L’anticamera

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L’ANTICAMERA

Commedia in un atto

di GIOVANNI MOSCA

                                                          

PERSONAGGI

GIACOMO BONÉ'

GIOVANNI VERRETTI

PIE­TRO MARTINI

GIUSEPPE STEN

LUIGI CHINIGO'

UN USCIERE

MARIA SANTINI

LUCIA SPINELLI

La vasta anticamera di un importantissimo personaggio del quale spesso si parlerà, ma che non apparirà mai, e che viene indicato col nome generico di Commenda­tore. Nel fondo, a sinistra, una larga ed alta porta di non comuni dimensioni: Vesagerazione è necessaria per far di questa porta un simbolo, il simbolo della soglia diffi­cile a varcarsi, il simbolo dell'importanza di colui che siede di là da essa. La porta sarà adornata di una tenda di velluto disposta come un sipario a scena aperta, e avrà tutt'intorno, quale cornice, dei motivi ornamentali.

Di fianco, a destra, s'apre la porta per la quale entra­no ed escono i postulanti. Presso la porta, il tavolo, a forma di cattedra, dinanzi al quale siede l'usciere, cor­pulento, solenne, buono, in fondo, ima con quelVaria di sufficienza che gli viene dall'essere, Vusciere di tant'uomo. Sopra il capo delTusciere, appeso alla parete, un grosso orologio, di quegli orologi che si vedono nei Ministeri, il cui tic-tac non che venga udito dagli spettatori, ma s'intende che verrebbe avvertito dagli attori in tutta la sua monotonia, in tutta la sua implacabilità se non fosse fermo, da tempo, sulle dieci. Sotto ^orologio, un quadro luminoso, con una lampadina rossa accesa. Sul tavolo, carta, calamaio e una penna nel calamaio. Di fianco, a sinistra, corre lungo la parete una panca di legno con­sunto e lucidata dai mille postulanti che vi si sono avvi­cendati. Nel fondo, al centro, appeso alla parete un grande calendario che segna la data del «10 gennaio ». Siamo in primavera. Nel fondo, a destra, una finestra, non troppo grande: è aperta, si vede la parete d'un cor­tile, un ramo fiorito, e un lembo di cielo. Sì poca luce vien dall'esterno, che il lampadario pendente dal soffitto è acceso, per buona che sia la stagione e cominciato da poco il giorno. NelVangolo tra il fondo e la parete destra, non lungi dalla finestra, un piccolo tavolo e una sedia. Una sedia anche presso la finestra, sul cui davanzale si vedono due o tre vasi di geranio rosso. Alla parete della panca è appeso un gran quadro rettangolare, più lungo che alto: la cornice è dorata, la pittura è a olio, scura, annerita dal tempo.

'(Al levarsi del sipario, sono seduti sulla panca, in di­versi att&ggiamenti d'attesa, Giuseppe Sten, un piccolo uomo quasi calvo, gli occhiali a pinzetta, la giacchetta nera lucida, il colletto bianco sulla camicia colorata, e la cravatta che, a furia d'essere usata e tirata, sembra una strisciolina di stoffa; Luigi Chinigò è un vecchio vestito da fattorino, ha sulle spalle una mantelletta impermeabile nera, i calzoni sono stretti intorno alle caviglia, con mol­lette di ciclista; tiene sulle ginocchia un berretto con visiera di tela cerata; è, dei seduti sulla panca, il più lon­tano dagli spettatori; Pietro Martini, un uomo di mez­z'età, grigio di capelli, decentemente vestito; s'indovina una modesta posizione; ma non è rassegnato, mira a qualche cosa di meglio; Lucia Spinelli, donna giovane e bella, elegante quanto può esserlo chi, pur avendo buon gusto, non ha i mezzi necessari al lusso. L'usciere è gra­vemente seduto dinanzi al suo tavolo, e legge un gior­nale. Silenzio. Poi)

Sten                            - (leva il viso verso Vorologio, aguzzando lo sguardo).

L’Usciere                    - (notando il movimento ch'è il primo dopo una generale assoluta immobilità, quasi ruvidamente) E' inutile che guardiate l'orologio, tanto è fermo, non so da quanto tempo.

Martini                        - Dall'inverno scorso. (Pausa. Guarda verso la finestra) E siamo in primavera.

Sten                            - (guardando dinanzi a sé, senza voltarsi verso Martini) Molto tempo che venite qui?

Martini                        - (con un gesto che indica un tempo lunghis­simo) Eh! (Accenna alVusciere) Siamo diventati amici, io « lui.

L’Usciere                    - (che ci tiene a distinguere) Amici! Cono­scenti, vorrete dire. Se dovessi essere amico di tutti quelli che son passati per questa sala...

Lucia                           - (preoccupata da questi discorsi) Ma quando «ara che il Commendatore si deciderà a riceverci? (Al­l'usciere) Sempre occupato?

L’Usciere                    - (grave) Sempre. )(Senza voltarsi, accenna con la mano al quadro luminoso che ha dietro le spalle, sotto l'orologio) Finch'è rosso, vuol dire ch'è occupato. E' in commissione.

Lucia                           - (piano a Martini) Che vuol dire in commis­sione?

