L’arcadia in Brenta

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Carlo Goldoni L'ARCADIA IN BRENTA

Carlo Goldoni L'ARCADIA IN BRENTA

Drama Comico per Musica da rappresentarsi in Venezia nel Teatro di S. Angelo per la Fiera

dell'Ascensione l'Anno 1749.

LETTOR GENTILISSIMO

Pochi saranno quelli che letta l'Arcadia in Brenta non averanno. Si sa quasi comunemente aver figurato l'Autore di quest'Arcadia una conversazione di sette civili ed oneste persone in un luogo delizioso fra quei magnifici palaggi che adornano il fiume Brenta, e che formano una delle più belle villeggiature d'Italia. Tre uomini e tre donne formarono la raunanza, cioè Silvio, Giacinto, Foresto, Marina, Rosanna, Laura, a' quali s'aggiunse dopo qualche giorno Fabrizio Fabroni di Fabriano, che per la sua età e per il suo carattere, misto di sciocco e di faceto, riescì il condimento della gioconda società loro. L'Arcadia, di cui ora parlo, consiste principalmente in motti arguti, detti faceti, novelle spiritose, canzonette, madrigali e cose simili, per lo che, potendo una simile conversazione intitolarsi giocosa Accademia, fu per la stessa ragione dall'Autore intitolata l'Arcadia in Brenta, colla respettiva similitudine dell'Arcadia di Roma, in cui cose più serie e più elevate si trattano.

10  adunque per argomento della mia presente Operetta non prendo già l'Arcadia in Brenta,
che scritta trovasi dal nostro Autore, poiché in essa materia non trovo per una teatrale
rappresentazione.

Sul fine di detta Arcadia, sciogliendo gli sette Arcadi la loro gentile conversazione, s'invitano vicendevolmente per la susseguente stagione, e tutto che stabilissero passare sul fiume Sile, accadde però che quel tale messer Fabrizio Fabroni da Fabriano, piccatosi di generosità, volle trattar magnificamente la maggior parte di quelli che l'avevano favorito, e seco li condusse in un suo casino sul fiume Brenta, formando in esso novellamente l'Arcadia in Brenta. Invitò Rosanna e Laura, Giacinto e Foresto, lasciando da parte Marina e Silvio, perché essi troppo sul vivo lo avevano motteggiato nell'altra Arcadia.

S'accrebbe non pertanto il numero della conversazione con madama Lindora, dama di una straordinaria stucchevole delicatezza, ed il conte Bellezza di una caricatissima affettazione.

11  povero Fabrizio, di gran core, ma di poche sostanze, per sostener l'impegno a cui
incautamente s'apprese, andò in rovina, rimasto in pochi dì senza denaro e senza roba, e col
rossore di doversi vedere scornato dagli ospiti, e ridotta l'Arcadia in una commedia, che per lui
poteva dirsi tragedia, a che molto ha contribuito Foresto, uno degli Arcadi, ma il più confidente di
Fabrizio, quello a cui egli aveva raccomandata l'economia della casa.

Questa mia Arcadia in Brenta è tanto istorica quanto quella di Ginnesio Gavardo Vacalerio, avendola ricavata da codici antichissimi della Malcontenta, ove vanno a terminar i suoi giorni tutti quelli che, come messer Fabrizio, si fanno mangiare il suo, e si riducono poveri per volerla spacciar da grandi.

Personaggi

ROSANNA


La Signora Margherita Parisina.Madama Lindora

La Signora Costanza Itussignoli.LAURA

La Signora Serafina Penna.Messer FABRIZIO FABRONI, da Fabriano.

Il Signor Francesco Baglioni.
Il conte BELLEZZA

Il Signor Alessandro Renda. FORESTO

Il Signor Francesco Carrattoli. GIACINTO

La Signora Berenice Penna.

L'inventore e direttore de' Balli sarà il Signor Giuseppe Fortini.

La Scena si rappresenta in un Casino delizioso

di messer Fabrizio, situato alle rive del fiume Brenta


ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Camera terrena in casa di messer Fabrizio.

Fabrizio che dorme sopra una poltrona, in veste da camera, e Foresto

FOR.

Oh questa sì ch'è bella!

Il padrone di casa

A tutti i Forastieri dà ricetto,

E gli convien dormir fuori del letto.

Con questa bell'Arcadia

Ei si va rovinando, ed io che sono

Da questo sciocco economo creato,

Or che manca il denar, son imbrogliato.

Orsù, lo vuò svegliar. Già s'alza il sole;

Oggi almeno ci vuole,

Fra quei che siamo e quelli che verranno,

Mezza l'entrata sua di tutto l'anno.

Signor Fabrizio... Ehi, signor Fabrizio,

Svegliatevi, ch'è tardi.

Su via, che s'alza il sole;

V'ho da dir due parole.

FABR.

Che? (svegliandosi un poco)

FOR.

Svegliatevi.

FABR.

Sì.

FOR.

V'ho da parlare.

FABR.

Par...la...te.

FOR.

Egli si torna a addormentare.

Su via, messer Fabrizio.

FABR.

Seguitate. (si risveglia)

FOR.

Se voi non m'ascoltate,

Non vuò parlar da stolto.

FABR.

Tengo gli occhi serrati, ma v'ascolto. (dorme)

FOR.

Ben, sappiate che io

Ho il denar terminato

Che voi m'avete dato;

Che per tante persone

Convien fare una buona provigione.

Che rispondete? Sì! dorme di gusto.

Signor Fabrizio...

FABR.

Già.

FOR.

M'avete inteso?

FABR.

Ho inteso tutto.

FOR.

E ben, che rispondete?

FABR.

Fate quel che volete.


FOR.

Ma il denar?

FABR.

Che denar?

FOR.

M'avete inteso?

FABR.

Tutto non ho compreso.

Tornate a dir.

FOR.

Alzatevi, di grazia.

FABR.

Voi avete timor ch'io m'addormenti;

Pericolo non v'è, ma per gradirvi

M'alzerò; via, parlate.

(s'alza e si accosta bel bello al poggio della poltrona)

FOR.

Ora, signor, sappiate

Che non v'è più denaro...

FABR.

Bene.

FOR.

Che io

Non so più come far; che oggi s'aspetta

Nuova foresteria... (Fabrizio s'addormenta)

E buona notte di vossignoria.

Signor Fabrizio... Ehi, signor Fabrizio...

Signor Fabrizio... (più forte)

FABR.

Che! come!

FOR.

Voi siete

Impastato di sonno.

FABR.

Io? Che dite?

Dormo io? Signor no. Eccomi lesto.

FOR.

Venite qua. (lo prende per una mano e lo tien forte)

FABR.

Son qua.

FOR.

Vi torno a dire,

Signor Fabrizio caro,

Che ci vuol del denaro.

FABR.

Ed io risponderò:

Signor Foresto caro, non ne ho.

FOR.

Ma che fare dovrò

Per supplire l'impegno in cui voi siete?

FABR.

Fate quel che volete.

FOR.

Non v'è denaro?

FABR.

Oibò.

FOR.

Grano?

FABR.

È venduto.

FOR.

Quei cavalli indiscreti,

Che mangian tanto fieno,

Si potrian esitar.

FABR.

Sì. (s'appoggia alle spalle di Foresto)

FOR.

La carrozza?

FABR.

La carroz...za... (s'addormenta)

FOR.

Eh, ch'io non sono sì pazzo

Di volervi servir di matarazzo.

FABR.

Sì, la carrozza...

FOR.

O la carrozza, o il carro,

Vi dico in due parole,

Che se non v'è denar, l'Arcadia vostra


È presto terminata,

E tutta la brigata,

Provista d'appetito,

Grazie vi renderà del dolce invito.

Se vi mancano i contanti, Fate quel che fanno tanti: Impegnate, e poi vendete; E se roba non avete, Già si sa l'usanza vaga, Che si compra e non si paga, E si gode all'altrui spalle, Ed aspetta il creditor.

Questa regola è diffusa, Dappertutto già si usa; Ed è segno che ha del credito, Quando un uomo è debitor. (parte)

SCENA SECONDA

Fabrizio solo.

Per dirla, quasi quasi Or or me n'anderei, E l'Arcadia e i pastori impianterei. Ma se l'anno passato Son già stato graziato, il dover mio Vuol che st'anno lo stesso faccia anch'io. E poi? e poi vi son quelle ragazze Che mi piacciono tanto, E spero aver d'innamorarle il vanto. Ma diavolo! si spende Troppo a rotta di collo. Voglio un po' far il conto Quanto ho speso finora, E quanto doverò spender ancora. (tira fuori un foglio ed una penna da lapis)

Quattrocento bei ducati... Poverini, sono andati. Sessantotto bei zecchini... Sono andati, poverini. Trenta doppie... oh che animale! Cento scudi... oh bestiale! Quanto fanno? Io non lo so. I zecchini sessantotto Coi ducati quattrocento Fanno... fanno... oh che tormento!


