L’arciere

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L’ARCIERE

Commedia in un atto

di VITTORIO CALVINO

PERSONAGGI

IL DEPUTATO

LA SIGNORA

IL SINDACO

LA PRESIDENTESSA

IL GIORNALISTA

LA FIDANZATA

LA MADRE

L’ARCIERE

In un qualunque luogo d’Europa, oggi.

Commedia formattata da

Una breve radura sopra una verde collina. A destra si intravvede il fianco d'una casa rustica semi-diroc­cata. E una casa, come tante se ne vedono ancora nelle campagne d'Europa, che ha subito la rovina della guerra e che nessuno abiterà mai più. Sventrata dalle bombe, corrosa dal fuoco, segnata dal vaiolo crudele delle pallottole di mitraglia. A sinistra un gruppo di betulle fa da quinta. Cespugli, qua e là, sulla scena. Nel fondo il panorama della campagna visto dalla collina, e, lontane, le montagne azzurrine. In primo piano, presso la casa, alcune grosse pietre rivestite di muschio e sulle quali è possibile sedersi. È il pomeriggio di una tiepida giornata di primavera.

(All'inizio dell'azione la scena è vuota. Dopo pochi istanti si ode un grido modulato di richiamo emesso da una giovane voce femminile, cui fa eco un altro grido modulato, più lontano, emesso da una voce ma­schile. Di lì a poco, provenendo da dietro la casa diroc­cata, entra in scena la fidanzata, seguita dalla signora).

La Fidanzata                 - (è una ragazza graziosa sui 22 anni, un po' immatura forse e un po' superficiale, ma fonda­mentalmente buona. Veste un fresco abito primaverile da gita in campagna. Reca sottobraccio un grosso cesto di vimini in cui sono le provviste per la merenda. La fidanzata, che è allegra, ridente e un po' accaldata, si mette a sedere su una pietra posando il cesto accanto a se) Uffa! Che caldo! Non avrei mai creduto che in aprile potesse far tanto caldo!

La Signora                    - (è la moglie del deputato, una donna sui trentotto anni, delicata, sottile, nervosa, eternamente scontenta di tutto e di tutti. Veste anch'essa un abito chiaro da gita campagnola e reca una borsa variopinta con altre provviste. Viene stancamente in scena e si guarda intorno) Si capisce che hai caldo: è la salita. Non sembra, ma dalla carrozzabile ci sono almeno due chilometri...

La Fidanzata                 - (lieta) Una splendida passeggiata, non trovi? Io non ero mai stata quassù. È meraviglioso.

 La Signora                   - La campagna è uguale dappertutto. Non trovi che sentieri pieni di sassi... (Si guarda in­torno) Ma io non vedo nessun monumento qui... Temo proprio che abbiamo sbagliato strada.

La Fidanzata                 - No!

La Signora                    - Eh, sì! Se non c'è il monumento vuol dire che abbiamo sbagliato.

La Fidanzata                 - Ma tuo marito ha pur detto che questo era il sentiero buono...

La Signora                    - (acida) Non è mica infallibile mio marito.

La Fidanzata                 - Anche il Sindaco sembrava sicuro...

La Signora                    - Allora non rimane che aspettarli. Pazienza. (Siede).

La Fidanzata                 - Forse il monumento sarà un poco più in alto. In ogni modo penso che questo può essere il posto ideale per la merenda. Non ti pare? Dovremmo fermarci qui e proseguire più tardi.

La Signora                    - Hai già appetito?

La Fidanzata                 - (con slancio) Oh, sì! Mangerei un vitello arrosto.

La Signora                    - Beata te! Con il mio stomaco in disordine io non riesco nemmeno a digerire il riso al burro...

La Fidanzata                 - (alludendo alla borsa) Cosa hai portato?

La Signora                    - Roba che piace a mio marito. Maiale affumicato e formaggio piccante. Per me solo due biscotti. Sono più che sufficienti. (Dopo un istante) Ma qui non arriva nessuno.

La Fidanzata                 - Li abbiamo distanziati di parec­chio. Camminano piano a causa della vedova.

La Signora                    - No, non è una vedova, è una madre.

La Fidanzata                 - Ma veste in lutto stretto.

La Signora                    - Sì, sì. È la madre di un Caduto nella Grande Battaglia. Suo figlio è morto combat­tendo quassù.

La Fidanzata                 - Ah! Io sono terribilmente di­stratta purtroppo, così non ho capito nulla al mo­mento delle presentazioni. Povera donna! Però è piuttosto noiosa, non trovi? Non ha mai aperto bocca e continua a guardarsi intorno con aria spaurita. Perché l'avete trascinata quassù?

La Signora                    - Oh, è stata un'idea della signora Imer...

La Fidanzata                 - La signora Imer?

La Signora                    - La Presidentessa del Comitato, no? A lei piacciono i gesti melodrammatici: la madre di un Caduto si reca a visitare il monumento prima della inaugurazione ufficiale. Credo che lei pensi che questo gesto possa avere un significato particolare.

La Fidanzata                 - E quale?

La Signora                    - Non lo so nemmeno io. L'essenziale è che tutto serva a farla mettere in vista. Sono certa che se potesse fare lei il discorso inaugurale al posto di mio marito toccherebbe il cielo con un dito.

La Fidanzata                 - (ride) Temo che se cominciasse a parlare non la smetterebbe più. Dovrebbero ucciderla per farla tacere. (Fruga nella borsa) Vuoi una mela?

La Signora                    - No, grazie. (Con leggero rimprovero) Cominci già a mangiare!

La Fidanzata                 - Per togliermi la sete. (Morde la mela) Il Sindaco ha detto che da queste parti c'è una sorgente freschissima. Più tardi andrò a cercare l'acqua.

La Signora                    - Hai una bottiglia?

La Fidanzata                 - Enrico ha la borraccia. (Mangia la mela) Molto saporite queste mele. Non ne vuoi davvero?

La Signora                    - No, no. Mi farebbe male. (Fruga nella borsa).

La Fidanzata                 - Ho sentito dire che le mele sono digestive.

La Signora                    - Può darsi, ma non per me. (Trae dalla borsa un fascio di foglietti) Ahm, meno male! M'era venuto il dubbio d'aver lasciato a casa il discorso...

