L’ava ditt ‘c stava mia bein!

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L ‘ A V A D I T T

L ‘ A V A     D I T T

‘ C     S T A V A     M I A     B E I N !

(L’avevo detto che non mi sentivo bene!)

(codice Siae commedia: 834706 A)

Commedia in dialetto piacentino

di

Giorgio Tosi

(codice Siae autore: 45090)

con contemporanea traduzione in italiano

per un’immediata comprensione

Giorgio Tosi – Via Fabri n. 18 – 29122 PIACENZA

 cell. 389 2629240 – e.mail: giorgio-tosi@libero.it - sito: www.tosigiorgio.it

Nota dell’autore

Lo spunto per questa commedia mi è venuto facendo “zapping” davanti alla televisione.

Su certi canali, infatti, assistiamo ad una variopinta carrellata di cartomanti, maghi, sensitivi e quant’altro, che promettono felicità e quattrini.

L’AVA DITT ‘C STAVA MIA BEIN!  è ambientato nello studio di un sedicente “mago” che vivacchia tra tarocchi, pozioni, oroscopi e,  addirittura, dialoghi con l’oltretomba per vedove inconsolabili e credulone.

L’aiuta in questa impresa la sorella, che sarà, poi, la vera protagonista della commedia.

Le situazioni esilaranti nascono dall’andirivieni, con equivoci, di personaggi improbabili e ridicoli, tutti nell’attesa spasmodica di qualche risoluzione ai loro problemi.

Il terzo atto è a sorpresa. L’azione, infatti, si sposta dallo studio del “mago” a un………..

ma lasciamo la scoperta al lettore.

Buona lettura.

                                                           Giorgio Tosi

PERSONAGGI

ETTORE – preteso grande “mago”

ADELE – la maltrattata sua sorella

MAURA – signora di campagna, cliente

MAGGIORE – claudicante graduato dell’esercito in pensione

PIERA – vedova credulona

SERGIO – sfaticato cacciatore di dote

FILIPPO – nevrotico figlio di Piera (magari un po’ balbuziente)

CARLO – redivivo figlio di Adele

Comparse :

UN UOMO – maniaco

UNA SIGNORA – vecchietta

A T T O  I

La scena rappresenta uno studio non proprio moderno: scrivania antica, qualche seggiola o poltroncina in stile, tendaggi pesanti e punti luce  soft un po’ ovunque.

Nei  momenti clou, tendaggi e luci contribuiranno a rendere più inquietanti alcune scene.

Siamo nella casa-studio di un sedicente “mago” che esercita, altresì, le funzioni di cartomante, medium, lottologo, pranoterapeuta etc.

C’è un suo ritratto con i paramenti del mestiere alla parete.

All’apertura del sipario Adele è già in scena: sta lavando il pavimento con spazzolone e secchio.

Si vede che non lo fa volentieri.

SCENA I

ADELE – Me digh che ‘s gh’è un Signor, e se qull Signor ch’i dizan c’l gh’è  ‘l ma veda, bein allora ‘ l g’ariss da tirà tant fulmin quant il saracch ‘c tiir me!

                  Dré a chi so me!  (gesto verso la foto di Ettore appesa al muro)

                  Savriss bein me a chi passà la spasora in s’l muuz! ?g dariss bein me una bella lavàda ‘d fassia! (fa una smorfia).

                  Fora da la porta gh’è scritt “ETTORE & ADELE”. Adele:  mia Giuseppina o Mariolina, Adele che sum me, anca sa vegn dop Ettore. Ma ‘l voll fà tutt da par lu, la sena l’è tutta la sua, lu ‘l fa al mago e me la povra locca.

                  “Adele, prepara le pomate”  “Adele, va in trance” “Adele, fai la voce dell’oltretomba!”. Capì cos ‘m tocca fà? La vuz da l’oltretomba!

                  Ma qualca dé, me ciapparò un managh da spassora e appena ‘l vegna deintar e ‘l vèra la bocca par ciamam, me…

                  Io credo che se un Dio esiste, e se quel Dio che dicono ci sia mi vede, beh’

allora dovrebbe mandare tanti fulmini quante sono le bestemmie che tiro io!

                  A chi dico io!  (gesto verso la foto di Ettore)

                  So ben io a chi passerei sul muso questa scopa!  Gliela darei ben io una bella lavata di muso (fa una smorfia).

                  Fuori dalla porta c’è scritto “ETTORE & ADELE”. Adele, non Giuseppina o Mariolina. Adele sonoio, anche se vengo dopo Ettore. Ma lui vuol fare tutto da solo, vuole la scena tutta per sé, lui fa il mago e io la povera scema.

                  “Adele, prepara le pomate”  “Adele, va in trance” “Adele, fai la voce dell’oltretomba!”. Vedete cosa mi tocca fare? La voce dell’oltretomba!

                  Ma verrà il giorno che prenderò questo manico di scopa  e appena entra qua dentro e apre la bocca per chiamarmi, io…

ETTORE – (da fuori) Adeleee!

ADELE – (già più docile) Sum chè, sum ché (frega vigorosamente).

                                            Sono qui, sono qui

SCENA II

ETTORE – Quant ‘g vol pr’una stanza csé piccina?

                    Quanto ci vuole per una stanzetta?

ADELE – Prova a diil a la mé scheina.

                  Prova a dirlo alla mia schiena.

ETTORE – A che ora g’um ‘l prim appontameint?

                   A che ora è il primo appuntamento?

ADELE – Ott’or.

                  Alle otto.

ETTORE – Csé prest? E allora tira via cla tolla ché! (scivola)  Ché sa sguia!

                  Così presto? E allora togli il secchio! (scivola) Si scivola!

ADELE – (sorrisetto di compiacimento)

ETTORE – La c’lazion! (si siede al tavolo).

                    La colazione, grazie!

ADELE – Pronti!  (solleva un tovagliolo messo su un vassoio che è già in scena)

ETTORE – Gh’è tutt?

                     C’è tutto?

ADELE – (in tono di sfida) Si!

ETTORE – ‘L pan brostolì?

                    Il pane grigliato?

ADELE – Anca !  

                  Certo!

ETTORE – Né cott né crud? 

                    Né troppo cotto né troppo crudo?

ADELE – Né cott né crud! (piano) ‘S gh’è un Signor!

                  Né cotto né crudo …..Se esiste un Dio!

ETTORE – E cust cos el?

                    Questo cosa sarebbe?

ADELE – Spremuta d’aranza!

                  Spremuta di arancia

ETTORE – Ah: t’l sé c’l’m piaz mia!

                   Ah: lo sai che non mi piace!

ADELE – (sempre con aria di sfida allunga un vassoietto)  Pompelmo. Limonà, mango e parpaia!!

ETTORE – Mhmm…t’è propria pensa a tutt…

                    Mhmmm….hai pensato a tutto…

ADELE – (pungente) Na tegn pront seipar tre o quattar qualità, csé, par divertimeint!

                   (pungente) Ho sempre pronte quattro o cinque cose, così, per puro divertimento!

              

ETTORE – (E’ quasi un faccia a faccia) Vot forse dì che sum noios, sorella?

                  (E’ quasi un faccia a faccia) Vuoi forse dire che sono pretenzioso,  sorella?

ADELE – Gnan un briiz, fradlein!

                 Neppure un po’, fratellino!

ETTORE – (cambia discorso) Chi g’um incò?

                                                  Chi abbiamo oggi?

ADELE – (sfoglia un’agenda) La prima l’è una siora ‘c la vol parlà con so marì!

                  (sfoglia un’agenda) La prima  è una signora che vuol parlare con suo marito

ETTORE – E parché vegn’la ché?

                    Perché viene qui?

ADELE – Parché  l’è mort.

                  Perché è morto.

ETTORE – Ah…Quindi…(mentre imburra il pane guarda la sorella),

ADELE – (fa finta di non raccogliere)

ETTORE – Quindi…

ADELE – No!

ETTORE – Ho mia capì.

                  Non ho sentito bene.

ADELE – (già meno sicura) …no…

ETTORE – Taccumia?   

        Ricominciamo?

ADELE – (debole) Voi mia.

                           Non voglio.

ETTORE – Ah no?

ADELE – (c.s.) …no.

ETTORE – Vot propria fam inrabì?

                     Vuoi farmi arrabbiare?

ADELE – ‘T àv ditt che l’era l’ultma vota.

                  Avevi detto che sarebbe stata l’ultima volta.

ETTORE – Infatti l’è l’ult’ma.

                  Infatti è l’ultima.

ADELE – L’àtra vota l’era l’ult’ma!

                  La volta scorsa era l’ultima.

ETTORE – E va bein, ho capì! Dasfarum la società e ognidoin par la so strà. E vedrum cos ‘t farà da par te.

                  Va bene, ho capito! Rompiamo la società e ognuno per suo conto. E vedremo cosa combinerai da sola.

ADELE – La voce dell’oltretomba, no…

ETTORE – E comunque grassia parché ‘t mantegn e t’ho datt una cà.  Forse ‘t ta ricord mia po in che manera t’er combinà! E to fradell, Ettore, ‘l t’ha ciappà in ca sua e ‘l t’ha datt un lavor; e scusa se la gint la vol ‘l grande mago Ettore e mia te. E se qualca vota, donca, vuna la vol parlà con un defunto, vurum mia contintàla?

                  E comunque grazie perché ti dò di che vivere e  una casa.  Forse non  ricordi bene come eri sistemata! E tuo fratello  Ettore ti ha preso in casa sua e ti ha dato un lavoro; e scusa se la gente vuole il grande mago Ettore e  non Adele. E se ogni tanto qualcuno vuol parlare  con un defunto, non vuoi accontentarlo?

ADELE – Ma me ‘m vargogn!

                  Mi vergogno!

ETTORE – Ma veda, poverina, adess l’s vergogna! L’era treint’ann fa, c’t g’av da svargognat! (infierendo)  G’ho propria da fàl qull num lé?

                  Ma guarda, poverina, ora si vergogna!  Prima, trent’anni fa, dovevi vergognarti! (infierendo)  Devo proprio fare quel nome?

ADELE – No, par piazer!

                  No, ti prego.

ETTORE – ‘T  gh’è ancora da ringraziàm che ho miss a post tutt, me!

                  Non mi hai ancora ringraziato per aver sistemato tutto!

ADELE – (piagnucolando) Basta, basta…

ETTORE – (dopo una breve pausa) Fummia vegn la siora o no?

                  (dopo una breve pausa) Facciamo entrare la signora o no?

ADELE – Un dé m’asposarò e ‘t piantarò ché!

                  Un giorno mi sposerò e ti lascerò, qui, da solo

ETTORE – (ridacchia) Ah ah ah…

ADELE – Cattarò qualcadoin e vedrum, chèr ‘l mé imbruion!

                  Troverò qualcuno e la vedremo, imbroglione!

ETTORE – Ah ah ah…!

ADELE – E la c’lazion con tutt i bovron, e ‘l pan cott e crud, e tutt i veers c’t ma fa fà!

                  E la colazione con tutti i beveraggi, il pane cotto e crudo e tutto quel che mi fai fare

ETTORE – Qualcadoin ca ta spuza: custa l’è bella!

                   Qualcuno che ti sposi? Buona questa!

ADELE – Sarlatan!

                  Ciarlatano!

ETTORE – Ma chi è c’t vol te? T’et vista bein? (la trascina davanti a uno specchio) Guàrda!

                  Ma chi ti vuole? Ti sei guardata? (la trascina davanti a uno specchio) Specchiati!

ADELE – (si guarda) Adess sum un po’ daspatnà…

                  (si guarda) Ora sono un po’ spettinata…

ETTORE – Poca bella e bona da fa gnint! Anzi, no, una roba t’è sta bona da fàla, e bein anca!

                  Bruttina e buona a nulla! Anzi, no: una cosa sei stata capace di fare, e pure bene!

ADELE – (si asciuga le lacrime e si ridà un contegno).

ETTORE  - (la accarezza, con finto amore, sulla testa)  Vist cmè t’è cattiva? E t’l sé che sto mia bein. Quand un dé craparò ‘t g’àra anca ‘l rimors: “povrein, lu ‘l la dziva seipar ‘c la stava mia bein!” (pausa).

                  Adess va a to la mé roba. E preparum anca un po’ d’atmosfera. Sbassa ‘l luz e mettum un po’ ‘d candel. So, va.

                  (la accarezza, con finto amore, sulla testa)  Come sei cattiva! E lo sai che non sto bene. Morissi domani avresti anche il rimorso: “poverino, me lo diceva sempre che non si sentiva bene!” (pausa).

                  Ora va a prendere la mia roba. E  prepariamo un po’ d’atmosfera. Abbassa le luci  e mettiamo un po di candele.  Forza, vai.

ADELE – (tra sé)  Un fulminon!  PEM! (accompagna le parole con un gesto della mano ed esce).  –

       Un fulminasso!  PEM! (accompagna le parole con un gesto della mano ed esce).

ETTORE – (prepara aromi e candele cantando una litania)

ADELE – (rientra con degli stravaganti paramenti)

ETTORE – (si veste aiutato da Adele)  M’arcmand, sta atteinta col microfon e ‘l registrator.

                  (si veste aiutato da Adele)  Mi raccomando, attenzione a microfono e registratore.

ADELE – Parché fat mia fà qualcos anca a me? Sum bràva.

                  Perchè non fai fare qualcosa anche a me? Sono brava.

ETTORE – ‘T fagg fà anca tropp.

                    Ti faccio fare già troppe cose.

ADELE – ‘L pulizii ‘t ma fa fà!

                  Le pulizie mi fai fare.

ETTORE – Con cla fassia lé, la gint la scapariss.  So là! Fa vegn deintar la siora e po va al to post a guadagnàt la micca (il pane)

                  Con quella faccia, faresti scappare i clienti. Vai! Fai entrare la signora e poi vai al tuo posto a guadagnarti il pane.

ADELE – (minaccia) Gnarà un dè…!

                                    Verrà un giorno che….!

ETTORE – (fa le corna)

Adele sbuffa e sistema le  cose dentro la sua postazione con notevole rumore.

Ettore si concentra e prende ispirazione per la vedova inconsolabile.

ADELE – (sulla porta) Avanti, prego.

SCENA III

Da una porta laterale avanza, molto lentamente, con una strana camminata e con aria soffe-

rente, Maura, una signora dall’aspetto molto agreste, vestita di scuro con foulard sulla testa,

che tiene leggermente chinata.

Adele scompare nella sua postazione che la nasconde al pubblico (dietro una tenda, un para-

vento o una porta).

Ettore, con atteggiamento ispirato esprime comprensione per la sofferenza della signora.

Ne nasce una scena senza parole che si svolge durante il tragitto porta-scrivania, in cui lei manifesta il suo dolore e lui la sua partecipazione.

Le fa cenno che può sedere.

Maura agita una mano lentamente per dire: “no, grazie”.

ETTORE – (con le mani giunte davanti al volto)  La prego…

MAURA – (gira intorno lo sguardo triste, poi con gli occhi chiede se deve proprio sedersi; al nuovo assenso di Ettore, Maura cede, si avvicina alla seggiola e, lentamente, appoggia solo mezza natica; ringrazia con un leggero movimento della testa e fa capire che non può fare di più).

Nel silenzio che si è creato si sente, fortissimo, uno stacco di musica: PA-RA-PA-PAAAA!

(si consiglia il famosissimo 1° movimento della sinfonia n. 5 in Do min di Beethoven)

MAURA – (si alza spaventata) Cos è stà?

            (si alza spaventata) Cosa è successo?

ADELE – (mette fuori la testa per scusarsi in silenzio con Ettore).

ETTORE – (fingendo) Parché, cos ala sentì?

                   (fingendo) Perché? Cosa ha sentito?

MAURA – Ho sentì un parapapaà! Ho ciappa un stramlon! Al mia sentì, lu, el surd?

                   Ho sentito un parapapaà! Che spavento!  E’ sordo, per caso?

ETTORE – Ho sentì tamme una vibrazion in ‘d l’aria, come delle onde…

                  Ho percepito una vibrazione nell’aria, come delle onde…

MAURA – Ma che onde? Sum mia al mar!!

                   Che onde? Non siamo al mare!!

ETTORE – Forse…gh’è qualcadoin c’l vol …parlàg…

                 Forse…c’è qualcuno che le vuol …parlare…

MAURA – Con me?

ETTORE – E si.

MAURA – Al telefono?

ETTORE – Ma che telefono, siora!  Si rilassi! Si rilassi…(la guarda fisso e le impone le mani per mandarle

                   dei fluidi)...... C'l seda

                                          Si sieda

MAURA – (titubante, si siede come sopra, tenendolo d’occhio un po’ preoccupata)

Voriva digh che me sum vegn par…

                     Dunque, io sarei venuta perché….

ETTORE – (le va dietro, protendendole le mani sulla testa)

MAURA – (un po’ intimorita) In dov val?

                                                      Dove va?

ETTORE – Sssttt….seint ‘c gh’è qualcos, ché, in d’la testa, un dispiazer…

                  Sssttt….sento che c’è qualcosa, qui, nella testa, un dispiacere…

MAURA – Si.

ETTORE – (soddisfatto)  Ah!

MAURA – Ma mia in testa, da un’àtra part.

                   Non nella testa, da un’altra parte..

ETTORE – Sssttttt! Seint… seint…(Adele sparge un po’ di incenso)

                  Sssttttt! Sento…sento…(Adele sparge un po’ di incenso)

MAURA – (annusa)  Anch'io  sento!  Seinta che  spussa!

                                                            Senti che puzza!

ETTORE – (zittendola secco)  Ssc’tt!

MAURA – (piano) Ma me ‘m vegna gomit: spussa meno la campagna!

                  (piano) Mi viene da vomitare: puzza meno la campagna!

