Lascio alle mie donne

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LASCIO ALLE MIE DONNE

Commedia in due parti

di DIEGO FABBRI

PERSONAGGI

Enrico

Gaetano

Virginia

Olga

Isabella

Sofia

Un personaggio servizievole a disposi­zione del regista,

uomo o donna, mimo o cantante: potrà servire per i mutamenti di ambiente.

Si svolge al giorno d'oggi, in una grande città.

Il « dispositivo scenico » è unico per tutta la rappresentazione. Un « panorama » chiaro. Ai lati due o tre quinte girevoli o comunque mobili. Entro questo dispositivo si iscrive­ranno gli altri elementi utili per articolare e precisare i vari « quadri ». Tutto avverrà « a vista » utilizzando scopertamente i vari espe­dienti scenici scelti dal regista. Gli arredi e i mobili - semplici ed essenziali - entre­ranno e usciranno di volta in volta dalla scena, ma resteranno tutti, in qualche modo, entro il perimetro del « panorama ».

Commedia formattata da

PRIMA PARTE

Appena il sipario si apre appare sullo schermo del fondo una macchina che corre su una strada sinuosa. C'è, oltre il rumore del mo­tore, una musica incalzante, premonitrice. La macchina a un tornante ha un incidente. Schianto dell'urto. E una voce d'uomo dap­prima angosciata e poi più sicura, serena e sempre più lontana. La stessa musica si fa più larga e rasserenante.

Voce Renato                 - (off.). Ooooh! Ooooh! Mam­ma... mamma... Virginia, oh! Olga... Chi mi vuol bene... tutte... non mi vedrete più...

Musica. La luce rischiara sempre più viva­mente la scena.

Studio del Notaio

Si vede Gaetano in piedi su una sedia che sta appendendo sopra la scrivania di sinistra, completamente sgombra, un ritratto di Re­nato. Poi scende, guarda a distanza, e va a dargli un'altra aggiustatina.

Gaetano                        - (borbotta). «Tu non se' morta, ma se' ismarrita - Anima nostra che sì ti lamenti...». (Scuote la testa, commisera­zione affettuosa) Mah! La vita... Se c'era uno che sembrava non dover morire... mai, era lui... (Tocca ancora il ritratto) Bene. E questo, di qui, non si muoverà più per nessuna ragione. A vegliare! (Si muove, va verso una parete e accende altre luci che ri­schiarano, a zone, altre parti dello studio. Sulla porta vetrata si legge la scritta: « Studio legale », e sotto: « Enrico Art usi, notaio Renato Signorini, procuratore di cassazione ». // tutto è inquadrato in una cornice semplice e netta; un'altra scrivania identica alla prima - ma color mogano - è sistemata in modo che la scritta dello studio faccia da sfondo. Due sgabelli sono ai lati della scrivania. Dietro, una poltrona dall'alto schienale. Irrompe con la cartella sottobraccio Enrico Artusi, il notaio) Bene arrivato, notaio. (Indicandogli il ritratto) Vede? È al posto suo, eh?

Enrico                           - Benissimo. Eravamo come due fra­telli! Povero Renato. Mah! (Va a sedersi alla scrivania) Gaetano. (Gesto di Gaetano) Vorrei restare un momento in pace. (Enrico s'è concentrato. Fuori si sente un trillo di campanello. Egli non se ne accorge, ma Gaetano si muove subito).

Gaetano                        - (borbottando). « Quali colombe dal disio chiamate... ». (Esce rapido). (Enrico, che non l'ha visto uscire, si è messo ad aprire i cassetti della scrivania per cer­carvi qualcosa che non trova, si innervosisce, si china fino all'ultimo cassetto... Gaetano è andato all'estremo angolo dell'ultima quinta di sinistra e ha fatto entrare una signora ve­stita a lutto: Virginia. Inchino, baciamano, e gesto di accomodarsi. La signora, infatti, si accomoda, mettendosi in posizione di attesa). Enrico (che non riesce a trovare quel che cercava, chiama). Gaetano, Gaetano, dove sei?

Gaetano                        - (giungendo, calmo). Ecco. Enrico (allarmato). Il testamento dov'è? Non lo trovo più. Gaetano. L'ho io. In cassaforte.

Enrico                           - Meno male! Dammelo. (Gaetano va all'altra scrivania e prende una busta gialla, che porge a Enrico. Questi la prende, la ri­conosce; straccia la busta buttandola nel ce­stino; poi si passa una mano sulla fronte per lo scampato pericolo. Irritandosi all'improv­viso) Ieri sera però quando sono uscito, stava qui! (E batte la palma della mano sulla scrivania. Gaetano lo guarda e tace. Enrico, ammorbidendosi) O mi sbaglio?

Gaetano                        - Non si sbaglia. Però il cassetto era rimasto aperto; mi sono permesso di metterlo in cassaforte.

Enrico                           - (biascicando). E hai fatto bene. (Pal­pando la busta) Un leggero brivido m'era già sceso...

Gaetano                        - (completando come una citazione) ... « lungo il filo della schiena », com'era solito dire il nostro... (E volgendosi verso l'altra scrivania fa una specie di inchino e ha un sorriso di scusa).

Enrico                           - Eh, già! Il nostro povero Renato, che era così distratto, e di questi brividi ne aveva parecchi! (Posa la busta sulla scri­vania) Gaetano, appena arriva la signora Virginia, fa subito passare.

Gaetano                        - È già arrivata.

Enrico                           - (con un soprassalto). E non me lo dici?

Gaetano                        - Non voleva restare solo un mo­mento?

Enrico                           - Gaetano, senti: com'è?

Gaetano                        - In nero. Lutto stretto. Molto elegante.

Enrico                           - No. Voglio dire com'è di umore.

Gaetano                        - Composta e dignitosa. Però molto vedova. Ma sempre di classe. Ora vedremo come si comporta alla lettura del testamento. Speriamo che non pianga. Le vedove non sopportano le sorprese.

Enrico                           - Se anche piangesse, ricordati che Virginia è la moglie del socio del nostro « studio legale » prematuramente scom­parso. Una eccezione. (Ed entrambi si vol­gono verso la scrivania di proscenio quasi volessero essere uditi e apprezzati dal caro estinto) Gaetano, introduci.

Gaetano                        - Mi tolga un dubbio, notaio: si dice « è la moglie » oppure « era la moglie»?

Enrico                           - (seccato). È la moglie. Rimane an­cora la moglie, sempre la moglie. Le mogli sono eterne! (Gaetano si avvia; ma il notaio allunga il braccio e lo ferma) Gaetano, aspetta. È meglio che vada io a riceverla... è troppo delicato... (In pochi passi è da Virginia: la saluta, le bacia la mano, le prende il braccio e quasi la sorregge, senza che la signora ne abbia alcun bisogno, con­ducendola lentamente nello studio. Ogni tanto si fermano, dicono qualche parola e si riav­viano) Accomodati, Virginia... Tu sei di casa... anzi, questa è casa tua. (Gaetano, che è accanto all'ingresso, torna ad inchinarsi all'entrata di Virginia. Enrico facendo inutili presentazioni) Gaetano Constabile, il nostro « giovane » di studio.

Virginia                         - (disinvolta, non leggera né fatua). Ma lo so,

Enrico                           - Che mi racconti! (A Gae­tano) Da quanto ci si conosce, eh? Da sempre. Gaetano deve essere nato con lo studio.

Gaetano                        - Esattamente, signora. Virginia. Sono io che non venivo più da anni. Dopo i primi tempi... ti ricordi, En­rico? Allora ci capitavo spesso...

Gaetano                        - (risponde lui). Mi ricordo bene, signora.

Virginia                         - (che si è guardata attorno). Devo dire che non è mutato niente... La sua scri­vania... sembra che ci sia ancora lui, vivo... (Vede il ritratto) Oh! Bello... (Si commuove, ma si domina) Grazie,

Enrico                           - .. Che tri­stezza però. Così all'improvviso... (Rimane un momento assorta) Lavoravate qui as­sieme... ma Renato era spesso assente.

Enrico                           - Più di me, naturalmente. Lui era l'avvocato, io il notaio.

Gaetano                        - L'avvocato deve muoversi, si­gnora. Molti processi si dibattono nei tribunali e nelle Corti d'Assise di altre città. L'avvocato viaggiava molto, eh sì! Virginia. Avesse viaggiato meno...

Enrico                           - Io, come notaio, ho avuto sempre una vita più tranquilla, diciamo più seden­taria. Si dice che i notai stanno fermi, e non è vero, ma una certa maggiore sta­bilità noi l'abbiamo, bisogna riconoscerlo. (E giunto alla sua scrivania e accennando a Virginia lo sgabello la invita a sedersi).

Virginia                         - (sedendo, con un sospiro). Ed ec­comi dal notaio, che sta fermo. Allora? (Enrico dà un'occhiata a Gaetano, che è dietro Virginia, chiedendogli qualcosa, e Gae­tano gli risponde con un diniego del capo. Virginia si accorge del confabulare e volge istintivamente il capo) Che c'è?

Enrico                           - Volevo, innanzitutto, riferirti suc­cintamente a che punto siamo con le pra­tiche assicurative per la disgrazia. Si sono dovute fare perizie, valutare i danni... in­somma ci sono state controversie con l'as­sicurazione.

Virginia                         - Ho capito.

Enrico                           - Gaetano segue assiduamente la « pratica ». La disgrazia, come sai, ha avuto una certa risonanza; Renato non era uno qualunque. È stato un incidente spaven­toso... Guarda... guarda... (E le porge un pacco di fotografie che Virginia comincia a sfogliare, ma subito respinge).

Virginia                         - (coprendosi gli occhi con le mani). Basta, basta! Non voglio veder niente... (Una pausa) Renato era così distratto che la colpa dell'incidente sarà certamente sua.

Gaetano                        - Non sia pessimista, signora

Virginia                         - La causa della disgrazia non è stata ancora chiarita. Forse un guasto: sterzo, freni... Forse un malore...

Virginia                         - (come spazientita). Volete che non sappia come guidava Renato! Una guida estrosa, balzana, diciamo artistica. Qualun­que fosse la velocità, lui pensava ad altro... Si guardava attorno, ammirava il paesag­gio... « Guarda che colori... », mi diceva... Ma! Guideranno così gli uomini di fantasia, non dico di no, ma...

Gaetano                        - Signora, le statistiche ci dicono che l'intellettuale - artisti e poeti com­presi - è tra i piloti più sicuri, e come cate­goria molto gradita alle compagnie assicu­ratrici.

Virginia                         - Ma guarda! (A Enrico) Allora che volevi dirmi a proposito...?

Enrico                           - L'assicurazione paga integralmente senza più sollevare eccezioni. Renato aveva un massimale di cento milioni per sé in caso di morte e di cinquanta per le persone tra­sportate, sempre in caso di decesso.

Virginia                         - (come annusando da che parte si celi la novità). Chi erano le... trasportate?

Enrico                           - (scuote la testa amaramente). Pec­cato che, quel giorno, fosse solo.

Virginia                         - (incredula). Era solo?

Enrico                           - Solo. (Virginia lo fissa incredula) Solissimo,

Virginia                         - La notizia dell'incidente è stata su tutti i giornali. Si sarebbe saputo.

Virginia                         - Le notizie si ritoccano, se occorre, lo sai meglio di me. Renato non viaggiava mai solo perché si annoiava. Enrico (come spazientito). Stavolta in­vece, Virginia cara, era solo! (Si sente tril­lare distintamente il campanello interno).

Gaetano                        - E l'assicurazione pagherà sicu­ramente i milioni che le deve. Enrico (accennando a fuori con il capo). Gaetano, non insistere su questo argomento che la signora... non gradisce... Esempio raro di autentico disinteresse. (Altro trillo di campanello) Puoi andare,

Gaetano                        - (Ma Gaetano indugia) Va', Gaetano, va'... ub­bidisci!

Gaetano                        - Ho sentito, notaio. (Inchinandosi a Virginia) Ancora condoglianze sentite, si­gnora Virginia, e i miei rispetti. (E si avvia con la sua innata gravità. Altro impaziente trillo di campanello. Allora, sul punto di uscire, Gaetano dice) Altre colombe! Altre colombe...

Virginia                         - Che uomo... (Gaetano ha aperto la porta e ha introdotto dal fondo la signorina Olga Bongiovanni ve­stita anche lei a lutto, il saluto che Gaetano le rivolge è molto meno deferente e affettuoso di quello tributato a

Virginia                         - Olga avanza e fa per sedersi sulla stessa panca in cui s'è seduta poco prima Virginia, ma Gaetano glielo impedisce e la porta verso un'altra panca - di fronte alla prima - invitandola ad accomodarsi; poi le porge un giornale illustrato. Si capisce che Olga gli chiede se c'è da aspettare e Gaetano, con gesto vago, le risponde che non lo sa).

Virginia                         - Senti, Enrico: vogliamo aprirlo sì o no questo testamento?

Enrico                           - Subito. (Con un gesto rituale pren­de la busta e la alza tra le due dita). Apro.

Virginia                         - Apri apri.

Enrico                           - (fa vedere la busta a Virginia, di diritto e di rovescio, come se si rivolgesse a inesistenti testimoni). Sigilli. Firma. E data. Hai visto, Virginia?

Virginia                         - Ho intravisto, ma non importa.

Enrico                           - Comunque tra noi, invisibile ma reale, c'è la legge. Bisogna sempre rispettare le formalità.

Virginia                         - Specialmente quando non si vuole poi rispettare la sostanza. Ho visto, sì. Sigilli, Firma. E data.

Enrico                           - (ha impugnato il tagliacarte e si accinge a tagliare Porlo della busta; ha come un ripensamento e si ferma col tagliacarte sospeso). Mi permetto di anticiparti, Vir­ginia, che il testamento è olografo. Scritto cioè di suo pugno.

Virginia                         - C'è qualche inconveniente? Re­nato aveva una calligrafia abbastanza chiara.

Enrico                           - Nessun inconveniente, anzi! Ma qualcuno, talvolta, alla vista della scrittura del « caro » congiunto scoppia in lagrime prima ancora di conoscere la natura, la so­stanza del « dettato ».

Virginia                         - Spero di non piangere.

Enrico                           - Andiamo, allora, (immerge il taglia­carte nella fessura, e taglia la busta orizzon­talmente. D'improvviso si ferma e chiama) Gaetano! Che succede?

Gaetano                        - (comparendo). Niente, notaio. C'è il previsto...

Enrico                           - Ah, c'è? Benissimo! Potevi avver­tirmi subito!

Gaetano                        - Non volevo disturbare.

Virginia                         - Qualcosa non va?

Enrico                           - No, è solo una questione... d'ufficio.

Virginia                         - Allora? (Enrico allarga la fessura, introduce due dita e sfila un'altra busta can­dida, più piccola e naturalmente chiusa) Ma è una scatola cinese!

Enrico                           - Un po' di pazienza,

Virginia                         - (Tende la busta e le fa vedere alcune righe scritte) Vedi? Che dice qui?

Virginia                         - (allunga la testa). Di qui non riesco a leggere, ma... (Cerca nella borsetta gli oc­chiali che subito non trova).

Enrico                           - Leggo io, se ti fidi.

Virginia                         - (ha trovato gli occhiali, ma non se li mette). Certo che mi fido.

Enrico                           - (piuttosto agitato, gira la busta da tutti i lati quasi per convincere qualcuno che non c'è trucco né inganno, e finalmente legge). «Voglio...».

Virginia                         - Comincia con «voglio», eh? Il prepotente!

Enrico                           - È linguaggio testamentario, il « voglio ».

Virginia                         - Sarà! Comunque... «Voglio»...?

Enrico                           - (riprendendo la lettura). «Voglio... che questa busta sia aperta alla presenza congiunta di mia moglie Virginia Alamanni in Signorini e della signorina Olga Bongio­vanni ». Firmato: «Renato Signorini». Firma convalidata a tutti gli effetti da me notaio Enrico Artusi. (Silenzio. I due non si guardano).

Virginia                         - (ha avuto una contrazione, ha chi­nato la testa; ora si è ripresa). Uno dei suoi soliti scherzi?!

Enrico                           - Gli scherzi « post mortem » sono protetti dalla legge.

Virginia                         - (che aveva ancora gli occhiali in mano, apre lentamente la borsa, li rimette dentro, si alza). Allora me ne vado. (E si avvia lentamente).

Enrico                           - (spaventato). Te ne vai?

Virginia                         - Che cosa ci faccio, io, qui, se dobbiamo, a quel che sento, essere in due? Non vedo nessun altro.

Enrico                           - (come sollevato). Se aspetti, vedrai.

Virginia                         - Vedrò questa... signora?

Enrico                           - Signorina.

Virginia                         - Come si chiama?

Enrico                           - Olga Bongiovanni.

Virginia                         - (come ricordasse). Ah! Olga Bon­giovanni.

Enrico                           - La conoscerai.

Virginia                         - No.

Enrico                           - È impossibile che tu non la co­nosca!

Virginia                         - Senti, Enrico: sei disposto o no ad aprire la busta?

Enrico                           - Io sono dispostissimo, ma non posso.

Virginia                         - E allora me ne vado. Perché era tuo dovere chiamare anche... l'altra così come hai chiamato me.

Enrico                           - Ma io non sapevo.

Virginia                         - (mite). Bugiardo.

Enrico                           - Per lo meno non dovevo sapere, professionalmente.

Virginia                         - (offensiva). Professionista. (Calma) Non facciamone un dramma. Ritorneremo insieme un altro giorno. (Un altro passo verso l'uscita).

Enrico                           - Aspetta,

Virginia                         - Ancora un mo­mentino. Ti assicuro che verrà.

Virginia                         - Come lo sai?

Enrico                           - Ti dico che c'è. C'è già.

Virginia                         - Ah, c'è? Dov'è? La tieni nascosta? Che venga. Falla venire. Che aspettiamo?

Enrico                           - Un po' di calma. Non vorremo mica subito... far colpi di testa! (Virginia ridiscende lentamente la scena fino a fermarsi in piedi accanto al suo sgabello. Enrico è andato invece verso la scrivania di proscenio e come se pregasse un santo) Amico, amico mio: lo vedi come si co­mincia male... (Gli risponde una specie di risatina divertita) E lui ride! Ridi, ridi, che te lo puoi permettere, tu!

Virginia                         - Ma cosa dici?

Enrico                           - Niente. Parlo da solo. (Mentre si è svolta la scena tra Virginia e Enrico, Olga ha dato segni di impazienza, si è alzata, ha chiamato Gaetano, gli ha chiesto spiegazioni, ha buttato via i giornali, e proprio adesso Gaetano è impegnato a impedirle di entrare) Non apprezzi che ti abbia dato la prece­denza?

Virginia                         - Grazie.

Enrico                           - Volevo almeno informarti prima dell'incontro diretto... informarti sull'identità di questa Olga Bongiovanni...

Virginia                         - Perché vuoi togliermi il piacere della sorpresa?

Enrico                           - Preferisci venire a contatto, così, bruscamente, senza nemmeno sapere...?

Virginia                         - È violenta?

Enrico                           - No. È un angelo... (Olga, sorvegliata strettamente da Gaetano, ha avuto uno scatto, scosta Gaetano, entra d'impeto nello studio e va diritta verso En­rico senza vedere Virginia. È più alta di Vir­ginia e più giovane di qualche anno). Olga. Grazie per avermi ricevuta immedia­tamente nonostante i tuoi impegni, Enrico caro! (Lo abbraccia) Che giorno, Dio mio! Si riaprono le ferite... Tornano a sanguinare senza pietà...

Enrico                           - (si scioglie dall'abbraccio di Olga e si affretta a fare le presentazioni). Virginia Alamanni in Signorini... Olga Bongio­vanni...

Olga                              - (fingendo di accorgersi solamente adesso di Virginia) Oh! Madame. Virginia (leggermente sorpresa, a Enrico). È straniera? (Le due donne non si sono strette la mano, si sono fatte soltanto un curioso cenno col capo). Enrico (ansioso di abbreviare quel mo­mento). Siediti, Olga. (E le indica l'altro sgabello) Darei subito corso alla lettura del testamento... a meno che... Olga. Sì sì. Poiché si deve fare, fallo subito. (Virginia guarda con un sorriso vagamente ironico il comportamento spicciativo di Enrico).

Enrico                           - (porgendo la busta ad Olga). Su questa busta, ancor chiusa e sigillata, c'è scritto... (E si dispone a leggere). Olga (allunga la mano e gli strappa la busta). « Voglio che questa busta sia aperta alla presenza congiunta di... » mnn... mnnn... Sì.

Virginia                         - Come ha detto? Non ho sentito. Olga (scandisce). «... alla presenza con­giunta di mia moglie Virginia Alamanni in Signorini e... ». Ha capito?

Virginia                         - Adesso è molto chiaro. Grazie. Olga. Prego. (Di scatto rende la busta a Enrico). Leggi pure tu, sarà meglio. (Acca­valla le gambe e mette le braccia conserte).