La Fidanzata                 - Quale discorso?

La Signora                    - Ma quello che dirà mio marito! Lui affida tutto a me, benedetto uomo! Per fortuna io ho la testa sulle spalle!

La Fidanzata                 - Oh, dev'essere straordinario fare la moglie di un deputato! Si conoscono tutti i retro­scena della politica...

La Signora                    - (acida) Non sono affatto divertenti. Se non fosse che una segretaria ha tante pretese rinunzierei volentieri a occuparmi degli affari di mio marito. Ma una buona segretaria non si trova facil­mente.

La Fidanzata                 - (con una punta di malizia) E poi può essere pericolosa.

La Signora                    - Oh, non per Alfredo. È un grande bambino. Soltanto a lui poteva venire in mente di fare la prova generale del discorso due giorni prima dell'inaugurazione... Per costringere me a trasci­narmi fin qui...

La Fidanzata                 - Non trovo che sia una cosa spia­cevole. Anche per i matrimoni delle principesse reali si fa la prova generale.

La Signora                    - Alfredo è animato da un residuo di puntiglio infantile. Vuole essere sicuro che tutto riesca bene. Se non ha questa sicurezza preventiva si perde. Mi ha torturata per una settimana per con­vincermi della necessità di studiare sul posto l'esatta impostazione del volume della voce... Un conto è un discorso al Parlamento, dice lui, un conto è all'a­perto, sopra una collina...

La Fidanzata                 - (ride) Ma guarda che razza di preoccupazioni ha un deputato!

La Signora                    - Non ne avrebbe tante se non ci fossero gli avversari politici. Bisogna sempre mettersi al riparo da ogni attacco. L'anno scorso, quando un giornale di destra scrisse che lui parlava come una zanzara, per poco non si ammalò dal dolore... A proposito, dirai al tuo fidanzato che contiamo molto sul suo resoconto ai giornali. È importante. Potessi almeno dormire tranquilla su questo punto.

La Fidanzata                 - Non dubitare. Enrico fa tutto quello che gli dico io. Gli suggerirò di scrivere che tuo marito parla come un leone.

 La Signora                   - Non scherzare, te ne prego. La politica è così delicata. Solo da quando Alfredo si è cacciato nella politica ho imparato che ogni parola può avere almeno diciotto significati diversi... .

La Fidanzata                 - Brrr! Spero che Enrico si dedichi davvero al giornalismo sportivo... È talmente inno­cente, povero ragazzo! (Si ode, vicino, un grido di richiamo) Eccolo! È lui! (Si alza e risponde con un altro grido).

La Signora                    - Meno male! Cominciavo a temere che fosse successo qualcosa!

Il Giornalista                 - (arriva in scena da dietro la casa diroccata, assieme alla presidentessa. I due parlano animatamente. Il giornalista è un giovanotto sui ven­ticinque anni che indossa un abito sportivo e porta a tracolla l'astuccio del binocolo e una borraccia. La Presidentessa è una magra, lunga e rigida signora sulla cinquantina che si appoggia fieramente a un robusto alpenstolo, e ha i capelli raccolti in un fazzoletto legato a foggia di turbante. Anch'essa reca una borsa rigonfia).

La Fidanzata                 - (muove verso i sopravvenuti, festosa) Oh, finalmente! E gli altri?

Il Giornalista                 - Sono fermi laggiù, all'ultima curva. Ma ora arrivano.

La Presidentessa           - (in tono grave e retorico) La vecchia madre sta ricalcando passo per passo le orme del figliolo che è morto quassù... (Al giornalista) Tenga presente questa immagine che può essere buona per il suo articolo...

Il Giornalista                 - Oh, certamente. Avevo già pensato a qualcosa di simile. Gli occhi della madre che si posano dove si fermò lo sguardo del figlio...

La Presidentessa           - Per l'ultima volta...

Il Giornalista                 - S'intende: per l'ultima volta. (Si volge alla fidanzata) Sei stanca?

La Fidanzata                 - Oh no! Ho fame. Abbiamo pen­sato di fermarci qui per la merenda. Poi prosegui­remo verso il monumento.

La Presidentessa           - Giusto! Ma dov'è questo monumento?

La Signora                    - (lamentosa) Temo che abbiamo sbagliato strada. Chi sa quanto dovremo camminare ancora.

La Presidentessa           - Ma no! Il Sindaco mi ha detto che il monumento si trova in cima alla collina, presso la casa diroccata. La casa è questa, dunque il monumento non può essere lontano. (Al giornalista) Cosa ne dice lei?

Il Giornalista                 - Il ragionamento è il suo forte, signora. Io so soltanto che ho sete e la borraccia è vuota.

La Fidanzata                 - Vuoi una mela, caro? (Fruga nella cesta).

Il Giornalista                 - (scherzando) Ma sì, mia dolce Eva. Eva offre la mela ad Adamo. Ciò si ripete nei secoli con infallibile puntualità. (Prende la mela che la fidanzata gli porge e la morde) Ottima.

La Fidanzata                 - Se mi dai la borraccia andrò a cercare la sorgente... Non dev'essere lontana.

La Signora                    - - Non cominciamo a disperderci prima che vengano gli altri...

La Presidentessa           - lo vorrei soltanto sapere dov'è il monumento. Non era stabilito che sarebbe stato costruito in luogo elevato visibile a grande distanza? Io non vedo niente.

Il Giornalista                 - Forse sarà dietro gli alberi, laggiù...

La Signora                    - Dovrebbero esserci gli operai che costruiscono la tribuna per le autorità... Ma non si vedono nemmeno quelli.

Il Giornalista                 - Gli operai verranno su soltanto domani. Monteranno la tribuna nella notte...

La Fidanzata                 - Arriverà anche una cesta di bandiere. Il Sindaco le ha chieste in prestito a tutti i sindaci dei paesi vicini per averne il maggior numero possibile. E tutti hanno dato con molto slancio, beninteso dopo aver ricevuto assicurazione che sa­ranno rese in ottimo stato.

Il Giornalista                 - Le bandiere costano, oggi giorno. Durante la guerra il prezzo delle bandiere è salito alle stelle. Forse perché se n'è fatto grande consumo...

