L’attesa

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L’ATTESA

Commedia in un atto

di AUGUSTO DE ANGELIS

PERSONAGGI

LEOPOLDO SARTIRANI

LUCILLA

BERNARDINO SEREGNA

SAMUELE CLERK

GINO VERRI

CLARETTA

RICCARDO

REMIGIO SANDRI

VINCENZO

Commedia formattata da

Nella grande villa patrizia di Leopoldo Sartirani, in Val Seriana. La vasta sala terrena della villa. Due scale, una a destra e una a sinistra nel fondo conducono agli ap­partamenti superiori. Sul davanti a destra il grande ca­mino, che sfavilla. Nel fondo una vetriata, che dà sulla veranda e poi sullo spiazzo, oltre il quale spesseggia l'uli­veto e biancheggiano i monti. A destra e a sinistra sul davanti due grandi porte. Lusso sontuoso, pesante ( tetro. E' sera. Tutte le lampade del soffitto sono spente, quando si leva la tela. Soltanto due torcierì a luce elettrica, accesi ai lati del camino, sul davanti, illu­minano scarsamente la sala vasta. Dalla vetriata entra la luna.  Dopo un brevissimo istante di scena vuota, un'ombra nera appare sulla veranda, e si staglia contro i vetri. (E' Remigio che guarda nell'interno).

Vincenzo                       - (il vecchio cameriere viene dalla porta gran­de di destra, dove si finge la sala da pranzo, e fa per accendere la luce. Ma vede l'ombra e si ferma con la mano sull'interruttore. Fa qualche passo verso la ve­triata. Subito l'ombra scompare. Vincenzo ha un gesto di sdegno, poi scuote il capo dolorosamente, disappro­vando. Accende la luce, che illumina dall'alto la sala annullando il chiarore lunare. Dalla sala da pranzo si odono le voci dei venienti. Vincenzo dispone le poltrone presso al camino).

Leopoldo                      - (entra per il primo, tenendo con una mano il braccio di Bernardino e parlandogli. E' un uomo di 55 anni, che i vizi e tutte le esperienze hanno profondamente logorato. Ha consumato tutte le sue risorse na­turali e non vive che per forza di volontà, con una lu­cida ferocia di intelletto. E' un aristocratico di linea perfetta).

 Bernardino                   - (ha 45 anni. Ha trascorso la sua vita nei viaggi, osservando più la fauna umana d'ogni paese, che non la natura dei luoghi. E' il vero animate sociale, scettico nel cuore, profondamente, senza affettazioni e senza paradossi).

Leopoldo                      - Domani faremo la « battuta ». Ho detto a Riccardo di preparare i cani e i cavalli. I contadini la fanno ogni sera per conto loro. L'altra notte i lupi scesero sino a Ber­gamo, dicono. Noi non troveremo nulla, natu­ralmente. Ma non ho altro da offrirti. E tu sei capitato all'improvviso. (S'è seduto vicino al fuoco, A Vincenzo che attende) Fai servire il caffè e i liquori.

Vincenzo                       - (s'inchina ed esce per la porta di sinistra).

Bernardino                    - I lupi, intanto, me li hai pre­parati. Me ne ha parlato persino lo chauffeur dalla stazione a qui. Pare che arri villo sino ai cancelli del parco.

Leopoldo                      - (rìdendo sardonico) Fino al can­cello? Puoi dire fino alla veranda. L'altra not­te ne hanno trovato le orme qui davanti! ... Debbono essere lupi ammaestrati.

Bernardino                    - (lo fissa) Perché ridi così?

Leopoldo                      - (con un passaggio) Mi trovi mol­to mutato?

Bernardino                    - Naturalmente, ti trovo mutato. Guanti anni sono che non ti vedo?

LEOPOLDO                - Gli anni! Contano e non contano. D tempo scava; ma è lento. Esistono acidi più rapidi e più corrosivi. (Si leva in piedi) Ma sono ancora forte. Non credi?

Bernardino                    - Perché non dovrei crederlo? Quando a Milano m'hanno detto che ti eri riti­rato in Val Seriana, nella tua villa, ho pen­sato soltanto che tu finalmente ringiovanivi davvero. Solo? ho domandato. Con sua moglie. E sono venuto a trovarci.

Leopoldo                      - (sedendo di nuovo) Per mia moglie?

Bernardino                    - Ho pensato allora che tu fossi definitivamente invecchiato, io non  conoscevo tua moglie.

Leopoldo                      - Lucilla... Già... Ma non è mia moglie.

Bernardino                    - Non te l'ho domandato.

Leopoldo                      - E io te lo dico. Non l'ho sposa­ta. Da dieci anni è con me...

Bernardino                    - Non raccontarmi i tuoi segreti. Non m'interessano. Ti racconto forse i miei? Ho viaggiato. Adesso vengo da Marsiglia, dove sono sbarcato. Che ti interessa il resto? Studiami, se vuoi conoscermi. Se sei capace, scendi dentro me stesso e guardavi la rovina, che vi hanno portato la vita e il mondo. Troveresti un cumulo di macerie» Ma quel che potrei dirti io, che valore ha? Così, tu. T'ho lasciato che vive­vi nella tua dissolutezza; donne e veleni. Io non ci ho trovato nulla a ridire. Ritorno e tu sei in Val Seriana, in clausura. Penso che questo ti convenga assolutamente.

Leopoldo                      - (l'ha ascoltato, senza seguirlo) Come trovi Lucilla?

Bernardino                    - Ha il tipo italiano. Era molto tempo che non rivedevo- donne italiane.

Leopoldo                      - E' viaggiando, che hai imparato a schermirti?

Bernardino                    - (evasivo) Da un anno oramai ti sei ritirato a Ponte Selva?

Leopoldo                      - - Un anno. Da quando mi sono cominciati i primi attacchi del male. Il dottore mi aveva dato tre mesi di vita. Gliene ho già rubati nove in più. Ma non è finito!

