L’architetto e l’imperatore

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L'ARCHITETTO E L'IMPERATORE

Commedia in quattro atti

Di ARRABAL

PERSONAGGI

IL CONTE GIACOMO GOZZI

LA CONTESSA GOZZI, sua moglie

CARLO, GASPARE, ALMORO, MARINA, TONINA, suoi figli

LUIGIA BERGALLI, moglie di Gaspare

TEODORA RICCI, comica, moglie di

FRANCESCO BARTOLI

ANTONIO SACCHI, detto Truffaldino

IL N. H. GRATAROL

LUCREZIA, vecchia serva di Carlo

LISANDRO, MARCO, CHECA, PASQUETA, amici di Carlo Gozzi

SAMUELE, BERGOLINI, SALVALAJ, usurai

CHECCHINO, scritturale di Carlo - MOMOLO, servo dei Gozzi

 Una serva - Altri servitori

Il primo atto a Vicinale, gli altri 3 atti a Venezia

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

(L'azione si svolge in una piccola radura, dove l'Architetto vive solo.

Scena: una capanna e una specie di sedia rustica. Sul fon­do, una macchia di rovi)

Quadro primo

(Rombo d'aereo. L'Architetto, come un animale minacciato e braccato, cerca rifugio, corre da tutte le parti, scava peti, terra, trema, riprende a correre e finisce col nascondere la testa nella sabbia. Esplosione. Riverbero abbagliante di fiamme. L'Architetto, con la faccia nella sabbia, si tappa le orecchie con le dita e trema di paura. Dopo qualche mi­nuto entra l'Imperatore, con una grossa valigia in mano. È piuttosto elegante, ricercato. Fa il possibile per mantenere la calma. Tocca l’"altro" con la punta del bastone e dice)

L'Imperatore                 - Signore, abbiate la compiacenza di aiutarmi. Sono l'unico superstite dell'incidente. L'Architetto - (inorridito) Ga! Ga! Garo! Garo! Ga! Ga! (Lo guarda un attimo, pieno di terrore, poi scappa a gambe levate. Buio)

Quadro secondo

(Due anni dopo. In scena, l'Imperatore e l'Architettò)

L’Imperatore                 - Ma è molto semplice. Su, ripeti.

L’Architetto                  - (ha una lieve difficoltà a pronunciare la esse) Assessore.

L’Imperatore                 - (con enfasi) Sono due anni che vivo in quest'isola, due anni che ti dò lezioni e tu sei ancora in­certo. Dovrebbe resuscitare Aristotele in persona per in­segnarti quanto fanno due sedie più due tavoli.

L’Architetto                  - So già parlare, no?

L’Imperatore                 - Be' si. Per lo meno, se capita qualcuno su quest'isola sperduta, puoi dirgli "Ave, Caesar".

L’Architetto                  - Ma oggi devi insegnarmi...

L’Imperatore                 - In questo preciso istante, ascolta la mia musa cantare l'ira di Achille. Il mio trono! (L'Imperatore si asside sul trono. L'Architetto s'inchina davanti a lui, con una riverenza) Ma certo, certo. Non dimenticare che io sono l'Imperatore d'Assiria.

L’Architetto                  - L'Assiria confina a nord col Mar Caspio, a sud con l'Oceano Indiano...

L'Imperatore                 - Basta cosi.

L’Architetto                  - Insegnami, come mi avevi promesso...

L’Imperatore                 - Calma, calma. Ah! (con aria sognante) La civiltà, la civiltà!

L’Architetto                  - (felice) Si, si.

L’Imperatore                 - Taci. Cosa puoi saperne tu, che sei vissuto per tutta la vita chiuso in quest'isola che le carte geogra­fiche hanno dimenticato e che Dio ha sputato nell'Oceano per dispetto?

L’Architetto                  - Racconta, racconta!

L’Imperatore                 - In ginocchio! (L'Architetto s'inginocchia) Va be', non è necessario. (L'altro si alza. Con molta enfasi) Ora ti spiego.

L’Architetto                  - Si! Si! Spiega!

L’Imperatore                 - Sta' zitto. (Di nuovo, con enfasi) Ora ti spiego: la mia vita. (Si alza facendo ampi gesti) Mi alzavo alle prime luci dell'alba: tutte le chiese tutte le sinagoghe e tutti i templi facevano echeggiare le loro trombe. Comin­ciava a spuntare il giorno. Mio padre veniva a svegliarmi seguito da un reggimento di violinisti. Ah, la musica! Che meraviglia! (Improvvisamente preoccupato) Hai fatto cuo­cere le salsicce con le lenticchie?

L’Architetto                  - Si, maestà!

L’Imperatore                 - Dov'ero arrivato? Ah, al mio risveglio, col reggimento di trombettieri che arrivavano al mattino, i violini delle chiese... Che mattine! Che risvegli! Poi accor­revano le mie divine schiave cieche che m'insegnavano la filosofia, nude. Ah, la filosofia! Un giorno ti spiegherò che cos'è.

L’Architetto                  - Sire, come t'insegnavano la filosofia?

L’Imperatore                 - Non entriamo in particolari. E la mia fi­danzata... mia madre...

L’Architetto                  - Mamma, mamma, mamma.

L’Imperatore                 - (spaventato) Dove hai sentito questa parola?

L’Architetto                  - Sei stato tu a insegnarmela.

L’Imperatore                 - Dove? Quando?

L’Architetto                  - L'altro giorno.

L’Imperatore                 - Che cos'ho detto?

L’Architetto                  - Hai detto che la tua mamma ti prendeva fra le braccia e ti cullava, poi ti dava un bacio in fronte e... (L'Imperatore rivive la scena evocata: si rannicchia sul­la sedia come se una persona invisibile lo cullasse, lo ba­ciasse eccetera) ...hai detto che a volte ti picchiava con la frusta e ti prendeva per mano, quando andavate per strada e che...

L’Imperatore                 - Basta! Basta! Il fuoco è acceso?

L’Architetto                  - Si.

L’Imperatore                 - Sei sicuro che resterà acceso tutta la notte?

L’Architetto                  - Si, guarda il fumo.

L’Imperatore                 - Va be', che importa?

L’Architetto                  - Come, che importa? Hai detto che un giorno una nave o un aereo ci vedranno e verranno qui.

L’Imperatore                 - E noi che faremo?

L’Architetto                  - E noi andremo nel tuo paese, dove ci sono i mobili, i dischi, la televisione, le donne e dei piatti pieni di coriandoli e chilometri di pensieri, e i giovedì più lunghi del naturale, e...

L’Imperatore                 - (cambiando discorso) Hai preparato la croce?

L’Architetto                  - Eccola. (Indica i rovi) Adesso mi crocefìggi?

L’Imperatore                 - Devi essere crocefisso tu? Non io?

L’Architetto                  - Abbiamo tirato a sorte. Te ne sei dimen­ticato?

L’Imperatore                 - (in collera) Com'è possibile? Abbiamo ti­rato a sorte per sapere chi avrebbe redento l'umanità?