Basta, il conto è bello e fatto, Perché un soldo più non ho. (parte)

SCENA TERZA

Giardino che termina al fiume Brenta.

Rosanna, Laura, Giacinto, Foresto sopra sedili erbosi; poi Fabrizio

a quattro

Che amabile contento

Fra questi ameni fiori,

Godere il bel concento

Degli augellin canori!

Che bell'udir quest'aure,

Quell'onde a mormorar!

FABR.

Che bella compagnia!

Fa proprio innamorar.

a quattro

Che bell'udir quest'aure,

Quell'onde sussurrar!

GIAC.

Bellissima Rosanna,

Nell'Arcadia novella

Bramo che siate voi mia pastorella.

ROS.

Anzi mi fate onore,

E vi accetto, signor, per mio pastore.

FOR.

E voi, Lauretta cara,

Seguendo dell'Arcadia il paragone,

La pecora sarete...

LAU.

E voi il caprone.

FABR.

Bravi! così mi piace.

Voi quattro in buona pace

State qui allegramente,

Ed il pover Fabrizio niente, niente.

GIAC.

Via, sedete, o signor.

FABR.

Io sederei

Qui volentieri un poco,

S'uno di lor signor mi desse loco.

FOR.

Intesi a dir, fra l'altre cose vere,

Che non manca mai sedia a chi ha il sedere.

FABR.

(Cappari! il caso è brutto.

Io niente, e loro tutto? Aspetta, aspetta).

Amico, una parola. (a Foresto)

FOR.

E che volete?

FABR.

Parlar di quel negozio.

FOR.

Di che?

FABR.

Non m'intendete? Uh capo storno!

FOR.

Dell'arsan?

FABR.

Iò!


FOR.

Lauretta, adesso torno. (s'alza)

Eccomi, ov'è il denaro?

FABR.

Aspettate un momento.

Passeggiate un tantino, ed io mi sento. (siede nel loco di Foresto)

Ah, ah, te l'ho ficcata.

Oh questa sì ch'è bella!

Io non voglio star senza pastorella.

FOR.

Pazienza! me l'hai fatta;

Ma mi vendicherò.

LAU.

(Vuò divertirmi).

Bella creanza al certo!

Dove apprendeste mai

Cotanta inciviltà? (s'alza)

FABR.

Ma finalmente...

LAU.

Finalmente, vi dico,

Non si tratta così.

FABR.

Son io...

LAU.

Voi siete

Un bell'ignorantaccio.

Dirò meglio: voi siete un villanaccio.

FABR.

Al padrone di casa?

LAU.

Che padrone!

Questa casa ch'è qui, non è più vostra.

Questa è l'Arcadia nostra.

Noi siamo pastorelle, e voi pastore;

E non serve che fate il bell'umore.

FABR.

Dice ben.

FOR.

La capite?

LAU.

Non occorre che dite:

Voglio, non voglio.

FABR.

Oibò.

FOR.

Vogliamo fare

Tutto quel che ci pare.

FABR.

Signor sì.

LAU.

E non è poca

La nostra cortesia,

Che non v'abbiam sinor cacciato via.

FABR.

Padroni.

FOR.

Avete inteso?

FABR.

Se non son sordo.

LAU.

Acciò ben lo capisca

La vostra mente stolta,

Ve lo tornerò a dir un'altra volta.

Vogliamo fare

Quel che ci pare.

Vogliam cantare,

Vogliam ballare,

E voi tacete,

Poiché voi siete


Senza giudizio. Signor Fabrizio, Siete arrabbiato? Via, che ho burlato: Nol dirò più. L'Arcadia nostra Tutto permette. Due parolette Non fanno male; Un animale Di voi più docile Giammai non fu. (parte)

SCENA QUARTA

Rosanna, Giacinto, Fabrizio e Foresto

FABR.                   Io rimango incantato.

FOR.                      Signor, che cosa è stato?

Se comanda seder, si serva pure.

Oh questa sì ch'è bella!

Io non voglio star senza pastorella. (contrafacendo Fabrizio)
FABR.                   Ancor voi mi burlate?

FOR.                      Io burlarvi? pensate!

Siete l'amico mio più fido e caro;

Ma se manca il denaro,

Vi giuro in fede mia

Che tutti ce n'andiamo in compagnia. (parte)
FABR.                   Andate col malan che il ciel vi dia.

Ma signora Rosanna,

Che dite voi? Che dite voi, Giacinto,

Del parlar di Lauretta?
GIAC.                                                        Eh non vedete,

Ch'ella si prende spasso?
FABR.                   Corpo di Satanasso!

Cospetto non di Bacco!

Se me n'ha dette un sacco!
ROS.                      Eppure il di lei sdegno

Parmi d'amore un segno.

La femmina talora

Scaltra finge odiar quel che più adora.
FABR.                   Possibile che m'ami,

E così mi strapazzi?
ROS.                                                     Io ve lo giuro;

Statene pur sicuro,

Più volte l'amor suo m'ha confidato:

Arde per voi.
FABR.                                         Che amor indiavolato!


GIAC.

(È ver?) (piano a Rosanna)

ROS.

(Mi prendo spasso). (a Giacinto)

Sapete la cagione (a Fabrizio)

Ch'or la rese furiosa?

Perché di me gelosa.

FABR.

Or la capisco.

Ma che motivo ha mai

D'ingelosir di voi?

ROS.

Gli affetti miei

Ho confidati a lei.

FABR.

Dunque voi pur mi amate?

ROS.

Pur troppo è ver!

FABR.

Bellezze fortunate! (toccandosi il viso)

Giacinto, che ne dite?

Forse v'ingelosite?

GIAC.

Niente affatto,

Io non sono sì matto.

S'ella v'ama, signor, io vado via.

Ché non voglio impazzir per gelosia.

D'un amante è gran follia

Impazzir per gelosia.

S'una donna è di me stanca,

Non mi manca - altra beltà.

Per la donna chi s'affanna,

Chi s'adira, assai s'inganna;

Già si sa che invan si spera

Una vera - fedeltà. (parte)

SCENA QUINTA

Rosanna e Fabrizio

FABR.

Dunque, se voi mi amate,

Discorriamola un poco.

ROS.

Ma Laura sarà poi meco sdegnata.

FABR.

Io non vuò quella donna indiavolata.

ROS.

L'amicizia, il dover non lo permette.

FABR.

Amor non vuol riguardi.

Aggiustiamo le cose infra di noi,

E lasciate che poi Lauretta dica.

ROS.

V'amo, ma non vogl'io tradir l'amica.

FABR.

Oh caro il mio tesoro,

Già spasimo, già moro.

ROS.

Olà, signor Fabrizio,

Più rispetto, vi dico, e più giudizio.

So che celar dovrei


Il mio novello amore, Ma tanto non credei Che ardito il vostro core Giungesse a delirar. Nel seno eguale ardor Forse risento anch'io, Ma un nobile rigor Insegna al foco mio Le fiamme a moderar. (parte)

SCENA SESTA

Fabrizio, poi un Servo che non parla.

FABR.                   Rosanna mi vuol bene, e mi discaccia;

Laura mi porta affetto, e mi strapazza. Io non so di che razza Siano cotesti amori. Se le ninfe e i pastori S'innamoran così, son tutti matti;

Questo sembra un amor tra cani e gatti. (Viene un Servo) Chi? madama Lindora? Dille che venga tosto, e non si penta; Che venga ad onorar l'Arcadia in Brenta. (Parte il Servo) Caspita! questa dama Di conoscermi brama? Fosse di me invaghita! Allora sì Che queste due ragazze Farei di gelosia diventar pazze.

SCENA SETTIMA Madama Lindora con due Braccieri, e detto.

LIND.

Oimè! non posso più. (indietro)

FABR.

Che cosa è stato?

LIND.

Ho tanto camminato:

Non posso più.

FABR.

Vicino è il suo palazzo

Men d'un tiro di schioppo.

LIND.

Per le mie pianticine è troppo, è troppo.

FABR.

Via, signora, s'avanzi, e sieda.

LIND.

Guardate, per pietà,

Che non vi siano fiori;

Io non posso sentir cattivi odori.

FABR.

L'odor non è cattivo. Faccia grazia.


LIND.

Ahi, ahi.

FABR.

Qualche disgrazia?

LIND.

Maledetto giardino!

Ho sentito l'odor di gelsomino.