Enrico                           - (legge). « ... di mia moglie Virginia Alamanni in Signorini e della signorina Olga Bongiovanni ». Firmato : « Renato Signo­rini». Allora apro. Olga. Ma che aspetti?!

Virginia                         - (dandogli del lei). Apra pure, notaio.

Enrico                           - (taglia netto la busta, estrae i fogli del testamento piegati in quattro, e tenendoli tra indice e pollice li mostra di lontano alle due donne). Riconoscono, signore, la calli­grafia del defunto?

Virginia                         - Sì.

Enrico                           - Entrambe? Olga. Ma sì!

Enrico                           - Il testamento si compone di... uno, due e tre fogli. Olga. Li vediamo.

Enrico                           - Passiamo dunque alla lettura. Vo­gliono alzarsi, signore? (Le due donne si alzano in piedi).

Virginia                         - Dovremo restare in piedi per molto tempo?

Olga                              - Teme di non reggere, signora? Lei segga pure, io resto in piedi fino alla fine. (Virginia si rimette lentamente a sedere).

Enrico                           - (volendo eliminare ogni motivo di attrito preventivo). C'è piena libertà. Nei testamenti lunghi, con un uditorio numeroso e composto di persone spesso anziane o malandate in salute, abitualmente ci si sie­de, ma c'è anche chi si mantiene eretto quasi per rendere omaggio alla volontà della per­sona cara che non è più. (Virginia si raccoglie ancor di più sulla sedia, mentre Olga sta eretta come un corazziere sull'attenti. Una pausa brevissima di silenzio, poi il notaio comincia a leggere) « Oggi, trentuno di­cembre, trovandomi solo nel mio studio, in perfetta salute, in attesa di passare da casa mia per recarmi con mia moglie Virginia alla veglia di mezzanotte al Circolo della Cac­cia... » è il noto circolo della nostra città di cui Renato era socio molto attivo... Olga (seccata). Lo sappiamo.

Enrico                           - (riprende). «... Circolo della Caccia dove daremo il benvenuto all'anno nuovo... ».

Olga                              - (interrompendolo). Vorrei sapere l'anno.

Enrico                           - L'anno scorso.

Olga                              - Ah! Ha passato la mezzanotte al Circolo della Caccia con... (volgendosi a Virginia) ... lei?

Virginia                         - Se lo dice lui.

Enrico                           - (autoritario). Prego di non interrom­pere. Se c'è qualcosa che non quadra pren­dete delle note, lì c'è l'occorrente.

Olga                              - (all'inatteso tono di Enrico vorrebbe reagire, ma si trattiene; runica reazione è quella di sedersi vivacemente). Ufff!

Virginia                         - (per riavviare la lettura ripete a memoria a bassa voce, senza tono, come un suggeritore). «... al Circolo della Caccia dove daremo il benvenuto all'anno nuovo... ».

Enrico                           - (autoritario). Anno nuovo! (Legge) « Nella imminenza di chiamare al telefono la cara Olga per augurarle il buon anno e per dirle che senza di lei per me non c'è vero diletto, sono portato a meditare sulla mia esistenza e sul contrasto sentimentale di cui non vedo una prossima conclusione. Condotto in tal modo a pensare, pur senza rattristarmi, alla promessa pace dell'eter­nità, mi viene spontaneo il pensiero della morte. Decido così, pur senza essere spinto da nessuna ragione particolare, a fare te­stamento ».

Virginia                         - Povero Renato, chi l'avrebbe detto! Fu una serata così allegra, sembrava si divertisse tanto... Mah!

Olga                              - Non si contentò di telefonarmi, quella sera: mi mandò anche un telegramma di augurio, molto molto bello, che conservo.

Enrico                           - Mi lasciate finire? (Legge) « Tutto il mio patrimonio, niente escluso, lo lascio alle mie donne: vada cioè diviso in parti eguali tra mia moglie Virginia, ottima e comprensiva compagna di tanti anni, e Olga Bongiovanni, a cui mi lega un sentimento profondo e una consuetudine di comunica­zioni ormai decennale ».

Olga                              - (che sembra soddisfatta dell'ultimo ri­conoscimento, si muove e si erige sullo sga­bello emettendo un sospiro). Aaah!

Virginia                         - Cosa sarebbero le « comunica­zioni »?

Enrico                           - (si affretta a dire con tono perentorio). Dopo, dopo! « Alla condizione ». (Si rifa silenzio assoluto) « Alla condizione... che per un anno almeno, a partire dal giorno stesso della lettura di questo scritto, Virginia e Olga passino quotidianamente... » - quo­tidianamente è sottolineato - « passino quotidianamente un'ora insieme: in silenzio o conversando, in un qualsiasi luogo, al chiuso o all'aperto, nella buona come nella cattiva stagione e qualunque sia il loro stato di salute ».

Virginia                         - (calma). Fantastico.

Olga                              - (reattiva). Credo che una clausola si­mile non sia legale.

Enrico                           - Ogni osservazione alla fine! (Legge) « Al mio caro amico e socio notaio Enrico Artusi, che ben conosce le due care donne... ».

Virginia                         - Ah, tu, ben conoscevi, dunque?! Anche la signora... la signorina, qui... tu la conoscevi bene.

Olga                              - Io qui ero di casa, che crede?!

Virginia                         - Anche lei!

Enrico                           - (per tagliar corto). « Che ben co­nosce le due... care donne! » (si rifà silenzio, riprende scuotendo un po' la testa, commise­randosi) «affido il delicato incarico di veri­ficare puntualmente il rispetto integrale delle mie condizioni ». Tocca a me verificare, avete capito?

Virginia                         - Non interrompere tu, adesso, « verificatore »!

Enrico                           - Chiedo scusa! (Riprendendo) « Allo spirare dell'anno, se la prova sarà stata feli­cemente superata, le due beneficiarie go­dranno... in parti eguali della totalità dei miei beni che figurano nell'elenco qui unito...».

Virginia                         - Unito dove?

Enrico                           - (sfila una busta più piccola). Ecco.

Olga                              - Un'altra. La busta gialla!

Enrico                           - (legge sulla busta). «Elenco com­pleto dei miei beni mobili ed immobili».

Olga                              - E quali sarebbero? Sentiamo.

Enrico                           - (rigirando la busta). È chiusa. Lo sapremo di qui a un anno, quando l'apri­remo, se sarete brave!

Olga                              - E se non fossimo brave?

Enrico                           - C'è scritto. C'è scritto tutto... (Sfo­gliando il testamento) Un minuto di pa­zienza... Se non foste brave...? Ecco... ecco qua. (Legge) « In caso di trasgressioni verificate in maniera incontestabile dal no­taio e amico all'uopo incaricato, i miei beni siano devoluti per intero al Circolo della Caccia». (Silenzio) È tutto.

Virginia                         - (allungando il collo). Però non è finito.

Enrico                           - Almeno è tutto ciò che vi riguarda.

Olga                              - Ah, facciamo misteri?

Enrico                           - (seccato). Nessun mistero! C'è an­cora un breve elenco di piccoli lasciti ad altre persone, e infine certe istruzioni per me.

Olga                              - Questi lasciti, non si possono co­noscere?

Enrico                           - A rigore sarei tenuto a dirlo, « in primis », alle persone interessate. Non vorrei però che vi montaste la testa e cominciaste a fantasticare. Lascia qualcosa... alla do­mestica Sofia Restivo...

Virginia                         - Ah! A Sofia?

Enrico                           - Al nostro sostituto Gaetano Con­stabile... A me dà un «segno tangibile» lasciandomi l'avviamento dello studio... E infine - aggiunto dopo, altra penna, altro inchiostro - a una certa Isabella Venieri va un... oggetto ricordo... un libro, una sciocchezza, insomma. Ed è tutto.

Olga                              - Isabella Venieri? (E guarda Virginia).

Virginia                         - Mai sentita nominare.

Enrico                           - Non so chi sia. Sarà una dattilo­grafa di fiducia o la cassiera del bar qui sotto... Non lo so! Si farà viva... o la cer­cheremo.

Olga                              - E se una di noi due rifiutasse?

Enrico                           - È previsto nelle istruzioni che mi dà. (Sfoglia il testamento) Se una di voi due rifiutasse... se una... rifiuta...

Virginia                         - L'altra godrà l'intero?

Enrico                           - No. Se una di voi non accetta la condizione... anche se l'altra fosse disposta ad affrontare la prova annuale, il testamento è nullo. Chi se lo gode interamente è sempre il Circolo della Caccia.

Olga                              - Che detesto! Materialisti! Giocatori. E bari! Peuh!

Virginia                         - Perché dice così?! È un luogo piacevole, in fondo.

Olga                              - Un covo di « libertini »! (Lampeg­giando) Detesto il Circolo della Caccia quasi quanto detesto lei, signora, se devo essere sincera. E se dipenderà da me, l'eredità di Renato non andrà mai - dico mai! - al Circolo della Caccia. (Virginia la guarda per la prima volta interessata da quel carattere).

Enrico                           - (che vuol stringere). Allora, accet­tate?

Virginia                         - Ci si potrà almeno pensare qual­che giorno?

Olga                              - (a Enrico). Tu fissa un termine, ed entro quel termine io ti dirò che cosa in­tendo fare.

Enrico                           - Nessun termine. Il termine è già fissato. (Guarda al primo foglio del testa­mento) Il testamento deve essere eseguito «... a partire dal giorno stesso della lettura di questo scritto! ».

Virginia                         - Però, Enrico, tanto per comin­ciare, almeno per oggi, la famosa clausola dell'« ora al giorno » è già stata quasi ri­spettata. Sarà più di mezz'ora che stiamo insieme. Se rimaniamo ancora un po' sa­remo a posto, per oggi.

Enrico                           - Rimanere dove? Qui?

Olga                              - E dove? Giacché ci siamo.

Virginia                         - Sotto i tuoi occhi. Meglio di così.

Olga                              - Vorrebbe già cacciarci via, il gentil­uomo!

Enrico                           - No, no... eccezionalmente, rima­nete pure.

Virginia                         - (si alza e va a sedersi alla scrivania di proscenio). Io mi metto qui, da « lui ». Non è detto che dobbiamo conversare.

Enrico                           - Potete restare anche « in silenzio », purché stiate un'ora insieme. (Si alza) E io posso anche andarmene. Gaetano control­lerà l'orario.

Olga                              - Metteremo il cartellino di presenza, come nelle fabbriche.

Enrico                           - Va bene, restate pure. E per do­mani?

Olga                              - Prima di domani possono succedere tante cose! (Le due donne si guardano).

Enrico                           - Non complicate le cose. Telefo­natevi.

Olga                              - E chi telefona?

Enrico                           - Non lo so. Una telefona all'altra.

Olga                              - Ma chi? Io sono in farmacia.

Virginia                         - Io devo partire.

Olga                              - Non pretenderà che la segua in viaggio.

Virginia                         - Potrebbe scendere alla prima sta­zione, un'ora dopo.

Olga                              - Ma lei è matta! Tu, poi, Enrico, come faresti a controllare?

Enrico                           - Non preoccupatevi per me: ho le mie reti, le mie informazioni...

Olga                              - Le tue spie?! T tuoi radar!

Enrico                           - Insomma! Cominciate con lo scambiarvi i vostri numeri di telefono.

Olga                              - Il numero della signora io lo co­nosco già.

Virginia                         - (candida). Ha già chiamato altre volte? Non avevo mai sentito la sua voce, signorina. Mi creda. Forse rispondeva Renato.

Olga                              - No, Renato non rispondeva. Era una voce di donna.

Virginia                         - Allora era

Sofia                             - La cameriera. Lei, vede, si intratteneva certamente con la nostra cameriera.

Olga                              - Può darsi. Lei diceva: «Sono la se­gretaria ».

Virginia                         - In realtà è la cameriera. Non fa però una gran differenza. Mi scuso, signo­rina. Da domani le risponderò io personal­mente, se telefona.

Olga                              - Oooh! Non aspetti una mia telefo­nata! Sprecherebbe il suo tempo.

Virginia                         - Io, d'altra parte, non conosco il suo... recapito.

Olga                              - (piccata). Non è un recapito. È un laboratorio chimico, diciamo una farmacia.

Virginia                         - Non ha una casa?

Olga                              - Certo che ho una casa. Ma se mi vuole cerchi sull'elenco l'Antica Farmacia Del Vecchio.

Enrico                           - Siamo alla diplomazia. Incontri internazionali tra potenze nemiche. Dove svolgere gli incontri?

Virginia                         - (sempre serafica). Per tagliare la testa al toro, si potrebbe...

Olga                              - Chi sarebbe il toro? C'è forse qualche allusione?...

Virginia                         - Nessuna allusione, signorina. Il toro, semmai, sarei io, non le pare? Sono la moglie! Diciamo « nodo gordiano ». Le sta bene? Per sciogliere questo «nodo gor­diano », almeno nei primi giorni, tu, En­rico, dovresti fare da tramite.

Enrico                           - (al limite). Ma io ho da fare! Io lavoro! Rendetevene conto.

Virginia                         - Capisco, ma devi prenderti anche questa seccatura, almeno per il momento. Ti guadagnerai la fiducia di Renato che forse ti guarda e ti sorveglia... da un altro regno.

Enrico                           - Avrà ben altro da fare!

Olga                              - ... E se non fai le cose a modo po­trebbe prendersela con te.

Enrico                           - I morti non mi fanno paura.

Olga                              - Offendi già la memoria! Ah!

Virginia                         - Ti si chiede solo un favore per i primi tempi. Domani noi telefoneremo a te, separatamente, beninteso, e tu organizzerai l'incontro. Poi...

Enrico                           - (al colmo). Sì! Va bene! Telefonate a me! Adesso però ve ne andate. Aspetto le vostre telefonate.

Virginia                         - Ma... l'ora esatta non sarebbe ancora passata.

Enrico                           - (battendo la mano sui fogli del testa­mento) lo ho la facoltà... tutte le facoltà... come se fossi lui!

Olga                              - Oh, lui ci trattava in ben altro modo! Tu non conosci le donne, la loro sensibilità.

Enrico                           - No, non le conosco. Ma in questo caso posso fare e disfare, e allora oggi vi regalo... (guarda l’orologio) dieci... anzi tre­dici minuti. Non vi mando via, ma potete andare. (Le due donne si alzano dai loro sgabelli e senza salutarsi, volgendosi le spalle, se ne vanno in opposte direzioni. Enrico si accascia sulla sua sedia dietro la scrivania) Oooh! Gaetano, Gaetano! (Gaetano appare con la solita faccia. Enrico, disfatto) Basta, per oggi! Basta!

Gaetano                        - (citando) « E venni dal martirio a questa pace ».

Enrico                           - Questa la chiami pace?

Gaetano                        - (accennando alla scrivania di Renato). Alludevo alla sorte del povero avvo­cato.

Enrico                           - Lui sì, è passato da questo « mar­tirio » alla sua « pace »! Per me invece il «martirio » comincia. (Volgendosi alla scri­vania) Io ho perduto la pace per amicizia tua, Renato.

Gaetano                        - Amicizia, che è sentimento nobile, notaio; il più nobile dei sentimenti, l'ami­cizia!

Enrico                           - Nobilissimo. Ne pago il prezzo. (A Gaetano) Prepara l'incontro di domani tra le due... eredi.

Gaetano                        - Dove?

Enrico                           - In zona neutra. Perché non vor­ranno andare né dall'una né dall'altra. Figurarsi. Zona neutra. Dammi la pianta della città che vediamo...

(Mentre Enrico e Gaetano parlano dell1 in­contro di « domani », Olga e Virginia si sono allontanate).

Casa di Virginia

Sofia fa girare una « quinta » che si rivela come una parete di una casa. È a fiori. Ce un tavolino tondo. A una parete un altro ritratto di Renato. Virginia entra e si toglie il soprabito. Dopo un momento appare Sofia con un vassoio e una tazza di caffè: serve Virginia, le mette, come al solito, due cuc­chiaini di zucchero, fa per andarsene. Virginia che ha la tazzina alle labbra, la ferma col gesto. Esattamente nell'istante in cui Enrico e Gaetano, dopo aver confabulato, sono usciti.

Virginia                         - Aspetta,

Sofia                             - (Un altro sorso, l'ultimo; depone la tazza) Voglio darti una notizia che ti farà, spero, piacere: sei nomi­nata nel testamento dell'avvocato. È stato aperto poco fa.

Sofia                             - Che dice? Nominata come?

Virginia                         - Non so precisamente che cosa ti abbia lasciato - te lo dirà il notaio - ma si è ricordato di te.

Sofia                             - Dio, che gioia mi dà, signora! Virginia, lo, ti dico la verità, non avrei immaginato che foste così... legati, da citarti nel testamento. Non mi ero accorta mai di niente di particolare...

Sofia                             - Signora, non vorrei che pensasse... ma legati eh, sì, eravamo molto legati. Il padrone, non faccio per dire, ma mi met­teva su... mi teneva alta...

Virginia                         - Alta?

Sofia                             - Alta di grado, di considerazione, ca­pisce, signora? Lei, signora, non se n'è accorta, mi dice, ed è il più bel compli­mento che mi potesse fare.

Virginia                         - Ah, sì?

Sofia                             - Eh, sì! Perché vuol dire che mi sono comportata proprio come voleva lui: in maniera tale che nessuno si accorgesse di niente, però di fiducia ne aveva proprio tanta, ma tanta che non le dico. E io...

Virginia                         - Lo ricambiavi. Brava.

Sofia                             - Non è che lo ricambiassi: gli volevo veramente bene, sempre che lei la cosa non la veda storta.

Virginia                         - Anzi.

Sofia                             - Io, per lui, mi sarei buttata anche nel fuoco! Lui mi metteva... in alto, è vero, ma io... era come se lui fosse al settimo cielo. Non che mi debba lamentare di lei, signora, per carità, ma se sono rimasta qui per tanti anni, è stato per il padrone. Lei mi dirà: perché? Eeeh!

Virginia                         - (con altro tono). Siediti, Sofia

Sofia                             - Grazie, signora, per questa confi­denza che mi dà. (Si siede) Io che sono? Donna di servizio, no? Ma lui quando mi disse per la prima volta : « Sofia, tu non appartieni più alla servitù... ma devi sen­tirti d'ora in poi come una mia collabo­ratrice... ».

Virginia                         - Ah, ti disse così?

Sofia                             - Parola, signora! Che non invento niente! Bugiarda non sono mai stata, e lei lo sa!

Virginia                         - Per carità, e me lo dimostri pro­prio in questo momento come sei stata sempre sincera con me.

Sofia                             - Quando mi disse... «collabora­trice»... mnn, Dio! Collaboratrice?

Virginia                         - Accadde molto tempo fa?

Sofia                             - Eh, sono anni, signora. Poco dopo che ero qui. Proprio nei primi mesi sarà stato...

Virginia                         - Subito, allora.

Sofia                             - Subito! Poco dopo che mandò via l'altra... che doveva essere una di quelle... « Tu sei diversa », mi disse. E me lo disse un giorno che lei non c'era, signora, che stava in viaggio... Ero sola in casa a stirare la biancheria dell'avvocato, che per i colli e i polsi delle camicie era proprio esigente. Be', lui sempre così riguardoso e di poche parole... be', quella volta entra nell'«of­fice»...

Virginia                         - Nell'« office »?

Sofia                             - Lo vedo, e «oh!», faccio! Ma lui allunga la mano...

Virginia                         - Allunga, eh!?

Sofia                             - ...e, « ssst », mi fa. Non vorrei che pensasse, signora... E parla. Be', signora, lei potrà anche non credermi, ma mi prese quasi l'affanno al cuore quando mi disse: « Sofia tu non sarai più domestica », qua dentro... ma collaboratrice». Mnnn! Che uomo, signora!

Virginia                         - E solo adesso me lo dici. Prima non potevi?...

Sofia                             - Eh, no, signora. Come potevo? C'era un impegno, tra noi, un segreto.

Virginia                         - Te lo disse Renato di non far­mene parola?

Sofia                             - No! Non l'ha mai detto, ma l'ho capito. Quando si stabilisce un rapporto di fiducia tra due persone... le cose si capisco­no, mi scusi. L'avvocato non accennò mai a lei - era un signore! - ma avevo capito tutto senza che parlasse. (Virginia rimane pensosa, poi accenna a sorridere) Perché, s'è offesa? È gelosa? Oh! Lei, signora, se mi permette, gelosa non mi è mai sembrata. Lei, nel campo suo, è donna superiore, come lui era nel suo: proprio bene accoppiati, ognuno badava ai fatti suoi.

Virginia                         - Sta' tranquilla, Sofia: offesa non lo sono. Anzi vorrei rimediare in qualche modo al fatto di averti forse un po' trascu­rata, o per lo meno sottovalutata. Per me eri domestica, per Renato invece... collabo­ratrice. Qualcosa di più, mi pare. E allora voglio che tu sia anche per me quel che eri per Renato.