Martini                        - Mah. (Pausa) Voi siete novizia, è vero?

Lucia                           - (rimane perplessa, non comprendendo il signi­ficato della domanda).

Martini                        - (quasi sorridendo) Voglio dire: sono pochi giorni che venite qui.

Lucia                           - (meravigliata, e col tono di chi intende dire tutto il contrario) Una settimana!

Martini                        - (amaramente ironico) E vi lamentate? E già vorreste essere ricevuta? Ah, sì, siete una donna (la guarda) e bella, anche, e forse passerete davanti a noi. (Pausa) Sapete ch'è da quest'inverno ch'io vengo qui mattina e sera, mattina e sera, tutti i giorni, (accenna alla finestra) e ho visto quei rami perdere le foglie, co­prirsi di neve, mettere le nuove foglie, e un bel giorno fiorire tutti, e fu una festa per noi? Perchè quei rami fioriti sono l'unica luce ch'entri qui dentro. (Accenna al lampadario) Vedete? Anche di primavera, la luce accesa. La finestra dà su un cortile. Affacciatevi, non vedrete che muri grigi, e, in alto, un pezzo di cielo grande quanto un fazzoletto. (Pausa) Ci hasta. (Alzando le spalle e scuo­tendo il capo) Tanto...

Verretti                       - (dal volto simpatico e intelligente, il viso dell'artista o del genialoide, ma Fantica vivacità dell'e­ spressione e dei gesti, se pur balena attratti, s'è assopita ed è stata vinta da una tranquilla rassegnazione lieve­mente sfumata d'ironia. Sulla cinquantina, capelli lunghi grigi. Entra quasi allegramente, tenendo una rigonfia borsa di pelle sotto il braccio. Nel passare davanti al-rusciere, lo saluta con familiarità, a voce alta) Buon­giorno.

L’Usciere                    - (meno scontroso che con gli altri, ma non proprio cordiale) Buongiorno.

Verretti                       - (con disinvolto gesto risponde ai saluti fatti con un cenno del capo da Martini, Sten e Chinigò, e va a sedersi davanti al piccolo tavolo ch'è nell'angolo tra il fondo e la parete destra. Apre la borsa, ne trae delle carte, le sparge sul tavolo, macchinalmente, come chi ri­peta da tempo, e con grande frequenza, gli stessi movi­menti).

Martini                        - (a bassa voce a Sten e a Lucia) Si- chiama Giovanni Verretti. E' un inventore. E' entrato qui qual­che giorno prima di me. (Accennando al tavolo) S'è fatto un angolino tutto suo: lavora, legge, studia. A mezzo­giorno i figli vengono a portargli da mangiare. (Pausa) Tra poco dovrebb'esser qui anche la signorina Santini. Sì, ma la chiamiamo Maria. (Guardando verso Vorologio) Anzi... i(Con un gesto di disappunto) E sempre guardo quell'orologio ch'è fermo! (Guarda il proprio, al polso) Ritarda, stamattina. (Alzandosi un poco in segno di sa­luto e guardando, sorridente, verso la porta) Buongiorno, Maria.

Maria                          - (è una dattilografa. Vestita con modestia, ma non senza eleganza. Abito grigio a giacca, borsa a tra­colla, si toglie, nell'entrare, il cappellino. Cordialmente) Buongiorno a tutti. (All'usciere, in tono fra di scherzo e di noia) Sempre rosso.

L’Usciere                    - (grave e burbero) Sempre.

Maria                          - (depone con noncuranza il cappellino sul ta­volo delTusciere, e s'accomoda i capelli).

L’Usciere                    - (irritato, un'irritazione meccanica che si ri­pete ogni mattina chi sa da quanto tempo) Ma quante volte ve lo devo dire che questo cappellino non lo vo­glio, qui, tra le mie carte? (Dice ale mie carte» con aria d'importanza, suscitando l'ilarità di)

Maria                          - (strappando il cappellino dalle mani dell'usciere che vorrebbe gettarlo in terra) Le sue carte! Come fosse lui il Commendatore! (Muove verso la finestra. Passando) Salve, Verretti.

Verretti                       - (levando il viso dai suoi fogli, cordiale) Ciao, Maria. In ritardo. i

Maria                          - (si volge macchinalmente a guardare Vorologio).

Martini                        - (quasi scattando, i suoi nervi sono tesi) E' fermo, è fermo jquel maledetto orologio! Anch'io lo guardo sempre. Nessuno di noi può fare a meno di guar­darlo! (Torna a sedere, china il capo, se lo nasconde tra le mani. Un gran silenzio. Tutti guardano verso Martini. Intanto Maria si siede sulla sedia verso la finestra, e apre un libro che aveva nella borsetta).

Verretti                       - (rompendo il silenzio) Che leggete di bello?

Maria                          - « Uomini e topi ».

Sten                            - (levando lo sguardo da Martini e volgendolo verso Fuiciere; mentre con un mano indica Vorologioìi

                                    - Scusate, ma non potreste ricaricarlo?