ETTORE – (fa un gesto come per darle un colpo in testa)  Gh’è qualcos…una presenza in ‘d l’aria, dill vuuz, seint un  lameint…

                  (fa un gesto come per darle un colpo in testa)  C’è qualcosa…una presenza nell’aria, delle voci, sento un lamento…

ADELE – (sibila, soffiando) Uuhhhh…

MAURA – (tendendo l’orecchio) Ma seinta che veint, dì! Pioverà mia? G’ho gnan l’ombrella!

                  (tendendo l’orecchio) Senti che vento, dì!   Pioverà? Non ho neanche l’ombrello!

ETTORE – (spazientito) Forse c’è un contatto!

MAURA – (alzandosi di scatto) Fulminarum mia, perbacco!

                  (alzandosi di scatto) Non prenderemo la scossa, spero!

ETTORE – Volla stà un po’ chietta! ‘S pol mia andà innans acsè! (si accascia sulla poltrona) Ma fagghia a concentràm? E cl’s seda, là!

                      Vuole stare tranquilla? ‘Non si procede così! (si accascia sulla poltrona) Come faccio a concentrarmi?  E stia seduta!

MAURA – No grassia!

                  No, grazie!

ETTORE – E allora cla stagga in pé! (si alza)  Siora, me ‘l so parché l’è chè, ma se le la collabora mia…

             E allora rimanga in piedi! (si alza)  Signora, lo so perché è qui, ma se non collabora…

                 

MAURA – E allora s’l la sa zà, c’l ma aiuta invece da andà innans e indrè e diim da sed!

                  E allora se lo sa mi aiuti invece di andare avanti e indietro e di farmi sedere!

ETTORE – La capiss, ma se le la seguita a saltà cmé un grill in s’la scranna!

                  Capisco, ma se continua a saltare come un grillo sulla seggiola!

MAURA – Se lu ‘l g’aviss la magotta ‘c g’ho me!

           Se lei avesse la “magotta” (rigonfiamento, n.d.a.)  che ho io!

ETTORE – ‘L magon, ‘l so!

                  Il “magone” (dispiacere, n.d.a.) , vorrà dire!

MAURA – La magotta!

ETTORE – Va bein, la magotta!

                  Va bene, la “magotta”!

MAURA – E ogni vota l’è pess. Sum po’ bona da andà in gir, figurumsa a fà i lavor in campagna! Quand l’ho vista, sum corsa dritta dal dottor. Lu ‘l m’ha guardà bein bein…una vergogna!…e po’ ‘l m’ha ditt c’l voriva saltàm adoss subit, ma me ho ditt ‘d no: voi mia fam toccà!

                  Ogni giorno è peggio. Non riesco più a stare né in piedi né seduta, figuriamoci lavorare in campagna! Quando l’ho vista (la magotta), sono volata dal medico. Lui mi  guarda ben bene…una vergogna!…e poi mi dice che mi deve saltare addosso subito (deve operarsi, n.d.a.)  ma io ho detto di no, non voglio farmi toccare.

ETTORE – Che  sporcaciòn d’un dottor! E po che stomagh…

                  Che sporcaccione di medico! E poi, che coraggio…

MAURA – Csé n’ho parlà con mé marì…

                  Così ne ho parlato con mio marito…

ETTORE – Con chi?!

MAURA – Con mé marì. C’l m’ha ditt: prova da un madgon! (una specie di mago)

                  Con mio marito. Che mi ha detto: prova da un “medicone”!

ETTORE – E no, eh! Madgon, propria no!

                  E no, eh! Medicone, proprio no!

MAURA – Ah no? E cos el lu?

                  Ah no? E lei cosa sarebbe?

ETTORE – Mago, prego. Leez ‘l cart, do i num’r dal lott, levo il malocchio e sono pranoterapeuta.

                  Mago, prego. Faccio le carte, dò i numeri del lotto, levo il malocchio e sono pranoterapeuta.

MAURA – Sariss a dì?

                  Vale a dire?

ETTORE – Che guarisco mettendo le mani sulla parte malata: g’ho la man càda! 

                                                                                                     Ho la mano calda

MAURA – Cosa?! Ma in dov summia finì?

                  Cosa?! Ma cosa mi tocca sentire?

ETTORE – Par via? E cl’s seda!

                  Perchè? E si sieda!

MAURA – Poss mia!  

                   Non posso!

ETTORE  - Ma parché, po’? (alterato)

                    Perché non può?

MAURA – G’ho i moroid, Oh! Una ballotta acsè!

                  Ho le emorroidi, oh! Una palla così!

ETTORE – Ah! I moroid! (si sporge verso Adele)  Donca, l’è mia vedva?

                  Ah! Le emorroidi! (si sporge verso Adele)  Allora non è vedova?

ADELE – (mette fuori la testa, è spiaciuta per il disguido)

MAURA – Ma no, cos dizal? Mario ‘l g’ha appena una ponta d’ernia!

                  Ma no, cosa dice? ha solo un’inizio di ernia!

ETTORE – E adess cos fummia?

                   A adesso cosa facciamo?

MAURA – C’m la digga lu! Poss mia po lavorà, csé. Ma fagghia a sedam in s’l trattor c’l trabàlla tutt? C’l ma capissa, là!

                      Me lo dica lei! Non posso lavorare. Come faccio a star seduta sul trattore che traballa tutto? Cerchi di capire!

ETTORE – ‘S po provà con la pranoterapia (si soffia le mani per scaldarle)

                      Si può provare con la pranoterapia (si soffia le mani per scaldarle)

MAURA – Che roba?! Vora’l mia mett’m la so man CADA, là, dill voot?

                  Cosa?! Non vorrà davvero mettere la sua mano CALDA , in quel posto??

ETTORE -  Si, là, s’la g’ha i moroid!

                  Si. Là. Se ha le emorroidi!

MAURA – Ma chemò i’enn tutt matt! Me sercàva un bell madgon d’una vota col pendolein. Una bella pomata, quàlca p’nalà (pennellatina) e via!

                  Ma sono diventati tutti matti! Io volevo un bel “medicone” vecchio stampo col pendolino: una bella pomata, qualche spennellata e via!

ETTORE – Va bein, cmé la vol. Qusta l’è una pomata sfiammante e lenitiva. C’l la prova e po vedrum.

                  Va bene, come vuole. Questa è una pomata sfiammante e lenitiva. La provi e poi vedremo.

MAURA – O là! ‘G voriva tant? E c’l seda e c’las leva, e so e zù, e parapapapà : tutt pr’una pomata ! Cos ‘g doia, là?

                  O là! ‘Ci voleva tanto? E si sieda e si alzi, e su e giù, e parapapapà : tutto per una pomata, poi ! Quanto le dò?

ETTORE – Offerta libera: 50 euro.

MAURA – Pronti! (piano)  I hann tira so i prezzi anca lur: appena in campagna ‘t dann gnint!

                  Pronti! (piano) Hanno alzato i prezzi anche loro: solo in campagna prendi niente!

ETTORE –Grassia e arvedass.

                  Grazie. Arrivederci.

MAURA – Si, cieer vot! (stacco musicale  di prima, forte)  Ah!!  Ho strinzì tant che la magotta la và via  sicur! Che razza d’un madgon! (esce).

                       Si ma non troppo spesso! (stacco di prima, forte)  Ah!!  Ho “stretto” tanto che la magotta rientrerà da sola, sicuramente!  Che medicone! (esce).

ETTORE -  Sum mia un madgon!

                  Non sono un “medicone”

ADELE – (uscendo dal nascondiglio)  M’è scappà ‘l diid..    

Mi è sfuggito il dito…

                 

ETTORE – Ma cos fàt? L’appontameint l’era mia giust, la musica seipar al momeint sbaglià: e allora?

                  Ma che fai? L’appuntamento non era giusto,  la musica sempre al momento sbagliato:  dunque?

ADELE – Me ‘g capiss deintar gnint in qull trappolein lé, ‘m confoind, vala bein?

                  Non ci capisco nulla in quel baracchino, mi confondo…

Bussano.

ADELE – Avanti, prego.

SCENA IV

Entra un impettito militare anziano, in divisa. Avanza trascinandosi una gamba rigida.

MAGGIORE – Buongiorno signore. Madame, enchanté (batte i tacchi e china la testa).

ETTORE – Prego colonnello.

MAGGIORE – Maggiore…(e rimane in mezzo alla stanza perplesso).

ETTORE – Scusi. Qualcosa non va, maggiore?

MAGGIORE – (con imbarazzo) Quella donna…? (indica Adele).

ETTORE – La mia assistente?

ADELE – La socia.

MAGGIORE – (c.s.) Enchanté.

ADELE – Anca me.

MAGGIORE – Forse, però, da uomo a uomo… preferirei…excusez-moi

ETTORE – Adele, per favore, lasciaci.

ADELE – (con una piccola riverenza) Come desidera, maggiore.

MAGGIORE – La prego, non me ne voglia (inchino)

ADELE – Ci mancherebbe, maggiore.

MAGGORE – Au revoir, madame.

ADELE – Mademoiselle, maggiore.

MAGGIORE – Enchanté (inchino).

ADELE – Non c’è di ché (inchino).

ETTORE – Andum innans un pezz’?

                    Andiamo avanti così ancora molto?

ADELE – Il maggiore è un signore, e si vede!  (ultima riverenza ed esce).

ETTORE – C’l diga pur.

                        Mi dica tutto.

MAGGIORE  - (si accomoda, trafficando con la gamba rigida)  Scusi, ma io ho un piccolo

                        problemino, anzi, due o tre, per essere sincero…eh eh eh.

ETTORE – Eh già…(guarda la gamba rigida).

MAGGIORE – No, la gamba è secondaria,  è un ricordo della guerra, ci tengo.

ETTORE – (tra sé)  Ho capì: ‘l g’ha tira po’!  (Forte) Mi conti tutto, poi vedremo cosa ci dicono le carte.

                                     Ho capito: non “tira” più.

MAGGIORE – Bravo, il responso delle carte. Deve sapere che sono stato 40 anni nell’esercito e ne sono fiero, poffarbacco! Ora, ahimé, sono in pensione da una vita e mi trovo un po’ perso, come dire? In realtà io sono abituato alle difficoltà, ho sempre avuto una vita dura, regolata dalla disciplina, ci crescevano a pane e disciplina. Austerità, rigore, scatto bruciante, baionetta in canna e via!

ETTORE – Per i “corpo a corpo”, maggiore?

MAGGIORE – Ma certo, vedo che mi capisce.

ETTORE – Sum un mago!

MAGGIORE – Una vita… rigida!

ETTORE – Direi…turgida…

MAGGIRE – Un inalberarsi…

ETTORE – Un impennarsi…!

MAGGIORE – Solido!

ETTORE – Come una roccia, via!

MAGGIORE – Vedo  che mi ha capito…?(lo guarda) Mi ha capito?

ETTORE – Come no!

MAGGIORE – I soldati mi temevano, le donne mi adoravano…(pausa) Adora-va-no: passato!

ETTORE – Perché, il presente?

MAGGIORE – (sporgendosi verso Ettore) Il vuoto.  Da tempo la mia vita, dura e selvaggia, è cambiata, infiacchita.

ETTORE – Ammorbidita?

MAGGIORE – Appassita.

ETTORE – Mi concede un: ammosciata?

MAGGIORE – Glielo concedo. Di rigido è rimasto solo questa gamba, poffarbacco! (Ettore comincia a stendere le carte).  Mi chiedo se il futuro riserverà ancora qualche gioia per me, se all’orizzonte c’è una signora…una signorina… paziente… con cui percorrere un tratto di strada. Sono solo, non ho alcuno…

ETTORE – Immagino che avrà corso la sua bella cavallina, eh maggiore?

MAGGIORE – (lisciandosi i baffi) Un galoppo continuo. Le confesserò: questa gamba non è un ricordo della guerra.

ETTORE – Ah  no?

MAGGIORE – Saltando giù da una finestra in mutande, in Francia, nel 58. Oui!

ETTORE – Eh maggiore, dvintà vecc’ l’è una bella futta! (guarda le carte).

                  C’l guarda: non si disperi, ‘l cart i parlan mia màl. Vèda vèda. Maggiore lei ha delle figure bellissime. Me ved in d’l so futuro ancora tanta prosperità. Guardi: salute, serenità. Guardi qui: questa carta non vorrà certo dire proprio durezza, piuttosto una semirigidità, ma direi che si può accontentare. E poi c’è anche  una gentile…paziente…donzella che lei farà felice, le darà molta tenerezza, chiaro il messaggio?

Eh maggiore, invecchiare è una bella fregatura! (guarda le carte).

                  Guardi: non si disperi, le carte non dicono male. Guarda guarda. Maggiore lei ha delle figure bellissime. Vedo nel suo  futuro ancora tanta prosperità. Salute, serenità. Guardi qui: questa carta non vorrà certo dire proprio durezza, piuttosto una semirigidità, ma direi che si può accontentare. E poi c’è anche  una gentile…paziente…donzella che lei farà felice, le darà molta tenerezza, chiaro il messaggio?

MAGGIORE – Chiaro.

ETTORE – E se po lu ‘l catta qulla c’g piaz la roba ten’ra, la fa dvintà matta!

                  E poi, se trova quella che ama la “roba tenera”, la farà impazzire

MAGGIORE – E… questa donzella, dove? Quando?

ETTORE – Mia subit subit, da ché a un po’. C’l sa preoccupa mia. Va tutt bein. Basta c’l sa contenta e c’l sa fissa mia. L’è in pension: la disciplina, la durezza è roba di altri tempi. M’l capì?

                     Non subito, tra un po’. Non si preoccupi. Va tutto bene. Si deve accontentare per ora. E’ in pensione, maggiore: la disciplina, la durezza è roba di altri tempi. Mi capisce?

MAGGIORE – Mi ha rasserenato.

ETTORE – C’l sa fagga ved tra un po’ e vedrum cmé i vann ‘l cart. Prego, regoli pure con la mia assistente.

                  Ci rivediamo tra un po’ per vedere di nuovo le carte. Prego, regoli pure con la mia assistente.

MAGGIORE – (si alza) Obbligato.

ETTORE – Si figuri.

MAGGIORE – E in via provvisoria…nell’attesa…un intruglio…?

ETTORE – Provi questo. Lo fa la mia assistente, mani di femmina, non si sa mai.

(tra sé) Chelù appena ‘l sa ‘c gh’è ‘l Viagra ‘l gà lassa la pension!

(tra sé) Appena scopre che c’è il Viagra ci lascia un capitale!

MAGGIORE – Lo applico…?

ETTORE – Per bocca, maggiore, per bocca. Dalla mia assistente.

MAGGIORE – Garbata signora.

ETTORE – Gliela sconsiglio.

MAGGIORE – Scherzavo.

ETTORE – Naturalmente. A presto. Adele!

MAGGIORE – (saluta militarmente, gira sui tacchi ed esce. Sulla porta incontra Adele che sta introducendo una signora, non più giovanissima, ma ancora piacente. Saluta di nuovo).  Enchanté!

ADELE -  Lu ‘l s’incanta con tutt. C’l vegna pur con me (segnala ad Ettore che si tratta della signora che vuol parlare col defunto).

                  Lei s’incanta con tutti. Mi segua (segnala ad Ettore che si tratta della signora che vuol parlare col defunto).

SCENA V

ETTORE – (Appena usciti Adele e il maggiore)  Le mie condoglianze.

PIERA – Grassia. C’l ma scusa pr’l ritardi, ma ‘m sum mia sentì bein gnan un briiz. Di chi pirlameint ‘d testa!

                  Grazie. Mi scusi per il ritardo,ma non mi sentivo niente bene. Certi giramenti di testa!

ETTORE – ‘C l’s figura, siora, la capiss.

                   Si figuri, la capisco

Adele rientra ed Ettore le impone, coi gesti, di andare in postazione. Adele va.

Ettore congiunge le mani e si concentra. Silenzio. Lentamente si abbassano le luci.

PIERA – C’l seinta…

                  Senta…

ETTORE – Ssstt..mi devo concentrare. Gh’è qualcos in ‘d l’aria…una correinta, un’onda, dill vibrazion, tamme una preseiza (soffi e sibili,  Ettore trema in tutta la persona)

                       Ssstt..mi devo concentrare. C’è qualcosa nell’aria…una corrente, un’onda, delle vibrazioni, una presenza (soffi e sibili,  Ettore trema in tutta la persona)

PIERA – (suggestionata)  Sar’l ‘mé Oreste?

                                            Sarà il mio Oreste?

ETTORE – (Prendendo la palla al balzo) Oreste…Oreste: chissà, magari l’è propria lu.

                  (Prendendo la palla al balzo) Oreste…Oreste: chissà, potrebbe essere proprio lui.

PIERA – ‘M vegna tutt i sudon! Che caldana, Signor! So mia ‘s sum bona da resist. Me ‘m ciàppa subit l’emozion. G’ho anca pagura da dè là, cmé prima.

                        Sto sudando! Che caldo, mio Dio! Non so se riesco a resistere. Mi emoziono subito subito. Ho anche paura di svenire…

ETTORE -  Siora, se la taza mia ‘l fum scapp. Donca donca…gh’è qualcadoin (respira con affanno)  Si, gh’è qualcadoin…(agita la mano) No, no, via te, via!

                    Signora, se non tace lui scappa . Dunque…si, c’è qualcuno (respira con affanno)  Si, qualcuno…(agita la mano) No, no, vai via tu, via!

PIERA – Chi gh’ è?

                  Chi c’è?

ETTORE – Un diavol! (solito stacco fortissimo: PARA-PA-PAAA!)  

                   Un diavolo!

PIERA – Ahh!! …Se lassasma perd?! (leggera musica di sottofondo)

                  Ahhh….se lasciassimo perdere?

ETTORE – Sssstt… ‘g sum…’g sum (borbottii vari)

                  SSttttt…ci siamo…ci siamo

PIERA – Car ‘l mé Signor!