Bernardino                    - Lo spero bene.

Leopoldo                      - (freddamente) Non è finito, ve­di, perché voglio che la morte mi serva. E per servirmi mi occorre ancora qualche giorno. Qualche giorno di osservazione.

Bernardino                    - Ascoltami, Poldoi. Io sono ar­rivato oggi. Mi hai accolto bene. Penso che ti abbia fatto piacere rivedermi. Ebbene, se vuoi che rimanga ancora qui qualche giorno, non parlarmi né di te, né della morte. Non solo non m'interessa; mi turba. In questo nostro mondo, la morte balia una sarabanda tragica. Starnazza per tutti i cantoni, a ogni ora. Non è necessario anche sentirne parlare. Ti prego. (Si è alzato e si guarda in giro) Tutto com'era, hai lasciato.

Leopoldo                      - Sì, tutto com'era. Così rimarrà... per gli altri.

Bernardino                    - (con un moto) Già... (Va alla vetriata) I monti... la neve... Quanto tempo che non vedevo la neve! A Milano l'ho trovata. Ma qui in campagna la neve è un'altra cosa. Soltan-to in campagna essa ha un'anima.

Lucilla                           - (viene dalla destra con Samuele. E' bellissima. In piena forza di gioventù. Essa re­prime ogni moto interno, sotto un'apparenza di tranquilla e quasi sdegnosa semplicità di paro-le e di gesti. E' però nel vestito elegantissima e accende nella casa, in quel mondo triste, una fiamma). E' vero, Seregna, che la neve ha un'anima? Io l'ho pensato molte volte. Un'ani­ma appassionata. Non ci si ammanta di tanto gelo, se non si ha un vulcano da nascondere.

Bernardino                    - Lei pensa, signora? E' una idea. Certo a vivere nella villa di Poi do... nella sua villa, signora... così sola... possono venire di queste idee.

Samuele                        - (il notaio, ha sessant’anni. E' un vecchio asciutto e nervoso. Molto elegante, cerca di riparare ai danni del tempo coi cosmetici e le pitture) Perché dice: così sola, signor Seregna? La signora ha molti amici, gli amici del marchese. Qui tutte le sere ci sono io, il dottore, e poi vengono da Milano. Questa sera c'è lei.

Leopoldo                      - Tutti costoro, lei compreso, non contano. Bernardino ha ragione. E' vero: tu sei sola, Lucilla!

Lucilla                           - Io sto con te, Leopoldo. Non sento la solitudine, come la chiama il tuo amico. Poi­ché è necessario star qui, io mi ci trovo benis­simo.

Leopoldo                      - Già, è necessario star qui. E tu ti ci trovi benissimo. Bernardino! Lucilla è una donna saggia e non nasconde un vulcano sotto il suo ghiaccio.

Lucilla                           - Non capisco che cosa tu voglia dire!

Vincenzo                       - (viene dalla sinistra con il caffè. Depone il vassoio su un tavolo. Poi a Lucilla) Signora, c'è Riccardo che chiede gli ordini per domattina.

Lucilla                           - (alzandosi) Vengo.

Leopoldo                      - (subito) No, fallo entrare. Gli parlo io. A caccia domani ci debbo andar io!

Lucilla                           - Sei proprio risoluto a far questa « battuta »? E' quasi un anno, oramai, che non monti a cavallo. Hai domandato al dottore?

Leopoldo                      - Ma che dottore! Ho da saper io, se posso o non posso. Fai entrare Riccardo.

Vincenzo                       - (si ritira).

Lucilla                           - (a Bernardino)  E' in onore suo, che Leopoldo vuol fare questa battuta...

Bernardino                    - In onore mio o dei lupi? Ar­rivano fino sotto la villa!

Lucilla                           - Ah! gliel'hanno detto?

Bernardino                    - (le si è avvicinato) Poldo dice che è un lupo ammaestrato. Lei che ne pensa?

Lucilla                           - (piano) Che lei dovrebbe impe­dirgli di montare a cavallo domani. Anche l'al­tra notte ha avuto un attacco d'asma, che l'ha ridotto in fin di vita. E' un'imprudenza.

Bernardino                    - (voltandosi a guardare Leopoldo, che è vicino al fuoco) Mi sembra forte. Lo trovo come l'ho lasciato.

Samuele                        - (avvicinandosi ai due) Certo la signora le parla del conte. Sì, senza dubbio, il male è serio. Ma forse un po' di moto...

Bernardino                    - Lei è il notaio?

Samuele                        -  Il notaio, sì.

 Bernardino -                 - Conosce Leopoldo da molto tempo?

Samuele                        - Sono il notaio di casa, conosco il conte da bambino. Dalla successione in poi, ho sempre amministrato il patrimonio. Il conte si fida di me, come di se stesso.

Vincenzo                       - (introduce Riccardo).

Riccardo                       - (il cacciatore è un giovanottone for­te e rude. Ha il cappello fra le mani. Aspetta che Leopoldo gli parli).

Leopoldo                      - Bravo, tu! Vieni qui. Domattina ci muoviamo alle otto. E' molto tempo, eh? che non mi vedi a caccia! Ma adesso si ricomincia. Hai tutto pronto?

Riccardo                       - Tutto, signor conte. I cani sono in esercizio. Ho avvertito Antonio. Lei monta sempre Morello, è vero?

Leopoldo                      - Vedrò domattina: Morello o un altro. Andremo sul Cucco. Se non trove­remo i lupi, troveremo le lepri.

Riccardo                       -  I lupi sarà difficile, signor conte. Sono bestie dannate, quest'anno! Questa notte sono stato con Antonio alla posta tutta la notte. Niente!

Leopoldo                      - (sardonico) Proprio niente, eh?