L’Architetto                  - Maestro, tu dimentichi tutto.

L’Imperatore                 - E come abbiamo tirato a sorte? Con che cosa?

L’Architetto                  - Con le pipe. (All'Imperatore viene la ri­darella, e continua a ripetere "le pipe, le pipe") Perché ridi, Maestro?

L’Imperatore                 - Come? Adesso mi dai del tu?

L’Architetto                  - Mi avevi detto...

L’Imperatore                 - Non ti ho mai detto che cosa significa la parola pipa, farsi una pipa.

L’Architetto                  - Allora, posso darti del tu o no?

L’Imperatore                 - Le mie donne cieche, che m'insegnavano la filosofia vestite solo di un asciugamano rosa! Che me­moria ho! Me ne ricordo come se fosse ieri. Come acca­rezzavano il mio corpo divino, come ne detergevano gli angoli più sudici, ad esempio il... A cavallo!

L’Architetto                  - Faccio io il cavallo?

L’Imperatore                 - No, io! (L'Imperatore si mette a quattro zampe. L'Architetto gli monta in groppa come su un ca­vallo) Dimmi ihu!

L’Architetto                  - Ihu lalà!

L’Imperatore                 - Frustami con lo scudiscio! (L'Architetto lo sferza con un ramo)

L’Architetto                  - Ihu! Più svelto! Dobbiamo arrivare a Babilonia!  Più svelto!  Ihu!  (Fanno parecchie volte il giro del palcoscenico al trotto. D'improvviso, l'Imperatore di­sarciona l'Architetto)

L’Imperatore                 - (fuori di sé) Come? Non hai messo gli speroni?

L’Architetto                  - Che cosa sono gli speroni?

L’Imperatore                 - Come vuoi che arriviamo a...

L’Architetto                  - A Babilonia.

L’Imperatore                 - (spaventato) Da dove salta fuori, questa parola? Chi te l'ha insegnata? Chi viene a trovarti, men­tre io dormo? (Si getta sull'Architetto e quasi lo stran­gola)

L’Architetto                  - Sei stato tu a insegnarmela.

L’Imperatore                 - Io?

L’Architetto                  - Si, hai detto che era una città del tuo impero d'Assiria.

L’Imperatore                 - (riprendendosi, con enfasi) Formiche! (Guarda per terra una fila di formiche) Formiche! Minu­scole schiave! Andate a prendermi sull'istante un nappo d'acqua! (Si siede sul trono e aspetta. Nervoso) Non mi ave­te sentito? (Un lungo silenzio) Andate a prendermi un nappo d'acqua, ho detto. (Furioso) Come? Non si rispetta l'Impe­ratore d'Assiria? È possibile? Morite ai miei piedi! (Si av­vicina furioso alla fila di formiche e la calpesta con rabbia. Poi si lascia cadere sul "trono", sfinito)

L’Architetto                  - Prendi!

L’Imperatore                 - (gettando via il nappo) Che me ne faccio di quest'acqua? Io bevo soltanto vodka. (Risatina)

L’Architetto                  - Non hai detto che...

L’Imperatore                 - E la mia fidanzata? Ti ho mai parlato della mia fidanzata?

L’Architetto                  - (come se ripetesse una lezione) Era - molto - bella - molto - graziosa - molto - bionda - con - gli - occhi - verdi - e...

L’Imperatore                 - Ci scherzi su?

L’Architetto                  - Mi hai già parlato di lei.

L’Imperatore                 - Vuoi fare la mia fidanzata?

L’Architetto                  - Adesso?

L’Imperatore                 - Ti rifiuti di fare la mia fidanzata? (Fu­rioso) Selvaggio!

L’Architetto                  - Da un po' di tempo sono sempre io la fidanzata, e tu ti gratti!

L’Imperatore                 - Ti ho insegnato anche il gergo! Sono per­duto!

L’Architetto                  - Quando m'insegni l'architettura?

L’Imperatore                 - A che scopo? Non sei già architetto?

L’Architetto                  - E va bene, farò la fidanzata.

L’Imperatore                 - Ma, non hai appena espresso il desiderio che t'insegni l'architettura? Ah! L'architettura!

L’Architetto                  - Avevamo detto che dovevo fare la fidan­zata.

L’Imperatore                 - Avevamo detto che oggi ti avrei insegnato l'architettura... Le basi dell'architettura sono... Va be', farò la fidanzata, se insisti.

L’Architetto                  - Allora, quali sono le basi dell'architettura?

L’Imperatore                 - (furioso) Ho detto che oggi farò la fidan­zata, visto che ci tieni tanto.

L’Architetto                  - Mettiti le sottane.

L’Imperatore                 - Non so nemmeno dove sono. Tu perdi tutto. Lasci la roba dove capita. Ma... è possibile che tu ignori le basi dell'architettura, tu un architetto d'Assiria? E possibile che tu abbia cosi vilmente approfittato della mia buona fede da farti insignire del titolo di Supremo Archi­tetto d'Assiria, mentre ignori anche i primi rudimenti dell'architettura? Che cosa diranno i vicini?

L’Architetto                  - Sei stato tu a darmi la nomina. Non è colpa mia. Non sono l'Imperatore io.

L’Imperatore                 - Dove si son cacciate quelle maledette sot­tane? Formiche! Andate sull'istante a prendermi sottane e sottanine!

L’Architetto                  - Non ti obbediranno.

L’Imperatore                 - Come non mi obbediranno? Formiche, schiave, andate a cercare le mie sottane, oggi faccio la parte della fidanzata... Mi avete sentito? Oh, dove ho la testa? Mi ero già dimenticato che le ho schiacciate tutte poco fa... (Con molta dolcezza) Senti, sii sincero: credi che io sia un dittatore?

L’Architetto                  - Che cos'è un dittatore?

L’Imperatore                 - Certo, io non sono un militare. Ditemi, sudditi miei, vi sentite oppressi dal mio giogo? Ditelo, con­fermatelo, sono un tiranno?

L’Architetto                  - Ti metti le sottane o no?

L’Imperatore                 - Ti ho domandato se sono un tiranno.

L’Architetto                  - No, non sei un tiranno. (Esasperato) Ba­sta!

L’Imperatore                 - Ho ucciso le formiche! I tiranni...

L’Architetto                  - Le sottane!

L’Imperatore                 - Ma allora giochiamo ai curati, oggi?

L’Architetto                  - Va be', vedo che non ne hai voglia...

L’Imperatore                 - (senza infilarsi la sottana, si trasforma in donna parlando con voce femminile) Oh, amore mio, mi ami? Insieme noi andremo...

L’Architetto                  - Sei tanto bella che, quando penso a te, sento un fiore che mi spunta tra le gambe e la sua corolla trasparente mi vela i fianchi... Mi permetti di toccarti le ginocchia?

L’Imperatore                 - (donna) Non sono mai stata cosi felice. M'invade una gioia tale che dalle mie mani sgorgano due zampilli d'acqua per le tue mani.

L’Architetto                  - Tu e le tue ginocchia, cosi bianche e cosi rotonde, cosi dolci...