                  Signore buono !

ETTORE – Oreste…O-reste…sa t’é te, fatt cognoss…(dopo qualche secondo un colpo)

                   Oreste…Oreste….se se tu fatti riconoscere…

PIERA – Gesù!

ETTORE – Silenzio! …Oreste, gh’è to moier..

                  Silenzio!...Oresete, c’è tua moglie qui..

PIERA – ‘M vegna tutt la pell d’oca!

                  Mi viene la pelle d’oca

ETTORE – ‘C la digga qualcos, vedum se l’è lu.

                     Dica qualcosa, vediamo se è davvero lui.

PIERA – (dopo pochi secondi di pausa imbarazzata)  Stèt bein, Oreste?

                                                                                  Stai bene , Oreste?

ETTORE – Si, e che bella giornà, vera? Siora, so marì è defunto: la digga qualcos d’àtar.

                  Si, e che bella giornata! Signora, suo marito è defunto: dica qualcos’altro.

PIERA – Ma so mia…(commossa e patetica) Quand è c’t ma vegn a to?

                  Ma non saprei…(commossa e patetica)   Quando mi porti via con te?

ADELE – (ha uno scoppio, trattenuto, di risa)

PIERA – No no, …Oreste. Voriva diit che anca s’t m’è fatt inrabì, me ‘t voriva bein. Anca  s’t ma dàv mai ‘d sood e ‘t tiràva di assideint, me ‘t voriva bein. Anca s’t ma fàv di cornòn alt un met’r  me ‘t voriva bein….chissà mai parché, po! (Rumori vari)

                  Adess, cos fagghia da par me, Oreste?

                 

             No no, …Oreste, volevo dirti che anche se mi facevi arrabbiare, ti volevo bene. Anche se mi lesinavi i soldi e ti mandavo a quel paese, io ti volevo bene. Anche se mi facevi delle corna alte così, io ti volevo bene….chissà perché poi! (Rumori vari)

                  Ora, cosa faccio da sola, Oreste?

ADELE – Eeee….

PIERA - …reste…?

ADELE – Eeee…

PIERA – ‘restee…

ADELE – Eeeetcì!

PIERA – Salut! Ma cos è sta?

                  Salute, ma cosa è stato?

ETTORE – Siora, l’è in paradis!

                  Signora, è in paradiso!

PIERA – Impossibil! E parché?

                  Impossibile! E perché?

ETTORE -  S’l fiss in dl’infer’n ‘l g’ariss mia ‘l fardor! Gh’è cad!

                  Se fosse all’inferno non avrebbe il raffreddore! C’è caldo!

PIERA – E’ vera.   

                  Vero

ETTORE – (tra folate di vento)  ‘L và, ‘l và.    

                                                      Se ne va, se ne va

PIERA – No, spetta, Oreste, ho da dì ancora una roba. Me ho seipar sopportà tutt, ho mai ditt gnint in treint’ann!  Ma adess, s’t vo  c’t fagga dì d’l mess, bein, tira fora i num’r d’l lott, se non ‘t mand tant assideint fein ‘c t’è finì dritt in dl’inferan, qull ‘c t’è fatt provà a me, Oh!

                  Aspetta, Oreste, devo dirti ancora una cosa. Ho sempre sopportato tutto, non ho mai protestato per trent’anni! Però ora,se vuoi delle sante messe, bene, dammi i numeri del lotto, altrimenti ti rifilo tanti accidenti fino a mandarti all’inferno, quell’inferno che hai fatto provare a me!  Oh!

ETTORE – Oreste…i num’r…i num’r…(rumori vari)

                  Oreste…i numeri…i numeri

ADELE – (con voce artefatta) Quarantasetteeee…

ETTORE – E po…?

ADELE – Settantasetteee…

ETTORE – Si si,  e po’?

ADELE – Venti-dueee…

PIERA – In ‘s che roda?

                  Su che ruota?

ETTORE – Al va, al va..l’è andà  (si alzano lentamente le luci).

                   Va, va….è andato

PIERA – Senza diim la roda. L’è propria dispettos!

                  Senza dirmi la ruota. E’ proprio un dispettoso!

ETTORE – (si butta sulla poltrona) Sum dasfatt!

                                                        Sono distrutto!

PIERA – Stal mia bein?

                  Sta bene?

ETTORE – Qull lavor ché ‘l mà distrùggia.

                  Questo mestiere mi distrugge

PIERA – ‘’L capì lu i num’r?

                  Ha sentito i numeri, lei?

ETTORE – 47, 77 e 22.

PIERA – Si, ma in ‘s che roda?

                  Si, ma su che ruota?

ETTORE – Donca: paradiis, P, Palermo.

                  Dunque: paradiso, P, Palermo.

PIERA – Ma si, provum. S’g ciàpp la sta bein anca lu. Pr’adess quant ‘g do?

                  Ma si, proviamo. Se ci becco la faccio stare bene. Per ora quanto le dò?

ETTORE – La sariss offerta libera…fum seint euro.

                  Sarebbe offerta libera…facciamo 100 euro

PIERA – La furca!

                  Capperi!

ETTORE – Siora, u‘m mia parlà con l’America o ‘l Polo Nord: ‘m parlà con un defunto!

                  Signora, non abbiamo parlato con l’America o il  Polo Nord, ma con un  defunto!

PIERA – Custa meno la Telecom, sicur!  (paga)  C’la stagga bein.

                  E’ meno cara la  Telecom sicuramente!  (paga)  Arrivederci.

ETTORE – Arvedass.

                    Arrivederci.

PIERA – I hann bein tira so i prezzi anca i madgon! (esce).

                  Come hanno aumentato i prezzi, sti mediconi (esce).

ETTORE – (Ad Adele) Vé pur fora da lé.

                                        Vieni fuori da lì

ADELE – (esce piano, contrita)

ETTORE – Et ciappa ‘l fardor?

                  Hai il raffreddore?

ADELE – M’è andà ‘d la polvar in dal naz.

                  Mi è andata della polvere nel naso.

ETTORE – Fortoina che la siora l’era mia un’aquila. l’g voriva tant bein a so marì!

                  ‘S ‘l ga dava mia i num’r d’l lott po che a la svelta, ‘l la mandàva da Bargniff.

                     Per fortuna la signora non era un’aquila. Come voleva  bene a suo marito!

                  Se non tirava fuori i numeri del lotto, lo spediva in diretta da Belzebù.

ADELE – Con qull ‘c l’arà patì, povra donna.

                  Con quel che ha sofferto, povera donna

ETTORE – E dov et tirà fora i num’r stavolta?

                  E come li hai tirati fuori stavolta i numeri?

ADELE – 47 morto che parla, 77 le corna e 22 la povra locca, vist la vita ‘c l’ha fatt!

                  47 morto che parla, 77 le corna e 22 la povera scema, vista la vita che ha passato!

ETTORE – E va bein, ma la prossima vota sta atteinta.

                   Va bene, la prossima volta stai più attenta.

ADELE – T’l sé  c’l fagg mia vlontera.

                  Sai che non lo faccio volentieri

ETTORE – (la minaccia con un dito)  Ah ah!!

ADELE – Ho capì!    

                  Ho capito!

SCENA VI

SERGIO – Possia?

                  Posso?

ETTORE – Gh’è ‘d la gint. Avanti. Ah, l’è Sergio, ‘l sugaman (il bellimbusto)

                    C’è gente. Avanti. Ah, è Sergio, l’asciugamani (letterale, modo di dire)

SERGIO –Ho vist ‘c gh’era ansoin ca spettàva…

                Ho visto che non c’era nessuno…

ETTORE –  Carte tutti i giorni, ormai, eh Sergio?  Amore o affari incò?

                     Le carte tutti i giorni, ormai, eh Sergio?  Amore o affari oggi?

SERGIO – Affari. G’ho in vista una roba…

                        Affari. Ho una cosa in vista…

ADELE – (si sistema i capelli e lo guarda)

ETTORE – Allora pr’l lavor.

                     Allora per il lavoro.

SERGIO – Me e ‘l lavor sum gnan pareint a la longa. Viatar sì, ‘c fà un bell mister. I ciappà la vacca pr’l ball! Fà passà d’l cart,‘n gh’è dubbi  ‘c s’rompa la scheina. Vegna deint’r di bei sood senza sudà, vera?

                       Io e il lavoro non siamo neppure parenti. Voi sì, che avete un bel mestiere. Avete preso il toro per le corna! Mescolare delle carte non rompe certo la schiena. E ci sono dei bei rientri, vero?

ADELE – I pàran tutt bei i mister d’i atar.

                     I mestieri degli altri sembrano sempre migliori

ETTORE – Che affari sariss’l? (mescola le carte)

                     Che tipo di affare sarebbe?

SERGIO – D’intermediasione finansiaria. Ma guardum anca ‘s gh’è un’eredità in vista o un matrimoni; un bel matrimoni ‘g voriss propria par me adess…E le (guarda Adele) quand s’ spuz’la?

                       D’intermediazione finanziaria. Ma vediamo anche se è in arrivo un’eredità o un matrimonio; un bel matrimonio  mi ci vorrebbe adesso…E lei (guarda Adele)  non si sposa?

ADELE – Me?! Oh, par  carità!

ETTORE – (sta per mettere giù le carte)

SERGIO  - No. Mia lu, la siora. ‘L donn g’hann la mano passerina, vera?

                     No. Non lei, la signora. Le donne hanno la  mano passerina, giusto?

ADELE – Possia?

                 Posso?

ETTORE – Fa pur. Mi ritiro un attimo (esce).

ADELE – (mescola e fa toccare) Data di nascita.

SERGIO – Primo aprile del 74.

ADELE – Dabon? ‘L par un scherz!

                     Davvero? Sembra uno scherzo!

SERGIO – L’adziva anca mé mar.

                     Lo diceva anche mia madre.

ADELE – Donca…Gira ‘d la dasfortoina…e ‘d sood ‘s n’in veda poc.  Pr’l so affari l’è mei c’l lassa perd, l’è mia ‘l momeint.

     Dunque…Vedo della sfortuna…e pochi soldi.  Per quell’affare è meglio lasciar        perdere per ora , non è il momento.

SERGIO – Quand l’è acsé, ‘m tirarò indrè, ‘m fiid ‘d lé (le si fa sotto).

                     Se dice così mi ritirerò, mi fido di lei (le si fa sotto).

ADELE – E per l’eredità, niente decessi in vista.

SERGIO – E…l’amore?

ADELE – (confusa, mischia e stende di nuovo le carte) Per l’amore…l’amore….ché ‘s veda atar che dill donn. Però però, tra tutt, ‘g n’è vuna…

                 (confusa, mischia e stende di nuovo le carte) Per l’amore…l’amore….qui si vedono solo donne, però tra tutte, una…

SERGIO – Vuna? E Chi?

                     Una?  E chi?

ADELE – Sariss mia.

                     Non saprei dire

SERGIO – G’ala di sood?

                     Ha molti soldi?

ADELE – Savriss mia diil.

                     Non si capisce

SERGIO – E cm’ela? Bella? Brutta?

                     Com’è? Bella? Brutta?

ADELE – ‘L cart ‘l dizan mia. Però l’è mia giovanissima, sicur.

                     Le carte non lo dicono. Non è giovanissima, questo dicono.

SERGIO – E bein, l’important l’è la salut…d’l portafoi.

                     Va bene, l’importante è la salute…del portafogli.

ADELE – Ma con lelè  lu ‘l g’arà da stà atteint. Gh’è una brutta carta, un insideint.

                     Ma con questa lei dovrà stare attento. Vedo una brutta carta..un incidente….

SERGIO – Un marì gelos?

                     Un marito geloso?

ADELE – Me dziriss…una cascà, un vuul…

                     Direi…una caduta…un volo….

SERGIO – Ma cos diz’la? Un vuul? Magari da una finestra..ah ah ah (ride)

                     Ma che dice? Un volo? magari dalla finestra..ah ah ah (ride)

ADELE – (mortificata) Bein, lu ‘c la stagga atteint, la chèrta l’è mia bella.

                     (mortificata) Bene, stia attento, la carta è bruttina.

ETTORE – (rientrando) E si, ‘c la stagga atteint, parché ‘g vol un attim a fàss mal. 20 euro.

                     (rientrando) E si,  stia attento, ci vuole poco a farsi male.  20 euro.

SERGIO – Voriiv anca di sood dop tutt ‘l brutti notizi ca mì datt?

                     Dovrei anche pagare per le brutte notizie che mi avete dato?

ADELE – ‘L g’ha ragion.

                     Ha ragione.

SERGIO – Ma se troverò l’amore…

ADELE – A presto.

ETTORE –Inco l’ha risparmià..

                     Oggi lei ha risparmiato

SERGIO – Certo ‘c fa prest a cattà so di sood viatar: un gran bell mister. Arvedass (esce).

                     Certo che fate presto a fare dei soldi,  un gran bel mestiere. Arrivederci (esce).

ETTORE – Un bell elemeint.  L’è ché tutt i dé par ved cmé vann i affari: ma che affari g’al in ball s’l fa mai gnint! E ‘l sivitàva a guardàt, occio!

                      Un bell’ elemento. E’ qui tutti i giorni per vedere come vanno gli affari: ma di che affari parla se non fa nulla!  E continuava a guardarti, attenzione

                    

ADELE – Ah si? E parché mai…?  

                  Davvero, come mai?

SCENA VII

Trambusto fuori.

PIERA – (da fuori) Spetta! Spetta , fa mia acsè!

                     (da fuori) Aspetta! Aspetta , non fare così!

FILIPPO – (da fuori) Ah no, g’ho da digal!

                                      Ah no, devo dirglielo!

ADELE – Ma cos gh’è?!

                  Cosa succede?

ETTORE – E chi el chelù?

                    Chi è questo?

FILIPPO – (entrando con Piera, agitato, tentando di stare calmo)  ‘S ricord’l cla siora ché?

             (entrando con Piera, agitato, tentando di stare calmo) Si ricorda di questa signora?

ETTORE – Sicur, l’è vegn prima pr’l marì.

                     Certo, è venuta prima per il marito.

FILIPPO – ‘L marì, mé par, l’è mort.

                     Il marito, mio padre, è morto

ETTORE – Ho zà fatt ‘l condoglians a la siora.

                     Ho già fatto le condoglianze alla signora.

FILIPPO – E po?  

                   E poi?

ETTORE – Po. so mar l’ha vorì fa una ciciaràda in diretta .

                     Poi sua madre ha voluto farci una chiacchierata in diretta .

FILIPPO – Ma peinsa!  Una roba da gnint!

                     Ma pensa un po’! Una roba da niente!

ETTORE – So mar l’è vegn da par lé, l’ha mia pontà ansoin, ‘m par, vera siora?

                     Sua madre è venuta spontaneamente, non l’ha sospinta nessuno, mi pare.

PIERA – Si, si…Filippo, dai….

…Filippo, per favore….

FILIPPO – Dai. una marianna! Fora i seint euro, imbroion!

                     Per favore una marianna! Fuori i 100 euro, imbroglioni!

ADELE – Signor, ‘g sum! Me ‘l sàva che prima o dop…

                     Ci siamo, lo sapevo che pima o poi…

ETTORE – Ma come si permette!! Me ‘l denonc’!

                     Come si permette ? La denuncio !

FILIPPO – Ma vèda!

                     Ma tu guarda!

ETTORE –  Me g’ho tant ‘d diploma e d’autorizaziòn par fà qull mister ché!

                     Ho tanto di diploma e sono autorizzato a esercitare questa arte!

FILIPPO – ‘L diploma pr’imbrioià la gint?

                     Il diploma per imbrogliare la gente?

PIERA –  Filippo fa mia acsé, ‘m vegna da cridà..

                     Filippo , ti prego, mi viene da piangere

ETTORE -  Ma cos sarà mai success, po! La siora la g’ava piazer a parlà con so marì parché la g’ava di ruzghein , e noi l’um contintà!

                Ma che sarà mai successo, alla fin fine!  la signora aveva piacere a parlare con suo marito per certi sospesi  e noi l’abbiamo accontentata!

ADELE – E gh’ià cantà bell ciar!

                  E le ha cantate belle chiare!

FILIPPO – Seint  euro  rubà a una povra disgrazià!

                   Cento euro rubate a una povera disgraziata!

PIERA – Filippo!

FILIPPO – Nel seins ‘c la g’ha avì la disgrazia. E viatar na profittà. Chissà cos gh’iv fatt cred!

                     Nel senso che ha avuto una disgrazia, approfittandone. Cosa le avete fatto credere?

PIERA – Ma l’ho sentì dabon ‘l papà: l’ha anca starnudà!

                     L’ho sentito davvero il papà: ha anche starnutito!

FILIPPO – Chi?!?

ETTORE – Oreste..

FILIPPO – Ah!! L’ha propria fatt “etcì”?

                     Ah!! Ha fatto proprio “etcì”?

ADELE – Si, e ‘l sa sariss anca soffià ‘l naz , ‘s gl’aviss avì.

                     Si, e si sarebbe anche soffiato il naso, avendolo….

FILIPPO – Sì propria di delinqueint organizà!

                     Siete dei delinquenti organizzati.

ETTORE – Occio m’l pàrla!

                     Attento a come parla!

FILIPPO – E magàri  ‘l fàva anca di veers, cmé “uuhhh”, “fiu, fiu”?

                     E magari  sentivi anche dei rumori tipo: “uuhhh”, “fiu, fiu”?

PIERA – Si si, ‘l fisciava, ‘l buffava, uh uuuhh!

                     Si si, fischiava, soffiava, uh uuuhh!

ADELE – Veri gemiti da oltretomba!

PIERA – E ho anca sentì una musica: pa-ra-pa-pa!

E ho sentito anche  una musica: pa-ra-pa-pa!