La Presidentessa           - lo ho spogliato, completa­mente spogliato il mio giardino per offrire fiori e rami per adornare la tribuna. Non so chi avrebbe fatto altrettanto. Il fioraio in piazza chiedeva una cifra enorme per fornire i festoni: solo per merito mio il Comitato ha risparmiato una discreta somma...

La Signora                    - (stancamente) Oh, non parlatemi di prezzi e di risparmi!... Per venire quassù ho dovuto comprare un paio di scarpe col tacco basso che sono costate uno sproposito. Ma potevo forse arrampi­carmi fin qui con i tacchi alti?

La Fidanzata                 - Io per fortuna le scarpe le avevo, ma ho fatto fare questo vestito. È un'occasione; pura lana. Una stoffa che non abbiamo visto da anni...

La Presidentessa           - (interessata) È veramente bella. Non costa cara, dice?

La Fidanzata                 - No, no. Una sciocchezza.

La Signora                    - (sempre in tono lamentoso) Per fortuna ora si comincia a trovare qualcosa nei negozi. Ma durante la guerra era terribile. Una donna non sapeva più come vestirsi...

La Presidentessa           - Oh, le guerre sono sempre una cosa impossibile. Ciascuno di noi ha dovuto fare acrobazie d'ogni genere e rinunzie e sacrifici senza numero. Per me il sacrificio più grave è stato quello dello zucchero. Il fatto di non avere abbondante zucchero nel mio tè mi faceva sentire ogni giorno il peso intollerabile della guerra... Perché a me piace il tè molto dolce... È un'abitudine alla quale non so rinunziare.

La Fidanzata                 - Lo credo facilmente. Io, in questi anni, morivo dalla voglia di avere della cioc­colata, della buona cioccolata... (Al fidanzato) Ti sei ricordato di comprarne un poco?

Il Giornalista                 - Oh, sì! Due tavolette, una al latte e una al rhum. Ti piace la cioccolata al rhum?

La Fidanzata                 - A me piace quella col ripieno di crema. Non è vero che è la migliore?

La Signora                    - (lamentosa) Non so, non so. Io non posso digerire nemmeno questa...

La Presidentessa           - Credo che la gita di oggi le farà bene. Il moto riattiva i succhi gastrici... E poi quassù l'aria è buona. Non sente che profumo?  È l'odore della primavera. Non si direbbe nemmeno che su questa collina tanta bella gioventù abbia immolato la propria vita in una terribile battaglia... È uno scenario, questo, che non rammenta affatto l'idea della morte... (Al giornalista) Non le fa questa impressione?

Il Giornalista                 - Oh, sì. Stavo proprio pen­sando a questo. Noi immaginiamo sempre le batta­glie su uno sfondo apocalittico. Invece qui... qui tutto è verde e calmo, e forse era così, proprio così mentre le due armate si affrontavano nella lotta senza pietà... Gli stessi alberi, gli stessi prati, le stesse montagne azzurrine laggiù...

La Presidentessa           - Ma sa che lei ha una vena molto buona? Mi piace, mi piace. Se lei scrive come parla diverrà, un ottimo giornalista... La dote più importante è la comunicativa.

La Fidanzata                 - (stringendosi con orgoglio al gior­nalista) Oh, il mio Enrico è proprio bravo. Scrive con grande facilità. E riesce anche a commuovere, se vuole...

La Presidentessa           - Il tema del monumento ai morti offre molte risorse. Lo so io che ho già parte­cipato in sei mesi alla inaugurazione di due cimiteri di guerra e di tre monumenti. Questo è il quarto, ma è il più attraente per lo scenario...

La Signora                    - (lamentosa) Come la invidio, signora Imer! A me riuscirebbe impossibile una attività simile.

La Presidentessa           - Ciascuno deve contribuire in qualche modo a onorare i morti in guerra. Essi hanno fatto il loro dovere, ora tocca a noi. (Si odono delle voci e poi spuntano dietro la casa diroccata il sindaco e il deputato Brez che dà il braccio alla madre).

La Fidanzata -               - Oh eccoli! Finalmente!

Il Giornalista                 - Com'è andata?

Il Sindaco                     - (un uomo di mezza età, espansivo e cordiale) Oh, bene! Benissimo... Vorrei dire: sono contento d'essere arrivato primo, ma... voi siete giunti prima di me!

La Signora                    - (si è alzata ed è andata incontro al deputato) Oh, Alfredo caro! Quanto ci avete fatto aspettare!

Il Deputato                   - (un uomo sulla cinquantina, grassot­telle, dall'aspetto mite e inoffensivo, che porta attorno al collo un fazzoletto bianco e in testa un cappello di paglia. Dice, in tono un po' irritato) Tu sai che non dipendeva da me, cara...

La Madre                      - (una donna dai capelli grigi, vestita di nero. È una popolana dal volto triste, le labbra esangui. Dice con un sorriso umile) La colpa è mia, signora... Ho camminato molto piano perché la salita mi fa male al cuore...

La Presidentessa           - Oh, lo immaginiamo! Il suo povero cuore di madre... Vuole sedersi un mo­mento? Ecco, qui c'è una bella pietra comoda che sembra fatta apposta... (Aiuta la vecchia a sedersi).

La Madre                      - Grazie, grazie cara...

La Fidanzata                 - (al sindaco) Signor Sindaco dov'è la sorgente? Abbiamo sete di acqua fresca!

Il Sindaco                     - È vicinissima! Nemmeno un chilo­metro da qui!

La Fidanzata                 - Mi insegna la strada o mi accom­pagna?

Il Sindaco                     - L'accompagno, l'accompagno, se il suo fidanzato lo permette...

La Fidanzata                 - (scherzando, al giornalista) Enrico hai sentito? Dammi la borraccia e la tua benedizione, me ne andrò con il signor Sindaco!

Il Giornalista                 - (scherzando) Ecco la borraccia... Non sono geloso, mia cara, benché il Sindaco abbia una certa fama...

Il Sindaco                     - Per carità! Per carità! Ormai sono storie del passato. (Offrendo il braccio alla ragazza) Andiamo?

