L’ape regina

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L’APE REGINA

Commedia in 3 atti di Vincenzo Tieri

PERSONAGGI

FABIO MALASPINA

CONCETTO GAETA

ADRIANO MURENA

ROMUALDO MURENA

VITTORIO QUIROLO

NICOLA

SAVIO

BARBARA RENDA

GABRIELLA UCIGRAI

ELISABETTA MURENA

CAMILLA PENSIBENE

GILDA

Tempi moderni.


ATTO PRIMO

Un salotto in casa dell'avvocato Fabio Malaspina. A destra è una porta che dà nello studio dell'avvocato; a sinistra un'altra porta che dà nella sala d'aspetto. È un pomeriggio autunnale.

Camilla                - (in piedi, nel centro del salotto, par­lando con Vittorio, ch'é in piedi anche lui come uno che abbia fretta) Tarderà molto?

Vittorio                - Spero di no, signora.

Camilla                - Non è questo il suo orario d'uf­ficio?

Vittorio                - Sì, è questo; ma oggi ha una causa in Cassazione, e l'orario della Cassazione non sempre si concilia con il suo. Ma vedrete che fra poco sarà qui. La sala d'aspetto (accenna a sinistra) l'avrete vi­sta, è piena di gente...

Camilla                - Ecco, appunto; e non vorrei che i miei amici dovessero rimanere in coda a tutta quella gente. Si tratta di amici di riguardo. Sono venuta apposta io per ot­tenere la precedenza. Mi volete rare la cortesia di far entrare qui dentro i miei amici?

Vittorio                - Lo farei volentieri; ma non so che direbbe lui... perché questo è un sa­lotto riservato alle sue consultazioni parti­colari.

Camilla                - E quella de" miei amici è una con­sultazione particolare. Sono venuti apposta dall'Egitto per... insomma diranno loro perché. Io ho fatto ai miei amici il nome dell'avvocato Malaspina come sua vecchia cliente...

Vittorio                - (per abbreviare) Va bene, signo­ra, va bene. Fateli entrare.

Camilla                - Permettete che ve li presenti?

Vittorio                - Non ho tempo adesso, signora. Fateli accomodare qui, e appena l'avvo­cato sarà rientrato, farò in modo che siano i primi.

Camilla                - Ci conto, avvocato. Grazie.

Vittorio                - Prego, prego. Arrivederci. (Esce per la destra).

Camilla                - (va verso la porta di sinistra, la di­schiude, fa un segno nell'interno) Venite. (Poi si scosta e lascia passare Barbara e Concetto Gaeta, continuando) Ecco, qui. Sarete i primi. Accomodatevi. (Bar­bara siede. E poiché Concetto rimane in piedi, Camilla prosegue) Accomodatevi.

Concetto              - (nervoso) Grazie. Preferisco ri­manere in piedi.

Camilla                - (a Barbara) Faccio io gli onori di casa, perché è come se fossi di casa anch'io. Tu sai la ragione per cui dovetti anch'io chiedere la sua assistenza... Ah, e un grande avvocato. E poi ha una com­petenza specifica in questi casi un po' delicati. Si può dire che non si occupi di altro.

Concetto              - Io mi permetto di credere, si­gnora, che nessuna competenza al mondo può piegare il codice a profitto di una cau­sa sballata. (Si ferma a guardare Barbara che si è chiusa in un silenzio impenetra­bile) Scusa, Barbara, se insisto, se conti­nuo a fare la parte del diavolo. Non vor­rei che tu interpretassi male le mie paro­le. Quello che io dico non toglie nulla agli obblighi che io ho assunto verso di te. (Poi a Camilla) Ma come volete, signora, che io e lei, dopo che ci saremo sposati, possiamo adottare una figlia nata da lei fuori del suo matrimonio? Il codice parla chiaro. L'articolo 291 del nuovo codice ci­vile dice: «i figli nati fuori del matrimo­nio non possono essere adottati dai loro genitori ».

Barbara                - Appunto: dai «loro» genitori. Ma tu non sci il padre di mia figlia, e io non risulto essere sua madre. Il tuo arti­colo dice anche: «l'adozione tuttavia non può impugnarsi se, al momento in cui av­venne, la qualità di figlio naturale del­l'adottato non risultava da riconoscimento o da dichiarazione giudiziale...».

Concetto              - (incalzando in favore della pro­pria tesi) «... a meno che non si tratti di un figlio naturale non riconoscibile, del quale la filiazione risulti in uno dei modi indicati dall'articolo 277 ». (Poi a Camilla Insomma, signora, le cose stanno così. Barbara ebbe una bambina - l'attuale figlia, Gabriella - da un certo Ucigrai...

Barbara                - L'ebbi per caso, contro la mia volontà.

Concetto              - Quasi tutti i figli, allora, si ave­vano per caso, contro la propria volontà. Era il periodo del neomaltusianesimo, il periodo della pazzia. (Poi, dopo una bre­ve pausa, con altro tono) Non capisco, del resto, che importanza abbia questo parti­colare. Gabriella, è o non è tua figlia?

 Barbara               - Non intendo negare a te che sia mia figlia. Non l'ho mai né disconosciuta né abbandonata. Vive con me dal primo attimo della sua vita.

Concetto              - E allora?

Barbara                - Voglio dire - se mi lasci parlare e se la smetti con codesto tono nervoso e arrogante - voglio dire due cose: prima di tutto che non sarei stata pazza a gene­rare volontariamente una creatura, come dici tu, fuori del matrimonio; e poi che, appunto per questo, non volli dichiarare la mia maternità, lasciando che solo il pa­dre la denunziasse come figlia sua, Uci­grai, nata da madre ignota. Che ne sa, dunque, la legge, che Gabriella è mia fi­glia? Dinanzi alla legge ella è figlia di madre ignota. La legge conosce e riconosce suo padre, non me. Quando io sarò tua moglie, la legge non avrà nessun mo­tivo per impedire che ella sia adottata da te e da me. (Poi a Camilla con altro to­no) Capisci, Camilla si tratta di rego­lare la posizione di questa creatura : in primo luogo, levandole questo cognome, Ucigrai, del quale vent'anni fa furono pie­ne le cronache giudiziarie, e in secondo luogo permettendo al ragazzo che s'è in­namorato di lei di sposarla senza l'ostilità dei suoi genitori.

Camilla                - Capisco. E questo Ucigrai... che cosa se n'è fatto?

Concetto              - Ecco il punto, signora! Che cosa se n'è fatto? Dov'è? Come vive? Ci lascerà tranquilli? Non avrà per caso la ten­tazione di venire a dichiarare che la ma­dre è lei? E quando l'avesse dichiarato - e provato, perché facilmente può provarlo - non si opporrebbe per caso all'adozione da parte della madre secondo lo spirito della legge, rendendo quindi difficile l'a­dozione da parte mia e comunque gene­rando uno scandalo da cui Gabriella non ha niente da guadagnare?

Barbara                - Se Ucigrai si facesse vivo, si fa­rebbe vivo soltanto per morire. Morire dimia mano.

Concetto              - Peggio di peggio. Scandalo su scandalo. Mentre sarebbe tranquillo e naturale che Gabriella conservasse la sua pa­ternità, che della sua particolare condi­zione si rendesse edotta la famiglia del fi­danzato e che se la famiglia del fidanzato ha il prurito del puritanesimo, si mandasse il matrimonio per aria; tanto di fidanzati al mondo non ce n'è uno solo.

Barbara                - Io so che se mia figlia non potesse sposare Adriano Murena morirebbe.

Concetto              - Non si muore per così poco.

Camilla                - Ah, questo non ve lo faccio dire, signor Gaeta. Io, per non aver potuto spo­sare l'uomo che amavo...

Concetto              - Siete morta?

Camilla                - Che conta il morire fisico di fron­te al morire spirituale?

Concetto              - Siete morta spiritualmente?

Camilla                - In un certo senso, sì.

Concetto              - Andiamo, signora, non ci avvol­giamo nella letteratura romantica, anzi romanzesca...

Barbara                - (a Concetto) Vuol dire che se io non ti sposassi, non te ne importerebbe niente.

Concetto              - Che c'entra! Noi non siamo due ragazzi, conosciamo i doveri che abbiamo assunto reciprocamente, siamo già marito e moglie, anche senza la consacrazione uf­ficiale... (Poi a Camilla) Perché, cara ami­ca, è bene che voi ve ne ricordiate: di­nanzi a Gabriella e al suo fidanzato noi siamo già marito e moglie. Anzi... Ga­briella sa di essere nata legittimamente da noi due... e il fidanzato anche...

Barbara                - (a Concetto) Debbo ricordarti che Gabriella sa la verità...

Concetto              - (che sapeva questo, a bassa voce, in tono di rimprovero) Non avresti dovuto mai dirglielo... Io, ora, lo dicevo per gli occhi del mondo...

Camilla                - Se il mondo sono io... non ho da meravigliarmi di niente. (Una pausa. Poi Camilla domanda) E... questo Ucigrai? (Nessuno risponde. Camilla dopo un'altra pausa, per cambiare discorso) Spe­riamo che l'avvocato Malaspina non si fac­cia attendere troppo. Io ho un appunta­mento.

Barbara                - Puoi andare, Camilla. Oramai... Parleremo noi due con l'avvocato.

Concetto              - Prego. Parlerò io.

Barbara                - Per perdere la causa prima d'inco­minciarla?

Concetto              - Tu sbagli, se credi che io dica le ragioni contrarie per perdere la causa. Io vorrei che il codice fosse dalla parte nostra o che l'avvocato fosse così bravo da piegarlo alla nostra volontà. A Gabriel­la, oramai, non voglio meno bene di te. È la paura delle complicazioni che mi fa tremare, e mi fa tremare per lei. Il giorno in cui ella potesse chiamarmi padre non per finzione come ora, ma padre con il consenso della legge, sarebbe il giorno più bello della mia vita. La prima proposta di adottarla è partita da me.

Barbara                - È partita da te, e poi da te è stata respinta.

Concetto              - Respinta? (Una pausa). Ma in­somma oggi hai deciso di mettere a dura prova i miei nervi?

Camilla                - Calma, calma: vi prego. Non è il caso qui, ora... (Impaziente, si alza) Ma che fa questo benedetto avvocato che non viene? Permettete che vada a domandare al mio amico Quirolo... (Si avvicina alla porta di destra, bussa, apre senza aspettare risposta, entra, richiude).

Concetto              - (con voce bassa e sorda, a Bar­bara) Li stai lacerando i mici nervi. Vuoi farmi impazzire. Tu non devi fidarti trop­po del mio amore. Non devi approfittarne fino a questo punto. Io sono capace di...

Barbara                - (fredda, immobile) Di che cosa?

Concetto              - Tu lo sai bene, di che cosa.

Barbara                - Di andartene? Non sarebbe la pri­ma volta.

Concetto              - Ma questa volta me ne andrei per sempre.

Barbara                - Prova.

Concetto              - Me ne andrei per sempre, perché...

Barbara                - Perché?

Concetto              - Perché un amore come il mio, se può non finire, non è detto che debbasopportare eternamente questa schiavitù...

Barbara                - La libertà che io ti lascio non ha limiti.

Concetto              - (soffrendo) Non t'avessi mai in­contrata!

Barbara                - Se non mi avessi incontrata, mi avresti cercata. Gli uomini come te hanno bisogno di «una» donna, di «quella»; e tutte le altre non esistono. Se non la incontrano, la cercano; se non la trovano, si rassegnano alla solitudine per tutta la vita.

Concetto              - E di questo, naturalmente, si fa un'arma la tua vigliaccheria.

Barbara                - No. Se ne fa un'arma, il mio amore, perché anch'io ti amo.

Concetto              - (sarcastico) Mi basta il tono con cui lo dici!

Barbara                - E se non ti amassi, perché dovreistare con te?

Concetto              - (reticente, nervoso) Non lo so.

Barbara                - Per i tuoi denari?

Concetto              - (c. s.) Non lo so.

Barbara                - Ti avverto che, per la mia cau­tela e previdenza, ho già tanto da poter affrontare la vita da sola.

Concetto              - E sta bene!

Barbara                - Ti dò atto che tu mi hai dato, sempre, molto più del necessario. Ma appunto per questo io, che sono un po' avara, ho pensato all'avvenire. Anche per non lasciare alla tua coscienza scrupoli o rimorsi, nel caso che...

Concetto              - (dolorosamente) Basta, basta!

Barbara                - (si alza, gli si avvicina) Andiamo, vecchio! Non fare il giovanottino capric­cioso. Se ci vedesse qualcuno, ci troverebbe perfino ridicoli. Noi siamo giunti all'età in cui l'amore può essere, deve essere, una bella e forte amicizia, un'amicizia pacata,piena di senso... Entra Camilla rapidamente).

Camilla                - L'avvocato Malaspina è tornato. Potete entrare. (Concetto non si muove).

Barbara                - (a Concetto) Va tu solo. Ti aspet­to. Vedi che mi fido?

Concetto              - Preferisco che venga pure tu.

Barbara                - Se ti dico che mi fido! Tu sai tutto, dall'a alla zeta. Posso darti questa prova della mia... amicizia? È come se fossimo marito e moglie, no? L'hai detto tu stesso. Va, va. (Concetto esce per la destra. Barbara, rivolta a Camilla conti­nua) È un brav'uomo. Mi vuole tanto be­ne. Vorrei volergliene anch'io tanto.

Camilla                - Perché? Tu non gilè ne vuoi?

Barbara                - Sì; ma... (si ferma) Tu sai che all'età nostra, quando la vita ci è stata per qualche aspetto nemica...

Camilla                - Pensi sempre al padre di Gabriel­la? a Ucigrai?

Barbara                - (con un brivido) No.

Camilla                - Chi era?

Barbara                - (con rancore) Un mascalzone. (Una pausa) Fa una cosa, Camilla abbi pazienza. Portali via, i due ragazzi. Mi pento di averli fatti venire fin qui.

Camilla                - Cosa vuoi che riescano a imma­ginare loro...?

Barbara                - Eh! Gabriella è più grande della sua età. Del resto, sa già troppo delle sue origini…

Camilla                - Di suo padre?

Barbara                - Sì.

Camilla                - E che dice?

Barbara                - Tutte le volte che glie ne ho par­lato... che ho dovuto parlargliene... è rimasta silenziosa... Chi può sapere quello che pensa una donna della sua età? Io, all'età sua, concepivo su la vita dei giudizi crudeli. L'ingenuità di quegli anni è spesso una favola...

Camilla                - Hai ragione. (Una pausa). Li chiamo? Vuoi salutarli?

Barbara                - Si, forse è meglio. Grazie.

Camilla                - (va alla porta di sinistra, l'apre, chiama) Gabriella! Adriano! (Entrano Gabriella e Adriano).