Verretti                       - (mettendosi le mani tra i capelli) Per carità! Sono io che gli ho detto: a Non caricatelo più» Era ossessionante. Istante per istante segnava il tempo di quest'attesa che non finisce mai, di questo tempof perduto che nessuno, mai ci restituirà. Meglio fermo. Sembra che il tempo non passi. (Pausa. Guardandoti verso il calendario) E forse non passa. Oggi come ierifl domani come oggi, c'è tanta luce in primavera quanta ce n'è d'inverno. Anche il calendario s'è fermato.

Sten                            - Dieci gennaio.

Martini                        - (senza levare il volto) Siamo in aprile.!

Lucia                           (timidamente, indicando il quadro luminoso)

                                    - Non è possibile che si sia guastato il meccanismo el che la lampadina verde non s'accenda più anche se il Commendatore è libero?

L’Usciere                    - (seccato, quasi offeso) Perchè guastato?! Qui non si guasta mai niente. Quando il Commendatore! è libero si sente un gran suono di campanello. (Silenzio per un poco, poi)

Sten                            - Piovesse, almeno.

Lucia, Verretti, Maria, Martini          - (che finalmente leva il volto, lo guardano stupiti).

Sten                            - (quasi chiedendo scusa d'aver detto così) Si.» Non che ci si diverta, ma almeno, un poco, ci si svaga. (Pausa) Con il puntale dell'ombrello bagnato si fanno tanti disegni 6ul pavimento... (Come trasognato) To una volta disegnai un viso di donna, ma era finita l'acqua quando stavo per fare gli occhi, e me la vedo sempre dinanzi questa donna. Senz'occhi, eppure mi guarda». (Dal di ifuori, una voce « E? permesso? ». Sten s'interrompe, tutti guardano verso la porta).

Bonè                           - (un uomo giovane, elegante, disinvolto, vestit  di chiaro, entra e pare che porti la luce delle strade. Entra, e rivolgendosi allegramente quasi familiarmente,, all'usciere) Il Commendatore è in ufficio?

L’Usciere                    - (preso alla sprovvista da tanta familiarità,] non riesce a dare alla risposta il tono burbero che sarebbe. Indicando ì postulanti presenti nella sala) Sì, ma vedete quanta gente? Tutta gente che aspetta e che! dev'esser ricevuta prima di voi          

Bonè                           - (con spensierata noncuranza) Non importa, non importa. Aspetterò. Mi siedo... (Guardando in giroA e vedendo tutti i posti occupati) Dove? (Sten, sedutoì fra Chinigò je Lucia, si accosta a questa per fargli po-ì sto. Boné, notando il gesto, cordialmente) Grazie. (Muove verso il posto libero, ma)

L’Usciere                    - (fermandolo con imperioso gesto) Aspet­tate. Non basta. Sarebibe troppo comodo. Eh, già! Lui arriva, si siede, e crede che questo sia sufficiente per essere ricevuto.

Bonè                           - (un poco stupito, ma senza perdere il buon umore) Che cos'altro si deve fare, scusate?

L’Usciere                    - (sventolando un piccolo rettangolo di carta) , Il modulo! Riempire il modulo.

Bonè                           - (accostandosi al tavolo, col tono di chi dice « Eh, eh, quanta furia! ») E va bene, riempio il mo­dulo. (Prende la penna) (Nome e cognome?

Lusciere                      - (cattedratico) No. Cognome e nome. Il Commendatore vuole così, altrimenti non vi riceve.

Bonè                           - (con la penna in mano) E se scrivo cognome e nome, mi... riceve?

L'Usciere                    - Mah. Questo, poi... Anzi, prima la data. (Mettendo il dito sul punto destinato alla data) Scrivete.

Bonè                           - (incerto) Dunque... Oggi quanti ne abbiamo? (Cerca in giro con lo sguardo, vede il calendario) Dieci... (Soprassalendo, guarda meglio) Dieci gennaio? Siete anr cora al dieci gennaio, qui? Ma non è vostro compito quello di?... (Fa Patto che si compie per staccare i fogli dal calendario).

L’Usciere                    - (accennando ai postulanti) Ma, tanto, qui dentro, dicono ch'è lo stesso...

Bonè                           - (serio, come avesse l'impressione d'essere Capi­tato fra gente per lo meno strana) Ah!! (Pensando) Dunque, oggi.-

Martini                        - (con voce cupa) Quindici aprile, signore.

Boné                           - . E non siete contento? Il mese dei fiori, rina­sce l'amore, rinascono le speranze...

Martini                        - (sempre cupo) Dove? Fuori. Ma (qui (indura la stanza) muoiono.

Bonè                           - (quasi intimorito, si guarda intorno e non vede che visi tristi che lo fissano senza sguardo. Per liberarsi di quegli sguardi, si china rapidamente sul modulo, e, a voce alta, quasi per rompere Fincanto del silenzio, dice mentre scrive) Quindici aprile millenovecento-quarantadue... Giacomo Boné... (levando per un istante il viso verso Yusciere, e prevenendo la protesta di costui) ah, no, scusate, BonéGiacomo... e poi... «he cosa devo scrivere qui, dove il modulo dice: motivo della visita?

L’Usciere                    - (scandalizzato per Vingenuità della domanda) Il motivo della visita. Che cosa siete venuto a fare qui? Perchè volete essere ricevuto dal Commendatore?

