente, prendendo sempre più coraggio) Dica la verità: lei credeva di trovare sulla terra tutti egoisti, tutti malvagi. (Indicando il Cielo) C'è troppo pessimismo lassù, caro il mio Angelo. Dovrà dire lassù, al suo ritorno, che ha tro­vato quaggiù tesori di bontà, miniere di generosità, e che la classe dirigente non è poi così brutta come la si dipinge. (Chiamando Marini) Non è vero Marini?

Marini                           - (avvicinandosi, all'Angelo) Vedrà che anch'io...

L'Angelo                       - Ha un cotonificio anche lei?

Marini                           - (stupito) Come lo sa?

L’Angelo                      - (alludendo al benessere che spira da tutta la sua persona) Si vede.

Rossi                             - (chiama) Santucci! (Santucci s'avvicina. Rossi lo presenta all'Angelo) Carlo Santucci, il più ricco gioielliere della zona. (Santucci s'inchina).

L’Angelo                      - (a Santucci, che va nascondendosi per sfuggire agli sguardi dell'Angelo) Santucci, lei già non mi conosce più? Avrei voluto citar anche lei come testimone, e recentissimo; ma ho voluto rispar­miarle il confronto, assai più penoso per lei che non per il commendator Rossi sorpreso, in fondo, a nient'altro che a rubar delle mele su un albero. Io le sono apparso questa mattina, ricorda?, nel suo negozio, mentre comprava per quattro soldi le me­daglie da un vecchio colonnello. (Santucci abbassa il capo) E l'ho ammonita col dito (ripete il gesto ch'è il medesimo fatto al Rossi bambino) o a non comprarle o a pagarle in modo che compensassero almeno in parte il sacrificio del poveretto.

Rossi                             - Il colonnello Bertini! Ma non era fra questa gente?

L'Ispettore                    - (esce in giardino e riappare dal buio tenendo sotto braccio il vecchio colonnello Bertini. Un vecchino pallido e magro, vestito di scuro, decoroso, nonostante la palese miseria. Viene avanti con passo incerto, abbagliato da tanto luce).

Rossi                             - Colonnello, ma lei doveva entrar con gli altri, accomodarsi a tavola. (Il colonnello guarda verso la tavola dove i poveri vanno tuttavia ingozzan­dosi, poi riporta lo sguardo, pieno di dignità, sul commendator Rossi; e, ostentatamente allacciandosi i modesti guanti di lana nera) Vede, commendatore, sono povero anch'io, e forse più di loro, ma... (Rossi comprende la lezione, è imbarazzato).

L'Angelo                       - Santucci. (Santucci s'avvicina) Le ha qui le medaglie? (Tutti, tranne i poveri, si dispon­gono in semicerchio intorno al vecchio colonnello come per una cerimonia militare. Santucci trae da un sac­chetto le medaglie, che sono due, una d'oro e una d'ar­gento, le consegna all'Angelo che s'avvicina al colon­nello e gliele appunta sul petto. Il colonnello, commosso, vorrebbe restituirle, non avendole ricomprate. L'Angelo gli pone una mano, sulla spalla) Colonnello, non abbia scrupoli. E poi da me si può accettar tutto senza venir meno al decoro! (Pausa) Io sono l'« Angelo ».

Fine del primo tempo

ATTO SECONDO

La scena rappresenta il giardino che nel primo atto era di là della vetrata, immerso nel buio. Questa volta nel fondo si vedrà, invece, la facciata della villa con la grande vetrata, aperta..

 (Alberi, un tavolo, sedie di vimini. È una bella gior­nata di sole. Dal ramo di un albero pende un'altalena seduto sulla quale è uno. straccione incoronato di fiori. Fuma la pipa. Seduta poco distante, Evelina sferruzza. Un grosso gomitolo di lana è ai suoi piedi. Adriana sta adornando di fiori il tavolo).

Lo Straccione                - (dopo un lungo silenzio, cavan­dosi di bocca la pipa) Ehi, voi. Dondolatemi.

Adriana                         - Dice a me?

Lo Straccione                - Non a voi. M'avete dondolato abbastanza. Sarete stanca. Dico alla vecchia.

Evelina                          - (risentita) Dice a me forse?

Lo Straccione                - Non credevo che rivolgersi a una vecchia in un enorme giardino dove non esistono altre vecchie che voi, potesse dar luogo a dubbi. Dico a voi. Dondolatemi.

Evelina                          - (levandosi di scatto, ad Adriana) Questi poveri! Guai a conceder loro un dito! (Guar­dando rabbiosamente verso la villa) Eh, se non ci fosse l'Angelo! (Allo straccione, di malavoglia ma sottomessa) Vengo. (S'avvicina all'altalena, e comincia a spingere lo straccione. Ma costui è pesante, e la vecchia contessa, per quanto si sforzi, non riesce a spostarlo che di poco).

Lo Straccione                - Non così, basta. Non siete buona a nulla. Ci sono delle donne che alla vostra età portano ancora sulla spalle un quintale di legna. E delle lavandaie molto più vecchie di voi che lavano ancora intere montagne di biancheria. Le avete mai viste, sulle rive dei fiumi?

Evelina                          - Io non vado mai sulle rive dei fiumi a veder lavare le lavandaie.

Lo Straccione                - Male. Dovreste andarci. Un giorno vi ci condurrò. (Scende dall'altalena, mentre Evelina torna alla sua sedia, e riprende a sferruzzare. Lo straccione le si avvicina) Che cosa fate di bello? (Prende un lavoro a maglia e lo osserva curiosamente).

Evelina                          - (strappandogli dalle mani il lavoro) Date qua. (Pausa) Sono cuffiette per i cherubini.

Lo Straccione                - Cuffiette per i cherubini?

                                      - (Ridendo) Per quegli affarini con due alette e la sola testa, senza corpo?

Evelina                          - Parla bene, con rispetto. Sono piccoli angeli.

Lo Straccione                - E che cosa volete che se ne facciano, i cherubini, delle vostre cuffiette? (Seria­mente) Un giorno vi condurrò sulla riva del fiume a vedere le lavandaie.

Anna                             - (uscendo dalla villa, allo straccione) Se volete accomodarvi... Il pranzo è pronto.

Lo Straccione                - (battendo la mano sulla spalla di Evelina) E un altro giorno mi permetterò di chie­dervi una risposta alla seguente garbata domanda: «Che cosa ci state a fare, al mondo, voi? ». (S'avvia verso la villa, esce).

Anna                             - (ad Evelina, ch'è mortificata) Non gli dia ascolto, contessa. Non capiscono nulla.

Evelina                          - Hanno una mentalità rozza e primi­tiva, molto arretrata rispetto alla nostra. A sentir lui, dovrei, alla mia età e nella mia condizione, cari­carmi le spalle di legna. Come se il far cuffiette per i cherubini fosse un lavoro meno utile. Guarda quante ne ho fatte, Anna. (Le mostra le numerose cuffiette già finite).

Anna                             - Lei s'affatica troppo, contessa.

Evelina                          - (seriamente) Anna, io sono ricca, sola, non ho parenti, per amici ho voi che non avete bisogno di nulla. E questo mio profondo, infinito desiderio di far del bene, di non trascorrere la mia vita inutil­mente, debbo pur soddisfarlo. Altrimenti sarei un ramo secco, buono nemmeno per il fuoco. Far del bene, Anna. Ti ricordi di quando facevo gualdrappine per i cani? Ti ricordi di quando cucivo piccoli cappottini per gli uccellini? (Pausa) Tutta una vita spesa per gli altri. (Pausa) Poi è venuto l'Angelo, e s'è aperta una nuova, inaspettata via alla mia mis­sione di bene. Abbiamo parlato spesso, sai, dei che­rubini, di queste povere creaturine che altro non hanno se non un capino in mezzo a due piccole ali, e svolazzano continuamente, di qua e di là, con qualunque tempo. (Tutta preoccupata) Pensa, senza cuffietta! (Pausa) Il Signore, certo, preso com'è da tante cose, non può pensare a tutto. E l'Angelo ha trovato molto buona la mia iniziativa. Abbiamo formato un comitato, molte mie amiche lavorano anch'esse intorno alle cuffiette, e contiamo, il giorno in cui l'Angelo tornerà su, di potergliene consegnare un migliaio. Simpatico giovane, quell'angelo!

Anna                             - (di tutt'altro parere) Sta conducendo alla rovina mio padre.

Evelina                          - Tuo padre, Anna? Ci vogliono altro che angeli per condurre alla rovina un cotoniere.

Anna                             - Temo che ci riuscirà, purtroppo. Ha dato il colpo di grazia all'industria. Mio padre va regalando azioni di qua e di là, ha assunto tutti i disoccupati della zona, ha raddoppiato le paghe, vende a prezzi bassissimi, e ogni giorno li diminuisce in concorrenza con gli altri che da quando è venuto l'Angelo fanno a chi si mostra più generoso e a chi più va incontro al popolo.

Evelina                          - Tu non conosci tuo padre. Sono sicura che troverà la maniera di trarre un utile anche dalla venuta dell'angelo.

Anna                             - No. Ha cambiato vita. Non vede che l'angelo, non frequenta che l'angelo, lo segue docile e servizievole come un cagnolino. Ne è entusiasta. (Pausa) È giunto al punto di propormi un fidanza­mento con l'Angelo.