Gabriella              - Tutto fatto?

Barbara                - Non ancora. Gabriella. Papà è di là, dall'avvocato. Sono cose noiose, lunghe. Mi dispiace di avervi fatto aspettare tanto.

Adriano               - Non ci siamo mica annoiati...

Barbara                - Ah, lo so, beati voi. Ma è meglio non annoiarsi all'aperto che nell'anticamera di un avvocato.

Gabriella              - Sembrerebbe un avvocato per divorzi, separazioni coniugali, drammi mondani... Non si sente parlare d'altro, in quell'anticamera...

Adriano               - (sorridendo) Per noi... è stata una specie di... preparazione spirituale...

Gabriella              - (a Adriano, con grazia dispet­tosa) Ti avverto che non siamo più in Egitto; ma in Italia.

Adriano               - Ne sono lietissimo. E del resto, non ho nessuna intenzione né di separar­mi né di divorziare...

Gabriella              - Per me, se vuoi...

Adriano               - ...Ma si vede che anche in Ita­lia...

Barbara                - ...ci sono i falsi italiani...

Adriano               - Ben detto. (Sorride) Non oso più continuare.

Gabriella              - Continua, continua. Ti prego.

Adriano               - (a Barbara) Posso continuare?

Barbara                - (ridendo, affettuosa) La continua­zione, per te, oramai, non può essere che una : aspettare il giorno delle nozze, spo­sare Gabriella...

Gabriella              - ...e poi, se credi, diventare cit­tadino egiziano, e divorziare...

Adriano               - (a Gabriella, con intenzione, ri­dendo) Ma prima sposare...

Gabriella              - (con intenzione anche lei) Ti è proprio necessario?

Adriano               - Urgente. (Si avvicina a Ga­briella).

Barbara                - (mettendosi fra i due) Un po' di calma, ragazzi! (Ridono tutti).

Camilla                - La mamma vi ha chiamati per salutarvi, e per affidarvi a me. Sarò da questo momento, la guardia del corpo; la guardia di un bel corpo, se vogliamo; ma...

Adriano               - (galante) Una bella guardia di un bel corpo...

Camilla                - Grazie! Ma una bella guardia... rigorosissima.

Gabriella              - (maliziosa) Signora Camilla vi proclamiamo guardia per tutta la vita...

Adriano               - Un momento. Per tutta la vita di fidanzati...

Camilla                - Ah, certo. Non ho proprio nes­sun desiderio di continuare a far la guar­dia anche dopo.

Adriano               - (sorridendo) Neanche noi, si­gnora.

Barbara                - Ohe! Ma voi state parlando come se foste alla vigilia delle nozze. Meno fret­ta, ragazzi. (Sorride).

Adriano               - (comico, lezioso) Io ho fretta, si­gnora...

Barbara                - (sempre sorridendo) Senti, Camilla è meglio che aspettino di là, meglio che li accompagni io...

Gabriella e Adriano - (insieme) Vogliamo la signora Camilla vogliamo la signora Camilla!

Camilla                - (sorridendo) Ma voi, per chi mi prendete?

Barbara                - (sorridendo, affettuosa) Cari ra­gazzi! (Sospira) Speriamo che Dio vi con­servi sempre questo buon umore! (Entra improvvisamente dalia destra Vittorio, che si ferma su la soglia). Vittorio (in fretta, sottovoce) Vi prego, signori. L'avvocato sta per entrare qua.

Barbara                - È giusto, andiamo.

Camilla                - Andiamo noi. Tu rimani.

Vittorio                - (prima che Barbara possa rispon­dere, avvicinandosi) Preferisco che non trovi nessuno.

Camilla                - Ma la signora è...

Vittorio                - Sì, capisco. Ma se lui vuole, la chiamerà.

Barbara                - (a Camilla Ma si, Camilla. An­diamo di là.

Adriano               - (sottovoce a Gabriella) Che av­vocato difficile!

Gabriella              - (a Adriano) Impara, per quan­do sarai avvocato anche tu. (Escono per la sinistra tutti; meno Vitto­rio, che si preoccupa di chiudere la porta. Poco dopo, dalla destra entra Concetto seguito da Fabio Malaspina che gli ha ceduto il passo).

Concetto              - (dopo aver cercato con lo sguardo Barbara) E dov'è? (Poi, a Vittorio) Cera la signora...

Vittorio                - È andata di là, nella sala d'aspet­to. (Poi a Fabio) Debbo chiamarla? (Fa­bio non risponde. S'è fermato quasi su la soglia della porta. Sembra pensare ad al­tro; ma nel suo sguardo è un misto d'iro­nia, di curiosità e di preoccupazione. Vittorio insiste) Volete che la chiami?

Concetto              - Forse è meglio che la chiami io… Siccome non è sola... (si volge a parlare con Fabio) C'è la figlia, e c'è il fidanzato della figlia. (Fabio ha udito; ma non da segni d'intesa. Concetto continua). Per di più, avvocato, prima di chiamarla, vorrei avvertirvi di una cosa... (Fabio fa qualche passo avanti, come per ascoltare. Vittorio ne approfitta per usci­re dalla destra).

Vittorio                - Con permesso. (Esce).

Concetto              - (a Fabio, cercando le parole) Vor­rei avvertirvi di questo...

Fabio                   - Accomodatevi.

Concetto              - Grazie. Non occorre. Tanto, adesso faremo entrare lei...

Fabio                   - Ho l'impressione che siate nervoso, signor Gaeta. Anche di là siete stato qua­si sempre in piedi. Non è una posizione comoda per risolvere una questione così complicata.

Concetto              - (sorridendo) Si, è vero. Difficil­mente mi siedo... Vi pare un segno di nervosismo? In realtà, eia qualche tempo, so­no un poco nervoso. Forse il clima del­l'Egitto, forse questa storia del matrimo­nio e del riconoscimento... Che cosa stavo dicendo?

Fabio                   - Ah, non so.

Concetto              - (un po' smarrito) Volete che mi sieda?

Fabio                   - (si stringe nelle spalle) Lo dicevo per comodità vostra. Ma... se preferite la po­sizione verticale...

Concetto              - (ride a stento, guardando Fabio).

Fabio                   - (lo guarda anche lui, rifacendo il suo riso).

Concetto              - (cercando un argomento) Studiai anch'io legge, quando ero giovane. Senza laurearmi. Che bisogno avevo di esercitare una professione? Ma io avevo tendenza per il ramo penale. Fate il penalista an­che voi?

Fabio                   - No.

Concetto              - Solo il civilista? E perché?

Fabio                   - Non ho la voce del penalista. So già che se mi mettessi a difendere una causa in Corte d'Assise, a un certo mo­mento qualcuno del pubblico - e magari qualcuno della Corte - si mettereb­be a gridare: « voce! voce! ». Le cause pe­nali si vincono col volume della voce.

Concetto              - (ride ancora a stento) Già. È vero. (Una pausa). Voi avete capito tutto?

Fabio                   - (ironico) Mi capita qualche volta.

Concetto              - Chiedo scusa. Volevo dire...

Fabio                   - Spero di aver capito le cose essen­ziali. Voi volete sposare la signora Barbara Renda; e (ironico) questo esula dal compito mio. Ma la signora Barbara Ren­da vuole che voi adottiate una sua figlia naturale...

Concetto              - ...non riconosciuta da lei...

Fabio                   - ...non riconosciuta da lei ma solodal padre...

Concetto              - ...un certo Ucigrai...

Fabio                   - ...un certo Ucigrai. La vostra paura è che, una volta adottata la signorina Uci­grai, si venga a sapere che lei è figlia na­turale di vostra moglie, mentre la legge impedisce a una donna di adottare la pro­pria figlia naturale. La vostra paura più forte e che improvvisamente salti fuori questo Ucigrai, padre naturale della signo­rina...

Concetto              - ...uomo equivoco, non deside­rabile...

Fabio                   - (guarda Concetto) Lo conoscete?

Concetto              - Per mia e per sua fortuna, no.

Fabio                   - (dopo una breve pausa) Come vostro avvocato, vi consiglio una maggiore pru­denza. Meglio non dare giudizi così nega­tivi sulle persone che non si conoscono. (Poi come pentito) Lo dico per evitare che questo Ucigrai, saltando fuori improvvisa­mente, acquisti il diritto di querelarvi per diffamazione.

Concetto              - (scrollando le spalle) Del suo no­me furono piene le cronache giudiziarie una ventina d'anni fa.

Fabio                   - Voi avete letto quelle cronache?

Concetto              - Io no; ero già in Egitto. Me ne ha parlato mia moglie... cioè, la mia fu­tura moglie.

Fabio                   - Ho capito. (Una pausa).

Concetto              - Avvocato, non vorrei sbagliar­mi; ma mi sembrate meno convinto di poco fa. Poco fa mi avete detto che... c'era il modo...

Fabio                   - Rassicuratevi, signor Gaeta. Non lo faccio per vantarmi; ma, se un modo esi­ste, nessuno può trovarlo meglio di me. (Spiega, per attenuare) Sono uno specia­lista del genere.

Concetto              - (complimentoso) Lo so.

Fabio                   - (sorridendo) La mia fama è arri­vata in Egitto?

Concetto              - Non propriamente; ma ieri, al nostro arrivo, un'amica di mia moglie, la signora Camilla Pensibene...

Fabio                   - La signora è amica della Camilla Pensibene?

Concetto              - Amicissima. Da molti anni. Vi­veva anche lei in Egitto. E fu appunto lei che...

Fabio                   - Ho capito. (Una pausa). Ho un solo piacere da chiedervi, signor Gaeta.

Concetto              - Prego.

Fabio                   - Vorrei parlare un momento da solo con la signora.

Concetto              - Con la signora Camilla?

Fabio                   - No. Con la signora... vostra. Con la signora Barbara Renda.

Concetto              - (lo guarda) E perché?

Fabio                   - Perché... Voi siete un uomo vissuto, un uomo di mondo. Comprenderete i limiti della mia sincerità o, meglio, della mia indiscrezione. Voi vivete insieme con la signora, da molti anni, alla maniera - per usare una parola vostra - alla ma­niera maritale. Può darsi che la signora vi abbia taciuto - e voglia tacervi - un particolare che per la mia opera può es­sere molto importante...

Concetto              - Che particolare?

Fabio                   - All'avvocato bisogna confidarsi co­me al confessore. Permettete che tenga il segreto, della confessione; se la confessio­ne, come credo, ci sarà...

Concetto              - Non capisco. (Sorride a stento) Mi capita qualche volta. Comunque... (Una pausa) In tema di confessioni, voi vi sarete reso conto che io... sono molto innamorato della signora Barbara Renda. Vi sembrerà una confessione un po' ridi­cola, fatta da me, con i miei capelli grigi...

Fabio                   - Io ho appunto il dovere di non tur­bare il vostro amore.

Concetto              - Capisco. Cioè, non capisco. Ma è !o stesso. Vado di là e ve la mando. Io mi fermerò a tener compagnia ai ragazzi.

Fabio                   - Grazie.

Concetto              - Con permesso.

Fabio                   - Prego.

Concetto              - (dalla porta di sinistra) Vi rac­comando. Non le date dispiaceri. Lei tiene molto a far accadere quello che vi ho chie­sto. Vi prego di essere ottimista, incorag­giante...

Fabio                   - Sono ottimista e incoraggiante per natura.

Concetto              - (ride ancora una volta a stento).

Fabio                   - (rifa il riso di lui).

Concetto              - Arrivederci.

Fabio                   - Arrivederci. (Concetto esce). Fabio va alla porta di destra, l'apre, parla nell'in­terno): Quirolo!

Vittorio                - (dall'interno) Dite.

Fabio                   - Datemi, per favore, quel passaporto e quegli altri documenti che sono sul mio tavolo.

Vittorio                - (dopo qualche secondo, entrando) Eccoli.

Fabio                   - Grazie. Metteteli là. (Indica un tavolinetto o altro mobile che sia nel salotto).

Vittorio                - (eseguendo) Debbo far entrare qualcun altro?

Fabio                   - Ancora no. (Mentre Fabio parla con Vittorio, volgendo le spalle alla porta di sinistra, entra, dalla stessa porta di sinistra, Barbara, che si ferma e ha un lieve trasa­limento nell'udire la voce di Fabio; // qua­le, rivolto a Vittorio, continua): Forse oggi non vedrò nessun altro, eccetto la si­gnora Barbara Renda. (L'ha nominata sen­za voltarsi, pur avendo sentito ch'ella è entrata) Vi prego di sbrigare da solo le cose più urgenti; e che qui non venga e non passi nessuno.

Vittorio                - Va bene. (Esce per la destra).

Fabio                   - (dopo un attimo, girando rapidamente su se stesso) Prego, signora.

Barbara                - (lo guarda, sgrana gli occhi, batte le palpebre come per assicurarsi di vederci bene; poi, con voce tremula per l'emozio­ne) L'avvocato

Fabio                   - Malaspina?

Fabio                   - Sono io, signora. Prego.

Barbara                - (fa qualche passo avanti, senza di­stogliere lo sguardo dal volto e dalla per­sona di lui) Vi chiedo scusa della mia        - delia mia emozione... ma... Pare impos­sibile come... fra due persone... possa esi­stere una somiglianza così perfetta...

Fabio                   - Somiglio a qualcuno che voi cono­scete?

Barbara                - Anche la voce. Perfetta. (Poi con un gesto nervoso, con un sussulto, come dipaura) Ma perdinci, o è un'allucinazio­ne... o...

Fabio                   - (freddo, immobile) Io sono qua, esi­sto, non sono un fantasma.

Barbara                - Ma allora...?

Fabio                   - Che cosa, signora? Credevate che io fossi un fantasma?

Barbara                - Ucigrai!

Fabio                   - (guarda dietro di sé come per vedere se ci sia qualcuno; poi) No, signora. Malaspina. Fabio Malaspina.

Barbara                - È terribile. È veramente terribile.

Fabio                   - Se ho capito bene, io sono il sosia di un altro; di un altro che non vorreste incontrare o che pensavate di non dovere incontrare. Succeae, qualche volta. Ma voi mi avete dato un nome, Ucigrai, che ora non è nuovo al mio orecchio. Il vostro futuro marito me ne ha parlato con ac­centi di riprovazione e di rancore. È un uomo... che odiate?

Barbara                - (dopo avere ascoltato attentamente, smaniando) No, no, non è possibile che io continui a parlare con voi. Mi sembra d'impazzire. Ogni vostra parola, ogni vo­stro gesto, ogni aspetto della vostra perso­na sono di lui, appartengono a lui. Ho bisogno di qualcuno che mi illumini, che mi convinca; ho bisogno di una prova.