Il Deputato                   - (che ha continuato ad asciugarsi il sudore) Un momento! Caro Sindaco, vorrei che lei ci indicasse il punto in cui sorge il monumento. Mi pare la cosa più importante.

Il Sindaco                     - (alla fidanzata) Sono dolente, ma il dovere è il dovere. Del resto la sorgente è laggiù, presso quei tre cipressi. Li vede?

La Fidanzata                 - Si, sì, benissimo. Ci arriverò da sola... Arrivederci! (Esce cantarellando).

Il Sindaco                     - (si avvicina al deputato) Dunque...

Il Deputato                   - (di malumore) Dunque, niente. Dov'è questo monumento?

Il Sindaco                     - (si guarda in giro come se vedesse il luogo per la prima volta, con sorpresa) Eh, diavolo! Il monumento è... il monumento è...

La Presidentessa           - Il posto è ancora lontano?

La Signora                    - (lugubre) Lo sapevo che avevamo sbagliato strada...

Il Sindaco                     - (infastidito) Macché sbagliato! Il posto è questo. La casa diroccata è questa. Il monu­mento è qui.

Il Deputato                   - (irritato) Ma cosa va dicendo! Dove lo vede lei il monumento? Non c'è nulla.

Il Sindaco                     - (imbarazzato) È proprio quello che sto notando. Il monumento non c'è. Avanti ieri, quando sono venuto qui c'era ancora.

Il Deputato                   - Non faccia ridere la gente! Un monumento non è mica un guscio di uovo! Se c'era ci deve essere.

Il Giornalista                 - (al sindaco) Scusi, è sicuro dì non avere sbagliato direzione? Di case diroccate ce ne sono tante qui intorno...

Il Sindaco                     - Ma no, ma no! Conosco questo posto come le mie tasche, posso dire... Il monumento, avanti ieri era qui. (Va a battere il piede nel centro della scena) Ecco, proprio qui. (Esamina per terra) Del resto, ecco, c'è ancora una traccia di terra smossa di fresco...

Il Deputato                   - (osserva con attenzione) Hm!

La Presidentessa           - (al giornalista) Mi pare strano.

La Signora                    - (in tono lamentoso) Siamo forse venuti fin qui per niente?

Il Deputato                   - (irritato) Fammi il piacere di stare zitta! È una faccenda grave questa... (Accenna alla madre che è seduta in disparte, sulla sua pietra, immobile, insensibile, come raccolta nei suoi pensieri. Dice a voce più bassa) Che figura ci facciamo con quella donna?...

Il Sindaco                     - Senta, onorevole, io ho il sospetto che lo abbiano rubato...

 Il Deputato                  - Cosa dice?!

Il Sindaco                     - (stringendosi nelle spalle) Non c'è altra spiegazione. Se ieri sera era qui, perché fino alle otto gli operai hanno lavorato per rifinirlo, mi pare che non ci sia altro da pensare. Il monumento è stato rubato.

La Presidentessa           - Ma è incredibile!

Il Giornalista                 - È assurdo! Scusi tanto, io ho visto il progetto del monumento; è di marmo, no!

Il Sindaco                     - Sicuro. Di marmo bianco con la base in travertino. Pesa tre tonnellate.

Il Giornalista                 - E le pare che si possa rubare un monumento di tre tonnellate come fosse un fer­macarte?

Il Sindaco                     - (sperduto) Ah, non so. Io formulavo un'ipotesi, ecco. Una semplice ipotesi.

Il Deputato                   - (ironico) E fra le sue ipotesi c'è anche quella dell'uso che i ladri potrebbero fare del monumento? Forse, trasformarlo in tante mattonelle per rivestire una stanza da bagno?

Il Sindaco                     - (reagendo debolmente) Caro onorevole, cosa vuol che le dica? Il monumento c'era e non c'è più. Io, dopo tutto, non ne sono il guardiano... Il mistero è identico, per me come per tutti. È un fatto inspiegabile, ecco. (Tutti si guardano costernati, in silenzio).

La Signora                    - (sospira) Che bella giornata! Che bella giornata! (Va a sedersi in disparte).

La Presidentessa           - (improvvisamente, in tono ecci­tato) Oh, sentite! Un'idea! Il monumento è stato certamente rubato.

Il Sindaco                     - E da chi?

La Presidentessa           - (in tono grave) Dai nostri nemici.

Il Deputato                   - Come? Come?

La Presidentessa           - (in tono sempre più eccitato) Dai nostri nemici, vi dico! Quanto è lontano il con­fine da qui? Meno di dieci chilometri, vero? Ebbene « essi » sono venuti, di notte, con uomini e auto­carri e hanno portato via il monumento. È chiaro.

Il Giornalista                 - (dubbioso) E perché lo avreb­bero fatto?

La Presidentessa           - Perché sono nemici.

Il Deputato                   - Ma no, ma no. Erano nemici fin quando è durata la guerra, ma ora è stato firmato il trattato di pace e quindi non sono più nemici.

La Presidentessa           - Ah! Ah! Lei crede? Crede che basti la firma su un trattato per cancellare l'odio e il rancore e il bruciore della sconfitta? Non dimen­tichi che essi hanno perduto la guerra e quindi odiano noi che siamo i vincitori.

Il Sindaco                     - (sollevato) Però... però...

Il Giornalista                 - Che ne pensa?

Il Sindaco                     - Che, infatti, la distanza dal confine non è molta... Volendo fare uno sfregio ai nostri gloriosi morti, qualcuno può avere organizzato questo furto infame...

Il Deputato                   - Lei lo ritiene possibile?

La Presidentessa           - Tutto è possibile quando si vuole sfogare il proprio rancore...

Il Deputato                   - (al sindaco) Voglio sentire il suo parere, signor Sindaco, perché questa faccenda può far sorgere gravi complicazioni nel campo internazionale... Telefonerò oggi stesso al Capo del Governo. Sarà fatto immediatamente un passo dal nostro Ambasciatore...

La Presidentessa           - (con un leggero brivido) Crede che arriveremo alla guerra, onorevole?

Il Deputato                   - Eh, non posso dirlo. In queste faccende si sa come si comincia ma non come si finisce...