FABR.

Vuol che lo butti via?

LIND.

Sì, ve ne priego.

FABR.

Vattene, o tristo vaso

Che di Madama hai conturbato il naso.

Via, s'avanzi un tantino.

LIND.

Adagio, pian pianino. (ai Braccieri)

Mi volete stroppiar? Voi lo sapete,

Son delicata assai...

Tre passi in una volta non fo mai.

FABR.

Come dunque farà a salir le scale?

LIND.

Tacete, mi vien male

Solo in pensarlo.

FABR.

Scusi, mi perdoni,

Ella è forse stroppiata?

LIND.

Anzi più ben tagliata

Donna non v'è di me. Voi stupireste

Nel vedermi ballar.

FABR.

Quando si balla,

Non si fan quattro passi in su un mattone.

LIND.

Trovata ho un'invenzione

Di far i minuetti

Con piccoli passetti;

E perché il tempo veramente intendo,

Quattro battute in ogni passo io spendo.

FABR.

Dunque sopra una festa in tal maniera

Un minuetto si farà per sera.

LIND.

Ma dove son le belle

Arcadi pastorelle?

FABR.

Or le farò venir. Ehi. (chiama il Servo)

LIND.

State zitto.

Oimè! con quella voce così alta,

Voi mi fate stordir.

FABR.

Veh, cosa sento!

Ella non può sentir alzar la voce.

LIND.

Lo stranuto e la tosse ancor mi nuoce.

FABR.

Ma gran delicatezza!

Credo provenga dalla gran bellezza.

LIND.

Non dico, ma può darsi.

FABR.

Certo, signora sì.

LIND.

Quando lo dice lei, sarà così.

Andrò, se si contenta,

Le amiche a ritrovar.

FABR.

Ma non vorrei,

Che troppo affaticasse;

Prima che sia arrivata,

Per lei ci vuole almeno una giornata.


LIND.                    Andrò così bel bello,

Se si contenta lei, signor Fabrizio.
FABR.                   Ah, vada, vada (che mi fa servizio).

LIND.                               Riverente a lei m'inchino.

Ehi, braccieri, qua la mano. Venga presto... andate piano. Venga poi... non mi stroppiate. Correr troppo voi mi fate; Mi vien mal, non posso più. Via, bel bello, andiamo avanti; Le son serva, addio, monsù. (parte)

SCENA OTTAVA

Fabrizio, poi Servo.

Sia ringraziato il ciel che se n'è andata.

Ma cresce la brigata,

E il denar va mancando, e la carrozza

Sarà venduta, ed i cavalli ancora.

Pazienza! almen ho il gusto

Di veder due ragazze innamorate,

Che per me tutte due son spasimate.

Oh diavolo! che dici? (al Servo)

Viene il conte Bellezza? Venga, venga.

Giacché alla casa s'ha a veder il fondo,

Venga pur tutto il mondo. (parte)

SCENA NONA

Arriva un burchiello da cui sbarca il conte Bellezza

FABR.                   Poh che gran signorone!

Costui porre mi vuole in soggezione.

CON.                     Permetta, anzi conceda

Che prostrato si veda Al prototipo ver de' generosi L'infimo de' suoi servi rispettosi.

FABR.                   Servitor obbligato.

CON.                     La fama ha pubblicato

I pregi vostri con eroica tromba;
L'eco intorno rimbomba

II nome alto sovrano

Di Fabrizio Fabroni da Fabriano.


FABR.                   Servitore di lei.

CON.                     Ed io pur bramerei,

Anzi sospirerei,

Benché il merito mio sia circonscritto,

Nel ruolo de' suoi servi esser descritto.
FABR.                   Anzi de' miei padroni.

CON.                     Ah, mio signor, perdoni

Se tracotante, ardito,

Prevenendo l'invito,

Per far la mente mia sazia e contenta

Son venuto a goder l'Arcadia in Brenta.
FABR.                   S'accomodi.

CON.                                         La fama

Poco disse finor di voi parlando,

Voi cantando, esaltando;

Veggo più, veggo molto

In quell'amabil volto,

Che con raggi di placido splendore

Spiega l'idea del liberal suo cuore.
FABR.                   Signor, lei mi confonde.

Vorrei dir, ma non so;

Per andar alla breve, io tacerò.
CON.                     Quel silenzio loquace

Quanto, quanto mi piace! Ella tacendo

Col muto favellar va rispondendo;

Ed io che tutto intendo,

Il genio suo comprendo.

Ella vuol favorirmi, ed io mi arrendo;

Ed accetto le grazie, e grazie rendo.
FABR.                   Le renda, o non le renda,

È tutta una faccenda.

Se qui vuole restar, mi farà onore;

Cerimonie non fo, son di buon core.
CON.                     Viva il buon cor! Anch'io l'affettazione

Odio nelle persone;

Parlar mi piace naturale affatto.

Perciò, dal sen estratto

Il più divoto e caldo sentimento,

Trabocca dalle labbra il mio contento.
FABR.                   Se questo è naturale,

Parla ben, non vi è male.
CON.                     La provida natura

Prese di me tal cura,

Che mi rese il più vago e il più giocondo

Grazioso cavalier che viva al mondo.
FABR.                   Me ne rallegro assai. S'ella bramasse

Riposarsi, è padron.
CON.                                                     Sì, mio signore;

Accetterò l'onore

Che l'arcisoprafina sua bontà


Gentilissimamente ora mi fa.

FABR.

Vada pure. Pancrazio, (al Servo)

Servi questo signor.

CON.

L'esuberanza,

Anzi l'esorbitanza

Delle grazie, onde lei m'ha incatenato...

FABR.

Vada, basta così.

CON.

Lasci che almeno...

FABR.

Vada per carità.

CON.

Non fia mai vero

Ch'io manchi al dover mio...

FABR.

Vada lei, mio signore, o vado io.

CON.

Non s'adiri, di grazia, ch'io tacci

Non vuò dargli più noia né impaccio. Bramo solo... sto zitto, e non parlo; Più non ciarlo, credetelo a me. Ma tal pena chi puol mai soffrire? Io star cheto? Mi sento morire. Signor caro... ho finito in mia fé. (parte)

SCENA DECIMA

Fabrizio solo.

Con due pazzi di più nella brigata Ora l'Arcadia in Brenta è terminata. E viva l'allegria. Corpo del diavolo! Quand' io mi divertisco, Proprio ringiovenisco. E quelle ragazzette, Quanto sono carette! Per passare con esse i giorni miei, Cospetto!... non so dir cosa farei.

Per Lauretta vezzosetta La carrozza vada pure. Per quell'altra ragazzetta Li cavalli vadan pure. Per madama vada il resto. Mi protesto

Che non vuò pensar a guai: Sempremai Voglio star in allegria, E si spenda in compagnia Tutto, tutto quel che c'è. (parte)


SCENA UNDICESIMA

Camera in casa di Fabrizio.

Madama Lindora, poi il Conte Bellezza

LIND.

Dove Laura e Rosanna,

Dove mai sono? Oimè! che nel cercarle

Dalla sala alla stanza

Ho tanto camminato

Che mi sento di già mancare il fiato.

Vorrei seder un poco.

Chi è di là? V'è nessuno?

CON.

Madama, vi son io.

LIND.

Da sedere... Oh perdoni,

Non v'aveva veduto.

CON.

A tempo son venuto. (le dà una sedia)

S'accomodi.

LIND.

Mi scusi...

CON.

Anzi al provido ciel le grazie io mando,

Perché degno mi fe' di suo comando.

LIND.

(Non mi dispiace, è tutto gentilezza).

Ma chi è lei, mio signore?

CON.

Son il conte Bellezza,

Un vostro servitore,

Obbligato, divoto e profondissimo.

LIND.

Anzi mio padronissimo.

CON.

Deh, mi conceda l'alto onor sovrano

Di poterle baciar la bianca mano.

LIND.

Ahi!

CON.

Cos'è stato?

LIND.

M'avete rovinato il mio ditino.

Toccate pian pianino;

Son tanto delicata,

Che non posso sì forte esser toccata.

CON.

Leggerissimamente

Alzo la lattea delicata mano,

E con l'avida bocca...

LIND.

No, no, che se mi tocca

L'acuto pelo che vi spunta al mento,

Mi vedrete cadere in svenimento.

CON.

Lo farò con tal arte

Che voi ne stupirete;

Siate pietosa, oh Dio! se bella siete.

LIND.

(Mi commove).

CON.

Prostrato,

Mia bella, al vostro piede,

Vi domando pietà, grazia, mercede.


LIND.

Via, prendete la mano.

CON.

Cara man...

LIND.

Piano, piano.