Sofia                             - Collaboratrice?

Virginia                         - Appunto.

Sofia                             - Come si fa? Non sarà mai la stessa cosa... m'immagino che sarà... sarà un'altra cosa.

Virginia                         - Certamente. La nostra collabo­razione sarà meno stretta, o per lo meno diversa. Ma voglio che tu diventi, anche per me, collaboratrice. (Sofia rimane con la fron­te aggrottata) Ci pensi?

Sofia                             - Prima di dire « sì », vorrei doman­darmi se lui sarebbe contento, se lo sapesse.

Virginia                         - Ma certo.

Sofia                             - Eeeh, lo dice lei (Poi, bruscamente) Ma sì, accetto.

Virginia                         - Grazie, Sofia. E vorrei che co­minciassimo subito. (Si alza) Senti: adesso parto. Sappi allora che « la signora rientra solo domani », diciamo all'una. E se chie­dono « chi parla », da questo momento non sei più la « donna », ma la « segretaria ». Per tutti. Va bene, Sofia?

Sofia                             - Benissimo. Mi aveva insegnato così bene l'avvocato a rispondere alle telefonate!

Virginia                         - Solo il servizio telefonico ti aveva insegnato?

Sofia                             - Oh, le telefonate erano niente! C'e­rano le commissioni, la posta - lettere, espressi, telegrammi - e anche certi in­contri...

Virginia                         - Incontri?...

Sofia                             - Anche delicati, sì.

Virginia                         - Mandava te?

Sofia                             - Con certe istruzioni, beninteso. Erano missioni diplomatiche.

Virginia                         - Avrai avvicinato, penso, una cer­ta signorina... Olga Bongiovanni?

Sofia                             - (che aveva trattenuto un po' il respiro). Oh, quella! La conosce anche lei, signora?

Virginia                         - L'ho conosciuta oggi dal notaio.

Sofia                             - Ooh! Entriamo subito nel vivo, direi? !

Virginia                         - Direi di sì: nel vivo. (Dopo aver fissato Sofia) Sofia, vuoi allora che ci diamo del tu?

Sofia                             - (bloccandosi, dignitosa). No, signora. Questo no. Fino a questo punto non vorrei spingermi. L'avvocato non l'ha mai messa su questo piano. Sarebbe troppo. Non le pare che sia meglio mantenere le distanze?

Virginia                         - Come faceva lui. D'accordo. Di­ciamo: collaboratrice, ma con certe distanze.

Sofia                             - Grazie, signora. Non vorrei, mi scusi, diminuire... dico, scendere dal posto dove mi aveva messo lui. (Alzando le mani come se collocasse una statuina) Là devo restare.

Virginia                         - Esattamente,

Sofia                             - Adesso, però, scendi a fare un po' di spesa! (Sofia raccoglie le tazzine e il vassoio ed esce contenta).

Virginia                         - (va al ritratto di Renato, che cerca di girarsi un po'' vergognoso, ma Virginia lo raddrizza tenendolo con una mano e fissan­dolo negli occhi). Ti vergogni, eh? Anche di là, scommetto, ti vergogni un po'?! E invece io volevo solo ringraziarti per aver­mela lasciata in eredità! Ma che le facevi a Sofia per trasformarla così, eh? Ah, la plasmavi! Bravo, però! Non l'avrei mai im­maginato con Sofia! (il ritratto di Renato lasciato libero torna a voltarsi) E, sta' qui! Sta' un po' fermo! E guardami. Ormai... (Quasi dolce, divertita) Scommetto che l'hai fatto perché non mi annoi, eh? Grazie, amore mio. (Ha un amorevole gesto depre­catorio all’indirizzo del ritratto e si avvia per uscire).

Giardino-Bar.

Appaiono dal fondo Enrico e Gaetano. Stanno riparandosi da una pioggia battente che andrà a poco a poco crescendo con una suggestiva intensità musicale. Indossano impermeabili di vario taglio, foggia e colore a seconda dei loro gusti, hanno il cappello e tengono aperti gli ombrelli. Vanno verso la scrivania, la gi­rano, aiutati dal Personaggio servizievole, e appare il banco di un bar: nichelature, mac­china cromata per caffè, bottiglie dalle eti­chette pittoresche. Sul bar, come l’alternarsi di un lampo, appare e scompare la scritta: « Bar dei Giardini ».

Enrico                           - Se non farai presto ce la prendiamo tutta... Tira almeno il tendone!

Gaetano                        - (interdetto). Quello da sole?

Enrico                           - Ma ripara anche dall'acqua! Sei proprio un formalista!

Gaetano                        - La forma è tutto, lo dice anche lei, notaio!

Enrico                           - La forma è tutto quando si vuol nascondere la sostanza... ma qui... diluvia! Tira il tendone!

(Il Personaggio servizievole ha tirato sul mo­bile bar una tenda a righe bianche e rosse or­lata di nappette gialle, la pioggia suona di­versamente sulla tenda ormai tesa: questa musica farà da sottofondo per tutta la scena variando per intensità e ritmo, fino al tic-toc-tac delle ultime gocce. Poi, come sarà indi­cato, il finale soleggiato).

Gaetano                        - Ecco, notaio... ecco fatto... ah! (Al Personaggio servizievole) E grazie!

Enrico                           - Come incontro d'apertura non c'è male!

Gaetano                        - (borbotta). « La bufera infernal che mai non resta... ».

Enrico                           - D'ora in poi, bisognerà sempre pre­vedere un ripiego...

(Sono, come due colonne impermeabili, ai due angoli estremi del tendone bianco-rosso. Ogni tanto uno dei due tende la mano per sentire la pioggia, l'altro si calca bene il cappello o si tira su il bavero dell’impermea­bile. Gaetano è andato a prendere due cuscini di gommapiuma, anch'essi biancorossi con le nappette gialle e li ha posati sui due sga­belli. È tutto pronto, ma le due donne non si vedono. La pioggia continua vivace, musi­cale: con crescendi e rallentati).

Gaetano                        - Notaio, e se non vengono?

Enrico                           - Annullo.

Gaetano                        - Il testamento?

Enrico                           - Che testamento! L'incontro.

Gaetano                        - Non si può. Il testamento dice: « ...nella buona... come nella cattiva sta­gione... qualunque sia il loro stato di salute! ».

Enrico                           - Lo sai a memoria! Però io posso. Ho la facoltà. Dal testamento... e dalle norme generali del Codice là dove si parla di « epidemie, terremoti, inondazioni... ». Qui, siamo all'inondazione.

(Appena Gaetano ha buttato i due cuscini bianco-rossi sugli sgabelli ed è andato al suo posto, Olga ha fatto la sua apparizione nel « Bar dei Giardini ». Non l’hanno vista. È av­volta, perfino mimetizzata, da un impermeabile di nailon molto genere tuta spaziale. Ha comin­ciato a sfilarsi il casco e ad arieggiarsi i ca­pelli. Si siede su uno sgabello, guarda i due, batte con l'unghia sul ripiano metallico del bar come se chiamasse il cameriere).

Olga                              - Io sono qua, eh!

Enrico                           - (andandole vicino). Ah, tu ci sei? Dov'eri?

Olga                              - Qui. Puntuale. Non c'è? (E si guarda attorno, per sottolineare che l'altra, Virginia, non si vede).

Enrico                           - Aspettiamo un minuto, no?

Olga                              - Io non intendo aspettare.

Enrico                           - Un po' di tolleranza, dico!

Olga                              - Sì, ma come si conta il tempo?

Enrico                           - Te lo conto dal momento in cui sei arrivata. Cioè... (E guarda l'orologio).

Olga                              - Eh, no! Se giunge tra mezz'ora? Farà, lei, mezz'ora in meno, o sarò costretta io, poi, a fare mezz'ora in più?

Enrico                           - (spazientito). Sbrigatevela tra voi! Da sole! Io sono già stufo!

Olga                              - No no. No! Te la sbrighi proprio tu, invece, perché spetta a te fissare le norme, e farle rispettare.

Enrico                           - Oggi però... vedi che roba? Diluvia!

Olga                              - Domani che ci sarà? Lo sciopero dei taxi... un raffreddore con febbre, una gamba rotta, e allora?! Ci sarà sempre qualcosa, vedrai.

Enrico                           - (scattando). Ma come faceva Rena­to, quel povero Renato, con voi due?

Olga                              - Se la sbrigava, devo dire, anche be­nino! L'ammiravo!

Enrico                           - A mettervi d'accordo, a tenervi in­sieme?

Olga                              - Noo! L'ammiravo per il modo con cui riusciva a tenerci separate.

Enrico                           - Ma adesso invece vuole che vi co­nosciate e stiate assieme almeno un'ora al giorno. Questa è la novità, e tocca a me! Ci sono io a fare da Renato! Io che non ho niente a che fare con voi due, né con te, né con lei, che non mi piacete nemmeno... Vi conosco, sì, per via di lui... Aaaah!

Olga                              - (scoppia a ridere). Perché hai accet­tato?

Enrico                           - Perché non lo sapevo! Perché non vi conoscevo! Perché non vi conosco! Io sono scapolo, non ho mai voluto prendere moglie, ma dal primo assaggio... è già il finimondo! Sono un notaio, io, non un av­vocato, non un generale, non un ministro, non un segretario di partito di massa... Notaio! Che sta fermo, che vuole star calmo! Gaetano? Dante... che dice Dante? Qui siamo all'inferno, sai!?

Gaetano                        - È la pena del contrappasso!

Enrico                           - La pena del contrappasso a me, che non c'entro? Ma ti sembra giusto? (Ma ecco che si fissa, guarda in fondo alla sala) È lei... Non è lei, Gaetano?... È lei! (Esce sotto la pioggia) Lei che mi salva...

Virginia                         - Gaetano, Beatrice.

Enrico                           - (gioioso). Eccola là... che sguazza... povera...

Olga                              - Povera piccola! Affogata, la voglio! Altro che Beatrice!

( Virginia è apparsa con il suo piccolo ombrel­lino aperto che oscilla di qua e di là per le folate di vento... Ogni tanto cerca di ripararsi e rallenta... Giunge al « Bar dei Giardini »...).

Gaetano                        - (è uscito e le va incontro). Signora... benearrivata... « dal pelago... alla riva... ».

Virginia                         - Grazie, Gaetano... (Fa una cor-setta, entra sotto il tendone bianco-rosso) Aaah! (Chiude l’ombrello) Proprio « dal pelago alla riva... ». (Ansimando un po') Chiedo scusa, eh!

Enrico                           - (grave, fingendo una voce di rimpro­vero). Siamo in ritardo.

Virginia                         - Chiedo proprio scusa, ma con questo tempo... Eccomi! (E guarda l'orolo­gio) Sì, purtroppo... (E guarda

Olga                              - Le due donne si guardano e scoprono che il loro im­permeabile è identico  si volgono le spalle e si allontanano di qualche passo).

Enrico                           - Renato, i regali alle sue donne, li comprava sempre in doppia copia! Uguali, per non scontentarle! Be'! Siamo alla prima prova... Ci rifaremo un'altra volta.

Olga                              - Mi rifarò io un'altra volta!

Enrico                           - Appunto! Tu tu, e chi!?

Olga                              - Parli al plurale.

Virginia                         - Già, mi sembri il papa. Allora, partiamo adesso... con l'orario. (Consulta­zione dei cronometri come per una corsa).

Enrico                           - Pronti: via!

(Virginia va a sedersi, si aggiusta, e vedendo che Olga ha tirato fuori dalla borsa un libro e ha cominciato a leggere, lei, calma, tira fuori un lavoretto a maglia. È colorato; si mette in grembo piccole matassine di filo di varie tinte. Olga le getta un'occhiata. Gae­tano annota l'ora su un taccuino. Enrico bor­botta qualcosa).

Enrico                           - Oggi ci resto io... per... (E muove le mani per far intendere che ci sarà da manovrare).

Gaetano                        - Come vuole il signor notaio. Io, ho già preso nota.

Enrico                           - Non facciamo i pignoli sul tempo, questi primi giorni... tienti un po' largo... Gaetano... Per me... lo ubbidisco. Posso andare? (Accenna ad andare verso le signore per congedarsi).

Enrico                           - Sì, va'. Non salutare. Lasciale buone, finché ci stanno... va', va'. (Gaetano allora si allontana in punta di piedi. Enrico lo raggiunge fuori del tendone) Senti... (Al proscenio) Comincia intanto ad informarti su questa Isabella... Fa' i primi sondaggi... non capisco chi possa essere... non imma­gino...

Gaetano                        - Farò, notaio... (E si allontana). (Enrico guarda il cielo. La pioggia adesso è fine e rada e picchietta sulla tenda come una musica di Ravel. Anche la luce si dilata, non è ancora il sole, ma tarderà poco. Viene len­tamente verso le due donne che lavorano indefesse, senza alzare gli occhi dal libro e dall'uncinetto).

Enrico                           - Chiedo scusa...

Virginia                         - Va' pure, se hai da fare.

Olga                              - Puoi lasciarci sole, tranquillamente.

Enrico                           - Lo so. Ma... non parlate?

Virginia                         - È necessario?

Enrico                           - Non è prescritto, ma siamo in tempi di dialogo e sarebbe meglio... lo lo dico per voi, per aiutarvi. Se volete che il tempo passi svelto, vi consiglio di parlare. Per oggi, come vi pare: tu leggi... tu la maglia... Ma da domani, parlate. Consiglio da amico. Renato desiderava senza dubbio che vi incontraste per parlare.

Olga                              - Dov'è scritto?

Enrico                           - Facendo il testamento che ha fatto, s'immaginava certo le vostre conversazioni... che non ha avuto il piacere di ascoltare in vita.

Olga                              - Troppa immaginazione!

Virginia                         - Io l'accontenterei, ma non posso parlare da sola.

Olga                              - Non ha nemmeno tentato, per questo.

Virginia                         - Se è così, signorina...

Olga                              - Non mi chiami signorina, per favore! Mi chiami dottoressa.

Virginia                         - Come vuole. Signorina mi sem­brava più amichevole, più confidenziale.

Olga                              - Appunto. Io non vorrei confidenze.

Virginia                         - Come crede, dottoressa. Vedi, Enrico: si parla. Puoi andare. Va', va'.

Enrico                           - (è indeciso, non sa se andare o re­stare). Non piove più.

Olga                              - Ma sì, puoi andare.

Enrico                           - (viene lentamente al proscenio seden­dosi di faccia al pubblico su uno sgabello di pietra). E dire che hanno una voglia matta di parlare da sole, di guardarsi negli occhi ora che possono dire che non sono loro, ma è il testamento che le obbliga a farlo. E anch'io comincio a prenderci gusto... per­ché posso frugare in questi segreti di donne senza scottarmi. E dopotutto sono anche autorizzato dal marito e dall'amante... (Forte) Moh!

Olga                              - (con un soprassalto a Virginia). Ha detto « moh »? Come sarebbe?

Virginia                         - No, l'ha detto lei, dottoressa.

Olga                              - Iiiio? Non ho fiatato, io!

Virginia                         - E allora sarà stato... (E fa un gesto largo ad indicare la natura).

Enrico                           - L'ho detto io.

Virginia                         - Tu? Graziella

Olga                              - E perché hai detto «moh»?

Enrico                           - Perché, non posso nemmeno dire « moh »?

Olga                              - Adesso parli anche da solo!?

Enrico                           - Non parlo da solo, penso.

Virginia                         - Ad alta voce. Sei proprio ridotto male, povero Enrico.

Enrico                           - Ciao... (E va ad appostarsi da un'al­tra parte. Tira fuori dall'astuccio gli occhia­li, se li infila e li punta sulle due donne che hanno ripreso imperterrite la loro attività in­tellettuale e lavorativa)..

Virginia                         - (rompe per prima il silenzio). Mi vorrebbe togliere una curiosità, dottoressa? (Olga smette di leggere e alza la testa sènza volgersi) Ci penso da ieri, sa.

Olga                              - (come leggesse). Sarebbe?

Virginia                         - Ieri dal notaio ha detto che dete­sta il Circolo della Caccia quasi quanto detesta me. È così?

Olga                              - Mi pare. Sì.

Virginia                         - Perché?

Olga                              - Il Circolo della Caccia è... abomine­vole.

Virginia                         - Lasci stare il Circolo. Perché de­testa me?

Olga                              - Non lo capisce? (Fissando Virginia) Ma che donna è, lei?

Virginia                         - Sono una donna.

Olga                              - Strana!

Virginia                         - Forse perché sono la moglie, mi detesta? Semmai sarei io che, sapendo, avrei il diritto di detestare lei. Invece le posso dire, libera o no di credermi, che io, per un certo tempo almeno, non l'ho affatto detestata.

Olga                              - Finché non ha saputo!

Virginia                         - Io ho saputo subito.

Enrico                           - Colpo di scena!

Olga                              - (abbassando vivacemente il libro). Ah. Gettiamo la maschera. Sapeva?

Virginia                         - Ma tutto. Si capisce. Tutto per filo e per segno fin da principio.

Olga                              - E perché allora ha fatto la commedia dal notaio?

Virginia                         - Perché quello sciocco credeva di avermi messa in una trappola - chiamarci una all'insaputa dell'altra, e poi farci tro­vare di fronte - figurarsi! (Enrico si chiude la faccia tra le mani vergognandosi).

Olga                              - Anch'io, sa, sapevo che lei sapeva.

Virginia                         - E non la detestavo. Anzi, com­prendevo.

Olga                              - La considerava una delle solite av­venture di Renato, dica la verità.

Virginia                         - No. Con lei mi sono resa conto abbastanza presto, direi subito, che era diverso.

Olga                              - E come ha fatto a rendersi conto?

Virginia                         - (un po' a disagio). Be', non è dif­ficile per una moglie. Era diverso anzitutto perché Renato... che crede? Renato par­lava, sa. Aveva bisogno di parlare di tutto ciò che l'interessava. Quindi, e direi soprat­tutto, in quel tempo, di questo fatto assolu­tamente nuovo, mai visto, unico unico... che era appunto questo suo incontro... con... con... questa donna eccezionale...

Olga                              - Me?

Virginia                         - Eh, già.

Olga                              - E... le parlava di tutto?

Virginia                         - Sì, di tutto. (Le due donne si guar­dano) Immagini pure quel che vuole. Eppure io non l'ho detestata. Lei invece sì.

Olga                              - Vuole della riconoscenza?

Virginia                         - No. Vorrei che mi spiegasse per­ché lei, invece, mi detestava.

Olga                              - Perché lei non mi ha mai affrontata, non è mai scesa in campo apertamente con­tro di me.

Enrico                           - Un uomo non potrà mai immagi­narseli certi discorsi, certe reazioni!

Virginia                         - Come?

Olga                              - Lei mi ha ignorata come se la nostra - mia con Renato - fosse una delle solite avventure. Lei mi ha giudicata come una delle altre donne. Mi ha offesa!

Virginia                         - No.

Olga                              - Dica pure di no, ma sì è comportata allo stesso modo! Non le facevo nessuna paura! Ha avuto o no paura di perderlo? Sì? E allora vuol farmi credere che non mi detestava!? Ma mi avrebbe cavato gli oc­chi! Ne sono certa!

Virginia                         - Gliel'ha detto Renato?

Olga                              - M'ha parlato di scenate!

Virginia                         - Con me?

Olga                              - E con chi? Con lei, con lei!

Virginia                         - (calma). Bugiardo. Mai scenate, mai mai. Renato mi aveva detto che sta­volta era qualcosa d'importante... e allora... ho capito. Ho rispettato.

Olga                              - Allora sono io che non capisco! Una di noi due non è donna!

Virginia                         - Forse siamo solo diverse.

Olga                              - Oh, per questo non c'è dubbio! Non mi detestava? Anzi rispettava? Me lo spie­ghi, se può.

Virginia                         - Tenterò. (Riflette, poi comincia lentamente a raccogliere il suo lavoro a ma­glia, lo ripone attenta).

Olga                              - (impaziente). Allora?

Virginia                         - Sì. Sì. Ma un'altra volta. Domani.

Olga                              - (piccata). Perché domani se il tempo c'è!

Virginia                         - Un po' di pazienza, dottoressa. Non dobbiamo dire tutto in una volta, non le pare?

Olga                              - Lei vuol tirare la corda? Lei lo fa per dispetto! Dispetto a me! E io allora la saluto! (Prende il suo ombrello, il suo libro e fa per uscire vivacemente).

Virginia                         - (senza scomporsi). Come vuole.

Enrico                           - (muovendosi sollecito dal suo posto). Olga, dove vai? Non puoi rompere...

Olga                              - (sillabando). Me... ne... va-do!

Enrico                           - Non si può, lo sai!

Olga                              - (svincolandosi da Enrico che cerca di chiuderle la strada). Io la mia ora l'ho già fatta, e come!