Evelina                          - (battendo le mani) L'avrei giurato! Ragazza mia, in questo progetto c'è tutto tuo padre. (Pausa) Ma è naturale! L'Angelo non rimarrà qui in eterno, un giorno o l'altro dovrà pur tornare lassù... Ora, è chiaro, che, partito che sia l'Angelo, tuo padre non tarderà a riprendere la vita di un tempo, ma avrà un parente lassù, un preziosissimo parente che gli permetterà di fare qualsiasi cosa, anche di affa­mare l'intera zona, senza più il pericolo di perdere il posto in paradiso. Tuo padre, ragazza mia, è un uomo con la testa sulle spalle. È un industriale che si lavora anche gli angeli. (Pausa) Piuttosto, Anna, tu sei già fidanzata con Giulio, e ti dispiacerà di venir meno alla promessa.

Anna                             - (alzando le spalle) Che cosa vuole che mi dispiaccia? Io è Giulio non ci amiamo. Lei sa meglio di me che il nostro sarebbe stato un matrimonio d'interesse, non tanto fra me e Giulio quanto fra il Cotonificio di mio padre e quello del commendator Marini. Ed ora, che le due aziende vanno diritte incontro al fallimento, di questo matrimonio non si parla più.

Evelina                          - (affettuosamente, dopo una pausa) Provi simpatia per l'Angelo?

Anna                             - (annoiata) Già. Me l'ha chiesto anche mio padre. (Pausa) Ma che cosa potrebbe mai provare una ragazza, nei confronti di un angelo, all'infuori di un senso di rispetto, anzi di venerazione?

Evelina                          - (insinuante) È pur un simpatico giovine.

Anna                             - Ma di natura tutta spirituale, esclusi­vamente spirituale.

Evelina                          - (dubbiosa) Mah!

Anna                             - (meravigliata) Come ma?

Evelina                          - Angeli moderni, figliuola mia. Angeli moderni! (Pausa) Tuo padre ha l'occhio clinico: se gli sta sempre intorno, se lo segue come un cagnolino, vuol dire che ha scoperto i suoi lati deboli e riuscirà a farne uno strumento dei propri interessi. (Sicura) Quello, figliuola mia, cascato com'è nelle mani di tuo padre, è un angelo che non rivede il cielo, te lo dico io! (Pausa) Quanto poi, alla sua natura esclu­sivamente spirituale, permettimi di avere i miei dubbi. (A bassa voce) Non ti sei accorta di come spesso e volentieri s'intrattenga con quella... con quella ragazza... come si chiama?

Anna                             - Franca.

Evelina                          - Franca. Bella compagnia per un angelo! (Pausa) Io, è la prima volta che vedo degli angeli, ma ti confesso che me li figuravo in ben altra maniera. In compagnia d'alti prelati, di vecchie signore, di personalità della politica e della scienza, parlare, non so, di problemi morali, descrivere gli usi e i costumi del cielo, rievocare episodi vissuti della Bibbia... Questo, invece, appena può rimaner solo con Franca...

Anna                             - Ma s'è redenta!

Evelina                          - E tu credi alla redenzione di quelle ragazzacce? Sei troppo ingenua! (Pausa) Eh, non son più gli angeli d'una volta... Angeli del dopoguerra, mia cara!

L’Angelo                      - (appare, uscendo dalla vetrata) Si può salutare la nonnina dei cherubini?

Evelina                          - (levandosi in piedi, mentre anche Anna saluta per poi allontanarsi ed uscire) Salute all'Angelo. Vuol vedere il mio lavoro?

L'Angelo                       - Come vanno le cuffiette?

Evelina                          - Ne ho già fatte più di cento. (Mostran­dogliene una) Vede? Si allacciano sotto il mento, e hanno ai lati le aperture per le ali.

L’Angelo                      - (gentilmente) Sono davvero graziose, contessa, ed eviteranno ai cherubini quei noiosi raffreddori che talvolta durano tutto l'inverno. Il suo gentile pensiero verrà molto apprezzato lassù. Si segga, contessa. (Evelina toma a sedere) Buon­giorno, Rossi. (Rossi entra spingendo una carrozzina nella quale è seduto un uomo vecchissimo).

Rossi                             - (compunto) Salute all'Angelo ! Vede? Mi sono alzato di buon mattino per portare a spasso questo vecchio lavoratore già addetto alle antiche filande di mio padre. (Indicandolo) Bel vecchio. Mi piace immensamente portare a spasso, di buon mat­tino, i vecchi operai. Ha trovato dei fiori sulla soglia della stanza?

L'Angelo                       - Ne trovo tutte le mattine, com­mendatore.

Rossi                             - Sa chi è che ve li depone?

L'Angelo                       - (sorridendo) Lei, Rossi?

Rossi                             - (chinando, modestamente, il capo) Sì. (Pausa) Anche i cotonieri hanno un cuore. (Pausa) Un pensiero gentile, un omaggio devoto. Le dispiace?

L'Angelo                       - No. Anzi. (Pausa) Noi dovevamo parlare, commendatore. Gli altri dove sono?

Rossi                             - Son qui. (Entrano Marini, Santucci, Ferretti, Adriana, Margherita, Letizia, Franca).

Tutti                              - (meno Franca, compuntamente) Salute all'Angelo.

L'Angelo                       - Salute a voi. Buongiorno Franca. (Franca china il capo).

Evelina                          - Loro debbono parlare? Io vado via.

Rossi                             - Le dispiace, contessa, di far continuare la passeggiata a questo simpaticissimo antico operaio di mio padre?

Evelina                          - Oh, volentieri! (Comincia a spingere la carrozzina, mentre lo straccione della prima scena rientra e torna sull'altalena).

Lo Straccione                - Chi mi dondola? (Ad Evelina che gli passa accanto spingendo la carrozzina) Oh, non voi. (Evelina, impettita, esce).

Rossi                             - Fallo dondolare tu, Adriana. (Adriana, zelantissima, s'accosta allo straccione e spinge l'altalena).

L’Angelo                      - (gravemente) Signori, una per una io ho ricevuto tutte le loro confessioni circa i loro complicati rapporti di natura, diciamo così, intima...

Rossi                             - E fatte sinceramente, pienamente, come appunto ci si confessa agli angeli.

L’Angelo                      - (annuendo) Sì. Ma senza pentimento, senza rimorso. Ora - ed è per questo che sono stato mandato quaggiù in mezzo a loro - io vorrei che loro si rendessero conto del male che hanno fatto.

 Marini                          - Ecco. È questo, appunto, che noi non riusciamo a capire.

Adriana                         - (spingendo l'altalena) D'altra parte siamo qui per capire, per renderci conto. Ci aiuti.

L'Angelo                       - Lei, dunque, signora ha avuto rap­porti col commendator Marini.

Adriana                         - (tranquilla) Sì.

L'Angelo                       - Frequenti, vero?

Adriana                         - Frequentissimi. (Pausa) Le ho già detto, mi pare, che per incarico di mio marito (accenna a Rossi) dovevo indurre il commendator Marini a cedere le azioni della Cotoni e Affini.

L'Angelo                       - Benissimo. Lei, invece, signora Margherita?

Margherita                    - Io, invece, per incarico di mio marito (accenna a Marini, che annuisce) ho avuto rapporti col commendator Rossi per indurlo a disfarsi delle azioni dell'Anonima Cotonifici Riuniti.

L'Angelo                       - Perfettamente. E nello stesso tempo lei era al corrente dei rapporti di suo marito con la signora Adriana.

Margherita                    - Naturalmente.

L’Angelo                      - (ad Adriana) Mentre lei, a sua volta, sapeva...

Adriana                         - Senza dubbio. Qui la morale non c'entra. Si trattava d'una battaglia finanziaria.

L'Angelo                       - Ora vediamo la signora Letizia.

Letizia                           - (guardando Franca) Non pensa che forse sarà bene allontanare la ragazza?

L'Angelo                       - Franca? Penso di sì.

Rossi                             - Franca, ora qui si diranno cose un po' forti. Sarà bene che tu vada.

L'Angelo                       - Vai, Franca. (Franca esce).

Letizia                           - (dopo che Franca è uscita) Io avevo rapporti per incarico di mio marito (accenna a San­tucci) tanto col commendator Rossi quanto col commendator Marini.

Santucci                        - (intervenendo) Sa, per indurli a fare i maggiori acquisti possibili alla nostra gioielleria.

Letizia                           - Una battaglia commerciale.

Santucci                        - Mentre io, a mia volta, avevo rap­porti (accenna ad Adriana) con la signora...

Margherita                    - (pronta) E con me.

L'Angelo                       - Non mi permetterei di metterlo in dubbio.

Adriana                         - (spingendo lo straccione) Li avevamo per incarico dei nostri mariti allo scopo di ottenere forti sconti sul prezzo dei gioielli.

Marini                           - Una battaglia economica.

Santucci                        - Ma non c'era nulla d'immorale.

L’Angelo                      - (accennando a Ferretti) E il signore?

Ferretti                          - No. Io sono qui di passaggio, per veder lei. Traffico in medicinali, e non ho ragione, fino a che i miei amici sono in buona salute, di avere rapporti con le loro mogli. Mi chiamo Arturo Fer­retti. E se ha bisogno di insulina...

L’Angelo                      - (rivolgendosi nuovamente agli altri) Rapporti non extraconiugali, ne avevano?