Fabio                   - (sempre freddo) Eccola la prova, si­gnora. (Indica i documenti che Vittorio ha portato poco prima) Là sopra, ci sono i mici documenti personali.

Barbara                - (va febbrilmente verso i documenti, si accinge a guardarli, si ferma) Li ave­vate preparati per me?

Fabio                   - Non posso negarlo.

Barbara                - E perché li avevate preparati per me?

Fabio                   - Per un presentimento.

Barbara                - Per il presentimento che io...? (Gli sbarra gli occhi sul viso, pronunzia il no­me temuto con uno stupore che vuol es­sere pieno d'accusa) Ucigrail

Fabio                   - (immobile, con tono ammonitore) Non sono Ucigrai, signora. Credo non vi converrebbe nemmeno, che io fossi Uci­grai. Quello che voi volete fare, probabil­mente non piacerebbe a Ucigrai : distrug­gere per sempre il suo nome, togliere il suo nome all'unica creatura che lo porta ancora senza arrossirne...

Barbara                - E tu... perché l'hai cambiato, il tuo nome?

Fabio                   - (ha un leggero moto nervoso all'an­golo destro della bocca) Non mi dispiace che voi mi diate del tu, se il darmi del tu vi serve alla rievocazione del vostro pas­sato; sono il vostro legale, il vostro confes­sore. Il vostro passato mi interessa. Ma il mio nome è Fabio Malaspina. La faci­lità e l'indifferenza di rinunziare al pro­prio nome è delle donne e dei delinquenti. Voi vi chiamate Renda, e fra poco accet­terete tranquillamente il nome di Gaeta, perché il signor Gaeta vi sposerà. Un de­linquente, o presunto tale, che io conosco, un giorno, promosse e ottenne la sostitu­zione legale del suo nome, perché il suo nome era infamato. Che ragione avrei io di accettare un altro nome, dal momento che non sono né una donna né un delin­quente?

Barbara                - (con voce sorda, accusatrice) Uci­grai era un delinquente.

Fabio                   - Ah, era un delinquente? E perché, signora?

Barbara                - Basta leggere i giornali di ventan­ni fa.

Fabio                   - Non faccio collezione di vecchi gior­nali. I vechi giornali sono fatti per il ma­cero, purificano al macero la loro legge­rezza e i loro peccati. Ma ho buona me­moria di quello che stamparono i giornalidi vent'anni fa a proposito di quel delin­quente di Ucigrai. Era accusato, niente­meno, di parricidio: delitto esecrando. Sebbene avesse superato i trent'annì e fos­se nell'età della ragione, egli si era rovi­nato finanziariamente per una donna... per voi. Osteggiato dal padre per questa sua insana passione, egli si era ridotto a una vita di ripieghi. Poiché il padre fu assas­sinato da ignoti a scopo di furto, che cosa ci voleva ad accusare lui, il povero Uci­grai, come autore del delitto? Ma lui fuassolto, mi pare.

Barbara                - Per insufficienza di provel

Fabio                   - Fu assolto in Cassazione, con una formula più ampia; una formula redentrice: «per non aver commesso il fatto». Ma l'unica persona che potesse salvarlo fin dal principio, onestamente - con un alibi inoppugnabile - era la stessa donna (gli trema la voce) che egli aveva amato fino alla rovina. Perché non lo salvaste, si­gnora?

Barbara                - Nessun alibi avevo io. Io ero una povera donna tormentata, distrutta - distrutta nel fiore degli anni - da un uomo volubile, fatuo, vizioso, cinico...

Fabio                   - Tanto cinico, che aveva dato il pro­prio cognome alla propria figlia, mentre voi non volevate - e non voleste - rico­noscerla in attesa del matrimonio ripa­ratore...

Barbara                - Non avevo nessuna ragione di credere che egli mi avrebbe sposata.

Fabio                   - O forse avevate una ragione per evitare che egli vi sposasse? (Una pausa; poi cambiando tono) Ma mi pare inutile rifare il processo Ucigrai, signora. Di lui non si è sentito più parlare. Sono vent'an­ni che non se ne parla. Credo che sia morto. Al pensiero di sopravvivere a un processo così tremendo, si dev'essere ucci­so. « Parce sepulto ». Vogliamo parlare della Questione che vi interessa?

Barbara                - (con improvvisa risoluzione e tono di sfida) Parliamone. Dal momento che voi siete l'avvocato

Fabio                   - Malspina, parliamo­ne. Ucigrai ha ritenuto così infamante il suo nome da uccidersi per lo meno da distruggere, far dimenticare il suo no­me; sarà dunque giusto che lo stesso nome sia tolto a sua figlia, per il suo av­venire e la sua felicità.

Fabio                   - (la guarda) Siete una donna dalle de­cisioni radicali.

Barbara                - Sono una madre.

Fabio                   - Anche l'ape regina è una madre.

Barbara                - Che vuol dire?

Fabio                   - Niente. Faccio l'avvocato, non il pro­fessore di zoologia o l'apicultore.

Barbara                - Ho il diritto di sapere che cosa vuol dire.

Fabio                   - Riconoscerei tal diritto piuttosto al signor Concetto Gaeta.

Barbara                - Non capisco.

Fabio                   - Questo è un vostro diritto, signora.

Barbara                - Ti odio!

Fabio                   - (allegro, cantilenando) « No, fratel, non t'affannare - a odiar me che non so odiare: - tu saetti l'aria ». (Poi con altro tono). È una poesia di Giulio Orsini.

Barbara                - (irritata) Se il caso si è divertito a far diventare proprio te il mio patrono le­gale, non credere che io non abbia la vo­lontà, la forza, i mezzi per raggiungere il mio scopo anche senza il tuo aiuto, anche contro la tua opposizione.

Fabio                   - Io non faccio mai opposizione ai miei clienti. Sono un avvocato onesto.

Barbara                - Ebbene, avanti. Chiama Concetto Gaeta. Voglio che sia presente. A lui tu hai promesso che tutto sarà fatto secondo le mie intenzioni. Chiamalo!

Fabio                   - Non so perché; ma è un uomo chemi fa pena.

Barbara                - È un uomo che mi ama. Un uomo felice.

Fabio                   - (cantilenando come prima) « Non v'è che un modo di essere felici : vivere per gli altri ». - È una massima di Leone Tolstoi - . Siete voi felice, signora? Secondo Tolstoi, l'ape regina non dovrebbe essere felice.

Barbara                - Non so che farmi dei tuoi versi e delle tue massime.

Fabio                   - Con i versi e con le massime - più che con il codice - gli avvocati vincono le cause.

Barbara                - Questa, per te, è una causa per­duta; perché, se tu credi d'intimorirmi con la tua ambiguità e la tua ironia, sbagli. L'arma che tu credi di volgere contro di me si rivolge contro te stesso. Come Uci­grai, sei morto. Come Malaspina, devi di­fendere la tua fama d'avvocato.

Fabio                   - «La fama è la sete della giovinezza; ma io non sono così giovane da avere in considerazione il cipiglio o il sorriso degli uomini». Byron. - (Una pausa; poi con altro tono). - Un giorno, vent'anni fa, mi trovavo nell'aula dove fu processa­to Ucigrai. Avevo varcato la trentina. Ammetto che gli assomigliavo. L'aula pa­reva sorda e grigia, come quella del vecchio parlamento. Le voci degli avvo­cati vi risuonavano lontane e opache, come se battessero contro pareri imbottite. A un certo momento, uno degli avvocati disse : « Quest'uomo si è rovinato per una donna; e chi si rovina per una donna non è capace di uccidere suo padre ». Non si era mai sentita un'affermazione più degna di essere dimostrata. Chi si rovina per una donna, vuol dire ch'è un uomo passionale, un cieco, e quindi capace di qualunque azione per bassa e repugnantc cn'ella sia. Bisogna non aver amato, per non conoscere gli oscuri abissi nei quali può precipitare l'amore. Meglio sarebbe stato dire: «que­st'uomo non e capace di uccidere suo pa­dre, perché è padre anche lui, e solo la paternità propria fa comprendere l'altrui paternità ». - Ma le cause si vincono e si pèrdono attraverso violazioni della logica, travisamento delle passioni umane, ela­sticità degli articoli del codice. E difatti l'inconsistenza della tesi non impedì che Ucigrai fosse assolto. - Ora io so che si può fare quello che voi volete e si può fare il contrario. Dipende dalla mia in­telligenza e dal mio capriccio. Dipende sopratutto dal mio umore. Io leggo nel codice col mio umore, ho un'attitudine speciale a trasmettere il mio umore nella coscienza dei giudici. Non ho perduto nessuna causa in quindici anni di pro­fessione; forse anche perché respingo la cause delle quali non mi sento sicuro. Voi, signora, volete giocare col mio umore, mi volete indispettire. E' un me­todo sbagliato. Voi siete alla mia mercè: tanto nel caso che io sia Ucigrai - ma non lo sono - tanto nel caso che io sia quello che sono: Malaspina. Come Ucigrai, posso impedire che mia figlia sia adottata dal signor Gaeta; come Malaspi­na ho tutti gli elementi - me li avete dati voi - per fare le vendette di Ucigrai. Avete ancora l'animo di sfidarmi?

Barbara                - In altri termini, voi mi fate unricatto.

Fabio                   - In diplomazia la parola ricatto nonsi usa. Si dice: avvertimento.

Barbara                - E qual'è il vostro scopo?

Fabio                   - Quale può essere lo scopo di unarrecato? Quello di vincere una causa. La vostra è una causa che mi piace. E se io non ve l'affidassi? Sareste in contraddizione con voi stessi. E poi... dovreste renderne conto... al vostro futuro marito. (Una pausa). Va bene che non vi conviene né di sfidare di rinunziare al mio patrocinio. credo, signora, che il caso vi ha messa buona strada, sull'unica strada della e della giustizia. ia (piangente, provocatrice) Si direb­be che mi amiate ancora... Fabio All'età mia non si ama più. L'amore è una malattia che attacca i tessuti giovani. Del resto l'amarvi) ancora pre­supporrebbe l'avervi amata.

Barbara                - Avete detto, poco fa, di avermiamata fino alla rovina.

Fabio                   - Non io, signora.Ucigrai.

Barbara                - Volete continuare nella stupidacommedia? 

Fabio                   - Voglio continuare nell'essere quello che sono, quale la legge mi riconosce.

Barbara                - Ammettete, per lo meno, di ver­gognarvi d'essere stato Ucigrai.

Fabio                   - Mi piace la vostra aggressività. Gli anni, per voi, sono passati invano. La giovinezza dell'ape regina dura più a lun­go di quella delle api operaie. So benis­simo che la vostra virtù non è quella d'invecchiare; ma un'altra.

Barbara                - (non comprendendo bene, indispet­tita) Vedremo quale sarà la vostra. (Poi rapida, avviandosi verso la sinistra). Chiamo Gaeta.

Fabio                   - (la raggiunge come per fermarla) Lui solo?

Barbara                - (si ferma, si volta a guardarlo) E chi altro? - Tu sai... che di là... c'è no­stra figlia? - Lei no, sai! Lei ha il dirit­to di essere rispettata. Prima che tu pos­sa dirle di essere suo padre, bada, io sono capace di tutto... anche di ucciderti.

Fabio                   - (guardandola, commiscrandola) Ec­co! - L'ape regina ha l'abitudine di disfarsi del maschio che l'ha fecondata, delfuco. La vostra non è dunque un'abitu­dine soltanto... metafisica; è proprio un'a­bitudine zoologica, l'abitudine reale della razza. - Ho un piccolo apiario in fondo al giardino. Mi diverto a osservare la vita delle api. Il fuco parte per il volo nuziale senza sapere che gli costerà la vita. Se gli uomini seguissero la sorte dei fuchi, il mondo sarebbe spopolato di maschi. Ma eli apicultori non fanno che lodare l'or­dine, la disciplina, la razionalità ch'è nella vita delle api. Non pensano, i distratti, che guai a loro se la loro donna si com­portasse come l'ape regina! - Io non so­no un fuco, signora, anche se voi pensate di avermi trattato o di potermi trattare come tale. Andate, andate. Non pensate a delitti impossibili, non vi fate illusioni. Vostra figlia avrà il nome che serve alla sua felicità. Vi saluto. (Gira rapidamente su sé stesso, si avvia verso la destra).

Barbara                - (lo segue con lo sguardo, preoccu­pata e stupita).

FINE DEL PRIMO ATTO

ATTO SECONDO

Una sala di soggiorno al primo piano dell’Albergo Excelsior. Una porta laterale a destra. Ampia vetrata in fondo, e oltre la vetrata un corridoio, sul quale sono allineate le porte degli appartamenti N. 21, 22, 23 ecc. È sera, poco dopo l'ora di pranzo.

Gabriella              - (entrando, dalla destra, seguita da Adriano) Vediamo se ci lasciano in pace qui.

Adriano               - Del resto, ci vuol poco. Io chiu­do. (Chiude la porta di destra e una tenda ch'è sulla porta). Va bene così?

Gabriella              - Già! E la vetrata?

Adriano               - (avviandosi verso il fondo) Chiu­do anche la vetrata e le tende.

Gabriella              - No, per carità!

Adriano               - (fermandosi) Perché?

Gabriella              - Questa è una sala comune; mica soltanto nostra. È la sala del primo piano. Tutti quelli del primo piano possono en­trarci.

Adriano               - Vedi che cos'è l'albergo? Io gliel'avevo detto a tuo padre. C'è tutto ilprimo piano di una villa bellissima, nelquartiere Nomentano; prima ci stava unalegazione. Vi si trova sùbito l'occorrente.Basta trovare il proprietario...

Gabriella              - E la servitù?

Adriano               - Si fa presto a trovarla.

Gabriella              - Io, francamente preferisco la vi­ta dell'albergo. O casa mia, o l'albergo.

Adriano               - Ti avverto che per me, l'albergo è come non esistesse. Un giorno, due al massimo, in caso dinecessità.

Gabriella              - Bisognerebbe avere in ogni cit­tà un appartamento.

Adriano               - Basta una casa nella città dove si vive; una casa in campagna, per l'estate... e viaggi pochi. Sono stanco di viaggiare.

Gabriella              - Io no. Del resto, ho viaggiato così poco. Anche in Egitto, sempre ad Alessandria. Non mi ricordo nemmeno dove stavo quando ero bambina. - Non vorrai che anche quando sarò sposata...

Adriano               - La moglie deve stabilirsi dove si stabilisce il marito.

Gabriella              - Oh, è inutile che incominci col tuo codice; che, d'altra parte, non cono­sci nemmeno. A me, del tuo codice non importa proprio niente. Se non ti piaceviaggiare, là, tu te ne stai nella tua caset­ta, e io viaggio sola, quando mi pare. Ci mancherebbe che mi sposassi per fare la prigioniera.