Bonè                           - (rimettendo la penna nel calamaio) Ma io non voglio essere ricevuto dal Commendatore. (Stupore fra i presenti, e più ancora nelVusciere).

L’Usciere                    - (trasecolando) Non volete essere ricevuto dal Commendatore? Ma qui si viene solo per questo!

Bonè                           - (sorridente, compiacendosi dello stupore e dell’attenzione che suscita) E io, invece, no. Io sono ve­nuto qui per aspettare, per aspettare il più a lungo pos­sibile, ma non per essere ricevuto.

L’Usciere                    - (tra annoiato e irritato) Bè» io non vi ca­pisco. (Indicando i presenti con un gesto vago) Se c'è qualcuno, qui... (Si rimette a leggere il giornale).

Bonè                           - (guarda perso Verretti, come quello che più gli sembra possa comprendere).

Verretti                       - (alzandosi e avvicinandosi a Boné) Scu­sate, signor Boné, ma neanch'io... (Sovvenendosi alFim-provviso della mancata presentatina, gli tende la mano) Giovanni Verretti, inventore.

Bonè                           - (ricambiando la stretta) Giacomo Boné (cerca una qualifica da darsi)... uomo qualunque.

Verretti                       - (lieve stupore, poi gli presenta, additandoli, gli altri, e via via 'che vengono nominati, gli uomini si alzano, le donne fanno un cenno del capo) Maria San­tini, dattilografa.

Bonè                           - (le sorride e la guarda a lungo, sempre sorri­dendo, sino a che suscita un sorriso sulle labbra di Maria).

Verretti                       - t Antonio Martini...

 Martini                       - (correggendo, amaro) Pietro.

Verretti                       - (Pietro Martini, impiegato.

Martini                        - (c s.) Funzionario.

(Bonè                          - (come dicesse: «.Càspita, importante!») Ah!

Verretti                       - Lucia Spinelli... come dire?

Bonè                           - (guarda fisso, aspettando la qualifica).

Lucia                           - Casalinga.

Boné                           - Nient'altro?

Lucia                           - Basta. Casalinga.

Bonè                           - (accenando a Sten) E il signore?

Verretti                       - (che lo aveva trascurato) Ah, già. (Fa quei movimento con le dita con quale s'intende dire? gli spiccioli, e che, più veloce, si compie allorché non d ricordiamo di un nome che pure conosciamo)...

Sten                            - (intervenendo, con voce da timido) Sten...

Verretti                       - Giacomo Sten... commesso, vero?

Sten                            - (vergognandosi della qualifica, e come per nobi­litarsi) Sì, ma (forse, tra poco, caporeparto. Natural­mente (indicando la gran porta) se il Commendatore...

Bonè                           - (gentile, ma fatuamente) Oh, ma di certo... (A Verretti, indicando Luigi Chinigò, che siede immo­bile, senza guardare nessuno) E quello...

Verretti                       - Ma! Non si sa chi sia, non parla mai. Né che cosa voglia...

Bonè                           - (guardandolo con tristezza, a bassa voce) Vec­chio, molto vecchio... E ancora chiede qualche cosa?

L’Usciere                    - (che ha sentito, leva il viso dal giornale, e con tono ironico) Sì, un triciclo azzurro.

Bonè                           - (stupito) All'età sua?

L’Usciere                    - (con un gesto significante: «Ma che an­date a pensare? ») Non un triciclo da bambini ha» turalmente: un triciclo per fattorino, di quelli con un gran cofano per le merci. (Tra fronico, burbero e pie­toso) Lo vuole azzurro...

Chinigò                       - (rompe improvvisamente il lungo silenzio. La sua voce è senile, debole, un poco stridente, pochissimo, però, e non tremula, se pion impercettibilmente)  ... « leggero, ch'io possa andar svelto per le strade come quando ero giovane. Da cinquant'anni faccio il fattorino, e 'ho sempre (avuto tricicli vecchi che oiggi non riesco più a mandare avanti.

Boné                           - Ma dovreste chiedere di...

Chinigò                       - Oh, chi è ancora all'età mia fattorino, non può cambiare mestiere. Muore fattorino. Ma morire col triciclo che sogno da anni (sorride al pensiero), azzurro, leggero... e da morti, tanto è leggero, andare ancora­ne! paradiso dei (fattorini... (pausa, con amarezza)... am­messo che ci sia, per i fattorini, un paradiso. (Tutti sono intorno al vecchio).

L’Usciere                    - (dal suo tavolo, sempre tra burbero, iro­nico e pietoso) Lo sogna davvero, sapete. Non avete mai notato che ogni tanto, stando lì sulla panca, pedala? Gli pare d'averlo, di andar per le strade sul suo nuovo triciclo... (Pausa) Si chiama Chinigò, Chinigò Luigi.

Bonè                           - (piano, con rispetto, quasi con amore, al vecchio) Chinigò...

Chinigò                       - (non risponde).

Bonè                           - (che appare commosso, si scosta e invita gli altri a scostarsi) Lasciamolo stare. (Va verso la fine­stra, indica l vasi di geranio) E questi (fiori?