FILIPPO – Si, la sinfonia ‘d l’ongia incarnà! Ma roba da matt!   A siiv cos farò me?

                     Si, la sinfonia dell’unghia incarnita! Cose da pazzi!  Sapete cosa farò?

ETTORE – C’l ma digga!

                     Mi dica!

FILIPPO – Potrei denunciarvi per circonvenzione d’incapace…ma al farò mia, no…

                     Potrei denunciarvi per circonvenzione d’incapace…ma non lo farò, no…

ADELE – Meno male.

FILIPPO – No. Siccome a  scriv in si giornai, me tragg in pé una bella campagna di stampa contra tutt i  imbroion tamme viatar!  Vi rovino!!

               No. Siccome  scrivo per un giornale, imbastisco una bella campagna di stampa contro tutti i mediconi, cartomanti, imbroglioni par vostro!  Vi rovino!!

ETTORE -  Lei offende dei professionisti seri e preparati.

FILIPPO – Preparati a fà so di cuion! Scusa mamma…

                     Preparati a turlupinare gli stolti! Scusa mamma…

ADELE – Forse lu ‘l gà creda mia, ma se mandum  di assideint noi, gli imbroiòn, magari i rivan.

                Forse lei non ci crede, ma se mandiamo qualche accidente noi, gli imbroglioni, magari arrivano a destinazione..

FILIPPO – Ma fam ‘l piazer: ballanud!

                     Piantatela: pagliacci!

ADELE – Ma sfriiza tutt ‘l sangu!

                     Mi “frigge” il sangue nelle vene!

PIERA – Filippo, me m’ha fatt piazer a seint ‘l papà.

                     Filippo,  a me ha fatto piacere sentire il papà

FILIPPO – Oh santa ignoranza! (A Ettore e Adele) Tenete d’occhio i giornali! (fa per andare)

ADELE – La pagina di mort?

                     La pagina dei deceduti?

FILIPPO – Tié! Arpia! (fa le corna ed esce con Piera).

ADELE – Arpia?! A me?!? (rivolta alla porta, si concentra) Me seint, adess, che appena t’è miss un pé in s’l prim scalein, ‘t ciapp un ruglon c’t vul fein in fonda ai schèl, con la testa ‘c la sbarbàtta dadché e dadlà!

              Arpia?! A me?!? (rivolta alla porta, si concentra) Sento, ora, che appena messo il piede sul primo scalino, inciampi e voli fino in fondo alle scale, con la testa che sbatacchia di qua e di là.

FILIPPO  (da fuori, ridacchia, poi)  AHHHHHH!  (tonfi vari).

ETTORE – (conta i tonfi) Prima, seconda, terza e quarta rampa: li ha fatt tutt.

PIERA – (da fuori)  Filippo!

ETTORE  - (va sulla porta e rientra gelato; guarda Adele, anch’essa sorpresa dal risultato dell’invettiva)  L’è volà cmé un patass!

                     E’ volato come un  sacco di patate

ADELE – M’l sentiva c’l cascàva.

                 Me lo sentivo che cadeva.

PIERA – (rientrando) O Gesù! Ciama la Cruz Rossa!

                                      Gesù, chiamate la Croce Rossa!

ADELE – (cercando un assenso da Ettore) ‘M dispiaz siora, ma…

                                                                   Mi  dispiace tanto, signora., ma

ETTORE / ADELE – (insieme) …g’um gnan ‘l telefon! (sbattono la porta).

                                                Non abbiamo il telefono!

                                                          

S  i  p  a  r  i  o

F i n e    d e l     1°    a t t o

A  T  T  O    II°

Stessa scena del I° atto.

E’ sera . Ettore è già in scena, seduto accanto alla scrivania, in vestaglia, faccia rivolta al pub-

blico, con i piedi immersi in un catino di acqua bollente, la testa reclinata all’indietro, con,

sulla fronte, una pezzuola umida.

SCENA I

ETTORE – Ohhh…ohhh, sto bein mal. Adele, Adele! (nessuna risposta) Adelina, craparò…

                     Ohhh…ohhh, come sto male. Adele, Adele! (nessuna risposta) Adelina, muoio…

ADELE – (più curata di aspetto del I° atto)  Sperum…(versa altra acqua calda nel catino)

                                                                     Speriamo…

ETTORE – Ahi!

ADELE – Cos gh’è?   

                     Cosa c’è?

ETTORE – La scotta!

                     Scotta!

ADELE – Zur ‘c mn’in sum  mia dàta (sguardo d’intesa verso il pubblico).

                     Giuro che non me ne sono accorta (sguardo d’intesa verso il pubblico).

ETTORE – Sum bein costipà! G’ho anca la freva (febbre) (si toglie il termometro).

                     Come sono raffreddato! Devo avere anche la febbre (si toglie il termometro).

ADELE – T’è un lamento unico.

ETTORE – Te invece t’è conteinta, eh?

                     Tu sei contenta, eh?

ADELE – Par carità! Ma ogni tant un Signor ‘l gh’è (guarda l’ora).

                     Par carità!  Qualche volta, però,  un Dio esiste! (guarda l’ora).

ETTORE – E cos guàrdat seipar l’ora? Gh’èt da andà via?

                     Perché guardi sempre l’ora? Dove devi andare?

ADELE – Quand andrò via sarà par seipar!

                     Quando me ne andrò sarà per sempre!

ETTORE – Certo c’s vorom bein, noi, tra fradell e sorella, vera? Se podissma…

                     Certo che ci vogliamo bene io e te, fratello  e sorella, vero? Se potessimo…

ETTORE/ADELE – (insieme) ..’s massum!

                                                      Ci ammazziamo!

ETTORE – Propria adess con tant lavor…ohi, sto bein màl.

                     Proprio adesso che ho tanto lavoro…ohi, come sto male.

                    

ADELE – Verameint ‘g sariss anca me, no?

                     Veramente ci sarei anch’io, per quello, no?

ETTORE – La gint la vol Ettore, il mago. Te ‘t va appena bein par fà la  voce dell’oltretomba.

                     La gente vuole Ettore. Tu vai bene per fare la voce dell’oltretomba.

ADELE – (gli spinge la testa sulla scodella per i suffumigi e gli copre rudemente il capo con l’asciugamani)  Ah si, eh? Vag appena bein da fa la vuz dall’oltretomba? Respira, respira bein, acsé!

                (gli spinge la testa sulla scodella per i suffumigi e gli copre rudemente il capo con l’asciugamani)  Ah si, eh? Vado bene solo per fare la voce  dall’oltretomba? Respira, respira bene, così!

ETTORE – Soffogh!

                     Soffoco!

ADELE – Ma no, c’t soffogh mia. G’ho mia miss l’arsenich…o almeno ‘m ricord mia.

                     Ma no, non soffochi. Non ci ho mica messo l’arsenico…o almeno, non mi ricordo.

ETTORE – (si libera dalla morsa della sorella) Assassina! (respira forte)

ADELE – A me, assassina? E te cos et fatt col mé Carlo? Par me, tamme se tl’aviss massà! E beva!

               A me, assassina? Tu cosa hai fatto con il mio Carlo? E’ come l’avessi ucciso!      E bevi!

ETTORE – Cos el?

                     Cos’è?

ADELE – Latt col cognac.

                     Latte e cognac.

ETTORE – G’hoi da fidam?

                     Mi devo fidare?

ADELE – ‘T gh’è pagura, eh, da tirà i scapein? Ma se t’è un chiaroveggente, ‘t g’ariss anca da savì che fein ‘t farà.

                ‘Hai paura, eh, di lasciarci le penne? ma se sei un veggente! Dovresti anche sapere che fine farai

ETTORE – Brutta stria!

                     Strega!

ADELE – Parché stria? Vedat mia cmé sum premurosa? Adess ‘t fagg anca un bell gir ‘d cart, csé vedum quand ‘t passa la costipasiòn.  E beva!

                 Perché strega? Non vedi come sono premurosa?  Adesso ti faccio anche un bel giro di carte, così vediamo quando ti passa il raffreddore.  E bevi!

ETTORE – Quand starò bein…

                     Quando starò bene…

ADELE – (stende le carte)  Donca, vedum un po’…veda : ‘t pass mia la nott !

                   (stende le carte)  Dunque, vediamo…guarda: non passi la notte !

ETTORE – Eh?!?

ADELE – (improvvisamente diventa seria; rifà il mazzo e stende di nuovo le carte, ma rimane molto seria).

ETTORE – Cos gh’è? Cos et vist?

                     Cosa c’è ? Cosa hai visto ?

ADELE – (le ripone velocemente) Gnint, gnint…

                                                         Niente, niente…

ETTORE – Ma cos voot avì vist? Te bona ‘d gnint e me sto anca a scoltàt. Ah ah ah..(ridacchia) E Sergio, che fein ‘l fatt ‘c l’è un po’ ‘d teimp c’l sa veda mia?

                  Ma cosa avrai mai visto?  Non sai far nulla e io ti sto anche ad ascoltare. Ah ah ah..(ridacchia) E Sergio, dove è finito che è un po’ che non si vede

ADELE – (scrollandosi)  Chi?

ETTORE – Sergio, ‘l bell sugaman. L’era separ ché tutt i dé. E ‘l voriva la to bella mano passerina. Second me ‘l voriva  vivere di rendita!

                   Sergio, quel bell’”asciugamani”. Era sempre qui., ogni giorno. E voleva solo la tua bella mano passerina. Secondo me voleva vivere di rendita.

ADELE – Oh basta!

ETTORE – Però te, prima da spozàl, digal c’t gh’è mia ‘l cinquanta par seint d’la società, ma un bell zero tond par seint (O %), ah ah ah (ridacchia).

                     Però tu, prima di sposarlo, diglielo che non hai il 50% della società, ma un bello zero tondo per cento, ah ah ah (ridacchia)

ADELE – Basta, basta!

ETTORE – Quant cognac gh’era in d’l latt? ‘M gira la testa…

                     Quanto cognac hai messo nel latte? Mi gira la testa…

ADELE – Sariss mei ‘c t’andàss in lett (guarda l’ora).

                     Sarebbe meglio che tu andassi a letto

ETTORE – (piano) La seguita a guardà l’arlog’, chissà cos la g’ha da fà!

                     (suona il campanello) Chi sarà? Chiunque sia, dig acsé che me sto mia bein.

                 (piano) Guarda sempre l’orologio, cosa dovrà fare?!

                     (suona il campanello) Chi sarà? Chiunque sia, digli che non sto bene.

Adele va alla porta mentre Ettore beve ancora facendo schioccare la lingua. Trambusto.

SCENA II

ADELE – (da fuori)  Me fradell ‘l pol mia riceev, l’è malà.

                                   Mio fratello è ammalato, non può ricevere.

FILIPPO – (entra con vistosa fasciatura in testa).

ADELE – Gh’è datt la cà in s’la testa?

                     Le è caduta la casa in testa?

FILIPPO – Un piccolo incidente, che però ‘l ma fermarà mia  a meno di convincenti scuse, se no  a vag fein in fond…     

                     Un piccolo incidente, che però non mi fermerà a meno di convincenti scuse. Altrimenti andrò fino in fondo

ETTORE – In fond i schèl, ‘m sa…ah ah ah..

                     In fondo alle scale, vuol dire….ah ah ah…

FILIPPO – Quand l’è csè, voriva  fav veed una roba (sventola un foglio)

                     Quand’è così…Voglio farvi vedere una cosa (sventola un foglio)

ADELE – (lo prende)

ETTORE – Cos ela? Una denuncia? La mettum insema a i’atar.

                     Cosa sarebbe? Una denuncia? La mettiamo insieme alle altre.

FILIPPO – No, l’è mia una denuncia. Cust l’è l’articol ‘c port al giornal stasira, subit, csé dman podrì leez una bella pubblicità par tutta la gint cmé viatar.

                Non è una denuncia. E’ l’articolo che porterò al giornale stasera, subito, così domani potrete leggere una buona pubblicità per gente par vostro

ETTORE – ‘G vool atar!

                     Ci vuol altro!

ADELE – ‘L gà riva mia fein al giornal, la scapuzza prima.

                     Non arriva fino al giornale, inciampa prima.

FILIPPO – (fa un passo indietro e infila un piede nel catino)  Ehhh?!

ETTORE – Ah ah ah…l’è vegn par fa un pediluvio insema a me?

                     Ah ah ah…è venuto per fare un pediluvio insieme a me?

FILIPPO – So mia parché, ma quand sum ché   ‘m fagg seipar mal.

                     Non so come mai, ma quando sono qui mi faccio sempre male

ETTORE – Ci vuole una fattura contro il malocchio.

ADELE – G’ho la sensazion c’l sa scottarà, vèda te che roba!

                     Ho la sensazione che si scotterà, ma pensa un po’!!

FILIPPO – (si appoggia alla scrivania per guardarsi la scarpa bagnata ed infila la mano nel recipiente dell’acqua bollente per i suffumigi)  AHHH!

ETTORE     – Ah ah ah..lu l’è un num’r, ‘l g’ha da vegn possa da spess. Salute (beve).

                     Ah ah ah..ma lei è uno spasso, deve venire più spesso. Salute (beve).

FILIPPO – ‘V passarà la voia da riid quand ansoin gnarà a piccà la porta (soffiandosi sulla mano)

                Vi passerà la voglia di ridere quando nessuno verrà più a bussare alla vostra porta (soffiandosi sulla mano)

ADELE – Lu ‘l g’ha la fassia d’un capricor’n.

                     Lei ha la faccia da capricorno

FILIPPO – Ma fal a saviil?

                     Come lo sa?

ADELE – E i capricor’n, in chi dé ché, i’enn seipar in disgrazia. Occio ai schèl, eh?

                     E i capricorno, in questi gorni, sono disgraziati.  Attento alle scale, eh?

FILIPPO – Cla dagga ché ‘l mé foi. S’era vegn par seint d’l scuuz, ma vist ‘c sì propria di delinqueint, diamo pure alle stampe.

                Mi dia il foglio. Ero venuto per sentire delle scuse, ma assodato che siete dei delinquenti,  diamo pure alle stampe

ETTORE – ‘L vensarà ‘l Telegatto! Ah ah ah…

                     Vincerà il Telegatto!

FILIPPO -  (prende il foglio e si avvia deciso alla porta)

ADELE – Occiu a la porta!

                     Attento alla porta!

FILIPPO – Che porta? ( e si gira verso di loro)

SCENA III

SERGIO – Parmess? (colpisce Filippo con la porta)  Oh, pardon!

                     Permesso?     Oh scusi

ETTORE – Ah ah ah…c’l sa fagga benedì.

                     Ah ah ah…si faccia benedire

FILIPPO – Che botta!

SERGIO – L’ho mia vist…

                     Non l’avevo visto…

ETTORE – (ha un accesso di riso e si allontana a piedi scalzi verso la camera)

FILIPPO – (esce guardingo, poi rimette dentro solo la testa) La vedremo! (esce).

ADELE – Cos fal ché, Sergio? (circospetta)

                     Cosa fa qui, Sergio?

SERGIO – Lo sa benissimo, Adele…

ADELE – No, me ‘l so mia…(parleranno sottovoce)

                     No, non lo so…

SERGIO – G’àvma un appontameint, no? S’erma mia d’accordi? Ho spetta possà d’un’ ora…

                     Avevamo un appuntamento, no? Eravamo d’accordo.  Ho atteso più di un’ora

ADELE – Si..no…so mia…Me fradell la sta mia bein, e me…

                     Si..no…non so…Mio fratello non sta bene, e io…

SERGIO – E le ‘l la cura, anca! Qull negriero, lé.

                     E lei lo cura, vero? Quel negriero!

ADELE – ‘L so ‘c g’ariss mia da fàl, ma l’è mé fradell…me sum mia bona…

So che non dovrei farlo, ma è mio fratello …non sono capace…

SERGIO – ‘L la tratta cmé una servassa, una donna cmé le con tant qualità . E con che diritt? (interessato) Ela mia anca le padrona ‘d la società?

      La tratta come una serva, una donna con tante qualità come lei .Con che diritto? Non è padrona  pure lei della società?

ADELE – (mentendo)  Bein, ecco, si…

SERGIO – Allora c’l la piànta lé, Adele! Cminsum un’àtra vita via da ché.

                     (facendosi sotto) Partum, me e le. Impiantum un’attività cmé custa in d’un’atra città, me e le…Adele – par  prima – e Sergio,

                 Allora lo molli, Adele!  Ricominciamo una vita lontano da qui..

                     (facendosi sotto) Partiamo, io e lei. Apriamo un’attività come questa in un’altra città, io e lei …Adele – per  prima – e Sergio.

ADELE – Ma Sergio, con che sood?

                     Ma Sergio, con quali soldi?

SERGIO – Con la so part ‘d la società.

                     Con la sua parte di società

ADELE – Ecco, appunto…

SERGIO – (impostato come H.Bogart)  Stanott, Adele...partum stanott. L’è zà scur… me l’aspett zù…, ché sotta…

                (impostato come H.Bogart)  Stanotte, Adele, partiamo stanotte. E’ già buio… l’attendo giù…, qui sotto…

ADELE – No!…(ma tentata) Poss mia…c’l ma metta mia in imbarazz…!

                     No!…(ma tentata) Non posso …non mi metta in imbarazzo…!

SERGIO – (c.s.) I occasion i capitan appena una vota in d’la vita, una vota sola! E  quand ‘t sarà vecc’ e scarbontì ‘t pensarà: “però, s’l’aviss fatt…” (leggera commozione di Adele) Chemò che vita fàla?  Coga  (cuoca) e  spassona (puliscipavimenti)!

               (c.s.) Le occasioni capitano solo una volta nella vita, una volta e basta! E quando sarai vecchia e malconcia penserai: “però, se l’avessi fatto…” (leggera commozione di Adele)  Che vita fa, qui?  Cuoca e serva !

