L’AURORA
un monologo di
Nini Ferrara
(premio Xavier Fabregas 1993)
Ad una donna.
Ad una donna "qualunque".
Il tempo: una notte delle nostre notti.
Il luogo: una "strada nazionale" che si spinge ai margini d’un
sobborgo di periferia.
Oppure l’interno d’un giardino pubblico.
O ancora una delle vie attorno a uno stadio.
Un posto con poca luce la notte e intorno molto degrado.
In scena una vecchia panchina con alcune barre divelte; forse dei lampioni, a
limitare quello che un tempo doveva essere un vialetto o una pista ciclabile.
Ad apertura di sipario è buio.
Poi si sente il rumore di un’autovettura che viene messa in moto.
Subito dopo le luci dei fari dell’auto si accendono, rivelando la sagoma di una
donna, piccola, esile: una prostituta: Aurora.
E` ancora molto giovane: venticinque anni, non di più.
La ragazza viene verso il proscenio, indietreggiando e trascinando in una mano
un giubbotto.
Nel controluce si intravedono le sue spalle, lasciate nude dalla generosa
apertura di un completo cortissimo, o di un corpetto che veste su una
ridottissima minigonna.
E’ roba di terz’ordine, per niente sensuale, con ogni probabilità riattata allo
scopo di "mettere in mostra", quanto più possibile, quel briciolo di
femminilità che, indubbiamente, Aurora ancora possiede.
Dopo qualche passo si rivolge al conducente dell’auto: l’ultimo cliente.
Aurora!... Chiedi dell’Aurora, se non mi vedi.
Mi trovano.
(l’auto va via. La donna indossa il suo giubbotto. Poi apre una piccola borsa a
busta che porta con sé, ne tira fuori dei fazzolettini di carta e prende a
pulirsi: le mani, sul seno, tra le gambe.
Li getta via.
Ne prende ancora: sul viso. Ha però come un attimo di esitazione: inizia piano,
quasi carezzandosi, con movimenti lenti, “precisi”: intorno alla bocca; poi gli
occhi, la fronte, le guance. Man mano che pulisce il suo viso, quei movimenti
diventano gradualmente sempre più veloci, forti.
Poi ancora di più. Grida)
Merda!...
(breve pausa)
Su di me.
(prende dei soldi. Ancora dalla borsa. Li conta. Poi)
Centomila. Ancora centomila.
Le devo valere. Centomila ancora. Ancora due. Per fare centomila, ancora due
stanotte. Ancora due che ci abbiano voglia.
O uno: ma di quelli generosi.
E` un pezzo che non ne capitano...
Come quella volta che uno m’ha rifilato un trecentomila per stare a
sentirlo:... una cosa a me che mai neppure gratis me l’avevano chiesto! In una
notte sola, con uno solo, trecentomila io! Che m’ero sentita di quelle che ci
hanno la casa... o che stanno dentro gli alberghi. (prende dalla borsa una
bottiglietta, di quelle "in miniatura", whisky o cognac, la svita e
dà una sorsata) O di quelle che la danno solo il sabato sera. E mai per meno
dei soldi d’un vestito firmato! (sorridendo e alzando la bottiglietta come
fosse un calice) E che prima di darla, gli si deve pagare una coppa!
(come brindando) Cin! All’Aurora! Che nessuno t’ha mai pagato da bere!
(ancora un sorso, poi ride) Trecentomila in un’ora, e per stare a sentirlo!
(breve pausa) Lo sporco è diverso, se stai solo a sentire.
Non meno.
Diverso.
(dà un’ultima sorsata, vuotando la bottiglietta. La getta via. Cerca le
sigarette. Ha l’ultima. L’accende. Poi butta via il pacchetto. Darà poche
boccate alla sigaretta, ma lunghe e cariche di fumo)
Lo sporco di casa, lo sporco di strada, lo sporco dei cessi d’un bar, lo sporco
delle tazzine sporche.
(chiamando) Rossa!
Ci hai da fumare?
chiamando la Rossa non si rivolge verso un luogo in particolare.
Ogni qualvolta si volgerà da una parte diversa, tranne che frontalmente, verso
la platea
(rimane un attimo in attesa di una risposta, poi) Perché non rispondi,
Rossa?
Che ci hai che non parli?
Non ci ha nulla, lei.