CON.

Ancor non l'ho toccata.

LIND.

L'avete con il fiato un po' alterata.

CON.

Andrò cauto anche in questo.

Lasciate...

LIND.

Non stringete.

CON.

Riposate la man sovra il mio braccio.

LIND.

Che ruvido pannaccio!

CON.

Vi porrò il fazzoletto!

LIND.

Non mi par molto netto.

CON.

Dunque che far dovrò?

LIND.

Non saprei.

CON.

Ah Madama, io morirò.

LIND.

Vi vorrei compiacer, ma non vorrei

Che la mia compassione...

CON.

Trovata ho una invenzione

Che non vi spiacerà. La bella mano

Alzate da voi stessa,

E mentr'ella s'appressa al labbro mio,

Il labbro inchino, e me l'accosto anch'io.

LIND.

Mi contento.

CON.

Sian grazie al cielo, al fato;

Generosa Madama, io son beato.

Eccomi, alzate un poco.

Ancora un poco più.

LIND.

Non mi stancate.

CON.

Ma se non vi fermate

Per un momento solo...

SCENA DODICESIMA

Fabrizio, Foresto e detti.

FABR.

Signor conte Bellezza, io mi consolo.

FOR.

Ancor io, ma di core.

CON.

(Indiscreta fortuna!) Ma di che?

FABR.

Il principe lei è

Per tutto questo dì d'Arcadia nostra.

CON.

È gentilezza vostra,

Non già merito mio.

FABR.

Anzi i meriti vostri a noi son noti,

E creato v'abbiam con tutti i voti.

LIND.

Anch'io l'Arcadia lodo,

E d'esservi soggetta esulto e godo.

CON.

Ah che più goderei

Il bramato piacer de' labbri miei.


FOR.

A voi, principe degno,

Del suo rispetto in segno

Manda l'Arcadia nostra

Questo serto di fiori.

LIND.

Ahi, mi fate morir con questi odori.

FABR.

Via; madama Lindora

Non li può sopportar.

CON.

Deh riponete

Questo serto fatale.

LIND.

Mi sento venir male.

FABR.

Presto, presto, tabacco.

LIND.

Sì, tabacco.

FABR.

Prenda.

LIND.

È troppo granito;

Se lo prendo, potria maccarmi un dito.

CON.

Questo è fino assai più.

LIND.

Non mi piace, signor; va troppo in su.

FOR.

(Ora l'aggiusto io.

Con questa stranutiglia

Mi voglio divertir con chi ne piglia).

Prenda, prenda di questo:

È foglia schietta, schietta, e leggerissima.

LIND.

Questo, questo mi piace: obbligatissima. (prende tabacco)

FOR.

Comanda? (al Conte)

CON.

Mi fa grazia. (prende tabacco)

FOR.

E voi? (a Fabrizio)

FABR.

Mi fate onore. (lo prende anche lui)

FOR.

(Voglio rider di core.

La stranutiglia vera

Li farà stranutar fino alla sera). (parte)

FABR.

Vada, vada.

CON.

Vada lei. (a Lindora)

LIND.

Anzi lei.

Vada. Eccì. (stranuta)

CON.

} a due          Viva, viva.

LIND.

Grazie. Eccì. (stranuta forte)

Ahi! Eccì.

Ahi! Eccì. (si getta a sedere)

FABR.

Poverina!

CON.

Presto. Eccì. (stranuta)

FABR.

Che bel garbo!

Son qua io.

Forti. Eccì. (stranuta)

CON.

Altro. Eccì. (stranuta)

LIND.

Aiutatemi. Eccì.

CON.

Che tabacco! Eccì, eccì. } a due

Maledetto! Eccì, eccì.

FABR.

LIND.

Che tormento


Che mi sento!

Più non posso. Eccì, eccì.

CON.

Via, Madama, non è niente.

FABR.

Che tabacco impertinente!

LIND.

Acqua fresca, per pietà. (s'alza)

CON.

Vado a prenderla. Eccì.

FABR.

Ve lo porto. Eccì, eccì.

LIND.

Il mio naso, la mia testa,

Il mio petto. Eccì, eccì.

CON.

V'è passato?

LIND.

Signor sì.

FABR.

State meglio?

LIND.

Par di sì.

a tre

Dunque andiamo in compagnia

A goder con allegria

Dell'Arcadia il primo dì.

LIND.

Vada, vada. Eccì, eccì.

Maledetto tabaccaccio!

CON.

Oh che impaccio! Eccì, eccì.

FABR.

Favorisca.

LIND.

Signor sì.

a tre

Faccia grazia. Eccì, eccì. (partono)


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Deliziosa.

Tutti a sedere, cioè il Conte in mezzo, Madama Lindora alla dritta, Giacinto presso Rosanna, Foresto vicino a Lauretta, e Fabrizio da un lato, arrabbiato per non essere vicino ad alcuna

donna.

CON.                     Da' lacci neghittosi del silenzio

Scatenando la lingua,

Qual monarca di Dive e Semidei,

Do glorioso principio a' cenni miei.
FABR.                   Signor principe caro,

Il povero Fabrizio

Gli manda un memorial, con cui lo prega

Comandar a' pastor, che per servizio

Lascino qualche ninfa anco a Fabrizio.
CON.                     Giuste le preci son, ma non è giusto

Delle ninfe arbitrar. Quella sia vostra,

Che inclinata e proclive a voi si mostra.
FABR.                   Tutte vorranno me.

ROS.                                                   Sarei contenta

Se del signor Fabrizio

Foss'io la ninfa eletta;

Ma non vuò disgustar la mia Lauretta.
LAU.                     Eh no, no; giacché vedo

Che a voi piace quel viso, io ve lo cedo.
FABR.                   E fra due litiganti il terzo goda.

Io sarò di Madama,

Se mi vuol, se mi brama.
LIND.                    Vi domando perdono,

Non mi vuò scomodar di dove sono.
FABR.                   Dunque dovrò star senza?

GIAC.                   Voi dovete soffrire.

FOR.                                                     E aver pazienza.

FABR.                   (Maledetti! Mi mangiano le coste,

E penar mi conviene.

Or sì che i miei denar li spendo bene!)
CON.                     Dall'arcadico trono,

A cui per vostro dono io son alzato,

Due comandi vi do tutti in un fiato.

Primo: ciascuna ninfa

Scelga il pastor, di tutti alla presenza,


Ma non vuò che Fabrizio resti senza.

Secondo: quel pastor che sarà eletto,

Con qualche regaletto

Riconosca la ninfa,

E lei, com'è il dovere,

Del regalo disponga a suo piacere.
FABR.                   Bravo! bravo! vi lodo.

ROS.                      D'un tal comando io godo;

Potrò senza riguardi

Il mio genio svelar.
GIAC.                                                   (Già mia voi siete). (piano a Rosanna)

ROS.                      Deh lasciate che io finga, e non temete. (piano a Giacinto)

FABR.                   Lasciatela parlar. (a Giacinto)

ROS.                                                 Se mi concede

Il sospirato onore,

Sarà il signor Fabrizio il mio pastore.
FABR.                   Evviva, evviva. Ah! che ne dite? Oh cara!

Che gioia! che diletto!

Per la mia pastorella io già vi accetto.
LAU.                     Piano, piano di grazia, padron mio,

Che ci pretendo anch'io.

Or che non v'è riparo,

La maschera mi levo, e parlo chiaro.

V'ho scelto nel mio core

Di già per mio pastore,

E se non mi volete,

Impazzir e crepar voi mi vedrete.
FOR.                      (So che finge). Ma come! Se Rosanna...

ROS.                      Io Fabrizio pretendo.

LAU.                     Di cedere Fabrizio io non intendo.

FABR.                   Signor principe, questo è un brutto imbroglio.

CON.                     Dall'arcadico soglio

Così decido e voglio:

Per consolar delle due ninfe il core,

Abbian due pastorelle un sol pastore.
FABR.                   Evviva! evviva! bravo per mia fé!

Son capace, lo giuro, anco per tre.
LIND.                    Dunque, signor Fabrizio,

S'ella dice da vero e non ischerza,

Io fra le ninfe sue sarò la terza.
FABR.                   Venga la quarta ancor, mi fa servizio;

Non mi perdo in la folla; io son Fabrizio.

Levatevi di qua; (a Foresto e Giacinto)

Loco per voi non c'è.

Una volta per uno: tocca a me.
CON.                     Olà, suddito nostro,

Fermatevi per ora.

Non è finito ancora:

Se voi pastor delle tre ninfe siete,

Regalar le tre ninfe ora dovete.


FABR.                   (Oimè! son imbrogliato.

Questo favor mi vuol costar salato).