Riccardo                       - Sì, verso la mezzanotte s'è sen­tito un fruscio al capanno. Ci siamo lanciati. Lontano, fra gli alberi, Antonio ha visto una ombra. Io ho sparato, ma a casaccio, così, nel buio. Poi più niente. E stamane non si è smossa.

Leopoldo                      - Al di qua del cancello?

Riccardo                       - (imbarazzato) Sì. Io dico che  è un lupo.

Leopoldo                      - Bestia! Un lupo è, un lupo. Che vuoi che sia, un uomo?

Riccardo                       - Eh!

Leopoldo                      - Ma non dire sciocchezze, e non mettere queste idee in testa alla servitù. E poi t'ho proibito di metterti alla posta. Non voglio. Se il lupo viene fin qui, lascialo venire. Ma non voglio che di notte spariate! L'ho sentito, sai? il tuo colpo dell'altra notte, e non ho vo­glia di essere svegliato dai tuoi colpi. Ci siamo intesi?

Riccardo                       - Sì, signor conte. Ma se è un uo­mo, lo freddo.

Leopoldo                      - E tu freddalo. Ma se tiri un al­tro colpo a vuoto, me la paghi. Va' pure.

Riccardo                       - (s'inchina ed esce).

Samuele                        - (subito, con voce stridente) Un uomo dev'essere, un uomo dev'essere. I lupi non saltano i cancelli.

Lucilla                           - (serve il caffè, sorridendo) Un uomo che arriva fino alla vetriata e poi se ne va, per il gusto di veder dentro a questa sala... Mi sembra che sia una storia, come quella del lupo, la sua, dottor Samuele.

Samuele                        - Un lupo no, signora bella! Un lupo no.

Leopoldo                      - Uh lupo o un uomo, a lei che gliene importa, dottore, che ci si arrabbia tan­to;? Lasci che venga chi ha da venire. Non siamo sotto al monte Cucco, e da tre anni a questa parte non si trova forse uno scheletro ogni anno, su quel monte? Se fosse uno spirito!

Bernardino                    - (ha osservato i tre con attenzione) Uno scheletro ogni anno?

Leopoldo                      - Sì, è il mistero del monte Cuc­co. Domani ti farò vedere i luoghi dove li han­no trovati. Non per niente sulla facciata della chiesa di Clusone c'è l'affresco della « Danza Macabra ». Sei venuto a trovarmi in un paese poco allegro, amico mio!

Bernardino                    - (avvicinandosi a Lucilla) Lei dice per questo, signora, che non si sente sola?

Lucilla                           - Si interessa alle storie dei fanta­smi, lei?

Bernardino                    - Quando lasciano tracce sulla neve.

Lucilla                           - Stia tranquillo, che dormirà be­nissimo stanotte. Tutte queste sono storie.

Bernardino                    - La villa è così grande che i lupi potrebbero benissimo nascondervisi. Prendono questa o quella scala per salire.

Lucilla                           - (ridendo) si fermano lì, dinanzi alla vetriata.

Leopoldo                      - (indicando la scala di sinistra) Se stanotte prendono questa, ti trovano. La tua camera è lassù.

Bernardino                    - (ubicando la scala di destra) E se prendono questa?

Leopoldo                      - Trovano Lucilla e me. Ma non l'hanno mai presa ancora;

Samuele                        - Un lupo, no! Un lupo no;!

Leopoldo                      - Dottor Samuele, sa perché ho detto a Riccardo di non stare in appostamento? Perché il parco è pieno di tagliole; ma di ta­gliole grandi, per bestie grosse. Una notte di queste, se la bestia viene, ci casca di sicuro. E allora vedremo se è un lupo. E così, lei sarà tranquillo. Ma adesso lasci andare i lupi e gli uomini e beva il suo caffè, se questo le fa pia­cere. Anzi, bevendolo, venga con me, nella bi­blioteca, che le debbo parlare

li ho

Samuele                        - Se è per i contratti, signor conte,

con me;

 Leopoldo                     - Non è per i contratti, venga. (A Bernardino) Ti lascio a far compagnia a Lucilla, Lucilla è uno spirito sereno e se tu dav­vero temi i fantasmi, ti rassicurerà.

Bernardino -                  - Ti ringrazio del pensiero gen­tile.

Leopoldo                      - (esce dalla destra, seguito dal no­taio).

Lucilla                           - (s'è seduta accanto al fuoco. Fissa Bernardino) Da dove arriva adesso?

Bernardino                    - Forse da Costantinopoli, forse da più lontano. Chi lo sa?

Lucilla                           - Viaggia sempre?

Bernardino                    - Sempre.

Lucilla                           - Perché?

Bernardino                    - Per vivere.

Lucilla                           - Fugge o cerca?

Bernardino                    - Non è un'impresa, è un me­todo. A conoscere tutti gli uomini, non se ne ama nessuno. (S'è seduto anche lui, un po' di­stante, osservando la donna con freddezza: ma spietatamente) Anche le donne, del resto.

Lucilla                           - Ha paura dei fantasmi, davvero?

Bernardino                    - E perché no? Soltanto a cono­scerli, si può non averne paura.

Lucila                            - (ridendo) Vuol dire che io li co­nosco?!

Bernardino                    - (fissandola) Ho cominciato a viaggiare a trent'anni. Adesso ne ho quaranta­cinque. Continuerò fin che posso. Soltanto quan­do si è giovani, si sta fermi.

Lucilla                           - (guardando il fuoco) Quando si è giovani! Si può star fermi... accanto ad un fuoco...

Bernardino                    - La neve è eternamente gio­vane; a credere a lei, signora, perché essa na­sconde un vulcano.

Lucilla                           - Sì, forse. (Fissandolo) Eppure no. Forse lei sbaglia. Non è viaggiando che si im­para a guardare in fondo alle anime.