Non ci ha mai nulla, lei.
Non ci ha nemmeno parole.
(chiamando) Rossa!
Parole ce n’hai?
(ride) E nemmeno ci ha i capelli rossi che ci ha...
(chiamando) Ehi, Rossa! I capelli, stanotte, di che colore ce li hai?
Come devo chiamarti, stanotte? (ride)
Rossa?
Come devo chiamarti?
(chiamando) Non farteli mai "Rosa"...
Ché non riuscirei più a chiamarti! (ride)
( una breve pausa) Mia madre, lei sì, rossi li aveva...
(chiamando) Rossa!
Mia madre rossi li aveva!
Rossi davvero!
Come il fuoco. Come il sangue. Come il rosso.
La prima volta che la vidi. La seconda non più.
Vecchi, disfatti.
Appassiti.
Ruggine.
(una breve pausa) Se poi davvero quella morta era lei.
(una pausa. Poi, chiamando) Rossa!
Mi senti?
Centomila anche tu - Rossa! - non un soldo di meno.
Ma sii carina con loro.
"Carina con tutti"...
La-Piera me lo ripeteva venti volte in un giorno, ogni giorno. "Carina con
tutti"... "Di’ grazie, Aurora!"... "Grazie:... si dice
così".
(chiamando) Rossa!
T’ho detto mai de La-Piera?
(una breve pausa) Le cose che non t’ho mai detto.
Che io ci sono cresciuta con lei, e nemmeno sapevo chi era.
Era La-Piera.
Soltanto La-Piera.
Lei era carina con tutti. Era carina con me.
Se fosse stata una zia.
(chiamando) Rossa!
Come sono le zie?
Dì, tu lo sai?
No, che non poteva essere zia. E non poteva essere madre. E non poteva essere
neppure donna, La-Piera...
(chiamando) Rossa!
Dì!
Per te che poteva essere La-Piera? (una breve pausa) Che io lo so - lei -
quello che era!
(ride) Centomila! Stanotte centomila. Se c’è qualcuno che lo vuole svelato!
(semplicemente) Era... era una “cosa”.
Come me.
Tutt’e due: “cose”.
Che forse lei l’avevano fatta proprio per me, con me... E me per lei, con
lei... Che da piccola mi conoscevano tutti come “quella-del-La-Piera”, a me.
Fatte anche noi con la mollica di pane e col vino.
Ma per farci, a noi, gli era rimasto solo pane raffermo... E vino più aceto che
vino. (ride)
Che poi La-Piera...
(una breve pausa) Magari non è mai neppure esistita.
(chiamando) Rossa!
Ci pensi? Se non fosse mai esistita La-Piera? (ride)
Sì... sì che è esistita. (prende uno specchietto dalla borsa, vi si
guarda)
A chi potevo rubarlo uno specchio? A lei soltanto potevo rubarlo. A lei che ce
ne aveva una casa piena, e ci restava le giornate davanti ai suoi
specchi.
A passarsi ancora un “filo di trucco”.
E lì dentro ai suoi specchi, c’era La-Piera.
Forse soltanto lì dentro esisteva!
Soltanto lì dentro viveva.
Forse proprio dentro quello in cui ho provato a rubarla.
(una pausa) Ma è svanita in un attimo.
Nelle mani un suo specchio.
Ma adesso ero io lì dentro.
E un “filo di trucco”.
(chiamando) Rossa!
Un filo di trucco!
Per gli occhi - oro! -... e le labbra: fattele nere le labbra!
(una breve pausa) “Un filo di trucco”...
(prende una “matita” o un rossetto, si rifarà un po’ il trucco nel corso delle
battute che seguono) La-Piera diceva così.
Lo ripeteva.
Davanti a matite smezzate e terre imbrattate.
Lo ripeteva.
Segnandosi gli occhi e la bocca, ogni volta ubbidendo a tutto ciò che lo
specchio le chiedeva di essere.
E io la spiavo lì dentro ai suoi specchi.
Aggrappata alla seta della sua lunga vestaglia.
La sentivo.
E lei mi guardava.
E mi diceva che io non ce l’avevo una faccia da trucco... - "Non è roba
per te!" -
Me l’urlava.
(una pausa) Ma restavo da sola la notte.
E volevo giocare.
A sfidare i suoi specchi.