                    

ADELE – (provata)  E la vuz da l’oltretomba! Senza contà cos ‘l m’ha fatt prima…

                     (provata)  E la voce dell’oltretomba! Senza contare quel che mi ha fatto prima…

SERGIO – (le si avvicina da dietro senza toccarla) Sum ché sotta…con la macchina…(sospira fino a farle sentire il fiato sul collo)…pissa (accesa)…

                 (le si avvicina da dietro senza toccarla) Sarò qui sotto…con la macchina…(sospira fino a farle sentire il fiato sul collo)…accesa   (pissa, in dialetto piacentino)

ADELE –  (tra le lacrime, equivocando)) …l’ho appena fatta…

SERGIO – La macchina, pissa.  Ho  fatt ‘l piin, dov rivom, rivom…

                     La macchina, pissa (accesa).  Ho  fatto il pieno, dove si arriva, si arriva…

ADELE – (si gira e se lo trova di fronte, vicinissimo)  Ma parché, Sergio? Cos volal da me?

                                                                                  Ma perché, Sergio? Cosa vuole da me?

SERGIO – (stesso tono basso) Riconosco i meriti. Una valiza piccina e ‘l blocchet ‘d i assegn!

Che’ sotta! (scompare).

         (stesso tono basso) Riconosco i meriti. Una piccola valigia e il blocchetto degli assegni! Qui sotto! (scompare).

ADELE – (rimane sconcertata).

SCENA IV

ETTORE – In dov el finì?

                     Dove è andato?

ADELE – Eh…?  Chi?

ETTORE – ‘L sugaman.

                     Il caro “asciugamani”

ADELE – Pàrla mia seipar mal ‘d tutt! Almeno lu ‘l mà dà mia ‘d la stria.

                     Non parlare sempre male di tutti! Almeno lui non mi chiama strega!

ETTORE – (sospettoso) E cos el vegn a fà?

                                         Cosa è venuto a fare?   

ADELE – (confusa) Ma..una partenza…no, cioè, un affari, un parere, un consilii..

                     (confusa) Ma..una partenza…no, cioè, un affare, un parere, un consiglio..

ETTORE – Occiu ragassa, cl’om lé l’è pericolos, e quindi dag mia confidenza.

                     Attenzione ragazza, quello è pericoloso,  quindi poca confidenza

ADELE – T gh’è mia da diim te cos g’ho da fà!

                     Non dirmi tu cosa devo fare io!

ETTORE – Parché t’è tanta locca ‘c t’è bona d’l tutt: po tocca me a pensag! Tamme cla vota là...

                     Sei tanto scema che faresti qualunque cosa, poi tocca a me porre rimedio, come qull’altra volta.

ADELE – (decisa)  Andum in lett che me sum stracca e te l’è ora c’t ta cucc’, invece da stà in gir a ciappà d’l fredd. So!

                     (decisa)  Andiamo a letto, sono stanca e tu devi coricarti,  non devi prendere freddo. Forza!

ETTORE – T’è bein dvintà tutta premurosa! E cos ‘v siiv ditt te e ‘l sugaman?  Occio! (esce).

Come sei  premurosa! Cosa vi siete detti tu e l’”asciugamani”? Attenta! (esce).

ADELE – Guàrda, g’ho una voia da fàt un daspeed! ‘T fagg bein ved me cos sum bona da fà!

                     Che voglia di farti un dispetto! Ti faccio ben vedere cosa so fare!

SCENA V

Silenzio e penombra.

 Adele si avvicina alla finestra, guarda giù, poi sparisce. E’ combattuta. Esce di nuovo.

Rispunta con una piccola borsa da viaggio. Ancora molto titubante apre la finestra.

Colloquia a gesti con qualcuno sotto, facendo capire che è molto indecisa  e che ha paura del

fratello. Infine fa segno di aspettare.

ADELE – (piano)  Tla fagg bein ved me, la stria!

                                Ti faccio ben vedere io, la strega!

Chiude la finestra. Si inginocchia in mezzo alla stanza, giunge le mani, si segna, guarda in

alto per chiedere consiglio al Cielo.

ETTORE – (da fuori) Etcììì ( Entra tutto intabarrato per il freddo; è venuto a prendere il bicchiere col latte e cognac)

ADELE – (improvvisa esercizi ginnici) E uno, e due, e uno  e due….

ETTORE – (guardandola stupito) Forse gh’era deint’r  tropp cognac (esce).

                                                          Forse c’era troppo cognac

ADELE – (Si accascia lunga e distesa, poi si rialza lentamente e a carponi si porta verso la finestra, sporge timidamente la testa per vedere se Sergio è ancora là; e lui c’è; saluta con la mano con un sorriso idiota e si alza in piedi)

                     ‘L mà ciama stria! Me!

                     Mi chiama strega! A me!

                     (in un ultimo sussulto di libertà, prende la borsa, si segna ancora una volta,prende la rincorsa e veloce va verso la porta;  quando tocca la maniglia si sente:  TOC TOC, bussano. Si blocca, poi riprende in mano la maniglia e: TOC TOC.  Adele scappa via con la borsa)

Continuano a bussare.

SCENA VI

ETTORE – Adele, Adelee in dov et? I piccan a la porta. In dov ela andà a finì cla mezza matta lè? ma chi gh’è? (apre)

                     Adele, Adelee dove sei? Bussano. Dove diavolo è finita quella mezza matta? ma chi è? (apre)

PIERA – C’l ma scusa, c’l ma scusa l’orari…’s ricord’l ‘d me?

                     Mi scusi, scusi per l’orario…si ricorda di me?

ETTORE – (sorpreso) La mar d’l mè amiiz giornalista!

                                      La madre del mio amico giornalista!

PIERA – Propria.

                     Esatto.

ETTORE – So fio l’è propria un num’r, sala? ‘L ma fà tant riid, ah ah ah…

                     Suo figlio è proprio divertente, sa? Mi fa sempre tanto ridere, ah ah ah…

PIERA – Ecco, me sum vegn apposta par diigh c’m dispiaz par tutt ‘l casott c’l vo tra in pè ‘l me ragazz. L’è mia cattiv, c’l ma creda.

                     Ecco, sono venuta apposta per dirle quanto mi dispiace per il putiferio creato dal mio ragazzo. Non è cattivo, mi creda..

ETTORE – ‘G cred, ‘l vo appena tràm in s’l lastrich!

                     Ci credo, vuole soltanto buttarci sul lastrico!

PIERA – Parchè lu l’è onest…

                     Perché lui è un onesto

ETTORE – E me no?

                     Io no?

PIERA – Lu ‘l g’ha creda mia a sert roob. Me invece, sarò cuiona, ma ‘g creed..

                     Lui  non crede a certe cose. Io invece, sarò stupida, ma ci credo..

ETTORE – L’è vegn apposta par qust?

                     E’ venuta per questo?

PIERA – Si…no, verameint stava po’ in d’la pell. Voriva parlà ancora con mè marì. Ho mia finì ‘l discors l’at’r dè. G’ho ancora qualcosa da diigh.

               Si…no, veramente “non stavo più nella pelle”.  Vorrei parlare ancora con mio marito. Non ho finito il discorso l’altra giorno. Avrei ancora qualcosina da dirgli.

ETTORE – Adess?!

                     Adesso?

PIERA – Voi ‘dmandag una roba…

                     Voglio chiedegli una cosa…

ETTORE – Siora, ala vist in che stat sum? Sto mia bein

                     Signora, ha visto come sono combinato? Non sto bene

PIERA – L’è un urginza…

                     E’ un’urgenza…

ETTORE –Siora…

                     Signora…

PIERA – Voi savì sa poss spuzàm ancora, oh!

                        Voglio sapere se mi posso sposare di nuovo, oh!

ETTORE – Ma car ‘l mé Signor bon!

                     Iddio buono !

PIERA – Par piazer, mi sembra di vivere nel peccato.

                    

ETTORE – Oh Santa Cunegonda! L’am ciappa csè a la sprovvista…g’ho gnan i parameint, ma fagghia a concentram e seint ‘l prezensi, col nas stopp. Po s’l la vegna a savì so fio…e sum anca un po’ ciucch, gh’era tropp cognac in d’l latt e  gh’è possà  spirit in d’l stomagh che in dl’aria…

                     Oh Santa Cunegonda! Mi prende alla sprovvista…non ho i miei paramenti, come faccio a concentrarmi e sentire le presenze col naso chiuso. Se lo sapesse suo figlio, poi…! e sono pure un po’ brillo,troppo cognac nel latte:  c’è più “spirito” nello stomaco che nell’aria…

PIERA – C’l prova a ciamàl almeno una vota, ormai sum chè e g’ho anca i seint euro…

                     Provi a chiamarlo almeno una volta, ormai son qui e ho pronti 100 euro…

ETTORE – (indeciso) Sum sicur che adess a capita gnint…

                                      Sono sicuro che non capita niente, ora…

PIERA – E parchè? G’hannia i orari in Paradisi?

                     Perché mai? Hanno gli orari in Paradiso?

ETTORE – C’la guarda, a proov (senza convinzione) : Oreste, se ci sei batti un colpo! Ved’la, gnint….(si sente un colpo contro un vetro)

                     Guardi, ci provo (senza convinzione) : Oreste, se ci sei batti un colpo!  Vede, niente…( si sente un colpo contro un vetro)

PIERA – Cos è stà?

                     Cosa è successo?

                    

ETTORE – (perplesso) Oreste…se ci sei batti due colpi! (Pausa, poi due colpi contro un vetro) (si schiarisce la voce, incredulo)  O…reste…eee…se ci sei…(diversi colpi)

ETTORE / PIERA – (si voltano verso la finestra dove si staglia un ombraAHHHHH!!!

Entra Adele.    Ettore e Piera, girano le spalle alla finestra, quasi abbracciati per la paura.

ADELE – Cos gh’è?

                     Cosa succede?

ETTORE – Là, là….(indica la finestra)

PIERA – (senza girarsi)  Gh’è Oreste drè d’l ved’r!!

                                       C’è Oreste dietro il vetro!

ADELE – Oreste? (Apre la finestra e si trova di fronte Sergio su una scala a pioli. Presa dal panico gli dà uno spintone, segue un urlo che può sembrare di spirito con relativo tonfo. Chiude rapida la finestra).   Ecco, l’è anda via!  

                                          Ecco, se ne è andato

ETTORE – (riavendosi)  L’ho vist anca me, stavolta!

                                             L’ho visto anch’io questa volta!

ADELE – L’era mia ‘l momeint: a st’ora chè arrivan appena le anime cattive. Cos ‘v sàlta in d’la meint?

                Non era il momento, questa è l’ora delle anime cattive. Ma  come vi è venuto in mente?

ETTORE – Ma custa l’è bella! Prima i colp e po’ l’ombrìa…

                     Incredibile! Prima i colpi e poi quell’ombra…

ADELE – L’era un diavol!

                     Era un diavolo!

PIERA – Signor, perdon’m, cos ho mai tratt in pè! (fa il segno della croce).

Gesù, perdonami, cosa ho mai fatto! (fa il segno della croce).

ADELE – Cla vegna un’atra vota, siora, quand ‘l maest’r la starà mei. Adess l’è mia in gràd, ‘l fà materializzà appena di diavol!

                 Ci vediamo un’altra volta, signora, quando il maestro starà un pochino meglio. Ora non è in grado, fa materializzare solo dei demoni!

PIERA – (scossa)  Si, a vag…

                               Si, si, vado…

ETTORE – A momeint ‘m vegna l’infart!

                     Per poco non mi viene un infarto!

PIERA – Scusate il disturbo. (tra sé) Almeno ho risparmià i seint euro (esce rapida)

                     Scusate il disturbo. (tra sé) Almeno ho risparmiato i 100 euro (esce rapida)

ETTORE – Voot ved ‘c sum mago dabon? Un medium?

                     Sarò un mago davvero? Un medium?

ADELE – Si, un  medium ciucch. Va a lett e quattat so bein.

                     Si, un medium ubriacone. Vai  a letto e copriti ben bene.

ETTORE – E te, vèt mia in lett? ( guarda come è vestita Adele, poi chiude la porta con la chiave  e se la mette in tasca; esce con aria di sfida)

                     Tu, non te ne vai a letto?

ADELE – Bonanott. 

                   Buonanotte

Uscito Ettore, Adele si avvicina prudentemente alla finestra, la apre, fa cenno che non può più

uscire dalla porta. Gli fa segno di aspettare. Indi, esce in punta di piedi verso la camera.

Si vede Sergio spuntare dalla finestra aperta.

Rientra Adele con una borsa. La passa a Sergio un po’ maldestramente.  Poi, mentre sta per

mettere il primo piede sulla scala a pioli, si sente un grande trambusto alla porta. Bussano

ripetutamente e una voce grida:

SCENA VII

MAGGIORE – (da fuori)  EMERGENZA! APRITE, EMERGENZA!!  (bussa e ribussa)

ADELE – (in preda al panico) Via via!! (molla la valigia, spinge la scala con su Sergio, urlo e botta. Si mette a pulire i vetri con sorriso ebete)

ETTORE – (entra trafelato) Ma cos gh’è stasera?  Chi è..? (vede Adele si blocca)  ma et matta?!

               (entra trafelato) Che sta succedendo? Chi è..? (vede Adele si blocca)  ma sei pazza?!

ADELE – (c.s.)  ‘S vediva po’ fora…(frega energicamente)

                           Non si vedeva più niente…

MAGGIORE – (da fuori)  Aprite, o sfondo la porta!

ETTORE – (tenta di aprire ma non riesce subito)

MAGGIORE – (sempre da fuori) Presto o sfondo la porta! Sfondoooooo…!!

ETTORE – (apre, finalmente)

MAGGIORE – (entra in velocità come chi volesse dare una spallata con rincorsa ma gli hanno aperto la porta; caracolla malamente per la stanza con la gamba rigida)

ETTORE – Maggiore!!

MAGGIORE – (assestandosi)  Ci sono i ladri!!

ETTORE – In dov?! 

                      Dove?

MAGGIORE – (guardandosi attorno)  Da lei! C’è una scala appoggiata al muro in prossimità di questa finestra!

ETTORE – Ma cos dizal? (lo aiuta a rialzarsi)

                     Cosa?

MAGGIORE – Stavo passando col cane…dove è fnito? L’ho perso..Beh, pazienza, era vecchio. Ho guardato casualmente verso la finestra e c’era una scala appoggiata  con su qualcuno. Mi sono precipitato, gamba permettendo, ed eccomi qui.

ETTORE – (lo molla per terra, va alla finestra e la apre)  Gh’è ansoin…

                                                                                                 Nessuno….

MAGGIORE – (va anch’egli alla finestra e guarda giù)   Guardi, la scala!

ETTORE – E si, l’è par terra dov l’ava missa ier.

                     E’ a terra, dove l’avevo lasciata ieri

MAGGIORE – Impossibile! Poffarbacco!

ADELE – Magari ‘l maggior si è lasciato tradire dal riflesso de lampioni….forse, la cataratta…

                     Forse il maggiore si è lasciato tradire dal riflesso de lampioni….forse, la cataratta…

MAGGIORE – Ma quale cataratta? Ho una vista acutissima!

ETTORE – Seins’atar, ma gh’è ansoin.

                     Naturalmente, ma qui non c’è nessuno

MAGGIORE – Mi sono scappati! E a momenti mi rompo la gamba sana.

ADELE – Comunque, ‘l so coragg’ e ‘l so senso del dovere sono commoventi, maggiore.

                     Comunque, il suo coraggio e il suo senso del dovere sono commoventi, maggiore.

MAGGIORE – Enchanté.

ADELE – Anca me.  

ETTORE – Ma che razza d’una sira!

                     Che serata!

ADELE – Ma sal maggior, che forse lu l’è sta po util ‘d qull c’l s’immagina?  Che forse ha sventato  una pazzia, chi lo sa…

               Ma sa maggiore, che forse lei è stato più utile di quanto pensi?  Forse ha sventato  una pazzia, chi lo sa…

MAGGIORE – (picchiettandosi sulla testa)  Comincio a dubitare delle mie facoltà mentali.

ETTORE – Tutto si ammorbidisce, anche i tessuti cerebrali.

MAGGIORE – Poffarbacco! E il mio Fifì?

ETTORE –Non saprei.

MAGGIORE – Era l’unica compagnia che avevo. Se l’ho perduto mi sentirò solo come un cane, e anche lui, del resto, senza di me, si sentirà solo…come un cane, poffarbacco!

ADELE – Ma ‘n sa sa mai in d’la vita. C’l vegna qualca dè,   guardum ‘s gh’è dill novità.

                     Ma non si può mai sapere nella vita. Ritorni, guarderemo se ci sono novità.

MAGGIORE – Lei è molto garbata, signora.

                    

ADELE – Signorina…

MAGGIORE – Enchantè.

ADELE – Non c’è di che.

ETTORE – Par dadchè (indica la porta).  

                     Di quà

MAGGIORE – Grazie.

ETTORE – Grazie a lei, maggiore.

MAGGIORE – Fortuna che non ho abbattuto la porta, eh eh..

ETTORE – O che la porta non ha abbattuto lei, eh eh…

MAGGIORE – Mi vuole ricordare che la durezza è un lontano ricordo?

ETTORE – Non mi permetterei mai.

ADELE – Buonanotte.

MAGGIORE – Anche a lei (baciamano ed esce).

ADELE – Eh, quest’ uomo è un signore…(sospira)

ETTORE – (guardando la finestra)  La serata dei misteri!

ADELE – Podrommia andà in lett, adess?  Bonanott!

                     Possiamo andare a dormire, ora? Buonanotte!

ETTORE – Sperum (esce ma ha qualche dubbio).

Adele torna alla finestra e coi gesti fa intendere “basta, è ora di finirla”.