GIAC.                    Su via, fatevi onore.

FOR.                      Via, portatevi ben, signor pastore.

FABR.                   A voi, Rosanna bella,

Mia cara pastorella, Perché mi brilla in sen il cor contento, Questo picciol brillante io vi presento.

ROS.                      È molto spiritoso, è molto bello;

Brilla come che a voi brilla il cervello.

FABR.                   Grazie a lei; a Lauretta,

Graziosa vezzosetta, Per cui ognora tormentato sono, Quest'orologio d'or presento in dono.

LAU.                     Il vostro dono accetto,

contemplar prometto In lui la vostra amabile figura, Perché voi siete tondo di natura.

FABR.                   Obbligato. A Madama,

Perché si guardi dalla stranutiglia, Le dò una tabacchiera di Siviglia.

LIND.                    Ed io che v'amo tanto, bramerei

Che in questa tabacchiera, Per poterne goder a tutte l'ore, Fosse polverizzato il vostro core.

FABR.                   Che bontà! che finezze!

CON.                                                         Or di quei doni

Ne disponga ciascuna a suo talento, faccia al donator un complimento.

ROS.                      Io pongo quest'anello

Nelle man di Giacinto, E dico al donatore Ch'io lo delusi, e questo è il mio pastore.

FABR.                   Come?

LAU.                                Quest'orologio

A Foresto consegno, E al donator io dico Che già di lui non me n'importa un fico.

FABR.                   Che! che!

LIND.                                   La tabacchiera

Al principe presento e mio pastore, Perché quel tabaccaccio mi fa male, E chi me l'ha donato è un animale.

CON.

GIA.          } a tre

Viva il signor Fabrizio.

Ci rallegriam con lei. (tutti s'alzano)

FOR.

FABR.                   Che siate maledetti tutti sei.


Corpo del diavolo! - parmi un po' troppo. Che! sono un cavolo?


Son gentiluomo del mio paese, Io fo le spese, - io son padrone. Che impertinenza? che prepotenza? Come? che dite? Eh padron mio, basta così. La vuò finire, Me ne voglio ire. Signore ninfe, Gnori pastori, Buon viaggio a loro. Che? non gli piace? Se n'anderanno, Signori sì. (parte)

SCENA SECONDA Tutti, fuorché Fabrizio

LIND.                    Oh quanto mi fa ridere: ah, ah. (ride)

Oimè! non posso più: ah, ah, ah, ah. Messer Fabrizio: ah, ah. È in collera: ah, ah. Ahi che mi manca il fiato, Non posso respirar. (si getta a sedere)

LAU.                                                     Che cosa è stato?

LIND.                    Il rider mi scompone e mi rovina.

LAU.                     Povera Madamina,

Siete tenera assai, vi compatisco.

(Con questa smorfia anch'io mi divertisco).

FOR.                      Signori, con licenza;

Vuò seguitar Fabrizio. Egli è arrabbiato. Vuò veder di placarlo. A dirla schietta, Tutto il torto non ha. Ma questo è il frutto Di chi vuol far di più del proprio stato: Spende, soffre, non gode, ed è burlato. (parte)

LAU.                     Io rido quando vedo

Certi pazzi che fan gl'innamorati,

credon col contante

Render la donna amante,

Quando il genio non v'è, non fanno niente;

Si lascian nell'inganno,

se si voglion rovinar, suo danno.

LIND.                    In quanto a questo poi,

Non l'intendo, Lauretta, come voi.

Non dono e non accetto,

per non ingannar nulla prometto.

LAU.                     Parliam d'altro, di grazia.

CON.                                                              Deh, Madama,


Andiam per questi deliziosi colli,

Co' vostri bei colori

La vil bellezza a svergognar de' fiori.

ROS.

(Che parlar caricato!) (a Giacinto)

GIAC.

(E pur, così affettato,

Vi dovrebbe piacer). (a Rosanna)

ROS.

(Per qual ragione?) (a Giacinto)

GIAC.

(Piace alle donne assai l'adulazione).

CON.

Concedete ch'io possa (a Rosanna)

Regger col braccio mio... (a Lindora)

LAU.

Eh, signor Conte mio,

Lei parte con Madama,

Rosanna se n'andrà col suo Giacinto;

Ed io resterò sola?

Lei di cavalleria non sa la scola.

CON.

Ha ragion, mi perdoni;

Io son un mentecatto, io son un bue:

Servirò, se il permette, a tutte e due.

LAU.

Se Madama l'accorda...

LIND.

Io nol contendo.

LAU.

Io son contenta, e le sue grazie attendo.

CON.

Eccomi. Favorisca, faccia grazia.

Sull'umil braccio mio poggi la mano.

LAU.

Camminate più presto.

LIND.

Andate piano.

GIAC.

(Son godibili assai) (a Rosanna)

ROS.

(Più grazioso piacer non ebbi mai). (a Giacinto)

LAU.

Ma via, non vi movete?

CON.

Eccomi lesto.

LIND.

Non andate sì presto;

Di già voi mi stroppiate.

LAU.

Con questo andar sì pian voi m'ammazzate.

GIAC.

(Oh belli!)

ROS.

(Oh cari!)

CON.

(Io sono

Nel terribile impegno). Via, Madama, (a Lindora)

Un tantinin più presto;

Eh via, cara signora, (a Laura)

Un tantinin più piano.

LAU.

Più piano di così? Mi vien la morte.

LIND.

Vi dico ch'io non posso andar sì forte.

CON.                                Questa forte, e quella piano,

L'una tira, e l'altra molla: Non so più cosa mi far; Favoriscano la mano, Anderò come potrò. Forti, forti, saldi, saldi. Vada pur ciascuna sola, Io gli sono servitor.


Che comanda? eccomi qui. Ch'io la servi? eccomi pronto. Camminiam così, così. Troppo forte? troppo piano? D'incontrar io spero invano Di due donne il strano umor. (parte)

SCENA TERZA Rosanna, Giacinto, Lindora, Lauretta

GIAC.

Ah, ah, che bella cosa!

ROS.

(Cosa in vero piacevole e gustosa!)

LAU.

Madama, andate pian quanto volete;

Per non venir in vostra compagnia,

Vi faccio riverenza, e vado via. (parte)

LIND.

Oibò! correr sì forte

Non conviene per certo ad una dama.

Affettar noi dobbiam, per separarci

Dalla gente ordinaria,

Una delicatezza straordinaria. (parte)

SCENA QUARTA

Rosanna e Giacinto

ROS.

Bei caratteri al certo.

GIAC.

Anzi bellissimi.

Io che stolto non son, scelta ho per ninfa

Donna di senso e di beltà.

ROS.

Di grazia,

Non seguite anche voi quel vil costume

Di adular per piacere.

GIAC.

Ah nol temete;

Io vi stimo assai più che non credete.

ROS.

Per or godo l'onore

Che siate mio pastore,

Ma terminata poi l'Arcadia nostra,

Pastorella non son, non son più vostra.

GIAC.

Chi sa? se non sdegnate

Di chi v'adora il core,

Io per sempre sarò vostro pastore.

ROS.

Felicissima Arcadia allor direi,

Se tutti i giorni miei

Lieta passar potessi al colle, al prato,


Col mio pastor, col mio Giacinto a lato.

Se di quest'alma i voti Ascolta il Dio d'amor, Lieto sarà il mio cor, Sarò felice.

Per or di più non dico, Ma forse un dì verrà, Che il labbro dir potrà Quel ch'or non lice. (parte)

SCENA QUINTA

Giacinto solo.

Pur troppo è ver che s'introduce il foco

D'amor ne' nostri petti, e a poco a poco

Queste villeggiature,

In cui sì francamente

Tratta e conversa ognun di vario sesso,

Queste cagionan spesso

Nella stagion de' temperati ardori

Impegni, servitù, dolcezza, amori.

Per passar dagli occhi al core Apre il varco al Dio d'amore La moderna libertà.

Anche amore andria sommesso Se si usasse col bel sesso La primiera austerità. (parte)

SCENA SESTA

Fabrizio e Foresto

FABR.                   Non vuò, non vuò sentire.

FOR.                      Eh via, signor Fabrizio,

Siete un uom di giudizio,

Siete un uomo civile:

Non fate che vi domini la bile.
FABR.                   Che bile? che m'andate

Bilando e strabilando?

Ve ne dovete andar qualor vi mando.
FOR.                      Finalmente fu scherzo.

FABR.                   Sì, fu scherzo, ma intanto

L'orologio, la scatola e l'anello


Non si vedono più.

FOR.

Siete in errore:

Eccovi l'orologio,

La scatola e l'anello.

