Le allegre historie del Decamerone

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LE ALLEGRE HISTORIE DEL DECAMERON

LE ALLEGRE HISTORIE DELDECAMERONE

da Giovanni Boccaccio

ADATTAMENTO di Mauro Fontanini

Personaggi

PINUCCIO

ADRIANO

1° FRATE

2° FRATE

3° FRATE

EMILIA

FILOSTRATO

LICIA

FIAMMETTA

GISIPPO

GULFARDA

NICCOLOSA

AGNESA

AGNOLELLA

BADESSA

NUTO

SUOR FILOMENA

SUOR BERTILLA

SUOR BORLOTTA

SUOR PIPETTA

SUOR LETIZIA

MASETTO

FRA’ CIPOLLA

GUCCIO BALENA

BRUNO

NUTA

UN CIECO

UNO STORPIO

VIOLANTE

LISABETTA

BUFFALMACCO

CALANDRINO

MAESTRO SIMONE

TESSA

FRATE FINALE

 1) MUSICA INIZIO          

 2) MUSICA FLAUTO

( Strada di campagna. Adriano e Pinuccio con alcuni bagagli aspettano che faccia buio. Adriano sta mangiando un tozzo di pane. Pinuccio sta fantasticando sulla sua amata. )

PINUCCIO – (seduto a sin sul praticabile) Ed ella mi disse una sera: “Mio eroe, vi amo con tutto il cuore”. E cotali motti, o Adriano, si presero l’anima e il corpo mio.

ADRIANO – (lo guarda con ironica pietà) Tu meglio staresti se la pestilenza che divora li omini a Fiorenza avessi in corpo, piuttosto che codesto mal d’amore!

PINUCCIO – Oh, Niccolosa, amor che di luce empi l’occhi miei…

(Adriano lo guarda, ride e continua a mangiare. Viene interrotto dall’arrivo di tre frati incappucciati che pregano ad alta voce; uno di loro prega e tossisce).

3) MUSICA FRATI

FRATI – Misericordia, Eterno Dio,

              pace, pace Signor pio.

              Non guardare nostro errore,

              misericordia al peccatore.

             Misericordia andiam gridando,

             misericordia Iddio pregando!

     

ADRIANO – Corpo di Dio, a parlar del male… esso tosto arriva!

(Adriano corre a nascondersi dietro ai bagagli, ma poi si accorge che Pinuccio è rimasto seduto al suo posto, allora ritorna e lo trascina nel nascondiglio. I frati passano lugubri e mortiferi, sempre pregando. Usciti i frati, i due amici ricompaiono)

PINUCCIO -  (rialzandosi in piedi) O che ti accade Adriano ? Che è codesto timor de’ frati ?

ADRIANO – Non de’ frati io temo, ma della pestilenza che nulla distinzion fa tra viventi e che tutti rende morti. A Fiorenza veduti li ho pregar pe’ vivi e poscia sotterrar gl’istessi divenuti morti.

PINUCCIO – (pensando sempre al suo amore) Oh, che pol far peste, quando il cor d’amor è colmo?

ADRIANO - Madre Santa! Com’è ridotto l‘amico mio! Mio caro Pinuccio, a morir c’è sempre tempo, e se Monna Peste proprio me vuol cavalcare, io ho da cornificarla in grandissima copia prima che ciò il avvenga. Quinci occor usar prudenza e beffar lo male.

PINUCCIO – (che non ha ascoltato l’amico perché troppo preso dal suo amore) Oh, Adriano, mio fidato compagno, la Niccolosa mia è giovinetta sì bella e leggiadra, che la notte non riesco a prender sonno perché ardo d’amore per lei.

ADRIANO – Arder d’amor? Che vuol dire questo? Bere assai, godere e andar cantando attorno, sollazzarsi e di ciò che avvien ridersi e beffarsi. Ecco lo rimedio certissimo a tanto male.

PINUCCIO – Oh, Adriano, ella m’ama, poiché spesse volte m’ha sorriso e un dì vedendomi passar sotto l’uscio suo, mi disse codesti motti: “Mio eroe, vi amo con tutto il cuore”.

ADRIANO – Me l’hai già detto, Pinuccio.

PINUCCIO – La notte ci sorprenderà proprio davanti la casa di suo padre, che fa l’oste, e da quel bon omo ch’egli è, darà da desinare a due forestieri. Ci ospiterà e così potrò vedere la Niccolosa e dirle dell’amor ch’io provo per lei.

ADRIANO – (che non ne può più) Va bene Pinuccio, va bene! (si alza in piedi)

4) MUSICA ENTRATA VIANDANTI

(Passano di lì tre giovani donne, Licia, Fiammetta ed Emilia, ed un giovane, Filostrato, carico di bagagli. Stanno andando via da Firenze per sfuggire alla peste).

FILOSTRATO – Un po’ stanco son io. Fermiamoci un attimo a riprender fiato ed a bere un po’ d’acqua. (si siede con le gambe a penzoloni e si leva le scarpe)

LICIA – Suvvia, cerchiamo invece di far presto.

FIAMMETTA - Il luogo indicatoci da Pampinea non è lontano, appena due miglia da Fiorenza e oramai metà cammino dovremmo averlo fatto.

EMILIA - Sicuro, Montebasso non dev’essere lontano. Non ci resta che trovare una grande quercia, girare a destra e poscia sempre diritte per mezzo miglio.

FIAMMETTA – Emilia, chiedi a quei giovin signori se quella quercia è di molto lontana ancora.

EMILIA – Oilà, gentili messeri!

(Pinuccio è sempre preso dal pensiero di Niccolosa. Adriano che ha assistito alla venuta dei tre si avvicina).

ADRIANO – Messer Adriano, ai vostri comandi, madonna mia.

EMILIA – Avremmo bisogno di saper se qui d’attorno vi è una grande quercia che noi da lì proseguir dobbiamo per Montebasso.

ADRIANO – Quasi arrivate voi siete. Vedete oltre quella salita quel verde che occhieggia e che più scuro è del verde del prato?

EMILIA – Ben sì ch’io lo vedo.

FILOSTRATO – (che, avvicinatosi ai tre, si è infilato sotto le gambe di Emilia)  E pur io ‘l vedo…

ADRIANO – Orbene, mie care donne, oltre quella salita voi vedete spuntar la chioma della quercia che andate cercando.

EMILIA – Vi ringrazio assai, che una buona notizia ci date.

FIAMMETTA – Ooh, finalmente potremo riposar e ristorarci che ora pure fame mi è venuta. (si avvicina a Filostrato)

ADRIANO – (avvicinando a sé Licia ed Emilia e prendendole sottobraccio) Graziose donne, vogliate ora soddisfar la curiosità mia, se ciò non vi è a noia. Perché andate a Montebasso, luogo vicino ma alquanto lontano dalle nostre strade?

EMILIA – Ciò è presto detto, mio baldo giovine. Pochi giorni addietro, nella nostra città, alcune donne mie compagne si ritrovarono per pregare nella venerabile chiesa di Santa Maria Novella. Una di loro, di nome Pampinea, a parlar cominciò di alcuni suoi pensieri che… (Emilia ed Adriano camminano più in là)

(Mentre Emilia ed Adriano continuano a discorrere l’attenzione si sposta su Licia, Fiammetta e Filostrato)

FILOSTRATO – (seduto) Lo diceva un pastore, compagno mio, che meglio che andar con donne è usar con pecore ch’esse danno lana e non guai…

LICIA – (quasi arrabbiata) Filostrato, tu non sei abbastanza stanco chè a dir sciocchezze hai sempre forza! Se per noi non fosse tu saria a Fiorenza a contar bubboni, non solo su’ morti nelle strade ma anche, non voglia mai Iddio, sulla panza tua!

FILOSTRATO – (che ha capito l’antifona) Non t’inquietar Licia mia… solamente ora io chiedo di riprender fiato chè tutti questi bagagli pesano assai.

FIAMMETTA – Suvvia Filostrato, (balletto a tre tipo girotondo) festevolmente viver si vuole. Per ciò noi a sollazzare, a ridere ed a cantare insieme ci disponiamo.

LICIA – Ma prima noi il faremo quanto prima a Montebasso arriveremo.

FILOSTRATO - Bene, bene… chè quanto voi mi dite mi piace assai. (si carica i bagagli)

(Si sposta di nuovo l’attenzione su Adriano ed Emilia)

ADRIANO – (che ha ascoltato Licia, Fiammetta e Filostrato) Giusto assai! Viver occorre, chè il tempo di dir de’ paternostri è di gran lunga passato. (prende una giovane per le mani ed inizia una specie di ballo) Balli, canti, sollazzi, e beffe a sora Morte chè doman forse a’ nostri appetiti soddisfar non potremo.

(Licia e Fiammetta si sono intanto avvicinate. Filostrato è più lontano perché è carico di bagagli)

FILOSTRATO – Da che parte bisogna andare?

ADRIANO – (indicando la strada) Fatevi forza messere, che per quella salita dovete andare.

FILOSTRATO – Santiddio! Solo salite, solo salite per Montebasso… Uffa, uff,… rogna che ti piglia! (s’incammina greve, seguito dalle donne)

FIAMMETTA – Addio messere e grazie.

EMILIA - Che il Signore vi conservi e vi protegga baldo giovine. (due donne escono)

ADRIANO – Vi saluto graziose donne e senza indugio alcuno verrò a trovar la vostra allegra compagnia in quel di Montebasso… (non accorgendosi di essere ascoltato da Licia che si è fermata un attimo) O che posson fare tre omini e sei femine in un podere? Raccoglier bacche nei boschi? Piantar fagioli negli orti? Io dico che gli omini sono sempre tali…

LICIA - … e le femine pure! (lo saluta ed esce ridendo mandandogli un bacio)

(Pinuccio, assorto nei suoi pensieri d’amore, non si è neppure accorto di quanto è accaduto)

ADRIANO - Ohè! Sveglia Pinuccio! La Niccolosa tua ci aspetta…

PINUCCIO – Niccolosa mia! Amor da te mi conduce, amor da te volar mi fa! (Si alza in piedi e corre via) Niccolosa mia, che il cor mio hai rapito! (esce)

ADRIANO – Pinuccio, che fai? Aspetta, aspetta… i bagagli! … Che tempi son questi! Se non son morti gli omini son pazzi… Aspetta Pinuccio… (esce di scena)

BUIO.  5) MUSICA CAMBIO SCENA

A casa dell’oste. Pinuccio ed Adriano bussano alla porta.

GISIPPO – Ma chi è a quest’ora?Oh, messer Pinuccio, qual bona ventura?

PINUCCIO – Buona pace, mastro Gisippo. Questo è Adriano, il compare mio.

ADRIANO – Mastro Gisippo…

GISIPPO – Messere…

PINUCCIO – Mastro Gisippo, avremmo un grosso favore da chiederti.

GISIPPO – Dite, dite pure amici miei.

PINUCCIO – Brav’ uomo, potresti albergare stanotte nella tua casa me e il compare mio Adriano? Credevamo di poter esser stanotte in Fiorenza, ma non siam riusciti ad affrettarci e così siam giunti qui a tarda ora.

GISIPPO – Pinuccio, tu sai bene che io non son uso ad albergare forestieri e persone a me sconosciute, ma per due bravi giovini come voi… (li fa entrare)

ADRIANO – Troppo buono mastro Gisippo, ma non vorremmo essere di troppo affanno…

GISIPPO – Suvvia che dite… ma poiché siete qui giunti a tarda ora e non v’è più tempo di andar altrove, io vi sistemerò come meglio il potrò.

ADRIANO – Finalmente potrai dormire proprio con Niccolosa.

PINUCCIO – Oh, Niccolosa, che il mio core hai rapito…

GISIPPO - Venite, venite. Gulfarda!