La Madre                      - (si riscuote, si alza, e, con un sorriso mansueto e triste si avvicina al gruppo rivolgendosi al deputato) Onorevole, ora sono riposata. Se crede possiamo proseguire... Cercherò di camminare più in fretta...

Il Deputato                   - (un po' impacciato) Ma il fatto è che... Sì, insomma, non c'è bisogno di proseguire perché siamo già arrivati.

La Madre                      - (si guarda intorno) È qui?

Il Sindaco                     - (pronto) Sì, è qui, ma il monumento non c'è più perché è stato rubato stanotte dai nostri nemici che hanno voluto sfogare il loro odio oltrag­giando i nostri gloriosi morti.

La Presidentessa           - (rapida) Ma non si preoc­cupi, signora. Il gesto sacrilego non resterà impunito. Una terribile punizione. L'onorevole telefonerà imme­diatamente al Capo del Governo perché siano chieste spiegazioni ai nostri vicini. Vogliamo la restituzione del monumento, la punizione dei colpevoli, una ceri­monia di espiazione e un adeguato risarcimento dei danni. Altrimenti...

Il Sindaco                     - (con enfasi) Altrimenti sarà la guerra!

La Presidentessa           - Sicuro! La guerra!

La Madre                      - (spaventata) La guerra! Oh, Dio mio! E perché , poi?

Il Sindaco                     - Ah, signora! L'offesa è tanto grave che non può essere lavata che col sangue! (Dal gruppo di betulle compare improvvisamente, come per magia, uno strano essere, alto, snello, color grigio terra. A giudicarlo dall'aspetto sembra un giovane guerriero della metà del 1300, infatti indossa una cotta di maglia, ma è senza armi e senza elmo).

L'Arciere                       - (con voce grave, severa) Chi parla ancora di sangue e di guerra, qui? Non impareranno mai gli uomini a tenere un diverso linguaggio? (Con disprezzo) Guerra e sangue, sangue e guerra!... Non conoscono altro, gli uomini! (Tutti lo guardano con sorpresa e Umore e si scostano, facendo largo mentre egli avanza. La signora fa un piccolo strillo).

La Signora                    - Alfredo! Chi è quest'uomo?

L'Arciere                       - (si volta appena verso la signora, le getta un'occhiaia come se guardasse un'entità trascu­rabile) Non sono un uomo...

Il Deputato                   - (intimidito) Scusi tanto, vorremmo allora sapere…

Il Sindaco                     - (tremebondo) Se non le dispiace, s'intende...

 L'Arciere                      - (fissando lo sguardo lontano, avanti a sé) Una volta io ero un arciere, un valente arciere al servizio del Duca di Borgogna... Sono morto in battaglia nel 1372, una mattina d'aprile. Questo è tutto.

La Presidentessa           - (meravigliata) Uh! È straor­dinario!

Il Deputato                   - (alla presidentessa, facendola tacere)

                                      - Ssst! Ssst! (Si volge verso l'arciere, con molta gentilezza) E, scusi, a che dobbiamo l'onore... si, insomma, il piacere della sua apparizione? Poiché si tratta di un'apparizione, vero?

L'Arciere                       - Ho sentito parlare di guerra e sono venuto fuori per vedere in faccia chi tratta con tanta leggerezza argomenti così gravi.

Il Sindaco                     - Oh, ma lei, signor... scusi, il suo nome?

L'Arciere                       - Non ho nome.

Il Sindaco                     - (deluso, al deputato) Non ha nome.

Il Deputato                   - E che vuol dire? Ci si può inten­dere ugualmente... (All'arciere) Intendevo spiegarle che una ragione c'è se parliamo di guerra. Noi, tutti noi, e con noi questa signora in lutto che rappresenta tante madri e spose di morti in guerra, noi - dicevo -abbiamo subito un gravissimo oltraggio perché ci hanno rubato il monumento che, appunto, avrebbe dovuto essere eretto alla memoria di quei morti Capisce?

L'Arciere                       - Nessun oltraggio. Il monumento l'ho levato io, questa notte.

Il Deputato                   - (sorpreso, incredulo) L'ha levato lei?

L'Arciere                       - lo.

La Presidentessa           - (in tono offeso) Oh, ma questa poi!

Il Giornalista                 - Perbacco! Mi piacerebbe sapere come ha fatto! È pesantissimo.

L'Arciere                       - Non esiste peso né volume per i morti.

La Signora                    - Questa è una risposta come si deve!

Il Deputato                   - (alla moglie, seccato) Ma stai zitta, tu! (Si consulta con il sindaco) Bisognerebbe sapere perché lo ha levato. Crede che si offenderà se glielo chiediamo?

Il Sindaco                     - Oh, no. In fondo ne abbiamo il diritto...

Il Deputato                   - Glielo chieda, allora.

Il Sindaco                     - (spaventato) Io?

Il Deputato                   - Certo.

Il Sindaco                     - Ma lei ha più autorità di me, ono­revole...

Il Deputato                   - (facendosi coraggio, all'arciere) Se è lecito, signore, perché ha levato il monumento

L'Arciere                       - Perché non voglio nulla sul mio campo.

Il Deputato                   - Il suo campo?

L'Arciere                       - Il mio campo, sì. (Fa un cenno largo con la mano) Questo campo è mio.

Il Sindaco                     - (timidamente) Veramente questo è terreno del Comune...

L'Arciere                       - (lo guarda severamente) Non è così. Quando voi uomini parlate di coloro che sono morti in guerra, usate un'espressione che senza dubbio vi piace perché la ripetete spesso: «caduti sul campo della gloria ». Ebbene, questo campo esiste: è un campo immenso che ormai copre tutta la superficie della terra, un campo che ci appartiene di diritto poiché voi stessi ce lo avete attribuito. Il campo della gloria, il campo dell'onore, come voi lo chiamate, è nostro, di noi morti. In cambio di tutto quello che abbiamo lasciato, per tutto quello che ci è stato tolto, ciascuno di noi ha la sua parte di campo dell'onore, il suo pezzetto di terra che il sangue, la carne, le ossa, i tendini, i muscoli, il cervello, dei morti hanno concimato. E questo pezzo sulla collina, questo pezzo sul quale un giorno io sono caduto tentando invano di strapparmi dalle carni la freccia che mi straziava le viscere, questo pezzo è mio. Ecco perché ho tolto il monumento. (Un silenzio)

Il Deputato                   - (guarda il sindaco, con sorpresa) Questa proprio non me la aspettavo...