Ciò ch'ha di vostro ognun di noi vi rende,

Né d'usurpar il vostro alcun pretende.

(gli dà l'orologio, la scatola e l'anello)

FABR.

Eh non dico, non dico, ma vedermi

Strapazzato e deriso...

FOR.

Lo fan sul vostro viso

Per prendersi piacer, ma dietro poi

Le vostre spalle ognun vi reca lode,

del vostro buon cuor favella e gode.

FABR.

Son buon amico; e faccio quel ch'io posso.

FOR.

A proposito, amico,

Che facciam questa sera?

La carrozza è venduta;

Sono andati i cavalli,

E da cena non v'è.

FABR.

Come? In un giorno

Tanti bei ducatoni sono andati?

FOR.

I debiti maggior si son pagati.

FABR.

Io non so che mi far.

FOR.

Siete in impegno,

Sottrarvi non potete.

FABR.

Consigliatemi voi, se lo sapete.

FOR.

L'orologio e l'anello

Si potrian impegnar.

FABR.

Sì, dite bene.

FOR.

Ma non so se denaro

Si troverà abbastanza.

FABR.

Ecco, prendete

Questa scatola ancora.

Altro più non mi resta,

Foresto caro, a terminar la festa.

FOR.

Siete un grand'uom! Peccato

Non abbiate il tesor maggior del mondo

(Che presto noi gli vederemmo il fondo).

Vado a trovar denaro,

E tosto a voi ritorno.

Un certo non so che si va ideando:

Qualor torno, saprete il come e il quando. (parte)

SCENA SETTIMA

Fabrizio, poi Lindora

FABR.

Tutto va ben. Lo so che mi rovino;


Ma non importa. Almen anch'io godessi

Da codeste mie ninfe traditore

Un qualche segno di pietoso amore.

LIND.

Signor Fabrizio. (di lontano)

FABR.

(Questa, a dir il vero,

Mi par troppo flemmatica).

LIND.

Non sente?

Signor Fabrizio. (come sopra)

FABR.

(E pur, se mi volesse,

Io non ricuserei

Di far un poco il cicisbeo con lei).

LIND.

Si-gnor Fa-bri-zio. (con caricatura)

FABR.

Oh cielo! Mi perdoni.

Non l'aveva sentita

LIND.

Ho gridato sì forte, che la gola

Mi si è tutta enfiata;

Quasi in petto una vena m'è crepata.

FABR.

Cancaro! Se ne guardi;

Favorisca.

LIND.

M'aiuti.

FABR.

Eccomi lesto.

LIND.

Non mi tocchi.

FABR.

Perché?

LIND.

Son tenerina.

FABR.

Impastata mi par di ricottina.

LIND.

Ahi! son stanca.

FABR.

S'accomodi, Madama.

LIND.

Sederei volentier, ma questa sedia

È dura indiavolata.

Sul morbido seder son avvezzata.

FABR.

Ehi... dico pian, non tema. Ehi, reca tosto

Una sedia miglior. (viene il Servo)

LIND.

Molt'obbligata.

(Il Servo va, e torna con una sedia di damasco)

FABR.

Sieda qui, starà meglio.

LIND.

Oibò, è sì dura

Cotesta imbottitura,

Ch'io non posso sperar di starvi bene.

FABR.

Rimediarvi conviene.

Porta la mia poltrona.

LIND.

Compatisca, signor.

FABR.

Ella è padrona. (Torna il Servo con la poltrona)

Eccola, se ne servi.

LIND.

Oh peggio, peggio;

No, no, non me ne curo.

Il guancial di vacchetta è troppo duro.

FABR.

Eh corpo d'un giudìo!

Ora la servo io. (parte)

LIND.

Portate via

La sedia ed il guanciale;


Quell'odor di vacchetta, ahi, mi fa male.

(Torna Fabrizio con un matarazzo)
FABR.                   Eccole un matarazzo;

Di più non posso far.
LIND.                                                      Quest'è un strapazzo.

Lo conosco, lo so; no, non credevo

Dover soffrir cotanto.

Ahi, che mi vien per il dolore il pianto.

Voglio andar... non vuo' più stare, Più beffata esser non vuò. Signor sì, me n'anderò. Sono tanto tenerina, Ch'ogni cosa mi scompone; E voi siete la cagione Che m'ha fatto lagrimar.

Se sdegnarmi almen sapessi, Vendicarmi or io vorrei. Ma senz'altro morirei, Se m'avessi ad arrabbiar. (parte)

SCENA OTTAVA Fabrizio, poi Foresto

FABR.                   Si contenga chi può. Corpo del diavolo!

Non ne poteva più.
FOR.                                                   Signor Fabrizio,

Il principe d'Arcadia ha comandato

Che dobbian recitar all'improvviso

Stassera una commedia.
FABR.                                                          Io non ne so.

FOR.                      Non temete, ch'io vi contenterò.

Il Conte ha destinato

Di far da innamorato;

Da innamorata dovrà far Madama.

Lauretta fa la serva,

Io fo da genitore,

E voi dovete far da servitore.
FABR.                   Da servitor?

FOR.                                         Cioè la parte buffa.

FABR.                   Il buffo io dovrò far? Quest'è un mestiere

Ch'è difficile assai;

Per far ridere i pazzi

Non vi vuol grand'ingegno.

Ma far rider i savi è grand'impegno.
FOR.                      Già s'avanza la notte:

Andatevi a vestir, ch'io venirò.


FABR.                   Farò quel che potrò:

Mi dispiace il parlar all'improvviso.

Se fosse una commedia almen studiata,

Si potrebbe salvar il recitante

Dicendo che il poeta è un ignorante. (parte)

SCENA NONA

Foresto solo.

Certo non dice mal; sogliono tutti

Gettar la colpa su la schiena altrui.

Se un'opera va mal, dice il poeta:

«La mia composizion è buona e bella;

Quel ch'ha fallato è il mastro di cappella ».

E questo d'aver fatto

Gran musica si vanta,

E che il difetto vien da chi la canta.

Infine l'impresario,

Senza saper qual siane la cagione,

Se ne va dolcemente in perdizione.

Perché riesca bene un'opera, Quante cose mai vi vogliono! Libro buono e buona musica, Buone voci e donne giovani, Balli, suoni, scene e macchine. E poi basta? Signor no. Che vi vuol? Io non lo so. Ma nol sa nemmen chi critica, Benché ognun vuol criticar.

Parla alcuno per invidia, Alcun altro per non spendere, Mentre il più di tutti gli uomini Col capriccio che li domina Suol pensare e giudicar. (parte)

SCENA DECIMA

Sala.

Il Conte col nome di Cintio, e Fabrizio da Pulcinella. Lauretta da Colombina, Lindora col

nome di Diana, e in fine Foresto da Pantalone

CON.                     Seguimi, Pulcinella.

FABR.                                                   Eccome ccà.


CON.

Siccome un'atra nube

S'oppone al sole, e l'ampia terra oscura,

Così da quelle mura

Coperto il mio bel sol cui l'altro cede,

L'occhio mio più non vede. Ond'è che afflitto

I nuovi raggi del mio sole attendo.

FABR.

Tu me parle tidisca, io non t'intendo.

CON.

Fedelissimo servo,

Batti tu a quella porta.

FABR.

A quale porta?

CON.

A quella.

FABR.

Io non la vedo.

CON.

Finger dei che vi sia.

In vece della porta,

In un quadro si batte o in una sedia,

Come i comici fanno alla commedia.

FABR.

Aggio caputo, ma famme una grazia;

Perché da tozzolare aggio alla porta?

CON.

Acciò che la mia bella

Venga meco a parlar.

FABR.

Ccà sulla strada?

CON.

È ver, non istà bene

Che facciano l'amor sopra la strada

Civili onesti amanti:

Ma ciò sogliono usar i commedianti.

FABR.

Sì sì, tozzolerò; ma se qualcuno,

Quando ho battuto io, battesse a me?

CON.

Lascia far, non importa, io son per te.

FABR.

O de casa.

LAU.

Chi batte? (di dentro)

FABR.

Sono io.

LAU.

Serva sua, signor mio.

FABR.

Patron, chessa è per me.

CON.

Chi siete voi,

Quella giovine bella?

LAU.

Io sono Colombina Menarella.

CON.

Di Diana cameriera?

LAU.

Per servir vussustrissima.

FABR.

Obregato, obregato.

CON.

Deh vi prego,

Chiamatela di grazia.

LAU.

Ora la servo.

FABR.

Sienteme, peccerella,

Vienence ancora tuie,

Che ance devertarimmo fra de nuie.

LAU.

Sì, sì, questa è l'usanza;

Se i padroni fra lor fanno l'amore,

Fa l'amor con la serva il servitore.