Maria                          - Li curo io, nell'attesa... (Indica la gran porta).

Bonè                           - (come distratto) Di che? Ah, già. (Sorri­dendo) Qual è il vostro triciclo azzurro, signorina Maria?

Maria                          - (trepidante e timida e felice di dire il suo sogno; a Verretti) Posso dirlo?

Verretti                       - Perchè no?

Maria                          - (ingenuamente, con una grande fiducia nel suo sogno) Attrice. Una grande attrice cinematografica.

Verretti                       - (a Boné, col tono di chi dice: «poverina, è piena di fede ») Una stella...

Boné                           - Ah, siete sicura «he lui (indica la gran porta) possa farvi diventare una grande attrice cinematografica?

Maria                          - (fiduciosa) Può tutto, il Commendatore.

Bonè                           - (quasi invidioso di tanta fiducia) Farvi entrare nel cinema, sì. Ma diventare una grande attrice dipende da voi, e non da voi soltanto, ma dalla fortuna, da... (La guarda a lungo, con le mani la stringe alle braccia e le dice affettuosamente) Oh, signorina Maria, voi non di­venterete mai una grande attrice...

Maria                          - (offesa e smarrita) Chi ve lo ha detto?

Boné                           - Il vostro viso.

Maria                          - (angosciata) Brutto?

Boné                           - Bello, ma non da grande attrice. Da piccola attrice. (Pausa) Io vedo già le cose «he saranno. (Sfio­randole con la mano il viso, quasi tenera carezza) Questo viso si sciuperà, questi occhi diventeranno più grandi, ma non saranno più così belli: tristi, poveri occhi, per­chè ora li illumina la speranza, ma la delusione ne spegnerà la luce... (Tace, vedendo che Maria sta per piangere. Poi, sorridendole) Vi dispiace ch'io abbia detto così? Sorridete, Maria,

Maria                          - (un sorriso tra le lagrime).

Boné                           - E non potrete più sorridere come sorridete in questo momento. Una piccola, povera attrice, Maria: non quella che sognavate di essere, ma quella che do­vreste aver paura di diventare. (Affettuoso) Non siete il tipo della protagonista. (Indicando i fiori sul davanzale) Siete la ragazza dei gerani che vorrebbe spiccare il volo, ma vedete (si avvicina alla finestra) quanto poco cielo c'è lassù? (Pausa) Una particina, Maria, e per ottenerla.(Con impeto quasi di gelosia) E io non voglio che voi... Rimanete dattilografa, Maria. Il Commendatore non può tutto: gli chiedete troppo; egli non può darvi che una briciola di ciò che sognate. (A Verretti) E anche voi, sa­pete. Che cosa siete voi?

Verretti                       - Inventore.

Boné                           - Inventore di che?

Verretti                       - (candidamente, spalancando le braccia) Non me ne ricordo più. Tanti mesi che vengo qui ogni giorno, mattina e sera, mattina e sera, e l'invenzione m'è volata via, e forse è ancora qui nella sala, vola nell'aria, ma non riesco più ad afferrarla. (Indica il suo tavolo con le carte) Studio, cerco di ritrovarla, ma ho paura che il Commendatore mi chiamerà, e io non saprò che dirgli. (Addolorato) Posso forse dirgli: «Commenda­tore, ho fatto una grande invenzione, ma sta di là, nella sala, e non la trovo più »? Riderebbe di me, eppure è la verità. Chi sa quante invenzioni, «quante idee, quante speranze si son perdute nelle lunghe attese, sono morte in questa anticamera. L'orologio s'è fermato, il calendario è rimasto all'inverno scorso.

Boné                           - Era bella, la vostra invenzione?

 Verretti                      - (ingenuamente) Bellissima. Sarei diventato celebre, ricco.

Boné                           - E quando anche la ritrovaste, credete davvero che otterreste dal Commendatore ricchezza e celebrità? Otterreste lodi, vi batterebbe la mano sulla spalla: «Bravo Verretti, faremo grandi cose, ritornate da me, fatevi  vedere » e voi tornereste, e invecchiereste qui dentro con I la vostra piccola invenzione (prevenendo una protesta di Verretti) piccola, credete a me. Meglio che l'abbiate perduta e crediate che sia grande e bella. (Pausa) Io vedo già le cose che saranno: sempre più modesto il vostro vestire, più disordinato, e un giorno non vi curerete più nemmeno d'esser pulito. I capelli bianchi, lunghi, «composti... Si dirà: poveretto, dev'essere un inventore fallito. Non andate dal Commendatore: troppo grandi sono i vostri sogni, troppo piccolo è il suo potere. Ri­manete nell'illusione, e allora voi, Verretti, sarete vera­mente ricco e celebre, e voi, Maria, una grande attrice. (A Verretti, come se lo incontrasse per la prima volta) Verretti? Scusate, siete voi il Verretti, inventore... (Con enfasi) Il grande Verretti? Oh, ina io sono onoratissimo di fare la vostra conoscenza. Giorni fa ho veduto la vostra villa, signor Verretti: sul mare, meravigliosa. (Verretti dapprima sorride, poi, pian piano, entra nel gioco) All'estero si parla molto di voi, signor Verretti. E anche, sapete di chi? Della Santini...