Il Sindaco                     - Nemmeno io... Se avessi potuto immaginarlo... (All'arciere) Siamo desolati, creda...

Il Deputato                   - (contrito) Veramente desolati... (Al sindaco) E ora cosa facciamo?

Il Sindaco                     - (allarga le braccia) Eh!

La Presidentessa           - (all'arciere, timidamente) E, scusi, il monumento non l'ha mica distrutto, vero*

L'Arciere                       - No. L'ho soltanto tolto di mezzo e sistemato, in via provvisoria, tra le macerie della casa...

La Presidentessa           - (indica) Questa casa?

L'Arciere                       - Si.

Il Sindaco                     - (sollevato) Oh, meno male! (Al deputato) Si può arrangiare tutto, vedrà... Se il monumento c'è il posto lo troveremo...

Il Deputato                   - Lei crede?

Il Sindaco                     - Ma certo! Con un po' di buona volontà si rimedia a tutto... Basta semplicemente spostare il monumento di qualche diecina di metri...

Il Giornalista                 - Ottima idea. Più a destra. (Alla, presidentessa) Lei che ne dice?

La Presidentessa           - Per me va benissimo.

Il Sindaco                     - (al deputato) Vede? Sono tutti d'accordo, mi pare. E credo che anche il signore (allude all'arciere) non potrà non apprezzare la nostra buona volontà.

Il Deputato                   - (in tono ufficiale, all'arciere) Per venire incontro ai suoi desideri, allo scopo di non turbare, ehm, sì, insomma, di accontentare la sua giustissima richiesta, noi sposteremo il monumento di qualche diecina di metri più a destra. Va bene?

L'Arciere                       - (scuote la testa) No.

La Presidentessa           - (esprimendo la sorpresa di tutti) Come? Come?

L'Arciere                       - Il campo alla mia destra appartiene a un granatiere di Napoleone ucciso da un obice il 14 ottobre 1805.

Il Sindaco                     - Oh!

Il Deputato                   - (trionfante) Ma potremo spostarci a sinistra, allora. Se non è a destra è a sinistra... Fa lo stesso.

L'Arciere                       - (inesorabile, inflessibile) Non si può. Il campo alla mia sinistra appartiene a un archibu­giere spagnolo caduto in un'imboscata nel 1512... (Tutti si guardano preoccupati).

Il Giornalista                 - (timidamente)         - E, scusi, un poco più lontano? Più a sud?

L'Arciere                       - Un aviatore americano morto nel 1918...

Il Deputato                   - E... laggiù?

L'Arciere                       - Un ussaro polacco.

La Signora                    - (lugubre) Mio Dio, ma è tutto pieno di morti!

L'Arciere                       - Tutto pieno, sì. Gli uomini hanno trasformato la terra in un cimitero. (Con leggera ironia) Il campo dell'onore.

Il Sindaco                     - (lancia uno sguardo disperato al de­putato) t

Il Deputato                   - (si asciuga il sudore, impacciato).

La Presidentessa           - (con timida gentilezza, all'ar­ciere) Non potrebbe lei indicarci un pezzo di ter­reno libero? Visto che è così bene informato.

Il Deputato                   - (sollevato) È vero. Mi sembra la soluzione più semplice. Se lei stesso vuole indicarcelo... Noi, in fondo, siamo pronti a sistemare ovunque il monumento...

L'Arciere                       - (sempre impassibile) Terreno libero? Non ce n'è!

Il Sindaco                     - Ma come facciamo, allora? Mica per niente, sa? Abbiamo preso l'impegno di erigere il monumento. E non si tratta solo di un impegno morale; voglio dire, il Comitato ci chiederà conto dei fondi... (Sospirando) Che pasticcio!

L'Aecieee                      - Non spetta a me dare consigli. Non è affar mio.

La Presidentessa           - Signore, lei ha ragione. Io la capisco benissimo. Ma vede, ecco, vede questa donna? (Si è avvicinata alla madre che è sempre seduta sulla sua pietra un po' in disparte, in silenzio) Questa povera donna... Prego, signora... (Aiuta la madre ad alzarsi, la conduce davanti all'arciere) Questa povera donna è la madre di un soldato morto, uno come lei, che è caduto come lei, combattendo... È morto su questa collina, nella Grande Battaglia sa?... Povera donna, certo le farebbe piacere vedere sorgere proprio qui il monumento al suo figliolo e a quelli che, come lui, sono morti combattendo... Lo capisce, vero?

L'Aecieee                      - Non è possibile.

La Madre                      - (rassegnata, muta, lentamente toma a sedersi sulla sua pietra, in disparte, con gli occhi fissi nel vuoto).

La Presidentessa           - (all'arciere) Vede? Non dice nulla, povera vecchietta, ma soffre. Può immaginare quanto soffre. Il suo cuore di madre è straziato. Il monumento sarebbe stata una consolazione, per lei, per tutte le madri... Sa, io sono la Presidentessa del Comitato d'onore. Per questo le parlo così. Ho una veste ufficiale, capisce?

Il Deputato                   - (facendosi avanti, all'arciere) Se permette, signore, vorrei anch'io spendere una parola a favore di questa povera madre e di tutte le altre madri, le vedove, gli orfani, il cui dolore sarà grave e cocente il giorno in cui sapranno che il monumento non può essere eretto... Sa, io sono deputato al Par­lamento e qui rappresento il governo. Le parlo dunque a nome del governo, a nome della nazione, vorrei dire...

Il Sindaco                     - (con un mezzo inchino) Io sono il Sindaco del paese. Non posso che associarmi alle parole dell'onorevole...

L'Arciere                       - (si volge al giornalista) E lei? Rap­presenta qualcuno?

Il Giornalista                 - (imbarazzato) Veramente no. Cioè, sì. Come giornalista, posso rappresentare l'opinione pubblica. Credo che un suo gesto di generosità sarebbe altamente apprezzato dal popolo...