Enrico                           - Ma domani? Decidete per domani...

Olga                              - Domani... domani... Domani riceverai qualche telefonata, penso. Forse. E se non ne riceverai nessuna da parte mia, vorrà dire che ne ho abbastanza di questa signora! Vorrà dire che l'esperimento è chiu­so! (E se ne va aprendo senza necessità l'om­brello: ma si accorge che non piove più, e lo richiude) Oh!

Enrico                           - (va lentamente verso Virginia che non s'è mossa). E adesso, come si fa, Virginia? Virginia, Ci rivedremo domani, sta' tran­quillo.

Enrico                           - Vi rivedrete dove? Non far la facilona, Virginia!

Virginia                         - Per me... va bene dovunque. Vado anche da lei. (Occhiata sbalordita di Enrico) In campo nemico, sì.

Enrico                           - All'Antica Farmacia...?

Virginia                         - Del Vecchio, sì.

Enrico                           - Via del Primo Secolo...

Virginia                         - Numero uno, sì. Tutto è così bene avviato, vedrai.

Enrico                           - Allora posso telefonare a Olga? Andrai in farmacia, da lei?

Virginia                         - Ma sì, in farmacia.

Enrico                           - Badate che dovunque siate ci sarò anch'io... (E si allontana) Badate! (Virginia sorride e si avvia).

Casa di Virginia.

Sofia                             - (come andando incontro alla padrona che entra). Dappertutto, doveva andare, si­gnora, ma non in farmacia!

Virginia                         - Non ti preoccupare, Sofia.

Sofia                             - E se proprio ci deve andare, ci vada, ma almeno non beva niente! Quella, io la conosco bene! Quando l'avvocato mi man­dava in farmacia per qualche ambasciata...

Virginia                         - Ti faceva bere qualcosa?

Sofia                             - Signora, non mi faccia dire: si ricordi di non bere! lo ne so troppe... La pasticchetta, se mi sentiva un po' raffreddata... la « capsula svizzera », se mi vedeva un po' depressa...

Virginia                         - Erano premure, mi pare.

Sofia                             - Sì, premure! Parevano. Erano fat­ture, altro che!

Virginia                         - Ma nooo!

Sofia                             - Ah, no? E l'iniezione tedesca... e poi quella rumena per i tessuti...

Virginia                         - Che cos'erano?

Sofia                             - Tutti veleni! (Virginia fa una smorfia d'incredulità) Lei, signora, non ci crede, ve­do; e allora mi spinge avanti, a dire quello che non avrei voluto, per il momento...

Virginia                         - (è diventata curiosa). Cioè?

Sofia                             - « Quella » dirà senz'altro che lo « cu­rava », che lo faceva per il suo bene, ma giuro che erano droghe quelle che dava al povero avvocato! Non si riconosceva più dopo le cure! Ma se lo ricorda, signora, co­me tornava? Era uno straccio, pallido... Ci pensi un po'. E io notavo che era pas­sato sempre dalla farmacia, che ha il... retrobottega... che loro chiamano «labora­torio chimico e analitico »... Sì sì! È lì che avvenivano i misfatti, lo capivo tutto, ma non potevo parlare, legata dalla promessa... dovevo tener nascosta ogni cosa anche a lei, signora. Adesso, però, son passati quei tempi... (Virginia ha chinato la testa, e Sofia crede che sia per il timore) Però, signora, non si faccia prendere dalla paura. Siccome deve andare, lei vada impavida dal nemico. Ci sono sempre io a vegliare. Perché io, sa, quando mi schiero da una parte, sono tre­menda! Non vedo che il partito mio! E il mio partito, adesso, è lei, signora...

Virginia                         - (avviandosi). Grazie, Sofia, gra­zie... (Avviandosi con Sofia).

Sofia                             - E stia pur sicura che l'aiuterò a pren­dersi la rivincita, se Dio vuole... la sua vendetta...

Farmacia.

Mentre Sofia e Virginia scompaiono, Olga è apparsa dal lato opposto, e ha aperto la Farmacia Del Vecchio. Si toglie il soprabito e si infila il camice bianco. Sì vede la carat­teristica scansia bianca piena di flaconi e barattoli multicolori. Virginia muove da casa sua verso la farmacia. È vestita elegante­mente. Traversa il palcoscenico, giunge di fronte alla farmacia e dopo un indugio entra.

Virginia                         - Buongiorno...

Olga                              - Buongiorno. Non vuol sedersi?

Virginia                         - Volentieri. È bello, qui... fresco, calmo. Parleremo sottovoce. (Si siede. Una pausa).

Olga                              - Dunque.

Virginia                         - Diamo inizio. (E guardano en­trambe gli orologi).

Olga                              - Dal momento che ci rivediamo, me la vorrebbe togliere quella curiosità?

Virginia                         - Direi proprio di ripigliare esat­tamente dove ci siamo interrotte ieri.

Olga                              - Ecco.

Virginia                         - Lei, dottoressa, mi ha detto, mi detestava.

Olga                              - Lei invece no?

Virginia                         - Qui eravamo rimasti.

Olga                              - Me lo spieghi, se può.

Virginia                         - Ci provo. (Una pausetta) Lei lo saprà, dottoressa, che non era la prima. Voglio dire...

Olga                              - Vuole che non lo sappia. Dopo lei e prima di me... altre donne. Ma sì!

Virginia                         - Appunto. Ma di quelle non me ne curavo proprio, mi creda.

Olga                              - Con me invece...

Virginia                         - Mi resi conto che con lei, dotto­ressa, Renato poteva finalmente avere quel che da me non aveva avuto, pur avendolo tanto desiderato. Non era colpa sua, ma purtroppo, nemmeno mia.

Olga                              - Un figlio?

Virginia                         - Appunto. 1 figli: uno, due... insomma i figli. Io non potevo averne.

Olga                              - Io sì!

Virginia                         - Per questo le ho detto ieri che siamo donne diverse. Sa che discorso feci, allora, a Renato? Gli chiesi: «Renato, ri­spondimi sinceramente. Da questa donna! vorresti avere anche un figlio? ». E lui, che in queste cose non mentiva mai...

Olga                              - Be'... be'...

Virginia                         - Ah, no. Non dica. Mi ribello. Difendo la memoria. Era bugiardo, in tante, tantissime cose perché si annoiava di dare spiegazioni e non voleva avere fastidi, ma su due o tre cose fondamentali non mentiva mai, dico mai.

Olga                              - Sentiamo che cosa disse.

Virginia                         - Disse sì. E fu da quel momento che io non solo non la detestai, ma comin­ciai a provare una certa benevolenza... come posso spiegarle? Una specie di tra­sporto per colei che avrebbe, probabilmente, avuto un figlio da mio marito. Fortunata lei, pensavo. E aspettai.

Olga                              - Il figlio di suo marito?

Virginia                         - Be', quasi. Anzi: proprio così. La faccio ridere?

Olga                              - Proprio ridere no, ma... ammetterà che è una cosa... un tantino innaturale.

Virginia                         - Mi tolga un'altra curiosità, dotto­ressa.

Olga                              - Dica.

Virginia                         - Lei è religiosa?

Olga                              - Ma certo. Perché?

Virginia                         - Be', allora... non la capisco pro­prio. Perché si rifiutò di avere un figlio da Renato? Perché lo so che lei si rifiutò.

Olga                              - E a lei, mi scusi, cosa gliene importa?

Virginia                         - M'importa eccome! Fu proprio per questo che cominciai a disprezzarla!

Olga                              - Incredibile!

Virginia                         - Mi perdoni, sa, ma io proprio non capisco la sua religiosità.

Olga                              - Padronissima.

Virginia                         - Ma sì, perché lei aveva sì o no relazioni con Renato?

Olga                              - Certo. Eravamo amanti.

Virginia                         - E la sua religione non le diceva niente?

Olga                              - Non offenda!

Virginia                         - (interrompendola). Amanti sì, tran­quillamente, ma il figlio no. E siccome Re­nato si era messo in testa che il figlio lo voleva da lei, proprio da lei, lei gli fece un...

Olga                              - Non vorrà dire un ricatto, spero?!

Virginia                         - Non vorrei, ma non trovo un'al­tra parola. « Se vuoi il figlio, lascia tua mo­glie, sposami in qualsiasi parte del mondo, e io acconsentirò. Altrimenti... », questo disse lei, dottoressa.

Olga                              - Gliel'ha detto Renato?

Virginia                         - Me l'ha fatto capire. E in quel momento mi resi conto del legame che l'u­niva... a me. Perché Renato le rispose: « No. Questo no ».

Olga                              - Avrà esultato per la vittoria?

Virginia                         - Perché? Non ho mai dubitato di Renato. Piuttosto capii un'altra cosa. Vede: Renato la considerava una donna... come posso dire? straordinaria, fuori del comu­ne... Io, invece, mi resi conto che lei era soltanto una piccola borghese, ipocrita, preoccupata solo della forma, della este­riorità.

Olga                              - Ha finito di insultare?

Virginia                         - Ho finito di spiegare. L'ha pre­tesa lei la spiegazione, no?

Olga                              - E allora adesso le spiego io.

Virginia                         - Brava.

Olga                              - Renato le diceva tutto, vero?

Virginia                         - Assolutamente.

Olga                              - Allora saprà anche del «viaggio»?

Virginia                         - Di nozze?

Olga                              - Macché nozze! Del viaggio che feci proprio per la questione del figlio. Una questione di coscienza!

Virginia                         - No, questo non l'ho saputo.

Olga                              - Be', glielo dico io. Lei sa quanto era testardo Renato quando voleva una cosa. E il figlio lo voleva. E dai a spiegarmi tutte quelle belle cose... che il figlio è il completamento dell'amore, la prova con­creta... la prova stessa dell'amore, dell'esi­stenza di Dio... Be', signora, io sono cre­dente, ma...

Virginia                         - No, cara dottoressa, lei è atea!

Olga                              - Atea io? Ma, si figuri! Io, Dio, l'ho sempre messo al centro! E fu proprio per­ché l'avevo messo al centro che presi l'aereo e volai dritta ad Amsterdam.

Virginia                         - Amsterdam?

Olga                              - (ironica). Mai sentito parlare del clero olandese?

Virginia                         - Uhm... sì, qualcosa...

Olga                              - Come si vede che lei è fuori del « giro religioso ». Io, invece, posso dirlo, sa, fui all'avanguardia! Ora tutti ne parlano dei preti olandesi, ma in quegli anni eravamo pochi, pochissimi a sapere. Forse, dico, quelli lì, gli olandesi, fanno al caso mio... Per la questione del bambino, capisce? E vado. Mi faccio presentare, riservatamente, le persone adatte... spiego la situazione... Badi bene che ho consultato non uno, ma due... anzi tre specialisti.

Virginia                         - Ginecologi?

Olga                              - Macché ginecologi! Preti.

Virginia                         - Ha detto specialisti.

Olga                              - Appunto, preti olandesi!

Virginia                         - Ah, perché si interessano anche di... bambini?

Olga                              - Ma dove vive, signora! Non mi dirà che non legge i giornali! Magari dal par­rucchiere le sarà capitato di leggere qual­che articolo, no? Gli olandesi non fanno altro! È più di dieci anni che hanno il chiodo della limitazione delle nascite. E hanno ra­gione, non le pare?

Virginia                         - Sì, sì...

Olga                              - (entusiasmandosi). Perché, diciamolo, è il problema di fondo, il problema nuovo, del momento... il problema... come po­tremmo chiamarlo... il problema...

Virginia                         - (candida, semplice). Del preserva­tivo?

Olga                              - (stupefatta). Be'... in... parole molto povere... Comunque come apertura reli­giosa, un enorme passo avanti, non le pare?

Virginia                         - Forse, come apertura... benché io non possa giudicare, perché...

Olga                              - Io, invece sì. Io il problema l'ho ap­profondito bene per ragioni professionali...

Virginia                         - ...e anche personali...

Olga                              - Appunto. Per questo dissi, voglio sentire come stanno veramente le cose. Bei preti, sa, gli olandesi!

Virginia                         - Ah, sì?

Olga                              - Uhuuuh, bellissimi! Alti, biondi... tutti biondi! Robusti... molto diversi dai nostri. Si figuri che il primo che ho con­sultato era un giovane... senza, come dire... (e si tocca il vestito) senza segni: sembrava proprio un « play boy ».

Virginia                         - Ma che mi dice?

Olga                              - Davvero. Guardava... domandava... toccava...

Virginia                         - Toccava!

Olga                              - Toccava, toccava, per dirle l'aper­tura con la donna.

Virginia                         - Ma non mi dica!

Olga                              - E glielo dico, invece! Toccava. Tanto che sono dovuta intervenire. « Scusi, sa, padre, le mani però le tenga a posto! Per­ché da noi, in Italia, in queste cose, i preti si tengono ancora scarsi, si sanno conte­nere... salvo eccezioni!».

Virginia                         - Brava!

Olga                              - Con questo non è aria - dico -troppo giovane. Meglio un vecchio. E vado dal vecchio. Ma quello, niente: di quelli, sa, che dice e non dice... che si barcamenano; olandese, sì, ma della vecchia scuola.

Virginia                         - E allora?

Olga                              - E allora vado da un altro. E ho pro­prio fortuna.

Virginia                         - Ah, sì?

Olga                              - Ah, un uomo straordinario, una ce­lebrità. Laureato...

Virginia                         - ...in teologia?

Olga                              - Macché teologia! Medicina!

Virginia                         - Ma pensi un po'!

Olga                              - Gli spiego tutto. Una seduta eterna. Lui mi ascolta, medita a lungo, poi mi dice: «Cara signora... sia forte: rinunci». «A lui» dico io? «Noo! Al figlio», dice lui. « Ma lui lo vuole, dico io, perché la moglie regolare per fatti suoi di conformazione, non ne può proprio avere... » (a Virginia che ha avuto una reazione di disagio) Oh, mi scusi...

Virginia                         - Si figuri... Vada avanti.

Olga                              - « Capisco, dice lui, capisco, ma adesso cerne adesso, cerchiamo di avere un po' di pazienza... asteniamoci dal concepi­mento. Ma vedrà, cara signora, vedrà, che non passerà gran tempo che si allargheranno le maglie anche a Roma... un po' di pa­zienza! » «Sì, ma intanto come faccio?». « Faccia come facciamo noi con le nostre donne... ».

Virginia                         - Con le nostre donne?!

Olga                              - Proprio così : « Faccia come facciamo noi con le nostre donne: prenda la pillola anticoncezionale ». Ce l'aveva lì, in un cas­setto. Mi porge il flacone e mi dice: «Se­rena, serena, signora. E così salviamo la santità dell'amore, ma salviamo anche -finché non arriva questa benedetta riforma - l'ordine socio-religioso ». (A Virginia) Che dovevo fare, signora?

Virginia                         - Be'... (scuote la testa).

Olga                              - No, me lo dica: che dovevo fare?

Isabella                          - Non lo so.

Virginia                         - Rifiutare, doveva. Rifiutare.

Olga                              - Non me la sono sentita. Dopotutto sono osservante. Con la morte nel cuore, chinai la testa e dissi: obbedisco. E co­minciai quel rapporto infecondo.

Virginia                         - E io cominciai a disprezzarla!

Olga                              - Ma lei che ne sapeva? Non lo sapeva nessuno! Nemmeno Renato... Anzi, Renato meno di tutti! Lui, poverino... operava con maggiore slancio... e non si sapeva spiegare perché... Tanta fatica per nulla! (Sospira) Mah! Mi creda, signora, di questo mi è rimasto proprio il rimorso. Eh, sì! Perché se avessimo almeno avuto un figlio...

Virginia                         - Credo che ora saremmo più contente tutt'e due.

Olga                              - Credo proprio di sì. (Ripensandoci, polemica) Comunque sarebbe stato un figlio mio. Non di tutt'e due! Io non avevo certo bisogno del suo consenso!

Virginia                         - Del mio no! Solo di quello degli olandesi! Per questo non posso perdonar­gliela!

Olga                              - Vuole punirmi?

Virginia                         - Perché no? Se lo merita!

Olga                              - Non è affatto buona, lei!

Virginia                         - Perché poi dovrei essere buona con lei?!

Olga                              - Vendicativa la signora!

Virginia                         - Pensi, se accettassi il « gioco » degli incontri giornalieri fino al trecento­sessantesimo giorno, e poi mi prendessi il gusto di rompere bruscamente e mandare all'aria tutto?

Olga                              - Vuole mettermi paura? Oooh! Ma lei si sbaglia proprio, mia cara signora! Lei non mi conosce affatto! Non tra trecento­sessanta, ma facciamola subito la rottura! Subito, all'istante! Ma si figuri...

Enrico                           - (intervenendo). No! Siete matte! Sospendete la rottura! Basta farvi la guerra, basta! Cercate di andar d'accordo! Oooh! Recitate il « mea culpa » tutt'e due. Ho sentito i vostri discorsi.

Olga e Virginia             - Che hai da dire dei nostri discorsi?

Enrico                           - Che mi piacete tutt'e due: una per un verso, l'altra per l'altro, ma mi piacete. Perché avete commesso insieme un sacco di errori. Tu, Olga, perché hai perduto la tua occasione d'amore per troppo calcolo; e tu, Virginia, perché aspettavi con impa­zienza l'occasione per dimostrarti sublime, e l'occasione ti è mancata! Un marito una deve saperselo conservare senza sperare che abbia un figlio da un'altra. E te la prendi con lei, adesso, perché non l'ha voluto? (A Olga) E tu ricordati che un figlio, una, se lo vuole, se lo fa, se può, con o senza il permesso degli olandesi. Che in fin dei conti, ti hanno ingannata. (Protesta di Olga) Eh sì! Credevano di aver ormai in pugno quelli di Roma, ma alla fine... (Con gusto, divertendosi) Lo credereste che gli olandesi avevano l'adesione di quasi tutti i cardinali?

Virginia                         - (incredula). I cardinali?

Enrico                           - I cardinali! Erano, a gran maggioranza, per l'uso della « pillola ».

Olga                              - Ma certo! S'erano già mosse tutte le case farmaceutiche! Miliardi già versati all'Obolo di San Pietro.

Enrico                           - I cardinali erano già andati più d'una volta dal Papa a dirgli : « Santità, introduciamola questa pillola, e non se ne parli più... Ha già aspettato abbastanza, e non si può più tornare indietro... Avanti, Santità, si decida! ». Perché pare che quando i cardinali sono a tu per tu col Papa gli manchino anche un po' di rispetto.

Virginia                         - Ma allora?

Olga                              - Chi ci si è messo in mezzo?

Enrico                           - Pare che il Papa, che era lì lì per firmare la « bolla », sia stato preso da uno scrupolo, e si sia domandato: « Ma che ne sanno poi i cardinali di atti sessuali?».

Virginia                         - (ridendo). E già! Di relazioni co­niugali ed extraconiugali i cardinali non dovrebbero sapere gran che!

Olga                              - Gli olandesi sapevano già tutto. Tutto!

Enrico                           - Allora il Papa si è rivolto ai me­dici. E quelli: «Ci pensi bene - avrebbero risposto - prima di sbilanciarsi, perché noi non siamo in grado di dirle niente di sicuro, se cioè questa "pillola anticoncezionale" farà bene o male col passare del tempo ».

Olga                              - Macché! Gli olandesi avevano già provato, da anni, con le loro donne!

Enrico                           - Sarà. Comunque il Papa è stato scosso, è entrato in dubbio, ha dato un bel calcio nel sedere agli olandesi che gli sta­vano alle costole, a Roma, dentro al Vati­cano, e ha detto « no ». « In fatto di rego­lamento delle nascite tutto rimane come prima ».

Virginia                         - E non gli posso dar torto. Perché se questa « pillola » la volete prendere, prendetela, padronissime, ma perché la volete anche benedetta!? Troppo comodo!

Olga                              - Lei ce l'ha proprio con me, allora! Non fa che dar frecciate!

Virginia                         - Ma sì! Ce l'ho con tutte quelle come lei, dottoressa, che vorrebbero met­tere sempre d'accordo il diavolo e l'acqua santa. (Squilla il telefono).

Enrico                           - Basta, adesso.

Olga                              - (ha staccato il ricevitore). Pronto. Sì,

Gaetano                        - (Porgendo il ricevitore a Enrico) È per te.

Enrico                           - Ssst... (Ricevitore all'orecchio) Sì. Dimmi. (Avanza verso il proscenio con l’ap­parecchio in mano e il lungo filo serpeggiante che si snoda durante la sua passeggiata) Trovato che? Isabella... Venieri... Bene. La terza? Che terza? Ma che dici? Sarebbe la... terza? (E si allontana per celare la rivelazione alle due donne) Prove... Che prove? Lettere? Compromettenti? Nooo! Indirizzate a Re­nato? Dove sono? Nella scrivania dell'av­vocato? Benissimo! Basta, Gaetano! Basta... Vengo subito. (Depone il ricevitore) Vado subito in ufficio... Vado... debbo andare...