Il padron con la padrona


Fa l'amor con nobiltà:

Noi andiamo più alla bona

Senza tanta civiltà.

Dicon quelli: «Idolo mio,

Peno, moro, smanio, oh Dio! »

Noi diciam senz'altre pene:

«Mi vuoi ben? ti voglio bene»;

E facciamo presto presto

Tutto quel che s'ha da far.

Dicon lor ch'è un gran tormento

Quell'amor che accende il core;

Diciam noi ch'è un gran contento

Quel che al cor ci reca amore.

Ma il divario da che viene?

Perché han quei mille riguardi:

Penan molto, e parlan tardi.

Noi diciam quel che conviene

Senza tanto sospirar. (si ritira fingendo chiamar Diana)

CON.

Ti piace, Pulcinella?

FABR.

A chi non piaceressi, o Menarella?

CON.

Ecco, viene quel bel che m'innamora.

FABR.

Con essa viene Menarella ancora. (Vengono Lindora e Lauretta)

CON.

Venite, idolo mio.

Venite per pietà.

LIND.

Vengo, vengo, mio bene, eccomi qua.

CON.

Voi siete il mio tesoro.

LIND.

Per voi languisco e moro.

FABR.

Ah, tu sì la mia bella. (a Lauretta)

LAU.

Ah voi siete il mio caro Pulcinella.

CON.

A voi donato ho il core. (a Lindora)

LIND.

Ardo per voi d'amore.

FABR.

Per te me sento lo Vesuvio in pietto. (a Lauretta)

LAU.

Cotto è il mio core al foco dell'affetto.

CON.

Vezzosetta, mia diletta, (a Lindora)

FABR.

Cintio caro, Cintio mio.

LIND.

Menarella, mia carella.(1)

LAU.

Pulcinella bello mio.

LIND.

Che contento, che diletto!

LAU.

Vien, mio bene, a questo petto.

a quattro

Io ti voglio un po' abbracciar. (Viene Foresto, da Pantalone)

FOR.

Olà, olà, cossa feu?

Abrazzai?

Cagadonai!

Via cavève, via de qua.

1

()Così nel testo. Probabilmente devono essere invertite le battute:

LIND.                                    Cintio caro, Cintio mio.

FABR.                                   Menarella, mia carella.

[Nota per l'edizione elettronica Manuzio]


LIND.

Io m'inchino al genitore.

LAU.

Serva sua, signor padrone.

CON.

Riverisco, mio signore.

FABR.

Te so' schiavo, Pantalone.

FOR.

El ziradonarve attorno;

Tutti andève a far squartar.

CON.

Vuol ch'io vada?

FOR.

Mi ve mando.

FABR.

Vado anch'io?

FOR.

Mi v'ho mandao.

CON.

Anderò colla mia bella.

FABR.

Anderò con Menarella.

LIND.

Io contenta venirò.

FABR.

Via, tiolè sto canelao.

FOR.

Co le putte? oh questo no.

LIND.

Signor padre, per pietà. (s'inginocchia)

LAU.

Gnor padron, per carità. (s'inginocchia)

CON.

Deh, vi supplico ancor io. (fa lo stesso)

FABR.

Pantalon, padrone mio. (fa lo stesso)

FOR.

Duro star no posso più.

Via, mattazzi, levè su.

a quattro

Io vi prego.

FOR.

Zitto là.

a quattro

Vi scongiuro.

FOR.

Vegnì qua.

Cari fioi, deve la man.
Alla fin son Venezian,
M'avè mosso a compassion.
a quattro                              Viva, viva Pantalon.

a cinque                               Viva, viva il dolce affetto;

Viva, viva quel diletto Che produce un vero amor, Che consola il nostro cor. (partono)


ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Camera.

Fabrizio, poi Lauretta

FABR.

Oimè! dove m'ascondo?

Oimè! che son andato in precipizio.

Povera Arcadia! povero Fabrizio!

È finito il denaro;

È venduto il vendibile. Ogni cosa

Alfin s'è terminata il giorno d'ieri,

E non v'è da mangiar pei forastieri.

Oh sorte! oh cielo! oh fato!

Io non so che mi far, son disperato.

LAU.

Signor Fabrizio, d'ogni grazia adorno,

Io gli auguro buon giorno.

FABR.

Grazie a vussignoria.

LAU.

Che mai ha, che mi pare

Alterato un tantin?

FABR.

Mi duole il capo.

LAU.

Me ne dispiace: anch'io

Mi sento nello stomaco aggravata.

Beverei volentier la cioccolata.

FABR.

(La solita campana).

LAU.

Vuol far grazia

D'ordinarla in cucina?

FABR.

(Certo tu non la bevi stamattina).

SCENA SECONDA

Madama Lindora e detti.

LIND.

Signor Fabrizio amabile e garbato,

Ella sia il ben levato.

FABR.

Ancora lei...

LIND.

Supplicarla vorrei

Ordinar mi sia data

La mia colazioncina praticata.

FABR.

E in che consiste la sua colazione?

LIND.

Fo pestar un cappone,


Poscia lo fo bollire a poco a poco, E lo fo consumar fin che vi resta Di brodo un scodellino, E vi taglio due fette di panino.

FABR.                   Se il cappon non vi fosse...

LIND.                                                               Oh me meschina!

Certo mi ammalerei, Certo per debolezza io morirei.

FABR.                   (Se il brodo di cappon vuol aspettare,

Stamattina Madama ha da crepare).

SCENA TERZA Il Conte e detti.

CON.                     Nostro eroe, nostro nume, (a Fabrizio)

Giacché nel principato

Anco per questo dì fui confermato,

Impongo che si faccia

Una solenne strepitosa caccia.

I cacciator son lesti,

Sono i cani ammanniti; altro non manca

Che il generoso core

D'ospite così degno

Supplisca dal suo canto al grande impegno.
FABR.                   Come sarebbe a dir?

CON.                                                    Poco, e polito:

Un sferico pasticcio,

Due volatili allessi,

Un quadrupede arrosto,

Torta, latte, insalata, e pochi frutti;

E poi il di lei bel cor contenta tutti.
FABR.                   Ah, non vuol altro? Sì, sarà servito;

Stamane il desinar sarà compito.

SCENA QUARTA

Foresto e detti.

FOR.                      Signor Fabrizio.

FABR.                                              Ebben, che c'è di nuovo?

FOR.                      È un'ora che vi cerco, e non vi trovo.

Dove diavolo è

Il rosolio, il caffè?

Giacinto ne vorria, Rosanna il chiede,

E un cane che lo porti non si vede.


FABR.                   Oh canchero! mi spiace. Presto, presto,

Pancrazio, dove sei? (viene il Servo) Apri l'orecchio bene: Servi questi signor come conviene.

A Lauretta la sua cioccolata,

A Madama un tazzin di ristoro,

Il rosolio a quegli altri, e il caffè.

Poi farai una torta sfogliata.

(Zitto... ascolta). Farai un pasticcio...

(Zitto, dico. Non dir non ve n'è). (Già lo so tutto quel che vuoi dire.

Non v'è roba, non v'è più denaro.

Non importa, sta cheto, l'ho caro;

Tai pensieri non toccan a te). (parte col Servo)

SCENA QUINTA

Il Conte, Madama Lindora, Lauretta e Foresto

CON.                     Generoso è Fabrizio.

LIND.                                                      E di buon core.

LAU.                     Per le ninfe d'Arcadia è un buon pastore.

FOR.                      Signori miei, disingannar vi voglio.

Il povero Fabrizio è disperato.

Egli s'è rovinato:

Ordina di gran cose, ma stamane

Non ha due soldi da comprarsi un pane.
LAU.                     Ma la mia cioccolata?

FOR.                      Per stamattina è andata.

CON.                     La caccia e il desinar?

FOR.                                                        Convien sospendere

Fin che si trovin quei che voglion spendere.
LIND.                    Ma il cappon vi sarà?

FOR.                                                        No, certamente.

LIND.                    Come viver potrò senza ristoro?

Ahimè, che languidezza! Io manco, io moro.
CON.                     Ah Madama, Madama,

Eccovi samperiglie,

Spirito di melissa,

Acqua della regina,

Estratto di cannella soprafina.
LIND.                    V'è alcuna spezieria?

FOR.                                                        Sì, mia signora.

LIND.                    Deh fatemi il piacer, Contino mio,

Andatemi a pigliare,

Giacché non ho ristoro,

Della polvere d'oro,


Un cordiale di perle,
Un elixir gemmato
Con qualche solutivo delicato.
CON.                     Per servirvi, Madama, in un istante,

Pongo lo sprone al cor, l'ali alle piante. (parte)

SCENA SESTA Madama Lindora, Lauretta e Foresto

LAU.