L’Imperatore                 - Accarezzale. (L'Imperatore cerca di tirar su la gamba del pantalone per mostrare le ginocchia e non ci riesce) Merda! Le sottane! (Silenzio)

L’Architetto                  - Ho costruito una piroga.

L’Imperatore                 - Te ne vai? Mi lasci solo? (Con enfasi) Oh, giovane fortunato! Omero si è fatto araldo delle tue virtù!

L’Architetto                  - Che cosa dici?

L’Imperatore                 - E tua madre?

L’Architetto                  - Non ho mai avuto madre, lo sai!

L’Imperatore                 - Sei il figlio di una sirena e di un cen­tauro. L'unione perfetta! (Molto triste) Mamma, mamma. (Cerca la mamma sotto il trono) Mamma, dove sei? Sono io, son qui solo, tutti mi hanno dimenticato, ma tu...

L’Architetto                  - (s'è messo un velo in testa e fa la parte della mamma) Bambino mio, che hai? Non sei solo, sono qui io, la tua mamma!

L’Imperatore                 - Mamma, tutti mi odiano; mi hanno ab­bandonato su quest'isola.

L’Architetto                  - (molto materno, lo ripara con le sue braccia) No, bambino mio, sono qua io a proteggerti. Non devi sentirti solo. Su, racconta tutto alla mamma. 28

L’Imperatore                 - Mamma, l'Architetto vuole abbandonarmi, ha fabbricato una piroga per andarsene e io resterò qui solo.

L’Architetto                  - (madre) Non crederci: vedrai che è per il tuo bene, andrà a cercare aiuto e verranno a salvarti.

L’Imperatore                 - Ne sei sicura, mamma?

L’Architetto                  - Si, bambino mio.

L’Imperatore                 - Mamma, non andartene, resta sempre con me.

L’Architetto                  - (madre) Si, bambino mio, resterò con te giorno e notte.

L’Imperatore                 - Mammina cara, dammi un bacio. (L'Archi­tetto si avvicina per baciarlo. L'Imperatore lo respinge bru­talmente) Boh! Puzzi! Puzzi! Cosa diavolo hai mangiato?

L’Architetto                  - Quello che hai mangiato tu.

L’Imperatore                 - Prendi appuntamento col dentista. Fatti piombare i denti. Puzzi come una...

L’Architetto                  - Mi hai promesso...

L’Imperatore                 - Ti ho promesso, ti ho promesso... e con questo? Portami la mia scatola dei sigari.

L’Architetto                  - (con una riverenza) Come desidera Vostra Maestà. (Esce e rientra con un sasso)

L’Imperatore                 - Quando dico i miei sigari, intendo i "Geneviève et Michel".

L’Architetto                  - Eccoli, signore.

L’Imperatore                 - (tocca il sasso, finge di scegliere un buon sigaro, lo prende, l'annusa, ne taglia la punta) Ah, che aroma degno degli dei! Ah, i sigari "Geneviève et Michel"!

L’Architetto                  - (finge di accendere il sigaro con un accendi­sigari) Ecco il fuoco, signore.

L’Imperatore                 - Come? Con un accendisigari? E saresti un cameriere che ha fatto l'Università? Vergogna! Dove hai messo la piroga?

L’Architetto                  - Sulla spiaggia.

L’Imperatore                 - (molto triste) E quando l'hai fatta? (Senza lasciargli il tempo di rispondere) Perché l'hai fabbricata sen­za dirmi niente? Giurami che non partirai senza avver­tirmi?

L’Architetto                  - Lo giuro!

L’Imperatore                 - Su che cosa?

L’Architetto                  - Su quello che vuoi, su quello che c'è di più sacro.

L’Imperatore                 - Sulla costituzione dell'isola.

L’Architetto                  - Ma non è una monarchia assoluta?

L’Imperatore                 - Silenzio! Qui parlo io, soltanto io.

L’Architetto                  - Quando me l'insegni, questo?

L’Imperatore                 - Ma di che vai parlando? Mi cavi l'anima tutto il giorno: e insegnami questo! e insegnami quello!

L’Architetto                  - Hai promesso che oggi m'insegnavi come si fa ad essere felici.

L’Imperatore                 - Non ora. Più tardi, senz'altro.

L’Architetto                  - Mi rispondi sempre la stessa cosa.

L’Imperatore                 - Dubiti della mia parola?

L’Architetto                  - Che cosa si prova quando si è felici?

L’Imperatore                 - Te lo racconterò. Che impazienza! Che impazienza! Ah, la gioventù!

L’Architetto                  - Sai come me l'immagino? Ecco, quando si è felici si è con una persona che ha la pelle molto de­licata e la si bacia sulla bocca e tutto si vela di fumo rosa e il corpo di quella persona si trasforma in un'infinità di specchietti e quando la si guarda ci si vede riflessi milioni di volte e si va a spasso con lei intorno a un lago, in groppa alle pantere e alle zebre, e lei ci tiene legati con una corda, e quando la si guarda cominciano a piovere piume di co­lomba che cadendo sul sole nitriscono come giovani puledre; e poi si è in una camera e ci si mette a camminare sul soffitto, con quella persona, (Parla precipitosamente) ...e le teste si coprono di serpenti che ci accarezzano e i serpenti si coprono di ricci di mare che gli fanno il solletico, e i ricci di mare si coprono di scarabei d'oro pieni di regali e gli scarabei d'oro...

L’Imperatore                 - Basta!

L’Architetto                  - Muuuh! Muuuh! (Si mette a quattro zam­pe) Vedi, sono una mucca.

L’Imperatore                 - Taci, pazzo che non sei altro.

L'Architetto                  - Mi masturbi?

L’Imperatore                 - Non mi rispetti più?

L’Architetto                  - Tu sei l'illustrissimo e saggissimo impe­ratore della potentissima Assiria. (Gli fa delle profonde ri­verenze)

L’Imperatore                 - Che cos'hai sognato, oggi?

L’Architetto                  - L'Assiria, che è il più grande impero del mondo occidentale in lotta contro la barbarie del mondo orientale,..

L’Imperatore                 - Pezzo d'asino! È il contrario!

L’Architetto                  - Devo parlare del pericolo giallo?

L’Imperatore                 - Sei diventato reazionario, adesso?

L’Architetto                  - Non sta bene?

L’Imperatore                 - Facciamo la guerra. (Si preparano. Si ran­nicchiano. Afferrano due "mitragliatrici". Sparano, ta-ta-ta-ta. Strisciano per terra. Si trovano faccia a faccia, mimetizzati. Portano tutt'e due l'elmo e una bandiera in mano)

L’Architetto                  - (mimetizzato, vede solo la sua bandiera) Qui, la radio dei vincitori. (Voce da speaker) Soldati ne­mici, non lasciatevi trarre in inganno dalla propaganda menzognera dei vostri ufficiali! È il Generale in capo che vi parla. Ieri, con le bombe all'idrogeno, abbiamo distrutto metà della popolazione civile del vostro paese. Arrendetevi da soldati e avrete diritto all'onore delle armi. Per un mondo migliore!