Alle insistenze di lui, lei ribadisce il suo no definitivo. Sbuffa. Accosta la finestra ed esce.

Luci basse.

SCENA VIII

ETTORE – (Dalla sua camera)   Brrr, che fredd stasera, sum mia bon da scadàm

(prende una larga sciarpa e se la mette sulla testa; fa per andarsene verso la camera, quando sente un TOC TOC leggero; si avvicina alla finestra, sospettoso e un po’ spaventato; poi  si mette di lato).

                     (Dalla sua camera)   Brrr, che freddo stasera, non riesco a scaldarmi

SERGIO _ (sulla scala a pioli, apre piano la finestra, vede l’ombra di Ettore che, così conciato, scambia per Adele).  Sum chè, dai andum. Mamma, ho ciappà un fredd, ma cos spettat? El andà in lett ‘l rompacuion?

                     (sulla scala a pioli, apre piano la finestra, vede l’ombra di Ettore che, così conciato, scambia per Adele).  Sono qui, dai, andiamo. Mamma, che freddo ho preso! Che aspetti ancora? E’ andato a dormire il rompiscatole?

ETTORE – (incassa la sorpresa, poi decide di stare al gioco e fa segno di si con la testa)

SERGIO – E cos voriv’t dì prima che ho mia capì? G’ava mia da vegn so?

                     Che intendevi prima che non ho capito?  Non dovevo risalire?

ETTORE – (fa cenno di no con la testa)

SERGIO – Dam la man, so, cmè in di film. Scappum da qull brutt soggett lè! Abbia mia pagura…dam la man.

                     Dammi la mano, dai, come nei film.  Fuggiamo da quel brutto individuo! Non aver paura…dammi la mano.

ETTORE – (senza girarsi, lentamente gliela dà).

SERGIO – Oh, che manassa! S’t da via un sgiaffon a qualcadoin t’l fa pirlà una smana.

                     Oh, che manona! Se molli una sberla a  qualcuno lo fai “girare” una settimana

ETTORE – (fa cenno di si con la testa)

SERGIO – Sa, vè chè…(l’aiuta)    

                     Su, vieni qui

ETTORE – (si appoggia al davanzale della finestra e si gira verso Sergio che ora lo vede)

SERGIO – ‘T ta smei bein a to fradell, csè in scuron!

                     Somigli  a tuo fratello, in questo buio!

ETTORE – E’ vera!

SERGIO – (riconoscendolo)    OHHHH!

ETTORE – Invece da andà fora me ca stagg mia bein, vé deintar te! (lo prende per un braccio e lo tira dentro)

                     Invece di uscire io che non sto bene, entra tu

SERGIO – Ohhi, che mal!!

ETTORE – Vieni dentro, sugaman!

SERGIO – Poss spiegà…

ETTORE – Prova un po’!

ADELE – (entrando)  Ahh! (fa per scappare)

ETTORE – Ve pur ché anca te.

                     Vieni qui, tu!

                    

ADELE – Ma l’è ‘l Sergio…e da dov l’è vegn deintar?

                     Ma è  Sergio…e da dove è entrato?

ETTORE – Da la finestra, cara!

ADELE – E…cmè mai?

                     E…come mai?

ETTORE – L’era bein a drè a spiegà, vera?

                     Stava giusto spiegandomi, vero?

SERGIO – E va bein! Sum innamorà ‘d l’Adele e voriva scappà con lè.

E va bene! Sono innamorato di Adele e volevo scappare con lei.

ETTORE – (prima serio, poi ha uno scoppio di risa incontrollato, poi si blocca…) Ah, ‘l mé coor.

                                                                                                                                 Ahia, il cuore!

ADELE – Cos gh’é da riid?

                     Cosa c’è da ridere?

SERGIO – ‘L ma creda mia?

                     Non mi credete?

ETTORE – (lo guarda serio, poi ha un altro scoppio di risa)

SERGIO – Me poss garantì che sum verameint innamorà…

                     Posso garantire che sono veramente innamorato…

ETTORE - …’D l’Adele?

SERGIO – E… si…

ETTORE – (la prende per un braccio)  Custa?   

                                                                 Costei?

SERGIO – Si. parchè?

ADELE – Si, parchè?

ETTORE – (la lancia via) Parchè l’è propria vuna ‘c fa innamorà la gint…ah ah ah

            (la lancia via) Perché è proprio una che fa innamorare…ah ah ah

SERGIO – E me…l’m piaz…(poco convincente)

                  A me…..piace…

ETTORE – L’t piaz parchè l’è giovn e bella?

                        Ti piace perché è giovane e bella?

SERGIO – Ma si….ma no..

ETTORE – E seinsa sood.

                        E senza soldi

SERGIO – Che manera?

                        Cosa?

ETTORE – E’ nullatenente.

SERGIO – E la …società…

ETTORE – Tutta la mia. G’ho da moor parché le la veda qualca tollein. ‘T fàv un affàri!

                        Tutta  mia. Devo morire perché lei veda qualche quattrino.  Facevi un affare!

SERGIO – In effett, cust è un po’ tropp!

            In effetti, questo è troppo!

ADELE – Ma seint’l!!

              Ma senti questo!!

SERGIO – Ma sal, Ettore, che lu ‘l m’ha fatt ragionà? Parchè va bein la passion, ma se po’ gh’è poc da mangià..

              Ma sa, Ettore, che lei mi ha fatto ragionare? Perché d’accordo la passione, ma se poi la pancia è vuota..

ETTORE – E allora ringràziam, sugaman!

                     E allora ringraziami, ballanudo!

SERGIO – Grassia, Ettore . Quasi quasi andriss, cos dizal lu?

                     Grazie Ettore, quasi quasi andrei, che dice?

ETTORE – Bell’ idea (Sergio si avvia alla porta)

ADELE – E no, mia dadlà. 

                  No, non di là

SERGIO – E d’in dova?

                     E dove allora?

ADELE – Da in dov et rivà (indica la finestra)

                     Da dove sei arrivato

SERGIO – Ma no…Ettore…

ETTORE – Pr’una vota la g’ha ragion.

                     Per una volta, Adele ha ragione

ADELE – Forsa allora. T’è fatt tant so e zu da la schèla parchè t’er innamorà, fàl ancora una vota pr’andà via. Forza!!

            Forza dunque. Hai fatto tanto saliscendi dalla scala per passione, fanne ancora un altro    soltanto per andare via. Forza!!

SERGIO – (li guarda un attimo, poi)  E va bein…(si avvia, torna sulla scala, poi si gira e con fare ironico)  Addio Adele, non sai quello che ti perdi! (fa per scendere)

                    

ADELE – L’adzivan  anca ‘l cart! (spinge la scala)

                     Lo dicevano anche le carte

SERGIO –  AHHHH! (tonfi vari)

ADELE – (chiude la finestra e si pulisce le mani)

SCENA IX

ETTORE – E brava la nossa principessa sul pisello. La voriva fà una fuga romantica, con la schèla da la finestra: ridicola! Va in lett che adman gh’è da veer l’offizi!

                     E brava la nostra principessa sul pisello. Voleva fare una  fuga romantica, con la scala alla finestra: ridicola! Fila a letto che domani devi aprire l’ufficio!

ADELE – Adman l’offizi t’l vèr te!

                     Domani l’ufficio lo apri tu

ETTORE – Ohhh, taccumia?

                     Ricominciamo?

ADELE – Par fortonia stasera ‘l Signor ‘l m’ha mess una man in s’la testa e l’ha mia vorrì ‘c fàss una loccàda. Grassia, maggiore! Csè ho capì anca cmè sum stufa, stufa da sopportàt! Stufa mèrsa e pitocca!

                 Per fortuna stasera Iddio mi ha “messo la sua santa mano in testa” e non ha permesso che facessi una sciocchezza. E grazie, Maggiore!  Così ho capito quanto sono stanca, stanca di sopportarti!  “Stufa marcia” (modo di dire, n.d.a.)!

ETTORE – Va in lett e quatt’t so bein, paiassa!

                     Vai a letto e copriti! Ridicola!

ADELE – Te t’è un paiass, un baraccon, con tutt i to parameint da circo equestre. Me sum brutta, me sum bona ‘d gnint, una stria (strega), vera? Ma me g’ho ‘l diritt da ess rispettà! Voi ‘l mé rispett!

                Tu sei un pagliaccio, un baraccone, con tutte le tue bardature da circo equestre. Io sono brutta, buona a nulla, una strega, vero?  Ma ho il diritto di essere rispettata! Pretendo rispetto!

ETTORE – Rispett? dop qull ‘c t’è fatt?

                     Rispetto? Dopo quello che hai fatto?

ADELE – Me ma svargogn po! Adess a basta! T’è datt via ‘l mé  Carlo parchè gl’ho avì seinza marì, t’ ta svargognav!. E me giovna e locca t’ho lassà  fà, povra disgrasià..!(piange) Ma adess basta! Basta la vuz da l’oltretomba, basta! Me vag via!

                     Non mi vergogno più, no! Ora basta! Hai fatto sparire  Carlo perché ‘ìho avuto senza marito, ti vergognavi, tu! E io, giovane e tonta ti ho lasciato fare, povera disgraziata..!(piange) Ma ora basta! Basta la voce dall’oltretomba, basta!  Me ne vado!

ETTORE  - Ma chi è c’t  tegna ?  Va!

                     Ma chi ti ferma, va.

ADELE – Subit, a vag!

                     Me ne vado, subito!

ETTORE – Va e lassam chè. Lassa pur to fradell da par lu. Una sorella c’la piànta ‘l fradell malà da par lu, parchè l’è matta: che bell romanz!                                                                                                                      

                     T’l sé ‘c g’ho ‘l mal ‘d coor, che sum malà. Quand sarò mort vè mia tacca a la cassa a pianz…parchè me ‘t l’ava ditt, ca stava mia bein…t’l ava ditt!

                    

Piantami pure qui. Lascia pure tuo fratello tutto solo.  Una sorella che lascia il fratello malato perché è pazza, che bella storia!!                                                                                                                     

                     Sai bene che soffro di cuore, che sono ammalato. Quando sarò morto non venire a piangere sulla tomba…Perché io te l’avevo detto che non stavo bene, l’avevo detto

ADELE – Voi ved me, seinza la stria. Fàia te i veers drè da la porta, fattia te i pomat, i loziòn, tira fora  te i num’r dal lott, fa te l’oroscop! S’era me ‘c fava tutt, me, cher ‘l mé paiasson d’un madgon!

                     (dà le spalle a Ettore nell’enfasi muovendosi per la stanza)  Ma se qull Signor lè ‘l ma scoltàss una vota, una vota sula e ‘l mandàss a chi digh me un màl ‘d pansa da pighèss in du…

                    

Ti voglio proprio vedere senza la strega. Falli tu i rumori, le pomate, le lozioni, dai tu i numeri del lotto, fallo tu l’oroscopo  Ero io che facevo tutto,io, caro il mio ciarlatano di un medicone!

                     (dà le spalle a Ettore nell’enfasi muovendosi per la stanza)  Ma se quel Dio mi ascoltasse almeno una volta, una volta solamente e gli mandasse un mal di pancia da piegarsi in due dal dolore…

ETTORE – (ridacchia ma improvvisamente si tocca la pancia e si piega per il dolore)

ADELE – Con di dolor da da la testa contra ‘l mur, con una caghetta poteinta dura cmè l’oli…!

                     Con dei dolori da dare la testa contro al muro, con una dissenteria liquida liquida…!

ETTORE – (corre in bagno)

ADELE – Ma la caghetta sariss gnint, cos voot ‘c sia? E allora c’g gniss un bel sarcion in d’l teston  c’l para deintar una morsa…!

               Ma la dissenteria cosa vuoi che sia ? Che gli venisse un cerchio alla testa come se gliela stringessero in una morsa…!

ETTORE – (esce dal bagno e improvvisamente si tiene la testa con le mani)

ADELE – E po l’è mia a sé! Un bel màl da scheina (Ettore si tocca la schiena) e un cramp in d’una gamba c’la vegna bella reinga cmé qulla d’l maggior! (Ettore accusa il crampo)  Da tirassla drè cmè un baston, bel sopp!

                     Ma non basta! Un bel mal di schiena (Ettore si tocca la schiena) e un crampo in una gamba  da rendergliela rigida come quella del maggiore (Ettore accusa il crampo)  Da trascinarsela come un bastone, zoppo!

ETTORE – (si rende conto che Adele ha dei poteri straordinari)  Adele, seguita ancora…

                                                                                                          Adele, continua, continua..

ADELE – (girata verso il pubblico non lo vede) Ma 'l màl 'd panza l'é mia finì, no!

                     (girata verso il pubblico non lo vede) Ma il mal di pancia non è ancora passato, no!

ETTORE – (tenendosi la pancia)  Adele, di so ancora, l’è incredibil…(Esce di corsa con la gamba rigida, piegato,  toccandosi la pancia)

                                                       Adele, continua, è incredibile!

ADELE – E ca dass zò ‘l lampadari in s’qull teston lè!  (rumore tremendo)

                     E ti cadesse il lampadario su quella testa dura  che hai!  (rumore tremendo)

ETTORE – Ahia….(entra con un lampadario al collo)… Adele…

ADELE – E po…

ETTORE – Adele…guarda che roba..!

ADELE – (finalmente vedendolo)  Ma cos è sta?!

                                                           Cosa è successo?

ETTORE – (levandosi il lampadario) Adele, è success tutt : la caghetta, ‘l mal d’ testa, la scheina…

                   (levandosi il lampadario) Adele, è successo tutto : la dissenteria, il mal di testa, la schiena

ADELE – Anca la gamba reinga ?

                     Anche la gamba rigida?

ETTORE – Si, e anca ‘l lampadari: Adele, a fum i sood! Ohi, che mal!

                     Si, e anche il lampadario: Adele, diventiamo ricchi! Ohi, che male!

ADELE – ‘l Signor ‘l m’ha sculta!

                     Dio mi ascolta!

ETTORE -  ‘T gh’è di poter eccezional, Adele, siamo ricchi…!! (si butta su una poltrona, ha l’affanno)

                     Hai dei poteri straordinari, Adele, siamo ricchi

ADELE – Ma veda cmè l’é interessà!

                     Guarda come è interessato! 

ETTORE – Cambiarum ‘l cartell: “Adele & Ettore, veggenti”..sum bein contenti…’l mé coor…sum tant conteint…(affanno)

                     Cambiamo il cartello: “Adele & Ettore, veggenti”..come sono contento…ah, il cuore…son così contento…(affanno)

ADELE – Prima voi savì in dov è finì ‘l mé ragass, et capì?  (lo scrolla)

                     Voglio sapere dov’è il mio ragazzo?  (lo scrolla)

ETTORE – (ridacchia ma è affaticato)  ah ah ah, veggenti…

ADELE – Ettore, dimal! Dimal subit!

                     Ettore dimmelo, subito!

ETTORE – ‘L mé coor….

                     Il cuore….

                    

ADELE – Mora mia prima da ‘vimal diit.

                     Non morire prima di avermelo detto

ETTORE – (ormai delirante)   Ansoin dirà po che sum di imbruiòn…ah ah ah

                     (ormai delirante)   Nessuno potrà più dire che siamo degli imbroglioni…ah ah ah

ADELE – (singhiozzando)  Ettore, ‘l mè ragass..

                                               Ettore, il mio bambino…

PIERA – ( euforica)  Parmess…scusam abotta..ma i num’r i’enn vegn fora, tutt! (agita le giocate)

               ( euforica)  Permesso…scusatemi tanto, ma…i numeri sono usciti, tutti! (agita le giocate)

ADELE – Che numar?

                     Quali numeri?

PIERA – I numar ca m’avì datt viatar.

                     I numeri che mi avete dato

ETTORE – I num’r! Adele, che felicità…(e sviene)

                     Adele, i numeri!! Che felicità…!

ADELE – Ettore!! (lo scrolla)

PIERA – Sa sava ‘c la ciappàva csè, l’adziva gnanca!

                     Se sapevo che la prendeva male, non l’avrei detto!

S  i  p  a  r  i o 

f i n e    d e l     I I °     a t t o

A  T  T  O     I I I

La scena rappresenta una piccola cappella di un piccolo cimitero di campagna.

Ad una certa altezza si vede chiaramente la lapide con la fotografia di Ettore ed una scritta

coperta con un telo.

Adele sta spazzando il pavimento di questa cappella. Adele è  più curata degli atti precedenti.

SCENA I

ADELE – Quand vuna l’è nassì màl! Me pass la vita a spassà in cà tua, vèda te che condanna!

                     Vèda che carpia lamò…(la toglie) Lè, via! (quasi scivola)  ma chi è c’g dà la sira? I volan propria romp’m la testa! (A Ettore) Ma ‘t la dò mia la sodisfasion!

                     Sarà ‘l Comoin ‘c la fà dà, csè i veindan i fur’n.

                     Et vist Ettore che t’ho fàtt anca ‘l regalein? Parché me voriva che la lapida la piaziss anca  a te…(toglie lo straccio e si vede chiaramente la scritta: L’AVEVO DETTO CHE NON STAVO BENE!)

                     Vist c’t g’av ragion a diil, ho pensà da scrival. (si sente un rantolo)  Oh, ma rabissat mia, l’è appena un scherz, là. Tamme te tl’è fatt  a me, ca so po in dov l’è finì ‘l mé ragass…Adess sum pari. (Si siede).

                     Ah, che chiett in campagna…T’ho miss in d’un bel post, neh? ‘N vola una mosca, ‘n passa ansoin…(vede arrivare qualcuno) Ho parlà tropp prest…

                     Quando uno nasce sfortunato! Passo la vita a spazzare in casa tua, che condanna!

                     Uh, che ragnatela…(la toglie)   via! (quasi scivola)  ma chi mette la cera per terra? Vogliono proprio che mi rompa la testa! (A Ettore)  Non sperarci!