GULFARDA – Benvenuti messeri, e saluta pure tu, figlia mia.

NICCOLOSA – (guardando Pinuccio con gli occhi bassi, timida) Benvenuto messer Pinuccio.

GISIPPO - Gulfarda, moglie mia, prepara un letto che questa notte abbiamo ospiti.

(Arrivano Gulfarda e Niccolosa con un letto).

GULFARDA - Intanto che noi donne apprestiamo il letto vostro, vogliate bere con mio marito un buon bicchier di vino. (le donne si allontanano)

GISIPPO – (versando da un fiasco) E’ un vino codesto che solitamente offro solo ad illustri omini.

ADRIANO – Giuro, in fe’ di Dio che in tutta Fiorenza non v’è un oste par vostro, mastro Gisippo, e per ospitalità e per cortesia.

PINUCCIO – E se tu ci offri del buon vino noi ti offriamo del buon cacio che abbiam portato da Montassieve da dove siam passati tre giorni a questa parte.

6) MUSICA LOCANDA

(Mentre le donne preparano i letti i tre bevono, mangiano il formaggio e ridono)

GULFARDA – La nostra casa è piccola assai, come vedete… Dovremo adattarci a dormir tutti assieme.

GISIPPO – Ma nel migliore dei miei letti voglio che voi vi sistemiate.

ADRIANO – Siamo talmente stanchi che dormiremmo pure sui sassi… però, buono questo vinello.

PINUCCIO – (a Gisippo) Vedo che lo cacio mio ti aggrada. Prendi, prendine ancora, chè io non ho appetito.

GISIPPO – (dopo aver fatto un rutto) Miei cari, ora che satolli siamo, andremo tutti a dormire.

GULFARDA – (sparecchiando) Il letto vostro è pronto, coricatevi pure, mentre la figlia mia sta già preparando li giacigli per noialtri. Con il vostro permesso. (va da Niccolosa che sorride a Pinuccio)

(Adriano e Pinuccio si preparano per andare a letto)

ADRIANO – (prendendo in disparte Pinuccio) Ora che hai visto la Niccolosa puoi anche dire di averci dormito assieme… (Pinuccio mentre si spoglia non fa che guardare Niccolosa) Ehi! Mi stai ascoltando?

PINUCCIO - … insieme a Niccolosa…

ADRIANO – Già, e anche insieme alla madre sua, al padre ed al fratellino! Non abbiamo una gran fortuna. Guarda, stanno mettendo lo letto della Niccolosa oltre quello delli genitori suoi… Ah, se solo ci fossero due stanze in questa locanda…

GISIPPO – (alla moglie) Ecco Gulfarda, mentre in quello dormirà la Niccolosa, in questo dormiremo tu ed io.

GULFARDA – (alla figlia) E tu Niccolosa prendi il lettuccio del fratellino tuo e mettilo ai piedi del letto nostro.

PINUCCIO – (sempre ipnotizzato dalla Niccolosa) E lei mi disse “Mio eroe, io t’amo con tutto ‘l cuore”. (sospirando) Aah!

ADRIANO – Ma cosa stai farfugliando? Questo è completamente andato! Pinuccio, Pinuccio, mi senti? Possiamo solo sperare che la famiglia dell’oste abbia un sonno pesante così che tu possa più tardi andar dalla Niccolosa.

PINUCCIO – Tanto è, Amore, il bene ch’io per te sento, e l’allegrezza e ‘l gioco, ch’io son felice, ardendo nel tuo foco…

ADRIANO – Madonna degli speziali! Questo è peggio di un citrullo a primavera! Suvvia, Pinuccio, andiamo a dormire. (agli altri) Buona notte, mastro Gisippo. Buona notte, monna Gulfarda e fate un buon sonno pure voi Niccolosa. (a Pinuccio) E saluta!

PINUCCIO – Buonanotte a tutti, e grazie dell’ospitalitade.     BUIO.

7) MUSICA NOTTURNA

(Adriano e Pinuccio spengono le lampade e si coricano sotto le coperte ed anche gli altri fanno lo stesso. Gisippo comincia a russare ed i respiri degli altri si fanno pesanti. Adriano controlla la situazione e dopo un po’ si rivolge a Pinuccio.)

ADRIANO – Pinuccio, tutti son già addormentati. Ora hai l’occasione di andar dalla Niccolosa.

PINUCCIO – Sì, dirle devo con parole mie tutto il mio amore…

ADRIANO – Nooo, non con parole chè sveglieresti l’oste e tutti quanti, ma con baci e carezze e con ciò che natura vuole.

PINUCCIO – Hai ragione Adriano, amico mio, un bacio fa meno rumor della parola amor…

ADRIANO – Sssst! Va’, va’ che lo momento è buono. Come dev’esser che l’omini innamorati han tosto un gran bisogno di poetar?

(Pinuccio si alza e si avvicina al letto della ragazza)

PUINUCCIO – Niccolosa?

NICCOLOSA – Pinuccio!

PINUCCIO – Amor mio!

NICCOLOSA – Mio eroe!

PINUCCIO – Io t’amo…

NICCOLOSA - … con tutto…

PINUCCIO - … ‘l core!

ADRIANO – Ma senti quei due! Se continuano così sveglieranno anche le talpe delli prati qui attorno… Ssssst! Ssssst!

GULFARDA – (svegliandosi) Cos’è questo brusìo? Forse che il piccolo ha mal di pancia?

(si alza e va alla culla)

(Pinuccio entra nel letto di Niccolosa e si nasconde sotto la coperta. Adriano, che ha assistito alla scena, si rimette a dormire).

GULFARDA – Che c’è piccino mio? Mmmh, non ha nulla sta dormendo.

(si sente il rumore di qualcosa che cade fuori scena)

GULFARDA – Che è questo rumor là fora? Non sarà mica qualche faina venuta per galline?

(Gulfarda si veste ed esce. Pinuccio fa capolino dal letto di Niccolosa ed una volta uscita la madre i due si abbracciano e ritornano sotto la coperta. Poco dopo si alza anche Adriano).

ADRIANO – Quel vinello dell’oste mi ha gonfiato la panza, sarà meglio uscir fora a bagnar lo trifoglio. (MIAGOLIO DI UN GATTO) Accid… (sbatte contro la culla) Madonna dei… (si tappa la bocca con le mani) Sarà meglio spostarla codesta culla, altrimenti quando ritorno mi rompo un altro ginocchio.

(Adriano sposta la culla ai piedi del suo letto ed esce. Pinuccio e Niccolosa si baciano ed accarezzano, mentre Gisippo russa a tutta forza).

VOCE GULFARDA – (fuori scena) Brutto gattaccio! Hai rotto un vaso. La prossima volta ti tiro dietro gli zoccoli dello marito mio che son più pesanti!

(Rientra Adriano massaggiandosi la testa e tenendo uno zoccolo in mano)

ADRIANO – Madonna. Madonna… vai a far favori agli amici! Uuuh, che botta! (ritorna nel suo letto).

(Gisippo smette di russare)

GULFARDA – (rientra a tastoni, al buio e va verso il suo letto) Ma non si riesce a star tranquilli in codesta casa, il gatto là fora, il Gisippo che russa… che russa? Oh, grazie a Dio non russa più. Ma dov’è il lettuccio del piccolino? (cerca a tastoni la culla) Misera me, ma guarda un po’ cosa stavo facendo! In fe’ di Dio io me ne andavo direttamente nello letto degli ospiti miei!  (Cerca ancora la culla e finalmente la trova ai piedi del letto di Adriano) Ah, eccola qui.

ADRIANO – (tra sé) Guarda, guarda, che forse chi mi ha fatto venir lo mal di testa, abbia anche a farmelo passar…

GULFARDA – Eccolo qua lo letto col marito mio. Iddio ti ringrazio! Quando smette di russar par proprio un altr’omo. (si corica ed Adriano, con piacere, accoglie subito la donna)

ADRIANO – Mmmm… ?

GULFARDA – Marito mio?

ADRIANO – Mmmm… ?

GULFARDA – Oh, marito mio!

ADRIANO – Mmmmh! Mmmmh!

GULFARDA – Ma Gisippo, ci sono ospiti! Ma, ma… mmmm!

(Per un istante si vedono due letti in movimento ed uno in centro immobile; il primo letto a fermarsi è quello di Niccolosa e Pinuccio)

NICCOLOSA – Pinuccio, Pinuccio, mio eroe… Presto si farà giorno.

PINUCCIO - Sventura! Il tempo leggero s’en vola ed io avrei sì caro continuar con te amorosa donna e con baci e con carezze e con ciò che natura vuole…

NICCOLOSA – Ssst! Che tutti sveglierai… E’ meglio che ritorni nello letto tuo, o dolce amore, prima che il sonno ci sorprenda, altrimenti dimani lo padre mio te caccerà di casa a pedate e me risveglierà a nerbate.

PUNUCCIO – Madonna amatissima, tu saviamente parli, ed io a malincuore farò quanto mi ordini. Però lascia ch’io…

NICCOLOSA – Sssst! Ora va’ caro mio bene. Abbiam già preso quello piacer che noi desideravamo. A presto, Pinuccio, ch’io t’amo più di ogni cosa al mondo.

(Pinuccio si alza per ritornare nel suo letto, ma trova la culla ai piedi del letto)

PINUCCIO – Domnineiddio! Questo è lo giaciglio dell’oste, poiché qui sento la culla dell’infante. (si sposta più in là e va nel letto di Gisippo)

GULFARDA – Ohimè, proprio ora che lupo è dentro il bosco.

GISIPPO – Mmmm, mmmm…

PINUCCIO – (credendo di parlare all’amico, sbadigliando) Oh, Adriano, mai provai sì dolce cosa come stanotte che ho passato con la Niccolosa.  

GISIPPO – (ancora dormendo) Che diavolo vuole costui?

GULFARDA – Gisippo, senti cos’hanno da dirsi i nostri due ospiti.

ADRIANO – (ridendo) Lasciali fare, che Iddio li maledica!

GULFARDA – (tra sé) Ma codesta voce non è… Iddio santissimo, ma chi è costui? E di chi era lupo nel bosco… Ooh, Santissima Vergine! (accortasi di giacere con Adriano esce dal letto, prende la culla e la porta al lato del letto dove dorme Niccolosa e si corica con lei.)

PINUCCIO – Per la prima volta nella vita mia ho avuto con lei lo maggior diletto che mai omo possa avere con femina.

GISIPPO – Io per la prima volta ti rompo l’osso del groppone! Pinuccio come hai potuto farmi questo? Ma per lo corpo di Dio te la farò pagare!

PINUCCIO – (confuso) Di che dovrei pagarti? Che vuoi farmi? Cosa vuoi?

GULFARDA – (accende il lume e finge di svegliarsi) Marito mio, o che è tutto codesto rumore?

GISIPPO – Non udisti tu ciò che dice d’aver fatto stanotte alla Niccolosa?

GULFARDA – Egli mente perché con la Niccolosa non può essersi giaciuto, dato che mi coricai io nello letto suo e da quel momento non son più riuscita a prender sonno.

GISIPPO – Come? Che storia favelli? Presto, donna, di’ tutto, c’ho da averla a pagare da codesta bestia!

GULFARDA – Tu sei una bestia se gli credi! Voi uomini bevete tanto la sera che poi sognate la notte e andate di qua e di là senza svegliarvi e vi par di fare meraviglie. (sorpresa, al marito) Ma cosa fa costì Pinuccio? Perché non si sta egli nello letto suo? Che, ora ti piacciono forse li omini, Gisippo?

ADRIANO – (assecondando la versione della donna) Pinuccio, io t’ho detto cento volte che tu non vada attorno, perché questo tuo vizio di levarti in sogno a fare lo sonnambulo, per poi dire le favole che tu sogni come se fossero vere, ti darà una volta o l’altra la mala ventura. Torna nello letto tuo!