Rossi                             - (premuroso) In che senso?

L'Angelo                       - Voglio dire: c'erano, fra di loro, ogni tanto, rapporti normali tra moglie e marito?

Marini                           - Mai. Venendo a mancare il movente economico...

 L'Angelo -                    - Vedono... Se io riuscissi, con la mia j venuta in terra, a ripristinare presso le mogli l'antico uso di avere rapporti con i propri mariti, e presso i mariti di averli con le proprie mogli, sarebbe già un enorme, insperato successo. Vorrei che loro comprendessero d'aver male operato.

Santucci                        - Si figuri! Se lei lo vuole, lo compren­diamo senz'altro.

Rossi                             - Bisogna che lei ci spieghi. Noi siamo qui pieni di buona volontà.

Lo Straccione                - Signor Angelo, non creda nemmeno una parola di quello che dicono. Appena lei sarà tornato lassù, ricominceranno peggio di prima. Hanno una paura maledetta dell'inferno, nient'altro.

Santucci                        - (allo straccione) E lei non ha paura!

Lo Straccione                - Io? E di che dovrei aver paura io che sono povero? Mi son forse potuto permettere il lusso di commettere peccati? Ma se Dio vuole, adesso ch'è venuto l'Angelo, tocca a noi commetterli! È il nostro turno. Io ho già rapporti con la guarda­robiera e la cuoca. (All'Angelo che sta per parlare) I E lei non mi dica niente, perché lei è venuto in terra a ricondurre sulla retta via i signori, e non noi che abbiamo cominciato appena adesso a goderci quella sbagliata. E prima di far la morale agli altri, la faccia a se stesso. (Agli altri) Tra lui e quella ragazza ch'è andata via poco fa, non ci vedo chiaro. (All'Angelo) Mi dondoli.

La signora                     - (accennando ad Adriana) è stanca. (Agli altri) Vadano, vadano.

L'Angelo                       - (s'avvicina allo straccione).

Rossi                             - (all'Angelo) Io devo parlarle.

L'Angelo                       - Più tardi. (Escono tutti, tranne  l'Angelo e lo straccione).

Lo Straccione                - Ha visto che gente?

L’Angelo                      - (spingendolo) È un mondo molto brutto.

Lo Straccione                - Lei, se rimane qui, si rovina. Torni su. Mi dispiace vedere un angelo traviarsi,

L'Angelo                       - Devo compiere la mia missione.

Lo Straccione                - Lei finisce male. Torni su. Ci lasci nella convinzione che almeno gli angeli sono persone per bene. (Scende dall'altalena. Confidenzialmente) Una scappatella, eh? (Pausa) È innamorato i della ragazza?

L'Angelo                       - Non è la parola precisa. Le voglio bene. È l'unica che abbia accolto con gioia pura,  disinteressata, la venuta di un angelo. I ricchi mi fanno buon viso per paura, i poveri per tornaconto.

Lo Straccione                - E lei, per tutto premio, s'è vendicato di quella povera ragazza persuadendola  ad abbandonare il mestiere. Quando lei sarà tornato  su, chi le darà da mangiare?

L'Angelo                       - Si sceglierà un lavoro...

Lo Straccione                - (ridendo) Come si vede che lei è un Angelo! (Battendogli una mano sulla spalla) Siete tutti così ingenui, lassù?

Un Domestico               - (entrando) Il barone del Forte con alcuni bambini.

Lo Straccione                - Io vado. Non sopporto la vista dei baroni. Figuriamoci, poi, quando sono in compagnia di bambini. (Esce. Entra il barone del Fort»  seguito da numerosi bambini).

 L'Angelo                      - Il barone del Forte?

Del Forte                       - (inchinandosi) L'Angelo?

L'Angelo                       - In persona. (Accennando ai bambini) I bambini sono suoi?

Del Forte                       - Sono celibe, privo di parenti e vivo solitario in una villa in collina.

L'Angelo                       - Che cosa ha fatto, sinora, per rendersi utile al prossimo?

Del Forte                       - Niente. Ma dopo la sua venuta ho deciso di cambiar vita e conduco appunto con me questi bambini, tutti orfani da me adottati ieri sera davanti a un notaio. Ho fatto un giro per le case popolari. Ora, io venivo da lei per sapere se bastano o se per evitare l'eterno castigo occorra adottarne anche di più. Parli pure francamente, perché, tanto, le mie possibilità sono illimitate. Debbo aggiungerne un paio?

L'Angelo                       - Li raddoppi.

Del Forte                       - Sarà fatto. Ripeterò il giro delle case popolari. Andiamo, ragazzi. (Ne accarezza uno sul capo) Le sembra che li accarezzi con sufficiente affetto, o ritiene indispensabili manifestazioni esteriori più intense? Mi dica francamente, e io seguirò ap­puntino le sue istruzioni.

L'Angelo                       - L'affetto deve essere sincero, spontaneo.

Del Forte                       - Sarà fatto.

L'Angelo                       - Deve considerarli come veramente suoi figli.

Del Forte                       - Non ne ho mai avuti, ma mi farò spiegare. Sarà fatto. Andiamo ragazzi. Salutate l'Angelo.

I Bambini                      - Salute all'Angelo.

Del Forte                       - Mi chiamo Roberto Gustavo del Forte. Se vuol prendere nota. (Saluta, esce).

L'Angelo                       - Non mancherò. Buona fortuna, ragazzi. (Escono) Voglia Iddio che almeno a questi ragazzi mi riesca di fare un po' di bene.

Franca                           - (entrando e avvicinandogli) Ma, a me, lei è riuscito a farne tanto.

L'Angelo                       - Povera Franca. Un bene nient'altro che di parole. Tu, piuttosto, hai fatto del bene a me, dandomi la dolcissima, non sperata gioia di sapere che esiste a questo mondo una persona che la venuta di un angelo può rendere davvero migliore, di là da ogni calcolo, di là da ogni secondo fine.

Franca                           - Lei, per me, gliel'ho detto, non è la prima volta che discende in terra. Lei è ritornato, e son ritornati con lei i miei anni migliori, quando, bambina, senza averne mai visti se non di gesso, a Natale, credevo negli angeli.

L'Angelo                       - E s'io non fossi un angelo, Franca? E se avessi mentito a tutta questa gente, e a te?

Franca                           - Non a me. Per me è la stessa cosa che lei discenda dal cielo, o venga da questa terra. C'è modo, nei riguardi di una povera donna qual'io sono, d'esser di questa terra e di agir come se si discendesse dal cielo. (Sorridendo) Mi capisce? Lei per me è un angelo, in ogni caso. Le prime parole gentili, dopo quelle lontane di mia madre che mi lasciò presto, le ho riudite da lei; la prima carezza, dopo tanti anni, senza cattivi pensieri, è stata la sua. Mi sento nuova, un'altra. I peccati mi stan cadendo di dosso a uno a uno. (Allegramente, ingenua­mente) Sa che stamattina mi son pesata? Ero più leggera di ieri. (In uno slancio) Vorrei diventar tanto leggera da poter, quando lei partirà, aggrap­parmi a lei senza aggiungere nulla di peso al suo spirito, e seguirla in alto...

L’Angelo                      - (accostandosi, teneramente) Questi sono pensieri da bambina.

Franca                           - E non è, vicino a lei, come se fossi tornata indietro di tanti anni? Come se ancora la mia triste vita trascorsa fosse futura? Quasi potessi sfuggire ad essa, quasi potessi salvarmene, vorrei aggiungermi al suo volo, seguirla in alto... (Scon­fortata) Ma lei mi lascerà qui.

L'Angelo                       - Partire con me, significa morire.

Franca                           - (amaramente) Ed è grave peccato desiderar di morire, lo so.

L’Angelo                      - (sfiorandole la fronte) Franca!

Evelina                          - (viene avanti tossicchiando per avvertire della sua presenza. L'Angelo e Franca trasalendo si scostano l’uno dall'altra. Malignamente) Salute all'Angelo. Ma non vorrei disturbare... (all'Angelo) ...ma credo che il commendator Rossi voglia parlarle. (A Franca) Complimenti, signorina Franca: la trovo assai migliorata di cera.. (All'Angelo) Glielo dica lei che la vita virtuosa fa bene. Giova all'anima e al corpo. (Viene avanti il commendator Rossi. Franca, seguita dagli sguardi curiosi e maligni di Evelina, se ne va rapita nell'Angelo. Mentre l'Angelo è voltato dalla parte donde è uscita Franca, Evelina fa a Rossi un comico gesto come per dire che i due stanno già un bel pezzo avanti. E tossicchia nuovamente).

Rossi                             - Salute all'Angelo. (Ad Evelina che, per discrezione, accenna ad allontanarsi) No, no, contessa, rimanga pure. (Si seggono intorno al tavolo. Cerimo­nioso e untuoso, all'Angelo) Sì, devo parlarle, ma mi sento nel più grave degli imbarazzi. Lei non deve credere che la proposta che sto per farle...

L’Angelo                      - (sorridendo) Commendatore, lei mi fa torto. A chi più che a me si può parlar francamente, limpidamente, senza pensieri nascosti?

Rossi                             - Ha ragione. Le parlerò francamente. Si tratta di danaro.

L’Angelo                      - (stupito) Danaro a me?