                     Sarà il Comune a far dare la cera, così vendono i forni.

                     Hai visto Ettore che ti ho fatto un regalino? Volevo che la lapide piacesse anche a te…(toglie lo straccio e si vede chiaramente la scritta: L’AVEVO DETTO CHE NON STAVO BENE!)

                     Dato che in effetti avevi ragione, ho pensato di scrivertelo. (si sente un rantolo)  Oh, non arrabbiarti, è solo uno scherzo. Come tu l’hai fatto a me, che non so dove sia finito il mio ragazzo. Ora siamo  pari. (Si siede).

                     Ah,  che pace in campagna…Ti ho messo in un bel posto,  eh? Non si sente volare una mosca, non passa nessuno…(vede arrivare qualcuno) Ho parlato troppo presto

Un uomo si aggira tra i loculi. Si muove lentamente, mani nelle tasche del cappotto ( o imper-

meabile), capello e occhiali scuri. Si ferma nei pressi di Adele, sembra interessato alla nuova

lapide.

ADELE – (tra sé e sé)  Che fassia da maniach ! (riprende a scopare, ma tiene d’occhio l’uomo)

                                       Che faccia da maniaco!

Improvvisamente lui si apre il cappotto (o impermeabile).

ADELE – Ahhh..me ‘l sava!  Brutt sporcacion!! (alza la scopa e lo rincorre, l’uomo scappa)

                     Ma t’l digh me, ma gnan ‘l cimitero s’po sta tranquill!! (sbuffa e riprende a scopare)

                     Ahhh..lo sapevo!  Sporcaccione!! (alza la scopa e lo rincorre, l’uomo scappa)

                     Roba da matti, nemmeno al cimitero  si può stare tranquillil!! (sbuffa e riprende a scopare)

Arriva una signora anziana, una di quelle che nei cimiteri passano in rassegna le cappelle per

vedere i nuovi arrivi. Avanza lentamente, vede la lapide di Ettore, si sofferma, parlottando tra

sé e sé.

SIGNORA – Ohhh, e qust chi el?  L’ho mai vist, ‘l gnarà da fora…E cos gh’è scritt..Spetta, spetta…(si avvicina)  Cla scusa…

                    Ohhh, e questo chi è?  Mai visto, sarà un forestiero… Cosa c’è scritto?..Aspetta pure un attimo…(si avvicina)  Mi scusi…

ADELE – Cla fagga pur!

                     Faccia pure!

SIGNORA – (compitando le parole)  L’avevo…de…detto …che …che non stavo…bene…(un po’ confusa)  L’ava ditt ‘c stava mia bein! Ma toh!

                    

ADELE – Si, propria!

SIGNORA – ‘(ridacchia divertita)  S capissa c’la stàva mia bein dabon, povr’om….(si allontana)  ma roba da matt: l’è mia voi ‘d chè, chissà da dov ‘l vegna… (esce).

                 (ridacchia divertita)  Evidentemente stava  poco bene davvero….(si allontana)  che strano, non è uno di queste parti, chissà da dove viene… (esce).

ADELE – Chissà cos gh’è da riid! Bein,  vag a to un po’ d’acqua pr’i fior. (Esce).

                     Chissà cosa c’è da ridere! Bene, vado a prendere dell’acqua per i fiori. (Esce

SCENA II

MAURA – (passa appena è fuori Adele)  Anca incò ‘l mè om l’è a post (si gira indietro con un po’ di commozione)  Ciao Mario…

                     (Riprende il cammino, guarda un po’ distrattamente la lapide di Ettore. Fa per proseguire, ma poi si ferma, le viene un dubbio) Ma qull sior chè me ‘l cognoss! Ma si, el mia ‘l madgon? Oh, veda, ‘s capissa c’l s’è mia curà bein! ma veda! Cos gh’è scritt? L’avevo detto che non stavo bene…ma che razza d’una iscrizion! Me g’ho miss “La moglie e i figli”  o se no ”I tuoi cari”, boh…..’s veda  c’l’era mia tant a post gnan lu.  Però dì, ‘s fa prest, veh! E me l’ho gnan ringrazià. Sum guarì csè bein: la pomata l’è stà miracolosa. Adess col trattor vag ‘c vul. Ma vèda, ‘m dispiaz bein!

                     Spetta là, che ‘m fer’m a dì un par ‘d requiemeterna.

                    

              (passa appena è fuori Adele)  Anche oggi mio marito è a posto (si gira indietro con un po’ di commozione)  Ciao Mario…

                     (Riprende il cammino, guarda un po’ distrattamente la lapide d Ettore. Fa per proseguire, ma poi si ferma, le viene un dubbio) Ma  questo  lo conosco! Ma si, è il medicone! Oh, guarda…non si sarà curato bene! Ma guarda! Cosa c’è scritto? L’avevo detto che non stavo bene…ma che frase! Io ci ho messo “la moglie e i figli”  o se no ”I tuoi cari”, boh…..Si capisce che non c’era molto con la testa  Però, come si fa presto a …, veh! E non l’ho neppure ringraziato. Sono guarita bene: la pomata è  miracolosa. Sul trattore vado che volo. Ma guarda, mi dispiace davvero!

                     Beh, mi fermo un attimo per requiem aeternam.

UOMO – (si aggira come sopra)

MAURA – E chelù cos vol’l?          

                  Cosa vuole questo?

UOMO – (si fruga nelle tasche del cappotto con evidente intento)

MAURA – (lo controlla con la coda del’occhio fingendo di essere concentrata nella preghiera)  Requiem aeternam dona eis Domine…

UOMO – (tossicchia leggermente per far voltare Maura continuando a frugare)

MAURA - …et lux perpetua luceat eis, amen!

UOMO – (come sopra)

MAURA – (pregando sempre più forte) Requiem aeternam dona eis, domine, et lux perpetua luceat eis, amen!! (cantilenando) Requiem aeternam che s’t fà ‘l lucc, vegn lemò e ‘g fagg deint’r un grup! , AMEN!  (si gira di scatto)  Et capì??

                (pregando sempre più forte) Requiem aeternam dona eis, domine, et lux perpetua luceat eis, amen!! (cantilenando) Requiem aeternam se fai lo scemo, arrivo lì e ti ci faccio un nodo! , AMEN!  (si gira di scatto)  Capito??

UOMO  - (se ne va velocemente)

MAURA – T’è fortunà! Sa  g’àva un forcon  ‘t vediiv ‘l to mesda-mesda!

                     Sei fortunato! Se avevo un forcone a portata di mano, vedevi il tuo muovi-muovi!

SCENA II

Arriva Piera. Ha un mazzolino di fiori in mano.

PIERA – I m’hann ditt ‘c l’era utar chè….(piano)  Gh’è qualcadoin, sarà la moier…Buongiorno.

                     Mi hanno detto che era qui…(piano) C’è già qualcuno, sarà la moglie. Buongiorno.

MAURA – Buongiorno(tra sé, piano)  Qusta l'é la moier, l’ha portà i fior. (Forte)  Condoglianze, signora.

                Buongiorno…(tra sé, piano)  Ecco la moglie, ha portato i fiori. (Forte)  Condoglianze, signora.

PIERA – (con sorpresa)  A me?

MAURA – Si, par so marì.

                     Si, per suo marito.

PIERA – (guarda fuori scena puntando la tomba del marito) Cmè fala a savì che sum vedva?

                                                                                              Come fa a sapere che sono vedova?

MAURA – Par chès, adess adess. C’m gniss un colp secch se m’immaginàva una roba compagna. Csè giovan, po!

                     Per caso, or ora. Mi venisse un colpo se immaginavo una cosa simile . E poi, ancora così giovane!

PIERA – Zà, zà, l’era ancora un bel gallett.

                     Già, già, era ancora un bel galletto.

MAURA – Ma cos gh’è success?

                     Cosa gli è successo?

PIERA – Cirrosi.  Epatica.

MAURA – E si, una roba antipatica

PIERA – ‘L boviva un po’ tropp, eh eh!

                     Beveva un po’ tanto, eh eh!

MAURA – Ma và! Ariss mia ditt…

                     Ma và. Non avrei mai detto

PIERA – (sospettosa) Parchè, c’la ma scusa, le ‘l la cognossìva, par chès?

                     (sospettosa)   Mi scusi, lei lo conosceva, per caso?

MAURA – Sum vegna cà sua una vota poc teimp prima che… si, insomma…

                     Sono venuta a casa sua prima che… si, insomma…

PIERA – Ah si? E  a fà?

                Ah si? E a fare cosa?

MAURA – G’ho anca un po’ ‘d rimors, sàla, parchè l’ho trattà da villana cmè sum.

                     Ho anche un po’ di rimorso, sa?, perché l’ho trattato proprio da villica par mio.

PIERA – (incuriosita)  E parché,  parché?

MAURA – (le viene un sorriso)  Cla pensa, ho mia vorì c’l ma mettis la so man bella chèda… sal dova?

                     (le viene un sorriso)  Pensi, non ho voluto che mi mettesse la sua mano bollente… sa dove?

PIERA – No, c’m la digga lè!

                     No, me lo dica lei!!

MAURA – In sal sedas!

                     Sul…sedere!

PIERA – (esterrefatta)  Ma va!!

                                        Ma guarda!

MAURA – Povrein, lu ‘l voriva fàm dal bein, sicur, ma me sum mia bituà a chill rob lè.  Le cl’m digga: l’m veda me, ca sto co’l sedas pr’ària e lu c'l sa poggia con la man?

                 Pover’uomo, lui voleva farmi del bene, certo, ma io non sono abituata. Mi dica un po’: mi ci vede col sedere per aria  e lui con la sua mano appoggiata proprio lì?

PIERA –  Voi gnan pensag! (Sbrigativa)  Comunque grassia per le condoglianse, la g’àva mia da disturbass. Lei intanto accetti le mie. Ava porta du fior!

                Non ci voglio neanche pensare! (Sbrigativa)  Grazie per le condoglianze, non doveva disturbarsi. Lei intanto accetti le mie. Avevo portato qualche fiore!

MAURA – Accetti le mie?!  E chi g’ha ditt che  me…(si commuove pensando a suo marito)

                     Accetti le mie? Chi le ha detto che io….

PIERA – Vis t ‘c sum in qull bell siid chè!

                     Visto che siamo in questo bel posto!

MAURA – Oh siora, allora l’m capissa sicur.

                     O signora, lei mi capisce allora.

PIERA – Atar chè! E poss dì che l’era un sant om: me ‘l m’ha fatt appena dal bein.

                     Certo! E devo dire che era un santo: a me ha fatto solo del bene.

MAURA – (incuriosita a sua volta)  Dal bein?! A le? E cmè mai…?

                                                         Del bene? A lei? E…come mai?

PIERA – Anca se tutt i dzivan ‘c l’era un imbruion! ‘L la sa, vera?

                     Anche se tutti dicevano che era un imbroglione! Lo sa vero, signora?

MAURA – (sorpresa) …No!

PIERA – Che mé fio al voriva denoncial?

                     Che mio figlio voleva denunciarlo? Non lo sa?

MAURA – A mé marì?!

                     Denunciare mio marito?

PIERA – Ma si, ‘g l’ha mia ditt?

                     Ma si, non gliel’ha detto?

MAURA – No! L’era un om tant riservà!

                     No! Era un uomo così riservato!

PIERA – Capisco, segreto professionale. Comunque ‘l m’ha portà anca di sood.

                     Capisco, segreto professionale. Comunque mi ha fatto prendere anche dei soldi

MAURA – Che roba?

                     Cosa??

PIERA – Un om c’l valiva un ter’n secch!

                     Un uomo che valeva un terno al lotto!

MAURA – (piano) ‘L là mant’gniva!!  (Forte)  Spetta pur un attim! (Esce per dove è venuta)

                     (piano) La manteneva!! (Forte)  Aspetta un momento

PIERA – Ma in dov vala?

                     Dove va?

MAURA – (rientra con dei fiori in mano, parla girandosi verso la parte da dove è venuta)  E no, car ‘l mé Mario! Eh! Se me g’ho da vegn fein a ché in bicicletta a portà di fior, con qull ch’ì custan ,e dop la vita c’ho passà con te,  e i sood adess ‘s sia goda qualcadun’àtra…bein, allora, ch’ig ià mett’n lur, perlomeno! (butta i fiori per terra).

                     (rientra con dei fiori in mano, parla girandosi verso la parte da dove è venuta)  E no, caro Mario! Eh!  Se io devo venire fin quà in bicicletta a portarti i fiori,  con quel che costano e dopo quel che m’hai fatto passare…e i soldi se li gode qualcun altro…beh, almeno quelli li mettano loro, per lo meno!         (butta i fiori per terra).

PIERA – L’è dvintà matta, forse la disgrassia…(forte) Ma parché falla tanta sena? Le l’m sa vuna c’l’s consola facilmenit!

              E’ diventata matta, forse la disgrazia …(forte)  Perché  “fa tanta scena”? Mi sembra una che si consola facilmente.

MAURA – Lè, puttost, via voin l’àtar!

                     Lei, però, via l’uno l’altro!

                    

PIERA – C’l  sbassa pur ‘l ciuff, parchè g’ho ancora di suspees con le!

                     Abbassi pure la cresta, perché ho ancora dei sospesi con lei!

MAURA – L’è fortunà ‘c l’ho mia savì prima, se no ‘g dascargàva un camion ad bovassa (sterco) fresca dadnas a la porta d’in cà.

                E’ fortunata che non lo sapevo, altrimenti le scaricavo un camion di letame fresco davanti alla porta di casa!

PIERA – ‘S veda, sala, ‘c l’è vuna ‘d campagna. Anca lu, chissà che sodisfasion!

                     Si vede, sa,  che lei è una di campagna. Anche lui, poi, chissà che soddisfazione !

MAURA – Parchè le che mister farissla, la mé bella cittadeina?

                     Lei che mestiere farebbe, cara la mia cittadina?

PIERA – L’operatrice ecologica, par piazer.

MAURA – Eh!  La spassòna! Enn mia lavor ch’ì fann fà ai handicappà?

                     Eh, la spazzina! Non sono lavori che fanno gli handicappati?

PIERA – Cosa?!

MAURA – Ma va là, và!

PIERA – Me i’àva porta par lu i fior, ma cred ‘c ià drovarò  par lè (fa per colpirla)

                     Avevo portato i fiori per lui, ma credo che li userò per lei (fa per colpirla)

MAURA – (prende la scopa)  Sum bituà a drovà i managh in campagna, me!

                     (prende la scopa)  Sono abituata a tenere in mano i manici in  campagna, io!

PIERA – “L’avevo detto che non stavo bene”: povr’om, con vuna cmè lè, ‘n gh’è dubbi!

                     “L’avevo detto che non stavo bene”: pover’uomo, con una così, ci credo!

SCENA IV

Entra Adele.

ADELE – Ma cos fiiv? ma ‘v vergognà mia?

                     Cosa fate? Non vi vergognate?

MAURA – Lé la g’ha da vargognas, dadnas a so marì!

                     Lei deve vergognarsi, di fronte a SUO marito!

PIERA – Chès mai lè, dadnas a so marì!

                     Lei. Caso mai, di fronte al SUO di marito!

ADELE – ‘L marì ‘d chi?

                     Il marito di chi?

MAURA/PIERA – (insieme)  ‘L so!  (si indicano reciprocamente).

                                            Il SUO!

ADELE – Ma chi?!

MAURA – ‘L madgon!

                     Il medicone

ADELE – Mé fradell l’era mia spooz.

                     Mio fratello non era sposato

PIERA – Allora cla maleduca ché chì sariss’la?

                     Allora questa maleducata chi sarebbe?

MAURA – Me sum  una cliinta dal madgon.

                     Io sono una cliente del medicone

PIERA – Anca me.

                     Io pure.

MAURA – Quindi l’è mia lé la  vedva?

                     Quindi lei non è vedova?

PIERA – Si, ma d’un atar.  Quindi gnan lè la sariss la vedva…

                     Si, ma d’un altro. Quindi neppure lei è la vedova…

MAURA – Si, ma d’un atar ancora.  ‘S sum mia capì.

                     Si, ma d’un altro ancora. Non ci siamo capite.

PIERA – E a momeint ‘s  duum.

                     E per poco non ci meniamo.

ADELE – Ma roba da matt!

                     Cose da pazzi!

MAURA – Passava dadché par chés e l’ho vist. Mé marì l’è du cappell possà in là.

                     Passavo per caso e ho visto il medicone. Mio marito riposa due cappelle più in là.

PIERA – Me s’era vegn a portàg di fior. Sum tant in debit par qull ter’n là.

                     Ero venuta per portargli dei fiori. Mi sento tanto in debito per quel terno.

ADELE – (A Ettore)  L’è in debit con te!

                                    E’ in debito con te!

PIERA – Ter’n secch! ‘G farò dì un po’ ‘d  mess.

                     Terno secco! Farò dire delle messe

MAURA – E me,g’àva una  magotta in dova batta mia ‘l sul, con licenza parlando… Bein, con la pomata c’l m’ha datt, puff, via, un miracol.

                 Io avevo una “sporgenza” dove non batte il sole, con licenza parlando… Bene, con la sua pomata, puff, via, un miracolo.

ADELE – (verso la lapide) Complimeint, neh!

MAURA – (A Piera) C’la ma scusa, àva capì màl…

                                     Mi scusi, avevo capito male…

PIERA – C’la ma scusa anca lé, ma veda, dill voot ‘s fa dill figuur…

                     Mi scusi lei, ma tu guarda, a volte si fanno certe figuracce

MAURA – C’l’m vegna a trovà, me stag al Boscon. Cognoss’la ‘l Boscon, lé?

                     Mi venga a trovare, io sto al Boscone. Sa dove è il Boscone?