GISIPPO – (convinto del sonnambulismo di Pinuccio lo scuote per le spalle e lo chiama) Pinuccio, destati. Torna nello letto tuo.

PINUCCIO – Che è? E’ già giorno che tu mi chiami? Che fo’ in codesto letto? (l’oste ride)

ADRIANO – Vieni qui, Pinuccio, che di qui all’alba c’è ancora un po’ di sonno da fare.

(Pinuccio sbadigliando e stiracchiandosi ritorna nel letto dell’amico e tutti si riaddormentano. 8) CANTO DEL GALLO. Il mattino seguente i due amici stanno per ripartire.)

GISIPPO – Presto donne, togliete li pagliericci e rimettete in ordine la casa. (a Pinuccio, ridendo) Pinuccio, ti ricordi ancora dello sogno di stanotte? Sogna pur di femmine, ma se hai da sognar la Niccolosa, prima domandami licenza! (alla moglie) Donna mia, vado ad aiutar li nostri ospiti a caricar le lor valigie. (a Pinuccio) Per due giovini onesti come voi ci sarà sempre un piatto di minestra calda ed un letticello pulito in casa mia. Tornate, tornate quando voglia ne avete. (esce mentre arrivano due donne: Agnesa, una vecchia nonna, ed Agnolella, la sua giovane nipote)

AGNOLELLA – Buondì, messeri.

AGNESA – Fortuna assai, madonna Gulfarda.

ADRIANO – (subito attratto dalla giovane nipote) Fortuna a voi, madonne mie.

AGNOLELLA – Illustri signori, mia nonna Agnesa ed io cerchiam ristoro chè tutta notte abbiam vaggiato su un carro di un bon omo che fin qui ci ha portato.

AGNESA – E cerchiamo pure un gentil messere che ci accompagni allo convento delle monachelle perché recar devo un messaggio alla di lor badessa Cangrande.

AGNOLELLA - Un viandante, che mi par avesse nome Guccio, a noi disse che frate Cipolla presto arriverà dalla lontana Palestina per far visita allo monistero.

AGNES A – E reca con lui delle preziose et miracolose reliquie che ritrovossi in Terra Santa!

NICCOLOSA - Per voi questo è giorno di bone venture. Questi due messeri per certo vi useran la cortesia di menarvi allo convento.

ADRIANO – Non di meno io ho ancora del pan secco e del cacio rimasti da iersera che tosto vo ad offrirvi… (vorrebbe offrirlo alla giovane, ma la vecchia Agnesa è più veloce… lo prende e se lo mangia).

AGNOLELLA – Vogliate perdonare la mia povera nonna, ma or son due giorni e forse più ch’ella non mangia cibo alcuno, per via di una certa penitenza ch’ella vuol fare prima di ricevere la confessione dello santo abate Cipolla.

ADRIANO – Oibò, se di penitenza si tratta… allora buon appetito!

GULFARDA – (alla nonna) Venite, venite madonna Agnesa a desinar sulla panca qua fora, che qui in casa Niccolosa ha da spazzar.

ADRIANO – (prendendo sottobraccio Agnolella) E per tener lieto il vostro spirito vo’ a raccontarvi un divertente fatto occorso questa notte allo compare mio Pinuccio. (escono ridendo)

PINUCCIO – Salute a voi madonna e arrivederci a presto, Niccolosa!

(Occhiata d’intesa fra i due amanti, ma non riescono a scambiarsi un bacio perché Gulfarda rientra all’improvviso.Tutti escono e madre e figlia restano sole in casa.)

GULFARDA – Figlia mia, non burlarti di tua madre. Che forse anco tu hai sognato con Pinuccio, stanotte?

NICCOLOSA – No, madre mia, Pinuccio ha certamente fatto uno sogno da lui solo medesimo. Io per certo sognato ho cosa diversa. Nel mio sogno c’era messer Adriano che … (ride)

GULFARDA – Ooh, basta con tutti codesti sogni! Dev’ esser che quando troppa gente dorme sì appressata i sogni essendo troppo vicini si mescolino intra loro facendo gran confusione.

NICCOLOSA – (ridendo) Sì, sì, madre mia! (esce)

GULFARDA – (tra sè) Vorrà dire che io sola, stanotte, dato che ben ricordo d’aver abbracciato Adriano nello letto suo, devo esser istata sveglia!

9) MUSICA CAMBIO SCENA

(Entra in scena Nuto, ubriaco fradicio, che emette una specie di rutto-conato di vomito e poi crolla seduto a terra mentre entra Agnolella con una brocca d’acqua.)

AGNOLELLA - Messer Nuto, che fate in tale condizion alle prime luci del giorno? Non dovreste voi esser allo convento ad accudir gli orti delle monache?

NUTO – (riprendendosi) Tacete, femina ignorante, che de li mali miei nulla sapete… Datemi un po’ d’acqua se cuor avete per un pover’omo.

AGNOLELLA – (gli getta in faccia un po’ d’acqua) Di che vi lamentate messer Nuto? Quali pensieri avete che a dimenticarli col vino vi siete dato?

NUTO – (mentre beve e si rinfresca un po’ con l’acqua) Oimè, viver in un convento non è cosa facile come pensar si possa. Specie per un omo ormai vecchio qual io sono… Troppe fatiche, troppi impacci… ma avanti tutto, troppe monache.

AGNOLELLA – Troppe monache? O che forse avete da lavar li loro panni, messer Nuto?

NUTO – Madonna “zucca al vento” che sol di ciance avete pieno l’orcio! Che ne sapete voi di quel ch’a monache divote necessita d’aver… Via, via, lasciatemi che quest’oggi ho da parlar con la badessa di una certa quistion… (esce)

AGNOLELLA – Non aprite molto la bocca, che col fiato vostro potria cascar morto in terra puro un cavallo! (esce)

10) CANTO SUORE ( dal 31’ )

(Cortile del convento delle suore. Alcune monache stanno mettendo ad asciugare alcuni grandi panni bianchi. Entrano Nuto, che tiene in mano un rastrello e suor Cangrande, la badessa)

BADESSA – Ma perché volete lasciare lo convento, mio caro Nuto?

NUTO – Ah, è giusto lavorare, ma per campare, non per morire. Voi sapete che io vivo e lavoro come ortolano in questo monistero in cima allo monte da dieci e più anni.

BADESSA – E’ vero, avete sempre svolto il lavoro vostro con diligenza.

NUTO – L’avete detto! Ma non solo ho fatto crescere li vostri rapanelli e le vostre verze, ma molte volte sono andato al bosco per legna, ho attinto l’acqua allo pozzo, ho riparato li guasti alle mura dello convento, sono andato ai mercati ad acquistare ciò di cui avevate bisogna… e più ho fatto meno salario ho ottenuto.

BADESSA – Voi dite cose in parte vere, ma non è detto che il salario sia poco, infatti è sempre stato pari alle vostre fatiche.

NUTO – Ultimamente mi avete dato sì poco dinaro che mi posso pagare appena li calzari. Ed oltre a questo le vostre monache, che sono tutte giovani e piene di forze, stanno tutto il giorno ad infastidirmi, a dirmi come devo fare le cose… Questo non istà bene… Questa secchia devi metterla là. Quella secchia la devi mettere qui. Questo va fatto in cotal guisa….

BADESSA – Suvvia, calmatevi messer Nuto… e voi (rivolta alle monache che sono intente al lavoro) andate pure, finirete dopo li lavori vostri. Lasciate messer Nuto e me a discorrer di importanti quistioni. (le monache escono)

NUTO – Madonna no, non mi calmo! Le monachelle vostre han lo diavolo in corpo e non han altro da fare che darmi seccaggine e motteggiarmi con doppie parole!

SUOR BORLOTTA – Il nostro ortolano sta diventando vecchio.

SUOR BERTILLA – Il suo aratro non solca più la terra come una volta.

SUOR PIPETTA – Messer Nuto, provate a zappar qui che la terra è più molle…

SUOR FILOMENA - …ma vi ci vorrà la zappa adatta!

NUTO – Ed altro ancora che non ripeto per non offender le vostre sante orecchie.

BADESSA – Ciò che voi dite mi rattrista non poco, ma i vostri servigi per quali essi siano ci abbisognano ed ancor più da quando è morto lo castaldo nostro, che il Signore lo accolga fra le pie anime. Abbiamo bisogno di una persona forte, calma e di età adatta allo stesso tempo, dimodochè non turbi le preghiere delle mie monache.

NUTO – Io sono un uomo forte e calmo e perciò vi dico con calma e con fermezza che me ne vado. Datemi lo salario che mi spetta e che il Signore vi guardi e preservi. Me ne torno a Lamporecchio. (si allontana)

BADESSA – (seguendo Nuto) Se si tratta dello salario cercheremo di fare il possibile, ma voi messer Nuto abbiate considerazione del fatto, son tempi difficili assai codesti, abbiate pazienza per qualche anno ancora…

NUTO – La pazienza mia fatevela dare dalle vostre monachelle che lor se la son presa. Ritorno dalli parenti miei. Datemi ciò che mi spetta e che il Signore ci conservi tutti!

BADESSA – E’ il vostro ultimo proposito?

NUTO – L’ultimo!

BADESSA – Ciò che messere vuole. Il Signore vede e provvede. Ma fatemi un favore, se voi n’avesse per le mani un omo, non troppo giovine, atto alla bisogna nostra che’l mandi senza indugio. Promettetemelo. (dà a Nuto il suo salario).

NUTO – Ve ‘l prometto! Questo datelo alle monache vostre che muovano meno la lingua e più le braccia! Addio. (dà alla badessa il rastrello che aveva con sé e se ne va. La badessa resta da sola in piedi con il rastrello in mano).

CAMBIO SCENA : 11) CANTO CONTADINE.

(Campagna. Calura estiva. Un giovane contadino di nome Masetto assieme a due giovani contadine, Agnolella e Niccolosa, ritorna a casa dal lavoro nei campi. Di lì passa Nuto e Masetto lo vede).

MASETTO – Oilà messer Nuto, come mai sì lontano dallo convento? Non vi bastano più le femmine che vivono al chiuso, disiderate anche quelle che pascolano all’aria aperta? (abbraccia le due contadine che lo accompagnano).

NUTO – Eh, Masetto, Masetto… Passerebbe anche a voi la voglia di scherzare in mezzo a quelle indiavolate e tormentose donne…

MASETTO – Gnaffe, messer Nuto! (inizia a zappare) A sentir voi in quel convento sembranovi essere cavalli selvatichi e non pie monache! (le due contadine che stanno con lui ridono stando sedute mentre sgranano i fagioli, ed i piselli e puliscono la verdura. Le giovani continuano ad ascoltare.)

NUTO – Peggio, peggio, Masetto mio. Da quando è morto lo castaldo le monachelle son diventate come tafani su una piaga… Quanti guai m’han fatto passare non lo potete manco immaginare!

MASETTO – (continuando a lavorare la terra) Oooh, … immagino, immagino…

NUTO – E poi son tutte belle femmine.

MASETTO - Il castaldo è morto, voi ve ne siete ito via… (tra sé) Non sapeva come dover fare!… San Cresci in man che Dio ne die è il momento nostro!

NUTO – Che state dicendo?

MASETTO – Niente… Mi chiedevo chi mai si curerà degli orti ? Chi mai si adoprerà in quei lavori da omini che anco in uno convento di monache son necessari ? Chi mai ?

NUTO – Le monache da sé medesime!

MASETTO – Gnaffe, come avete ragione! Piuttosto che star con donne, meglio star con diavoli che le femmine sette volte su sei non sanno quello che esse vogliono.