L’Imperatore                 - (idem) Qui la radio ufficiale dei futuri vincitori. È il Maresciallo in capo che vi parla. Soldati ne­mici, non lasciatevi incantare dalla demagogia dei vostri superiori. Ieri i nostri missili hanno massacrato tutta la po­polazione civile del vostro paese, la popolazione civile del vostro paese, la popolazione civile del vostro paese... (Disco rotto. L'Architetto esce dal suo "settore" mimetizzato. Pian­ge. Anche l'Imperatore esce piangendo. Si voltano le spalle. Sono tutt'e due vestiti da soldato e "armati". Piangono e guardano le fotografie dei loro civili morti. D'un tratto si voltano, si studiano, si puntano le armi contro e gridano) L'Architetto e

L’Imperatore                 - Mani in alto, traditore! (Con le mani alzate gettano via le mitragliatrici e si guar­dano spauriti. Finalmente)

L’Architetto                  - Siete un soldato nemico?

L’Imperatore                 - Non uccidetemi!

L’Architetto                  - E nemmeno voi!

L’Imperatore                 - Ma insomma, è cosi che combattete per un mondo migliore?

L’Architetto                  - A dire la verità la guerra mi fa paura. Me ne sto tutto rannicchiato nella mia trincea e aspetto... spe­rando che tutto finisca presto.

L’Imperatore                 - Ho alzato le mani per colpa tua. È di­sgustoso. Bei soldati, l'esercito nemico!

L’Architetto                  - E voi?

L’Imperatore                 - lo non sono molto bellicoso; qui nel mio settore vorremmo che tutto finisse presto. Ma che cosa guardate, su quelle fotografie?

L’Architetto                  - (quasi in lacrime) Tutti i miei familiari che avete ucciso con le vostre bombe di grosso calibro.

L’Imperatore                 - (condiscendente) Su, su, vecchio mìo, non piangere, guarda i miei. Quelli li avete uccisi voi.

L’Architetto                  - Ah be', siamo proprio sfortunati. (Si scio­glie in lacrime)

L’Imperatore                 - Permettete che pianga con voi?

L’Architetto                  - Fate pure... Ma, non sarà uno stratta­gemma? (Piangono tutt'e due come fontane)

L’Imperatore                 - (butta via il suo equipaggiamento militare con gesto maestoso) Che vita era la mia! Tutte le matti­ne mio padre veniva a svegliarmi con un corteggio di bal­lerine. E tutte ballavano per me. Ah, la danza! Un giorno t'insegnerò la danza! Tutta l'Assiria assisteva alla cerimo­nia del mio risveglio, grazie alla televisione. Poi venivano le udienze. Prima, l'udienza civile che concedevo dal letto, mentre i miei schiavi ermafroditi mi pettinavano e span­devano sul mio corpo tutti i profumi d'Arabia. Poi comin­ciava l'udienza militare, che concedevo dall'alto della mia seggetta, e infine l'udienza ecclesiastica. (Molto nervoso) Qual è la tua religione?

L’Architetto                  - Quella che mi hai insegnato.

L’Imperatore                 - Dunque tu credi in Dio?

L’Architetto                  - Mi battezzi?

L’Imperatore                 - Come? Non sei battezzato? Ma tu corri alla perdizione! Brucerai per tutta l'eternità, giorno e notte; e sceglieranno le diavolesse più belle, per eccitarti, ma loro t'infileranno dei ferri roventi nel buco.

L’Architetto                  - Mi avevi detto che sarei andato in cielo.

L’Imperatore                 - Bambino! Come conosci male la vita!

L’Architetto                  - Confessami. (L'Imperatore si siede sul trono. E l'Architetto si prostra ai suoi piedi) Padre, mi ac­cuso di...

L’Imperatore                 - Ma che farsa è questa? Devo farlo an­cora io, il confessore? Fuori di qui, mascalzone! Non ti confesso. Morrai schiacciato sotto il peso delle tue colpe e brucerai per tutta l'eternità, per causa mia.

L’Architetto                  - Ho sognato che...

L’Imperatore                 - Chi t'ha chiesto di raccontarmi i tuoi sogni?

L’Architetto                  - Me l'hai detto tu, poco fa.

L’Imperatore                 - Che m'importa dei tuoi sogni?... E va be', racconta.

L’Architetto                  - Ho sognato che ero solo, in un deserto, e tutt'a un tratto cadeva un aereo e mi prendeva il panico e correvo di qua e di là, e avrei persino voluto nascondere la testa nella sabbia, poi qualcuno, dietro di me, mi ha chiamato e...

L’Imperatore                 - Non continuare. Che strano sogno! Freud, aiutami tu!

L’Architetto                  - E anche erotico.

L’Imperatore                 - E come no?

L’Architetto                  - (porgendogli una frusta) Mi picchi?

L’Imperatore                 - (condiscendente) D'accordo. Che parte devo fare?

L’Architetto                  - Per me è lo stesso.

L’Imperatore                 - Faccio tua madre?

L’Architetto                  - Su, presto, picchiami, non ne posso più. (Ha la schiena nuda e aspetta le frustate)

L’Imperatore                 - Che cos'è tutta questa fretta? Adesso, il signore bisogna servirlo a tamburo battente! Detto, fatto.

L’Architetto                  - Su, picchiami. Solo dieci colpi di scudiscio. (Supplichevole) Avanti!

L’Imperatore                 - "Solo" dieci colpi di scudiscio! Alla mia età! Ma cosa credi, che sia il giovane Amleto che salta le tombe dei suoi avi in putrefazione?

L’Architetto                  - Frustami, frustami, non ne posso più, mi fa male là.

L’Imperatore                 - Ma si, ma si, non è il caso di farsi venire una crisi di nervi. Ti frusto... quante volte?

L’Architetto                  - Quante vuoi, ma spicciati. Se picchi forte basterà una volta.

L’Imperatore                 - Dove desidera essere fustigato il signore? (Con enfasi) Sulle natiche rosa, sulla schiena d'ebano o sulle cosce, colonne elegiache dell'immortale Sparta?

L’Architetto                  - Picchiami, picchiami!

L’Imperatore                 - E va bene, ti picchio. (Con molta solen­nità, l'Imperatore frusta l'Architetto una sola volta, adagio e con infinita dolcezza: lo scudiscio sfiora appena la pelle. L'Architetto si getta sull'Imperatore, gli strappa la frusta e si sferza due volte, con estrema violenza. Cade a terra, co­me impazzito. Poi si alza e se ne va)

L’Architetto                  - Me ne vado per sempre. (L'Imperatore mi­sura la scena a grandi passi, con aria maestosa)

L’Imperatore                 - E sia! Questo mi offrirà l'occasione per un monologo. Siamo shakespeariani! (Singhiozza. Si soffia il naso con un ampio fazzoletto) Ah, finalmente solo! (Gira per la scena, con aria agitata) Ma come faccio a redimere l'u­manità da solo? (Mima la croce fissione. D'improvviso urla) Architetto! Architetto! (A voce più bassa) Perdonami. (Sin­ghiozza, si soffia il naso. Mima la crocefissione) I piedi si. I piedi li inchiodo meglio di un centurione, ma... (Mostra, a gesti, com'è difficile d'inchiodare le mani) Architetto!... Tor­na, ti prometto che ti frusterò quante volte vorrai. E forte come vorrai. (Piange. Rientra l'Architetto. L'Imperatore, molto dignitoso, smette di singhiozzare) Come mai sei qui? Ascolti dietro le porte? Mi spii?