Adriano               - (dandosi importanza) Lo ve­dremo!

Gabriella              - Lo faccio mettere nel contrat­to di nozze, sai. Non ti fare illusioni. - Hai sentito, ieri, quei due che parlavano nell'anticamera dell'avvocato Malaspina? Nel contratto di nozze si può mettere tut­to, anche il numero dei viaggi che il ma­rito si obbliga a far fare alla moglie du­rante l'anno. Noi, oramai, abbiamo qua anche il nostro avvocalo, l'avvocato Ma­laspina; quindi...

Adriano               - E io che sono? Non sono un avvocato io?

Gabriella              - (ride) Mi fai ridere! - Intan­to bisogna che ti laurei, e non mi pare che per marzo tu possa strappare una laurea anche a una commissione prezzo­lata... - Poi... ti vorresti mettere con un avvocato come quello, che deve mandar via la gente tanto è bravo? Hai sentito, papà, ieri? « Incantevole, un avvocato in­cantevole. Capisce subito, tutto ».

Adriano               - Se vuoi sposare l'avvocato Malaspina...

Gabriella              - Ah, io non lo conosco. Magari sarà ammogliato...

Adriano               - Magari vecchio...

Gabriella              - ... ma tante volte la celebrità è meglio di qualunque altra condizione.

Adriano               - (indispettito) Ah, be'! Se vuoi sposare un vecchio ammogliato, purché sia celebre...

Gabriella              - Stupido!

                            - (Nel frattempo, Savio, cameriere dell'al­bergo, s'è affacciato dal fondo a guardare come in cerca di qualcuno; poi s'è voltato all'interno di destra).

Savio                   - (sulla soglia del fondo, parlando nel­l'interno) Gilda, hai visto l'avvocato Ma­laspina?

Gilda                   - (cameriera, mostrandosi) Chi è l'av­vocato Malaspina?

Savio                   - Il numero 21.

Gilda                   - Dev'essere giù, a pranzo.(Gilda si allontana. Savio attraversa la sala per uscire dalla porta di destra).

Gabriella              - (a Savio) L'avvocato Malaspina abita in questo albergo?

Savio                   - Sì, signorina. Al numero 21, da ieri sera. È un nostro cliente. Ha casa a Ro­ma; ma qualche volta, per qualche gior­no, viene da noi. - Comandate altro?

Gabriella              - No, grazie.

Savio                   - Con permesso. (Scosta la tenda di destra, apre la porta, chiede, prima di uscire) Debbo richiudere?

Gabriella              - (distratta, indifferente) No...

Savio                   - Grazie, (esce per la destra).

Adriano               - (seccato, ironico) Si direbbe che non ti interessi d'altri che dell'avvocato Malaspina...

Gabriella              - (dispettosa) Mi piace...

Adriano               - Ah, dunque, lo conosci?

Gabriella              - (c. s.) Non ancora; ma spero di conoscerlo stasera.

Adriano               - Ti... presenterai a lui?

Gabriella              - Mi farò presentare da mia ma­dre o da mio padre...

Adriano               - Ti farai presentare come una sua ammiratrice?

Gabriella              - Anche. Ma prima di tutto mi farò presentare come una sua cliente. È l'avvocato della mia famiglia per gli affari patrimonialii; dunque...

Adriano               - Bene, bene! Ti auguro che sia un giovane., e scapolo; (ironico) sebbene, nel caso specifico, non siano, queste, due con­dizioni indispensabili...

Gabriella              - (ride) Tu hai la gelosia delle ombre...

Adriano               - Gelosia? Io? Figurati!

Gabriella              - Stiamo parlando di un signore che non conostiamo né io ne tu - di un'ombra, insomma, almeno per noi - e tu... fai l'Otello addomesticato, l'Otello bianco. (Ride ancora).

Adriano               - Io non faccio l'Otello; ma am­metterai che con te, in questi luoghi pub­blici come sono gli alberghi, c'è poco da fare anche con Romeo... ammesso che tu ab­bia la sensibilità di Giulietta...

Gabriella              - (ride ancora).

Adriano               - Eravamo saliti qua, per...

Gabriella              - Per che cosa?

Adriano               - Per che cosa? (La raggiunge, la prende per le braccia, si mette a baciarla dove gli capita, sulle mani, sul vestito,sulla fronte, mentre ella, ridendo, si di­fende) Ecco, per che cosa! Ecco. Vuoi che te lo dica più chiaro di così?

Gabriella              - (ridendo, schermendosi) Ma che fai? Sta fermo. Lasciami.

Adriano               - (dopo averla lasciata) Mi sono seccato di fare il fidanzato davanti a mammà e a papà. Domenica, quando sa­rà fatto il fidanzamento ufficiale, chiederò una maggiore libertà, perché ho bisogno di conoscerti bene e di farmi conoscere bene. Altro che Otello! Ci mancherebbe che aspettassi ancora un anno sotto la sor­veglianza della famiglia o della signora

Camilla                - Pensibene! - Tu ridi, scherzi, e non t'accorgi che il mio amore non ha la pazienza dell'asino. Mi basta di fare l'asino a scuola. - E niente anni - un anno, due anni - di attesa. Al massimo, dopo la laurea. Quanti mesi sono? (Co­mincia a contare). Uno, due, tre, quattro, cinque...

(Entrano, intanto, dalla destra, Romualdo e Elisabetta Murena, seguiti da Concetto e da Barbara, ; quali hanno finito or ora di pranzare).

Romualdo            - E che? Giocate alla morra?

Adriano               - No, papà. Stavo contando i me­si che mi mancano per laurearmi.

Romualdo            - (scrollando il capo) Dovrei con­tarli io...

Adriano               - Perché... appena mi sarò lau­reato...

Romualdo            - Sarebbe tempo!

Adriano               - ... appena mi sarò laureato... di­cevo appunto con Gabriella...

Gabriella              - (con pudore) Non io. Dicevi tu...

Romualdo            - Che cosa?

Elisabetta             - (sorridendo) Ma diamine, Ro­mualdo. Ci vuol tanto a capire? - Solo che, (guarda Concetto e Barbara), come giustamente dicevano a tavola i signori Gaeta, ogni cosa va fatta a suo tempo...

Adriano               - Per i signori Gaeta, il « suo tem­po » sarà quello che sarà. Bisogna anche vedere qual'è il « suo tempo » per Gabriella e per me.

Gabriella              - Ma che c'entro io?

Adriano               - C'entri, centri. Sono sicuro che tuo padre e tua madre (accenna a Concetto e a Barbara) hanno anche loro fretta, giovani come sono ancora, di liberarsi del­la tua presenza.

Barbara                - (avvicinandosi a Gabriella) Oh, no. Fretta no.

Gabriella              - e tutto per me... anzi per noi. Lasciamo, sì, che si sposi... dal momento che s'è innamorata... ma... è possibile che a vostro figlio (guarda Romualdo e Elisabetta) io debba continua­mente consigliare la calma?

Romualdo            - Questi benedetti ragazzi! (Ride; guarda Concetto). Noi... abbiamo avuto meno fretta di loro; vero, signor Gaeta?

Concetto              - (imbarazzato, sorridendo a stento) Abbiamo fatto tutte le cose... in ordine... (poi a Adriano) Abbiamo già spiegato a tuo padre che:., dobbiamo risolvere quelle nostre faccende patrimoniali...

Adriano               - E che ce ne importa? Potete ri­solverle dopo. A noi - vero, Gabriella? - non ce ne importa niente...

Elisabetta             - Ma noi dobbiamo preoccuparcianche del vostro avvenire.

Adriano               - Ebbene, preoccupatevene. Voi vi preoccupate del nostro avvenire; e noi ci preoccupiamo del nostro presente.

Concetto              - Andiamo, su. Non si tratta del­l'eternità. Due anni, speriamo anche pri­ma. Intanto tu incominci per lo meno la pratica, il noviziato professionale...

Romualdo            - Ma se il fidanzamento è il pe­riodo più bello della vita a due! Domenica sarete fidanzati ufficialmente.

Adriano               - Non basta! (Ridono tutti; Concetto e Barbara a stento.

Adriano               - si avvicina a Gabriella, la prende per una mano e le dice) Senti, Gabriella, ti debbo parlare.

Gabriella              - (ridendo, schermendosi) Ma che fai?

Adriano               - (trascinandola verso il fondo) Ti debbo parlare. (Poi agli altri) Con permes­so. (Esce per il fondo, trascinando Gabriella che fa finta di resistere). (Una pausa. I quattro rimasti si mettono a sedere).

Romualdo            - Io credo che quello che abbiamo stabilito sia perfetto. Domenica facciamo il fidanzamento ufficiale, anche perché Gabriella vissuta sempre in Egitto, possa co­noscere la società che frequentiamo noi; nel­la quale società, del resto, il nome dei Gaeta è molto noto. (Sorride a Concetto come per fargli intendere che luì non fa le cose alla cieca). Vostro padre, che aveva anche 1 suoi quarti di nobiltà, ha lasciato ottimo ricordo di sé fra i più anziani dei miei amici. Troverete fra i miei amici taluno che vi ha conosciuto ragazzo. Molti, anzi, non vi credevano nemmeno ammo­gliato... con una figlia da marito...

Concetto       - (sorridendo a stento) Già! Sono moltissimi anni che manco dall'Italia...

Elisabetta             - Vi siete sposati in Egitto?

Concetto              - Sì, in Egitto.

Elisabetta             - (a Barbara) E voi, signora, siete nata in Egitto?

Barbara                - No. In Italia. Ma, anch'io, da bam­bina, ho vissuto all'estero.

Elisabetta             - Non sempre in Egitto?

Barbara                - Quasi sempre. (Una pausa).

Romualdo            - Quanto a mio figlio, come vi ho detto, egli avrà un assegno mensile... fino a quando Dio mi lascerà in vita; e poi... - Avrei preferito che si sposasse un po' più tardi; ma, dal momento che s'è inna­morato dì una signorina della buona so­cietà.

Elisabetta             - A questo, Romualdo tiene mol­tissimo; e anch'io. La disparità di condizione sociale, nel matrimonio, è quasi sempre fonte d'infelicità. Ricco lo sposo, ricca la sposa; in regola con tutte le leggi mo­rali lo sposo, in regola la sposa...

Romualdo            - « Similia cum similibus facilli me congregantur ».

Elisabetta             - Questo lo diciamo, perché un nostro nipote, per aver voluto sposare una ragazza dai natali oscuri, è già in un ma­re di pasticci; e noi stessi abbiamo dovuto rompere ogni rapporto con lui...

Romualdo            - E vi sia detto, a scanso di equi­voci, perché voi sappiate, per vostra tranquillità, che noi non abbiamo più nulla da vedere con i Murena collaterali. Essi non saranno da noi invitati al fidanzamento ufficiale; e se qualcuno ve ne dovesse parlare...

Concetto              - Oh, noi, veramente, siamo meno rigorosi, meno formalisti...

Barbara                - (con uno sguardo di riprovazione a Concetto) Meno rigorosi e formalisti verso gli altri, naturalmente...

Concetto              - (cambiando) Ah, naturalmente. Per quello che riguarda noi... (Un'altra pausa).

Romualdo            - Quanto alla dote della signorina, voi avete tutto il tempo disponibile regolare, come avete detto, le vostre cende patrimoniali.

                            - (È entrato improvvisamente dalla destra Fabio Malaspina insieme con Vittorio Quirolo).

Fabio                   - (vedendo Barbara e Concetto) Buo­na sera, signora. Buona sera, signor Gaeta. (Imbarazzo di Barbara che sgrana gli occhi su Fabio);

Barbara                - Buona sera, avvocato

Concetto              - (come mai da queste parti?

 (Si alza anche Romualdo).

Fabio                   - Abito qui da ieri servitù, improvvisamente gno di un permesso, eh: chi per un'altra. E cosi, ho pensato di starmene qualche in albergo.

Concetto              - (presentando) Il Sig. Romualdo Murena.

Fabio                   - Milaspina...

Fabio                   - Piacere.

Romualdo            - Piacere. (Poi) Mìa

Fabio                   - (inchinandosi) Molto lieto.

Elisabetta             - (con un sorrìso) Vi conosco di nome. Nella nostra società siete il divo degli avvocati.

Fabio                   - Sono il confidente della buona so­cietà e, per riflesso, anche dell’altra.

Romualdo            - (ridendo) Non il confidente  no­stro, comunque...

Fabio                   - Forse vi dispiacerà di saperlo; ma ho anche un Murena tra i miei clienti.

(Romualdo e Elisabetta si fanno scuri in volto, guardando Barbara e Concetto  come per capire la loro impressione).

Romualdo            - Ah, con quel Murena noi…..Dicevamo appunto poco fa ai signori Gae­ta, dei quali avremo l'onore di diventare parenti...

Fabio                   - (guarda Barbara) Mi rallegro

Barbara                - (fissando  Fabio    con intenzione) Voi lo sapete già, avvocalo. (poi ai  Mure­na, con audacia). L'avvocato Malaspina è colui che si interessa delle nostre questioni patrimoniali...

Fabio                   - Infatti...

Elisabetta             - Oh ma allora vi preghiamo…..accomodatevi...

Barbara                - (A Fabio, come accettare) Se non siete occupato….

Fabio                   - (dispettoso) No. Non sono occupato. Stavo appunto affidando al miocollega (accenna a  Vittorio che è rimasto indietro) certe pratiche di domani  (Presenta)  L'av­vocato Quirolo... i signori Murena.  Quanto ai signori Gaeta, li conoscetegià. (Inchini reciproci).

Romualdo            - (a Fabio e a Vrrromio) Accomodatevi.

                            - (Siedono tutti gli uomini Barbara è sulle spine. Una pausa).

Barbara                - (preoccupandosi che possano rien­trare  Gabriella e Adriano) C’è unpo' di corrente. Sarà meglio chiudere le porte.

Concetto              - (si alza, premurosissimo) Chiu­do io.

(Savio è apparso sulla porta di destra)

Savio                   - Prego. Chiudo io. (Incomincia a chiudere la porta destra). Anche la tenda?

Barbara                - Sì, è meglio.

Concetto              - Forse sarà bene chiamare i ragazzi.

Barbara                - Ma lasciateli! (Poi correggendo il  tono). Avranno anche bisogno di stare un po’ soli, no? (sorride a stento).

Savio                   - (che ha già chiuso la tenda di  destra) I signorini sono nel salone. – Debbochiudere anche la vetrata?

Concetto              - No, forse la vetrata….. (guarda Barbara).

Barbara                - (si alza) Del resto, non mi sento bene. Credo sia meglio che mi ritiri.

Elisabetta             - (a Barbara) Che cosa vi sentite signora?

Barbara                - Non so. Un malessere un po’ vago.Il letto mi gioverà.