NUTO – Ah, Masetto, Masetto! Giovin di buon giudizio siete. E dovete pur sapere che, quando me ne venni via, la badessa loro mi pregò che se ne avessi qualche altro per le mani per fare l’ortolano glielo mandassi, ed io a lei ciò promisi. Domandommi di mandarle uno anziano come me, perché certamente in un convento uno giovine nol potea tenere. E sapete io ora che faccio? (Agnolella e Niccolosa si alzano in piedi e si avvicinano a Masetto)

AGNOLELLA - Indovinar è facile!

NICCOLOSA - Come è vero Iddio non ne procaccerete né manderete niuno!

NUTO – Sicuro! Un altro vecchio forte e capace come me dove lo trovi? Ed uno giovine avea ragion la badessa di non volerlo prendere.

AGNOLELLA – Perché nol avria esperienza né mestiere di governar orti pollai e stalle.

NUTO – Sicuro! Ma soprattutto nol pazienterebbe abbastanza per tutte le noie che gli arrecherebbero quelle inselvatichite donne.

MASETTO – Avete fatto bene a lasciar stare lo monistero perché non è cosa da omini stare in mezzo a cotante femmine!

NUTO – Sicuro! Ma voi che fate in mezzo a codeste donne?

MASETTO – Oh, ma queste son tutte sorelle mie… e codeste mie sirocchie pienamente mi ubbidiscono, messer Nuto. (le abbraccia e le tocca con un buffetto sul sedere)

NUTO – E bravo Masetto! Ora vado a riveder li parenti a Lamporecchio, addio Masetto.

MASETTO - Addio, messer Nuto. (alle contadine) Andate, andate anche voi. (si salutano)

(Masetto rimane da solo e pensa ad alta voce, disteso con le braccia dietro la testa.)

MASETTO – Povero Nuto, non ha capito che morto il gallo le galline ne abbisognano di un altro, altrimenti né ova più fanno, né tranquille più restano… (si rialza) Messer Nuto a te conveniva lavorar da gallo e non da somaro! Adoprar qualche inganno occorrerà per soddisfar questo mio struggente disiderio di star con monache… Il luogo è assai lontan di qui e niuno mi conosce… (esce con entusiasmo, ma rientra subito dopo deluso) Però non posso andar così che troppo giovin e bello io sono. Potrei far finta d’esser medico e voler curar le monache da qualche ignoto male…. Ma non conosco dotte parole, né latino… nol crederia nessuno! E se far finta d’esser sordo… e muto con tanta fame… mi giovasse? Il crederia proprio tutte! Bene, ora mi appresto. (assume un’espressione idiota) Sordo e muto… (fa qualche smorfia) con tanta fame… (si lacera gli abiti) Così di cotal guisa andrò allo convento…

(Non fa a tempo a terminare la frase che due monache compaiono sulla scena trasportando un carretto con sopra una pila enorme di pagliericci e cuscini. Una di loro porta una cesta con dentro delle mele. Fanno una gran fatica e non si accorgono della presenza di Masetto)

SUOR BERTILLA – Che fatica suor Filomena…

SUOR FILOMENA – Che caldo suor Bertilla…

SUOR BERTILLA – Da quando se n’è ito l’ortolano a noi tocca di far tutti li lavori pesanti... Uffa, uff!

SUOR FILOMENA – Andar ne’ prati a liberar li pagliericci da’ pidocchi…

SUOR BERTILLA – Andar nei paesi a vender croci benedette…

SUOR FILOMENA – Tagliar e trasportar legna allo convento…

SUOR BERTILLA – Zappar li orti…

SUOR FILOMENA – Falciar l’erba medica…

SUOR BERTILLA – (schifata) Trasportar letame fora dalle stalle, suor Filomena!

SUOR FILOMENA – (schifata) Far uscir porci dal brago suor Bertilla!

SUOR BERTILLA – E come se non bastasse, dobbiamo pure pregar tutti li santi dello Paradiso… Uffa, uff…

SUOR FILOMENA – Suor Cangrande, la Badessa, dovria procurar un omo di fatica al più presto, chè sotto tutti questi pesi noi tosto il schianteremo. Suor Bertilla, reggete meglio i manici…

SUOR BERTILLA – Mi cade, mi scivola, ahi!

(Le due suore stramazzano a terra sotto il peso del carretto e dei pagliericci. Masetto se la ride e coglie l’occasione al volo. Si fa avanti chiedendo a gesti qualcosa da mangiare. Entra in scena suor Letizia.)

SUOR FILOMENA – Ahi, ahi…

SUOR LETIZIA – Suor Filomena e suor Bertilla, avete ribaltato tutto!

SUOR BERTILLA – Ohi, ohi… abbiamo sporcato li pagliericci e chi sentirà ora le lagne di suor Cangrande! Cosa facciamo suor Filomena?

SUOR FILOMENA – Ma chi è quest’uomo, cosa vuole?

SUOR BERTILLA – A me par che costui non sia savio di mente…

(Masetto fa una gran quantità di gesti per farsi intendere, poi vede la cesta con le mele sparse per terra. Vi si getta sopra e comincia a mangiarle come un forsennato)

SUOR LETIZIA – Ma cosa fa? Ci sta mangiando tutte le mele!

SUOR FILOMENA - Ehi tu! Cosa stai facendo?

SUOR BERTILLA – Posa quelle mele! Son mele del convento, mi hai inteso?

(Suor Bertilla e suor Filomena che finora erano rimaste distese a terra dopo la caduta, si rialzano ed afferrano Masetto)

SUOR FILOMENA – Chi ti ha dato il permesso di mangiar questi pomi? Intendimi quando ti parlo!

SUOR BERTILLA – Ma sei sordo? Rispondi quando ti si parla!

(Masetto a gesti riesce a far capire alle tre suore che è sordomuto)

SUOR FILOMENA – Ma perché agiti tanto le braccia?

SUOR BERTILLA – Cosa vuol dire?

SUOR FILOMENA – Oooh! San Gulfardo de Montagnole! Credo d’aver capito! Questo povero straccione dee esser mutolo.

SUOR BERTILLA E LETIZIA – Mutolo?

SUOR FILOMENA – Mutolo! Muto, senza favella, nol parla! Guardate! (dà un pestone sul piede di Masetto, il quale incassa e comincia a saltare qua e là senza dire motto) E dee pur esser sordo!

SUOR BERTILLA E LETIZIA - Sordo?

SUOR FILOMENA – Per certo! Guardate! (si avvicina a Masetto e gli lancia un grido fortissimo nelle orecchie, che Masetto incassa stoicamente. Resta per un attimo pensieroso, poi alza le spalle e riprende a mangiare le mele a tutta velocità)

SUOR BERTILLA – E’ vero, pover’uomo, e dee esser parecchio tempo che costui non desina. Guarda come mangia quelle mele.

SUOR FILOMENA – Però, però… E se facessimo trasportar a lui tutti li pagliericci fino allo convento?

SUOR LETIZIA - Potremo a lui dar in compenso una buona zuppa di rape e cipolle…

SUOR BERTILLA - Buona cosa e pure onesta mi par. Ma come capirà questo nostro proponimento?

SUOR FILOMENA – Gliel renderò chiaro io. Rimettete a posto tutti li pagliericci.

(Mentre suor Bertilla e suor Letizia rimettono sul carretto tutti i materassi, suor Filomena prende per un braccio Masetto e gli fa capire a gesti che deve trascinare il carretto fino al convento e là gli darà ancora da mangiare. Masetto sta al gioco.)

SUOR FILOMENA – Ecco… afferra qui e poi trascina… di là, di là, verso lo convento. Tu porta e poi mangi… tanta zuppa… Ecco, così, così… Non di qua, di là, di là… Ecco bravo, bravo! 

SUOR LETIZIA - Finalmente ha capito! Sorelle abbiamo risparmiato una bella fatica. (Masetto spinge il carretto seguito dalle tre suore che pregano)

SUOR BERTILLA – Sia ringraziato il cielo! Adesso andiamo e preghiamo. (cominciano e litanie) San Palinuro che guidi i viandanti…

SUOR FILOMENA E LETIZIA – Ora pro nobis.

SUOR BERTILLA – San Martino che riscaldi gli infreddoliti.

SUOR FILOMENA E LETIZIA – Ora pro nobis.

SUOR BERTILLA – Santa Apollonia che proteggi il Signor Nostro.

SUOR FILOMENA E LETIZIA – Ora pro nobis. 

12) MUSICA USCITA SUORE E CARRETTO

(Escono e si incamminano verso il convento. Nel convento si vedono tutti i teli stesi ad asciugare, un mucchio di sacchi di biada e due suore che li stanno portando via dal cortile. Fanno una gran fatica.)

SUOR PIPETTA – Quanti sacchi ci restano ancora da trasportare suor Borlotta?

SUOR BORLOTTA – Di molti ancora, purtroppo, suor Pipetta… uffa!.

SUOR PIPETTA – (asciugandosi il sudore) Se Nuto l’ortolano non se ne fosse ito via, a quest’ora se li porterebbe lui questi sacchi di ceci…. (sbuffa esausta)

(Arriva Masetto con il carretto e le tre suore)

SUOR BERTILLA – Santa Giovanna che c’infondi coraggio…

SUOR FILOMENA E LETIZIA – Ora pro nobis.

SUOR BORLOTTA – Suor Pipetta, guardate, son arrivate suor Bertilla, suor Letizia e suor Filomena con li pagliericci.

SUOR PIPETTA – Ma chi pol esser quell’ omo che menano seco e che trasporta li nostri pagliericci?

SUOR BERTILLA – Eccoci arrivate. Suor Borlotta, date un piatto di zuppa a questo meschinello che ci ha aiutate a trasportar la nostra roba.

SUOR FILOMENA – Gliel’abbiam promesso per la fatica sua.

SUOR BORLOTTA – Vado subito a prenderne una ciotola. (esce)

SUOR PIPETTA – (che ha squadrato Masetto da capo a piedi) E’ ben strano questo tipo. Par che gli mancasse qualcosa.

SUOR LETIZIA – Voi vedete bene, suor Pipetta, infatti quest’omo l’è muto e sordo.

SUOR BERTILLA – Nol parla e nol sente!

SUOR PIPETTA – Oh, povero figliolo.

SUOR BORLOTTA – Ecco la zuppa, ecco la zuppa di rape e cipolle ed anche un bel pezzo di pane. (dà il tutto a Masetto che si getta sul cibo e lo divora in un lampo)

SUOR PIPETTA – Che fame dev’aver costui!

SUOR BERTILLA – Come noialtre dopo la Quaresima.

SUOR LETIZIA – Saper dovete che si è di già manducato una cesta piena di mele.

SUOR BORLOTTA – Chissà se, ora che ha mangiato, nol faria anche un lavoro per noi?

SUOR PIPETTA – Bisogna farglielo intender coi gesti.

SUOR FILOMENA – Io posso ben farlo, chè di già l’ho fatto. Cosa dovria fargli intender?

SUOR BORLOTTA - Dovria trasportar tutti quei sacchi di biada là nel granaio al riparo dalla pioggia e dalle bestie.

SUOR BERTILLA – Potremo fargli dono di un pagnotta per questo servigio. Io ho credenza ch’el dovria esser soddisfatto.

SUOR FILOMENA – Per certo il farà. (a Masetto) Intendimi, bravo giovine. Prendi questo sacco e portalo là nel granaio…. Il sacco, sì, questo sacco… sulle spalle, ecco, bravo. Ed ora là, in fondo… g-r-a-n-a-i-o, granaio! Tutti i sacchi nel granaio.

SUOR BORLOTTA – E’ bravo! Ha già capito.

SUOR PIPETTA – Se la merita proprio una pagnotta.

SUOR BERTILLA – Sia ringraziato il cielo, un’altra fatica risparmiata!

(Masetto molto rapidamente trasporta tutti i bagagli nel granaio. Mentre trasporta l’ultimo sacco sbatte contro la badessa che entra nel cortile.)