Bernardino                    - Ho trovato recentemente una anima nel buio di un negozio di antichità, nel­le viuzze di Monastiraki, ad Atene. Era quella di una cipriota, che vendeva icone sacre... certi santi ortodossi con la barba e il naso aquilino, su fondo oro... Ne volevo comperare uno. Le chiesi: è autentico? Proprio Bisanzio l'ha visto nascere? E la guardavo negli occhi. Due occhi neri, signora, profondi, acquosi, bellissimi. Due occhi da specchiarvisi o da annegarvisi, a pia­cere. La donna mi sorrise e mi rispose: se lei crede che il santo sia autentico, per lei lo è realmente. A che scopo dovrei darle una rispo­sta? Creda, creda, e lo comperi.

 

Lucilla                           - E' vero! Quella greca aveva una anima. Mia non le pare un poco artefatta, forse? Un'anima da venditrice.

Bernardino                    - Un'altra ne ho trovata a Batum. Avevo fatto la traversata del Mar. Nero, in una notte afosa di giugno. Il mare era uno sta­gno. Ad un tratto l'acqua s'era messa a ribol­lire. La nave cisterna che mi portava rullò tutta la notte disperatamente. Quando potemmo fare scialo, scesi con la gioia di toccar la terra ferma. Ha mai viaggiato sul mare in una notte di giu­gno, afosa e immobile?

Lucilla                           - Non ho mai viaggiato sul mare, Seregna. E le notti di giugno sono talvolta afose e immobili anche qui da noi. Sono terribili quel­le notti... a non viaggiare.

Bernardino                    - (colpito dalla stranezza del w»o accento, la fissa).

Lucilla                           - (guardandolo con occhi rasserenati e limpidi, con un passaggio) Io non sopporto il gran caldo, Seregna. Per questo, non mi pro­ponga mai di venire con lei in Oriente.

Bernardino                    - Allora a Batum... In albergo. Non le consiglio, signora, di frequentare alber­ghi, come quello di Batum. Una casa a due piani... Le camere danno l'esatta impressione degli scannatoi; ma hanno l'acqua corrente fred­da e calda... Si pensa subito che essa debba ser­vire a lavare le tracce di sangue. Non è ancora la steppa e non è più la città.

Lucilla                           - Io adoro quegli alberghi... che non conosco. Adoro l'avventura, Seregna. La avventura pericolosa. Sogno l'intrigo e la fuga! (Ridendo) Talvolta persino la forca e la fucila­zione.

Bernardino                    - Per un'avventura amorosa, che travolge!

Lucilla                           - Ma no! Si muore d'amore, mi di­cono. E io non ho mai provato a morirne. Oc­corre avere vent'anni, forse. Io non li ho mai avuti. Non conosco avventure. (Con un passag­gio). Ma tutta la vita è un'avventura. Da quando si nasce. Occorre aspettare lo scioglimento.

Bernardino                    - Anche lei pensa alla, morte?!

Lucilla                           - Ma no, niente affatto, Seregna. Penso alla vita... (Un silenzio) Batum, dunque?

Bernardino                    - L’altra anima le avevo pro­messo. Adesso, non vorrei averle Fatta una pro­messa troppo precipitosa. D'altronde era una anima russa. Una cellula, come dicono i bol­scevichi. Bella, però, bionda, fragile; una boc­ca rossa... Apriva una ferita sul volto pallido... La incontrai in albergo, appunto,.

Leopoldo                      - (s'è mostrato alla porta di destra e ascolta con un sorriso sarcastico).

Bernardino                    - Era venuta a Batum, inviatavi dal Governo Centrale di Mosca. Faceva parte della Ceca. Aveva una missione atroce: far fuci­lare un fuggiasco, che a Batum stava cercando dì imbarcarsi, per raggiungere le truppe di Wrangel.v.

Lucilla                           - Glielo disse?

Bernardino                    - Me lo disse, quando l’ebbe trovato.

Lucilla                           - E lo fece fucilare?

Bernardino                    - Naturalmente no; non me lo avrebbe detto, in quel caso. Lo rintracciò... lo conobbe... lo amò... e fuggirono assieme. Una anima, che ne dice, signora Lucilla?

Leopoldo                      - Io direi: un corpo!

Bernardino                    - E' una teoria, anche la tua! Ma forse la tua signora crede all'anima e... all'amore.

Lucilla                           - Oh! io, Seregna! Che vuole che le dica? Non bisogna mai chiedere ad una don­na se crede all'amore. Forse, ne vive, senza saperlo.

Leopoldo                      - (bieco) Ecco! Forse ne vive, sen­za saperlo e senza che gli altri lo sappiano.

Vincenzo                       - (venendo dalla sinistra) Il dottor Mediani e la sua signora.

Lucilla                           - La signora Modiani? (A Leopol­da) Tu sapevi che il dottore avesse moglie?

Leopoldo                      - Sì, credo che me lo abbia detto. (Parlando a destra) E' pronto Clerk con le sue carte? Sì? Vengo. (A Lucilla) Ricevi ancora da parlare pochi minuti (Scompare a destra).

Lucilla                           - (a Vincenzo) Falli entrare.

Vincenzo                       - (si ritira).

Lucilla                           - Mi racconterà.. ancora, Seregna, le sue storie... le sue storie... d'anime. N'è vero? .

Bernardino                    - Se questo le fa piacere, si­gnora. . Se non ne ho raccolte molte nei miei viaggi. Ho paura... Vede? Oltre che dei fan­tasmi, ho paura degli uomini. Non creda che a viaggiare ci si renda invulnerabili! A conoscere il pericolo, si impara a temerlo.

Lucilla                           - C'è forse un po' di ostentazione... c'è della maniera, in questo suo continuo stato di difesa, Seregma...

Bernardino                    - Anche lei, signora, però, coma me...

Lucilla                           - (ingenua) Anch'io?

Bernardino                    - (con un passaggio) E' il me­dico curante, che sta per entrare?

Lucilla                           - Sì. E' il medico condotto di elu­sone. Cura Leopoldo sulle indicazioni degli specialisti di Milano.