L’Architetto                  - Non sei in collera?

L’Imperatore                 - Devo picchiarti?

L’Architetto                  - Non è il caso.

L’Imperatore                 - Ti ho intrattenuto, qualche volta, sulle mie quattordici segretarie?

L’Architetto                  - Le - quattordici - segretarie - sempre -nude - che - scrivevano - i - capolavori - che - tu - dettavi...

L’Imperatore                 - Hai l'audacia di deridere le mie opere letterarie? Sappi che son stato Premio... come si chiama?...

L’Architetto                  - Premio - Nobel - ma - l'hai - rifiutato -perché?

L’Imperatore                 - Taci, pazzo scatenato, che cosa capisci, tu, di morale?

L’Architetto                  - La morale confina a nord col mar Ca­spio, a sud..,

L’Imperatore                 - Bestia. Confondi tutto. È l'Assiria! Con­fondi l'Assiria con la morale! Che barbaro! Che selvaggio!

L’Architetto                  - Spengo?

L’Imperatore                 - Fa quello che vuoi.

L’Architetto                  - Le-lo-mil-loooooooo-loooo. (Mentre l'Ar­chitetto pronunzia queste parole il cielo si oscura e cade la notte. Buio completo)

Voce delL’Imperatore  - (nel buio) Un altro dei tuoi soliti scherzi. Ne ho abbastanza. Che si faccia di nuovo giorno. Fai tornare la luce. Non mi sono ancora lavato i denti.

Voce del

L’Architetto                  - Ma tu m'avevi detto di fare quello che volevo.

Voce del

L’Imperatore                 - Tutto quello che volevi, salvo far scendere la notte.

Voce del

L’Architetto                  - Va bene, faccio giorno. Voce del

L’Imperatore                 - Spicciati.

Voce del

L’Architetto                  - Mi-ti-rniii-tiiiiii! (Il giorno torna come se n'era andato)

L’Imperatore                 - Non farmi più prendere spaventi del ge­nere.

L’Architetto                  - Credevo che tu volessi dormire.

L’Imperatore                 - Non impicciarti dì queste cose. Abbiamo già abbastanza da fare. Lascia che s'incarichi la natura, del sole e la luna .

L’Architetto                  - E allora, m'insegni la filosofia?

L’Imperatore                 - La filosofia? Io? (Sublime) La filosofia? Che meraviglia! Un giorno t'insegnerò questa meraviglia umana. Questo divino frutto della civiltà. (Nervoso) Ma dim­mi, come fai a fare il giorno e la notte?

L’Architetto                  - Uh!... È semplicissimo. Non so nemmeno io come faccio.

L’Imperatore                 - E le parole che borbotti?

L’Architetto                  - . Le dico cosi', senza sapere il perché. Ma la notte può cadere anche senza. Basta che la desideri.

L’Imperatore                 - (incuriosito) E quelle parole... (Riprenden­dosi) Bruto, ignorante! Tu non hai visto niente! Ti ho par­lato della televisione, della coca cola, dei carri armati, dei musei di Babilonia, dei nostri ministri, dei nostri papi, dell'immensità dell'oceano, della profondità delle nostre teorie...

L’Architetto                  - Racconta, racconta!

L’Imperatore                 - (maestosamente, sedendosi sul trono) Uc­cello! Si, tu, che stai su quel ramo vai a prendermi sull'istan­te una coscia di capretto. Hai capito? Sono l'Imperatore d'As­siria. (Aspetta in posa da gran signore. Poi nervoso) Come? Osi ribellarti al mio potere illimitato, alla mia scienza e alla mia eloquenza sovrana al mio verbo e alla mia super­bia? Ti ho ordinato di andare a prendermi sull'istante una coscia di capretto. (Aspetta. Poi raccoglie una pietra e la get­ta verso il ramo) E sia; morrai!... Voglio regnare solo su sudditi obbedienti...

L’Architetto                  - Che si getteranno ai piedi del più potente imperatore d'Occidente. (Si prosterna ai piedi dell'Impe­ratore)

L’Imperatore                 - D'Occidente, hai detto? D'Occidente e d'Oriente. Non sai che l'Assiria ha già lanciato numerosi satelliti abitati su Nettuno? Dimmi c'è un'impresa para­gonabile a questa?

L’Architetto                  - Nessuno è più potente sulla nostra terra diletta!

L’Imperatore                 - Ahi! Il mio cuore!... La barella! (L'Impe­ratore si torce dai dolori. L'Architetto rientra in scena con la barella) Il mio cuore. Ascoltalo. Una fitta terribile. Ahi­mé, il mio debole cuore... (L'Architetto si china e auscul­ta il cuore dell'Imperatore per un po')

L’Architetto                  - Sta tranquillo, Imperatore, credo che non sia nulla. Riposati e il dolore se ne andrà, come se n'è andato tante altre volte.

L’Imperatore                 - (ansante) No, stavolta è grave. Mi sento mancare. Sono sicuro che è un infarto del miocardio.

L'Architetto                  - Il polso batte quasi normalmente.

L’Imperatore                 - Grazie, figliolo. So che cerchi di rassicu­rarmi.

L’Architetto                  - Dormi un po', e vedrai che ti passa tutto.

L’Imperatore                 - (preoccupato) Le mie ultime parole? Le ho dimenticate. Dimmi, presto, dimmi, quali sono?

L’Architetto                  - "Muoio contento poiché abbandono un mondo caduco per entrare nell'immortalità." Ma non preoc­cuparti di questo.

L’Imperatore                 - Voglio confidarti una cosa, una cosa che non ti ho mai confessato. Mi piacerebbe morire travestito. (Pausa) Travestito... (molto snob) da Bishop of Chess.

L’Architetto                  - Bis... che cosa?

L’Imperatore                 - Bishop of Chess. Bishop è il vescovo, l'al­fiere degli scacchi... Appaga i miei desideri. È molto sem­plice: mi pianti un bastoncino tra le cosce, perché stia ritto come un pezzo degli scacchi e mi metti una corazza da vescovo alfiere.

L’Architetto                  - Sarà fatta la tua volontà.

L’Imperatore                 - Ahi! Muoio, muoio! Fai quello che ti ho chiesto. (L'Architetto porta il bastone, la corazza e un sacco e traveste l'Imperatore. Pratica un 'apertura nel sacco, per far uscire la testa) Ahi! Mammina, muoio!

L’Architetto                  - Calmati, Guarirai. Eccoti vestito da Bi­shop of Chess.