BADESSA – Chi sei? Che vuoi? Donde vieni fuori? (Masetto mugola) Che ci fa un omo nello convento? Suor Borlotta chi è costui? Suor Filomena, chi ha fatto entrare quest’uomo? Suor Pipetta, perché non ci avete fatto chiamare? Suor Bertilla non dovevate pulire li pagliericci? Suor Letizia a me paiono ancora sporchi!

(Impaurite, cominciano a parlare tutte assieme. Poi ripetono una alla volta.)

BADESSA - Zitte!Rispondete tutte!

SUOR BORLOTTA – E’ un poverello, suor Cangrande.

SUOR BERTILLA – Per il gran peso, durante il trasporto ci son caduti.

SUOR FILOMENA – Noi l’abbian fatto entrare, suor Cangrande…

SUOR LETIZIA - … affinché il portasse le nostre robe.

SUOR PIPETTA – Mi conceda perdono, suor Cangrande, non ho fatto a tempo con tutti questi pesanti sacchi da portare.

SUOR LETIZIA – E’ sordo, suor Cangrande.

SUOR PIPETTA – E’ muto, suor Cangrande.

SUOR BORLOTTA – Ha tanta fame questo pover’omo, suor Cangrande.

SUOR BERTILLA – Non abbia pensiero, suor Cangrande, che ripulirò di nuovo tutti li pagliericci.

BADESSA – Basta con questa cagnara! Fatemi intendere l’accaduto. Suor Filomena, dite!

SUOR FILOMENA – Questo povero sordomuto ci ha reso lo servigio di trasportar li nostri pagliericci fin allo convento chè altrimenti saremmo ancora per strada.

SUOR LETIZIA - In cambio ha avuto un po’ di zuppa e un po’ di pane.

SUOR BERTILLA – In fe’ di Dio è proprio vero.

SUOR PIPETTA – E poi, una volta qui, ci ha aiutato a metter tutti li sacchi nello granaio.

SUOR BORLOTTA – In compenso gli abbiam dato una pagnotta affinché si sfami.

BADESSA – Finalmente ho inteso l’accaduto. (a Masetto) Sei mutolo? E hai fame? Aspetta, aspetta… (lo fa sedere e gli porta un’altra ciotola di zuppa che Masetto divora). Chi sarà questo giovine? E’ vero che se avesse nome nol potria dirne alcuna cosa, che la sua condizion lo impedisce. Senza pena, è un pover’omo mutolo e sordo e noi potremo fargli fare assai cose di cui c’è bisogna. (gira attorno a Masetto)

SUOR PIPETTA – Se egli sapesse anche lavorar l’orto e volesse rimanere, io credo che noi ne avremmo buon servigio, suor Cangrande.

BADESSA – (osserva Masetto attentamente e tra sé stessa fa questo ragionamento)

Egli è forte e non bisognerebbe aver pensiero che egli motteggiasse queste mie giovani monache. E come senza favella ed udito egli è, così pure senza coda dev’esser. In fe’ di Dio tu dici il vero, suor Pipetta! Sì, sì. Teniamolo qui con noi. Suor Bertilla!

SUOR BERTILLA – Sì, suor Cangrande.

BADESSA – Vedi se egli sa lavorare. (Suor Bertilla inizia a mimare una serie di lavori che Masetto dovrebbe fare) Suor Pipetta!

SUOR PIPETTA – Eccomi, madre superiora.

BADESSA – Dagli un paio di scarpe, un cappuccio vecchio edun vestito … (suor Pipetta corre a prendere scarpe, cappuccio e vestito, poi comincia a vestire Masetto). Suor Borlotta!

SUOR BORLOTTA – Sono qui, badessa.

BADESSA – Fallo mangiare bene. (Suor Borlotta corre a prendere pane e mele e le dà a Masetto che, stando al gioco, riprende ad abbuffarsi).

(Dopo tutto questo gran da fare intorno a Masetto, suor Bertilla fa capire al sordomuto che deve pulire con una ramazza tutta la corte.)

BADESSA – Bene, bene così, ed ora mentre lui pulirà tutta la corte noi ritorniamo tutte a pregare lo Signore nostro per questa buona ventura che ha voluto dispensarci.

( Escono tutte le monache, Masetto resta solo nel cortile continuando a ramazzare.

13) MUSICA MASETTO.  Passano alcuni giorni. Fa molto caldo. Nel cortile Masetto sta portando un grosso baule. Entrano suor Pipetta, suor Letizia e suor Borlotta.)

SUOR BORLOTTA – Pregar li santi non è men gravoso che portar bauli.

SUOR LETIZIA - Per quanto il nostro sordomuto non sembra far gran sudore a portar codesti pesi.

SUOR PIPETTA – Dee esser che la forza dell’udito e della favella gli è finita nelle braccia. (a Masetto) Prendi questa pagnotta che a portar bauli vien fame come a cantar salmi in chiesa.

(Masetto depone il baule e voracemente comincia a mangiar la pagnotta)

SUOR LETIZIA – ( guardando Masetto che ridendo da scemo continua a mangiare) E’ sordo, ma la fame la sente!

SUOR PIPETTA – E’ muto ma la bocca la muove! (ride)

SUOR BORLOTTA – Ti ci abbuffi, eh, con la zuppa che ti passano queste povere monachelle? (ride)

SUOR PIPETTA – Potremmo canzonarlo e dirgli le più scellerate parole del mondo che non saranno da lui intese.

SUOR BORLOTTA – Io stimo che egli sia anche senza coda (indica il pube) oltre che senza favella. (ridendo se ne vanno)

14) MUSICA LAVORO MASETTO

(Masetto appena le suore escono mette via il pane e riprende a trasportare il baule, ma fa tanto caldo e così si toglie la camicia restando a torso nudo. Passano di lì suor Filomena e suor Bertilla intente a pregare. Non appena lo scorgono mezzo spogliato per il caldo, si fermano folgorate e lo guardano.)

SUOR FILOMENA – Ah, sorella! Se tu sapessi mantenere un segreto, io ti confiderei un pensiero che ho avuto più volte…. che forse a te piacerebbe, suor Bertilla .

SUOR BERTILLA – (interessata) Sì, sì, … te lo giuro, per certo io nol dirò mai a nessuno.

SUOR FILOMENA – Io non so se tu ti sei resa conto di come siamo costrette da regole severe in questo convento e che qua dentro alcun omo pol entrare se non questo sordomuto.

SUOR BERTILLA – Dici bene, suor Filomena. Una volta c’era lo castaldo che era valente persona, ma poi morte sel portò via, pace all’anima sua. (segno di croce)

SUOR FILOMENA – Ebbene, da tutte le donne che son qui venute, ho udito dire che niuna cosa al mondo è più dolce di quella che una femina fa con un omo. (guarda Masetto con bramosia)

SUOR BERTILLA – Femina fa con un omo? Che vi siete messa in mente suor Filomena?

SUOR FILOMENA – Ecco… mi son messa in capo da un po’ di tempo di volere con questo sordomuto provare se è vero quello che le donne dicono.

SUOR BERTILLA - Non posso star qui ad ascoltarvi, voi sragionate per lo gran caldo…

SUOR FILOMENA – Con questo qui possiamo star tranquille. Lo vedi, è un giovine sciocco. Certo nol potrà dir niente a nessuno. Tu che ne pensi sorella?

SUOR BERTILLA – (scandalizzata) Mamma mia, che stai dicendo? Non sai che abbiam promesso la verginità nostra a Dio?

SUOR FILOMENA – Eh, quante cose gli promettiamo tutti i dì e poi non manteniamo niuna.

SUOR BERTILLA – (dubbiosa) E se ingravidassimo, cosa succederebbe?

SUOR FILOMENA – Ma perché cominci ad aver pensiero dello male prima che l’avvenga? Ad ogni buon male trovasi un rimedio!

SUOR BERTILLA – Orbene, che faremo suor Filomena?

SUOR FILOMENA – E’ l’ora nona. Io mi credo che a quest’ora le altre suore siano tutte a dormire. Perciò altro non dobbiam fare che prenderlo per mano e portarlo in quel capanno dove lui si riposa quando piove, e mentre una sta dentro con lui, l’altra fa la guardia.

SUOR BERTILLA – (convinta) Sì, sì. Andiamo a provare come il mutolo sa cavalcare!

(Si avvicinano a Masetto che ha capito tutto, ma continua a fare il muto e lo scemo.)

SUOR FILOMENA – Suvvia, vieni con noi! Sbrigati! Occor sapere se tu sai, con diletto, portar brigante alla caverna sua che sol là dentro sta al sicuro.

SUOR BERTILLA – Abbiam bisogno di un servigio che sol un uomo qual tu sei, avezzo a fatiche, come hai ben dimostrato, pol soddisfare. Dai, dai… e muoviti! Chissà se il capirà ciò che si vuol da lui?

SUOR FILOMENA – Non aver pensiero, che di queste cose, a quanto dicono le donne,  l’istinto è padrone. E se così non è… vorrà dire che abbiam ne lo convento un dei pochi pesci che non sa nuotare.

(Spinge Masetto nel capanno, mentre suor Bertilla resta fuori a fare la guardia, ma non può far a meno di sbirciare ed origliare.)

SUOR FILOMENA – Vieni, vieni qui! Vediamo cosa nascondi là sotto… no, no, non voglio solleticarti… togli, togli l’indumenta. Via tutto! Ooooh! Non hai lingua, non hai parola, ma ben altro possiedi… e che a parole niun crederia se nol vedesse! Ed ora afferra qui e… sì, sì, comincia a zappar… E dai, bestia! Oh, bravo… Continua così che questo campo non ha mai conosciuto aratro. (Lamenti di piacere della suora)

15) MUSICA SUOR FILOMENA

(Quando suor Filomena esce dal capanno è piuttosto scompigliata e dà l’idea dell’ubriaco felice)

SUOR FILOMENA – Quel che non si sa, spesso s’immagina, e ciò che s’immagina, spesso è meno di quanto sia il vero, suor Bertilla. E’ il Paradiso! E’ il Paradiso, sorella! E’ vero quel che si dice, che è così dolce cosa. Va, va, va. Prova pure tu!

16) MUSICA VELOCE SUOR BERTILLA.

(Nessuna delle due suore si è accorta che suor Pipetta da un angolo della scena ha osservato tutto: si fa segni di croce, bacia il crocifisso, occhi al cielo, mani sulla bocca, ecc. Quando scompare è solo per ricomparire insieme alle altre suore. Nel frattempo anche la seconda suora ha finito ed entrambe si allontanano abbracciate e felici.)

SUOR BERTILLA - Ad immaginar ciò che non si sa si perde il vero… Avevate proprio ragione, sorella! Chi l’avrebbe pensato che in quel capanno stato vi fosse lo Paradiso! Zitta, zitta sorella con tutte. Non lo dire a nessuno.

SUOR FILOMENA – Io e te sole sorella, tutti i giorni!

(Poco dopo dal capanno esce anche Masetto, tirandosi su le brache. Entrano tutte le altre suore, in evidente fermento.)

SUOR PIPETTA – Avete visto? Nel capanno, là nel capanno… che scandalo! E’ proprio come vi ho raccontato! Quel sordomuto che ora tien in man le brache… Oh, Sanctissima Signora degli Oblati! Peccato mortale, peccato mortale!

(Masetto si è seduto e sta controllando il suo meccanismo e si gratta con la mano.)

SUOR FILOMENA – Smettetela di gridare, suor Pipetta. Che andate dicendo? Peccato mortale?

SUOR BORLOTTA – Credo di capire la vostra agitazione e quel che raccontato ci avete, suor Pipetta.

SUOR LETIZIA - Voi visto avete ciò che di solito avvien fra omo e femina.

SUOR PIPETTA – Di solito?