Romualdo            - (alzandosi) Allora noi andiamo via... (A Fabio) Ci dispiace avvocato……

Fabio                   - Prego. Consideriamo questa come la nostra prima presa di contatto…. (ride)Siamo, anzi saremo, in un certoparenti. Come avvocato dei vostri futuri parenti, mi sento un po' parente anch'io...

Elisabetta             - Per lo meno, potreste essere uno dei testimoni alle nozze. Malaspìna è un gran nome. Siete, certo, discendente del­la celebre famiglia fiorentina...

Fabio                   - Vorrei rispondere come Napoleone: la mia famiglia incomincia da me.

Romualdo            - Del resto, incomincia benissimo. Avete figli?

Fabio                   - Non so.

Romualdo            - (ride) Come, non sapete?

Fabio                   - Non so, perché no.n sono ammoglia­to. Del resto: « mater certa; pater incer       - tus », perfino nel matrimonio.

Romualdo            - (ride ancora) Ho capito. - Ma, adesso, con la legge sulla ricerca della pa­ternità...

Barbara                - (impaziente, interrompendo) Li ac­compagni! tu, Concetto?

Concetto              - Certamente.

Elisabetta             - (a Concetto Ma non vi distur­bate. Forse la signora ha bisogno di voi...

Concetto              - Prego, prego.

Elisabetta             - Buona sera, signora; e a doma­ni. (Saluta Barbara). Spero che sia una indisposizione passeggera...

Barbara                - Grazie. A doTiani.

Elisabetta             - (a Fabio) Avvocato, buona sera; e tanto, tanto piacere.

Fabio                   - Il piacere è tutto mio, signora.

Romualdo            - (a Barbara) Buona sera. Auguri!

Barbara                - Grazie. Buona sera.

Romualdo            - Avvocato...

Fabio                   - Commendatore...

Elisabetta e Romualdo (insieme, a Vitto­rio) Buona notte.

Vittorio                - Buona notte, signori. (Elisabetta e Romualdo si accingono a uscire per la destra, seguiti da Concetto. Savio riapre la tenda e la porta. Vitto­rio, intanto, rivolto a Fabio, continua). Allora siamo intesi. Vi telefonerò più tardi, o ritornerò.

Fabio                   - Benissimo

Vittorio                - (a Barbara) Signora, buona notte. (Poi a Fabio). E quei certificati?

Fabio                   - Ah, già! Guardate se vanno bene. Sono nella mia camera. Al numero i\.

Barbara                - (fissando Fabio) Abitate vicino a me. Io abito al n. 22.

Fabio                   - (ironico) Cercherò di non darvi fa­stidio, signora. (Poi a Savio). Accompagnate l'avvocato in camera mia.

Savio                   - (a Vittorio) Prego. (Esce con lui per la vetrata).

Barbara                - (appena è sola con Fabio) Perché avete fatto questo?

Fabio                   - Che cosa, signora?

Barbara                - Perché siete venuto ad abitare qui?

Fabio                   - Non sono mica un sorvegliato spe­ciale per dover dare conto di ogni cambiamento di domicilio.

Barbara                - Badate. Io subisco il vostro ricatto; ma lo subisco perché voglio che nessuno sappia quello che è accaduto fra me e voi. Lo subisco perché ho la vosra parola che tutto sarà fatto secondo il mio progetto.- Voi avrete capito che sono decisa a tutto.

Fabio                   - (mettendo una mano in tasca) Volete una rivoltella per uccidermi?

Barbara                - Non ho bisogno della vostra.

Fabio                   - Siete armata? (Una pausa). È curio­so il vostro atteggiamento, signora. Io sono pronto a fare quello che voi volete; e voi continuate a impormelo come se io non lo volessi fare. - Per rassicurarvi, voglio darvi un'arma - non una rivoltella - alla quale non avete pensato. Che interesse potrei avere io a ritornare Ucigrai? - Ve­dete che vi parlo con chiarezza. - Io hocambiato legalmente il mio nome, ho cam­biato la città della mia prima vita, ho messo una barriera fra me e il mio pas­sato. Non potete immaginare con che pazienza e accortezza evito i richiami, i ri­svegli, i legami con il mio passato. - Se voi volete veramente minacciarmi, minac­ciatemi di svelare o di ricordare al mondo che sono io queirUcigrai, sospettato - in­nocente - di un delitto infame.

Barbara                - Voi sapete che questo, io non pos­so farlo.

Fabio                   - Per paura di guastarvi la reputazio­ne? o per rimorso di non avermi salvato, quando era in vostro potere?

Barbara                - Per nascondere a mia figlia le sue origini.

Fabio                   - Ah, ecco.

Barbara                - Mia figlia sa di essere nata da un Ucigrai; ma sa anche che questo Ucigrai può essere morto.

Fabio                   - Infatti.

Barbara                - (commossa, remissiva) Voi avete voluto sentire la mia voce materna. Eccola. Non crediate che se io, allora, non volli denunziarmi madre naturale di mia figlia, l'abbia fatto per mancanza di amor materno. Io so, mia figlia sa quanto amo­re è nella mia preoccupazione continua di sanare gli errori e le ingiustizie del passato. C'era quasi un presentimento, in me, quando io trepidavo all'idea che dalla nostra sciagurata unione nascesse una creatura. Non tanto alla mia volontà mia figlia deve la sua vita...

Fabio                   - ...quanto alla mia.

Barbara                - Potete forse negarlo?

Fabio                   - Al contrario. - E siccome la deve alla mia, io non debbo far niente per riparare gli errori» e le ingiustizie dei passa­to. Voi me l'avete presa, me l'avete ru­bata, e io debbo ignorarla, perfino igno­rarla fisicamente.

Barbara                - (quasi con terrore) Siete venuto ad abitare qui per rivederla? (Fabio non risponde). No, eh! Voi non la rivedrete mai. (Lo guarda con ansia). E... se per dan­nata ipotesi doveste rivederla... non le par­lerete mai di questo.

Fabio                   - Le parlerò del teorema di Pitagora. (Una pausa). - Quando facevo la vita del debosciato, la vita del vizioso, assecon­dando la vostra sete di godimento o ma­gari trasmettendovi la sete di godimento che aveva 10, era rimasto un angolo, nel­la mia coscienza, che tendeva alle cose alte e pure. Iddio non fa mai gli uomini tutti d'un pezzo, né nel bene, ne nel male. Ebbene, in quell'angolo della mia coscienza era nato e si sviluppava il sen­timento della paternità. Se ne avesse te­nuto conto la giuria incosciente che mise in dubbio il mio affetto filiale, molte cose tristi non sarebbero accadute. Ma ecco che dopo vent'anni la giuria ha un'alleata, ha per la seconda volta la stessa alleata: la madre di mia figlia. Mia figlia s'è fatta grande, mia figlia s'è innamorata, mia fi­glia aspetta di potersi unire all'uomo che ama; e io - che pure servo a qualche co­sa perché ella abbia la sua felicità - non ho nemmeno iti diritto di conoscerla, di vedere com'è fatta, di ascoltare da lontano i battiti del suo cuore. (Con risoluto vigore, sebbene a bassa voce). Dov'è? Chiamala! Voglio vederla, voglio parlare con lei.

                            - (Barbara, come investita dal vigore di lui, lo guarda a occhi sbarrati. Improvvisa­mente, si ode la voce di Gabriella dall'interno di destra).

Gabriella              - (dall'interno) Mamma! Mamma! (Fabio tende l'orecchio, capisce. Barbara,non osando muoversi, risponde più morta che viva).

Barbara                - Vieni, Gabriella. (Entra Gabriella, seguita da Adriano).

Gabriella              - Che hai, mamma? M'hanno det­to che ti senti poco bene.

Barbara                - Niente di grave, Gabriella.

Gabriella              - Adriano è venuto a salutarti pri­ma di andar via.

Adriano               - Signora, potevate sentirvi meglio ancora un poco. Gabriella e io stavamo parlando di cose serie. (Poi guarda Fabio). Anche voi, forse. Scusate. Vi abbiamo di­sturbata.

Barbara                - (facendosi forza)

Adriano               - Murena. L'avvocato Malaspina. (Adriano s'inchina, sogguardando Gabriella. S'inchina lievemente anche Fabio. Barbara, guardan­do Gabriella che si è subito interessata di Fabio, continua, con uno sforzo ancora maggiore, la presentazione). Mia figlia Gabriella.(Gabriella s'inchina graziosamente con un sorriso. Fabio la guarda, do­minandosi; le stende la mano).

Gabriella              - (prendendo la mano di Fabio) Sono molto lieta. (Poi guarda Adriano). Anche Adriano farà l'avvocato. Gli dice­vo appunto poco fa che dovrebbe diven­tare un avvocato celebre come voi. Fran­camente, vorrei essere la moglie di un av­vocato celebre... come voi.

Adriano               - (ripensando al colloquio con Gabriella e sforzandosi a tenere il gioco) Naturalmente, bisognerà pure che io arri­vi alla vostra età.

Gabriella              - (volendo essere cortese con Fabio e far dispetto a Adriano) Ci vuol poco, no?

Fabio                   - A essere celebre, sì.

Gabriella              - Anche ad arrivare alla vostra età...

Fabio                   - (sorridendo) Un poco di più... (Una pausa).

Barbara                - Andiamo, Gabriella?

Gabriella              - Un momento, mamma. Debbo domandare una cosa all'avvocato.

Adriano               - (come uno che non ha paura) Pos­so domandargliela io.

Gabriella              - No. Io. (Poi a Fabio). A me piace di viaggiare, a lui no. Ditemi se si può mettere nel contratto nuziale che lui assume l'obbligo di farmi fare tanti viaggi all'anno.

Fabio                   - (guardando con tenerezza

Gabriella              - e sorridendo) Quanti?

Gabriella              - Il numero non conta. Lo stabi­liremo. Per ora, mi preme di sapere se patti simili si possono fare.

Fabio                   - Tutti i patti si possono fare, in sede contrattuale. Purché non siano patti in contraddizione con la legge...

Gabriella              - E questo?

Fabio                   - Questo non è in contraddizione con > la legge.

Gabriella              - (a Adriano) Hai visto?

Adriano               - Si; ma per fare un patto ci vuole il consenso di tutte le parti...

Fabio                   - Naturalmente.

Adriano               - E dunque! Se io sono contrario...

Gabriella              - Oh; ma se tu sei contrario, io non ti sposo. - È giusto, avvocato?

Fabio                   - Giusto.

Barbara                - Ma che sciocchezze sono queste, ora? Andiamo, Gabriella. Non mi sento bene. Bisogna che mi ritiri.

Gabriella              - Scusa, mamma; ma questa non è una sciocchezza. - Tu non ottieni sempre quello che vuoi da papà? (Impercettibile movimento di Fabio.

Gabriella              - continua). Papà fa quello che vuoi tu, perché ti vuol bene. Se lui non vuol fare quello che voglio io, vuol dire che... (Poi, a Fabio). Non vi pare, avvocato?

Fabio                   - (con un sospiro) Io sono scapolo; quindi...

Gabriella              - Siete scapolo; ma vi occupate di queste cose. Come potreste occuparvene senza comprenderle?

Fabio                   - Ci si occupa sopratutto delle cose che non si comprendono.

Adriano               - Ecco! L'avvocato dà ragione a me.

Gabriella              - (con civetteria) No!... - Avvo­cato... Io vi avevo scelto come alleato mio...

Fabio                   - (sorridendo) E lo sono. Non vi ho mica dato torto.

Adriano               - (riscaldandosi) Eh, no! Eh, no, av­vocato. Voi avete detto « sono scapolo » per non darle ragione. Scapolo o non sca­polo, un uomo sa sempre quali sono i suoi diritti e quali i diritti della donna che ama...

Fabio                   - (con malinconia) I diritti della don­na che si ama sono infiniti.

Gabriella              - (guarda Fabio) Lo dite... con malinconia? Per esperienza personale?

Barbara                - (impaziente) Gabriella, io vado. Se non vuoi venire... (Fa l'atto di uscire per il fondo).

Gabriella              - Eccomi, mamma. (Le si avvicina; poi per far dispetto a Adriano, si rivolge ancora a Fabio). Riprenderemo il discorso, avvocato. Tanto, so che voi abitate qui...

Barbara                - (a Gabriella, cercando di non tra­dirsi) Tuttavia, non so se continueremo ad abitare qui noi.

Adriano               - La mia tesi! Perché abitare in al­bergo? C'è quel bellissimo appartamento nel quartiere Nomentano.

Fabio                   - (interessandosi) Certo, nel quartiere Nomentano si sta benissimo...

Adriano               - (a Fabio) Ho piacere che almeno in questo siate esplicitamente d'accordo con me. Figuratevi: tutto il pruno piano di una villa, abitato, una volta, da una Legazione straniera... Credo che ci sia un giardino, un bel panorama.

Barbara                - (a Gabriella) Ha ragione Adriano. Ci andremo.

Adriano               - Ecco.

Barbara                - Buona sera, Adriano. Saluti alla mamma.

Adriano               - (guardando Gabriella) Grazie. Ma io mi fermo giù ancora un poco. (Saluta Fabio). Piacere. Buona sera. (Esce per la destra).

Fabio                   - Buona sera. Piacere.

Barbara                - (spingendo dolcemente avanti Ga­briella) Benedetti ragazzi...

Fabio                   - (con intenzione, a Barbara) Buona sera, signora.

Barbara                - Ah, buona sera. Scusate.

Gabriella              - (a Fabio) Ci rivedremo.

Fabio                   - Lo spero.

                            - (Gabiella e Barbara escono per il fondo. Fabio, rimasto solo, sta un poco sopra pen­siero. Poi suona un campanello).

Savio                   - (dalla destra) Prego.

Fabio                   - (pensando ad altro) Ha preso quelle carte il signore che stava con me?

Savio                   - Si, signor avvocato. Sta per venire qui.

Fabio                   - Portatemi un cognac.

Savio                   - Subito, signore. Con seltz?

Fabio                   - Si. (Savio esce per la destra. Dal fondo rien­tra Vittorio).

Vittorio                - (ha in mano alcuni certificati) Ec­co i certificati. Li ho letti tutti. Vanno benissimo. Nelle prime ore di domani li farò vidimare, e poi ve li manderò qui.

Fabio                   - Qui o a casa, Quirolo.

Vittorio                - Ritornate a casa?

Fabio                   - (sopra pensiero, con un lieve sorriso) Non so ancora. È probabile. Anzi vi pre­go di avvertire l'amministratore che sospenda le trattative con la contessa Fabbri per l'affitto del primo piano della villa. Ho l'impressione che possa servire alla famiglia del signor Gaeta.

Vittorio                - Del signor Gaeta?