L’Imperatore                 - Ab...brac...cia...mi... (Si abbracciano. Con voce ansante) "Muoio soddisfatto: lascio questo mondo mortale per..."          - (La testa gli ricade sul petto. L'Architetto piange a calde lacrime. Prende la mano dell'Imperatore e vi depone un bacio)

L’Architetto                  - (singhiozzando) È morto! È morto! (De­pone il cadavere travestito da Bishop of Chess in una bara. Chiude la bara. Si mette a scavare una fossa, tutto in lacrime. D'improvviso, il coperchio si alza e l'Impera­tore esce dalla bara, liberandosi del travestimento)

L’Imperatore                 - Porco, fetente, mucchio di merda: stavi 30 per seppellirmi! Bifolco, pederasta, coglione!

L’Architetto                  - Ma non erano questi i tuoi ordini?

L’Imperatore                 - Di seppellirmi? Imbecille, cretino! Mi sa­rei svegliato nella tomba e chi mi avrebbe tirato fuori? Con un metro di terra sullo stomaco?

L’Architetto                  - L'ultima volta...

L’Imperatore                 - Ti ho detto di cremarmi... (Sublime) E tu getterai le mie ceneri nel mare, come quelle di Byron, di Shakespeare, della Fenice, di Nettuno e di Plutone.

L’Architetto                  - L'altro giorno volevo cremarti e tu ti sei arrabbiato: hai detto che ti saresti svegliato con le palle bruciacchiate, ballando la giga e gridando Viva la Re­pubblica!

L’Imperatore                 - (molto serio) Io mi piego a tutti i tuoi capricci, ma tu sta' ben attento alla mia morte. Niente er­rori. E stavolta è stato un rosario di errori. La mia infe­licità non ha confini!

L’Architetto                  - Parto con la mia piroga.

L’Imperatore                 - (umilmente) Dove vai?

L’Architetto                  - Nell'isola di fronte. È sicuramente abitata.

L’Imperatore                 - Quale isola? Non ne ho mai viste, di qui.

L’Architetto                  - Quella laggiù.

L’Imperatore                 - Non vedo niente.

L’Architetto                  - C'è la montagna che te l'impedisce. Ades­so la sposto. (L'Architetto batte le mani e si sente uno spa­ventoso fracasso) La vedi, ora?

L’Imperatore                 - Tu muovi le montagne? Tu muovi an­che le montagne... (In tono sincero) Non andartene. Farò tutto quello che vuoi. Ti nominerò Imperatore d'Assiria. Abdicherò.

L’Architetto                  - Me ne andrò e troverò la fidanzata...

L’Imperatore                 - Io non ti basto?

L’Architetto                  - E girerò per le città, disseminando bot­tiglie per le strade perché gli adolescenti si ubriachino, e attaccando altalene dappertutto perché le nonne mostrino il sedere; e comprerò una zebra e le metterò le scarpe di daino perché le vengano le bolle ai piedi e sarò felice per­ché conoscerò tutti e vedrò...

L’Imperatore                 - Architetto, confessa che mi odi.

L’Architetto                  - No, non ti odio affatto.

L’Imperatore                 - Ti regalo i miei sogni, vuoi?

L’Architetto                  - Tu sogni sempre la stessa cosa; sempre giardini di delizie, sempre boschi, e io sono stufo di veder piantar rose nel culo alle donne.

L’Imperatore                 - Tu non sei un artista, sei un bifolco! Tu non sai niente del sublime, non ami che le scorie.

L’Architetto                  - Cosa vale di più? Non me l'hai mai detto.

L’Imperatore                 - Corri al mio guardaroba imperiale e pren­di il costume che preferisci.

L’Architetto                  - Quando me ne andrò avrò tutti i costumi che vorrò: mi vestirò di fiammiferi, in maniera vaga e in­definibile, avrò un paio di mutandoni di latta, e cravatte elettriche, e giacche di tazze di caffè e camicie grigio-perla orlate da una catena interminabile di camion carichi di case...

L’Imperatore                 - Vuoi che ti circoncida? Terrò il tuo pre­puzio su un altare e farà i miracoli.

L’Architetto                  - M'insegni la filosofia?

L’Imperatore                 - Ah! La filosofia! La filosofia! (Improvvi­samente, si mette a quattro zampe) Io sono l'elefante sa­cro. Montami in groppa e andremo a lucrare dell'anno santo di Brahama. (L'Architetto gli monta in groppa) Avvol­gimi la catena intorno alla proboscide (Gli porge la catena) E adesso fammi avanzare e prega.

L’Architetto                  - Avanti elefante bianco.

L’Imperatore                 - Sono un elefante sacro: sono rosa.

L’Architetto                  - Avanti, sacro elefante rosa. Andiamo in pellegrinaggio a vedere Brahama dalle quindici mani. An­diamo a farci benedire quattordici volte al secondo! Vi­vaddio! (L'Imperatore lo disarciona con violenza)

L’Imperatore                 - Quali parole sacrileghe hai proferito?

L’Architetto                  - Vivaddio!

L’Imperatore                 - Viva Dio? Ah! Allora non so se è un sa­crilegio. Bisognerebbe leggere la Summa teologica, o al­meno la Bibbia a fumetti.

L’Architetto                  - Prima di partire vorrei farti una confes­sione.

L’Imperatore                 - Dimmi tutto... Io sono tuo padre e tua madre, sono tutto per te. (Pausa) Un momento, mi chia­mano al telefono rosso. (Mima con aria cerimoniosa la sce­na del telefono) Si, qui il Presidente. (Pausa) Pronto! Pronto! Caro Presidente, come va? (Pausa) Come siete simpatico, sempre in vena di scherzare! (Fingendo d'arros­sire) Una dichiarazione. Presidente, non siamo più a scuo­la! (Pausa) Non la prendete su questo tono, io non sapevo che foste omossessuale. Fare una dichiarazione a me! Vec­chio scapestrato!  Biricchino!  (Pausa) Come? Una dichia­razione di guerra al mio paese?! (In collera) Dall'alto di questi grattacieli diecimila secoli vi guardano! Vi estirperò come una mosca estirpa un elefante selvaggio, il mio paese assalirà il vostro e ne farà... Cosa dite? Fra trenta secondi una bomba a idrogeno ci scoppierà sulla testa? Mamma, mamma. (Al suo segretario) Un ombrello. (L'Architetto apre l'ombrello e tutt'e due vi si rifugiano sotto. Al telefono) Screanzato! Criminale di guerra! Assassino di suocere! (All'Architetto) Pensare che avevamo preparato tutto per man­dargli gettargli le nostre bombe di sorpresa domattina alle cinque. Il mio regno per una Fenice! (Mimano la caduta di una bomba, con effetti sonori, e muoiono sotto il bom­bardamento, cadendo nella macchia di rovi. Si rialzano subito, imitando due scimmie: si grattano la testa e con­templano meditabondi la desolazione in cui è piombato il paese dopo il bombardamento)

L’Architetto                  - (scimmia femmina) Uhm, uhm. Non è restato in vita un solo uomo, dopo la deflagrazione atomi­ca. Mm Mm!