SUOR BERTILLA – Di solito, al di fuori dello convento! Che peccato…

SUOR PIPETTA – Aaah! Ecco il peccato…

SUOR BERTILLA – E lasciatemi finire… Che peccato ch’il avvenga troppo al di fuori e quasi mai ne’ conventi.

SUOR PIPETTA – Non capisco. Pareami aver tutta l’aria di un peccato, tutto quell’abbracciarsi, tutto quel baciarsi… E poi tutto quel…

SUOR FILOMENA – Tutto quello che bisogna fare è insegnar a questa giovine monaca di che peccato si tratta.

SUOR BERTILLA - Voi avete avuto la ventura di dimorar in codesto convento fin da tenera età, a differenza di suor Filomena e me che parte di nostra vita nel mondo abbiam consumato.

SUOR FILOMENA – Adunque, voi imparerete di cosa si tratta e per noi sarà ben il ricordarlo che, per lo molto tempo ormai passato, quasi l’abbiam scordato.

SUOR PIPETTA – Se per andar in Paradiso occor imparar qualcosa nel capanno, allora impariamo. Ma prima sarà meglio correre ad avvisar la badessa.

SUOR BERTILLA - Uuh! Correre?

SUOR FILOMENA – Suor Cangrande starà facendo le sue meditazioni… E poi cosa dovremmo dire?

SUOR LETIZIA – Già, perché tutta questa fretta?

SUOR BORLOTTA - Suor Cangrande sopporta assai mal che la si distolga dal suo pregare.

SUOR PIPETTA – Ma forse anche suor Cangrande vorrà imparare di che peccato si tratta…

SUOR FILOMENA – Suor Pipetta, voi sbagliate se credete che suor Cangrande la badessa non sappia come si passino le umane cose nel mondo e ne’ conventi.

SUOR PIPETTA – Avete ragione suor Filomena, non ci avevo pensato. Andiamo, che ad imparar non è mai tardi.

SUOR BERTILLA – Sì, andiamo a ricordar!

(Vanno verso Masetto e lo trascinano nel capanno. 17) MUSICA LUNGA SUORE E MASETTO che si fa sempre più veloce e rallenterà solo per la badessa. Si fa sera. Buio, luce notte. Grilli, effetti notturni. Suona una campana. Cortile del convento. Dal capanno esce Masetto, alquanto stanco, finalmente libero si sdraia per terra a riposarsi di tanto “lavoro”. Di lì passa, raccolta in meditazione, suor Cangrande, la badessa.)  18) GRILLI

BADESSA – Beatae Mariae semper virgini, beato Michaeli Archangelo, beato Joanni Baptistae, sanctis Apostolis Petro et Paulo, omnibus sanctis, et tibi Pater… (vede Masetto) Quia peccavi nimis… quia peccavi… Il pare proprio una di quelle statue che si vedono in Fiorenza… Mea culpa, mea culpa, mea maxima… Come statua, senza voce né udito. (si avvicina a Masetto, sta per toccarlo, ma si ritira.) Mea culpa, mea culpa, mea… non colpa mia se le vie del Signore qui mandarono questo sordomuto. (lo accarezza) …. Braccia forti, ventre giovine che parecchie danze trivigiane dev’ aver intrapreso e… (scosta un lembo delle brache) Oooh… con simil pestello dev’ esser assai facile frantumar grano nel mortaio. (cede al desiderio e lo sveglia) Su, su, vieni con me! Cammina! (lo porta nel capanno) Se peccatori siamo, abbiamo a commetter mancanze di quando in quando… Vieni qua, obbedisci! (entrano)

VOCE BADESSA – Vieni, dai, forza! Su da bravo, vieni qui sopra! Su, su. Fammi vedere… fammi vedere, vieni… Ma dove te ne vai?

(Masetto esce letteralmente esausto e si getta in terra stremato)

BADESSA – (con gran meraviglia) Ehi, ehi, ma che fai? Cosa è successo? Che ti accade, ortolano mio bello? Non avrai mica qualche male novello? Suvvia, ancora non hai cominciato…

MASETTO – (sbottando una volta per tutte) Madonna, io ho inteso che un gallo basta assai bene a dieci galline, ma che dieci omini possono male e con fatica una sola femina soddisfare; ed io ne devo saziar nove in codesto convento! Perciò, o voi mi lasciate andare con Dio o troviamo un altro modo di far lavori.

BADESSA – (tramortita dalla sorpresa) Che è questo fatto? Il credeva che sordomuto tu fossi!

MASETTO – Madonna, io ero proprio così, ma non per natura, anzi per un’infermità che la favella mi tolse e solo per la prima volta questa notte la mi sento essere restituita, per cui lodo Iddio quanto più posso.

BADESSA – E cosa intendi co’ fatto che tu a nove hai da saziar?

MASETTO – (guardandosi in giro per vedere se qualcuno li sta vedendo) Madonna, voi dover sapete che le vostre monachelle, chi per diletto, chi per fame, han tutte voluto assaggiar… (continua all’orecchio della badessa che si stupisce sempre di più).

(Le ultime parole di Masetto sono coperte dal grido spiritato della badessa, che sembra ammattita)

BADESSA – Miracolo, miracolo!

MASETTO – Ma che dite! (correndo spiritata)

BADESSA – Sì, miracolo, miracolo! Sorelle! Che miracolo!

(La badessa afferra le corde e suona la campana a distesa. Tutto il convento è in agitazione. Appaiono alcune suore.)

BADESSA – (a Masetto) Non ti preoccupare, ogni cosa aggiusteremo. Faremo credere alla gente che per le nostre orazioni a te, ristato lungamente muto e sordo, favella e udito sieno stati restituiti. E te nomineremo castaldo del monistero.

MASETTO - Oh, no! A morir c’è sempre tempo! Non voglio finir prosciugato come pozzo d’estate che questo dee esser occorso allo castaldo vostro.

BADESSA – Adunque non temer. Faremo in modo che tu… Ma dimmi ora che puoi, qual è lo nome tuo?

MASETTO – Masetto! Masetto di Lamporecchio.

BADESSA – Or bene Masetto mio, faremo in modo che tu possa restare sempre allo convento… e possa ripartir con tutte, codeste liete fatiche, senza morir consumato! E per di più le genti te crederanno miracolato e copiose oblazioni manderanno allo convento. (riprendendo ad urlare a squarciagola) Miracolo!

MASETTO – Gnaffe, Madonna mia! Così tratta Cristo chi gli pone le corna sopra il cappello!

(Quando tutte le monache sono accorse, la badessa dà a tutte la buona novella)

BADESSA – Sorelle, dò a tutte voi lieta novella: Iddio, nostro Signore ha dato favella e udito all’ortolano! Miracolo! Miracolo, sorelle! 

19) MUSICA ENTRATA FRA’ CIPOLLA (dal pubblico)

(Grande festa, campane che suonano, via vai di monache. Fuori scena si odono le voci di Fra’ Cipolla e Guccio Balena)

VOCE FRA’ CIPOLLA – Ehi, dello convento! O che vonno dire tutte codeste feste? Forse che le campane annunciano la fine della pestilenza?

(Entra fra’ Cipolla seguito da Guccio Balena)

BADESSA – Benvenuto, fra’ Cipolla, è il cielo che vi manda!

FRA’ CIPOLLA - Madre badessa, che hanno le vostre monache da esultar in siffatto modo? Di qual miracolo van dicendo?

BADESSA – I sordi udranno e i muti parleranno… così disse lo Signore, e così è accaduto, frate Cipolla. Ora voi celebrerete una messa con la quale renderemo grazie al signore Iddio et alli sancti suoi tutti.

FRA’ CIPOLLA – Perdonate, madre badessa, ma non ho inteso il motivo di cotali ringraziamenti… (si avvicinano Suor Pipetta e suor Borlotta)

BADESSA – Mio buon frate, poscia vi spiegherò, ma ora occorre preparar ogni cosa.

20) MUSICA BALLETTO SUORE E MASETTO

FINE PRIMO ATTO

ATTO SECONDO

21) MUSICA INIZIO FRA’ CIPOLLA

(Folla sul sagrato di una chiesa. Fra’ Cipolla celebra l’orazione e Guccio Balena è vestito da chierico. Masetto, vestito da castaldo accompagnato dalle suore si allontana in mezzo ai canti ed ai saluti della folla.)

FRA’ CIPOLLA – Gran gioia et gran letizia lo signore Iddio ha voluto mandarci con questo miracolo. Lo buon vento della sua sapienza et bontade ben presto allontanerà codesta peste che l’omini tosto ruina. Lo medesimo buon vento che me condusse ad alleviar le pene delle anime vostre, mia divota et generosa gente.

BRUNO – Vento di limosina…

NICCOLOSA – Dove siete stato tutto questo tempo?

AGNESA – Venite a benedire la mia casa…

AGNOLELLA – E’ vero che stato siete in Terra Sancta?

UN CIECO – E’ vero che in Palestina ci sono li cavalli con le gobbe?

ADRIANO – E’ vero che in Palestina non ci sono frati che prendono limosine dalla povera gente?

FRA’ CIPOLLA – Lo Signore Iddio vi benedica, brava gente, generose femine, boni omini, et benedica pure voi, giovini di poca fede che con animo poco benvogliente accogliete un umilissimo servidore dello beatissimo Sancto Antonio, lo quale, magna cum generositate, preservò le contrade vostre dalla fame e dall’infedele…

BRUNO – E cosa ci dite dell’epidemia di cagotto che ci prese tutti all’inizio della primavera?

ADRIANO – Mai tanti omini smagrirono … ingrassando così bene tanti campi come quest’anno.

UN CIECO – Un nefando odor di letame restò a lungo in tutta Certaldo e nelle vicinanze.

NICCOLOSA – E’ vero, è vero!

AGNOLELLA – Cosa dice di questo il beatissimo Sancto Antonio?

FRA’ CIPOLLA – Ma la causa siete proprio voi! La poca fede, le poche limosine di giovini irreverenti e maliziati hanno offeso messer Sancto Antonio che nol potendo colpire due scellerati, unici in mezzo a tanta divota gente, causa la tantissima distanzia della Sancto Paradiso, costretto si vide a castigare tutta la contrada, perciocchè voi, divotissimi fedeli del beatissimo Sancto, comminate reprimenda alli fratelli vostri afflitti dallo peccato.

UN CIECO – E’ vero, pentitevi!

NICCOLOSA – Fra’ Cipolla ha ragione!

UNO STORPIO - Il bastone sarebbe buona cosa per voi!

AGNESA – Date un insegnamento a questa marmaglia! (tutti si scagliano sui due amici con forche rastrelli, bastoni, ecc. e stanno per colpire Bruno e Buffalmacco)

FRA’ CIPOLLA – Via, via, fratelli! Perdonateli per amor di messer Sancto Antonio, perdonate e dimenticate li dolori di panza avuti in primavera, affinché l’autunno, per mercè dell’illustrissimo Sancto, sia abbundante in cibo, legna, salute figli divoti e povero in gabelle, malanni, dissenterie e scorrerie.

NICCOLOSA – Giusto! Lasciamoli stare.

AGNOLELLA - Lo Sancto Antonio a noi renderà merito.

FRA’ CIPOLLA – Oh, quanto grande è la vostra bontà. Oh, quanto grande è la vostra pietade per li peccatori. Oh, quanto grande è la generosità vostra… Oh, quanto saggia et lodevole est usanza vostra di mandare ogni anno un po’ de lo grano vostro et delle vostre biade, chi poco e chi assai, secondo il podere e la divozion sua, ai poveri dello baron Messer Sancto Antonio.