A tenerle quelle matite smezzate - nelle mani tenerle! E a toccarle quelle
terre imbrattate - sulla pelle toccarle!
Giocare...
E piano piano m’accorgevo di prenderci il gusto di fare un gioco che gli altri
non vogliono;... uno di quelli che più ti dicono no, più gusto ci trovi a
giocare.
Avevo paura a toccarmi con quelle matite, avevo paura all’inizio.
Lentamente... (s’interrompe)
Ma subito la mia pelle aveva imparato a succhiarne ogni colore.
Ventose.
I pori del mio viso si aprivano e stringendole inghiottivano quelle terre
imbrattate.
E mi guardavo.
Gli occhi truccati.
E le labbra.
Pesanti.
E le unghie, mani e piedi, che con lo smalto me le facevo corallo.
Poi m’infilavo le scarpe più alte che c’erano, quelle che ci avevano un tacco
così... E mi mettevo tutto a giro uno scialle, uno con una frangia lunghissima
- ch’ero così piccola, che in quella frangia ci raccoglievo tutto quello che
stava per terra -...
E poi me ne andavo nella stanza dove La-Piera ci aveva il suo letto; e proprio
davanti a quello, tra le due ante d’un mobile, ancora uno specchio.
E ci rimanevo lì, truccata in quel modo, tra il letto e lo specchio. Ci
rimanevo fino a quando La-Piera tornava e veniva a vedermi.
(chiamando) Rossa!
Mi sorrideva La-Piera.
Mi sorrideva sempre all’inizio.
Delle volte pigliava pure un cappello che ci aveva lei - uno che se lo teneva
nascosto! - uno di quelli che adesso ad usarli ci riderebbero dietro...
(una pausa) Una veletta. Davanti.
Una piccola rete.
E un fiore.
Di nodi.
(ancora una pausa. Poi con un sorriso) Poi le sue mani lo lasciavano... Lo
adagiavano piano... - senza parlare sorrideva La-Piera - sui miei capelli - ero
immobile io - che sbuffavano - sorrideva sempre La-Piera - a boccoli.
Gioco.
Brevissimo.
(Una pausa) Che poi un attimo... E d’un tratto me lo calcava fino sugli occhi,
tanto che a stento riuscivo a vedere soltanto i miei piedi.
E le mattonelle smozzicate di casa.
E la frangia di polvere a pezzi raccolta.
E rideva ancora, La-Piera: la sentivo che ancora rideva.
E mi faceva girare tondo.
E girando mi scioglieva lo scialle di dosso.
E restavo nuda a quel modo, col cappello sugli occhi, a girare.
E mi piaceva: ché girando le cose non le vedi più come sono. E continuavo a
girare, da sola poi: più veloce: fin quando ce la facevo, più veloce... Più
veloce! E poi crollavo sul letto, o per terra, che mi sembrava di continuare
ancora a cadere, e a girare, con tutto, attorno e su di me, che ancora girava,
e ancora... e ancora...
(una pausa) E allora ci avevo paura.
(chiamando) Rossa!
(una pausa) Da stringerli gli occhi.
Forte.
Forte da non aprirli.
(una pausa) E sentivo La-Piera che mi si faceva vicino. Accanto. Di nuovo che
non smetteva di ridere - che non me la scordo, io, quella risata - e mentre
rideva lo sentivo che piano pigliava a toccarlo: quel mio viso bambino,
truccato...
Finto.
Io immobile.
(chiamando) Rossa!
Erano carezze, quelle?
Ché non lo capivo cos’era - gli occhi stretti serrati - non lo capivo cos’era..
E perché lo faceva. E perché rideva.
Ancora.
E perché incominciava a tremare.
Che me n’accorgevo, io, la sua mano come tremava. (interrompendosi)
Ma poi, all’improvviso, smetteva: m’afferrava da un braccio e mi tirava fino in
cucina, scansava i piatti d’intorno, e con l’acqua e le mani mi cancellava dal
volto ogni cenno di trucco, ogni traccia di scherzo.
L’acqua era fredda. Nelle sue mani...
Ancora più fredda...
Ci aveva mani grandi, La-Piera: da farmici entrare tutto il mio viso.
Mi strofinava la fronte, ciglia, le guance.
Le labbra: a strapparle.
E dentro mi prendeva adesso il coraggio di sbarrarli gli occhi.