Verretti                       - (che, prima curvo, ora s'è drizzato tutto, s'è ravviato i capelli, e sembra un altro, più giovane, più elegante, tanto l'illusione lo anima) L'attrice, volete dire.

Boné                           - Sì, la nostra grande attrice. (Con enfasi) Quale carriera! Sapete che ancora pochi anni fa faceva la dat­tilografa, e annaffiava, in un'anticamera, i gerani d'una piccola finestra? Maria Santini. E' bella, vero?

Verretti                       - Volete conoscerla?

Boné                           - Oh, ma io non sono che un uomo qualunque...

Verretti                       - E' qui. Non vi preoccupate, signor Boné: è rimasta quella d'un tempo: semplice, alla mano, non si dà arie da grande attrice. (A Maria, presa anch'essa nel gioco) Permettete, signora? Giacomo Boné, mio amico.

Maria                          - (porge la mano a Boné).

Bonè                           - (le bacia la mano con galanteria. Poi, modesto) Oh, il grande Verretti è troppo buono dicendo che sono suo amico. Suo ammiratore, ecco tutto, e anche vostro, signora. Vi ho seguita, signora, nell'ombra, du­rante tutta la vostra carriera. Mi dicono siate venuta in Italia per recitare la «Figlia di Jorio». Una delle vostre tante grandi interpretazioni.

Maria                          - Giacomo Boné, avete detto. (Come parlando a se stessa) Dove ho conosciuto, io, un Boné... molti anni fa...

Boné                           - In un'anticamera, signora. Nell'anticamera d'un Commendatore. Eravate presso una finestra, sul davan­zale c'erano dei gerani. Pensare: a quel tempo, se vi avessi amato, avrei potuto dirvelo... ora c'è un abisso tra voi e me. Sì, quel Boné sono io. (E ricordate che entrai nell'anticamera, ed ebbi quasi un battibecco con l'usciere perchè non volevo essere ricevuto dal Com­mendatore?

Verretti                       - Ricordo anch'io, caro Boné. Ma perchè non volevate essere ricevuto?

Bonè                           - (sorridendo) Perchè avevo in tasca, e l'ho ancora, sapete, una lettera di raccomandazione. (Si trae di tasca la lettera, e la legge a voce alta, attorniato da tutti, tranne che da Chinigò, il 1/juale, per un momento, pedala) « Egregio Commendatore; il latore della presente si chiama Giacomo Boné: è un (giovane sveglio, attivo, coltissimo, dotato di intelligenza non comune, di un'one­stà a tutta prova, e sono sicuro «he qualunque incarico vogliate affidargli, egli non deluderà la vostra fiducia. Giacomo iBonè ha dinanzi a se un grande avvenire: sta a voi, Commendatore, aprirgli e indicargli la strada del successo ». (Pausa) Tutto questo, naturalmente, non è vero. Io sono un uomo qualunque, un mediocre. Bolo una lettera di raccomandazione poteva dire di me simili cose, solo una lettera di raccomandazione poteva, d'un mediocre, fare un 'genio. E volevate che io, ricevuto dal Commendatore, rinunciassi iper sempre, consegnando­gliela, a questa lettera ch'è tutto il mio tesoro, ch'è tutta la mia ricchezza? (Pausa) Io sono un nomo qualunque, faccio un mestiere qualunque, guadagno quel che mi basta, nessuno mi conosce, ma ho in tasca una lettera che mi mette al disopra di tutti igli nomini; non avrò mai successo nella vita, ma ho in tasca una lettera, fir­mata da un ministro, che dice: « Giacomo Bonéè un genio ». E volete ch'io mi faccia ricevere dai commen­datori per ottenere un posto in cui farei cattiva figura, per perdere per sempre (mostra la lettera) questa mia ricchezza, questo mio patrimonio? Per uccidere il grande Giacomo Bonéch'è qui dentro (indica la lettera) e Io porto sempre con me? (Si mette in tasca la lettera, poi, galante, a Maria) Solo per questo, aignora, ho ardito chie­dere al grande Verretti l'onore di esser presentato. Sono anch'io qualche cosa. (Con orgoglio) Voi, signor Ver­retti, m'avete chiamato vostro amico...

Verretti                       - (paterno) Datemi del tu, Boné. (Lo prende sotto il braccio).

Maria                          - Non ve ne andate, Boné, Sfatemi compagnia.

Bonè                           - (accennando agli altri) E questi signori, chi sono?

Maria                          - (con noncuranza) Non so.

Lucia                           - (quasi con ira) Perchè siete «na grande at­trice, vi dimenticate di me.

Bonè                           - (intervenendo) Anche voi, se non sbaglio, era­vate quel giorno nell'anticamera.

Lucia                           - Ricordate? E ho ifatto carriera, sapete.

Boné                           - La signorina Lucia Spinelli?

Lucia                           - (con sussiego) Prego, la signora Lucia De Albertis.

Verretti                       - La signora del Commendatore! L'avete sposato!

Lucia                           - (confidenziale) A voi posso dirlo. Non spe­ravo di sposarlo, ma è andata meglio di quel che non pensassi: c'è cascato.