GUCCIO BALENA – (che finora era rimasto a fianco di fra’ Cipolla agitando una scarassula e mangiando voracemente un tozzo di pane, ora recita meccanicamente con la boccapiena) Che vi sia guardia dei buoi, de li asini, dei porci e delle pecore vostre… e che vi preservi dalle pulci, dai pidocchi e dalle febbri per omnia seppula seppulorum amen.

TUTTI – Amen.

GUCCIO BALENA – Che ciascun dimani non manchi all’ora nona. Quando udirete sonar le campanelle verrete qui, di fuor dalla chiesa, sullo sagrato dove lui terrà lo sermone e vi dirà di baciar la sancta croce… per omia seppula seppulorum amen!

TUTTI – Amen.

FRA’ CIPOLLA – Per concessione speciale de lo Sancto Antonio oltre a questo vi mostrerò una sanctissima et miraculosa reliquia, la quale io medesimo recai dalle sancte terre d’oltremare: l’unica penna caduta su questa terra dalle ale dell’Arcagnolo Gabriello.

GUCCIO BALENA - (sempre meccanicamente come un pappagallo) Ite e spargete la novella. Portate con voi ammalati, donne gravide, vacche sterili, e sementi nuove che la divine virtù di quella sancta penna possa miraculare… per omnia seppula seppulorum amen.

TUTTI – Amen!

FRA’ CIPOLLA – Riferite ciò che ho detto. Recate obula, dinari, offerte in pecunia et in natura,. Servus vostrum vi benedico a tutti. Ite. Andate! Andate e pregate. Andate e tornate, tornate e donate! (tutta la folle si gira di scatto e poi esce)

BRUNO – Un momento, vi prego frate Cipolla, vorremo dimandarvi una cosa.

FRA’ CIPOLLA – Dimane figliolo, dimane all’ora nona.

ADRIANO – Vorremo sapere se la penna dell’Agnolo Gabriello è veramente l’unica.

FRA’ CIPOLLA – Certo, certus sum! Io sono sicuro.

BRUNO – L’unica? Ce n’è una sola?

ADRIANO - Non ce n’è mica un’altra per caso?

FRA’ CIPOLLA – Piano novelli San Tommaso, piano. Voi non avete la fede. Ma a me che so’ frate, se vi dico che è l’unica, sancta et benedecta, dovete credere!

(Fra’ Cipolla si allontana ed i due amici restano soli. Nuto ha ascoltato tutto)

NUTO – (in disparte) Fra’ Cipolla è un ottimo parlatore e crede di esser furbo, ma quei due paremi esser più astuti di lui.

ADRIANO – (avvicinandosi a Nuto) E bravo, Nuto! Tu sei un vecchio astuto ed hai capito tutto. Per come è vero che ho nome Adriano delle Bragoniere, voglio fare una burla al frate truffatore a proposito di codesta penna.

BRUNO – Ed io Bruno Pizzini ti aiuterò nell’impresa di rubargli la sancta reliquia. (ridono e si stringono la mano) Lo voglio buggerare stanotte. Mentre lo frate dormirà io terrò a bada lo servo suo che a me giunse voce chiamarsi Guccio Balena. (escono)

NUTO –Altri però lo chiamano Guccio Imbratta per come è sudicio, ed altri ancora Guccio Porco. Dicono che in ogni paese vuol pigliar moglie e crede d’esser sì bello e piacente che tutte le femine che il veggono di lui s’innamorino. Andrò anch’io con loro, perché voglio assister a quella burla, ma dovrò far attenzione che la panza mia non la mi scoppi per le risate! (se ne va ridendo)

22) MUSICA PER CAMBIO SCENA : NUTA

(Una locanda: Un tavolo, qualche sedia, un mucchio di sacchi, i bagagli del frate. Fra’ Cipolla sta dormendo disteso su un pagliericcio. Vicino a lui Guccio cerca di dormire, ma non ci riesce. Ad un tratto passa attraverso la stanza Nuta, la cuoca della locanda, che assomiglia a qualsiasi cosa, tranne che ad un essere umano.)

GUCCIO – Ooh, codesta femina rigogliosa dev’ esser la Nuta! Oh, quanto deliziosa s’è fatta da un anno a questa parte! Il suo odor di fumo sollazza le nari mie e il suo ondeggiar rende gonfio di umor il mio povero pillicion da sì lungo tempo solitario. Lo frate dorme ed io vo’ a spassarmela con la Nuta. (Si alza e va nel letto di Nuta, dietro un mucchio di sacchi.) Mia grossa, grassa e sugliarda Nuta, dalle poppe sì grandi e putenti che non le conterria due cestoni di letame… Eccomi a te!

NUTA – (svegliatasi all’improvviso) Chi siete? Che volete?

GUCCIO – Temo che morir d’amor dovrò, se le grazie vostre concedermi nol vorreste!

NUTA – Se subito non vi scostate da me, mi metterò ad urlar e sveglierò tutta la locanda!

GUCCIO – Ma come, Nuta? Non vi sovvien, un anno a questa parte, il nostro incontro in mezzo al campo di rape?

NUTA – Messer Guccio dei Letamai! Ora membranza mi giunge!

GUCCIO – Io nemmeno tormivi dal core mai potei, sebben ad ardue imprese fui chiamato, come protettor dello sancto frate che voi udite russar sì forte da far cader gli agnoli dallo Paradiso. Oh, Nuta, io per voi ardo d’amor e son tutto un foco!

(I due spariscono dietro i sacchi. Intanto entrano in silenzio nella locanda Bruno, Adriano e Nuto.)

ADRIANO – Fra’ Cipolla sta dormendo e tanto rumor provoca lo suo russare che il crollar della locanda nol sveglierìa.

NUTO - Vado a vedere dove s’è cacciato quel grullo di Guccio Balena.

BRUNO – (indicando il mucchio di sacchi) Ma non lo vedi, Nuto, è la dietro con una donna piccola e mal fatta, tutta sudata, unta e  affumicata. Venite a vedere.

ADRIANO – (avvicinandosi ai due) La fortuna è dalla nostra! Quel bischero sta a far l’amore con la cuoca e Fra’ Cipolla dorme e russa così forte da far tremar tutti li muri!

BRUNO – Ma indove la sarà ‘sta penna?

(Iniziano a cercare ispezionando borse e bisacce; si sente solo il russare di Fra’ Cipolla e riappaiono per un attimo i due amanti.)

NUTA – Mai più in fe’ mia, credevo di rivedervi dopo la divastazion vostra nello campo di rape! Guccione, mio!

GUCCIO – Oh, Madonna mia, allor membranza vi giunge!

NUTA – Poca cosa sono le bastonate che li contadini a me diedero per tutte le rape da voi rovinate col vostro focoso cavalcar. Lo rivedervi così infiammato di disiderio dimenticar mi fa l’antico dolor e ben lieta io sarò di chetar lo vostro ardore! Oooh, Guccio!

GUCCIO – Oooh, Nuta, Nuta, Nutella mia! (spariscono di nuovo)

(Nuto resta in disparte ad osservare. Bruno e Adriano mentre cercano al buio si scontrano schiena contro schiena. Urlo.)

BRUNO – Aah! Aiuto! Chi sei!

ADRIANO – So’ io, sta’ zitto! Piano. Vieni qua Nuto, guarda anche tu. (Ha trovato una cassettina e, apertala, avvolte in veli di seta trova cinque lunghe penne). Una, due tre, quattro, cinque.

NUTO - Fortuna che era una, sancta et benedecta! (ride)

BRUNO – Certamente lo frate intende mostrare una di codeste penne ai Certaldesi durante la predica all’ora del Vespro. Mettile via tutte!

ADRIANO – (dopo aver nascosto sotto il vestito le penne) E per non lasciare vota la cassetta, riempiamola con ‘sti carboni dello focolare. (esegue)

NUTO – Vorrò veder la faccia sua quando non troverà la penna nella cassetta! (I tre escono ridendo)

23) CANTO DEL GALLO

FRA’ CIPOLLA – (dopo essersi risvegliato cerca Guccio Balena) Guccio, in do ‘stai? E mmovite! E pure la puzzicona della cuoca te sei fatto, eh? Mortacci…

24) MUSICA FOLLA E FRA’ CIPOLLA

(Sagrato della chiesa il giorno dopo. Folla. Entrano Fra’ Cipolla e Guccio. Quest’ultimo porta in spalla le bisacce e scuote due campanelle per richiamare altra gente alla funzione. Guccio in seguito prepara un piccolo altare con due grossi ceri. Li accenderà all’apertura della cassetta.)

GUCCIO – (canta stonato e meccanicamente) Gloria, Gloria, Gloria in celsis Deo! Omini e donne, vecchi e fanciulli, popolo diletto ascoltate lo sancto frate… per omnia seppula seppulorum amen.

FRA’ CIPOLLA – Giunto è lo momento che io vi mostri lo prodigio della sancta penna. La penna dell’Arcagnolo Gabriello che gli si staccò nella camera della Vergine Maria quando egli in Nazareth venne per annunciarle che di lì a momenti sarebbe diventata la madre dello Figlio di Dio, e dopo quell’annuncio se ne rivolò in cielo donde era venuto. Ma mentre se sgrullava per pigliare lo slancio, urtò l’angolo del soffitto e rimase volante e vagante quella penna che molti secoli dopo lo Spirito Sancto me ordinò d’andar a coglier in Terra Sancta.

GUCCIO – Per omnia seppula seppulorum amen!

UN CIECO – Arcangelo Gabriello fa’ lo miracolo!

AGNESA – Penna sancta e benedecta aiutami tu!

UNO STORPIO - Le mie povere gambe!

ADRIANO – Voglio vedere cosa dirà alla gente quando aprirà la cassetta. (ride)

FRA’ CIPOLLA – Figli miei, restate zitti e boni. Preparate li vostri cuori e le menti alla vista della sancta reliquia, della sancta penna. E ricordate, chi più avrà donato, più avrà. (a Guccio) Dammi un po’ la cassetta.

GUCCIO – Ecco la cassetta… per omnia seppula seppulorum amen!

FRA’ CIPOLLA – (La apre. Dopo un momento di esitazione sottovoce ed alzando gli occhi al cielo) Che te pijasse ‘n accidente! (sbatte la cassetta in malo modo addosso a Guccio)

GUCCIO – Per omnia… per tutti li diavoli!

FRA’ CIPOLLA – (a voce alta) O Iddio laudata sia sempre la tua potenzia. (ripresosi) Figli miei, saper dovete che durante le mie peregrinazioni in Terra Sancta Iddio mi fece la grazia di incontrare lo venerabile Patriarca di Gerusalemme. Costui, per reverenzia all’abito che porto, volle mostrarmi tutte le sancte reliquie che aveva raccolto in tanti anni. Egli primieramente mi mostrò lo dito della Spirito Sancto…

NICCOLOSA – Dito dello Spirito Santo salvaci dai pruriti e dalla lebbra!

FRA’ CIPOLLA - Un’unghia dei cherubini…

AGNESA – Benedette le unghie dei cherubini!

FRA’ CIPOLLA - Alquanti delli raggi della stella che apparve ai tre Magi in Oriente…

VIOLANTE – La stella…

TESSA - … cometa!

FRA’ CIPOLLA - Ed un’ampolla dello sudore di San Michele…

UN CIECO – Uuh! Maraviglia! Anche i sancti sudano!

AGNOLELLA – Sudore di San Michele liberaci dalla rogna!

FRA’ CIPOLLA -  … quando combatté con lo Diavolo, et altre ancora. Ed infine… ed infine… Infine il Patriarca donommi in un’ampolletta alquante delle imprecazioni dei mercanti cacciati dallo tempio da nostro Signore Gesù Cristo. A tutto questo aggiunse cum generosità magna una delle penne dell’Arcagnolo Gabriello della quale già detto v’ho e diedemi dei carboni coi quali fu lo beatissimo martire San Lorenzo arrostito sulla graticola.

AGNOLELLA – Miracoloso!