Rossi                             - Lo sapevo. « Danaro a me? Danaro a un angelo, a un essere tutto spirito che nulla ha di mate­riale? Costui vuol tentarmi, costui è un corruttore, costui vuol farmi accettare danaro per avermi nelle sue mani! ». E io le risponderò: lei sbaglia, lei non mi conosce. (Pausa) Mi scusi: se così fosse, io sarei, nientedimeno, il primo uomo al mondo a credere che anche lassù in cielo, anche là dove tutto è perfezione e virtù, ci siano, che so, anime, enti, spiriti, sensibili a quella povera, miserabile cosa terrena ch'è il danaro. Le pare possibile? No. (Pausa. Si trae di tasca un assegno e lo depone sul tavolo) L'assegno ch'io mi permetto di offrirle, è per pura e semplice benefi­cenza. Prima di rifiutarlo, mi ascolti. (Pausa) A trombe, come stiamo lassù?

L'Angelo                       - A trombe? Non capisco.

Rossi                             - Sì, voglio dire: a trombe d'argento. A furia di suonarle, si consumeranno, no?

L'Angelo                       - Non dico che non si consumino.

Rossi                             - E ad arpe? E a cembali?

L'Angelo                       - Certo è che con i continui concerti che si fanno lassù, l'usura degli strumenti è note­volissima.

Rossi                             - Ha capito, ora, perché mi permetto di offrirle questo assegno? Per abbellimenti celesti, per acquisto di nuove arpe, di nuove trombe, per costru­zione di nuovi baldacchini... e poi non sono io che debbo suggerirle queste cose, perché lei conosce assai meglio di me l'ambiente e sa quello che serve e quello che non serve.

L’Angelo                      - (pieno di gratitudine) Lei è un bene­fattore!

Rossi                             - Per carità, non diciamo parole grosse. Io non sono che un pover'uomo che se può fare qualche cosa per il cielo è lietissimo di farlo. Questo è l'as­segno, mi dica lei la cifra. Tre milioni va bene? Se non va bene tre, quattro, cinque, per me è lo stesso.

L'Angelo                       - Commendatore, lei è così buono, così generoso, che le farei torto se anziché cinque gliene chiedessi solo tre o quattro.

Rossi                             - Benissimo, allora. Cinque. E al nome di chi, se lei non ha nome?

L'Angelo                       - Di Franca.

Rossi                             - (guarda Evelina, che approva).

L'Angelo                       - Franca Ridolfi.

Rossi                             - (riempie e firma) Per trombe e per arpe.

L'Angelo                       - Il gesto sarà molto apprezzato lassù.

Rossi                             - Per carità, niente nomi. Lo deve sapere lei, e basta. La vera carità è anonima. E se invece che in trombe, lei crede opportuno spendere il danaro in altre cose, è padronissimo di farlo. Non mi deve render conto di nulla. Mi capisce, non è vero? Di nulla!

L'Angelo                       - Commendatore, ringraziarla sarebbe inutile. (Si alza) Vado a riporlo in luogo sicuro.

Rossi                             - Vada, vada. E più tardi avrò un'altra cosa da dirle. O forse gliela farò dire. Non so. (L'An­gelo, allontanandosi, saluta, mentre Rossi ed Evelina contraccambiano) Salute all'Angelo. (Rossi ad Evelina) Lei è stata testimone. -

Evelina                          - Commendatore, non la riconosco più. Con quell'angelo lì, glielo dico io, bastava un mi­lione. Purché non vadano a finire nelle mani di Franca...

Rossi                             - Per me è indifferente. Ora appunto di Franca ho bisogno. Mi occorre una ragazza spregiucata, capace di avvicinare l'Angelo e di... Bisogna sapere con sicurezza, insomma, prima di fargli la proposta.

Evelina                          - La questione del sesso degli angeli, difatti, è molto dibattuta.

Rossi                             - E nessuno l'ha mai risolta. Per gli stessi padri orientali, pur acutissimi, è rimasta sempre un mistero.

Evelina                          - (a voce bassa) Franca sta ora venendo avanti credendo che ancora ci sia l'Angelo. Se riu­scissimo a strapparle la confessione di eventuali suoi rapporti con l'Angelo avremmo la prova di ciò che i padri orientali non son mai riusciti a risolvere. (Entra Franca).

Rossi                             - Parlavamo di lei, Franca. Lei è in confi­denza con l'Angelo?

 Franca                          - Confidenza sarebbe dir troppo. Mi onora della sua bontà, ecco tutto.

Evelina                          - Comprendo e apprezzo il suo riserbo, Franca. Lei ora ha cambiato vita, e conseguentemente il suo linguaggio è divenuto più contenuto, più cauto. Io la seguo da parecchi giorni, cara figliuola, ed osservo con piacere, con commozione codesto suo lodevolissimo mutamento. Questo le fa molto onore, questo le dà diritto a tutta la nostra stima, e alla particolare considerazione del commendatore che mi esprimeva poco fa il suo vivissimo desiderio, come dire?, di giovarle, d'esserle utile...

Franca                           - Oh, io sono piena di gratitudine. Ma non ho bisogno di nulla.

Rossi                             - L'Angelo partirà, mia cara.

Franca                           - Lo so, purtroppo.

Evelina                          - E la sua partenza ti lascerà molto addolorata.

Franca                           - Desolata, signora.

Evelina                          - I vostri rapporti spirituali sono molto' stretti.

Franca                           - Oh sì, signora.

Evelina                          - Intensi. Diciamo: intimi.

Franca                           - Signora, senza di lui io non potrei più vivere.

Evelina                          - (trionfante, a Rossi) Sedotta e abbandonata! (Verso Franca, affettuosamente) Povera Franca! Che cosa t'ha fatto quel mascalzone?

Franca                           - Signora, ma di chi parla?

Rossi                             - Di chi deve parlare? Dell'Angelo.

Franca                           - (con le lagrime agli occhi, scostandosi dagli interlocutori) Dio! ma questo è mostruoso! Parlare così... di un angelo!

Rossi                             - (levandosi in piedi) Ragazza mia, la com. media è durata anche troppo.

Evelina                          - Si sa tutto.

Rossi                             - Sappiamo tutto.

Franca                           - (smarrita) Ma che cosa? (Improvvisamente, Varia si oscura).

Voce dell'Angelo          - Franca! (Entra l'Angelo, lentamente, si ferma in mezzo alla scena. Fuori tra­mestìo e voci. Un po' di attesa, poi, eccitatissimo, entra Marini, seguito da Margherita e Adriana).

Marini                           - Rossi! Rossi! Non è un angelo, è un impostore! (Evelina si leva di scatto. Franca, smarrita, si rifugia in un angolo. Tutti si fanno ai lati dell'An. gèlo, che rimane al centro della scena. Solo Rossi rimane seduto, tranquillissimo).

L’Angelo                      - (pacatamente) Sono un pover'uomo, come tanti, che cercano lavoro e non lo trovano; che bussano a un'infinità di porte, sempre invano, che passano da una speranza all'altra, sempre delusi, Fino a che viene il giorno in cui non si spera più, e rubare non sembra più una colpa. Anzi, forse non è. Ed ero sul punto, per difendere la mia vita, d'appropriarmi ciò che non m'era possibile di onestamente guadagnare, quando appresi, una sera, leggendo un giornale, di somigliare perfettamente all'Angelo che tutti s'aspettano di veder comparire da un momento all'altro. L'avventura mi tentò, mi sorrise l'idea d'entrare accolto come un essere soprannaturale nella medesima casa donde sarei stato cacciato se avessi tentato d'entrarvi dicendo chi veramente ero. Il gioco fu facile. Mi sbarazzai delle carte di riconoscimento, e non faticai molto a farmi arre­stare come vagabondo. Ma gli angeli in questo somi­gliano molto ai vagabondi: che anch'essi sono privi di carte di riconoscimento. La richiesta d'un confronto col commendatore, la persona più importante della città, accrebbe l'attendibilità della mia asserzione; la telefonata dell'ispettore completò la suggestione; ag­giungete ch'io sono, per avventura, una delle poche persone che abbiano letto la Bibbia...

Rossi                             - Le faccio le mie congratulazioni. Ora tutto si spiega. Ma indovinare la scena dell'albero!

L'Angelo                       - Commendatore, qual è il bambino che non si sia una volta arrampicato su un albero per rubar delle mele?

Rossi                             - L'apparizione...

L'Angelo                       - Gli angeli appaiono sempre ai bam­bini.

Rossi                             - La descrizione precisa della giornata: « Era una bella mattina d'autunno, molto somigliante, pel tepore dell'aria e pei vivi colori, a una prima­vera... ».

L'Angelo                       - Le mele maturano d'autunno, com­mendatore, e se la giornata fosse stata piovosa, sua madre l'avrebbe fatto rimanere in casa.

Rossi                             - Ma quel precisare ch'io rubai ugualmente le mele...