PIERA  - Mai sentì, ma ‘l cattarò.

                     Mai sentito, ma lo troverò.

MAURA –  Magàri una dominca:  fum ‘l giir di noss mort. ‘S fumm un po’ ‘d compagnia (si incamminano pian piano)

                 Magari una domenica:facciamo il giro dei nostri poveri morti. Ci facciamo un po’ di compagnia (si incamminano pian piano)

PIERA –Ma che bella idea! Csè passum un dopmisdà in allegria.

                     Ma che bella idea! Così passiamo un pomeriggio in allegria.

MAURA -  (A braccetto) Ma che siora simpatica.

                                     Ma che signora simpatica

PIERA – Che bràva donna la g’ha da ess. L’ho ditt subit me  (escono).

                     Che brava donna . L’ho detto subito  (escono).

SCENA V

Arriva Sergio. Ha un braccio ingessato. Si appoggia ad una colonna.

ADELE – (si gira, improvvisamente lo vede) Ahh, che stramlòn!

                                                                      Ahhh, che spavento!

SERGIO – Sum dvintà csé brutt?

                     Sono così brutto?

ADELE – L’ho mia sentì rivà.

                     Non l’ho sentita arrivare.

SERGIO – Piede di velluto. (Guarda la scritta)  Complimenti: un’idea originèla.

ADELE – ‘L l’ha vorrì lu.

                     L’ha voluta  lui.

SERGIO – Pace ai defunti e pensum ai viiv.

                     Pace ai defunti e pensiamo ai vivi.

ADELE – Cos vol’l?

                  Che vuole?

SERGIO – Gnint…Passàva… e ho provà ..magàri la ved…

                     Nulla…Passavo… e ho provato a vedere se la vedevo…

ADELE – Par via?

                    E perché?

SERGIO – Pensàva che, magàri, in qull period ché, la g’ava ‘d bisogn d’una parola bona…

                     Pensavo che, forse, in questo momento, poteva aver bisogno di una parola …

ADELE – ‘M la càv, grassia.

                     Me la cavo, grazie

SERGIO – Magar pr’l pratich, pr’l studi…o el sarrà so?

                     Per le pratiche, lo studio…o è chiuso?

ADELE – So mia, vedrum. Sum da par me, so mia…

                     Non so, vedremo. Sono sola, non so…

SERGIO – ‘S podriss parlànna

                     Se ne può parlare?

ADELE – Cred mia.

                  Non credo

SERGIO – No? Me invece cardiva che l’Adele la g’aviss ‘d bisogn d’un consuleint, d’una parsona fidà… dop qull ‘c gh’è stà..

                  No? Io  credevo che Adele avesse bisogno di consulenza, d’una persona di fiducia… dopo quanto c’è stato...

ADELE – Cos gh’è stà? E’ stà ‘c là fatt un vul da la finestra e adess ‘l g’ha un brass al coll. L’adzivan ‘l chèrt, ‘s ricordal?

              Cosa c’è stato? Solo un volo da una finestra  e ora un braccio al collo..Lo dicevano le carte, si ricorda?

SERGIO – Si, un bel vul, ma…’s soppòrta tutt…(s’avvicina) par simpatia…

                     Si, un bel volo, ma…tutto si sopporta…(s’avvicina) per simpatia…

ADELE – Simpatia, eh?

SERGIO – Simpatia..o anca un po’ possà…

                     Simpatia..o qualcosa di più…

ADELE – ‘G fag una confidenza. Ved’l chill du donn là ? Vuna l’ha appena fatt un tern secch al lott e la g’ha ‘d bisogn d’una man par investì i sood, sicur !

                 Le faccio una confidenza. Vede quelle due  ? Una ha appena azzeccato un terno al lotto e le servirà sicuramente un aiuto per investire i soldi !

SERGIO – Ah si? ma quàla dill du?

                     Si? Quale delle due?

ADELE – C’l la scoprissa da par lu.

                     Lo scopra da solo.

SERGIO – (tentato dalla nuova proposta, ma…)  Ma me, però Adele….

ADELE – (decisa)  G’ho mia seipar datt di bon consili? Allora c’l ciàppa e c’l vagga!  C’l vaga a fà d’l bein a un’àtra! C’l vagga pur!

             (decisa)  Non le ho sempre dato dei buoni consigli? Allora lo accetti e se ne vada!  Vada a fare  beneficenza a qualcun altro! Vada pure!

Ripassano Maura e Piera a braccetto.

PIERA – Ecco, incò sum stà dal to, adman andum dal mé, vala bein? Sum bein contenta d’aviit cognossì.

             Ecco, oggi siamo stati dal tuo, domani andiamo dal mio, d’accordo? Sono ben contenta di averti incontrata.

MAURA – Anca me. Una siora csè a mood e a momeint ‘t do una spassorà in si cor’n! Oh, pardon!

              Anch’io. Una signora così per bene  e per poco non le do una randellata sulle “corna”! Oh, pardon!

 – Gnint. Però adess g’ho in vista un’omarlein…

                     Di niente. Però adesso ho in vista un ometto…

MAURA – Ah si? Conta so perbacco, g’hal mia un fradell?

                     Ah si? Racconta, dai. Non ha un fratello?

SERGIO – Signore, scusate..

MAURA – C’l digga .(A Piera)  Occio, gh’è in gir un maniach.

                     Dica . (A Piera) Attenta, gira un maniaco.

SERGIO – Sapreste indicarmi l’uscita?

PIERA – Ma l’è facila, parbacco. ‘L va là in fonda, po ‘l gira…

                     Ma è facile, perbacco. Va in fondo poi gira a…

SERGIO – Quasi quasi mi accompagno a voi. Sapete, dopo l’incidente sono rimasto un po’ svanito. Non so più dove mi trovo..

MAURA – E c’l vegna!  ma lu chi g’al chemò?

                     E venga! Lei chi ha qui?

SERGIO – Non ricordo. E voi che fate di bello?

MAURA – Prendiamo una boccata d’aria! Ma guarda te!  (escono parlottando).

SCENA VI

ADELE – Adess poss anca andà. (A Ettore)  Ricordat c’t gh’è ancora un sospes con me!

                     Ora posso anche andare. (A Ettore)  Ricorda che hai un sospeso con me!

Una nuova figura maschile, giovane, si aggira vicino a lei.  Dopo una serie di sguardi

sospettosi…

CARLO – Mi scusi…

ADELE – G’ho mia ‘d sood , non posso comprare niente. Grazie  (fa per andare)

                     Non ho soldi, non posso comprare niente. Grazie.

CARLO – C’la guàrda che…(allunga una mano)

                     Guardi che …

ADELE – E c’l ma stagga distant che se tacch a vozà i’m seintan fein in piazza. Po ciapp qull managh ché e ‘g fagg bein ved me!

                E stia lontano, se urlo mi sentono fino in  piazza. Poi prendo questa scopa  e le faccio ben vedere io!

CARLO – Adele!

ADELE – Adele una forca! (poi, incuriosita) E cmè fal a savì che ‘m ciam Adele? Me ‘l cognoss mia, quindi c’’l sa leva di pè, se no…

              Adele un corno! (poi, incuriosita)  Come sa che mi chiamo Adele?  Io non la conosco, quindi si tolga di mezzo, altrimenti…

CARLO – (calmo)  Mamma…

ADELE – Che minera? !  Mamma di chi? Me sum la mamma d’ansoin. Lu ‘l sa sbaglia…(Si blocca; si porta una mano davanti alla bocca per l’emozione; guarda Ettore, ancora non ci crede; si copre la faccia con le mani poi allarga le braccia).......Carlo....

                    

                     Come? Mamma di chi? Io non sono la mamma di nessuno,. Lei si sbaglia… Carlo....

Si stringono in un lungo e tenero abbraccio senza parole. Quando si staccano, si guardano e si

asciugano le poche ma intense lacrime. Lei lo guarda e ridacchia per l’emozione.

ADELE – …è mia possibil…

                     …non è possibile…

CARLO – E’ possibil…

                     E’ possibile…

ADELE – Ma…ma….

CARLO – L’ho savì qualca mees fa (indica Ettore)

                     L’ho saputo qualche mese fa (indica Ettore)

ADELE – Da lu?!

                     Da lui?

CARLO – Si. ‘L m’ha scritt  parchè la stava mia bein e ‘l cardiva da moor. In d’la lettra ‘l ma spiegava tutt

                Si. ‘Me lo ha scritto perché non si sentiva  bene e pensava di non farcela. Nella lettera spiegava tutto.

ADELE – Propria lu?!

                     Proprio Lui?

CARLO – E l’ha mandà anca una to fotografia.

                     Mi ha mandato anche una tua fotografia.

ADELE – Ah!

CARLO – Po un dè l’ho vist in s’l giornal…e sum ché.

                     Poi un giorno l’ho visto sulla pagina dei morti…e sono qui.

ADELE – (asciugandosi le ultime lacrime)  Sum mia ancora bona da cred’g.

                                                                       Non ci posso credere.

CARLO – E’ vera c’l era un trapanant?  Una specie ‘d madgon?

                     E’ vero che era un maneggione?  Una specie di medicone?

SCENA VII

Si avvicina di soppiatto Filippo, il giornalista,  con la testa fasciata, il braccio ingessato

e l’altra mano bendata. E’ circospetto per timore di altre disgrazie. Ascolta Adele e Carlo di

nascosto.

ADELE – Povrein, l’era bon ‘d gnint! (si sente un rantolo)  L’era invece bravissim a fà d’ la sena. Par qullè l’era un professionista. Tant brèv ‘c l’è sta bon da tegn’m con lu treint’ann. Treint’ann che tegn ‘l diid ‘l so paiassàd! E d’altronde me g’àva appena lu. L’è sta lù ‘cl t’ha miss con una brava famiglia, l’ha fatt tutt lu e me….l’ho lassà fà, s’era tanta giovna e g’àva tanta pagura.

                     E si, non valeva niente! (si sente un rantolo)  Era invece bravissimo a “far della scena”,  un professionista.  Tanto bravo che è riuscito a tenermi con sé trent’anni. Trent’anni che subisco le sue pagliacciate E d’altronde avevo solo lui. Lui ti ha piazzato in  una brava famiglia, ha fatto tutto da solo  e io….l’ho lasciato fare, ero giovane , sciocca e avevo tanta paura.

FILIPPO – (uscendo alla scoperto)  ‘L sàva, ‘l sàva ‘c l’era un impostor! Me ‘l sava (saltella come può per la contentezza)

                     (uscendo alla scoperto)  Lo sapevo, lo sapevo che era un impostore! Ne ero certo (saltella come può per la contentezza)

CARLO – E chi el che lù?

                     Chi sarebbe costui?

ADELE – Un pov’r disgrazia c’g n’in capita ‘d tutt i color. E l’è seipar in di pè.

                     Un povero disgraziato a cui capita di tutto.E me lo trovo sempre in mezzo ai piedi.

FILIPPO – Finalmeint ho sentì qull ‘c voriva seint, finalmeint!

                     Finalmente ho sentito ciò che volevo sentire, finalmente!

ADELE – E bein, e allora? Che novità sarissla? Cos ‘l sentì ‘d noov, eh?

                     Impostor o no lu ‘l podrà fà un bell gnint, ‘l pool scriv tutt i articol c’l vol!

                     La gint la g’arà seipar bisogn  ‘d qualcadoin ‘c ‘g la cointa so.  La gint la sta màl e la starà seipar pezz e allora i vegnan da noi  parchè i g’hann ansoin, i  sercan un confort e noi g’l dum: s’g ciappum,  bon, se no fà d’istess!

                     Mi creda, è una battaglia persa. E po ogni tant qualcadoin in gamba ‘l gh’é.

                     Occio c’l la sguia!

                    

                     E allora? Che grande novità? Cosa ha sentito di nuovo?

                     Imbroglione o no lei non potrà far nulla, può scrivere tutti gli articoli che vuole!

                     La gente avrà sempre bisogno di qualcuno che l’imbrogli. La gente sta male e starà sempre peggio, e allora vengono da noi perché non hanno nessun altro, cercano conforto e noi lo diamo: se ci azzecchiamo, bene, altrimenti è uguale!

                     Mi creda, è una battaglia persa. E poi qualcuno in gamba c’è..

                     Attenzione che scivola!

FILIPPO – Ahhh..(stava perdendo l’equilibrio)

CARLO – L’ariss ditt anca me   ‘c’l sariss cascà.

                     Ho sentito anch’io che sarebbe scivolato.

ADELE – Qull sior chè ‘l g’hà adoss una dasfortoina!

                     Questo signore è tanto sfortunato!

CARLO – I g’arann fatt una fattura.

                     Gli avranno fatto una “ fattura”.

ADELE – ‘L mia vist ‘c gh’è so mar in gir?  L’è vegn fein a ché par ringrazià Ettore, so mar!

                     Non ha visto sua madre qui intorno? E’ venuta fin qui per ringraziare Ettore!

FILIPPO – E par che roba?

                     Per cosa?

ADELE – ‘L ter’n secch (terno secco)! Coi noss num’r, anzi, coi num’r!

                     Il terno! Con i nostri numeri, anzi i miei numeri!

CARLO – ‘G ciàppat?

                     Ci prendi?

ADELE – Quàlca vota.

                     Qualche volta.

CARLO – Me dill voot, quand a guàrd una parsona in fassia, seint cos a po capitàg, vèda te che scherz!

                 Io, a volte, guardo una persona in faccia e capisco cosa le può capitare, guarda un po!

ADELE – O bella, tant cmé me.

                     Come capita a me!

CARLO – Qul siur chè, pr’esempi (a Filippo)  me seint  c’l g’ha una  carica negativa  da matt. Al ved seipar in disgrassia.

                Questo signore, ad esempio (a Filippo)  sento che una grande carica negativa .Vedo che si fa male spesso.

ADELE – Parché l’è cattiv.

                     Perché è cattivo.

CARLO – Occiu a la testa! (lo spinge)   (cade una tegola dall’alto)

                     Attenzione alla testa! (lo spinge)   (cade una tegola dall’alto)

FILIPPO -  Chelur i portan rogna, g’ho da stag distant!

                     Questi portano “rogna”, devo starci lontano!

ADELE – Si dedichi ad altro, mi creda. Piuttosto salvi sua madre da quell’importuno.

                    

FILIPPO – Sarà mei ‘c vaga prima ca capita qualcos àtar. (avviandosi)  G’ho da stag distant, ma distant abotta (esce velocemente).

                   Io me ne vado prima che capiti dell’altro. (avviandosi) Devo allontanarmi, ma di molto (esce velocemente).

Arrivano dalla parte opposta Maura e Piera con Sergio che dà loro il braccio. Parlottano piut-

tosto divertiti. Escono dalla parte opposta.

CARLO – Ma cos g’um adoss in famiglia?

                Cosa abbiamo dentro, noi?

ADELE – Una dota spaventosa! Che però podirssma anca mett a frutt. Cos diit? “ADELE & CARLO“, sensitivi...

                 Una dote spaventosa! Che però potremmo anche sfruttare. Che ne dici? “ADELE & CARLO“, sensitivi...

CARLO – E po’ lezum la man e se occorra anca ‘l pè…(Si sente un rantolo)   Cos è stà?

                     E leggiamo la mano e nel caso anche il piede…(Si sente un rantolo)   Cos’è?

ADELE – (guardando verso la lapide)  Una voce dall’oltretomba. Set cos fagg, dman tiir via cla scritta ché…(rantolo più forte)  L’è mia d’accordi: l’g piaz.

                (guardando verso la lapide)  Una voce dall’oltretomba. Sai che faccio?, Domani levo la scritta…(rantolo più forte)  Non è d’accordo, gli piace.

SCENA VIII

Arriva il Maggiore con dei fiori.

ADELE – Guàrda chi gh’è.

                     Guarda chi c’è

MAGGIORE – Ho portato qualche fiore.

ADELE – Per Ettore?

MAGGIORE – Ehm ...no…per lei.

ADELE – Maggiore, lei è proprio un signore. Le presento mio figlio, Carlo.

MAGGIORE – (confuso)  Suo…figlio?!

CARLO – Piacere.

MAGGIORE – Onorato..ma…poffarbacco…

ADELE – Avevo conosciuto un uomo come lei, maggiore: rigido!

MAGGIORE – Capisco, madame.

ADELE – Mademoiselle.

MAGGIORE – Ah…capisco (sorride sotto i baffi).

ADELE – Se vorom andà..(Il Maggiore e Carlo si avviano lentamente parlottando)

                     Ciao Ettore, adess ‘t voi un po’ possà bein… (rantolo).

                Se vogliamo andare..(Il Maggiore e Carlo si avviano lentamente parlottando)

                     Ciao Ettore, ora ti voglio un po’ più bene… (rantolo).

Passa l’uomo dell’impermeabile.

ADELE – Sper c’t  finiss deint’r la prima buza c’t catt!

                     Spero che tu finisca nella prima buca che trovi!

Si sente un urlo e un tonfo!

Il Maggiore e Carlo rientrano veloci.

MAGGIORE – Chi era quell’uomo?

ADELE – Voin che  in quanto a rigidità non aveva nulla da invidiare, maggiore!  (si incamminano,  Adele dà il braccio ai due uomini)  Ci verrà a trovare, vero ?

                  Uno che in quanto a rigidità non aveva nulla da invidiare, maggiore!  (si incamminano,  Adele dà il braccio ai due uomini)  Ci verrà a trovare, vero ?

MAGGIORE – Ma certo, certo.

CARLO – Apriamo una nuova attività, sa?

ADELE – Si, io e il mio Carlo.

MAGGIORE – O che bella notizia, enchantè!

ADELE – Enchantè?  Ma DIDON  DI  PE’!!!   (escono ridacchiando).

                                      Ditone del piede!

S  i  p  a  r  i  o

f i n e     d e l l a      c o m m e d i a