L'Aecieee                      - (con leggero fastidio) Ho capito. L'opinione pubblica è quella che vuole la guerra ma poi ha fretta di disfarsi dei morti... Non m'interessa. (Lentamente l'arciere si allontana dal gruppo e rag­giunge la madre. Si ferma davanti alla vecchia donna in lutto e la considera con occhio grave e attento. La madre alga lo sguardo verso l'arciere, uno sguardo sperduto e dolente. Per un lungo momento i due si guardano e sembra che un muto colloquio si svolga tra loro. Poi l'arciere si allontana senza dire una parola dirigendosi verso le betulle).

Il Deputato                   - (richiama l'arciere) Scusi!... Ma... cosa fa? Se ne va via adesso?

L'Arciere                       - (si volta un istante) Da solo non posso decidere nulla. (Esce).

La Presidentessa           - (riavendosi dallo stupore) Ma è una cosa inaudita!

Il Deputato                   - Sst! Sst! Parli piano. Potrebbe ascoltare.

La Signora                    - (in tono lamentoso) Perché tutte queste complicazioni1?

Il Deputato                   - (irritato) Ssst!

Il Sindaco                     - (alla signora) Bisogna mostrarsi gentili con lui, altrimenti non otterremo nulla.

Il Giornalista                 - Io lo trovo un tipo poco inco­raggiante.

La Presidentessa           - (piano) A me fa pena quella povera donna. (Accenna alla madre) Il monumento, in fondo, era per lei...

Il Deputato                   - Ha notato come l'ha guardata?

Il Sindaco                     - Sembrava che volesse dirle qualche cosa...

Il Giornalista                 - Perché -non ha parlato? È strano...

L'Arciere                       - (rientra lentamente in scena).

Il Deputato                   - (agli altri) Sst! Eccolo!

L'Arciere                       - (lento e grave) I miei compagni qui vicino ed io abbiamo deciso di cedere ciascuno un pezzo del nostro campo, affinché la Madre abbia il monumento dedicato a suo figlio.

La Presidentessa           - (con slancio) Bravi! Bravi!

Il Sindaco                     - Un bellissimo gesto!

Il Deputato                   - (si avvicina alla madre) Ha sentito, signora?

La Madre                      - (riscuotendosi) Che cosa?

Il Deputato                   - (enfatico) I morti cedono un po' del loro terreno perché suo figlio abbia il monumento.

Il Giornalista                 - È un dono generoso di cui si parlerà molto! Tutti i giornali ne parleranno!

Il Deputato                   - (all'arciere) Grazie! Grazie! A nome delle madri, delle vedove, degli orfani, a nome del Governo io ringrazio. E la prego di estendere il ringraziamento ai suoi compagni.

L'Arciere                       - (con un leggero cenno della testa) Va bene.

Il Deputato                   - E adesso, mi dica, dov'è il monu­mento? La povera madre sarà lieta di vederlo a posto.

L'Arciere                       - Ora lo vedrà. (Fa un cenno con la mano alzata e, dopo un istante, da dietro le rovine della casa appare il monumento che scivola lentamente sul terreno fino a fermarsi nel centro della scena. Il monu­mento è coperto da un drappo).

La Presidentessa           - (stupita, con gli altri) Oh!

Il Sindaco                     - Che straordinario potere hanno i morti!

Il Deputato                   - (alla madre) Venga, signora, venga... A lei spetta di diritto il privilegio di vedere per la prima il monumento... (All'arciere) Lei per­mette, vero? (Accompagnando la madre, il deputato si avvicina al monumento e lo scopre. È un goffo e presuntuoso monumento ai morti in guerra, in cui è riunito quanto di più banalmente pomposo si possa vedere nei monumenti del genere. A una certa altezza del monumento, una interminabile epigrafe).

Tutti                              - (si fanno attorno al monumento e lo esami­nano con attenzione e rispetto).

La Signora                    - È molto bello! Però mi sembra sprecato in un posto deserto come questo...

Il Deputato                   - (alla signora) Non dire sciocchezze, Michelina!

Il Sindaco                     - (all'arciere) Marmo bianco di Car­rara, vede? È costato una somma enorme sia per la qualità del marmo impiegato, sia perché l'autore, che è un insigne scultore, ha voluto un compenso elevato. Ma ne valeva la pena, non le pare?

L'Arciere                       - (impassibile, non parla).

La Madre                      - (al deputato, timidamente) E cosa c'è scritto qui? Senza occhiali non riesco a leggere...

Il Deputato                   - (con enfasi) Oh, leggo io... leggo io... È l'epigrafe dettata da uno dei nostri maggiori poeti... Ah, non abbiamo badato a spese, cara signora! Le cose si fanno bene o non si fanno... (Legge l'epigrafe accompagnandosi con larghi gesti oratori) « O viandante che passi su queste zolle bagnate dal sangue dei morti, volgi il pensiero reverente alla memoria di coloro che, immolando la fiorente giovinezza, in uno slancio di generoso altruismo, sacrificarono la vita nell'ardente crogiolo della guerra, per assicurare alle nuove generazioni la pace, la libertà, la giustizia, in perpetuo ».

Il Sindaco                     - (applaude).

La Presidentessa           - Sst! Ssst! Non è ancora finito.

Il Sindaco                     - (mortificato) Ah, no?

La Presidentessa           - No. C'è ancora una frase. (Al deputato) Come dice?

Il Deputato                   - (con enfasi) « Chi per la Patria muor vissuto è assai ». É finito.

Il Giornalista                 - È molto bello, davvero.

Il Sindaco                     - Scultoreo.

La Signora                    - Commovente.

Il Deputato                   - (alla madre) E lei, signora, non dice niente? È contenta, no?

La Madre                      - (timida) Oh, per me è meraviglioso... Non mi aspettavo tanto...

Il Deputato                   - (all'arciere) E lei, cosa ne dice? (Tutti si voltano verso l'arciere).

L'Arciere                       - (impassibile) Il monumento è troppo grande.,

Il Deputato                   - (sorpreso) Troppo grande?