Fabio                   - (c. s.) Sì, mi pare di aver capito chein albergo non si trova bene. Se il signorGaeta viene a trattare, fate in modo chesia assecondato. Anche sul prezzo. Senzafare il mio nome.

Vittorio                - Va bene. Arrivederci.

Fabio                   - Buona notte, Quirolo. (Vittorio si accinge a uscire per la destra.Vede entrare Concetto lo lascia passare).

Vittorio                - (a Concetto Prego.

Concetto              - Grazie. Buona sera.

Vittorio                - Buona sera. (Esce per la destra).

Concetto              - (a Fabio) Solo, avvocato?

Fabio                   - Ho salutato adesso la signora e lasignorina.

Concetto              - Mia moglie... la signora... è un po' strana. Ha interrotto una conversazio­ne che poteva esserci utile; che poteva es­sere utile anche a voi. Capisco che voi, ormai, siete padrone della situazione in tutti i particolari. Ma... sapete... anche per rendervi conto delle necessità di agire co­me si vuole agire. (Una pausa). Bisogna aiutare questa ragazza a sposare l'uomo che ama.

Fabio                   - Credete che lo ami?

Concetto              - Eh, perbacco! (Poi, guardando­lo). Ma perché? Voi...

Fabio                   - Domandavo, così. Io ho visti appe­na, poco fa, lei e lui.

Concetto              - E vi hanno fatto l'impressione che...?

Fabio                   - No.

Concetto              - La madre... la signora... crede almeno che si amino. D'altra parte, perché la nostra stessa situazione - quella mia e della signora - sia scevra di ogni... impedimento... e bene che la ragazza si sposi. Io vi» ho detto che amo la signora; ma anche la signora...

Fabio                   - Vi ama.

Concetto              - (lo guarda) Anche per la signo­ra, forse credete che...

Fabio                   - Per carità! - Voi volete attribuirmi giudizii, supposizioni... che... francamen­te... - Io faccio delle domande per ca­pire. Lo avete detto voi stesso che mi giova rendermi conto di ogni particolare. Un atto legale è facile farlo; ma bisogna farlo in modo che dopo non sia motivo di conflitti, di dispiaceri...

Concetto              - L'unico dispiacere che a noi pos­sa venire dall'atto di adozione di Gabriella è che... Dio ne liberi... si venga poi a sapere che Gabriella è figlia della signora. Voi avete detto alla signora di avere stu­diato una formula per cui...

Fabio                   - Una formula magica. (Sorride falso).

Concetto              - (rifa involontariamente il sorriso di lui; poi) Che impressione vi ha fatto Gabriella?

Fabio                   - Ottima.

Concetto              - Bella figliola, vero? Pare quasi più grande della sua età. Aveva simpatia per voi anche prima di conoscervi. L'istin­to. Come se si rendesse esatto conto del bene che state per farle. Ha parlato di voi tutt'oggi... fino quasi a ingelosire il fidan­zato... (Ride). Il fidanzato è rimasto giù. Non ha voluto andar via con i genitori. Bisogna che mandi giù Gabriella a salu­tarlo. Con permesso. (Esce per il fondo). (Dalla destra rientra Savio con il cognac, che depone su un tavolinetto).

Fabio                   - Quella tenda per favore. (Accennaalla tenda del fondo).

Savio                   - La chiudo?

Fabio                   - Sì, grazie. (Poi mentre Savio esegue).Dite al portiere che se torna l'avvocatoQuirolo, lo faccia salire qui.

Savio                   - Bene. (Esce per la destra, chiudendoanche la tenda di destra). (Una pausa. Poco dopo dal fondo entraGabriella che si accinge ad attraversarela sala per uscire dalla destra).

Gabriella              - (vedendo Fabio) Con permesso,avvocato.

Fabio                   - Dove andate?

Gabriella              - Questi fidanzati sono come ibambini. Prima di andare a nanna, hanno bisogno di paroline dolci, di promesse... (Ride). Vado a mandare a nanna il miofidanzato.

Fabio                   - (volendo fermarla) Si vede che vivuol bene...

Gabriella              - Non so.

Fabio                   - Come, non sapete?

Gabriella              -Del bene, io ho un  concetto tutto mio.

Fabio                   - (sorridendo) Ah!

Gabriella              - Può darsi che sia bene anche il suo; ma per ora mi sembra solo una gran fretta... di... emanciparsi, di darsi del to­no... (Stava per dire un'altra cosa e si è pentita, per pudore). Io non ho la stessa fretta. È come se il volergli bene sostituis­se dentro di me l'appagamento di un al­tro bisogno... che non sono mai riuscita ad appagare.

Fabio                   - (dominandosi, sorridendo a stento) Quale?

Gabriella              - (scrollando le spalle) Sarebbe troppo lungo spiegarvi... e poi non sarebbe il caso. Permesso. (Fa l'atto di uscire).

Fabio                   - (sempre per fermarla) Badate che questi sentimenti generici, un po' vaghi... in ultima analisi... sono l'amore.

Gabriella              - Credete?

Fabio                   - Per lo meno, sono un aspetto dell'a­more. L'amore ha tanti aspetti, quanti ne hanno tutte le altre passioni umane : il piacere, il dolore, l'amore materno, l'affetto del padre...

Gabriella              - Sarà che io non li conosco tutti.

Fabio                   - Vi pare. In realtà li avete sperimen­tati tutti. Avrete avuto delle gioie, dei di­spiaceri; avete sperimentato l'affetto che vostra madre ha per voi e voi avete per vostra madre; quello di vostro padre... - Li avete sperimentati così, senza pensarci. Del resto, quando ci si pensa, vuol dire che s'invecchia. Molto meglio provarli sen­za pensarci.

Gabriella              - Ma io li provo - non tutti - e ci penso.

Fabio                   - Non tutti?

Gabriella              - E ci penso.

Fabio                   - Perché non tutti?

Gabriella              - (eludendo la domanda) Non im­porta perché; ma ci penso. Sarebbe questo, dunque, un segno di vecchiaia? (Ride).

Fabio                   - C'è una vecchiaia - diciamo meglio, una maturità - che non riguarda gli anni.

Gabriella              - Riguarda il cervello?

Fabio                   - Ecco.

Gabriella              - Voi, da me, non avete ancora sentito che parole futili.

Fabio                   - Si direbbe che le diciate per nascon­dere... quel sentimento... che dite di non aver provato...

Gabriella              - (lo guarda) Immaginate, forse, quale sia? O lo sapete?

Fabio                   - Se lo sapessi, non ve lo domanderei...

Gabriella              - (dopo una breve riflessione) Già! Siete l'avvocato... per i nostri affari patri­moniali. (Una pausa). Credete che... il pro­getto di mia madre... sia possibile?

Fabio                   - (vago, reticente) Quale progetto?

Gabriella              - Io sono grata a mia madre di avermelo confidato. - Del resto, come poteva non confidarmelo? - E non vi nascondo che lo subisco; ma non mi pia­ce. (Un'altra pausa; guarda

Fabio                   - che nella trepidante ansia non fiata). Non perché io dia valore ai nomi. Ma il mio nome, il mio vero nome, mi è caro come l'unico legame alla figura ignota di colui che mi diede la via... anche se poi non ebbe il coraggio di difenderla.

Fabio                   - (soffrendo) Il vostro sembra un atto Per giudicare un padre, bisogna essere un padre.

Gabriella              - Non basta essere figlio?

Fabio                   - (colpito dall' osservazione, la guarda) Allora voi... non volete bene a vostro padre?

Gabriella              - Non so se gli voglio bene. Ho verso di lui una attrazione simile a quella che si ha per un'idea, per un sogno; ma è un'attrazione che debbo difendere dagli agguati della logica, dagli assalti della logi­ca. - Perché non s'è mai fatto vivo?

Fabio                   - Potrebbe avere ignorato dove voi fo­ste. Avete mai fatto nulla, voi, per cercarlo?

Gabriella              - Mia madre dice di aver fatto di tutto... - Qualche volta ella pensa che sia morto...

Fabio                   - (con una smorfia amara) Ci sono i re­gistri dello Stato Civile per accertare la morte o la sopravvivenza degli uomini, an­che per accertare... l'identità degli uo­mini...

Gabriella              - Il che vorrebbe dire che, se­condo voi, mia madre...

Fabio                   - (alzandosi, imbarazzato) No... (Ride amaro). C'è un vecchio dramma, che agi­ta, come una bandiera alla riscossa, la vec­chia questione sociale della sopravvivenza fisica alla perdita dei diritti civili... Roba superata dal progresso umano e dal rinno­vamento delle leggi. Dopo tutto, un pa­dre e una figlia che non si siano mai in­contrati - per volontà propria o contro la propria volontà - possono benissimo un giorno, incontrarsi e non avere né da arrossire, né da recriminare. Voi vo­lete bene a vostro padre « come a un'i­dea, come a un sogno », probabilmen­te anche lui vi vuol bene allo stesso modo; e che altro occorre perché que­ste due «idee», questi due sogni» assumano forma umana? Un incontro, una spiegazione, e tutto è fatto. - Ma il problema, Gabriella, non è questo. Voi siete una giovane moderna, intelligente, consapevole; siete già, naturalmente, sen­za sforzi, al punto stesso in cui le leggi nuove e i nuovi costumi hanno spazzatoli antichi errori e pregiudizi!. - Il problema è un altro. C'è un nucleo familiare da costituire o da ricostituire. Non un padre e una figlia soltanto; ma una figlia, un padre e una madre. Gariella (interrompendo, rapida) Volete dire che fra mio padre e mia madre, oggi, c'è un altro? (Una pausa). Rispondete, viprego. (Un'altra pausa). Non abbiate pau­ra di essere andato più in là... della mia competenza e della mia esperienza. Fatti simili, se ne leggono e se ne vedono tutti i giorni. Noi giovani affrontiamo la vita sapendo fino alla nausea il male che ci può capitare e quello che possiamo fare noi stessi. Io ho pensato più volte alla parti­colare condizione mia e della mia fami­glia. Rispondete.

Fabio                   - (con disagio) Non è questo... no!

Gabriella              - E allora?

Fabio                   - Lasciate, vi prego, che io non vada al di là della vostra esperienza.

Gabriella              - (dopo averlo guardato) Avete un calore represso ma singolare, parlando di questo. Il problema è stato forse agitato nel vostro studio... a proposito di quello che riguarda me?

Fabio                   - Ma no. Sono le vostre parole, anzi le nostre, che ci hanno portato così lontano.

Gabriella              - Io capirei che di queste cose si rifiutasse di parlarmi mio padre; ma voi...

Fabio                   - (a stento) Fate conto... che io sia vo­stro padre.

Gabriella              - (sorride con malinconia) Dal momento che debbo essere adottata da qualcuno... (Una pausa; lo guarda). Ma è poi vero che se voi, poniamo, foste mio padre, non mi parlereste di tali cose?

Fabio                   - (sorride anche Lui; ma a stento e con commozione) Non vi nascondo che la vostra domanda mi pone in imbarazzo. Certo, essere padre è una cosa, e imma­ginare di esserlo è un'altra. Ma... io cre­do... che vostro padre non vi parlerebbe di questo.

Gabriella              - E farebbe bene?

Fabio                   - (turbato) Non so.

Gabriella              - Farebbe bene, anche se mi giu­dicasse, come voi mi giudicate, moderna, intelligente, consapevole? (Una pausa). Non rispondete. Ora credo, veramente, che essere padre è una cosa e immaginare di esserlo e un'altra. Ma per me l'al­ternativa non esiste. Io sono figlia. Si può non aver figli; ma figli si è, sempre. E io, come figlia, saprei ben dire a mio padre quello che penso e quello che sento .

Fabio                   - (con trepidazione) Che cosa?

Gabriella              - (lo guarda) Gli direi, per esem­pio: « Tu fai male a lasciarti amare e desiderare da me senza far nulla per me. L'avermi dato la vita così, può essere una colpa. Sparendo, tu mi hai privata di uno degli oggetti più sacri del mio amore e del mio desiderio... ».

Fabio                   - Lui potrebbe domandarvi!; « Sei si­cura che io te ne abbia privata? ».

Gabriella              - Tu o mia madre non importa. Io porto il tuo nome. Il capo della fami­glia, il padrone sei tu, che dai il nome a tutti noi... Io posso, io ho il diritto, di rimproverare a te, più che a mia madre, questo abbandono, questa fuga.

Fabio                   - (dolorosamente) E come puoi dire, fi­glia, che si tratti di un abbandono, di una fuga da parte mia?

Gabriella              - Mia madre... mi ha tenuta con sé.

Fabio                   - (dopo una pausa) Forse anche lui,Gabriella, vi avrebbe tenuta con sé. Io cre­do di poter immaginare che voi nel suo cuore - nel suo cuore forse disincantato, forse deluso - siete stata la malinconia delle cose che potevano essere e non fu­rono.

Gabriella              - Anche lui nel mio cuore è stato come la stessa malinconia. Ma lui alla sua malinconia ha potuto dare un viso perché certo mi ha vista quando ero bambina; e io non ricordo di aver visto lui.

Fabio                   - Credo che rivedendovi o vedendovi per la prima volta vi amerebbe più di quanto non vi abbia amato nell'attesa; cre­do che farebbe di tutto per ripagarsi del tempo perduto.

Gabriella              - Potrebbe ancora farlo?

Fabio                   - Credo di sì, Gabriella.

Gabriella              - Lo dite con un tono di sicurez­za e, vorrei dire, di partigianeria. Voi, come uomo, se non come padre, siete dalla parte sua?

Fabio                   - Può darsi che la parte sua sia anche la parte vostra. La malinconia vostra tre­ma in me non meno che la malinconia sua.

Gabriella              - Lo conoscete dunque?

Fabio                   - Lo conosco... ora... attraverso voi.

Gabriella              - Sareste capace di cercarlo?

Fabio                   - Sì. (Egli ha appena finito di pronunciare il monosillabo pieno di promessa e di spe­ranza, quando fra le tende della porta di fondo appare Barbara).

Barbara                - (preoccupatissima) Gabriella, che cosa fai qui?

Gabriella              - Mi son fermata a parlare un momento con l'avvocato. Scendo giù, e ritorno. (In fretta, scosta le tende della porta di destra e vi trova Adriano che sta per entrare). Ah, ecco, sei qui. Venivo da te...

Barbara                - (energica, sdegnata) Salutatevi, evia!

Adriano               - (dopo un comico gesto come per dire: «Che rigore!») Buona notte, signorina.

Gabriella              - (dopo aver rifatto il gesto di Adriano, comica anche lei) Buona notte, signore! (Sempre comico, in punta di piedi, Adria­no, si avvia, scosta la tenda di destra, esce. Gabriella, similmente, in punta di piedi, guardando Fabio, che non s'è mosso, arri­va al fondo, scosta la tenda dalla parte opposta a quella dove s'è fermata sua madre, ed esce anche lei, comica).