Olga                              - (polemica). Noi invece restiamo!

Virginia                         - Per finire almeno il discorso in­terrotto.

Enrico                           - Come volete, amiche care...

Olga                              - (stupita). Amiche care...?

Enrico                           - Perché, non siete amiche care? Io comunque al vostro posto farei meno chiac­chiere. Forse ci sono novità!

Olga                              - Novità per te, non per noi.

Enrico                           - (sorridente e minaccioso). Anche per voi. Direi, soprattutto per voi.

Virginia                         - Anche per me?

Enrico                           - Anche per te, sì. Per tutt'e due.

Olga                              - In che senso?

Enrico                           - Direi che il cerchio si chiude. Lo sapete che per fare un cerchio ci vogliono tre punti? (Indicandole) Uno... due... e... (puntando l'indice per aria) e...

Olga                              - (puntando l'indice a braccio teso al petto di Enrico come per dare una stoccata). ... e tre! Tac! Toccato! Ecco il terzo!

Virginia                         - Ci siamo. Non sfuggire!

Enrico                           - No. No no. Io no. Io non c'entro. Io son fuori del cerchio. Fuori del gioco, voglio dire. Io, notaio, e basta. Ah, ah! Io guardo, sorveglio e...

Virginia                         - Ti diverti eh? (Lo minaccia con la mano) Dove sarebbe, chi sarebbe dunque il terzo... punto?

Enrico                           - (divertendosi). C'è. C'è, ma ancora non si vede, ma c'è. (Le due donne si guar­dano).

Virginia                         - Enrico, vuoi fare il misterioso?

Enrico                           - Siete un po' preoccupate, eh? Tre­mate, eh? Siete... più belle così agitate... Sempre vedove, ma meno pallide, meno...

Virginia                         - Che sfacciato!

Enrico                           - Perché sfacciato, mie care? Ho solo detto: tre punti; tu... tu... e... e... Ah, ah, ah! Renato amava la geometria... Re­nato... Viva la geometria! (È un po' fre­netico).

Virginia                         - Ma... Enrico, che ti prende? Sei matto? Non ti riconosco più...

Enrico                           - Niente... Niente, niente! Forse è Renato che m'è andato alla testa! Uno, due e tre... uno, due e tre... il cerchio...

Virginia                         - (a Olga). Ma è diventato proprio matto... (E gli si muovono contro).

Enrico                           - Ferme... ferme voi due... ferme dove siete... Là! Sì. Sto diventando matto! Non avevo mai giocato a questo gioco... e devo dire che sto proprio perdendo la testa. Matto! (Minaccioso) Ma attente allora a rigar diritto, voi due! Ma molto diritto! Molto! Perché siamo appena all'inizio... e ne vedremo delle belle... Non perdete tempo a litigare... stupide! Virginia e

Olga                              - Stupide? A noi?

Enrico                           - Sì. Alleatevi invece per fronteggiare il pericolo che avanza... Lo sento... già lo vedo... e ha un nome! È il nome d'un ci­clone... Indovinate...

Virginia                         - Un ciclone?

Enrico                           - I cicloni hanno sempre nomi così gentili... Alleatevi! (Le due si avvicinano, tentano di stringersi, ma poi si allontanano) E rigate dritto! Credo che sia alle porte...

Olga                              - Il ciclone...

Virginia                         - (secca, autoritaria). Basta! Staremo a vedere! E se occorre affronteremo il ciclone!

Enrico                           - Brave! Così mi piacete, mie care! Così! (Avviandosi)Renato... arrivo... arrivo..,

SECONDA PARTE

Studio del notaio

Sono passati quasi due mesi. Enrico cammina in su e in giù gettando qualche rapida occhiata alla scrivania di Renato come se volesse chiedergli qualcosa. Si ferma davanti al pub­blico e traccia con la mano, lentamente, un ampio cerchio.

Enrico                           - (mormora puntando Vindice su tre punti). Uno, due... e tre. (Si sente il «dlllìn» della porta a campanello automatico) Chi è? Chi è? Avanti. (Gaetano appare con un mucchietto di posta, la sta passando in si­lenzio senza guardare il notaio) C'è niente? (Gaetano scuote la testa) Neanche oggi?

Gaetano                        - (gesto vago). Niente da questa Isabella Venieri.

Enrico                           - Capisci che la mia posizione con le altre due comincia a farsi imbarazzante.

Gaetano                        - Certo, notaio, sono due mesi che quelle due aspettano che « il cerchio si chiuda ».

Enrico                           - Suppongono qualcosa, o...?

Gaetano                        - Non immaginano che si tratti di un'altra donna, ma sono in attesa di qualche novità, questo sì. E una novità, a un certo momento, se il silenzio da parte di questa invisibile Isabella Venieri, permane, biso­gnerà ben trovarla. Altrimenti lei, notaio, perde la faccia.

Enrico                           - Inventar che cosa? Hai un'idea?

Gaetano                        - Ci si penserà con calma quando avremo perdute tutte le speranze di ritro­varla.

Enrico                           - Tu allora speri ancora?

Gaetano                        - Naturalmente. Dopotutto finora abbiamo soltanto scritto. Useremo altri mezzi per ricercarla.

Enrico                           - Hai ragione. Stiamo calmi. Non sarà poi la fine del mondo se questa... Isabella... Venieri non si fa viva. Può essere partita... espatriata... scomparsa... potrebbe essere anche morta, no? E allora!

Gaetano                        - Più semplicemente potrebbe non volersi manifestare.

Enrico                           - Eh, già! Vediamo intanto se finora è stato commesso qualche errore involon­tario. Dunque: tu, quel giorno, guardando nel cassetto di Renato trovi le lettere.

Gaetano                        - E due giorni dopo scriviamo.

Enrico                           - Scriviamo. Copia della lettera?

Gaetano                        - Eccola, notaio.

Enrico                           - Rileggila.

Gaetano                        - (legge). « Le saremmo grati se volesse mettersi in contatto con cortese sollecitudine col nostro studio legale per co­municazioni che la riguardano relativamente a un lascito da parte dell'avvocato Renato Signorini da poco scomparso. Con l'espres­sione... ».

Enrico                           - Vediamo un po': la donna riceve regolarmente, ammettiamo: vede studio le­gale, si rende conto che, diciamo pure « il lascito », può rendere pubblica una relazione certamente clandestina... e non si fa viva. Abbastanza naturale per una donna italiana.

Gaetano                        - Dopo una vana attesa di... dodici, no quattordici giorni torniamo a scrivere, e scrive lei, notaio...

Enrico                           - Appunto. Sentiamo….

Gaetano                        - (legge un'altra velina). « Come amico di Renato Signorini di cui piango an­cora la immatura e repentina scomparsa sarei lieto di poterla incontrare per metterla a parte, con la massima riservatezza, di un desiderio del caro estinto che la riguarda personalmente. Voglia gentilmente farmi conoscere il modo più agevole e per lei discreto per effettuare un breve colloquio. Grato di un suo cenno... ».

Enrico                           - Mi pare ottima. E firmo io. E do anche il mio indirizzo di casa.

Gaetano                        - Sì, sì, ma il silenzio è rimasto inalterato. (Enrico fa un gesto stizzoso) A meno che... (e s'interrompe).

Enrico                           - A meno che? Di', non fermarti a metà.

Gaetano                        - À meno che trascurando le ri­cerche della sconosciuta non si dica la verità alle due che aspettano la spiegazione del « cerchio che si chiude ».

Enrico                           - Che vorresti dire, sentiamo?

Gaetano                        - Si convocano, e si mostrano i documenti.

Enrico                           - Le lettere? Alle due vedove? Ma tu sei matto! Te la immagini la bomba? Ma che dico, il terremoto!

Gaetano                        - Lei crede proprio, notaio?

Enrico                           - (alzandosi vivacemente). Ma come « credo »? (E si mette a camminare per lo studio).

Gaetano                        - Mi scusi, notaio... Lei li ha letti bene questi... documenti?

Enrico                           - Le lettere? (Gaetano annuisce) Se le ho lette! Avidamente, prima; e poi con la lente! \

Gaetano                        - E le trova così esplosive da non poterle mostrare?

Enrico                           - L'hai detto tu la prima volta: è dinamite, hai detto!

Gaetano                        - No, io ho detto : « compromet­tenti ».

Enrico                           - Beh' insomma: compromettenti!

Gaetano                        - Ha mai notato, per esempio, che non c'è mai la firma della... persona?

Enrico                           - Per prudenza, si capisce. Firmava con le iniziali... o con nomi siglati, scher­zosi, vezzosi... come si usa in amore; ma la sostanza è la stessa. Tu non sei pratico, Gaetano, di queste cose. Tu non hai pratica di donne, e allora... (Gaetano scuote la testa e borbotta qualcosa) No? Non sei convinto? Riguardiamole... rileggiamole... Prendile... su, prendile!

Gaetano                        - (va alla scrivania di Renato e prende da un cassetto una busta da cui toglie lettere e foglietti). Ecco, notaio.

Enrico                           - (prende la busta, sparge le lettere e i foglietti sul ripiano della scrivania; ne prende una, a caso, legge). Senti un po' : « Re­nato, non fare il pazzo. Ricordati di mam­ma ». C'è una mamma!

Gaetano                        - Senza firma, ha visto? È scritto in stampatello, come un telegramma.

Enrico                           - « È l'ultima volta che ricevo quella persona. Lei è gentile, ma non voglio che tu mandi dei messaggeri... ». (Guarda severa­mente Gaetano con l'ombra di un sospetto).

Gaetano                        - E guarda me? Non sono io, no­taio, il messaggero! (E si mette una mano sul petto).

Enrico                           - (continuando la lettura). «... i fatti nostri dobbiamo regolarli tra noi due, senza terze persone... ».

Gaetano                        - (che ha preso anche lui una lettera). « Vado al primo spettacolo, mi siedo in galleria. Se non mi vedi, aspetta l'intervallo. Ho il paltoncino rosso che mi hai regalato. Ciao. Isa ».

Enrico                           - Isa, che ti dicevo? Isa: Isabella. Si incontravano al cinema, come studenti... (Ha preso un'altra lettera) « Renato caro, ho passato una notte agitata. Se è vero tutto quel che mi hai raccontato ieri sera, mi presenterò alle tue " padrone ", come le chiami, e metterò le cose in chiaro. Io sono la tua pace e il tuo A. ».

Gaetano                        - Il tuo...?

Enrico                           - Il tuo A., che vuol dire amore.

Gaetano                        - Ho capito, notaio, ho capito. La cosa non m'interessa personalmente, ma capisco!

Enrico                           - (legge). « Mi sto stufando, sai. Sta' attento. Potrei anche sganciare». Qui mi­naccia.

Gaetano                        - Ahi! Erano ai ferri corti...

Enrico                           - (facendolo tacere, con un foglietto in mano). Questa sì che è compromettente: « Non verrò. È inutile che tu insista. Non contarci. E non posso nemmeno telefonare. La bambina piccola chi la tiene? Non posso lasciarla sola... ».

Gaetano                        - (indicando con l'indice). I.

Enrico                           - Forse in questa... lettera c'è la chiave di tutto. Isabella Venieri è certamente... cer-ta-men-te, una donna sposata con figli...

Gaetano                        - «Chi tiene la piccola?». Però, facciamo tutte le ipotesi, notaio: potrebbe essere anche una donna di servizio, una bambinaia...

Enrico                           - No. Non può telefonare, hai sen­tito? Una donna di servizio riesce sempre a telefonare, quando vuole! Sempre. Isabella non poteva telefonare a causa del marito... che forse era presente...

Gaetano                        - Già... è possibile...

Enrico                           - Ora, tu le mostreresti a quelle due? Pensaci bene prima di dire sì.

Gaetano                        - Ah be'... mi rendo conto...

Enrico                           - Chiudile a chiave, Gaetano, da' retta a me.

Gaetano                        - Il cerchio, allora, lo lasciamo aperto?

Enrico                           - Per forza. Intanto studieremo il modo di rintracciare questa... Isabella... Studiamo un sopralluogo a via del Borghetto... Tu stesso, Gaetano, potresti... magari con un pretesto...

Gaetano                        - Perché no. Se è utile allo studio io sono pronto, notaio. Anche a travestirmi: da... dica lei, notaio?

Enrico                           - Ma prima di tutto cerca di placare le altre due. Chiedono di me?

Gaetano                        - Dipende dai giorni.

Enrico                           - Si incontrano regolarmente?...

Gaetano                        - Oh, sì. Sono scivolate ormai nell'abitudine. Che vuole, notaio: siamo al... cinquantunesimo giorno... (E ha aperto n cosiddetto « libro delle presenze»).

Enrico                           - Annoti tutto, eh!

Gaetano                        - Tutto. Nel «libro delle pre­senze ». (Enrico ridacchia) In quell'ora sbri­gano insieme anche le faccende personali.., d'amore e d'accordo.

Enrico                           - Che faccende?

Gaetano                        - Dalle sarte, per esempio, adesso ci vanno insieme. Due volte da quella d; Virginia, due volte da quella di Olga... sono già andate.

Enrico                           - Ci tengono al pareggio?

Gaetano                        - Oh, sì! È probabile però che d'ora in poi gli incontri dalle sarte siano unificati perché la dottoressa ha riconosciuto leal­mente che la sarta della signora Virginia ha un miglior taglio, ed è anche più a buon mercato. Per la verità, abbiamo avuto anche qualche scaramuccia...

Enrico                           - Che scaramucce?

Gaetano                        - L'ultima risale a una ventina di giorni fa, al concerto di Benedetti Michelangeli.

Enrico                           - Contestazione?

Gaetano                        - No! Il pianista grande, grandis­simo! Ma all'uscita hanno cominciato prima a beccarsi, poi hanno apertamente litigato, per strada... ad alta voce, la gente si vol­tava...

Enrico                           - Come mai?

Gaetano                        - Pare che in precedenza - negli anni scorsi - Renato le avesse accompa­gnate separatamente allo stesso concerto... e questo deve aver acceso la scintilla. Sen­tivo i nomi Chopin... Albinoni... Mozart... Schumann...

Enrico                           - Però l'ora regolamentare è stata?...

Gaetano                        - Rispettata « ad abundantiam »! Concerto più litigata finale, sono state più di tre ore.

Enrico                           - Benissimo! Siamo a cavallo!

Gaetano                        - Poi ci sono state due « visite »...| Io ero in apprensione... ma...

Enrico                           - (è interessato). Che visite?

Gaetano                        - Al cimitero.

Enrico                           - Come? In quel luogo di pace estrema... eh? Su quella tomba... «Requiescat ini pacem »?

Gaetano                        - Il primo incontro è stato casuale. Proprio sulla tomba. Una aveva appena! finito di deporre i fiori, che l'altra si presentava... sempre con fiori. Io dico: qui succede... Invece sono rimaste a guardarsi. La seconda volta sono venute addirittura insieme. Di diverso c'era solo il colore dei fiori.

Enrico                           - A casa di Virginia non si sono arrivate mai?!

Gaetano                        - Penso che si troveranno oggi per la prima volta. Oggi sarebbe stata giornata di cinema - è il giovedì - ma siccome la signora Virginia è indisposta, si trove­ranno lì.

Enrico                           - Ottimamente.

Gaetano                        - Posso dirle, notaio, e in piena coscienza, che le due donne sono ormai sicuramente avviate al finale possesso dell'eredità in parti uguali. Non saprei imma­ginare motivi di rottura.

Enrico                           - Nemmeno l'apparizione improv­visa di Isabella Venieri potrebbe, secondo te?...

Gaetano                        - Questo non so. Sarebbe l'impre­visto, il colpo di scena... e non si può mai dire.

Enrico                           - Ma a parte questo, tu sei persuaso che entreranno nel pacifico possesso dell'eredità?

Gaetano                        - Assolutamente, notaio. (E si mette la mano sul petto).

Enrico                           - (si muove, fa una pausa, guarda la scrivania di Renato, poi si dirige verso Gaetano). Gaetano, tu non sei soltanto un prezioso collaboratore, ma vivendo qui per tanti anni hai finito per diventare una specie di confidente, mio e anche... (E ac­cenna alla scrivania di Renato).

Gaetano                        - Troppo buono, troppo onore, signor notaio.

Enrico                           - Senti, Gaetano: in queste settimane io ho pensato molto, mi sono posto un'in­finità di domande. E se una delle due si sposasse? Ci hai pensato all'eventualità?

Gaetano                        - Di un matrimonio?

Enrico                           - Eh già! Io, dopotutto, sono sca­polo, dico: potrei benissimo...

Gaetano                        - (stupito). Ah! Matrimonio suo, notaio?!

Enrico                           - Eh già!

Gaetano                        - Matrimonio suo... con una delle due? Mi scuso di precisare...

Enrico                           - Non devi scusarti. Mio con una delle due. Non potrei con tutt'e due!

Gaetano                        - E con chi? La signora Virginia o la farmacista?

Enrico                           - È questo! Sono diviso anch'io, co­me Renato.

Gaetano                        - Il cuore non le parla?

Enrico                           - Mi parla: ma batte un po' di qua e un po' di là. Per questo chiedo consiglio.

Gaetano                        - Il pericolo, con... loro è che, fre­quentandole, anche per semplici motivi di lavoro, come faccio io, finiscano per diven­tare inscindibili; non più due, ma una sola persona, una donna sola.

Enrico                           - Bravo! E per stabilire una diffe­renza, mi sono provato perfino - ma non vorrei essere frainteso, Gaetano - a consi­derarle separatamente, almeno come valore patrimoniale. Niente! Non ho fatto un pas­so avanti! Sono equipollenti anche come consistenza economica. Neanche sotto que­sto aspetto... Che ne dici?

Gaetano                        - (imbarazzato). Adesso, così sui due piedi, non saprei proprio... Mi lasci riflettere.

Enrico                           - Ma certo. Non devi mica rispondermi subito. Volevo che tu ci pensassi. Prima dell'anno... della scadenza.

Gaetano                        - Ci conti, notaio, ci penserò. (Si inchina e se ne va con la cartella del « libro delle presenze »).

Enrico                           - (si avvia lentamente verso la scri­vania di Renato: sembra imbarazzato. Poi come chiedesse permesso). Permetti che mi sieda? (E si siede) Posso parlare libera­mente? Renato, è colpa tua - tua tua! - ma stando con loro, costretto da te, fra­tello mio - da te, e da chi altro? - io comincio a scoprire la... la donna. Eh, sì! Tardi? Eh, be'... Meglio tardi che... E con la donna, m'è venuta l'idea, la tentazione di un legame... durevole, diciamo pure del matrimonio! Insomma... è terribile, lo so, ma è così! E alla mia età! Penso seriamente al matrimonio. Lo ammetto. E con una di loro, le tue donne. Perché, Renato mio, devo confessarlo, mi attirano... c'è qualcosa che mi elettrizza... Chi? Entrambe! Ti dispiace? In Virginia trovo questo e in Olga quello - come sarà successo a te... -, una specie di bilancia di bellezze diverse, di pregi e di difetti, tanto di qua, tanto di là... Tu le cono­sci bene, eh! E se non le conosci tu! Tu non volevi perdere niente di nessuna! Come ti capisco! E così portavi un peso doppio, anzi triplo... - bada che quella Isabella non si trova proprio, ma io, sta' tranquillo, non fiato con le altre due... - peso doppio, anzi triplo, insomma multiplo, tu! Bravo Re­nato! Eri uno specialista, anzi, eroe, sei un eroe! Ma io, che non sono come te, che faccio? Chi scelgo? Scegliere una delle... tue donne non è facile! Hai capito? Però prima di continuare a... a... anche solo a pensarci, vorrei che tu non ti sentissi in nessun modo offeso, perché, lo so, c'è anche una gelosia postuma, lo so...Vorrei da te un preventivo... diciamo pure permesso... o consenso... Tu non puoi pronunciarti? Sarebbe una parzia­lità, e nella tua posizione non vuoi... Ti sono strenuamente fedeli anche dopo morto. Sono le fedelissime! Ah, ah! Tu però non mi vieti di correre il mio rischio... via libera, in­somma? Sono più sollevato... Oh! Renato... grazie del permesso... (Si alza e arretra, facendo dei piccoli inchini alla scrivania e alla parete) Grazie... amico mio... grazie... fra­tello!

(Dentro, intanto hanno suonato. E mentre Enrico pronuncia le ultime battute del suo dialogo-monologo, vediamo Gaetano andare alla invisibile porta oltre l'ultima quinta del fondo, e introdurre una ragazza giovane vesti­ta con una certa abbondanza di cuoio che avanza però con timidezza. E Isabella Venieri. Quando la ragazza dice il suo nome, Gae­tano, pur mantenendosi contenuto, ha un tra­salimento e si affretta a farla sedere. Poi en­tra nello studio, e coglie Enrico proprio men­tre, arretrando, sta mormorando uno dietro l'altro la corona dei « Grazie ». Si ferma impalato come se vedesse uno un po'' tocco di cervello).