Vincenzo                       - (introduce Gino e Claretta, e si ri­tira).

Gino                              - (Un giovane dottore di paese. Semplice e rude. Sua moglie sembra una bimba, tanto è giovane e graziosa) Buona sera, signora. Il conte è già a letto?

Lucilla                           - No, è di là col notaio. Verrà su­bito.

Gino                              - Mi son permesso di condurre mia moglie. Questa benedetta figliola con tutte le storie di lupi, che corrono il paese, non ha vo­luto lasciarmi venir solo. E' stupidina, vero? Mia bisogna perdonarle: è ancora una bimba! Non ci siamo sposati che da tre mesi.

Lucilla                           - Ha fatto benissimo, dottore. E io sono assai contenta di conoscere sua moglie.

Claretta                         - Grazie, signora. Ma non è vero che ho fatto bene ad accompagnarla? Dal paese alla villa c'è quasi un chilometro... Certo, sono storie, e Gino non è uomo da aver paura; ma io sarei stata in ansia, tutta sola in casa, ad aspet­tarlo. E' terribile l'attesa, di notte... si contano i minuti... ogni rumore sembra un grido...

Lucilla                           - (le si avvicina con simpatia) Vuo­le molto bene a suo marito, signora!

Claretta                         - (con semplicità) Oh! sì, ci vo­gliamo molto bene...

Lucilla                           - (rapidamente, quasi con violenza)   Bernardino Seregna... un amico di Leopoldo. Il dottor Mediani... (A Bernardino) Che la si­gnora sia la moglie del dottore, lei lo ha inteso, cercatele d'anime.

Bernardino                    - (s'inchina)   Io le auguro, si­gnora, che pèr tutta la vita ella abbia ad accom­pagnare suo marito, per paura dei lupi e del­ l'attesa. (Stringe la mano al dottore) Lei cura Leopoldo?

Gino                              - Sì. Seguo il corso della malattia del conte. Purtroppo non si può che far questo: osservare il processo del male, contenerlo, quan­do si arriva a tempo. Arrestarlo è oramai im­possibile.

Bernardino                    - (i due uomini sono vicini, mentre Lucilla ha fatto sedere Claretta presso il ca­mino) Grave?

Gino                              - Irrimediabile.

Bernardino                    - Quanto potrà resistere?

Gino                              - La fibra del conte è ormai logorata. Potrà ancora superare un assalto, forse due. Ma al primo attacco d'asma violento, il cuore si spezzerà. E' un cristallo incrinato, che non può reggere ai colpi.

Bernardino                    - Leopoldo lo sa?

Gino                              - Limpidamente. E' un fenomeno co­mune negli ammalati di quel genere, la chia­roveggenza.

Bernardino                    - (abbassando la voce) E la si­gnora... La signora Lucilla conosce questo pe­ricolo?

Gino                              - Era mio dovere avvertirla.

Bernardino                    - Sa che la morte può essere an­che per oggi?

Gino                              -   Credo che non si nasconda una tale eventualità. Per quanto, naturalmente, la spe­ranza non l'abbia abbandonata.

Bernardino                    - (ironico) La speranza!...

Gino                              - E' ammirevole la signora Lucilla! Non ho mai veduto una creatura giovane dedi­carsi ad un'opera di assistenza con così fervido attaccamento, con tanta semplice dedizione. Credo fermamente che, se il pronostico lei miei maggiori colleghi di Milano -  i quali un anno fa davano al conte soltanto tre mesi di vita - non s'è avverato, molto lo si debba alle cure della signora.

Bernardino                    - (tace, fissando Lucilla).

Lucilla                           - (parla con Claretta fittamente, se­duta presso di lei. Adesso la ascolta e la guarda, quasi con tenerezza. Sente il silenzio dei due uomini e si rende conto d'essere osservata. S'interrompe, sorride) Ci guardate? Sa, che è deliziosa sua moglie, dottore?! Dice delle cose squisite. Piccole buone cose, piene d'una poesia che commuove. Faceva bene a tenerselo nasco­sto, tutto per sé, un simile tesoro!...

Gino                              - Claretta è buona. Ma anche lei è buona a saperla comprendere, signora.

Bernardino                    -  Questo è il mistero della gio­vinezza, signora Lucilla. Comprendere e amare.

Lucilla                           - (levandosi di scatto) Sì, Seregna, questo è il mistero della giovinezza. Occorre avere un rispetto sacro della giovinezza! Occor­re adorare la giovinezza. Soltanto i giovani hanno diritto alla vita e all'amore, soltanto i giovani. E invece, la vita prende la giovinezza e la comprime e la imprigiona e la stritola fra le morse della necessità. (E' eccitata, sfavilla bellezza e giovinezza dal suo corpo eretto, ma­gnifico).

Bernardino                    - (fissandola) L'avventura, la forca, la fucilazione!

Lucilla                           - (riprendendosi) Crede proprio che ci sia bisogno di tutto questo? Ma no... ma no...basta la libertà. (Con un altro passaggio) E poter seguire il proprio marito, quando esce di casa alla sera e ha da fare un chilometro in aperta campagna...

Gino                              - Già, i lupi scendono al piano. Che inverno quest'anno, che inverno!

Leopoldo                      - (viene dalla destra con Samuele, parlandogli)   -- Così come le ho detto, Cleik. Così come le ho detto. (Salutando) Buona sera, dottore.

Samuele                        - (fregandosi le mani, con un riso­lino cattivo) Così, certamente. Così... (Guar­da nelle mani di Leopoldo) Ma quelle carte? (Indica).

Leopoldo                      - (ha nelle mani un rotolo di carte legate con un nastro. Ride d'un breve riso cat­tivo) Queste? Queste servono a me! E' uno scherzo! La tagliola! (Va ad un mobile, lo apre, vi chiude le carte, mettendosi la chiave in ta­sca. Ritornando a Gino) E così, dottore? An­che quando c'è la neve, lei non m'abbandona! (S'inchina a Claretta) Sua moglie? (La fissa) La sua bella e giovane moglie! Che ne dice, si­gnora, di questo ammalato, che fa muovere suo marito anche di sera?