L'Angelo                       - Questa era la cosa più facile da indo­vinare. Era il naturale inizio della sua carriera, com­mendatore. (Pausa) Ora capisco fin troppo bene che debbo andarmene, che debbo lasciar questa casa in cui la vita era comoda, così comoda che pareva un sogno: la mattina, passando davanti alla mia stanza, camminavate in punta di piedi per non svegliarmi, e quando aprivo l'uscio, trovavo la soglia sempre adorna di fiori. Pure, guardi, commendatore : se anche solo una volta ce li ha messi di cuore, senza secondi fini, - e questo può anche darsi, perché c'è un minuto ' di luce anche nella buia giornata del peggiore fra gli uomini - ebbene quella sola volta le varrà, lassù, di compenso a cento peccati. (Pausa) Oh, non creda, commendatore, ch'io me ne vada col suo assegno. (Lo depone sul tavolo) Ecco qui i cinque milioni per le arpe e le trombe d'argento. Ahimè, la banda celeste non potrà rinnovare i suoi strumenti. (Ad Evelina) E mi dispiace, contessa, per le sue cuffiette per i cherubini. (Pausa) Io me ne vado con questa povera ragazza, infelice come me, disgraziata come me, per la quale son rimasto l'Angelo, non è vero Franca? (Franca gli sorride, e fa cenno di sì. Deli­catamente tenendola per la vita, l'Angelo s'allontana e sta per uscire, quando)

Rossi                             - (forte) Eh no, mio caro, tu non te ne vai. (L'Angelo s'arresta e si volta) Tu resti qui perché adesso mi sei necessario ancor più di quanto ti si credeva un angelo. Scegli: o rimani a mia completa disposizione, o rimetto te e la tua compagna nelle mani dell'ispettore di polizia. Ora ho bisogno di te come non mai; ho bisogno che tutt'intorno ti si con­tinui a credere l'Angelo. (L'Angelo ritorna sui propri passi e s'appressa al tavolo) Guarda, l'assegno è ancora tuo. (L'Angelo lo prende e lo ripone in tasca) E continuerai a vivere qui, a mie spese, facendo l'angelo e guardandoti bene dal rivelar chi sei. (Ai presenti, autoritariamente) Il segreto con tutti! (A Marini, entusiasmandosi) Abbiamo un'arma formi­dabile, Marini. Tutt'intorno bontà, solidarietà, carità, giustizia sociale, redenzione della giovane: solo noi potremo continuare coi vecchi metodi, noi che adesso non abbiamo più paura. Con un simile van­taggio sui nostri concorrenti, non so quanto tempo potranno resisterci. Torniamo all'alleanza, Marini. Ah, perché, perché non eri lontano nel momento in cui costui ha dichiarato di non essere un angelo! Avrei potuto rovinare anche te, mentre invece son costretto a subirti come alleato! E a dare il mio consenso al matrimonio dei nostri figli, se tu torni a propormelo.

Marini                           - (felicissimo) Ciò che m'affretto a fare, caro Rossi.

Rossi                             - Tutto ricomincia come prima! (A Marghe­rita) Margherita, noi riprenderemo le nostre relazioni illecite (la prende sottobraccio), mentre tu (ad Adriana) le riprenderai con Marini (li invita a prendersi sotto­braccio) e questa volta limpidamente, onestamente, in tutta purezza, perché non c'è più il movente della battaglia finanziaria. (All'Angelo e a Franca) Voi due siete già sottobraccio. (Le tre coppie s'incolonnano in quest'ordine: l'Angelo e Franca, Marini e Adriana, Rossi e Margherita. Cominciano ad avviarsi verso la villa dove entreranno. A questo punto starebbe bene una musichetta) Avanti, marsch! L'ordine è rista­bilito. (Escono. Nella penombra, rimane sola Evelina. Va ai suoi lavori a maglia, li ripone con disprezzo nella cestina, fa per avviarsi, mentre entra lo straccione che si siede sull'altalena. Quando Evelina gli passa vicino)

Lo Straccione                - Mi dondoli. (Evelina, senza rispon­der nulla, gli s'accosta e gli appioppa un sonoro ceffone, poi esce, mentre cala la tela).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La scena rappresenta l'ufficio del commendator Rossi. Un modernissimo ufficio con un ampio finestrone oriz­zontale nel fondo, attraverso il quale si vede il sommo degli alberi del giardino. Alle pareti grandi grafici rivelano l'andamento degli affari, non soltanto ottimo, addirittura prodigioso. Poltrone di fronte alla scri­vania. Sulla scrivania due telefoni e un dittafono. A destra un divano. Una porta a destra e una a sinistra. A sinistra scaffali con libri elegantemente rilegati.

(È in scena la segretaria del commendator Rossi. Il tipo consueto della segretaria. Gli occhiali non sono indispensabili. Come fa tutte le mattine, sta riordi­nando le carte del commendatore. Bussano debolmente alla porta).

La Segretaria                 - (continuando nel proprio lavoro) Avanti. (Nessuno entra. Di nuovo si sente bussare debolmente. La segretaria, più forte, ripete) Avanti! (Entra, come se avesse paura, prima con la testa, guar­dandosi intorno circospetto, poi con tutta la persona, il cavalier Bianchi, e rimane a lungo sulla soglia prima di farsi avanti. È il tipico fedele e sottomesso impie­gato: calvo, curvo, occhiali, la giacchetta lustra d'alpagas, il colletto alto probabilmente di celluloide, la cravatta così lisa da sembrar nient'altro che una funi­cella, i calzoni che fan borsa alle ginocchia).

Bianchi                          - Oh, signorina, buongiorno.

La Segretaria                 - Buongiorno, Bianchi. Possibile che lei abbia perfino paura di picchiare?

Bianchi                          - Ho sempre paura, signorina. (Pausa) Credevo ci fosse il commendatore. Non è ancora venuto?

La Segretaria                 - Sarà qui fra poco. Stamattina lei sarà il primo a vederlo. Deve dirgli qualche cosa d'importante?

Bianchi                          - D'importantissimo, signorina. (Pausa) Devo chiedergli un aumento di stipendio.

La Segretaria                 - È fortunato. Lo troverà di ottimo umore. È la prima volta che gli chiede un aumento?

Bianchi                          - La prima, signorina. Ho quattro figli, e così non posso andare avanti. Sono sei mesi che ho qui dentro (si pone una mano sul petto) il discorso da fargli, ma ogni volta, davanti a quell'uscio (lo indica), sul punto di picchiare, m'è mancato il co­raggio. (Pausa) Così, un mese fa, gli ho scritto.

La Segretaria                 - Ha avuto tante cose da fare. È sempre pieno d'appuntamenti. Ma stamattina lei sarà il primo ad essere ricevuto. Sarà qui a momenti. (Vedendolo preoccupato e tutto inteso a darsi un con­tegno deciso e fermo) Ma lei ha paura, Bianchi? (Fa per andarsene).

Bianchi                          - Signorina, non se ne vada. Mi tenga compagnia. (Pausa) Ho paura. (Pausa) Appartengo al ceto medio. (Pausa) La paura l'abbiamo nelle ossa, si trasmette di padre in figlio. Anche mio padre era impiegato, e passò quarant'anni della sua vita a mettere insieme un discorso per ottenere un au­mento di stipendio. Lo sapeva a memoria. Tutti i giorni lo recitava davanti a mia madre e a noi figli. (Pausa) A Natale anche agli amici. (Pausa) Un successo, le dico. (Pausa) Era un discorso forte, deciso, pieno di dignità e di contenuto sociale. (Pausa) Ma non ebbe mai il coraggio di pronunciarlo davanti al principale, e morì senza aver mai ottenuto un aumento di stipendio. (Pausa. In uno slancio di energia) Anch'io so a memoria il mio! E non farò come mio padre! (Pausa) Il ceto medio comincia a svegliarsi, signorina! (Va alla scrivania del com­mendatore, vi si pianta fieramente davanti, e parlando con fuoco e dignità al commendatore che non c'è) Buongiorno commendatore! Mi conosce! Porse no, perché son solo vent'anni che lavoro nella sua ditta, e lei, che ha tante cosa da fare, ha avuto il tempo dì vedermi di sfuggita solo un paio di volte. (Pausa) Sono il cavalier Bianchi, dell'ufficio contabilità, cinquant'anni, quattro figli, moglie malata, suoceri a carico, a Natale usciamo tutti e andiamo a vedere il cappone nelle vetrine. (Pausa) Io sono miope, e non ho nemmeno la fortuna di vederlo. (Pausa) Non basta. Quale rappresentante del ceto medio, devo mantenere il decoro, e ho l'obbligo morale di non andare scamiciato e a piedi nudi. (Mostra la giacchetta) S'io tocco con estrema delicatezza questa giacchetta, è perché, essendo stata rivoltata cinque volte, la sua consistenza è decisamente inferiore a quella delle tele di ragno. (Pausa) Non collaboro forse anch'io, seppur oscuramente, alle enormi for­tune dell'azienda?

La Segretaria                 - (spaventata) Si calmi, cavalier Bianchi, si calmi!

Bianchi                          - Mi lasci dire, signorina. Ce le avevo sul gozzo da dieci anni queste parole! (Pausa. Di nuovo rivolgendosi all'inesistente Rossi) Da quando è venuto l'Angelo valanghe di milioni entrano nelle sue tasche, commendatore. Per me, ci sia o non ci sia l'Angelo, è sempre la stessa miseria, è sempre la stessa lotta per un cappotto d'inverno ogni dieci anni. (Pausa) Le pare giusto, questo? (Intanto la segretaria, im­paurita, già da qualche tempo è uscita, in punta di piedi) Mi guardi, commendator Rossi: sono il ca­valiere Giuseppe Bianchi, cinquant'anni, quattro figli, moglie malata...

La Segretaria                 - (rientrando improvvisamente, coi segni del terrore sul volto) Il commendatore!