Gaetano                        - (con voce vibrante). Notaio!

Enrico                           - (ha un soprassalto). Che c'è? M'hai fatto paura.

Gaetano                        - Chiedo scusa. La signorina Isa­bella Venieri chiede di parlare.

Enrico                           - (avviandosi al telefono, vivace). Mi­racolo! E passamela. Che aspetti? Su su!

Gaetano                        - È qui. Di persona.

Enrico                           - Qui?

Gaetano                        - Di là. In attesa.

Enrico                           - (frastornato). Quando meno te l'a­spetti, colpo di scena! (Accenna col braccio al ritratto) È stato lui... Che passi, subito. E tu portami il... «dossier», insomma tutto.

(Gaetano esce, e invitando col gesto la ra­gazza la fa entrare. Isabella con una certa timida titubanza avanza nello studio. Enrico la aspetta in piedi).

Gaetano                        - (presentando). Il notaio Enrico Artusi... La signorina... (E porge il «dos­sier » a Enrico).

Isabella                          - (tendendo la mano). Isabella Ve­nieri.

Enrico                           - Molto, molto fortunato... Si acco­modi. (Isabella si siede con un sorriso e con la solita curiosa titubanza) L'abbiamo distur­bata ripetutamente... con le nostre lettere, mi scusi, ma...

Isabella                          - Ma che dice... mi scuso io anzi di non aver risposto...

Enrico                           - Non era davvero necessario che lei, signorina, si disturbasse di persona...

Isabella                          - Ho preferito... mi creda... venire direttamente...

Gaetano                        - Posso...? (E accenna ad avviarsi; se ne va).

Enrico                           - Dunque! (Mormora) Isabella... Ve­nieri... Isabella... Bel nome Isabella.

Isabella                          - (con una vaga sfumatura d'ironia). Dice? Non le pare un po'... antico?

Enrico                           - Tutt'altro! (Una pausa) Dunque... Lei, penso, avrà saputo... a suo tempo della... disgrazia?

Isabella                          - Sì, seppi. Non subito, purtroppo, ma...

Enrico                           - (temendo la possibilità di un equi­voco). Renato... Signorini?

Isabella                          - Sì, sì. Dal giornale, però. E quan­do seppi... scrissi.

Enrico                           - (sorpreso). Scrisse? Qui?

Isabella                          - No. All'altro indirizzo. Io scri­vevo... a casa di Renato.

Enrico                           - E nessuno si è fatto vivo con lei... dopo?

Isabella                          - No. Mai nessuno.

Enrico                           - Strano.

Isabella                          - Oh. Immaginavo, sa, che nessuno si sarebbe fatto vivo. Non m'aspettavo né una risposta... né niente...

Enrico                           - Neanche il solito biglietto di rin­graziamento... listato a lutto?

Isabella                          - (amara). Neanche quello.

Enrico                           - Mi dispiace proprio, mi creda...

Isabella                          - Ma lei non c'entra. Non è la pri­ma offesa, sa, che ricevo... Non è il primo affronto... ma non importa.

Enrico                           - Non vorrei che pensasse che io... Perché io, davvero, signorina Isabella, io...

Isabella                          - Ma lo so! So di dove viene, dirò così, l'insulto... l'offesa... la sgarberia. (Scuote la festa) Lei è l'amico... Enrico Artusi, è vero?

Enrico                           - (messo in confidenza). Sì,

Enrico                           - Mi chiami pure così, semplicemente, per­ché sono l'amico: Enrico

Isabella                          - Renato mi aveva già parlato di lei. Posso dire che la conoscevo, e sapevo che da lei non dovevo aspettarmi niente di... spiacevole.

Enrico                           - Le sono grato,

Isabella                          - Sono ba­state poche parole per entrare... in... in uno stato di fiducia... reciproca, mi pare, eh? Reciproca?

Isabella                          - (annuisce). Non capisco perché si accaniscano ancora contro di me. Che pau­ra debbono avere ormai di me? Non lo capisco. Credevo che almeno dopo morto...

Enrico                           - (scuote la testa). Lei ha ricevuto regolarmente le lettere nostre?

Isabella                          - Ho ricevuto, ho ricevuto. Ma la prima volta ho pensato che fossero loro... quelle due... che cercavano di premunirsi contro eventuali... pretese mie... Non mi conoscono proprio! Pensavo: mi fanno chia­mare da un avvocato... forse per minac­ciarmi o intimarmi... Questo ho pensato. Tanto più che la lettera d'invito non era firmata da lei, ma da...

Enrico                           - (trionfante). Gaetano Constabile. L'avevo immaginato, io! Intestata «studio legale»... Le ha fatto una brutta impres­sione! D'accordo. Errore nostro!

Isabella                          - L'altra lettera, invece... Vedo la sua firma! Mi sono subito tranquillizzata. Però ho preferito venire anziché rispondere. Lei, Enrico, che è amico suo, era, e sarà, spero, anche amico mio; lei deve capire il mio stato d'animo...

Enrico                           - Capisco tutto, tutto!

Isabella                          - Con le lettere, non si sa mai. Io, non ci vuol molto a vederlo, sono una ragazza... indifesa non vorrei dire... ingenua, ma semplice...

Enrico                           - Ha fatto benissimo. Lei ha tenuto una linea molto... molto giusta. Cauta, ma giusta. Giustissima!

Isabella                          - È vero?!

Enrico                           - (dopo averla guardata, altro tono). Lei, Isabella, scusi: si occupa?

Isabella                          - Io faccio la dattilografa.

Enrico                           - Dattilografa... benissimo. Steno­dattilografa.

Isabella                          - No, Steno no. Dattilografa. Al tribunale.

Enrico                           - (come allarmato). Del tribunale?

Isabella                          - No, non del tribunale, non vorrei che pensasse... No. Copio, mi danno da battere... sa, gli avvocati, i giudici, anche... È così che ho conosciuto Renato.

Enrico                           - (illuminandosi). Sa che l'avevo ca­pito? Non ci crederà, lei: ma sa che l'avevo detto?!

Isabella                          - L'aveva indovinato?

Enrico                           - (chiama). Gaetano! Gaetanooo!

Gaetano                        - (appare). Mi voleva?

Enrico                           - Senti, Gaetano: che cosa avevo detto io... alla lettura del testamento?

Gaetano                        - Che cosa?

Enrico                           - Là dove parla di... della qui pre­sente... Isabella Venieri? Che cosa ho detto? (Una pausa) Non ti ricordi?

Gaetano                        - «Forse sarà la cassiera del bar... ». Enrico (irritato). Sì... sì, anche, e poi? Qual è stata la mia supposizione?...

Gaetano                        - In questo momento non... (Si tocca la fronte).

Enrico                           - Non ho detto : « Sarà una datti­lografa di fiducia »?

Gaetano                        - Sì. Anzi ha detto prima « datti­lografa dì fiducia », poi ha alluso alla « cas­siera del bar ».

Enrico                           - (a Isabella). Vede! (Congedando Gaetano) Grazie,

Gaetano                        - (Gaetano esce lentamente).

Isabella                          - Nella prima lettera mi pare si parli di un «lascito»... di Renato.

Enrico                           - (subito, pronto). Impropriamente. Non è un lascito: è un dono. Un piccolo dono. Un ricordo. Modesto come valore venale: modestissimo, anzi. Ma prezioso, direi preziosissimo per quel che significa, per... il contenuto... per il profumo che emana... È un volume... un libro... un li­bro di poesie...

Isabella                          - (alza la testa). Mi dia questo libro. Non mi tenga sulle spine.

Enrico                           - (mortificato). 11 libro non l'ho con me, mi scusi. Non l'aspettavo, Isabella...

Isabella                          - Già. Sono arrivata all'improv­viso...

Enrico                           - (animandosi). Devo richiederlo an­cora alle... eredi universali.

Isabella                          - (candida, senza sorridere, pacata). Alle arpie.

Enrico                           - (sorpreso, con un lieve soprassalto). Be', non dica così...

Isabella                          - (con ferma tranquillità). Lo richie­da, allora. Non crede che faranno opposi­zione?

Enrico                           - A consegnarle il libro? Non pos­sono. C'è un testamento che parla chiaro. Per questo m'impegno io.

Isabella                          - (che si è alzata). Sarà...

Enrico                           - Io però potrei darle subito qual­cosa che forse le sta molto a cuore... (Sguar­do di Isabella) Qualcosa che lei, scommetto, non immagina nemmeno...

Isabella                          - Me lo dica,

Enrico                           -

Enrico                           - Le sue... lettere... le sue comunica­zioni epistolari con... Renato... (Ha tolto dal cassetto della scrivania i messaggi di Isa­bella a Renato) Eccole... Le guardi. Sono sue?

Isabella                          - Oh, sì...

Enrico                           - Le custodiva qui, nella sua scri­vania... come... come il bene più caro... insieme alle pratiche più riservate e delicate...

Isabella                          - E posso tenerle?

Enrico                           - Sono sue,

Isabella                          - Le custodisca lei. Le appartengono.

Isabella                          - Oh, grazie... grazie! Non l'avrei mai immaginato che avesse conservato... Mi dica, Enrico: loro... le due... non sanno niente?

Enrico                           - Niente, di quelle. (E indica le let­tere) È una scoperta mia. E manterrò il segreto, mi creda. Un notaio sa come mante­nere i segreti.

Isabella                          - Oh, i notai! I notai!

Enrico                           - E adesso occupiamoci di recupe­rare il libro... (E si avvia verso l'uscita invi­tando Isabella a seguirlo).

Isabella                          - Lei però non ci andrà di mezzo, Enrico? Non succederanno drammi? Mi raccomando. Renato detestava i drammi... voleva la pace... E loro invece... le due... non facevano che dilaniarlo...

Enrico                           - Non ne parliamo,

Isabella                          - Vuole che non lo sappia, io, che dividevo con lui, in questa stanza, ogni giorno della sua vita! Lui lì, e io qui...

Isabella                          - Senta, Enrico: piuttosto che far scoppiare dei litigi, io... io rinuncio a tutto... al libro... anche alle lettere, a tutto!

Enrico                           - (fermandola col gesto). Non par­liamone più! Sono cose sacre, pegni d'amore che spettano a lei! E il libro è Renato che glielo offre!

Isabella                          - (appare rassegnata). Va bene...

Enrico                           - (fermandosi sulla soglia). Lei, però, me lo lasci dire... Lei è molto nobile e se­rena, Isabella, nel suo dolore. Non si deve parlar male dei giovani! Fare di ogni erba un fascio! No! Guardiamola! (Un altro pas­so verso l'uscita, e un'altra fermata) Lei pri­ma le ha chiamate « arpie »... e forse ha cal­cato un po' la mano...

Isabella                          - Mi scusi, Enrico     - ..

Enrico                           - (con gesto pienamente assolutorio). ...ma certo lei, Isabella, è una colomba. Me lo consenta. In un mondo come quello di oggi, lei è una vera colomba! Diciamolo ad alta voce: una colomba! (Prima di uscire) Gaetano! Gaetano... (Gaetano si presenta) Io esco con la bambina. (Gaetano ha un leggero inchino. La luce si abbassa nello studio mentre si illumina pro­gressivamente nella casa di Virginia.

La casa di Virginia.

È il solito ambiente che conosciamo con rag­giunta di una poltrona a schienale alto e con lo scorcio di un letto matrimoniale. Virginia siede sulla poltrona con un « plaid » sulle ginocchia o con una mantellina di lana sulle spalle. Olga è in piedi accanto a lei, ancora incerta se congedarsi o togliersi il soprabito e il cappello e sedersi accanto alla malata. Olga si guarda curiosamente attorno.

Virginia                         - (dopo aver tossicchiato ed essersi passata il fazzoletto sul naso). Ho sperato fino all'ultimo di poter uscire, ma vede un po'... così all'improvviso...

Olga                              - Se c'è la febbre!

Virginia                         - (le tende il termometro). Non le è dispiaciuto troppo venire da me, spero.

Olga                              - (pronta). No. Affatto. (E intanto guar­da il termometro) Eh, sì! (Fissa Virginia e fa una piccola smorfia) Non che sia un feb­brone, ma... Trentasette e sei.

Virginia                         - Per me è febbre alta, sa, Olga

Olga                              - Io morirò in piedi.

Virginia                         - (mite). Perché non si siede, Olga?! Ho mandato Sofia fuori per non averla in mezzo.

 Olga                             - (si toglie lentamente il soprabito, il cappello, l’altro guanto, posa tutto sullo schie­nale di una sedia e si avvicina a Virginia). Che cosa prendiamo? (Virginia non capisce e al­larga le braccia interrogativa) Che medicine?

Virginia                         - Ah! L'ho di là, il tubetto. Deve essere uno dei soliti composti di aspirina...

Olga                              - Vediamo un po'... (Va verso la came­ra da letto, prende dal comodino il tubetto e si ferma a guardare il letto sfatto, a due piazze. Ha un gesto di dispetto, poi ritorna verso Virginia agitando il tubetto di medicine) Mi vorrebbe togliere una curiosità? Dormivate là?

Virginia                         - Sì.

Olga                              - Anche Renato.

Virginia                         - Anche.

Olga                              - (scatto). Oh! (Scuote la testa) Le bugie!

Virginia                         - Perché le aveva detto che?...

Olga                              - Che dormiva nello studio, separato, mi ha sempre detto.

Virginia                         - È vero: dormiva anche nello stu­dio.

Olga                              - Ma non sempre? Abitualmente, vo­glio dire...

Virginia                         - No, non sempre. In fondo stava scomodo nel divano dello studio. E allora... Ma che sciocchezze sono, Olga?!

Olga                              - (non sembra disposta a passarci su leggermente). Non sono affatto sciocchezze, per me! Per una moglie, non so, ma...

Virginia                         - Se un giorno venendo a casa sua vedessi un gran letto matrimoniale non ne farei una...

Olga                              - Non le pare che sarebbe diverso?! A parte la bugia, che mi offende sempre pro-fon-da-men-te. Sì, profondamente! (Accennando alla camera da letto, anzi al letto) Quello poi, almeno quello, avrebbe dovuto essere, come dire, campo mio, terreno mio, riservato. Sia obbiettiva, Virginia, provi a spogliarsi per un momento, e non mi dica che sono sciocchezze.

Virginia                         - Certo. Ma credo che lo sia stato, sa, terreno suo.

Olga                              - Come crede? Crede o...?

Virginia                         - Per quanto mi riguarda, voglio dire, è stato terreno suo,

Olga                              - Non si an­gusti. Là, da me, quando ci veniva era... per altri motivi.

Olga                              - (ha un gesto di insofferenza). Ma sì, ma sì! Cambiamo discorso, Virginia... che finisce per essere perfino volgare!

Virginia                         - Nooo, perché? Non è affatto vol­gare. Lo trovo naturale.

Olga                              - (come ammansita). Talvolta quello che è naturale è, purtroppo, anche volgare. Ma non ne parliamo proprio. (Tace e va a fare un giretto per la stanza e non sa trattenersi dal dare un'altra occhiata alla camera da letto. Torna verso Virginia, professionale) Mi vuol dare il polso? (Virginia le tende la mano. Olga conta in silenzio ì battiti del polso) Permette... (E le posa la palma della mano sulla fronte) Mnn... (Alza il tubetto per leg­gere il nome del prodotto. Pausa). Per quali motivi ci veniva, allora?

Virginia                         - (la guarda un istante, e sorride lie­vemente). Dipende. A seconda delle circo­stanze. Era mutevole, no? Direi che c'erano giorni particolari...

Olga                              - Particolari, come?

Virginia                         - Giorni in cui non riusciva a re­star solo, e allora...

Olga                              - Cercava calore umano, vuol dire?

Virginia                         - In un certo senso, anche se non era poi questione di vero e proprio calore fisico. In quei momenti, aveva bisogno di parlare.

Olga                              - Parlare... di che?

Virginia                         - Parlare. Doveva parlare. Anche alle due di notte. Mi svegliava, e si metteva...

Olga                              - ...a parlare, ho capito.

Virginia                         - Perché, sarebbe gelosa delle pa­role? Non può pretendere che anche questo fosse terreno suo.

Olga                              - Oh, io non pretendo niente. Si figuri. Vorrei solo sapere di questo « parlare ». Che cosa raccontava?

Virginia                         - Poteva raccontare di tutto, Re­nato. Magari una notte, dopo che era stato con lei, giungeva... entrava... e...

Olga                              - Ah! Lui le diceva che era stato da me?

Virginia                         - No! Non parlava mai direttamen­te, glielo assicuro, mai un'allusione esplici­ta... Ma io lo capivo dal bisogno che aveva di parlare, dal tipo di discorsi che faceva. Una volta, mi ricordo, cominciò a parlare dei viaggi... quando si parte: i saluti... e poi quando ci si allontana, e vien voglia, lungo la strada, di cambiare destinazione... di far perdere le proprie tracce... la gioia di andare senza una mèta precisa... senza do­ver avvertire nessuno... Lui parlava, e io già capivo quel che gli doveva essere acca­duto... il suo particolare stato d'animo, quel suo bisogno improvviso di fuga... da tutti.

Olga                              - Queste considerazioni erano buone, o erano piuttosto... dico per me?

Virginia                         - Se devo essere sincera, quando mi svegliava nel cuore della notte, le considera­zioni erano piuttosto amare. Forse le altre volte, quando era portato a fare discorsi ottimistici, esaltanti... credo che quelle volte si fermasse da lei.

Olga                              - E lei, Virginia, che gli diceva? Lo consolava?

Virginia                         - Mi limitavo ad ascoltarlo. Avevo capito che non desiderava che questo : par­lare con qualcuno, essere ascoltato in si­lenzio, e basta, poi lentamente si chetava... si assopiva...

Olga                              - Anche lei?

Virginia                         - Io ormai rimanevo sveglia. Non mi vergogno di dirle, Olga, che in quella solitudine del primo chiarore dell'alba mi sono talvolta messa a piangere... sì, anche a piangere...

Olga                              - Dava tutta la colpa a me.

Virginia                         - Che c'entra la colpa. Non ho mai cercato di chi fosse la colpa. Mia, sua, di Renato... In fondo, poi, era anche bello... così... anche così com'era... molto molto bello... (È rauca per la commozione, si agita, si alza, si allontana verso la camera da letto).

Olga                              - Ma che fa, Virginia? Dove va... perché si agita?

Virginia                         - Vado a prendere un fazzoletto... mi sento... (Sternutisce ed esce per pochi istanti. Si sente squillare il telefono sul tavo­lino. Virginia riappare col fazzoletto sul naso) Le dispiace rispondere, Olga? (Nello studio del notaio si illumina la scri­vania del fondo e si vede Gaetano con la cornetta all’orecchio).

Olga                              - Pronto. Oh, è lei, Gaetano?

Gaetano                        - Volevo soltanto avvertire che il notaio sta venendo lì insieme a quella Isa­bella Venieri nominata nel testamento.

Olga                              - Ah. Ma aspetti che passo il telefono alla padrona di casa... (E porge il ricevitore a Virginia).

Virginia                         - Che c'è, Gaetano?

Gaetano                        - Dicevo alla dottoressa che quella misteriosa Isabella Venieri si è finalmente fatta viva per ritirare il libro-ricordo lascia­tole dal povero avvocato. E così il cerchio si chiuderà, se Dio vuole.

Virginia                         - Ah, ma era lei la chiusura del cerchio?

Gaetano                        - Credo.

Virginia                         - Senta, Gaetano: che persona è questa Isabella?

Gaetano                        - Oh, è una bambina.

Virginia                         - (ad Olga). È una bambina!

Olga                              - Una bambina?

Virginia                         - Una bambina di Renato?

Gaetano                        - No. Cioè, non credo. Voglio dire una ragazza molto giovane, ecco.

Virginia                         - Ah! Grazie,

Gaetano                        - Quando arrivano li vedremo. (E depone il ricevitore. A Olga) Mi aveva spaventata... Una bam­bina.

Olga                              - Ci mancava anche questo!

Virginia                         - Comunque è una ragazza molto giovane, ha sentito?

Olga                              - Ho sentito, ho sentito.

Virginia                         - (s'incammina verso uno scaffale pieno di libri). Cerchiamo allora questo libro...

Olga                              - Lo trovo io. Lei non si affatichi...

Virginia                         - (guardando nelle costole dei volumi). « Ed è subito sera... ».

Olga                              - « ... subito sera... ». (Le due donne cercano insieme: Olga esplora la parte alta dello scaffale, Virginia i palchetti più bassi, e borbottano una specie di filastrocca con voce di cantilena).

Olga e

Virginia                         - Sera... Sera... sera... È su­bito... subito, subito... Sera - subito - sera...

Virginia                         - (allungando la mano). « Ed è... subito... sera... ». (Ha trovato, sfila il libro, Lo batte con la palma) Eccolo.