 

 L'Arciere                      - Sì. In rapporto a] terreno ceduto da ciascuno di noi, questo monumento occupa troppo posto. Abbiamo calcolato che lo spazio disponibile, radunate tutte le offerte dei miei amici, è di due palmi per due.

Il Sindaco                     - Due palmi per due? Ma è niente!

La Signora                    - È un fazzoletto.

La Presidentessa           - (offesa) È uno scherzo di cattivo gusto.

Il Deputato                   - Cosa facciamo di due palmi di terra?

Il Giornalista                 - Non valeva nemmeno la pena di discutere tanto! Bel risultato!

L'Arciere                       - È tutto quello che possiamo dare. Non un pollice di più.

La Presidentessa           - Siete molto avari, però!

L'Arciere                       - Un tempo, quando gli uomini erano pochi sulla terra, i morti avevano campi sterminati. Colui che per il primo fu ucciso in battaglia da un suo simile, ebbe per campo la terra intera. La sua ombra si distese, immensa ombra di morte, sulle rive dei laghi, sulle sabbie dei deserti, sulle praterie, sulle nevi delle montagne, sui campi di grano, sulle foreste... Quel giorno la terra rabbrividì. Non era abituata al sangue. Poi i morti aumentarono, aumen­tarono senza sosta, e fu giocoforza restringersi perché ciascuno avesse la sua parte. Ogni morto che soprav­veniva chiedeva agli altri morti una piccola porzione di quel campo di gloria sul quale lo avevano mandato a morire. Ora non c'è più posto o quasi. E tuttavia la morte falcerà ancora la sua messe finché la terra non sarà satura di morti e ancora di morti, grondante sangue come un grappolo d'uva spremuto da una mano di ferro... Cosa volete dunque da noi più di quello che vi abbiamo offerto? È già molto. (Un silenzio).

Il Deputato                   - Signore, le chiedo scusa se insisto. Ma in uno spazio di due palmi per due quale monu­mento possiamo edificare?

L'Arciere                       - (con amarezza) Un monumento? E perché mai proprio un monumento?

La Presidentessa           - (debolmente) In memoria...

L'Arciere                       - Di che?

Il Sindaco                     - (timido) Del loro sacrificio...

L'Arciere                       - È forse un atto di espiazione il vostro? Una manifestazione di pentimento? Il mo­numento sarà la prova del vostro rimorso? Incide­rete forse sulla pietra il grido, l'ultimo disperato e dolente grido d'addio di coloro che morirono? (Nes­suno parla. L'arciere, in tono freddo, metallico, ri­prende) Toglietemi di mezzo questo affare... (Fa un gesto e il monumento scivola via, scompare. Un silenzio pesante è nell'aria. Tutti guardano l'arciere con sbi­gottimento. La madre, tornata a sedersi sulla sua pietra, è sempre assente, stanca e rassegnata).

La Presidentessa           - (è la prima a riaversi. Ribel­landosi) Ma non si può far questo! Noi abbiamo un dovere da compiere! Il monumento sarà edificato!

Il Deputato                   - (all'arciere) Signore, faccio appello al suo sentimento di solidarietà verso i suoi compagni caduti come lei...

 Il Sindaco                    - (investendo l'arciere) Lei non ha il diritto di disporre del nostro monumento! Deve ren­dercelo subito, ha capito?

Il Deputato                   - (patetico) Non per noi, non per noi ma per questa povera madre... Guardi, guardi questa povera donna! (Accenna alla madre) Chiusa nel suo dolore essa non ha ormai più nemmeno lacrime per piangere! Come possiamo noi placare questa sua angoscia con due soli palmi di terra?

Il Sindaco                     - Appena il posto per una pietra...

L'Arciere                       - (impassibile) Una pietra può bastare..

Il Deputato                   - Ma dove mai metteremo la bel­lissima epigrafe del grande poeta?

L'Arciere                       - (con un gesto annoiato) Oh, quante cose inutili volete voi uomini! A che può servire, in fondo, quella interminabile epigrafe? Non certo a consolare una madre. Il dolere non ha bisogno di monumenti e di lapidi, di medaglie e di musiche. Chi ha perduto il suo bene ne porta la pena nel cuore finché vive e nulla può consolarlo. E del resto quanto dura il dolore? Gli anni che rimangono da vivere, il tempo di un flore che poi appassisce e secca. Allora se le parole sono destinate agli uomini, ai vivi, scrivete soltanto questo: «Morti per niente presto dimenticati ». Non occorre altro. (L'arciere fa per andarsene verso le betulle, ma si ferma un istante a guardare la madre che siede sulla pietra in atteg­giamento rassegnato. L'arciere le si avvicina e, con grave dolcezza, le dice) Anche mia madre aspettò inu­tilmente il mio ritorno... (La madre comincia a singhiozzare, piano, mentre l'arciere esce. Un silenzio. Tutti sono immobili).

La Fidanzata                 - (entra da dietro la casa diroccata, saltellando, allegra. Ha in una mano un fiasco pieno e nell'altra la borraccia) Eccomi! Ho trovato un contadino che mi ha dato un fiasco di vino! Possiamo fare la merenda, una magnifica merenda!

Tutti                              - (indignati, alla fidanzata) Sst! Ssst!

La Fidanzata                 - (ammutolisce sbigottita, e poi dice piano) Che c'è?

Il Deputato                   - (le fa un cenno imperioso) Ssst! (Quasi vergognosi, il deputato, la, signora, il sindaco, la presidentessa, il giornalista, la fidanzata, raggruppati in disparte guardano la madre).

Il Sindaco                     - (alla fidanzata, accennando alla madre) Non avrà il monumento...

La Fidanzata                 - Perché no?

Il Deputato                   - (irritato) Silenzio!

La Madre                      - (si alza. Triste e stanca, essa raggiunge lentamente il centro della scena, si inginocchia là dove dovrebbe essere il monumento, e mentre un sorriso dolce e dolente le illumina il volto, lei accarezza la terra quasi tracciando con la mano i limiti del piccolo qua­drato concesso dall'arciere. E, tratto di sotto lo scialle un flore, lo depone religiosamente sul piccolo quadrato. Poi resta così, immobile, in ginocchio, a cullare con gli occhi questo fiore, immagine vivente della tenerezza materna e del dolore.

FINE

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