Claretta                         - Oh! signor conte, mio marito ha da fare il suo dovere.

Leopoldo                      - E lei compie il suo di buona moglie, seguendolo. Dunque, dottore, l'amma­lato è ancora vivo. Tanto vivo che domattina andrà a caccia.

Gino                              - A cavallo?

Leopoldo                      - A cavallo.

Gino                              - Non glielo permetto. Se vuole andare a caccia nei dintorni, a piedi, senza stancarsi, riposando ogni tanto, può farlo. Non glielo consiglio; ma non mi oppongo. Ma a cavallo, no. Per tranquilla che sia la bestia, la affati­cherebbe troppo.

Leopoldo                      - (a Bernardino) Vedi? Che ne dici? Adesso mi trovi mutato?

Bernardino                    - Non ti trovo mutato, ti trovo ammalato. Non è nulla di grave. Ci si cura e si guarisce.

Leopoldo                      - No! La differenza è appunto in questo, che ci si cura e non si guarisce. Si muo­re. E' perfettamente idiota, che per strappare dieci giorni, quindici, un mese forse di vita al destino, io mi interdica tutto quello che mi fa piacere, sicché questi ultimi miei giorni siano di martirio. No, dottore, col suo permesso o senza, io andrò alla <t battuta » domani.

GiNo                             - Declino ogni responsabilità.

Leopoldo                      - Lei? Ma chi si sogna di darglie­ne alcuna di responsabilità! Può ridarmi la salute, lei? Può ridarmi la gioventù? Può ri­darmi la forza? Occorrerebbe che non avessi logorato il mio corpo, così come l'ho logorato! Occorrerebbe che non avessi vissuto la vita, fin quando ho potuto, e un poco di più! Lasci an­date, dottore! Lasci che io me ne vada... quan­do dovrò andarmene. Crede che sia un viaggio di piacere, e può supporre che io mi metta in treno contento? No, dottore! Con la morte non si scherza. E' terribile! (S'è acceso e parla ora, come a se stesso, sillabando) E' terribile la­sciare quello che si possiede. E' terribile la­sciare la propria donna! Andarsene per sempre! E gli altri rimangono! Quando si vede questa realtà e si capisce che non si può più sfuggire ad essa... che non si può... allora si grida... Ah! si grida come bestie prese al laccio e condotte al macello, fino allo spasimo, fino alla dispera­zione.   

Tutti                              - (lo ascoltano atterriti).

Claretta                         - (come presa dal terrore s'è aggrap­pata al braccio di Gino e lo stringe, quasi per non perderlo, per proteggerlo).

Leopoldo                      - E anche quando la vita è un mar­tirio... quando il dolore dilania... quando il piacere è nausea e schifo... quando si vorrebbe morire, per non vedere più, per non sapere più... anche allora, davanti alla morte, è la vita che riprende... e ci si aggrappa ad essa... e si annaspa... e si dice: non voglio, non vo­glio, non voglio! ... (Guarda fissamente nel vuo­to, come allucinato. Poi guarda Lucilla, e fa per afferrarla, ma vacilla e sta per cadere.

Lucilla                           - (con un gesto d'orrore, s'è ritratta nel fondo, senza più anima).

Samuele                        - (si è contratto in se stesso,-e fa dei gesti con le mani, come per allontanare il pe­ricolo).

Bernardino                    - (è fermo impassibile. Non sorride più: ma non teme. Per lui è un episodio).

Gino                              - (guarda) Leopoldo attentamente, e quan­do lo i)e£e~ vacillare, si libera dalla stretta di Claretta e lo sostiene) Su, non si agiti così! (Gli afferra il polso; lo obbliga a sedersi. A Lucilla) Il calmante, presto.

Lucilla                           - (s'è riavuta. Corre nella stanza vi­cina a destra e torna subito con una bottiglina e la porge al dottore).

Gino                              - (si cerca attorno, sente che Leopoldo manca, e deliberatamente mette la bottiglia tra le labbra del malato, facendolo bere).

                                      - (Un silenzio ansioso).

Leopoldo                      - (s'è ripreso. Sorride) E' passato. (Si alza) Allora è inteso, dottore, non andrò a caccia. Mi dispiace per Bernardino a cui non potrò far compagnia. Ma quando si confessano le proprie debolezze, così come ho fatto io, poi non si ha più il diritto di far bravate. (A Ber­nardino) Andrai solo.

Bernardino                    - Potrò anche non andare, del r< sto non ho nessun desiderio di cercare i lupi.

Leopoldo                      - (scrutandolo) Tu credi che po­trai vederli anche stando qui?

Bernardino                    - Questa notte?

Leopoldo                      - (subito) No! Questa no! (Ri­prendendosi) Vuoi passarla all'addiaccio?

Bernardino                    - Ma neppur per sogno!

Lucilla                           - (andando presso Claretto) S'è spa­ventata, signora? Su, presto, a casa. Dottore, la sua piccola moglie è qui che trema ancora, la riconduca. E non la porti mai più in visita con sé!

Claretta                         - (semplicemente) Oh! no, signo­ra! Sono forte, sa? Ma sentir parlare di morte così! Mi ha turbato. Ho pensato che lui

                                      - (Guarda Gino) ... per la sua professione è in mezzo ai pericoli... Ma è stato un momento. Del resto, se dovesse succeder qualcosa a Gino, io me ne andrei con lui. E allora, in due, non le pare?, non sarebbe morire.

Lucilla                           - (ha un fremito lungo),

Leopoldo                      - (stranamente) No, in due, non sarebbe morire!

Gino                              - Adesso, vada a letto, conte. Lei è an­cora debolissimo. Non bisogna abusare!