Barbara                - (tenendo chiusa la tenda con una mano, si rivolge a Fabio, gli dice con ran­core, a bassa voce) Domani lascerò que­st'albergo. Non ti darò mai più il modo di parlarle.

Fabio                   - (senza voltarsi) Prova.

Barbara                - (sempre con rancore, sottovoce avvi­cinandosi) Di che cosa le hai parlato?

Fabio                   - (si volge lentamente a guardarla; poi, rifacendo il tono della voce di lei) Del teorema di Pitagora... (Esce per la destra). (Sdegnata, scrollando le spalle, come per mandarlo all'inferno, Barbara apre rapida­mente la tenda, esce per il fondo).

FINE DEL SECONDO ATTO

ATTO TERZO

 Sala terrena di una villa del quartiere Nomentano. Dalla sala si passa al primo piano per mezzo di una scala e sotto la scala è l'in­gresso al giardino. Si vede che l'ambiente, al terreno e al primo piano, è tutto mobiliato ma momentaneamente disabitato. Porte a destra e a sinistra. È mattino, poco prima del mezzo­giorno. Quando si alza la tela, si sente da de­stra il rumore di una chiave che gira nella toppa più volte. Poi entrano Barbara, Ga­briella, Elisabetta, seguite a greve distanza, da concetto Romualdo e Adriano. Li accompagna Nicola, il guardiano della villa.

Elisabetta             - (guardando l'ambiente, così co­me fanno gli altri) La sala terrena è bella.

Nicola                  - E tutto, sopra, è ancora più bello. Ci stava una Legazione straniera, tutti signori. Là, a sinistra, sono altre stanze ter­rene; e sopra, dodici stanze. Quello è il giardino. Dalle sale superiori si può scen­dere al giardino per un'altra scala.

Adriano               - Che cosa vi dicevo io?

Concetto              - (a Barbara) Che te ne pare?

Barbara                - Per me... purché si esca subito da quell'albergo. Non mi ci sono trovata affatto bene.

Nicola                  - Qui vi troverete benissimo, signo­ra. Aria, sole, luce più che ne volete. Dovete fermarvi molto?

Concetto              - Eh, certo. Molto. (Guarda Bar­bara). Anche se avessimo bisogno di fare qualche scappata in Egitto...

Barbara                - (a Nicola) E... se la casa ci piace, quando potremo venire?

Nicola                  - Anche subito, signora. Tutto è in or­dine. C'è, se volete, anche la biancheria.

Gabriella              - E per la servitù?

Nicola                  - Intanto, per ora, ci sono io, c'è mia moglie; ci sono due figlie... Per qualunque altra persona dovesse occorrervi, l'ammini­stratore è in grado di provvedere in poche ore.

Barbara                - Sì, sì, per me va bene.

Gabriella              - Un momento, mamma, guar­diamola.

Nicola                  - Col vostro comodo. Tutte le porte sono aperte. Forse è meglio che la vediate da soli, senza guida. Senza guida una ca­sa s'impara e si capisce di più. Vedrete che bell'effetto, potere scendere dalle sale su­periori al giardino per la scala esterna. Io, intanto, vado a telefonare all'ammini­stra tore...

Concetto              - (dando a Nicola un suo biglietto da visita) Questo è il mio biglietto da visita.

Romualdo            - (a Nicola) Se occorre, potete fare anche il mio nome. Murena. Comm. Mu­rena.

Nicola                  - Grazie, signor commendatore. Al­lora, vado a telefonare all'amministratore e torno. Sapete già il prezzo?

Concetto              - L'ho letto sul cancello. Comun­que, ci metteremo d'accordo.

Nicola                  - Benissimo. Vado e torno. (Esce per la destra).

Barbara                - (cerca una sedia, siede) Sono stanca.

Gabriella              - (avvicinandosi a Barbara) Sei an­che pallida, mamma. Che hai?

Barbara                - Non so. Forse del viaggio risento adesso, dopo tre giorni.

Adriano               - (dopo aver guardato l'orologio) Io arrivo un momento al centro, e torno. Vuoi venire anche tu, Gabriella?

Gabriella              - L'hai scelta, questa casa? E ades­so fammela vedere.

Adriano               - Non sono stato mica io. È stata la signora. Io, tutt'al più, l'ho indicata. Vuoi, almeno, accompagnarmi alla mac­china?

Gabriella              - (dispettosa) No.

Adriano               - Al cancello?

Barbara                - (stanca e un po' seccata) Andiamo,su, accompagnalo.

Gabriella              - Solo fino al cancello.

Adriano               - Sta bene! (La prende per un brac­cio, avviandosi verso la destra). Ma devi smetterla, sai, di fare la dispettosa con me.

Gabriella              - (scherzosa) Ah, sì?

Adriano               - E la smetterai. Sopratutto quando avrai saputo... come... in che modo... io ti voglia molto più bene di quanto tu non creda.

Gabriella              - (sempre scherzosa) « Come? » « In che modo? ».

Adriano               - (serio) Appunto. Come e in che modo.

Gabriella              - (c. s.) Mah!

Adriano               - (reticente ma autoritario) Vieni, vieni, (escono per la destra).

Concetto              - Vieni, Barbara, incominciamo dal pianterreno.

Barbara                - Incominciate voi. Ho bisogno di star ferma un poco. Del resto te l'ho detto. Per me, va bene.

Concetto              - Va bene! Anche l'albergo andava bene; e poi, hai visto? Comunque l'occhio di una donna, in una casa, vede meglio dell'occhio di un uomo.

Elisabetta             - Se la signora è stanca, e se ba­sta l'occhio mio...

Concetto              - (a Elisabetta) Grazie, signora. (Poi a Barbara, scherzoso). Ma non cominciare, adesso, a fare l'ammalata. Qua abbiamo bisogno di star bene. Non è poi detto che il matrimonio dei figli debba invecchiare noi. (Poi, a Romualdo). Vero, commendatore? Noi siamo in gamba...

Romualdo            - In gambissima. Eh, perbacco! È vero che i figli, dopo che li abbiamo fatti, cercano di disfarsi di noi; ma noi... ci difendiamo.

Concetto              - (a Barbara) Hai sentito? (Poi al­legro). Commendatore, incominciamo a vi­sitare le sale superiori. Voglio vedere l'ef­fetto di questa scala esterna che dice il guardiano. (Poi a Elisabetta). Signora, volete precederci?

Elisabetta             - (sorridendo) Volentieri. (Poi, a Barbara). Vi ritroveremo qua, signora; e vi faremo una prima descrizione della casa.

Barbara                - (sorridendo a stento) Sì, grazie.

Romualdo            - Mi pare il momento che inco­minciate a darvi del tu e a chiamarvi per nome. (Poi, a Concetto). Anche noi, è vero?

Concetto              - Onorarissimo, caro Romualdo.

Elisabetta             - Allora, arrivederci, Barbara.

Barbara                - (c. s.) Arrivederci, Elisabetta.

(Elisabetta           - incomincia a salire la scala. Concetto e Romualdo la seguono).

Elisabetta             - (salendo) Certo, a salire le sca­le, non c'è da farsi molte vanterie, all'età nostra...

Romualdo e Concetto (allegri, salendo due gradini in una volta) Là! (Ridono. Continuano a salire)          

Elisabetta             - (sempre salendo) Le case è bene sceglierle con giudizio. Ci sono case dovesi trova la buona fortuna e lano subito inospitali, nemiche...

Romualdo            - Questo è vero. (Hanno già fatto tutta la scala. Escono. Barbara, lentamente, è arrivata dia porta del giardino, s'è fermata a guardare. Ritorna dalla destra, in fretta, Gmmu).

Gabriella              - Mamma! Dove sei, mamma?

Barbara                - Eccomi; che c'è?

Gabriella              - Sai chi è il proprietario di questa villa?

Barbara                - Chi è?

Gabriella              - Te lo dò a indovinare  fra mille

Barbara                - Lo conosciamo?

Gabriella              - Indovina!

Barbara                - Non so.

Gabriella              - (con gioia) L'avvocato Malaspina.

Barbara                - (subito) No!

Gabriella              - Te l'assicuro. Me l'ha detto ora,il custode. Stava telefonando proprio a lui. Non aveva trovato l'amministratore, e stava telefonando a lui.

Barbara                - (rapida) Allora, niente, niente. Non se ne fa niente.

Gabriella              - (la guarda, meravigliata e addolorata) E perché, mamma?

Barbara                - (imbarazzata) Sai... è bene che…. capisci... lui è il nostro legale

Gabriella              - (fissandola) Tu non hai simpatia per l'avv. Malaspina...

Barbara                - (c. s.) Ma no, figurati, rabbuino scelto come nostro avvocato. MaGabriella A me, invece, è simpatico Mol­to. Ieri sera m'ha parlato... come si parla a una donna, non come si parla a una bambina. M'ha parlato come mi parli tu, qualche volta. Io sono grata a chi, parlandomi, mi prende sul serio e non mi mette sempre davanti il ridicolo schermo della età... ammesso, poi, che io abbia così po­chi anni da sembrare una

Barbara                - E che t'ha detto?

Gabriella              - Niente di grave.

Barbara                - Gabriella, che cosa t’ha detto?

Gabriella              - Che cosa temi che mi  abbia po­tuto dire più di quello che io so?

Barbara                - Ti ha parlato di….?

Gabriella              - Non è proprio lui che mi abbia parlato di... Ci siamo arrivati non volen­do.. Anzi, forse, sono stata io che... Mam­ma! Mi guardi in un modo Egli deve pur sapere quello che tu mi hai detto; quello che, del resto, io avevo capito, come sai. Ogni tanto, su questo argomento, nascono equivoci, malintesi, come se poi….Quello ch’è accaduto a me – e a te – fosse straordinariamente insolito. Tu vedi che io sono portata a semplificare, non a complicare la nostra situazione. Non sono più fonte di drammi le “colpe dei padri”. Se io fossi in te, lascerei volentieri che mia figlia parlasse con un uomo come Malaspina: un uomo vissuto, intelligente, ricco di spirito di comprensione…..

Barbara                - Sì, sì, hai ragione. Ma tu non devipensare a questo, ora; tu devi pensare a te, alla tua felicita.

Gabriella              - Credi che la mia felicità sia quella di sposare Adriano Murena?

Barbara                - Perché? Non gli vuoi bene?

Gabriella              - Anche l'avv. Malaspina m na ri­volto la stessa domanda.

Barbara                - E che c'entra lui?

Gabriella              - Si sarà accorto, meglio di te,che io...

Barbara                - Non gli vuoi bene?

Gabriella              - Così. Ne bene ne male. Non mi è antipatico, e non mi fa nemmeno girare la testa. Forse l'ideale, per me, sarebbe stato un uomo che avesse potuto sposar­mi senza le mistificazioni degli atti legali.

Barbara                - Può darsi che lui ti sposerebbe egualmente ma i suoi genitori...

Gabriella              - Credo che somigli ai suoi genitori . Che cosa te lo fa credere? Niente e tutto.

Barbara                - (la prende per un braccio) No, Ga­briella. Così no. Siamo ancora in tempo a... (La guarda). Ma tu non mi avevi mai detto questo; questo tuo pensiero che ora mi gela. Malaspina, dunque, ha fatto tale indagine nei tuoi sentimenti, da...

Gabriella              - Ma no!

Barbara                - Voglio sapere per filo e per segno quello che t'ha detto. Adesso andiamo in albergo, subito, prima che venga in mente a lui di venire qui. Tanto, questa casa non mi va.

Gabriella              - Si direbbe che tu lo téma come un nemico. Ieri sera, due volte, hai avuto fretta di... Sa qualche cosa che ti dispiace?

Barbara                - Che vuoi che sappia!

Gabriella              - Io l'ho trovato giusto nei suoi giudizi.

Barbara                - (irritandosi un poco) Quali giudizi deve dar lui?

Gabriella              - Giudicare i fatti umani, favore­volmente o sfavorevolmente, è spontaneo, irresistibile.

Barbara                - Noi non gli abbiamo chiesto giu­dizi; ma consigli legali.

Gabriella              - Un consiglio potrebbe essere an­che quello di ricercare...

Barbara                - Chi?

Gabriella              - Mio padre.

Barbara                - T'ha detio questo?

Gabriella              - E che c'è di male, mamma? An­che tu, una volta, mi hai detto di aver fatto delle ricerche... Solo che, mal prati­ca, non hai pensato forse a fare le ricerche attraverso lo Stato Civile. (La guarda). Tu... odii mio padre?

Barbara                - I miei sentimenti verso tuo padre non riguardano te.

Gabriella              - Riguardano certamente più te; ma... anche me. Egli non è legalmente tuo marito; ma io sono qualche cosa di più che un vincolo legale fra te e lui.

Barbara                - (con rancore) Queste cose, te le ha dette lui!

Gabriella              - Lui, chi? Io parlo di mio padre.

Barbara                - (eccitata) Bisogna che tu non lo veda più, mai più!

Gabriella              - Chi?

                            - (Si affaccia improvvisamente, dall'alto del­la scala, Concetto).

Concetto              - (dall'alto della scala) Barbara! Ma perché non vieni su? Bisogna pure che tu veda tutto, prima che io faccia il contratto. Gabriella ti avrà detto che l'avvocato Ma­laspina... Io l'ho pregato di venire qui.

Barbara                - No! (Gabriella la guarda con stupore. Concetto sull'alto della scala rimane come stor­dito).

Concetto              - E perché? (Scende). Ch'è succes­so, Barbara? (Appare su la porta di destra Fabio)

Fabio                   - Permesso?

Barbara                - (appena lo vede, lo investe). Che vo­lete voi? Perché ci perseguitate così? Un po' per caso, un po' per volontà vostra, voi siete diventato la nostra ombra. Noi non vi conosciamo, non vi riconosciamo! Abbiamo bisogno di aria, dell'aria che voi ci rubate. (Fabio è impassibile. Gabriella è rimasta ferma, come impietrita. Concetto che ha seguito con estrema attenzione le parole di Barbara, le si avvicina, deciso a sapere).

Concetto              - Un momento. Calma.

Barbara                - (piangendo) Andiamo via, andia­mo via.

Concetto              - Non fare così. Tu sai che o sopra o nel giardino c'è gente. Gabriella, accom­pagnala sopra.

Barbara                - Non è possibile.

Gabriella              - (avvicinandosi a Barbara) Mam­ma, vieni.

Barbara                - No, no.

Concetto              - (con energia) Barbara, ti prego!

Barbara                - Così, in queste condizioni, non pos­so. Come faccio?