E li sbarravo io, per vederla l’acqua venire contro il mio viso.
(chiamando) Rossa!
Adesso in faccia non mi lascio sfiorare.
Qualcuno di quelli ci prova, ma io il mio viso (avvicinando le mani al viso, ma
senza toccarlo) lo tengo lontano: è il solo regalo che mi rimane da fare.
(una breve pausa) Mi piace il mio volto.
E` mio.
Ne ho cura.
(una breve pausa. Poi, chiamando) Rossa!
Facciamole centomila!
(tornando a specchiarsi) E ci trucchiamo come le vere signore, stanotte.
Quelle che si fanno gli zigomi alti, le labbra carnose, gli occhioni
sbarrati.
Ancora centomila!
E poi si va a mangiare come le vere signore, stanotte.
Come le vere signore quando stanno in cucina.
Facciamo aprire la più lurida delle osterie, quella dell’“orbo”... E ci sediamo
al tavolo più in vista, proprio in centro alla sala - che sarà vuota a
quell’ora, e solo per noi! - con la sedia in mezzo alle cosce, sbattendo le
posate contro i bicchieri sul tavolo.
E quando arriva il ragazzo di lì - uno che cammina mezzo sbilenco, con gli
occhi pieni di sonno pure a mezzogiorno! - “Vino nero e lingua e coda di bue! e
lardo col pepe!”.
E per svegliarlo gli mettiamo una mano sul culo. (ride)
(chiamando) Rossa!
Mangeremo come le vere signore!
Pulendoci gli angoli delle labbra ai lati della tovaglia!
E sul muso passandoci il braccio!
(chiamando) Rossa! Stanotte.
Centomila ancora!
Dammele tu!
(una breve pausa) Ché se ci fosse La-Piera, io, non le chiederei.
Lei me li dava dei soldi: due lire giuste, per comprarci...
(S’interrompe) D’estate, alle tre, veniva un furgoncino dei gelati...
Fermava nel cortile di sotto.
Sentivo la musica.
Quando s’avvicinava...
La stessa. Sempre la stessa.
E correvo di fuori. E stretta alle grate del ballatoio guardavo di giù.
E come formiche, da ogni porta vecchi madri bambini sciamavano verso...
Uno piccolo, basso, vestito di bianco... E un cappello africano.
E la ringhiera, nelle mie mani, la sentivo vibrare.
Allora La-Piera mi passava due lire.
E io correvo di giù, pure io, di giù. Due lire fra le dita.
E intanto quell’uomo, chiamando, diceva i gusti dei gelati che aveva quel
giorno.
E lo sentivo mentre correvo. Fra le dita strette due lire.
Limone. Caffè. Cioccolata.
E lo sentivo mentre saltavo ancora gradini.
Pistacchio.
Ch’era verde il pistacchio...
E io alzavo due lire quando quello diceva: “pistacchio”.
Mi piaceva il colore.
E la fragola mi piaceva, che era rossa... Rossa di fuoco, di ruggine e
di...
Mia madre.
Fragola - quell’unica volta che m’aveva pagato un gelato. Un gelato di
fragola.
Ed io lo mangiai quel gelato.
Come adesso.
A morsi.
Come allora, alle tre, guardando La-Piera che alla ringhiera restava a
guardarmi mentre a morsi mangiavo un gelato.
(Una pausa) Alle tre era caldo d’estate... E adesso? Fa ancora caldo a
quell’ora?
(chiamando) Rossa!
Noi si dorme alle tre!
Si dorme... Sonni diversi. Ma bisogna. Si deve. Fa bene al mio viso... Io lo
so, io che lo vedo cambiare. Giorno per giorno...
Ne ho seguito ogni solco, fino a scoprirne l’inizio e la fine...
(chiamando) Rossa!
Perché le chiamano rughe?...
- Le mie sono poche -
E allora torno a guardarmi allo specchio, me le cerco, io, e faccio le smorfie:
per vederle ancora più fonde, più lunghe, più larghe.
Per vederne di più.
(chiamando) Rossa!
Quante centomila mancano ancora?
Dì, Rossa!
Quante ne mancano?
Perché io non lo so quante ce ne vogliono, prima che smetta di guardarmi allo
specchio. Quante centomila ci vogliono perché smetta di contarmi le rughe,
perché siano tante da non poterle contare.