L’Imperatore                 - (scimmia maschio) Mm, Mm! Papà Dar­win! (Le due scimmie si baciano appassionatamente)

L’Architetto                  - (scimmia femmina) Dovremo ricominciare. (Si rifugiano in un angoletto appartato)

L’Imperatore                 - (cambiando tono, molto in collera) Ti proibisco di partire, ti proibisco di farmi l'ultima confessio­ne. Sono io che comando, qui, e ti ordino di distruggere la piroga.

L’Architetto                  - Vado.

L’Imperatore                 - Perché tanta fretta? Gioventù sventata, argento vivo. Dimmi, non sei felice, con me?

L’Architetto                  - Che cosa vuol dire, felice? Non me l'hai mai insegnato.

L’Imperatore                 - Felice... Felice significa... (In collera) Sei andato di corpo, oggi?

L’Architetto                  - Si.

L’Imperatore                 - Come l'hai fatta? Dura o molle?

L’Architetto                  - Be'...

L’Imperatore                 - (nervoso) Come, non lo sai? Perché non mi hai avvertito? Mi piace tanto, guardarti quando la fai...

L’Architetto                  - Era piuttosto molle e puzzava...

L’Imperatore                 - Sorvoliamo sugli odori. (Più calmo) Io sono sempre stitico. (Pausa) Come sarebbe stato tutto di­verso, se tu avessi avuto la licenza liceale e avessi fatto l'università, una facoltà qualsiasi. Noi non ci comprendia­mo. Aparteniamo a due mondi molto diversi.

L’Architetto                  - Io... (Sincero) ...ti voglio bene...

L’Imperatore                 - (molto commosso, quasi in lacrime) Mi prendi in giro.

L’Architetto                  - No.

L’Imperatore                 - (si soffia il naso, gira sui tacchi e dice, in un tono diverso, molto enfatico) Non puoi immaginare: tutte le mattine la televisione d'Assiria trasmetteva il mio risveglio; il mio popolo guardava lo spettacolo con tanta commozione che le donne piangevano e gli uomini ripete­vano il mio nome in un soffio. Poi accorrevano a vedermi trecento ammiratrici nude e mute che curavano il mio corpo delicato e lo profumavano d'essenza di rosa...

L’Architetto                  - Raccontami com'è il mondo.

L’Imperatore                 - Vuoi dire il mondo civile? Che meravi­glia! Per migliaia di secoli l'uomo ha immagazzinato cogni­zioni e arricchito la sua intelligenza fino a raggiungere la meravigliosa perfezione che è la vita di oggi. Dappertutto felicità, gioia, tranquillità, allegria, comprensione. Tutto è studiato per rendere più facile la vita dell'uomo, più gran­de la sua felicità, più durevole la sua pace. L'uomo ha scoperto tutto quello che ci vuole per il suo benessere e oggi è la creatura più serena e felice del mondo. Un nappo d'acqua!

L’Architetto                  - (rivolgendosi a un uccello che lo spettatore non vede) Uccello, portami un nappo d'acqua! (Breve attesa. L'architetto segue con lo sguardo l'uccello che parte in volo. Poi allunga la mano e prende la coppa che gli porge) Grazie!

L’Imperatore                 - (dopo aver bevuto) Ma come, adesso parli agli uccelli nella mia lingua?

L’Architetto                  - Questo è il meno. L'importante è che io pensi. Tra noi c'è la trasmissione del pensiero.

L’Imperatore                 - (spaventatissimo) Dimmi, onestamente, leggi anche i miei pensieri? Li vedi?

L’Architetto                  - Voglio scrivere. Insegnami a diventar scrittore. Tu devi essere stato un grande autore.

L’Imperatore                 - (lusingato) Ho composto sonetti famosi! E anche lavori teatrali, con i monologhi e gli a parte! Nessuno scrittore è mai riuscito a eguagliarmi. I migliori mi hanno copiato. Beethoven, D'Annunzio, James Joyce, Carlo Quinto, lo stesso Shakespeare, e suo nipote, BernStein.

L’Architetto                  - Dimmi come l'hai ammazzata?

L’Imperatore                 - Chi?

L’Architetto                  - Eh, be'...

L'Imperatore                 - Ma quando? Come? Quando ti ho par­lato di questo?

L’Architetto                  - L'hai dimenticato?

L’Imperatore                 - Dimenticare, io? (Pausa) Vado nella mia capanna. Non mi rivolgere mai più la parola.

L’Architetto                  - Ma... (L'Imperatore entra nella capanna)

L’Imperatore                 - (solenne) Addio! (L'Imperatore entra nel­la capanna)

L’Architetto                  - Va bene, ho capito, è un gioco. Esci di li. (Silenzio. Uno per uno, dalla finestra volano fuori gli abiti dell'imperatore) Ma perché ti svesti?... Prenderai fred­do. (Guarda dentro dalla finestrina. L'Imperatore la chiude dall'interno) Senti! Lascia almeno che ti veda. Apri la finestrina. (Silenzio)

L’Imperatore                 - Dev'essere questione d'abitudine. Cum amicis deambulare. Che lamista sarei stato! Son convinto che se mi metto a camminare coi tacchi mi abituo in men che non si dica, e ci faccio la maratona, con queste scarpe. Commovente, il mio arrivo ad Atene... Era poi Atene? in tacchi alti e il reggicalze. "Ateniesi, abbiamo ottenuto la più grande vittoria dei tempi moderni." Poi venderò le mie memorie a un settimanale. Architetto! (Gridando) Ascol­ta, sto per diventar madre. Sto per dare alla luce un bam­bino. Vieni da me. (Cambiando tono) Che porco, lui e la sua piroga del cavolo... Che ne sa lui, della vita? (Spiega l'abito per indossarlo. È una veste da monaca. L'infila) State a sentire, roba da non credere. Continuavo a far punti: novecentonovantacinque, novecentonovantasei, nove-centonovantasette, novecentonovantotto, novecentonovantanove e proprio in quel momento, uno sbronzo dà una ma­nata al flipper e TILT! La macchina resta li, bloccata come un'idiota e segnava novecentonovantanove. (Si stu­dia vestito da monaca) Che carmelitana sarei stato! Ma scalza no: è fuori questione. (Gridando) Novecentonovan­tanove; vi rendete conto, imperatore? Che cosa bisogna credere? Devo considerare validi i dieci punti che avrei vinto automaticamente? Della terza partita è meglio non parlare. Che shock. Novecentonovantanove punti (Passeg­gia, guardandosi) E se facessi dei miracoli? Le carmelitane fanno i miracoli. (Citando) "E a voi sembra miracoloso nutrire una folla, come ha fatto Cristo con due miserabili sardine e una crosta di pane, ma in seguito, il capitalismo cristiano ha fatto di meglio." Che uomo, quello che ha scritto queste parole! Mi sta proprio a fagiolo! Imperatore, mi sentite? Siete ben taciturno. Ditemi qualcosa. Mi sembra di parlare al muro. Ce l'avete con me? Non vi piaccio, come carmelitana? (Si getta ai piedi dell'Imperatore-spa­ventapasseri. Gli afferra una gamba. L'accarezza) Impera­tore, sono innamorata di voi. Voi siete il più bello, il più affascinante degli uomini. Per una parola delle vostre lab­bra. (Si alza e cammina avanti e indietro) Dovrò partorire da solo. (Gridando) Architetto, è il momento, è il momento! (In effetti, il ventre gli si gonfia in maniera abnorme) Ne inventano di belle, le suorine. Con una veste cosi quasi non si vede se sono incinte. Padre, mi accuso di avere... cioè di essermi abbandonata ad atti impuri.