Boné                           - Non esprimetevi così, signora: avete fatto al Commendatore l'onore di concedergli la vostra mano. Permettete, signora? (Presentandosi) Giacomo Boné. (Accennando a Verretti e a Maria) Conoscete?

Lucia                           - Chi non conosce Maria Santini, la grande nostra attrice? iE conosco anche Verretti. Mio marito è vostro ammiratore, Verretti, parla sempre di voi.

Vebretti                      - (cerimonioso) Ditegli, signora, ch'io serbo sempre una grande gratitudine per lui. Mai dimenticherò, mai, che fu lui ad aprirmi la via del successo.

Lucia                           - Vostro merito, Verretti.

Verretti                       - (negando) Sua bontà, signora.

Martini                        - (che è stato sempre in disparte, quasi offeso per l’esclusione dell’aristocratico gruppo) Permettete?

Boné                           - Scusate...?

Martini                        - (con sussiego) (Pietro Martini. (Vedendo che gli altri non ricordano questo nome) Sua Eccellenza Pietro Martini, ambasciatore. Ero anch'io, quel giorno, nell'anticamera.

Verretti                       - Gridavate contro l'orologio fermo.

Martini                        - Precisamente. Non ero riuscito a nulla, nella vita. Sapete, le professioni sbagliate. Due lauree, una cultura non comune, facevo il rappresentante di com­mercio. Al Commendatore lo dissi: «Una professione qualsiasi ». « Quale? ». « Qualunque altra che non sia la mia». «Ambasciatore? ». «Ambasciatore». Eccomi qua. Sono in Italia di passaggio.

Boné                           - Eccellenza, voi dovete scusare se... (Annun­ciando agli altri) Sua Eccellenza Pietro Martini, amba­sciatore, di passaggio in Italia. (Presentazioni, inchini, baciamano. L'unico escluso, ormai per tacer di Chinigò che, ogni tanto, seduto nel suo angolo, pedala, è Giu­seppe Sten).

Sten                            - (invidioso) E io?

Bonè                           - (poco gentilmente) Che cosa siete voi?

Sten                            - Capo reparto.

Boné                           - Poco. (A Verretti) Non possiamo ammettere fra noi un capo reparto. (Accennando a Martini che sta parlando con le signore) C'è un'Eccellenza, un'artista come la Santini... (A Sten) Non potreste sforzarvi di es­sere un po' più che capo reparto? Grande industriale, per esempio.

Sten                            - (angosciato) (Non ci riesco. Per quanto faccia, non m'è possibile andare oltre il sogno di capo reparto.

Boné                           - Provate. (Agli altri) Permettete? Giuseppe Sten, il grande industriale, recentemente nominato Conte. (Fa le presentazioni, ma Sten è impacciato, bacia malde­stramente la mano alle signore, non sa muoversi senza urtar qualcuno, si inchina esageratamente, e alla fine, vergognoso, a capo chino, rimane fuori del gruppo, in disparte).

Lucia r                        - Ma ohi è?

Maria                          - Dicono un grande industriale, ma...

Verretti                       - Conte quello? Con quei modi? Mi sembra un capo reparto.

Sten                            - (a Boné) (Forse |è meglio ch'io me ne stia in di­sparte. Non so fare il Conte. Scusate. ,(Fa per ritirarsi).

Boné                           - Mi dispiace...

Sten                            - (rassegnato) Più che capo reparto, è impossi­bile. (Va verso la panca, presso Chinigò, e si siede).

Martini                        - (con importanza, e finta pietà) Povero Sten. Lo conobbi; quel giorno, nell'anticamera. Un vinto della vita. Gente negata al successo.

Verretti                       - Poveretto. (Intanto, mentre Martini, Lucia e Verretti fanno controscena mantenendo i modi e i ge­sti delle loro incarnazioni, Maria e Bonévengono a tro­varsi vicini, separati dagli altri, e avanzano un poco verso il proscenio).

Maria                          - Sul serio, Boné, voi mi ricordate ancora presso la finestra dei gerani?

Boné                           - Come fosse oggi, signora. (Come rievocando) Il quindici aprile, c'era un ramo fiorito, e il calendario, ricordate?, segnava il dieci di gennaio. E voi eravate ve­stita con un abito a giacca grigio, e avevate una borsa marrone a tracolla. Una piccola dattilografa.

Maria                          - .Credete ch'io la rimpianga, quella finestra?

Bonè                           - (prendendola per una mano) Certo. (Come s'accorgesse solo ora di averla presa per una mano) Scu­sate. iNon mi pareva più d'essere con la grande attrice, ma con la piccola dattilografa. (Pausa) Per un momento, aveste o no, quel giorno, per me, una piccola simpatia?

Maria                          - (avvicinandoglisi) Una simpatia, sì.

Boné                           - E vi siete ricordata sempre di me?

Maria                          - (con slancio mal rattenuto) Sempre.

Boné                           - E perchè, quel giorno, non me lo diceste?

Maria                          - Perchè «redevo 'davvero di diventare una grande attrice.

Bonè                           - (continuando nel gioco che sta per finire) Ma lo siete!

Maria                          - Io sono la dattilografa.