(chiamando) Rossa!
Tienli tu i conti!
E conservale centomila: di più: per quel giorno che non ci avremo neanche uno
specchio.
Che tanto non servono specchi a due vecchie puttane, quando scendono in strada
soltanto per andare al mercato... I ragazzini che gli ridono dietro.
(chiamando) Rossa!
Mi senti?
Dovrai imparare ad accarezzarmi sul viso, la sera. (una breve pausa)
Insegnarmelo. Ché io adesso ci provo a toccarlo... ma non posso: il mio viso
non le vuole le mani.
(ride) Qualcuno avrebbe dovuto dirmelo. Spiegarmi come si fa a seguire le rughe
senza toccarle.
Uno di quelli che m’hanno fatto, a me.
Mio padre.
(chiamando) Rossa! Mio padre era esattore.
Forse era uno coi soldi.
E dopo era camionista, e poi infermiere, e poi operaio, e poi facchino, e poi
di nuovo uno pieno di soldi che di mestiere la sera si gratta.
E io ci ho le cellule d’ogni mio padre.
Ce le ho nella testa... negli occhi... nel cuore...
Ovunque!
(una breve pausa) Ovunque... ci ho cellule loro...
(una pausa) Ma qui (si tocca tra le gambe) - qui, e dentro, e ancora più dentro
- sono identica a quella mia madre che vidi due volte. Sono la sua stessa
terra.
Fertile d’arido. (ride)
(chiamando) Rossa!... E se mio padre era un prete?
No, non un prete.
E nemmeno poliziotto.
Lo so io: ne conosco uno di poliziotto. Uno che viene da me. E` più o meno lo
stesso di quelli che porta in galera, soltanto che lui sta in divisa.
E ogni tanto viene da me.
"Aurora... Questa sera si deve fare un controllo..."
E mi ride.
E gli vengono fuori quei suoi denti ingialliti.
E mi porta là dietro.
E si slaccia.
E mi tocca.
E si tocca. - Mi penetra solo il suo puzzo di fumo -
E balbetta mentre vomita sillabe!
E gli bastano meno di cinque minuti "a fare il controllo".
(chiamando) Rossa! Stanotte quanto si chiede a chi vuole
"controllare" il calore che ci ho?
(breve pausa) Che poi “quello là” che ne sa, io, il calore che ci ho... Per
quanti m’hanno scavato nessuno lo sa...
(una breve pausa) Uno sì. Lui lo sapeva il mio calore.
Ma non gli è mai bastato. E nemmeno il suo è mai stato abbastanza.
Il "calore", noi, ce lo compravamo giù al parco: e per averlo
rubavamo per strada, in metrò, nei negozi.
Ma poi non bastava: con le vene che non smettevano una volta soltanto di
chiedere.
Vendersi noi.
Io.
E lui.
(chiamando) Rossa!
Facile vendersi, e senza sconti sul prezzo!
(una breve pausa) Pensavamo per poco, poi basta: finirla... E lui l’ha finita,
almeno lui l’ha finita...
(chiamando) Rossa!
Una sera l’ha finita.
Una sera che quelle sue vene ne hanno avuta da non chiederne più.
(una breve pausa. Poi, chiamando) Rossa!
Non canti, stanotte?
(chiamando ancora) Canta, Rossa!
Quella ballata d’un amore infelice. Cantala Rossa!
O facciamole adesso le centomila di più!
Rossa! ci compreremmo una chitarra, stanotte; e ce ne torneremmo a casa -
stanotte, Rossa! - e ci metteremmo sedute sopra un tappeto, a cantare canzoni
che non si ricorda mai come finisce e che subito se ne attacca un’altra. Per
tutta la notte, Rossa!
(chiamando) Rossa!
Mi senti?
(una breve pausa) La-Piera cantava. Sempre cantava. E sempre se glielo chiedevo.
Era stonata La-Piera. Chissà dove le prendeva le tre note che aveva... Ma lì,
dove stavamo, a chi importava stonare?... Cantavano tutti... Uno di quei posti
dove cantare tiene la bocca occupata, e lontano i pensieri. Un palazzo dove le
case di "una-stanza-in-otto" stanno tutte in fila sullo stesso
balcone, a fare "quadrato" su un cortile "quadrato" dove si
mischiano voci, pianti, sorrisi,... canzoni:... e tutto è succhiato da un
"quadrato" di cielo. (accusa una fitta al ventre)
(chiamando) Rossa!... Centomila ancora... Rossa!...