Bianchi                          - (afflosciandosi improvvisamente e sbian­cando in viso) Il commendatore! (Si rifugia in un angolo dell'ufficio, in umile e trepida attesa).

Rossi                             - (entra dall'altro uscio, s'avvia ilare alla scrivania, si siede, si guarda intorno soddisfatto, vede nell'angolo il cavalier Bianchi, domanda stupito alla segretaria) E quello chi è?

La Segretaria                 - (avvicinandoglisi premurosa, a voce bassa) È il cavalier Giuseppe Bianchi, quello che scrisse un mese fa. (Mostrandogli la prima pagina d'un blocchetto di appunti) Lei gli ha dato un appunta­mento per questa mattina. (Pausa. Suggestionata da quel che il cavalier Bianchì ha detto poc'anzi) Cavalier Giuseppe Bianchi, dell'ufficio contabilità, cinquant'anni, quattro figli, moglie malata...

Rossi                             - (stupito) Eh? (Guardando poi verso Bianchi, tendendogli cordialmente le braccia) Bianchi, caris­simo Bianchi, lo sa che sono felice di vederla? (Mentre Bianchi avanza timidamente, inchinandosi ogni tanto) Come va, Bianchi? Io la conosco, sa, io la seguo. S'accomodi. (Bianchi entra) S'accomodi, le dico. (Bianchi si siede) Io la apprezzo molto, caro Bianchi. Mi dica. (Bianchi sta per parlare, Rossi gli fa cenno d'aver pazienza per un istante. Alla segretaria) Vada pure, signorina. La chiamerò. (Mentre la segretaria s'allontana) La ringrazio, intanto, d'avermi fatto trovare qui il mio carissimo amico Bianchi, prezioso collaboratore. (La segretaria esce. A Bianchi) Mi dica, Bianchi. Lei m'ha scritto. Voleva parlarmi. Son qui tutt'orecchi, carissimo Bianchi.

Bianchi                          - (impacciato) Vede, commendatore...

Rossi                             - (cordialissimo) Mi dica, mi dica, Bianchi.

Bianchi                          - (dopo un po' di silenzio) Commendatore, è un po' difficile, così, sui due piedi...

Rossi                             - Parli tranquillamente, io son qui per ascoltarla.

Bianchi                          - Lei sa, commendatore, che da venti anni, ormai, io la servo fedelmente... (S'arresta).

Rossi                             - Continui, continui, Bianchi.

Bianchi                          - ...e se fossi solo...

Rossi                             - (distrattamente, giocando con la matita) Lei non è solo, Bianchi?

Bianchi                          - Durante questi cent'anni, commen­datore, quattro figli son venuti a rallegrare la nostra casa...

Rossi                             - Bravo Bianchi! Ne ho piacere!

Bianchi                          - Sì, commendatore, anch'io... Ma, vede... (Squilla uno dei telefoni sulla scrivania- Rossi prende il microfono e a Bianchi che si leva in piedi).

Rossi                             - No, no, stia pure. Un attimo e son da lei. (Al telefono) Carissimo! (Pausa) Tutto fatto? (Pausa) Perfetto! (Pausa) Bene. (Pausa) Firmeremo nel pomeriggio. (Pausa) Bene. (Pausa. Facendosi serio) No. Il mio mandato è preciso: non un soldo più di quattro milioni. Se non accetta, tanto peggio per lui. Combineremo con un altro. (Pausa) Ma finirà con l'accettare. Non ha la più minima possi­bilità di resistere. (Pausa) Bene. (Pausa) Senz'altro. (Pausa) Ad oggi. (Riattacca il ricevitore. A Bianchi, cordialmente) Dunque, carissimo Bianchi, lei mi stava dicendo...

Bianchi                          - Dei quattro figli che son venuti a rallegrare la mia famiglia.

Rossi                             - Già, ricordo. E io le dicevo...

Bianchi                          - Che ne aveva piacere, commendatore.

Rossi                             - Naturalmente, carissimo Bianchi. La segretaria, se non sbaglio, mi parlava anche di sua moglie.

Bianchi                          - Precisamente, commendatore. Malata.

Rossi                             - (pensando ad altro) Malata? Per Bacco! Mi dispiace. (Squilla il campanello del telefono. Rossi, staccando il ricevitore, a Bianchi) Malata? Mi dispiace. Tutte così queste mogli. Un minuto e sono da lei. (Bianchi fa per alzarsi) Stia pure. (Al telefono) Carissimo! (Pausa) Bene, e tu? (Pausa) Bene, benis­simo, a meraviglia. (A Bianchi) Le dispiace, caris­simo Bianchi, d'accomodarsi per un istante su quel divano? (Bianchi si alea e va a sedersi sul divano) Grazie. (Al telefono) Che ti dicevo? Non potevano che precipitare. Ora bisogna comperarle. (Pausa. Energicamente) Tutte. Dalla prima all'ultima. (Trionfante) L'offensiva è riuscita in pieno, il nemico si arrende; ora non si tratta che di far quanto più bottino è possibile. Comprarle tutte. Per domani mattina voglio averle qui sul tavolo. Evviva! Saluti. (Posa il ricevitore. A Bianchi) Venga pure, carissimo Bianchi. Lei mi perdonerà. (Bianchi torna a sedersi, e, impacciato, smarrito, non sa come ricominciare. Rossi gli viene in aiuto) Dunque, lei mi stava dicendo...

Bianchi                          - (rapidamente) Quattro figli, moglie malata, suoceri a carico, la vede questa giacchetta?... (Picchiano all'uscio).

Rossi                             - (a Bianchi) Un momento, carissimo Bianchi. (Guardando verso l'uscio) Avanti.

La Segretaria                 - (entra e s'avvicina a Rossi) Commendatore, c'è di là... (S'interrompe, e guarda Bianchi).

Rossi                             - Le dispiace, Bianchi, d'accomodarsi un momento in quel divano? Un minuto e sono da lei. Vuol guardare queste riviste? (Gli porge una rivista illustrata ch'è sul tavolo, e Bianchi va verso il divano, si siede e comincia a sfogliare la rivista. Alla segretaria) Chi c'è di là?

La Segretaria                 - (o bassa voce) Commendatore, c'è di là il commendator Brambilla.

Rossi                             - Che cosa vuole?

La Segretaria                 - Lei lo sa. È uno dei tanti po­veretti che per paura dell'Angelo stanno andando in rovina. Viene a nome di numerosi industriali della zona a proporle un patto.

Rossi                             - Quale patto? Nessun patto!

La Segretaria                 - O comincia anche lei a vivere come se ci fosse l'Angelo, o anche loro riprenderanno a vivere come se non ci fosse. Dicono ch'è ingiusto, ch'è insopportabile che lei solo si comporti senza scrupoli in un mondo che per timore dell'Angelo si comporta secondo l'onestà e secondo la giustizia. Protestano, sono indignati, cominciano a sospettare che si tratti di un trucco.

Rossi                             - Che cretino! Io non accetterò mai nessun patto. Non ci sono per Brambilla.

La Segretaria                 - (timidamente) Si irriteranno mag­giormente, commendatore.

Rossi                             - (battendo il pugno sulla tavola e facendo sussultare il cavalier Bianchi) Non ci sono per Brambilla! Non ci sono per nessuno! Vada!

La Segretaria                 - (spaventata) Vado. (Esce).

Rossi                             - (ricomponendosi rapidamente) Carissimo Bianchi, mi dica pure.

Bianchi                          - (per non perdere neppure un attimo di tempo, si precipita dal divano alla scrivania, e, senza neppur sedersi) Ora, le sembra giusto, commen­datore?...

Rossi                             - (che non ha ancora ripreso il filo) Giusto che cosa, carissimo Bianchi?

Bianchi                          - Come, giusto che cosa! (Ricapitolando) Cinquant'anni, venti di servizio, quattro figli, moglie malata... (Squillano contemporaneamente i due tele­foni della scrivania. Rossi, prendendo i due ricevitori).

Rossi                             - Le dispiace, caro Bianchi?

Bianchi                          - Si figuri, commendatore. (Torna al suo divano).