Lucilla                           - Sì, Leopoldo, andiamo. Non perché tu stia male; ma anche perché è tardi. Sono quasi le dodici.

Leopoldo                      - Dici bene. E' tardi. E' quasi mez­zanotte. ..K mezzanotte io sono sempre a letto. Sempre. Solleverò, Lucilla?

Lucilla                           - Per questo, ti dico.

Leopoldo                      - Hai ragione! Dottore, a domani.

Gino                              - A rivederla",--cQnte. (Saluta gli altri, mentre Bernardino e SamuélT^^finchinano a Claretta. A Lucilla, che lo accompagna alla porta, piana) Se gli tornasse un accesso," prima il calmante, e se mai l'iniezione. In tutti i casi, mi mandi a chiamare.

Lucilla                           - E' grave?

Gino »                           - Irrimediabile. (Esce con Claretta da sinistra).

Leopoldo                      - (a Lucilla) Ti diceva che è la fine?

Lucilla                           - Che idee! Mi prometteva che avrebbe fatto tornare da me sua moglie. E' molto carina.

Leopoldo                      - Sì, è molto carina. Ma adesso bisogna, che Vincenzo accompagni Bernardino nella sua camera.

Lucilla                           - (suona).

Bernardino                    - Non ti occupare di me. Io posso rimanere qui col notaio... Faremo quat­tro chiacchiere.

Samuele                        - Volentieri, signor Seregna... vo­lentieri... Ma sa? domani Mattina.., debbo al­zarmi per tempo, io!... E questa sera ho già fatto più tardi del solito... Domani, se vuole, domani sono a sua disposizione.

Bernardino                    - Be', allora...

Vincenzo                       - (compare a sinistra).

Lucilla                           - Accompagna il signor Seregna nella sua camera.

Bernardino                    - (siringe la mano a Leopoldo e a Samuele) A domani, allora. (Bacia la mano a Lucilla) Per di qui... i fantasmi... mai?!

Lucilla1                          - (secondandolo nello scherzo) Per di lì... (Indica la scala di sinistra) i fantasmi... mai!, signor viaggiatore! (Sorride) Si ricordi, più tosto, che domani ha da raccontarmi altre storie d'anime.

Bernardino                    - Speriamo che me ne ricordi qualcuna interessante! (Sale per la sinistra, pre­ceduto da Vincenzo).

Leopoldo                      - (a Samuele) A rivederci domani, Clerk.

Samuele                        - Verrò da lei domattina.

Leopoldo                      - (afferrandolo per un braccio e ti­randoselo vicino) Però, anche se non mi ve­desse più, Clerk...

Samuele                        - Ma che dice?!

Leopoldo                      - Anche se non mi vedesse, lei non ha più bisogno di me?!

Samuele                        - Ma no...  

Leopoldo                      - Tutto in regola? Tutto come voglio io?

Samuele                        - Tutto, tutto, signor conte.

Leopoldo                      - (lasciandolo, sollevato) Ah! va bene. A rivederci.

Samuele                        - (si volge a baciare la mano a Lu­cilla) Buon riposo, signora.

Lucilia                           - (che dal fondo ha osservato i due, con preoccupazione) Buona notte, Clerk. A domani. Tornerà domani?

Samuele                        - Certo, che tornerò. Tornerò, signora         - (Esce per la sinistra).

Leopoldo                      - (s'è seduto davanti al fuoco).

Lucilla                           - (in piedi in mezzo alla sala) E' simpatico il tuo amico Seregna.

Leopoldo                      - (scotendosi) Ti sembra? Col viaggiare s'è fatta un'anima di legno 'e l'ha pa­tinata di indifferenza. Così neppure assorbe. Ma è intelligente, senza dubbio. Vede lontano e profondo. (Si volge e fissa Lucilla) Non ti sei accorta, che ti scrutava?

Lucilla                           - Tutti gli uomini cercano di scru­tare, quando per essi la donna è nuova.

Leopoldo                      - E bella. (Nel fissarla Iva un leg­gero lampo di desiderio).

Lucilla                           - (conoscendo il suo male, cerca di­strarlo) Clerk deve tornare domani?

Leopoldo                      - (alzandosi) Perché mi domandi questo?

Lucilla                           - Per domandarti qualcosa. Gli hai date disposizioni per i terreni?

Leopoldo                      - Sì... anche per i terreni. (Le è vicino e la scruta, leggermente preoccupato) Che cosa temi? Perché ti preoccupi di quel che faccio con Clerk?

Lucilla                           - (ride) Ma non me ne preoccupo affatto!

Leopoldo                      - Aspetti la mia morte, Lucilla! (Tentando il gioco dello scherzo) Sentiamo... che cosa farai allora?... Sola rimarrai... per quanto tempo ?

Lucilla                           - Non tormentarti così, Leopoldo! T'è appena cessata l'agitazione e tu ricominci a martoriarti! Credi che sia piacevole, per chi ti è vicino, vederti soffrire?

Leopoldo                      - Ma no... ma no... non mi agito affatto. Credi davvero che come Sardaniapalo, io voglia farmi sotterrare con la mia donna... coi miei gioielli... con questa villa!... Lascio i gio­ielli... la villa... e la donna! Che vadano pel mondo anch'essi... liberi...

Lucilla                           - (quasi inconsapevolmente ripete) Libera!

Leopoldo                      - Devi sentire il desiderio della libertà, Lucilla, come il cieco quello della luce! II tuo corpo freme... la tua bellezza è tutta un palpito... Andare... andare... verso la gioia... verso il piacere... con la tua giovinezza che è in fulgore... (Ancora le si avvicina) Ti sei fatta più bella in questi dieci anni... eri una giovi­netta acerba... sei una donna... Io t'ho avuta per dieci anni... (Le pone una mano sul brac­cio, poi sul collo, toccandola come se si dovesse deliziosamente bruciare a quel contatto) Per dieci anni!... Sei magnifica!... Ancora oggi per avere il tuo amore... per averti... (ha le labbra aride, la gola secca) ancora oggi, Lucilla...