Ancora cento!
(stringendosi) Perché già lo sento di nuovo quel... "freddo"... che
mi brucia le vene.
(chiamando) Rossa!... Centomila!
Prima che ricominci a sentirlo ancora più dentro, alle viscere... Ancora
cento...
(chiamando) Rossa!... Le faccio con uno, scommetti?
Le posso fare con uno. Le posso fare con uno soltanto.
Ancora cento!
(una breve pausa) Centomila soltanto...
E poi giù, fino al parco!
Anche stanotte...
Un’altra corsa fino a laggiù, pregando Dio - uno qualunque! - di riuscire a
beccare uno di quelli che ci hanno... “calore”... da vendere.
(chiamando) Rossa!
Devo essere brava stanotte.
Lo sarò, Rossa! Ancora più brava... Stanotte devo meritarmele le mie
centomila!
Non posso restare da sola, stanotte non devo restare da sola.
(chiamando) Rossa! Passane uno a me!
Ché sarò brava, stanotte!
(una breve pausa) Come La-Piera. La-Piera, lei sì ch’era brava... (chiamando)
Rossa!... La-Piera non restava mai sola...
Solo questo avessi imparato... E invece lei m’ha insegnato nient’altro che la
maniera di gemere.
La sentivo nella stanza d’accanto.
(chiamando) Rossa! La sentivo La-Piera.
Gemere la sentivo. Come se una mano le tappasse la bocca e non le lasciasse
d’urlare... E pensavo a mia madre, a quei capelli di fragola. E se ci fosse, e
quale fosse, la mano che premeva sulle sue labbra. E quando premeva... E come
premeva...
(chiamando, come se avvertisse imminente una crisi d’astinenza) Rossa! Corri tu
fino al parco!
Vacci tu stanotte, vacci anche per me...
(una breve pausa) E quando la sentivo La-Piera, nascondevo il mio viso dietro
ogni muro, come se un gemito potesse ferirlo.
Ma le mani... Non riuscivo a tenere ferme le mani.
Più forti di me, le dita s’intrecciavano, si chiudevano fino a sentire le
unghie graffiarmi la pelle. Le stringevo, le mani, tra le ginocchia, ma quelle
mi venivano addosso, sfiorandomi il corpo che sotto le dita si faceva di
pietra, come se quelle non fossero più le mie mani...
E ancora salivano... fino al viso, fino alle labbra...
E mi prendeva il terrore, dandomi solo la forza d’urlare...
Ma le mani già si schiacciavano contro le labbra.
E i miei urli non erano mai urli, ma gemiti: uguali a quelli della stanza lì
accanto.
(una breve pausa) Anche ora non sono cambiati: quelli sono i miei gemiti.
(chiamando) Rossa! Centomila!
E ce lo compriamo, una volta, il coraggio d’urlare!
Il coraggio di strapparci questa pelle da dosso e venderla a un mercatino di
vestiti usati.
(una pausa) Ma il viso... Quello no. Quello forse sono ancora riuscita a
salvarlo.
(chiamando) Rossa! Tagliami il corpo!
Poi prendilo, il viso, e chiudigli gli occhi, e inumidisci poi le sue labbra
con una tela bagnata, pettinalo, digli parole, portagli odori...
Avvolgilo. Nella terra.
E nascondilo poi, lontano dagli altri.
(chiamando) Rossa!
Curalo!
Un nuovo corpo nascerà dal mio viso. Dapprima piedi, piccoli piedi, e caviglie
sottili... E gambe... E mani... E braccia...
E un ventre e un seno,... per essere donna di nuovo.
O madre... Una volta.
(chiamando) Rossa! Hai sentito?
Centomila... Ma tagliami il corpo!
Un colpo soltanto, deciso, qui sotto la gola!
Fa presto!
Già lo sento... (come se avvertisse i primi sintomi di una crisi) Il
"freddo", dentro di me, che torna...
(Che mi spreme lo stomaco, che lo stringe, l’attorciglia di nodi,... e poi
viene... (toccandosi all’altezza del torace) ...qui... e non trovo più...
(come non riuscisse a respirare) L’aria...