Bonè                           - (incredulo) Con questo meraviglioso vestito da sera? Con questo portamento?  (Pausa, e Maria s'ad­dolora, e sta per piangere. Ma Boné, fingendo di non accorgersene) La Santini! La grande attrice!... E pen­sare che avete un cognome... Maria Santini. Sentite com'è piccolo, com'è mite, un cognome tutto d'ufficio e di ge­rani... Eppure... e io, invece, son rimasto sempre lo stesso.

Maria                          - (curiosa e ansiosa, come una ragazza qualun­que) E provaste anche voi, quel giorno, una simpatia per me?

Boné                           - E la provo ancora.

Maria                          - Perchè non me lo diceste?

Boné                           - Perchè eravate una grande attrice.

Maria                          - Non lo sono più.

Bonè                           - (prendendole le mani) Sei Maria Santini, quella dei gerani?

Maria                          - (innamorata) Quella.

Boné                           - E ti contenti di me?

Maria                          - (sorridendo) Sono Maria Santini e mi con­tento di Giacomo Boné.

Bonè                           - (sorridendo) Di quale? (Indica se stesso) Di questo o di quello della lettera?

Maria                          - Di questo. Ma quello della lettera lo fac­ciamo rimanere...

Boné                           - E facciamo rimanere anche Maria Santini, la grande attrice, che ci accompagnerà come un sogno, per tutta la vita. Sempre intatto, che non si sciuperà mai. (Si stringono le mani, frenando a stento un desiderio e un moto di abbraccio. Ma in quel momento)

Verretti                       - (venendo verso di loro) Boné.

Bonè                           - (staccandosi da Maria, guarda verso Verretti).

Verretti                       - Se non ci siete voi, non riusciamo più a... Io non mi sento più quello di prima...

Bonè                           - (sorridendo) E Sua Eccellenza?

Martini                        - Che Eccellenza! Io sono Martini, rappre­sentante di commercio.

Bonè                           - (a Lucia) E vostro marito?

Lucia                           - (alza le spalle, tra addolorata e avvilita).

Sten                            - (alzandosi e avvicinandosi) Ci ho gusto. Posso tornare fra voi, ora.

Boné                           - Ora sì, ma fino a quando vorremo noi, fino a quando non ci piacerà di ridiventare (indicando Versetti) lui celebre inventore (indicando» Martini) lui Eccellenza (indicando Maria) lei grande attrice (indicandon Lucia) lei moglie del Commendatore, e io quello della lettera. (Rivolto a tutti) Siamo padroni dei nostri sogni, ormai, e basterà, ogni volta che vorrete rientrarvi, che veniate da me. Io posso molto più del Commendatore, (Indicando la gran porta) Ve lo sciuperebbe, lui, il vostro sogno. (D'improvviso, la lampada rossa del quadro luminoso si spegne e s accende quella verde, e si ode, per molti istanti, un fortissimo suono di campanello).

L’Usciere                    - (alzandosi e avviandosi al gruppo) Il Commendatore dà udienza. Maria Santini. (Le indica la gran porta).

Maria                          - (intimorita, si sposta dall’usciere).

Bonè                           - (la prende tra le braccia) Vieni via, Maria. (Vanno verso la porta).

L’Usciere                    - (trasecola. Poi) Allora, voi, Verretti.

Versetti                       - (guarda i due che s'accingono a uscire) Io vado via, con Boné.

Bonè                           - (sottovoce) Piano, in punta di piedi, che il Commendatore non senta. (A Martini, che s'avvia anch'egli in punta di piedi, verso Tuscita) Anche voi, Ec­cellenza?... Anche voi, signora De Albertis? Tutti?

Sten                            - (si avvia anch'égli, insieme a Lucia).

Boné                           - Anche voi? Ma solo capo reparto, badate.

Sten                            - Che importa? E' piccolo, ma è sempre un sogno. E lo voglio anch'io. (L'usciere rimane in mezzo alla scena, interdetto e smarrito. Il campanello torna a suonare per alcuni istanti. Poi).

Bonè                           - (si ferma sulla porta, e guardando verso la panca, come se solo ora si ricordasse) Chinigò. Ma lui è bene che rimanga: è l'unico che possa ottenere dal Com­mendatore ciò che vuole. Addio, Chinigò, il più bel sogno è il tuo. (Esce con gli altri, stringendo Maria fra le braccia. Nello stesso istante, la gran porta si spalanca da se, e dalla stanza del Commendatore viene una gran luce che illumina tutta Vanticamera. L'usciere corre verso Chinigò ch'è seduto e ha il capo reclinato sul petto. Lo scuote per le spalle).

L'Usciere                    - Chinigò, Chinigò, tocca a voi. (Torna, fortissimo, a suonare il campanello. L'usciere quasi gri­dando, e scuotendo' il vecchio) Chinigò, Chinigò Luigi! (Lascia la stretta, e Chinigò, dolcemente, strisciando con la schiena lungo la parete, cade disteso sulla panca, co­me si fosse addormentato. Stupore dell'usciere. Nuovo suono di campanella, é su questo suono, sul povero Chi­nigò e sulla gran luce che lo illumina tutto, cala la tela).

FINE