Eh, Madamina mia,

So io che vi vorria

Perché ogni vostro mal fosse guarito.

LIND.

E che mai vi vorrebbe?

LAU.

Un bel marito.

Le fanciulle giovinette

Son soggette a certi mali,

Ma non hanno gli speziali

La ricetta che vi vuol.

Altro recipe richiede

Della giovine il difetto:

Un amante giovinetto

D'ogni mal sanar la puol. (parte)

SCENA SETTIMA

Madama Lindora e Foresto

FOR.

Che ne dite, Madama? la ricetta

Piacevi di Lauretta?

LIND.

Io non ascolto

Né di lei, né di voi le debolezze.

Le passioni d'amor son leggerezze.

FOR.

Modestia è gran virtù. Ma finalmente

La passione del cor convien che sbocchi;

Che se il labbro non parla, parlan gli occhi.

Voi adorate il Conte.

LIND.

State zitto, ch'ei viene.

FOR.

Parto, perché sturbarvi non conviene. (parte)

SCENA OTTAVA Madama Lindora, poi il Conte con uno Speziale


con vari medicamenti.

LIND.

Io l'amo, è ver, ma non vuò dirlo adesso;

Vuò sostener la gravità del sesso.

CON.

Eccovi lo spezial, signora mia,

Ed ha mezza con lui la spezieria.

LIND.

Il cordiale? (al Conte)

CON.

(Allo Speziale) Il cordiale. Ecco il cordiale. (a Madama)

LIND.

Mezzo voi, mezzo io.

CON.

Io non ho male.

LIND.

Quando si serve dama,

Ricusar non si può.

CON.

Dite ben, dite bene: io beverò. (ne getta mezzo in un bicchiere, e lo beve, poi

dà il resto a Lindora)

LIND.

È gagliardo?

CON.

Un po' troppo.

LIND.

Ne vuò assaggiar un poco:

Ah no, no, non lo voglio, è tutto foco.

Datemi l'elixir.

CON.

Eccolo qui.

LIND.

Bevetene voi prima in quel bicchiere.

CON.

Ma io...

LIND.

Ma voi non siete cavaliere...

CON.

Vi domando perdono:

Vi servo, io bevo, e cavalier io sono.

LIND.

Vi piace?

CON.

Niente affatto.

Mi ha posto un Mongibel nel corpo mio.

LIND.

Dunque, quand'è così, non lo vogl'io.

CON.

Ed io intanto l'ho preso.

LIND.

Oimè! mi sento

Lo stomaco pesante.

Ha portato il purgante?

CON.

Sì, Madama,

È questo un solutivo

Ch'è molto operativo;

E se voi vi sentite indigestione,

In poch'ore farà l'operazione.

LIND.

Lasciatelo veder.

CON.

Eccolo.

LIND.

È troppo

Per lo stomaco mio.

Mezzo voi il beverete, e mezzo io.

CON.

Bisogno non ne ho.

LIND.

Che importa questo?

Prendetelo e bevete,

Se cavalier voi siete.

CON.

Beverò, beverò, sì, Madamina.

(Ella ha mal, ed io prendo medicina).

LIND.

Oibò, nausea mi fa. No, non lo voglio.


CON.                     Io sento un grande imbroglio

Nello stomaco mio.
LIND.                    Conte, soffrite voi, che soffro anch'io.

CON.                                Sì, Madama, soffrirò;

Ma mi sento un certo che... Che vorrebbe tornar su. Ahi, soffrir non posso più. Deh, ch'io vada permettete, Attendete, tornerò. No, vi dico, non vorrei... Se sentiste i dolor miei! Nol credete? io tacerò. Voi volete? io creperò. (parte)

SCENA NONA Madama Lindora, poi Giacinto

LIND.                    Povero Conte! Al certo riderei,

Se non mi fesse il rider tanto male.

GIAC.                    Madama, siete attesa.

Avrete di già intesa La disgrazia dell'ospite compito, Che per la bell'Arcadia è già fallito. Rosanna, che non lungi ha la sua villa, Tutti seco c'invita: Colà l'Arcadia unita Sarà con più giudizio, E con noi condurremo anco Fabrizio.

LIND.                    Oh povero Fabroni!

Me ne dispiace assai; ma non ci penso, Perché se ci pensassi, Forse per compassion m'attristerei, E attristandomi un poco, io morirei.

Non voglio affanni al core, Non vuò pensare a guai, Non ci ho pensato mai, E non ci penserò.

Io son d'un certo umore, Che par che mesta sia, pur malinconia Dentro il cor mio non ho. (parte)

SCENA DECIMA


Giacinto, poi Rosanna

GIAC.                   Può darsi ch'ella sia

Allegra più di quel ch'ognuno crede,

Ma fa morir d'inedia chi la vede
ROS.                      Giacinto, il tutto è pronto.

Preparato è il burchiello,

Mandato avanti ho i servitori miei;

Che veniste voi meco io bramerei.
GIAC.                   Non ricuso l'onor che voi mi fate.

ROS.                      Anzi, se non sdegnate,

Quando nella mia casa voi sarete,

Io farovvi padrone, e disporrete.
GIAC.                   Io, Rosanna, perché?

ROS.                                                       Perché se veri

Son quei detti di ieri...

Basta, di più non dico.
GIAC.                   Sì, mia cara, v'intendo,

E da voi sol la mia fortuna attendo. (parte)

SCENA UNDICESIMA

Rosanna sola.

Giacinto ha un certo brio

Che piace al genio mio.

Per lui, a poco a poco,

M'accese un dolce foco in seno Amore.

L'amo, l'adoro, e gli ho donato il core.

Principiai amar per gioco, E d'amor il cor m'accesi; Già m'alletta il dolce foco, E maggiore ognor si fa.

Fra i piaceri e fra i diletti Oggi nacque il mio tormento: Ma d'amare io non mi pento, Perché spero alfin pietà. (parte)

SCENA ULTIMA

Giardino che termina al fiume Brenta, in cui evvi il burchiello che attende la compagnia dell'Arcadia.

Fabrizio, poi Foresto, poi Rosanna, poi Giacinto, Madama Lindora, poi Lauretta, e per

ultimo il Conte


FABR.

No, non vuò che si dica

Ch'io abbia avuto di grazia

D'andar in casa d'altri

Dopo aver rovinata casa mia.

Vuò fuggir la vergogna, e scampar via. (s'incontra in Foresto)

FOR.

Dove, signor Fabrizio?

FABR.

Vado a far un servizio:

Aspettatemi qui, che adesso torno

(vuol andar da una parte, e s'incontra in Rosanna)

ROS.

Cercato ho ogni contorno,

Alfin v'ho ritrovato;

Signor Fabrizio amato,

Degnatevi venir in casa mia.

FABR.

Con buona grazia di vussignoria.

(vuol andar da un altro lato, e s'incontra in Giacinto)

GIAC.

Fermatevi, signore;

Fateci quest'onore:

Venite da Rosanna a star con noi.

FABR.

Aspettate un pochino, e son con voi.

(si volta da una parte, e incontra madama Lindora)

LIND.

Dove correte?

FABR.

(Oh bella!) (vuol rigirarsi per un altro lato, e incontra il

Conte)

CON.

Voi siete prigionier, non vi movete.

FABR.

Che vi venga la rabbia a quanti siete.

FOR.

Orsù, signor Fabrizio,

Permettete ch'io parli; ognuno sa

Che siete un galantuomo,

Che siete rovinato,

Che non v'è più rimedio. Ognun vi prega

Che venghiate con noi: se ricusate,

Superbia e non virtù voi dimostrate.

ROS.

Vi supplico.

LIND.

Vi prego.

LAU.

Vi scongiuro.

CON.

Non siate con tre donne ingrato e duro.

FABR.

Orsù, m'arrendo al generoso invito.

Non è poca fortuna

Per un uom rovinato

Esiger compassion dal mondo ingrato.

Per lo più quegl'istessi,

Ch'hanno mandato il misero in rovina,

Lo metton con gli scherni alla berlina.

TUTTI

Signor Fabrizio,

Venga con noi,

E lieto poi

Ritornerà.

FABR.

Vengo, e ringrazio


Tanta bontà

TUTTI

L'Arcadia in Brenta

È terminata,

E la brigata

Via se ne va.

FABR.

Andata fosse

Tre giorni fa.

TUTTI

Signor Fabrizio,

Venga con noi,

E lieto poi

Ritornerà.

FAB.

Vengo, e ringrazio

Tanta bontà.

Fine del Dramma.