Olga                              - Non respiri quella polvere! Dia a me... dia... dia a me... Oh! (Prende un po' bruscamente il libro dalle mani di Virginia, lo sfoglia facendo passare sveltamente le pa­gine contro il pollice dell'altra mano, poi va a sedersi mentre Virginia, che la osserva di sfuggita, è sulla soglia della camera da letto. Olga s'è seduta e legge il frontespizio del libro, anche Virginia si siede e beve un sorso dal bicchiere) Sono poesie.

Virginia                         - Con le donne giovani... si serviva della nota lirica...

Olga                              - Forse si sentiva già nella parabola discendente...

Virginia                         - Già, il crepuscolo!

Olga                              - Da me, tutt'al più, qualche volta cantava...

Virginia                         - Ah, cantava? Qui in casa mai. (Ride) Si vede che con lei aveva ancora bisogno di truccare un po'. Con me, ormai, era tutto così chiaro.

(Mentre le due donne rimangono pensose, ferme ai loro posti, Enrico e Isabella si avvi­cinano alla casa di Virginia, Squilla il cam­panello, le due donne si scuotono).

Olga                              - (alzandosi). Vado io. (Virginia si acco­moda rapidamente i capelli).

Enrico                           - (ancora da fuori, in compagnia di Isabella). Permesso? Permesso? Si accomodi pure... lo sono quasi di casa... (Entra con la ragazza) Vi ho portato la signorina Isa­bella Venieri. Ecco le signore... (Sguardi, vaghi sorrisi e tiepide strette di mano).

Virginia                         - Sono un po' influenzata... stia attenta... (Una pausa di imbarazzo, si scru­tano).

Enrico                           - La signorina Isabella è piuttosto imbarazzata. Ho dovuto faticare un po' per convincerla...

Virginia                         - Non voleva venire?

Isabella                          - (timida). Beh, dopo che per tanto tempo le... signore hanno fatto di tutto per tenermi lontana... presentarmi addirittura in casa, sia pure in compagnia del notaio...

Olga                              - (a Virginia). Noi tenerla lontana?

Isabella                          - (sempre candida). E chi allora? Io ero dispostissima ad incontrarle anche prima... - anzi desideravo tanto, ma... -e loro, signore, lo sanno bene!

Virginia                         - Ma come? Allora qui c'è un...

Olga                              - (scandita). Noi non sappiamo niente.

Virginia                         - Noi non la conosciamo, è vero?

Olga                              - Mai sentita nominare, ci scusi.

Isabella                          - Signore mie, se si deve parlare parliamo, ma sinceramente. Non facciamo troppe commedie.

Virginia                         - (è sbalordita, a Olga). Commedie?

Olga                              - Se ne può anche andare se è venuta per offendere! (A Enrico) Portala via!

Enrico                           - No. Ha diritto al libro che le ha lasciato Renato.

Virginia                         - (indicando il libro sul tavolino). Eccolo il libro.

Olga                              - E se ne vada! Oooh!

Enrico                           - Non capisco quest'accoglienza... incresciosa! (A Olga) Tanto più che tu non sei nemmeno in casa tua!

Isabella                          - Perché? Adesso vivono sepa­rate?...

Enrico                           - No no, tutt'altro che separate...

Virginia                         - Basta,

Olga                              - Scusa,

Enrico                           - .. Cer­chiamo di star calmi... (A Isabella ed Enrico che stanno per avviarsi) Ma aspetta... aspet­tate un momento...

Isabella                          - (volgendosi, a Virginia). Lei è la farmacista?

Olga                              - No, la farmacista sono io. Perché?

Isabella                          - (stupita). Allora lei è la... la cu­stode?

Virginia                         - Custode?

Isabella                          - Ma sì! Custode della santità di questa casa... Lei non è la maggiore, scusi?

Virginia                         - S... sì.

Isabella                          - Dunque è lei che ha raccolto sul letto di morte della mamma la famosa rac­comandazione.

Virginia                         - Quale mamma, mi dica?

Isabella                          - Vostra madre, no? Signora, so tutto, ed è inutile nascondersi!

Virginia                         - (più vibrata). Ma di quale racco­mandazione parla?

Isabella                          - Che Renato non sarebbe mai do­vuto uscire da questa casa. Va bene? È lei che ha premesso, e poi ha fatto promettere anche a Renato. Invento forse? Allora è lei la più cattiva. Non si direbbe, a vederla, ma la più cattiva è stata proprio lei. Perché da quel giorno lei non gli ha più lasciato nessuna via d'uscita.

Virginia                         - Senta... senta: può darsi che io sia la più cattiva, però...

Enrico                           - (intromettendosi). Scusi... scusate... scusi, Isabella! Non vorrei che ci muoves­simo senza volerlo nella sfera dell'equi­voco... e occorre, mi pare, mettere un punto fermo, e precisare...

Virginia                         - No, Enrico: lasciamola dire, in­vece, liberamente, spontaneamente...

Olga                              - E che metta fuori tutto il veleno che ha dentro! (Enrico ha un movimento) Ma sì: veleno! Si vede, si sente!

Isabella                          - (calma). Non è veleno. Sono tutte cose che mi ha detto Renato. Solo mi ero fatta un'altra idea: che la più cattiva, quella che non avrebbe mai consentito alla nostra unione, fosse lei, Olga, lei che mi è subito saltata agli occhi; mentre la farmacista, dalle parole di Renato, mi sembrava la più trattabile, e avevo pensato a lei, Vir­ginia.

Virginia                         - La farmacista era la più trattabile?

Isabella                          - (spazientita). Ma non lo so! Mi sarò anche sbagliata! Ma che importanza ha? L'importante è averle finalmente cono­sciute queste due famose sorelle che mi hanno sempre fatto una guerra spietata: Olga e Virginia, Virginia e Olga! (Sguardo delle due donne).

Enrico                           - (insorgendo). Sorelle? C'è un equi­voco... Io lo dicevo...

Olga                              - Tu non dicevi niente!

Virginia                         - Enrico, ti prego di non interrom­pere, di non intervenire. Dopotutto la cosa riguarda solo noi. (E sorride a Isabella) E giacché ci siamo, è bene che avvenga una spiegazione tra noi donne, solo noi donne interessate e basta. Enrico, vuoi lasciarci? (Guarda Olga, con intenzione) Non ti pare, Olga?

Olga                              - (stando al gioco). Mi pare sì,

Virginia                         - Sono d'accordo con te. (Enrico è sbalordito, e tace. Guarda ad occhi spalancati).

Virginia                         - (a Isabella). È verissimo, sa: quella che si è opposta di più alla vostra unione sono stata proprio io. Lo riconosco. Anche perché Olga non aveva i motivi che avevo io per contrastare l'unione. (Enrico non sa trattenersi e fa per intervenire) Enrico, bada ai fatti tuoi!

Isabella                          - E le pare bello ciò che ha fatto verso suo fratello? Mi dica: le pare bello?

Virginia                         - Renato le avrà raccontato tutto.

Isabella                          - Tutto, tutto.

Enrico                           - (che si è allontanato). Con Isabella vi chiamava « arpìe ».

Olga                              - Arpìe?

Virginia                         - Arpìe,

Olga                              - Si vede che gli sa­remo sembrate arpìe.

Olga                              - Non è possibile!

Enrico                           - Non si riesce mai a sapere come ci giudicano veramente le persone che ci vi­vono accanto, anche le più care!

Virginia                         - È vero, è verissimo. (A Olga) Arpìe. Che vuoi farci?

Isabella                          - Vostro fratello, qui dentro, era tenuto come uno schiavo. I nostri incontri sono stati sempre clandestini per causa vostra.

Virginia                         - (a Enrico che si dispone sempre ad andarsene, ma non se ne va mai). Enrico, ora che il discorso si fa come vedi molto delicato, intimo, direi, vogliamo salutarci?

Enrico                           - Me ne vado subito. Isabella, signo­rina Isabella: devo allontanarmi, ha sentito? Non posso più tenerle compagnia...

Isabella                          - Vada pure. Non credo di essere in pericolo.

Enrico                           - Allora vado?

Olga                              - Non ce la mangeremo, sta' tran­quillo.

Enrico                           - E allora vado. (Ammonitore) Però, rispettiamo almeno i sentimenti. Devono essere sacri, per tutti. Perché anche lei (e indica Isabella) è una vittima!

Virginia                         - Massimo rispetto, non dubitare.

Enrico                           - E giacché volete proprio giocare da sole, vi saluto!

Virginia                         - Enrico, non siamo mica al Cir­colo della Caccia, qui!

Enrico                           - Perché, dove siamo? (Avviandosi) Mi raccomando la bambina... e non barate! (È fuori. Una pausa).

Virginia                         - Bene. E ora che siamo sole, ci dica, come si considera di fronte a noi per i legami avuti con Renato?

Isabella                          - Come vuole che mi consideri? Io non ci tengo ai nomi. Mi consideri pure la « fidanzata ».

Virginia                         - Fidanzata... hai capito, Olga?

Olga                              - Ho capito, sì. Lei era la fidanzata.

Isabella                          - Perché, non lo sapevano?

Olga                              - Lo sa che lei è un po' troppo indisponente per il mio carattere? (Muovendosi, dice tra sé) La prenderei a schiaffi!

Virginia                         - E faresti male,

Olga                              - Passeremmo dalla parte del torto.

Isabella                          - Se è per questo ci siete già dalla parte del torto.

Olga                              - Senti, Virginia: sarà bene dire, qui, alla signorina, che Renato ci aveva detto ben poco di questo fidanzamento. Almeno con me non aveva parlato. Non so con te, che sei la sorella maggiore, e la custode, e raccoglievi certe confidenze notturne di nostro fratello...

Virginia                         - No, neanche con me ha mai parlaro chiaro. Anzi, direi che mi ha tenuto nascosto questo fidanzamento.

Isabella                          - (aggressiva). Per paura! Certo che l'avrà nascosto. L'avevate terrorizzato! Qui da voi aveva paura di parlare, di muoversi! Ma quando veniva a casa mia, invece, ed era accolto in ben altro modo, allora parlava, si confidava!

Olga                              - Ah! Era accolto anche in casa?

Virginia                         - Che c'è di strano? Se erano fi­danzati!

Isabella                          - Mia madre, sa, è una donna mo­desta, diciamo del popolo, ma che capisce certe cose, certe situazioni, e piuttosto che vedermi andar fuori preferiva che la porta di casa restasse aperta...

Virginia                         - Ma naturale. Così Renato veniva in casa sua come fidanzato.

Isabella                          - Veniva e si sentiva tranquillo, al sicuro, disteso, e difeso, finalmente!

Virginia                         - Però questo a noi non l'ha mai detto.

Isabella                          - Bugiarde. Voi sapevate tutto!

Virginia                         - No, le assicuro.

Isabella                          - Tut-to!

Olga                              - Non sapevamo niente!

Isabella                          - Perché allora controllavate le te­lefonate, eh? E le lettere dove finivano?

Virginia                         - Lettere sue?

Isabella                          - Sì. Poche, perché scrivere non m'è mai piaciuto, in amore, ma qualcuna ne ho mandata. Sparite. Perfino l'ultima, quella di condoglianze, è sparita. E non mi direte allora che non sapevate...

Virginia                         - (a Olga). Lettera di condoglianze spedita qui?

Isabella                          - E dove?

Virginia                         - Impossibile!

Isabella                          - Cadiamo addirittura dalle nuvole, adesso! Ma guarda un po'! Perché, ve le siete scordate le scenate che gli avete fatto a quel pover'uomo? L'avete assillato in tutti i modi, avvilito, con le vostre domande, minacciato..., sì, sì: minacciato, anche! Due sorelle come voi... Poliziotti, altro che sorelle! Possessive al punto di togliergli l'aria che respirava. E appena poteva, scap­pava, naturalmente! Veniva da me. Aveva bisogno di sfogarsi... Allora sì che era sin­cero: sin-ce-ris-si-mo! (Virginia torna a guar­dare

Olga                              - Le tre donne rimangono in silenzio a guardarsi, a commiserarsi).

Virginia                         - (diretta). Renato le aveva pro­messo di sposarla?

Isabella                          - Non m'aveva promesso niente: non poteva! C'eravate voi.

Olga                              - Le sorelle cattive.

Virginia                         - Però, se avesse parlato chiaro, noi forse... è vero, Olga?

Isabella                          - Parlò anche troppo chiaro, per questo! Quella sera in cui vi annunciò che mi avrebbe portato in casa, non gli saltaste agli occhi?...

Virginia                         - Ha detto che gli saltammo agli occhi?

Olga                              - Ci odiava proprio!

Isabella                          - Lei... Virginia, non gli ricordò la promessa fatta alla madre, in punto di morte? E lei, Olga, non minacciò di avve­lenarsi se avesse lasciato la casa?

Virginia                         - Olga? Tu minacciasti di avvele­narti? Non l'ho mai saputo.

Olga                              - Non l'avrei fatto, ma...

Virginia                         - Io, è vero, una volta gli parlai di mia madre... però non sapevo che relazione fosse la vostra... (E guarda Olga).

Isabella                          - Che relazione vuole che fosse! (Sorride) Ci siamo innamorati, è semplice, no? L'avevo incontrato in tribunale... gli avevo « battuto » all'ultimo momento una «comparsa»: io sono dattilografa...

Virginia                         - Brava... brava.

Isabella                          - E poi... C'era, è vero, una certa differenza di età e di condizione, ma è roba d'altri tempi. Renato mi parlò molto chiaro di voi, della sua situazione. Sono la mia croce, mi disse, ma non mi sento di rovi­nare la loro vita.

Virginia                         - (a Olga). Non voleva rovinare la nostra vita... Temeva forse che avremmo fatto qualche...

Isabella                          - Pazzia, sì. Proprio così. E i suoi timori non erano infondati perché, da parte di madre, c'era già stato un altro caso, lo so! Mi diceva sempre nei momenti di « stretta »: «A meno che non ci venga in aiuto qual­cuno... io purtroppo non posso muo­vermi... ».

Olga                              - E chi doveva venire in aiuto?

Isabella                          - « Qualcuno che può tutto ». « Le vie della provvidenza sono infinite », diceva: «Speriamo, speriamo...». Non era­vate anche un po' malate?

Virginia                         - Be' lasciamo perdere. (Si fermano) Quello che vorrei farle capire è che anche noi ci eravamo consacrate a lui, interamente. Avremo sbagliato, ma pensi che abbiamo rinunciato a una nostra vita personale per stare accanto a quel fratello.

Isabella                          - (con un sorrisetto). Sì, sì... A quel fratello... Però che tipi siete... Un ramo... di pazzia dovete averlo ereditato tutti da vostra madre.

Virginia                         - La prego, signorina, non tocchi la madre. E mi meraviglio, anzi che Renato abbia potuto parlarle del nostro segreto di famiglia, mi meraviglio proprio.

Isabella                          - L'ha fatto solo alla fine, quando io gli avevo detto « basta », quando volevo chiudere perché non ero più disposta a sa­crificarmi per due sorelle. Ero decisa, sa. Allora lui tirò fuori la madre, che si era fatta promettere sul letto di morte... insomma quello che lei adesso chiama « il segreto di famiglia ». E io allora non ebbi più il coraggio di lasciarlo.

Virginia                         - Capisco. (E sospira).

Isabella                          - Sono rimasta, ma lui, poco dopo, se n'è andato. (Una pausa) Ecco. Adesso la spiegazione c'è stata, finalmente... e se posso avere il mio libro, me ne andrei. Tolgo il disturbo.

Virginia                         - (porgendole il volumetto di liriche). Ecco il suo libro.

Isabella                          - (legge). « Ed è subito sera ».

Olga                              - C'è anche la dedica...

Isabella                          - « A Isabella… Ognuno sta solo sul cuor della terra... ».

Olga                              - (ironica). E questo che sta solo, sa­rebbe Renato.

Isabella                          - «... trafitto da un raggio di sole ».

Virginia                         - Diciamo pure che il « raggio di sole » sarebbe lei, Isabella.

Isabella                          - Crede proprio? Che caro !

Olga                              - (a Isabella). « Raggio di sole »!

Isabella                          - « Ed è subito sera ».

Olga                              - E così ci si saluta, e ognuno va per la sua strada. (E si avvia, ma in quel mentre giunge, dopo aver attraversato il palcoscenico, Sofia).

Sofia                             - Permesso? Come si sente, signora? Va meglio? (Vede Isabella) Oooh! Signo­rina, come mai?

Isabella                          - Oh, Sofia! Adesso posso dire di conoscerle anche io le due famose sorelle. Finalmente! (Olga e Virginia sono rimaste allibite. Fissano le altre due senza fiatare).

Sofia                             - (guardando alternativamente Isabella e il duo Virginia-Olga). E... tutto bene?

Isabella                          - Tutto benissimo!

Sofia                             - (verso Olga e Virginia). Benissimo?

Virginia                         - Be'...

Olga                              - Benissimo!

Sofia                             - Sono contenta! Non avrei mai imma­ginato... È vero che non sono poi così cattive?

Isabella                          - Dipende.

Sofia                             - (sottovoce a Isabella). Ma perché non si è fatta più viva? Almeno per telefono?

Isabella                          - Non ci sono perché. Dopo quello che è successo...

Sofia                             - Ma che gioia averla rivista, e proprio qui! Che tuffo al cuore!

Virginia                         - Sofia. Vi conoscevate bene, vedo!

Sofia                             - Oh, è da quel dì!

Virginia                         - Dunque te lettere che arrivavano le prendevi tu.

Sofia                             - Eh già, signora. Ordine del padrone.

Virginia                         - Anche l'ultima, di condoglianze?

Sofia                             - Ormai conoscevo la calligrafia.

Virginia                         - Ma come ti sei permessa?

Sofia                             - Mi dovrebbe ringraziare, signora.

Virginia                         - Ringraziare di che?

Sofia                             - Di averle risparmiato un... una verità amara. Gliela volevo nascondere. (Verso Olga) E a tutt'e due. Tanto, ormai...

Virginia                         - (a Isabella). Ha sentito? Noi non sapevamo niente.

Isabella                          - Dovrei chiedere scusa? Be': le sorelle non sapevano niente.

Sofia                             - Niente. Posso garantirlo.

Isabella                          - E con questo?

Olga                              - (a Sofia e Isabella). Vi vedevate spesso voi due?

Sofia                             - Quando mi mandava l'avvocato con qualche messaggio o istruzione. (A Isabella) Una volta le portai anche del denaro, è vero?

Olga                              - Anche del denaro!

Sofia                             - E sempre di nascosto. « Le mie so­relle non devono saper niente, mi racco­mando Sofia », mi diceva!

Isabella                          - E allora? Vogliamo andare ancora avanti? Non ci siamo divertite ancora abba­stanza con questa storia delle sorelle? No? (Compassionandole e disprezzandole) Ma che sorelle? Moglie, amante e serva messaggera.

Virginia                         - Ah, lei sapeva tutto?

Isabella                          - E come no! Sempre saputo tutto! Io! Lui le chiacchiere delle «sorelle» me le ha fatte, e come, ma, mica sono dell'altro secolo, io. L'ho lasciato dire, gli ho fatto credere che le « sorelle » m'erano pro­prio odiose, e lui allora a sfogarsi contro di voi, a dire questo e quello, e io buona, a bere, per modo di dire.

Virginia                         - Ognuno ha il suo torto, allora!

Isabella                          - Voglio vedere fin dove arriva, questo qui, dicevo. Perché, bugiardo era, non c'è dubbio, ma in fondo mi piaceva starlo a sentire perché per inventare delle bugie così una qualche ragione doveva pur esserci.

Olga                              - Ma che ragione!

Isabella                          - Gli bastava parlare, parlare di voi.

Virginia                         - Dunque lei sapeva già tutto, e si è permessa di venire qua a casa mia...

Olga                              - Doveva parlar chiaro, subito. Met­tere le carte in tavola.

Isabella                          - Lo dite a me? Perché non l'avete fatto voi? Perché siete state al gioco? Io, dopotutto, non ho fatto che ripetere quello che m'aveva raccontato Renato. Perché non le avete scoperte voi le batterie, voi che avreste dovuto essere più serie di me. Per­ché non m'avete dato una lezione, almeno nel momento che è apparsa lei,

Sofia                             - Macché! Siete andate avanti con la com­media, e lei, lì, a tenervi mano! Mah! È che siete tutt'e tre bugiarde, e stavate bene con lui, che ne inventava una ogni momento! Perché poi l'avete fatto, non capisco! E mi meraviglio di lei che pareva una donna seria. Signore mie: siete ormai superate con le vostre mentalità! La moglie che sta da una parte e finge di non sapere niente dell'amante che sta dall'altra... Ma che è questo gioco? Mi fate proprio pena! Il mondo ha camminato! Siete vecchie! Vecchie!'Siete rimaste al Medioevo...