Lucilla                           - (ritraendosi) Leopoldo, non agi­tarti così!... E' già tardi... è quasi mezzanotte!

Leopoldo                      - (come sferzato) Sì, è quasi mez­zanotte. Hai ragione. Mi vieni ad accompa­gnare in camera?

 

Lucilla                           - Naturalmente. Quando mai non l'ho fatto?

Leopoldo                      - (dirigendosi alla scala li destra)  Si, tu l'hai sempre fatto. Per dieci anni. E per questo dopo... dopo... avrai la tua ricompensa...

Lucilla                           - Non pensare a questo!

Leopoldo                      -  (voltandosi a parlarle, dai primi scalini, con voce tagliente) Eh! no, ci penso, invece. Sai? la povertà è brutta, Lucilla! Anche la tua bellezza avvizzirebbe... Tu conosceresti tutti i patimenti, tutti!... Anche il piacere di­venterebbe uno schifo... La gioventù! Sì, ma la miseria l'uccide!..

Lucilla                           -  (ha avuto un fremito) Non pen­sare a questo!

Leopoldo                      - No... io morrò... io morrò... (Sibilante) Io ti lascerò libera!... (Scompare su per la scala, seguito da Lucilla).

Vincenzo                       - (scende dalla sinistra, spegne le luci, lasciando accesi i due torcieri, vicino al camino. Adesso la sala è illuminata dalla luna e dal leggero chiarore dei torcieri. Vincenzo esce per la sinistra. Quasi subito la grande pen­dola suona i dodici colpi).

Lucilla                           - (scende silenziosamente dalla scala di destra e si ferma presso la vetriata. Attende. Nel chiarore lunare si profila un'ombra.' Lu­cilla, con movimenti cauti, senza far rumore, socchiude la vetriata. L'ombra scivola nell'in­terno. La vetriata si richiude).

Remigio                        - (un giovane di venticinque anni, bel­lo, elegante. È  avvolto in un mantello e ap­pena entrato sì toglie il cappello).

Lucilla                           - (con passione insospettata in lei, gli afferra la testa e lo bacia lungamente sulla bocca. Poi lo afferra per una mano e lo trascina per la porfi£~dic destra, scomparendo con lui. Dal dì fuori, lontari£f*gi sentono due colpi di fucile. Il suono è smorzato-^jQvattato).

Bernardino                    - (subito scende dalla scala di si­nistra e fa per traversare ta^^ft^wuardandosi attorno).

Leopoldo                      -  (scende dalla scala di destra e gli attraversa il passo) I lupi... Hai sentito i colpi?...

Bernardino                    - Già, i lupi. Ma tu, perché sei ancora in piedi?

Leopoldo                      - Mi sono trattenuto a parlar con Lucilla. (Si è seduto davanti alla porta dì de­stra) E poi sapevo che tu saresti sceso. E non volevo lasciarti solo. (Con un ghigno) L'ospi­talità me lo imponeva.

Bernardino                    - (che è in giacca da camera) M'ero messo a scrivere. Ho sentito i colpi. (Con un passaggio) Tu pensi che avrei potuto affac­ciarmi alla finestra della camera! Ma mi avete detto che i lupi vengono fin quasi alla veranda... Fin qui... Non è vero?... A sentir voialtri, ades­so si dovrebbero trovar le tracce sulla neve. Cer­to, qui di fuori... Non c'è che da vedere, del resto... (Si dirige alla vetriata, per aprirla).

Leopoldo                      -  (subito, con un balzo, fermandolo) No... non aprire!... Entrerebbe il gelo... La notte deve essere tremenda.

Bernardino                    -  (ritraendosi) Non temere... non apro. (Un silenzio).

Leopoldo                      -  (ricade nella poltrona, con la testa fra le mani, come schiantato).

Bernardino                    - (lo guarda con tristezza e con sarcasmo) Tutte le sere ti corichi così tardi?

Leopoldo                      - (sollevando il capo) Dopo un'accesso, non posso dormire. Mi sento soffocare nel letto... l'incubo mi attanaglia. Così, molto spesso, passo la notte qui giù... o di là in bi­blioteca... Va' tu, piuttosto, vai a scrivere... e poi riposati. Domattina ti verranno a svegliare presto, per la caccia...

Bernardino                    -  (lo fìssa) Tu passi la notte qua giù?

Leopoldo                      - Sì. Mi fa bene.

Bernardino                    - E' terribile!

Leopoldo                      - E' questione di abitudine. Si può fare l'abitudine a tutto.

Bernardino                    - (ripete, scandendo) Ma è ter­ribile quel che fai contro te stesso!

Leopoldo                      - Il ferro rovente cicatrizza le fe­rite! E io ho la voluttà del dolore. (Sorride) Io attendo di morire, per vendicarmi. Attendo, capisci?! (Indica il mobile dove ha riposto le carte) Non avrà un soldo! (Ghigna, truce).

Bernardino                    -  (dopo un attimo di esitazione) Ho avuto torto, poco fa, Leopoldo, di fermarti al principio delle tue confidenze. Ma non cre­devo! ...

Leopoldo                      - Non credevi che cosa?

Bernardino                    - Vuoi parlarmi, adesso? Vuoi che parliamo?

Leopoldo                      - (sollevandosi, pallido, in un ansi­mo di morte, ma fermamente tragico) No!

Bernardino                    - (colpito) Scusami.

Leopoldo                      - No! Non ho niente da dirti. Non ho niente da dire a nessuno.

Bernardino                    - Scusami. Buona notte. (Sale rapidamente per la scala dì sinistra).

Leopoldo                      -  (quando lo ha visto scomparire, ri­cade affranto, con la testa stretta nei pugni).

FINE