Rossi                             - (portandosi all'uno e all'altro orecchio i due ricevitori) Ragioniere, buongiorno. (Pausa) Gior­gina carissima. (Pausa. Al primo ricevitore) Acqui­stato il castello? Bene. (Al secondo ricevitore) Non prima di domani, anima mia. (Al primo ricevitore) Quarantacinque, invece di cinquanta? Ragioniere, lei è un angelo. (Al secondo ricevitore) Dicevo al ragioniere, carissima. (Pausa) Ma naturalmente. Il mio vero angelo sei tu. Al ragioniere lo dicevo per un'altra ragione. Pensa, il castello dei Santacroce comperato per soli quarantacinque milioni. (Guar­dando per un attimo Bianchi che lo sta ascoltando a bocca aperta, e sorridendogli) Carissimo Bianchi! (Al primo ricevitore) Dicevo al cavalier Bianchi, un simpaticissimo amico ch'è qui. Quattro figli, la moglie malata. Venga pure nel pomeriggio ragioniere. Firmerò il contratto. (Pausa) Naturalmente, natu­ralmente. Vedrà che non avrà da lamentarsi, ragio­niere. (Pausa) A visitarlo andrò domani. E in deliziosa compagnia. (Al secondo ricevitore) Alludevo a te, cara. Domani andremo a visitare il castello dei Santacroce, ch'è ormai il mio, anzi il nostro. (Pausa) No, non verrà. È malata. (Al primo ricevitore) Sì, ragioniere, è malata anche mia moglie. Come la moglie del cavalier Bianchi. Grazie, presenterò. (Al secondo ricevitore) Giorgina, ti saluta il ragionier Colombo. Ciao amore, a domani. (Pausa) Sempre. (Pausa) Anch'io. (Pausa) Sei contenta del castello? (Pausa) Sciocchezze! Ciao. Grazie. Presenterò. (Al primo ricevitore) Ragioniere, la signorina Gior­gina la saluta. (Pausa) È felice. (Pausa) Povera creatura. (Pausa) Lo voleva tanto un castello! (Pausa) Quando posso far felice qualcuno... (Pausa) Ad oggi per la firma. Saluti. (Posa il primo ricevitore. Al secondo ricevitore) Amore, ciao. (Pausa) Sì, la torre, i merli, il ponte levatoio, tutto. (Pausa) Sciocchezze, cara. (Pausa) Anch'io. (Pausa) Sempre. (Pausa) Ora chiudi. (Pausa) No, prima tu. (Pausa) Insieme? Bene, insieme. Uno, due, tre... (Posa il secondo ricevitore) Carissimo Bianchi... (Bianchi toma davanti alla scrivania) Se non sbaglio lei mi stava chiedendo se mi sembra giusto...

Bianchi                          - (come chi non ricorda) Aspetti, com­mendatore. (Pausa) Già. Appunto. Le stavo difatti domandando se le sembra giusto... (Ronzìo al dittafono).

Voce della Segretaria    - Commendatore, il commendator Brambilla torna alla carica.

Rossi                             - (al dittafono) E che cosa ci posso fare io se il commendator Brambilla torna alla carica? Che cosa vuole?

Voce della Segretaria    - Ha convocato in assemblea tutti gli altri industriali della zona.

Rossi                             - (al dittafono) Un momento, signorina. (A Bianchi) Le dispiace, caro Bianchi? (Bianchi, rassegnato, torna al suo divano. Al dittafono) Li ha convocati per che cosa?

Voce della Segretaria    - Per decidere di non aver più la minima paura dell'Angelo. 0 tutti o nessuno. Riprenderanno in pieno i metodi di prima. Da domani mattina alle otto ricominceranno con l'ingiustizia sociale su tutta la linea.

Rossi                             - (alterato) Signorina, venga qui immedia­tamente! (Intanto il cavalier Bianchi va sempre più adagiandosi sul divano).

La Segretaria                 - (accorre premurosa).

Rossi                             - Signorina, entro cinque minuti mi occorre l'Angelo.

La Segretaria                 - Basterà un minuto. Si preme questo bottone. È sempre pronto a ogni chiamata. (Preme il bottone, ch'è sulla scrivania).

Rossi                             - (guardando verso Bianchi) Che cosa fa quello lì?

La Segretaria                 - (s'avvicina a Bianchì, e lo guarda a lungo. Poi, stupita) Dorme, commendatore.

Rossi                             - Dorme?

La Segretaria                 - S'è addormentato dolcemente, guardando le figure della rivista. (Pausa) E aveva dentro, da dieci anni, tutto un discorso che sapeva a memoria. (Pausa. A Rossi) Che cosa facciamo?

Rossi                             - Lo lasci dormire. (Entra l'Angelo, saluta rispettosamente, s'avvicina alla scrivania, e ad un cenno di Rossi si siede).

L'Angelo                       - Ha ancora bisogno di me, commen­datore?

Rossi                             - (fa un cenno alla segretaria, che esce. All'Angelo) Sì, ho sempre bisogno di te. (Pausa) E tu devi far quel che ti dico, perché ti pago.

L’Angelo                      - (sottomesso) Io sono sempre ai suoi ordini, commendatore. (Guardando verso Bianchi) Chi è quell'uomo?

Rossi                             - È il cavalier Bianchi che dorme. Lascialo dormire. (Pausa) Le cose si mettono male, mio caro. Si comincia a non aver più paura dell'Angelo.

L'Angelo                       - Lo so.

Rossi                             - Da ogni parte si minaccia il ritorno alla vita di prima.

L'Angelo                       - Lo so. Lei ha esagerato, commen­datore. Ha approfittato troppo. Anche la paura ha un limite. Così la buona fede: hanno avuto paura dell'Angelo fino ad oggi, ma come si può pretendere che continuino se proprio quello che lo ha in casa è l'unico a non averne paura?

Rossi                             - Bisogna impressionarli, suggestionarli.

L'Angelo                       - In che modo?

Rossi                             - Con qualche cosa. (Pausa. Idea) Con un miracolo, ecco! Tu devi fare un miracolo!

L’Angelo                      - (calmo) L'idea sarebbe buona. Ma per fare un miracolo, dovrei essere davvero un angelo,

Rossi                             - Tu devi far tutto quello che ti dico, Voglio un miracolo, e avrò il miracolo. (Pausa) Volevo un castello, e non l'ho forse avuto? Con la torre, con i merli, con il ponte levatoio, con tutto!

L'Angelo                       - Ma un castello, per grande che sia, è sempre qualche cosa di meno che un miracolo.

Rossi                             - Non t'ho forse raddoppiato l'assegno che ti detti, quando ancora ti credevo un angelo, per abbellimenti celesti?

L'Angelo                       - Lei lo può quadruplicare, può spendere fiumi di milioni, ma non riuscirà mai ad ottenere un miracolo. Non sono un angelo.

Rossi                             - Tu non sei un angelo, ma io ho i quat­trini. Coi quattrini si fa tutto, anche i miracoli, (Entusiasmandosi) Ne organizzeremo uno mera­viglioso che farà colpo, che indurrà ancora una volta quest'imbecille ad avere fama d'angelo! (Prima t due parlavano a voce alquanto bassa, poi Rossi l'ha alzata svegliando il cavalier Bianchi, il quale, levatosi a sedere, ha ascoltato il dialogo. Ora furtivamente, in punta di piedi, attraversa la stanza, senza che i due s'accorgano di lui, ed esce) Un miracolo che farà epoca! Bisogna prepararlo, organizzarlo bene. (Pausa) Consulterò il ragionier Colombo. Il ragionier Co­lombo non ha mai fallito un incarico. (Al dittafono) Signorina, il ragionier Colombo che dovrebbe venir nel pomeriggio, sia invece qui da me fra un'ora!

Voce della Segretaria    - Per il castello?

Rossi-                            - No, per un miracolo.

Voce della Segretaria    - Per un miracolo? Bene commendatore. Lo avvertirò.

Rossi                             - (all'Angelo) Il ragionier Colombo è ineguagliabile.

L'Angelo                       - In questo caso, però, ho i miei dubbi.

Rossi                             - (sicuro) Vedrai.

L’Angelo                      - (allargando le braccia) Se lo dice lei...

Rossi                             - (lusingato) Cominci finalmente a credere in me?

L'Angelo                       - Comincio davvero a credere in lei, commendatore. (Pausa) E dopo il miracolo potrò prendermi un mese di vacanze?

Rossi                             - Sei stanco?

L'Angelo                       - Ho bisogno d'aria libera.

Rossi                             - Con chi andrai?

L'Angelo                       - Con Franca. (Accennando all'uscio) È di là.

Rossi                             - Ti segue sempre?

L'Angelo                       - Sempre. (Va all'uscio, lo apre, torna con Franca).

Rossi                             - (all'Angelo) Ti vuole dunque così bene?

L’Angelo                      - (sorridendo, a Franca) Diglielo tu, Franca.

Franca                           - Senza di lui non potrei vivere. (Guar­dando amorosamente l'Angelo) In virtù sua son ri­tornata qual ero un tempo.

L’Angelo                      - (commosso) Pura. (Pausa) Una bambina.

Franca                           - Come quando credevo negli angeli.

L'Angelo                       - E ci credi ancora?

Franca                           - Sì, perché lei è il mio angelo. (Gli prende una mano, tra amorosamente e rispettosamente, e si fa, con essa, sfiorare i capelli).

Rossi                             - (prima stupito, poi disgustato) Ma andiamo! A chi venite a raccontarle, queste frottole? Davanti a ohi venite a farla, questa commedia? (Indicando Franca) Pura lei? (Side).

L’Angelo                      - (serio, addolorato) Commendatore, ricorda quella sera, in giardino, quand'io apparvi e improvvisamente confessai di non essere un angelo, come mi si credeva, ma un vagabondo, un disoccupato?

Rossi                             - Ricordo. (Pausa) Io ero con la contessa Evelina e con Franca. Mi meravigliò quella con­fessione, in quel momento. Perché proprio in quel momento?

L'Angelo                       - Perché in quel momento lei, con le sue proposte, ricorda?, stava insozzando Franca, questa povera creatura che per me s'è redenta. Voleva risprofondarla - lei che se n'era liberata -nei pensieri di prima, nel mestiere di prima, e in­durla ad avvicinarsi a me come ad un uomo, io che per lei ero l'angelo... Perciò sono intervenuto: per disperdere quelle sue orribili parole. (Movendo af­fettuosamente verso Franca) E l'ho salvata ancora una volta, povera Franca.

Franca                           - (commossa, rapita) Lei è ancora, per me, l'Angelo.

Rossi                             - Ragazzi, io non ci capisco più niente!