Olga                              - (le dà uno schiaffo). Te lo dò io il Medioevo!

Virginia                         - Lasciala stare,

Olga                              - (A Isabella) Lei parla, parla, perché non ha niente da custodire, da proteggere: lei non ha mai amato Renato.

Isabella                          - Che c'entra l'amore!

Virginia                         - Se lei l'avesse amato anche solo un po', capirebbe il nostro comportamento: i sotterfugi, le bugie e tutto il resto. A volte, sa, è molto più facile, e comodo, mettere tutto alla luce del sole, dire a tutti la cosid­detta verità, che inventare quello che in­ventava quell'incantevole pasticcione di Re­nato... e anche quello che inventavamo noi, compiacendolo, fingendo di non vedere, di non sapere...

Isabella                          - Sarà. Ma io questa morale non la capisco. Bugie, sotterfugi... Io sono sincera, e vi ho detto « Medioevo ». E perché sono sincera, mi son beccata anche uno schiaffo.

Virginia                         - Se lo tenga, come noi ci terremo i suoi insulti. A ognuno secondo l'età.

Isabella                          - Medioevo! Ma non finisce mica così! Oh, no! Vi piacerebbe, eh! Ve lo farò veder io, a voi due... (Esce. Una pausa. Sono tutt'e tre sconcertate).

Virginia                         - (calma, a Sofia). E adesso, tu esci da casa mia.

Olga                              - E non rimettere più piede in far­macia.

Sofia                             - Ma come? Io ho ubbidito. Sono ri­masta fedele a lui, prima e dopo.

Virginia                         - E adesso ubbidisci a me. Va' fuori.

Sofia                             - (smarrita). Fuori... come?

Virginia                         - Sei licenziata.

Sofia                             - Eh, no, signora. Lei non mi può buttar sulla strada senza un vero motivo.

Virginia                         - Ah, senza motivo?

Sofia                             - Perché, ho forse rubato?

Virginia                         - Peggio che rubato. E non farmi arrabbiare.

Sofia                             - Ah, peggio? Forse perché conoscevo Isabella e non ho detto niente? Sarebbe gelosa di Isabella? È questo? E perché di me no? Io glielo dissi, signora, che l'avvo­cato mi aveva messa... in alto, e per lei andava bene. Potrei anche sentirmi offesa, come donna! (Scuote la testa) Sa che non la capisco proprio, signora!

Virginia                         - Non devo essere capita da te.

Sofia                             - Eh, no! Lei, signora, accetta quella (accenna a Olga), se la fa perfino amica, e poi se la prende così calda per quella ragaz-zetta che era, glielo dico io, una cosa da ridere, uno svago innocente.

Olga                              - Sì! Chiamalo svago !

Sofia                             - Perché che cos'era secondo lei? As­sediato da tutte le parti - tra casa, studio e farmacia - che doveva fare? Doveva pur prendersi una boccata d'aria, poverino!

Virginia                         - Appunto, e te la prenderai anche tu, la boccata d'aria.

Sofia                             - Benissimo. Mi ritiro in camera mia. Con permesso... (Ed esce difilato verso l’interno. Virginia sospira e si siede).

Olga                              - Me lo spieghi perché siamo state tutt'e due al gioco delle sorelle come se fos­simo già d'accordo?

Virginia                         - Non ci vuole molto. È stato per il desiderio di sapere tutto di Renato.

Olga                              - E hai saputo! Si era fidanzato, dico fidanzato! (Si muove verso la scrivania di Renato, fa un gesto, non sa con chi prender­sela. Ritorna da Virginia). Sai che ti dico: forse più di noi due amava proprio quella... Isabella - ma sì! - giovane, senza com­plessi... sfacciata.

Virginia                         - Perché avrebbe dovuto amarla più di quanto amava noi?

Olga                              - Ma perché, oltretutto, hai sentito anche Sofia, per lui Isabella era la pace, la... la liberazione dalla nostra tirannia quo­tidiana...

Virginia                         - No, no... qui non ti seguo, E te lo spiego. Nelle faccende d'amore credi proprio che si cerchi la pace? No. Si va piuttosto in cerca di guai, magari senza sa­perlo, ma sono i guai che si cercano. A Re­nato piacevano i guai, e come! Cioè noi due, che siamo state la vera, la costante preoccupazione della sua vita.

Olga                              - Dici?

Virginia                         - Noi due, Olga, solo noi due.

Olga                              - (ha un sospiro). Mah! Sarà. (Scuote la testa).

Virginia                         - Dio mio, che giornata! (Mor­mora) Però, che pasticcione sei, Renato, che pasticcione! Oltretutto, dove trovavi il tempo?

Olga                              - Aaah! (Scuote la testa) Allora, a domani?

Virginia                         - A domani, cara.

(Le due donne si salutano e si allontanano: Virginia scompare in casa sua, Olga entra in farmacia).

Studio del notaio

Enrico è in mezzo, col dorso appoggiato all’orlo della scrivania, Gaetano un po' di­scosto è occupato a fargli la relazione finale degli incontri testamentari. L'attacco do­vrebbe iniziarsi prima ancora che i personaggi siano in piena luce.

Gaetano                        - ... E così, signor notaio, i giorni sono passati, uno dopo l'altro, uno dopo l'altro... (Sfoglia, sfoglia il « libro delle pre­senze ») Trecentosessantadue... sessantatré... e sessantaquattro! Sembrava che l'anno pre­scritto non dovesse finire mai, e invece, ieri, gli incontri ufficiali sono finiti!

Enrico                           - Con brindisi! C'è stato lo cham­pagne, e ho bevuto anch'io.

Gaetano                        - Mi sarebbe piaciuto trovarmi al brindisi finale! Ormai il gioco è fatto... Se lo sono guadagnato davvero il premio... (Porge a Enrico il « libro delle presenze », mentre si accinge a timbrare con bollo e tampone le singole pagine) E adesso, vuole vidimare, signor notaio?

Enrico                           - (sospiroso),, E vidimiamo pure... (E tra un colpo e l’altro di timbro inferto ritmi­camente e vigorosamente da Gaetano alle pagine, Enrico firma distrattamente e mesta­mente; e la conversazione continua).

Gaetano                        - Un momento, notaio...

Enrico                           - Che c'è ancora?

Gaetano                        - Con la « bambina » come ci rego­liamo nel riepilogo finale?

Enrico                           - Già. Come vorresti regolarti, Gaetano?

Gaetano                        - Io metterei... (Si ferma, come se dettasse) « Dopo la consegna del dono, più nessuna notizia. Un « entre-acte ». E amen. Molto tacitiano.

Enrico                           - Eh, no! Questo non lo posso dire e tanto meno firmare!

Gaetano                        - Come non può?

Enrico                           - Perché Isa... Isabella, insomma... la signorina Venieri Isabella io l'ho rivista ancora... sia pure casualmente, e per motivi non pertinenti al testamento, ma l'ho rivista!

Gaetano                        - Allora!

Enrico                           - Il notaio è testimone di verità, sempre!

Gaetano                        - (riprendendo a timbrare). Sempre!

Enrico                           - Come si fa per Isabella... Ve...?

Gaetano                        - Si potrebbe ripiegare nel modo classico. (Sempre come se dettasse) « In quanto alla signorina Isabella Venieri... omissis ».

Enrico                           - Ottimo! Omissis... siss... sss.

Gaetano                        - (sillabando). ... mis... miss... ssis... sss...

Enrico                           - Sssst! (Prendendo Gaetano per un braccio e portandolo al proscenio come nei momenti di confidenza) Abbiamo ancora un minuto! Senti, Gaetano: non hai mai ri­sposto a quel consiglio che ti chiesi. Se­condo te, meglio Olga o Virginia, o...?

Gaetano                        - (sorpreso). Ma lei, notaio, pensa sempre a un matrimonio?

Enrico                           - Ci penso ancora! Solo che adesso sono più imbarazzato di prima!

Gaetano                        - Perché?

Enrico                           - Perché... perché avrei fatto un pen­siero anche su Isabella.

Gaetano                        - Aaaah! Capisco, allora! Però, quella « bambina »!

Enrico                           - Ma non è poi del tutto una bam­bina?! Potrei sposarla benissimo! Renato, in fondo, aveva ragione... (Suonano) Ec­cole! (Altre due suonate vivaci) Ma le senti! Ah, quelle due! Come sono impazienti! Va'... va'...

Gaetano                        - (avviandosi come al primo atto). « Quali colombe dal disio... ». (Olga appare in un vestito a colori vivaci, irrompe col solito entusiasmo aggressivo se­guita da Virginia più contenuta).

Virginia                         - Puntuali?

Enrico                           - Puntualità assoluta, mie care. E che gioia, lasciatemelo dire, riavervi qui dopo un anno e in tutt'altra disposizione... voglio dire unite dall'esperienza di una quotidiana vicinanza... e davvero pienamente meritevoli di godere di quel premio promesso che san­cisce concretamente la vostra straordinaria storia d'amore. Io direi che raramente due donne...

Virginia                         - Enrico, vuoi proprio farci il di­scorso?

Olga                              - (gaia). E lasciaglielo fare, che si di­verte. (A Enrico) Purché non sia troppo lungo, eh!

Enrico                           - (smontato). È già finito, mie care. (Fa il gesto perché si siedano. Le due donne ubbidiscono) Ci rimangono ormai solo le formalità... che sbrigheremo in fretta, ve­drete. Gaetano ha già preparato l'« atto » che vi leggo. (Le due donne accennano ad alzarsi) Restate pur comode, per carità... (Legge) « Oggi... (scrivendo la data rimasta evidentemente in bianco) 28 maggio... alle ore 17,15... ho convocato nel mio studio di fronte a me notaio le qui presenti Virginia Signorini... e Olga Bongiovanni. Accertato in maniera inequivocabile, secondo l'ampio e irrefutabile documentazione che allego, l'adempimento scrupoloso di quanto di­sposto dal testamento di Renato Signorini, mi accingo a prender visione dell'elenco dei beni che le beneficiarie dovranno godere in parti uguali, beni che il defunto ha voluto elencare di suo pugno e sigillare in busta da aprirsi un anno dopo la lettura del te­stamento ». (Una pausa) Se non ci sono obiezioni da parte vostra, apro la busta dei « beni ».

Olga                              - Naturalmente.

Virginia                         - Apri pure. (Gaetano che ha già tutto in mano porge al notaio cartella e busta. Enrico prende come primo atto il tagliacarte e apre la busta col solito rituale).

Enrico                           - Apro. (Taglia la busta, ne toglie un fascicolo piegato e due foglietti eguali; e intanto scrive nell'atto) « Aperta la busta di­chiaro che il contenuto è costituito da un elenco di beni mobili e immobili scritto in quattro... cinque fogli di carta uso com­merciale e firmato in ogni pagina... e da una... lettera in duplice copia indirizzata " alle mie donne ", lettera che le due signore accettano... ». (Ma le due donne non pren­dono la lettera) Prendete, o no? È vostra. Vi spetta. (Allungano la mano e prendono la lettera contemporaneamente).

Virginia                         - Dobbiamo leggerla?

Olga                              - Ad alta voce?

Enrico                           - Come volete... Saranno raccoman­dazioni personali... Dovremo invece accor­darci sulla ripartizione dei beni... qui elen­cati... che sono tanti, vedo... (Una pausa) Che cosa tocca all'una, che cosa all'altra...?

Virginia                         - Un momento!

Enrico                           - Che c'è?

Virginia                         - Un momento! (E legge) «Alle mie donne! ». (Si ferma). Olga (soggiunge). « E al notaio Enrico Artusi ».

Olga                              - « Mie care... ».

Virginia                         - (riprendendo). « Mie care, ora che avete superato l'ardua prova... ».

Olga                              - E come lo sapeva?

Enrico                           - Se l'ardua prova non fosse stata superata quella busta non si apriva!

Virginia                         - « Ora che avete superato l'ardua prova siete davvero quelle donne superiori che ho sempre sognato che foste. Avete varcato i confini della gelosia e dell'egoismo femminile, e non è poco! Il vostro esempio deve essere offerto a modello per tutta la città... ».

Enrico                           - Che sparlava molto di voi, eh, sì!

Olga                              - Va bene: saremo di esempio a tutta la città!

Virginia                         - (riprendendo). « Non potrete dun­que più mescolare il sacro dei nuovi senti­menti col profano dei beni materiali che in ogni eredità creano sempre liti e divisioni. Propongo allora di lasciare i miei beni non più a voi, ma al vostro custode e protettore e tutore che nel frattempo avrete, spero, imparato a stimare e forse ad ... ».

Olga                              - Amare?

Virginia                         - Dice proprio « amare ». « Al diletto amico... ».

Le due                           - Enrico Artusi!

Enrico                           - A me?

Virginia                         - A te. Alla condizione...

Enrico                           - Ecco, mi mette nei guai, lo sento!

Virginia                         - (riprendendo) « ...alla condizione che continui ad aver cura di voi, e vi pro­tegga, e vi sostenga nella buona come nella cattiva sorte, e vi sostenti vita natural durante ».

Gaetano                        - (allargando un po' le braccia). Vita natural durante?!

Virginia                         - (rimettendosi gli occhiali). « E per­ché il vostro sodalizio sia sempre animato da quelle novità e sorprese senza di cui la vita quotidiana diventa tedio, vorrei che le stesse attenzioni e le stesse cure siano riservate anche a...».

Olga                              - E a chi?

Virginia                         - « ...anche alla giovane ed ine­sperta... Isabella Venieri... ».

Olga                              - Questo poi no!

Enrico                           - Come no? Se c'è scritto! Non si può trasgredire!

Virginia                         - « Isabella Venieri... ».

Enrico                           - (affermativo). Isabella Venieri!

Isabella                          - (come se fosse stata chiamata appare). Avete chiamato?

Virginia                         - Oh. Sei già qui.

Olga                              - Lo sapevi, eh! Sei stato tu, Enrico, ad avvertirla!

Isabella                          - Sapevo che venivate e volevo regolare i conti rimasti in sospeso.

Olga                              - Che conti?

Virginia                         - Entra, su, entra pure. Avanza. Accomodati.

Enrico                           - Su, Venga avanti, Venieri. Il testa­mento riguarda anche (forte)... Isabella Venieri.

Virginia                         - (leggendo). « ...alla quale debbo molti giorni piacevoli e fantasiosi. La sua giovane età e l'inesperienza del mondo do­mandano amicizie e protezioni assidue e autorevoli, perciò affido anche lei ad Enrico Artusi e a voi due, amate mie ».

Olga                              - (interrompe, mentre Virginia scorre il foglio testamentario). E così il cerchio si chiude! Veramente, stavolta! Uno due e tre! Volevo ben dire!

Virginia                         - (togliendosi gli occhiali e riassu­mendo il resto). Naturalmente tu, Enrico, non potrai unirti in modo esclusivo con nessuna di noi tre, ma avere per tutte e tre eguali attenzioni e cure e affetti... E, in questo, noi saremo giudici del tuo com­portamento. Guai a te se... (guardandosi attorno). Insomma Renato vuole che il suo esempio non si perda con lui... Vuole insomma che l'harem sia la regola!

Olga                              - Ma questa è propaganda!

Enrico                           - Comunque, sono le sue volontà ultime che cancellano tutte le altre.

Virginia                         - (si toglie gli occhiali, con un so­spiro). Ed è davvero terminato!

Olga                              - È fatta!

Gaetano                        - (nel silenzio, uscendo). « Vuoi  così colà dove si puote ciò che si vuole... e più non dimandar... ». (Via).

Virginia                         - Tutto dipende ormai dal nostro

Enrico                           - (Enrico è rimasto un po' stordito, sbigottito; tutti gli sguardi femminili sono puntati su di lui) Accetti o no? Ti senti abbastanza Renato da prendere il suo posto in mezzo a noi? In fondo è tutto qui!

Olga                              - Ma neanche a chiederlo! Dove la trova, lui, la statura di Renato!

Isabella                          - Forse ti manca la sua fantasia, il gusto dell'avventura che aveva lui...

Virginia                         - Quelle belle, straordinarie bugie che inventava...

Enrico                           - (timido). Be', se mi aiutaste un po'...

Olga                              - Che vuoi aiutare! È la situazione che, con te, non potrebbe ripetersi anche vo­lendo, una situazione unica!

Enrico                           - Qui esageri, Olga mia! Situazione direi abbastanza diffusa...

Olga                              - Ma ti manca il gusto di vivere... di metterti nei pasticci fino al collo. Lui ci sguazzava, tu no! Il gusto di litigare e di fare subito pace...

Virginia                         - Il gusto di ridere e di piangere nello stesso tempo, senza sapere mai bene - mai, mai! - se faceva sul serio... e quando!

Isabella                          - Non sei abbastanza commediante!

Olga                              - Ma lui è zero, ecco cos'è: ze-ro! al suo confronto!

Virginia                         - In fondo tu sei notaio, Enrico, che ci vuoi fare!

Isabella                          - Sei molto ragioniere, molto! Questo te lo debbo dire!

Enrico                           - (scoraggiato, quasi sommerso). Le senti, Renato, le senti le... le arpìe? È già cominciata la rivolta, la sommossa... Sa­rebbe un'impresa impari, ecco impari... Una fatica... troppa fatica per me, troppa!

Virginia                         - Vedi, tu dici fatica. Lui avrebbe detto gioia, magnifica avventura. Lui rin­giovaniva di dieci anni in mezzo a questi affanni d'amore. Tu ti lamenti prima di cominciare...

Olga                              - Sei noioso, pretenzioso, equilibrista, prudente...

Virginia                         - Proprio il contrario di Renato!

Le donne                       - (insieme). Rinuncia, rinuncia... Non è per te, non è per te...

Enrico                           - (come sommerso e schiacciato dalle bordate femminili sembra vacillare ed essere spinto fuori; ma d'improvviso si erige, leva la mano ed esplode). Basta! Basta! E invece accetto! Accetto! Vi farò vedere io! Ac­cetto. Diventerò Renato. Come lui! Più di lui! L'ho sopportata per tutta la vita la sua superiorità... Oh, l'invidia di non essere co­me lui! Sapeste come mi rodevo. Lui aveva tutto, io niente! Aveva quel che voleva, io niente, mai! Lui era bello, dicevano, io no! Ma era bello davvero? Lo trovavate proprio bello, eh?

Le donne                       - Bellissimo! Straordinario! Mera­viglioso! Simpatico...

Enrico                           - Lui era simpatico, io no! Perché era simpatico? Che cos'aveva? Io la odio la gente simpatica! Tutta, tutta! Perfino la calligrafia... Era brutta, la sua, e invece: « Oh, che bella calligrafia... che firma ori­ginale, artistica... ». E io niente! Ma perché? (Le guarda) Ma da adesso anch'io sarò... Eh? Non lo sono, dite? Be', lo diventerò! Diventerò simpatico... per te, Virginia, per te, Olga... e anche per te, Isabella... Sì, simpatico, estroso... fantasioso... saltimbanco... commediante... bugiardo... Ecco! Ecco il punto! Vi piaceva tanto perché era bugiardo. Non negatelo! L'avete detto! Inventava. Anch'io diventerò bugiardo, e inventerò. (Prende una certa solennità prima di scatenarsi in una specie di delirio) Notaio, ma bugiardo. Notaio, ma imbroglione. Anzi, non più notaio: agente di cambio, diven­terò. Cambio professione: agente di cam­bio! Bugiardo, però, sempre bugiardo! Perché questo è il pregio, il distintivo, la... la prerogativa. Bugiardo serio, ma bugiardo! E amoroso... a-mo-ro-so! Tutto amore... solo amore... amore di su, amore di giù, amore di qua, amore di là... Molto, molto amoroso e molto, moltissimo bu­giardo! Ah, ah! E così saremo contenti, tutti, sempre... non ci annoieremo... mai, mai! Diventerò subito socio del Circolo della Caccia... caccia, caccia... Litigheremo, ce ne diremo di tutti i colori... ma faremo subito una imprevedibile pace... Oh, che bella, che bellissima compagnia, e che bella vita intravvedo! Che bella vita, che bella vita! (Ha levato le braccia al cielo e danza, saltella, inebriato) Grazie, Renato... grazie! Che magnifica eredità mi hai lasciato! Una eredità di guai e di bugie, ma anche di sor­prese e di novità... finché avremo fiato e vita... Grazie, maestro, grazie, Renato... Io sono come te, ormai... come te, come te... Simpatico... bugiardo... agente di cambio... e in mezzo alle tue donne... Dove siete? Dove vi siete nascoste, eh? Non sono più io... venite a vedere... sono simpatico... bu­giardo... amoroso... sono Renato...

(Le tre donne si sono allontanate di fronte a quel delirio e l'hanno lasciato solo a ine­briarsi di una impossibile vita. Sulle esclama­zioni e i movimenti ormai sconnessi di Enrico che lancia sorrisi e baci di qua e di là e so­prattutto in platea, scende veloce il velario).

FINE