Concetto              - (sempre con energia) Ti sentivi po­co bene, dirai che ti sentivi poco bene... Ti prego, Gabriella. Dolcemente, Gabriella trascina  Barbara verso la scala, sale con lei, che continua a singhiozzare).

Gabriella              - (salendo) Non piangere, mamma. Non farti vedere piangere.

Barbara                - (sempre smaniando) Meglio così, meglio così, tanto, una volta o l'altra... (Le due donne sono ora già salite).

Fabio                   - (dopo una breve pausa) Ci scommet­to che invece di chiedere spiegazioni alla vostra futura moglie, vi ripromettete di chiederle a me.

Concetto              - Infatti.

Fabio                   - Non sono un medico, per spiegare gli attacchi di isterismo da cui talvolta sono prese le signore.

Concetto              - (dominandosi a stento) No. Non si tratta di un attacco d'isterismo.

Fabio                   - Allora voi sapete di che si tratta.

Concetto              - Non lo so; ma posso indovinarlo. Voi conoscevate già... la signora?

Fabio                   - Mi è molto imbarazzante rispondervi. Bisognerebbe domandare alla signora se preferisce avermi conosciuto oppure no.

Concetto              - Un po' tardi - come mi succe­de qualche volta - ma ho capito che voi la conoscevate. Non per niente, l'altro giorno, mi chiedeste di parlare da solo con lei.

Fabio                   - Apprezzo l'abilità con cui sapete tro­vare la concatenazione dei fatti.

Concetto              - (dominandosi) Potrei non permet­tervi questo tono; ma... debbo riconosce che, sia pure a malincuore, un diritto di precedenza sulla strada dove ci siamo incon­trati...

Fabio                   - Non capisco se con queste parole vo­gliate offendere me... voi... o la signora...

Concetto              - (sogghignando) Non voglio of­fendere nessuno. Io e voi siamo uomini; sappiamo bene che su quelle strade ci pos­siamo precedere, seguire, incontrare... Non vi meraviglierete, spero, che io, in parte sapendo e in parte immaginando il passato della signora, sia egualmente deciso a spo­sarla. Tante volte si sposano donne che sembrano pure e invece...

Fabio                   - (alzando le spalle) Ho troppo vissu­to, per dare giudizii morali su faccende di questo genere.

Concetto              - Tanto meglio. Ma quello chem'importa di sapere è la ragione dell'or­rore - questa è la parola esatta: dell'or­rore - che la signora prova di fronte a voi.

Fabio                   - Dev'essere un fenomeno di antipatia fisica.

Concetto              - No. Uscì sconvolta già dal primo colloquio ch'ebbe con voi. Ma poi mi parlò del vostro impegno di patrono legale, e lasciai correre. Ieri sera la vostra presenza in quell'albergo la turbò più di quanto po­nesse turbarla il timore di insospettire i Mu­rena. Oggi, improvvisamente, ha gettato la maschera, s'è ribellata a voi in una ma­niera che non consente dubbii. Non si trat­ta, dunque, d'antipatia ma di repulsione e di paura.

Fabio                   - (lo guarda) L'amate molto?

Concetto              - Molto. A qualunque costo. Nonabbiate dunque il timore di strapparmela dal cuore.

Fabio                   - Non ho questo timore. Ho conosciuto un uomo che non riusciva a strapparsela dal cuore nemmeno dopo aver sacrificato a lei la parte migliore della sua vita. Voi non sapete la storia di quell'uomo e di quella donna; io la so. Posso dirvela come se la leggessi in un libro aperto. Ella nasce in una casa di artisti scapigliati : pittori, scul­tori, poeti senza rima. Ma non ha il gusto dell'arte, ha il gusto del denaro: forse è stata concepita di straforo, in una nottata d'orgia, da un banchiere privato. Il suo gusto del danaro non le impedisce di fare una vita dissipata, a danno altrui; ma al danaro che passa per le sue mani ella si attacca con una avidità rapace. A 17 anni ha già il primo gruzzolo e il primo aman­te, Ucigrai, un uomo di quelli che allora si dicevano appartenere alla « jeunesse dorée ». Quest'uomo, naturalmente, si rovina per lei. Ma prima di rovinarsi la costringe all'amore fecondo, le dà una figlia, spera di conquistarne il cuore con questo mezzo. Niente. Tra due esseri normali una figlia è un legame potente. Per lei no. Lei re­spinge l'uomo rovinato, il padre di sua fi­glia. Una notte questo padre, disperato, tenta almeno di rapirle la figlia... (Una pausa, piena di malinconia e d'amarezza) Badate: è una pagina sinistra che vi leg­go. Ma non voglio destare né il vostro or­rore né la vostra pietà. Ve la leggo non come un giudice ma come un lettore. Pren­detela come volete. - È notte. La bambina dorme nel suo lettino in una specie di al­bergo (con disgusto) che la madre ha aper­to per sete di danaro. Il padre è stato tra­scinato a quel lettino dal terrore che la trista clientela di quell'albergo contamini un giorno la purezza di quella bambina. Si apre la porta. Appare Barbara Renda. Due donne della casa la seguono e la spal­leggiano. Succede intorno al lettino una mischia furibonda. Ucigrai, che è diventato debole, uno spettro, è sopraffatto dalle tre furie. La bambina si sveglia... (Una pausa, poi dolorosamente). - Vorrei non avere mai udito il grido di quella bambina... - (Un'altra pausa). Ucigrai è pesto, sfinito, sotto i colpi bestiali delle tre donne. La bambina piange. - Io so che Ucigrai rin­grazia Iddio di aver perduto i sensi, di non avere udito a lungo il pianto di sua figlia. (Un'altra pausa). Ma questo sarebbe ancora poco, se nello stesso momento, al­trove, il padre di Ucigrai non venisse ucciso da ignoti a scopo di rapina. Chi può averlo ucciso, se non il figliuol prodigo, il figlio rovinato? Lo arrestano all'alba men­tre rincasa. Lo processano come un parri­cida. Né Barbara Renda, né le sue complici si fanno vive a salvarlo dall'accusa atroce.

Concetto              - (come oppresso) È una storia or­ribile! Pare inventata. E perché Barbara si sarebbe comportata così?

Fabio                   - Perché! Gli uomini non sanno perché nascono e muoiono, perché il sole sorge e tramonta, perché c'è il fuoco che brucia e l'uragano che distrugge; ma vo­gliono sapere perché un loro simile com­pie alcune azioni.

Concetto              - Io so che Barbara ama sua figlia.

Fabio                   - Anche l’ape regina ama le proprie fi­glie. Le ama e se ne serve.

Concetto              - Non mi risulta che Barbara si sia mai servita di sua figlia...

Fabio                   - Senza sua figlia avrebbe mai potuto chiedere a voi di essere sposata?

Concetto              - (perplesso) Sì...

Fabio                   - Senza sua figlia avrebbe potuto spe­rare che Ucigrai corresse il pericolo di una condanna grave e tuttavia, per amore della figlia, tacesse il particolare di quella notte?

Concetto              - (c. s.) Non so; ma...

Fabio                   - Senza sua figlia avrebbe potuto farsi perdonare, non dico da voi solo, ma da molti, forse da tutti, il suo passato? (Una pausa; guarda ora Concetto con solidale simpatia). Forse non è una speculazione, forse è una fatalità che i genitori si ser­vano anche, perfino, dei figli per farsi perdonare molti loro peccati. Non so se voi abbiate avuto o avrete mai una figlia...

Concetto              - (interrompendolo) È come se l'a­vessi. Io... dopo tanti anni.... voglio bene a Gabriella come se veramente fosse mia fi­glia. E non è un'espressione formale, la mia. All'età mia, quando il prevalere di tutti gli egoismi ha inaridito il cuore, si è tristi solo di non aver dato la vita ad alcuno.

Fabio                   - Credete che non si sia più tristi di aver dato la vita ad alcuno inutilmente? (Improvvisa, dall'alto, giunge la voce di Ga­briella, che dalla madre ha avuto la rive­lazione della verità).

Gabriella              - (dall'interno) Papà! (/ due uomini, al grido di lei, si guardano, Girano contemporaneamente gli occhi verso l'alto; e Gabriella, che è apparsa, si volge chiaramente a Fabio, ripete il vocativo). Papà! (Fabio è immobile, la sua emozione non si vede che per segni quasi impercettibili in tutta la persona).

Concetto              - (guarda prima Gabriella, poi Fa­bio. E dice con profondo dolore) Dice a voi...  (Fabio non si muove ancora. Concetto si rivolge a Gabriella). Vieni. (Gabriella ora scende, raggiunge Fabio, gli cade fra le braccia, tutti e due piangono. Concetto li guarda un attimo; poi, a capo chino, desolato e commosso, senza parlare, esce per la porta del giardino).

Barbara                - (che intanto è apparsa sull'alto della scala, scende, si ferma sul primo gradino, si rivolge a Fabio) Ecco. Hai voluto que­sto. E ora?

Fabio                   - (si stacca lentamente da Gabriella, guarda Barbara, che ora ha disceso anche il primo gradino; poi dice con mal repressa commozione) Ti vorrei rispondere: lascia­mi piangere, lascia che il mio pianto si sciol­ga nnalmene dopo tanto tempo. (Poi, facen­dosi forza). Ma la tua voce è fredda come prima, come sempre; ha l'aria di porre un problema. « Ora ». Ora, che cosa?

Barbara                - (accennando a Gabriella) L'hai ri­trovata. Eccola. Ti ama. (Poi, a Gabriella). È vero che l'ami?

Gabriella              - (con energica chiarezza) Infinita­mente. Egli aveva già il suo posto nel mio cuore.

Fabio                   - (a Gabriella) E tu nel mio, figlia.

Barbara                - (a Fabio) Ma, a costo di sembrare spietata, inumana, io ti domando se il tuo diritto di disporre della vita di nostra figlia sia più grande del mio; ti domando se no­stra figlia, dovendo scegliere fra me e te, perché tra di noi deve scegliere dal mo­mento che io e te insieme non potremo vi­vere mai...

Gabriella              - (interrompendola) È proprio ne­cessario che io scelga, mamma? (Una pausa). Poco fa, quando io ho chiamato per no­me mio padre, non uno ma due uomini mi hanno guardata con trepidazione, come se ciascuno aspettasse la mia scelta. Soltan­to, si trattava di due uomini dei quali uno solo mi ha dato la vita. Non credo che di fronte a voi due io abbia altre scelte da fa­re. - Tu dici, mamma, che voi due non potete vivere insieme; e già mio padre, parlandomi ieri sera di una famiglia da rico­stituire, ma aveva lasciato intendere la stes­sa cosa, come se io fossi nata dal vostro odio invece che dal vostro amore.

Fabio                   - (tremando per evitare di ribellarsi) Non dal mio odio, Gabriella.

Barbara                - (ribellandosi) E nemmeno dal mio!

Gabriella              - (guardando tutti e due come un giudice) E allora?

Barbara                - (quasi con rancore contro la figlia) La presenza di tuo padre ti ha resa forte, eh! Ti ho cresciuta perché tu diventassi mio giudice! Ma anche tu, poco fa, mi hai detto una cosa che merita di essere giudicata. Tu non ami Adriano Murena. Sei pronta a spo­sarlo senza amore. Si può, dunque, darsi ad un uomo senza amarlo. Si può, dunque, avere un figlio dall'uomo che non si ama. Ebbene, comunque io t'abbia avuta, tu ap­partieni a me e a me sola. Sei nata dentro di me, ti sei nutrita del mio sangue, di me sola hai avuto bisogno fin dal primo gior­no della tua vita. E che ne sai tu dell'amo­re, dell'ardore, della gelosia che s'ingigan­tiscono e che divampano nel sentimento della maternità?

Fabio                   - (quasi mordendo le parole) È un sen­timento... capisci, Gabriella? un sentimen­to che somiglia all'egoismo. Le madri, qual­che volta, amano talmente i loro figli che arrivano all'assurdo di voler eliminare com­pletamente dalla loro vita il padre delle lo­ro creature. Evidentemente io non ero nato per lasciarmi eliminare. (Guarda Barbara).Ma tu, Barbara, adesso vuoi riaprire questi piaga. Perché? Io ho capito il tuo sentimento. Lo deploro ma l'ho capito. Sei tu che non vuoi capire il mio. Incontrarsi, anche da lontano, nell'amore per la figlia comu­ne, può almeno placare, se non distruggere, certi egoismi. Quando tu m'avessi strappata nuovamente mia figlia - ma non ci riusci­rai - che cosa avresti ottenuto, se non il dolore di questa creatura costretta ad ap­prendere la vita sotto forme così crudeli? (Barbara ora piange, Fabio la guarda). Ve­di che ti viene da piangere? (Anche Gabriella piange. Fabio si volge a lei). Bé? E che fai? Piangi anche tu? (Le si avvici­na. L'abbraccia, sorride per nascondere la sua commozione). Del resto, si nasce pian­gendo. È come se tu nascessi per !a seconda volta. Fa conto che le mie braccia siano la tua culla. Fra poco andrò dall'ufficiale dello Stato Civile e gli dirò: « Mi è nata una figlia: Gabriella Malaspina, perché ora ti chiami Malaspina anche tu, come me; e non c'è bisogno che tu cerchi un altro cognome per dimenticare quello infamato. E poi andrò dall'avvocato Malaspina, dal­l'avvocato mondano: “C'è da mettere in regola i genitori di questa bambina perché la mamma non sia costretta a sposare un altro, che non diede a questa bambina i natali. È vostra figlia, avvocato. Sposate la mamma di vostra figlia, e poi, da! mo­mento che la mamma non vi ama, separa­tevi da lei legalmente, come si fa m unte famiglie della buona società per conciliare i propri sentimenti con le convenienze so­ciali ». (Guarda ancora Barbara, che. pun­gendo, fa segno di sì col capo). Ecco. - Ma sai, Gabriella, a proposito di conve­nienze sociali, che cosa m'ha detto il tuo fidanzato? Gli ho parlato. Noe ha : pregiudizi dei suoi. Vincerà i pregiudizi dei suoi. M'ha detto così : « Che m'importa del cognome di Gabriella, dal momento che ella dovrà assumere il mio : M’ha dett« anche: « Gabriella non mi ama ancora; ma io saprò farmi amare da lei (Sorride, tri­ste). Io gli ho detto: Peccato che io sia già vecchio; se no vorrei imparare da voi come si fa, per torsi amare . Chi sa. come si fa!

Gabriella              - (alza gli occhi, guarda il padre con tenerezza) Si fa così, papà. Come fai tu, ora. Soffrendo, per non far soffrire.

Fabio                   - (soffrendo) Oh! Ma io... io non soffro, figlia. (E ora quasi morde il suo sorriso per non piangere). E il tuo amore mi ripaga di tutto quello che finora mi è stato negato! (lui stringe fortemente a se).

                            TELA