L'Angelo                       - Commendatore, è qualche tempo, oramai, che viviamo presso di lei. Le abbiamo mai dato, anche per un solo momento, il sospetto...?

Rossi                             - (colpito) No. Mai.

L’Angelo                      - (accennando a Franca) Io per lei ho continuato ad essere un angelo.

 Franca                          - (soave) Ed io per lui la creatura ch'egli, al suo primo apparire, col suo primo sguardo, aveva salvata.

Rossi                             - (stupito) E così, fra voi due, niente?

L'Angelo                       - Niente.

Rossi                             - Nessun rapporto!

L'Angelo                       - Se non quello che può passare tra un angelo e la donna che crede in lui.

Franca                           - (con le lagrime agli occhi) E così sarà sempre, sino a che egli, ahimè, non ritornerà in cielo. (Pausa) Ma non rimarrò sola.

Rossi                             - E come farete a non rimanere sola?

Franca                           - Lo seguirò.

Rossi                             - Dove? In cielo?

Franca                           - In cielo. (Accostandoglisi, e accennando all'Angelo) Benché lui me l'abbia proibito. Perché, dice, è peccato voler morire.

L'Angelo                       - Tu rimarrai, Franca. E continuerai da sola, dandotene io la forza, di lassù nella tua nuova vita.

Rossi                             - (levandosi) Mascalzone! Vi prendete giuoco di una povera pazza!

L'Angelo                       - Pazza perché mi crede un angelo?

Franca                           - È un angelo, commendatore.

Rossi                             - (annoiato) Sì cara, è un angelo. Posso ora pregarvi di uscire? (All'Angelo) No, tu rimani. (Accompagna Franca alla porta) Siete davvero divertente, ragazza mia. Tornate quando avremo meno da fare. (Franca esce, sorridendo all' Angelo).

L'Angelo                       - Addio, Franca.

Rossi                             - (tornando alla scrivania) Ma che giuoco andate giocando con quella povera ragazza?

L'Angelo                       - Nonostante la mia confessione, crede ancora ch'io sia un angelo, commendatore.

Rossi                             - E questo vi diverte?

L’Angelo                      - (felice) No. Mi riempie di gioia.

Rossi                             - (scuote le spalle. Poi, al dittafono) Si­gnorina, è stato avvertito il ragionier Colombo? (Silenzio. La voce della segretaria non risponde) Signorina, è stato avvertito il ragionier Colombo? (Silenzio. Lungo silenzio. Poi Passi, urlando) Signorina! Signorina! (Pausa) Dove diavolo è andata la si­gnorina? (Preme un bottone, si sente, dall'altra stanza, suonare a lungo il campanello. Guardandosi intorno) E il cavaliere Bianchi dov'è?

L'Angelo                       - Chi è il cavalier Bianchi?

Rossi                             - (indicando il divano vuoto) Quello che dormiva. Sparito.

L'Angelo                       - Come un angelo.

Rossi                             - (al dittafono) Signorina! Signorina! (Silenzio, poi)

Una Voce                      - (dal dittafono) Si sa tutto, commen­datore. L'angelo non è un angelo!

Rossi                             - Chi è che parla?

La Voce                        - La arresteranno per truffa! Il trucco della giustizia sociale è stato scoperto! Da me av­vertiti, i truffati stanno arrivando da ogni parte. Sono il cavalier Bianchi, dell'ufficio contabilità, cinquant'anni, venti di servizio, quattro figli, moglie malata. Viva il ceto medio! Mio padre è vendicato!

(Silenzio. Poi si spalancano i due usci. Entrano, minacciosi, furibondi, alcuni uomini, gli industriali rovinati da Rossi).

Primo Uomo                 - Mascalzone!

Secondo Uomo             - Farabutto!

Terzo Uomo                  - L'abbiamo sorpreso col suo angelo!

Quarto Uomo                - Ci ha rovinati!

Primo Uomo                 - Ci ha ridotti sul lastrico!

Secondo Uomo             - Ci ha costretti a vivere one­stamente !

Terzo Uomo                  - A praticare la giustizia sociale!

Quinto Uomo                - Paghe alte!

Primo Uomo                 - Prezzi bassi!

Secóndo Uomo             - Guadagni ragionevoli!

Terzo Uomo                  - Medicinali al giusto prezzo!

Quarto Uomo                - E con l'inganno! Inventando la storia dell'angelo!

Primo Uomo                 - Sfruttando la nostra paura!

Secondo Uomo             - Ma la paura è finita! (Via via si stringono intorno a Rossi, che si fa piccino. L'Angelo, pian piano, s'avvia verso l'uscio e rimane, pronto ad uscire, presso la soglia).

Terzo Uomo                  - Ispettore, fate il vostro dovere! Arrestate il responsabile della rovina di tanti galan­tuomini! (Entra l'ispettore).

Possi                              - (al tergo) Brambilla!

Terzo Uomo                  - (ferocemente) Sì, Brambilla che viene a chiederti conto, pezzo di mascalzone, dell'averlo costretto a vivere onestamente!

Rossi                             - (mentre l'ispettore avanza verso di lui, al dittafono) Signorina, signorina! Si sa nulla del ragionier Colombo?

Voce della Segretaria    - Il ragionier Colombo arriverà tra cinque minuti.

Rossi                             - (trionfante) Arriva, arriva! Aspettate! (Si spalanca l'uscio, entrano in fila indiana i bambini del secondo atto. Rossi, con le mani fra i capelli) Anche dei bambini! Che cosa vogliono? (Al dittafono) Signorina, signorina, venga a vedere che cosa vo­gliono questi bambini.

La Segretaria                 - (entra, prende dal bambino capo­fila una lettera, la apre, la porge a Rossi).

Rossi                             - (disfatto) Legga lei.

La Segretaria                 - È del barone Gustavo Roberto del Forte.

Rossi                             - Chi è questo barone Gustavo Boberto del Forte? Chi lo conosce?

L'Angelo                       - Io. Venne un giorno da me, quando ancora mi si credeva un angelo, per sapere il numero preciso di orfani che un uomo ricco e solo deve adot­tare per evitare l'inferno.

La Segretaria                 - (leggendo) « ... avendo appreso che l'Angelo non è un angelo, ma semplicemente un volgare impostore che si spacciava per tale, restituisco gli orfani da me adottati in un impulso di inutile generosità. Mi riservo, inoltre, di adire le vie legali per ottenere dall'impostore e dai suoi complici il risarcimento delle spese sostenute per il nutrimento e il soggiorno dei detti orfani in collina, al mare e ai monti. Con osservanza, Barone Roberto Gustavo del Forte ». (Silenzio) E adesso che cosa si fa di questi poveri ragazzi? (L'Angelo, intanto è uscito).

L'Ispettore                    - (a Rossi) Commendatore, almeno temporaneamente dovranno rimanere in casa sua.

Rossi                             - In casa mia? Con la crisi dei cotoni che si prospetta, lei crede davvero, ispettore, ch'io possa adottare orfani? (Silenzio).

Evelina                          - (entra precipitosamente, corre al fine-strone, indica in alto, verso il cielo) Guardate. L'Angelo! (Tutti corrono al finestrone. Rossi non erede ai propri occhi).

La Segretaria                 - (giungendo le mani) Va su!

Primo Uomo                 - Le ali...

Secondo Uomo             - La veste bianca!

La Segretaria                 - Era un Angelo davvero!

Evelina                          - (con angoscia) Le mie cuffiette! (Silenzio. Un suono di campanello. La segretaria corre alla porta, esce, torna immediatamente. A Rossi).

La Segretaria                 - Il ragionier Colombo!

Rossi                             - (scuotendo il capo) Troppo tardi. (Co­minciando a riprendersi dopo l'altissimo stupore) Ma ha visto, ispettore? Nessuna truffa. Era un angelo davvero. (A tutti) Ora uscite. Lasciatemi solo. (Escono tutti- Rossi, solo, ancora presso il finestrone, guardando il cielo che si scolora) Era un angelo dav­vero... (Pausa. Improvvisamente esultante) Ma l'ho ancora nelle mie mani! È andato su coi miei quattrini! (Guarda in alto, trionfante).

La Segretaria                 - (rientrando, con un biglietto) Ha lasciato un biglietto, commendatore. Non ha portato con sè l'assegno, e la ragazza è incaricata di restituirglielo.

Rossi                             - (guarda in alto, pieno dì rancore. Poi, alla segretaria) Franca?

La Segretaria                 - Sì. (Pausa) Lei ha voluto an­ticipare i tempi, commendatore. Ma gli angeli sono ancora onesti.

Rossi                             - Dov'è Franca!

La Segretaria                 - Non si trova.

Rossi                             - (pensando) L'assegno era al suo nome. (Come ribellandosi a un pensiero) Ma no! Era l'unica che credesse nell'Angelo... L'unica creatura che la discesa in terra dell'Angelo avesse redenta... Però... (Si precipita al telefono, compone un numero) Pronto, pronto? Banca del Commercio? Sono Rossi... buon­giorno dottore,., un mio assegno... numero... (Guarda su un libretto d'appunti)... sette cinque zero nove due... sì... riscosso? Dieci minuti fa?... Grazie... (Lascia cadere il ricevitore, s'abbandona sulla poltrona. Guarda in alto) E lui ci credeva, in Franca!... I poveri, che mascalzoni!

                                                                FINE