L’Imperatore                 - (confessore) Come, disgraziata! Come hai osato commettere un cosi enorme sacrilegio! Cagna male­detta! Miserabile!

L’Imperatore                 - (carmelitana) Si, padre, il diavolo mi ha tentata in modo orribile.

L’Imperatore                 - (confessore) Con chi l'hai fatto, sgual­drina?

L’Imperatore                 - (carmelitana) Con quel povero vecchio che abita al quinto piano, tutto solo.

L’Imperatore                 - (confessore) Baldracca, tu affondi altre spine nella carne di Cristo, con la complicità di quello straccio d'uomo. Quante volte l'hai fatto cagna profana-trice?

L’Imperatore                 - (carmelitana) Come quante volte? Quante volte avrei dovuto farlo?

L’Imperatore                 - (confessore) Lo chiedo a te, peccatrice.

L’Imperatore                 - (carmelitana) Ma, una volta. È molto vecchio, poverino.

L’Imperatore                 - (confessore) Nessuna penitenza potrà ri­scattare la tua colpa. Infedele! Atea!

L’Imperatore                 - (carmelitana) Che cosa posso fare, padre, per ricevere l'assoluzione?

L’Imperatore                 - (confessore) Sacrilega! Stanotte verrai in camera mia con dei cilici e delle verghe. Io ti spo-glierò e passerò la notte a fustigarti. Le tue colpe sono cosi abominevoli che a mia volta dovrò chiedere al Si­gnore di concederti il Suo perdono, e per ottenerlo mi spogìierò anch'io, e tu mi fustigherai, cagna maledetta. (Cambiando tono) Architetto! Vieni, presto, vieni, ho bi­sogno di te! (Gridando) Ho gli ultimi dolori! Dov'è la barella? (Si sdraia sulla barella)

L’Imperatore                 - Ditemi, dottore, soffrirò molto? (Silenzio)

L’Imperatore                 - (medico) Respirate come un cane. (In col­lera) Non hai fatto il corso del parto indolore? Respira. Co­si. Ah! Ah! (Ansima come un cane, ma in maniera sbagliata) No, non cosi! Cosi! ah! ah! (Respira male)

L’Imperatore                 - (partoriente) Dottore, non sono riuscita a imparare. Aiutatemi. Sono sola... abbandonata da tutti.

L’Imperatore                 - (medico) Voi non sapete far altro che fornicare! È l'unica cosa che riuscite a fare senza tirocinio. Ah! Ah! (Respira come un cane, al modo giusto) Vedi co­m'è facile? (Respira male) Disgraziata. Pensare che stavi a quattro zampe, come una bestia in calore col tuo uomo, e adesso non sai abbaiare. Che umanità! Cristo avrebbe do­vuto essere un cane: l'avrebbero crocefisso a un becco a gas e tutta l'umanità, canificata .sarebbe andata a pisciare contro il lampione. Respira, cagna: ah! ah!

L’Imperatore                 - (partoriente) Dottore aiutatemi. Datemi la mano.

L’Imperatore                 - (medico) Noli me tangere1.

L’Imperatore                 - (partoriente) Ah, sento gli ultimi dolori! Arriva. Lo sento benissimo.

L’Imperatore                 - (medico) Ah, ecco la testa, bella testa... Sono comparse le spalle. Belle spalle. (Voce ansante. L'Imperatore-partoriente geme, urla e sbava) Ecco il torace, bel torace! Un ultimo sforzo. Ancora uno sforzo.

L’Imperatore                 - (partoriente) Non ne posso più, dottore. Addormentatemi. Drogatemi.

L’Imperatore                 - (medico) Chi credi di essere? Thomas de Quincey? Drogarti! Ancora uno sforzo! Subito! (Urlo lacerante) Eccolo qua. Tutto intero. Bel campione di terricolo. (La voce della partoriente geme, piange e si calma) Un nuovo esemplare della razza. Non potranno rimprove­rarvi di non collaborare alla difesa dei valori della nostra civiltà. Eccone un altro!

L’Imperatore                 - (madre) È maschio o femmina?

L’Imperatore                 - (medico) Cosa volete che sia? Ormai, ci sono soltanto femmine. Tutta un'umanità di lesbiche. Fi­nite le guerre, le religioni, il prossenetismo, gli incidenti di macchina. L'umanità felice. Il migliore dei mondi. Spende­remo i denari soltanto in bagasce.

L’Imperatore                 - (madre) Dottore, fatemela vedere.

L’Imperatore                 - (medico) Prendete, eccola.

L’Imperatore                 - (madre) Com'è bella, com'è carina che amore! La sua faccia, fatta e sputata. Come sarò felice. Le cucirò io le fasce. (Si rizza a sedere sulla barella. Culla il bambino e canticchia) La sua faccia, fatta e sputata. Cosi carina, cosi adorabile. Proprio la sua faccia.

L’Imperatore                 - (medico) La faccia di chi?

L’Imperatore                 - (madre) Dell'orologio della cattedrale. Se l'orologio ride, lei riderà come lui. E la chiamerò Geno­veffa di Brabante.

L’Imperatore                 - (medico) A che mestiere l'avvierete?

L’Imperatore                 - (madre) Chinesiterapista, è la professione più chic! Le sue mani massaggeranno la schiena, le cosce e il ventre degli uomini della terra. Sarà la reincarnazione di Maria Maddalena! (Breve pausa. Rivolgendosi, in un altro tono, all'imperatore-spaventapasseri) Imperatore, Im­peratore... (Ancora in un altro tono, con un grido di do­lore) Architetto! Architetto! Archiiiiii! (All'Imperatore) Ve­dete com'è? Mi odia, mi lascia al mio triste destino. £ par­tito in cerca di avventure verso quelle isole e sa Iddio che cosa troverà. (Si mette a quattro zampe) Imperatore, io sono un cammello sacro del deserto, montatemi in grop­pa e vi farò conoscere i più affascinanti mercati di schiavi maschi e femmine di tutto l'Occidente. Montatemi in grop­pa, imperatore, Frustatemi col vostro scudiscio imperiale, perché il mio passo sia svelto e preciso, e perché la vo­stra divina persona possa presto purificarsi a contatto dei corpi freschi, addestrati e vigorosi dei giovinetti e delle gio­vinette. (Si rialza) Che bruto. In piroga.

                                                         FINE