E i battiti... (stringendosi la testa da dietro la nuca) li sento qua dentro...
E poi ancora... il "freddo"... fino alla gola,... fino a
essere...)
(si stringe lo stomaco. Si gira su se stessa come se avesse conati di vomito.
Poi chiama ancora, voltandosi lentamente) Rossa!
Mi vedi?
(ride, amaro) Sputo bave di vita, come un serpente veleno.
(chiamando) Rossa!
Perché non rispondi?
Le centomila che ancora non ho - te lo giuro! - io te le do, se tu parli con
me.
(chiamando) Rossa!
(accosta una mano sul seno) Tocco il sudore: mi bagna...
E mi sento tremare...
Ma non è questo l’umido e il tremito che vale denaro.
(chiamando) Rossa!
(chiamando) E` così?... Rossa!
Una sola parola.
Dilla una sola parola.
(chiamando) Rossa!
Perché non rispondi?
Io che t’ho fatto? Io niente t’ho fatto.
(chiamando) Rossa!
Cosa ti chiedo che tu non puoi dirmi? Una parola ti chiedo.
(una breve pausa, poi con uno scatto di rabbia) E allora dilla, Rossa!
Cacciala fuori una sola parola!
Lo so che ci sei. E allora parla! Fammi sentire come chiami i clienti! Fammi
come "fanno" quelle altre che ci hanno le spalle coperte!
Quelle che nemmeno davanti agli sbirri corrono via.
Fammi sentire come gridi, quando gridi incazzata!
(chiamando) Rossa!
Perché non rispondi?
(una pausa, poi di nuovo con calma. Ora si volge frontalmente come se la Rossa
le fosse davanti) Adesso.
Ti prego.
Dillo adesso cosa vuoi che ti dia?
(chiamando) Rossa!
Io tutto ti do, ma dilla qualcosa!
Una.
Cosa.
(chiamando) Rossa!
(una pausa) Dimmi almeno che è falso quello che ho visto. Che ieri sera non
t’hanno ammazzata. Che non eri tu quella piegata su un masso. Che non era tuo
quel ventre sfondato. Che non erano tuoi quei seni azzannati.
(una pausa) Li ho accarezzati una volta i tuoi seni. L’ho percorso una volta il
tuo corpo, con queste mani.
(chiamando) Rossa!
Erano mani sincere le mie.
(chiamando) Rossa, rispondi!
Che cosa volevano che tu non gli hai dato? Che cosa volevano ancora? Quanto una
bambola deve essere vera?
(chiamando) Rossa!... Rispondi!... Rossa!
Quante volte - Rossa! - l’ho detto, quante volte: "Spariamocela dentro:
un’unica botta! Una esplosiva!"
(disperatamente) Rossa! Rispondi!
Non era meglio morire volando?
Non era meglio deciderlo noi, quando morire?
(un po’ di più) Rossa!
E tu mi dicevi: "Oggi... Domani... Che cambia?"
Ma quelli non ci hanno pensato a me che restavo.
(ancora di più) Rossa!
(una pausa) T’avrei voluto dare di più...
Darti il mio viso.
Te lo giuro... Te lo giuro...
Te lo giuro...
(urla) Rossa!...
(una pausa, poi come a se stessa) Rispondi!
(Silenzio. Riprende lo specchietto.
Con la mano segue su di esso il contorno del viso che vi è riflesso, e come
rivolgendovisi)
Se tu fossi di carta, ora, ti straccerei; se tu fossi di creta, ora, ti
spezzerei; se tu fossi di legno, ora, ti brucerei.
(lascia cadere lo specchio, che si spezza ai suoi piedi.
Il volto d’Aurora si illumina del bagliore d’un riflesso lunare)
Rimani, ora, inutile.
(si piega lentamente sulle gambe, fino a inginocchiarsi e raccattare da terra
una lunga scheggia dello specchio.
Pianissimo, come un ultimo rituale, la porta verso il volto e si incide
profondamente sul viso.
Subito, alle sue spalle, d’un tratto, si accendono - abbaglianti, violente - le
luci dei fari di un’auto.
Aurora solleva il capo, lascia cadere le braccia e come offrendosi, senza
voltarsi)
Ehi! Bello!
Le dai centomila all’Aurora?
Stanotte ti regala il suo viso.
B U I O
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