AGNESA – Fammi guarire da tutti li malanni!

NICCOLOSA – Imprecazioni dei mercanti, fate scappare tutti li briganti!

UN CIECO – Chiodo della Sancta Croce facci passar i dolori di capo!

TUTTI – Miracoli! Miracoli per i poveri!

GUCCIO – (a tiritera) Tutti questi tesori tenuti nascosti furono nello convento dello Messer Sancto Antonio in attesa che ogni reliquia venisse verificata et esperimentata. Solo dopo che tutte queste reliquie fecero delli miraculi, solo allora lo sancto frate Cipolla ebbe licenzia di mostrarvele,,, per omnia seppula seppulorum!

FRA’ CIPOLLA – Ebbene, miei cari fratelli e sorelle, io porto la penna dell’Agnol Gabriello, acciò che non si guasti, in una cassetta e li carboni di San Lorenzo in un’altra. Le due cassette son così simiglianti fra loro che spesse volte a questo negligente chierico capita di prendere l’una per l’altra. Venendo qua pensato avevo di portarvi la cassetta con la penna. Ora aprendola mi accorgo di aver portato quella con li carboni. Ma è stata la volontà di Dio che così, usando la trascuratezza di questo chierico incapace, ricordarci ha voluto che la festa di San Lorenzo sia di qui a due dì. Ecco quindi che io vi mostrerò li carboni con cui arrostito fu quel santo martire per riaccender nelli animi vostri la divozion più viva.

AGNESA – San Lorenzo martire aiutaci tu!

UNO STORPIO – Le mie gambe!

UN CIECO – Carbonella benedetta fammi rivedere la luce!

FRA’ CIPOLLA – Silenzio! Figliuoli benedetti, toglietevi li cappucci e guardateli coi vostri occhi codesti carboni e chiunque ne sarà toccato in segno di croce potrà star sicuro, anche in caso d’incendio, di non bruciar, senza che se ne accorga! Venite!

GUCCIO – (canta stonato) Gloria, Gloria, Gloria in celsis Deo. Vado ad approntar li cavalli per scappar via prima che codesta divota gente s’accorga delle minchionate ricevute! (esce)

25) MUSICA PROCESSIONE DEI CARBONI

(La folla si avvicina a Fra’ Cipolla per essere segnata con i carboni)

AGNESA – Una croce anche a me!

UN CIECO – Crociatemi in fronte!

AGNOLELLA – Dateci lo carbone benedetto!

NICCOLOSA – Toccate anche me con lo sancto carbone!

FRA’ CIPOLLA – Vedete lo miraculo? Per quante croci io tracci, li carboni non si consumano mai, perché li pezzetti rimasti ricresceranno ipso facto di notte più grossi di prima.

VIOLANTE – Ecco qui frate Cipolla un sacco di farina, un otre di vino ed una buona coverta.

FRA’ CIPOLLA – Tieni, femina divota. A te faccio dono di un intero carbone. Custodiscilo con cura perché è un carbone sancto et benedecto! (prendendole la roba donata) Esso ti sfamerà più di tutto il pane fatto con questa farina, ti darà più forza ed allegria del vino, ti scalderà più della coverta e terrà lontano dalla casa tua ogni malannum et carestia!

VIOLANTE – Ti ringrazio frate santo! (custodisce gelosamente il pezzo di carbone e s’allontana)

FINE MUSICA MISTICA CARBONI IN SOTTOFONDO

(Fra’ Cipolla s’allontana seguito dalla folla)

NUTO – Chi l’avrebbe mai detto. Pensavate di buggerarlo, ma avete finito col fargli un favore.

BRUNO – La beffa l’ha giocata lui a noi!

ADRIANO  - Tutti s’appressano a recar le migliori offerte a Fra’ Cipolla dando più di ciò che usati non erano.

NUTO – Andate a restituire la penna di pappagallo allo magnifico frate che da lui avete tutto da imparar per buggerar gli stolti. L’anno prossimo con essa potrà raccogliere ancor più limosine et offerte da questa folla di bigotti e creduloni. (tutti escono)

ESTERNO CASA DI BUFFALMACCO :

26) MUSICA VIOLANTE E LISABETTA

(Lisabetta, un’amica di Violante, sta stendendo i panni in un piccolo cortile. Arriva Violante.)

LISABETTA – Oh, eccoti qui Violante, bada ch’è tornato lo marito tuo.

VIOLANTE – (ha in mano un involucro con dentro i carboni) E’ proprio di lui che ho bisogno. Dai Lisabetta, lascia il tuo lavoro che ho da dar a tutti voi una gran bellanotizia! (entra in casa)

BUFFALMACCO – (entrando nel cortile) Oh, Madonna Lisabetta, ditemi quel ch’io possa per voi fare che io il farò di molto volentieri. (allunga le mani sul sedere della donna)

LISABETTA – Non sapete proprio cosa far per darmi aiuto, eh ? Allora prendete questi panni e metteteli ad asciugare ( gli scaglia addosso un mucchio di stracci) che assai presto farete con delle mani così leste!

BUFFALMACCO – (preso alla sprovvista) Madre mia! Non si può più scherzare…

LISABETTA – Io sono ormai figliola bella e grande da marito, ma il padre mio non ha ancor scelto a chi darmi in isposa. L’unico servigio che io da voi voglio è che finiate di ronzarmi attorno come un calabrone, specie in presenza della femina vostra che mi è compagna assai cara! (esce di scena)

BUFFALMACCO – (buttando in terra il mucchio di panni) Queste femmine che strani animali l’han da esser… Violante, dove sei? Violante, tengo una sete che mi strangola! Portami la fiasca del vino!

(Nessuno risponde ed allora entra in casa arrabbiato. Lisabetta rientra e va a raccogliere i panni in una cesta)

VOCE DI BUFFALMACCO – Iddio ti stramaledica! In dove l’hai messa! In codesta casa più nulla si trova! Che ci fa qui questa fascina di legna… (si sentono rumori di uno che sta cercando qua e là) E dov’è lo sacco della farina? (esce di casa)

LISABETTA – (che ha sentito tutto) La farina non l’è più qua.

BUFFALMACCO – E dov’è allora?

LISABETTA – L’ha data via Violante ad un sant’omo e gliel’ha data insieme alla fiasca del vino che stava in cucina! (esce portandosi via i panni)

BUFFALMACCO – Disgraziata! (arriva Violante) Che te venisse un cancaro, come t’è venuto in mente di dar via il vino e la farina!

VIOLANTE – (fiera) Ho fatto un gran baratto!

BUFFALMACCO – Un baratto? Cosa vuoi barattare? Col voto che c’è nella testa tua nun si ponno fare manco li buchi delle ciambelle. Sei solo una femmina e non hai da barattar nulla ch’io non voglia!

VIOLANTE – Ma ho fatto un grand’affare! Ho barattato la fine di ogni disgrazia per un poco di vino, un sacco di farina e… una coverta.

BUFFALMACCO – Cosa? Anche la coverta? Ma sei ammattita? E come dormiamo, a culo di fora?

VIOLANTE – Altro che coverta! Ho avuto in cambio qualcosa che ci proteggerà per sempre da tutti li malanni nostri e le desgrazie. Sta attento. (Esce di scena e rientra subito dopo con una cassetta di legno portandola gelosamente con aria solenne.

27) MUSICA MISTICA SOLENNE PER VIOLANTE SOTTOFONDO

Violante dopo un attimo di sbigottimento cava fuori dalla cassetta un grosso carbone e con quello comincia a far croci nell’aria, per terra e poi, sempre più frenetica, dappertutto anche addosso a Buffalmacco)

BUFFALMACCO – Ehi, donna, che stai facendo? Fermati, fermati! Cos’hai in mano? (la afferra bruscamente) Che roba l’è mai questa?

VIOLANTE – E’ un pezzo di carbone, ti piace?

BUFFALMACCO – Piacermi? Prima che abbia a romper la tua zucca vota, dimmi tu che è codesta storia.

VIOLANTE – Voglio dir che proprio questo è il gran baratto ch’io ho fatto. E’ uno de li carboni sancti et benedecti coi quali fu il beatissimo martire San Lorenzo arrostito sulla graticola.

BUFFALMACCO – Ma chi t’ha raccontato una bischerata simile?

VIOLANTE – Un sant’omo, un santo pellegrino che vien dalla Terra Santa. E’ là ch’ha trovato li carboni benedetti. Donati gli furono dal Patriarca di Gerusalemme in persona!

BUFFALMACCO – (trattenendosi a stento) Ah, è così che t’ha detto…

VIOLANTE – Sì, questo è uno carbone sancto. Ci sfamerà più di tutto il pane che avremmo fatto con l’intero sacco di farina, ci scalderà più di una coverta, ci sollazzerà più del vino e terrà lontano ogni malanno: la scagazza, carestia, grandine, bubbone, malocchio, malcaduto, pustole, mal di denti, mal di panza, mal d’ossa, mal di…

BUFFALMACCO – (dandole uno sganassone) Ma non il mal di crapa! Scema di una bizzocchera! Così impari! Ecco come ti ha protetto lo sancto carbone.

BRUNO – ( che è da poco entrato in scena) Accidenti che botta!

BUFFALMACCO – Sberla ben data, mai desmentegata.Ma quell’imbroglione, quel truffatore che s’è burlato di noi dov’è andato a finire?

BRUNO – Se stai parlando del frate che mezzo paese ha buggerato, ormai sarà sì lontano che se tu ora fossi in Terra Sancta il vedresti arrivar.

BUFFALMACCO – (a Violante che sta uscendo malconcia di scena) Femmine stolte! S’è burlato di voi e di tutti quei bigotti che l’ascoltano.

BRUNO – Suvvia, consolati compare mio, che fors’io ho lo remedio per codesta tua collera.

BUFFALMACCO – Ma intanto… né vino, né pane, né coverta.

BRUNO – Ascolta, che se ben faremo, coverte, vino e pane riavrai tosto.

BUFFALMACCO – (interessato) Cos’è codesta storia?

BRUNO – M’han detto che una zia di Calandrino si morì e lasciolli cento fiorini d’oro. M’è giunta voce che Calandrino voglia spenderli per comprare un podere.

BUFFALMACCO – E allora?

BRUNO – E allora pensa a quanto vino, pane e coverte noi possiamo aver con cento fiorini… e a quanta poca terra pol aver Calandrino con l’istessa somma.

BUFFALMACCO – Tosto andiam a trovar Calandrino e vedremo di goderceli noi li cento fiorini! Forse ho trovato anch’io un grullo per rifarmi di quello che quel frate m’ha truffato con la beffa e con l’inganno. (rivolgendosi a Violante) E tu, femina stolta, m’aiuterai a buggerare Calandrino.  (Violante esce)

28) MUSICA ENTRATA CALANDRINO

(Mentre i due amici stanno per andare alla ricerca di Calandrino, è proprio quest’ultimo a passare di lì)

BRUNO – Quando d’un’omo favelli, ecco che tosto arriva. (indica Calandrino)

CALANDRINO – (cammina soppesando una borsetta di denari) Coi cento fiorini che ho ereditato voglio comprare un bel podere! Mi metterò a contrattare con tutti li sensali fiorentini per spenderli bene. (incontra Bruno e Buffalmacco) Salute, compari miei!

BRUNO – O Calandrino, in do’ tu vai?

CALANDRINO – Vo’ a comprare un podere coi denari che donommi la mi’ zia defunta.

BUFFALMACCO – Ma meglio è, che tu venga a goderteli con noi insieme, che a comperar terra, con cento fiorini, non né comprerai piùdi dieci sacchi.

CALANDRINO – Eh, no, Buffalmacco. Questi fiorini piovuti dal cielo li devo investir bene e non me li berrò alla locanda con voi due, neppur se lo volesse il Papa medesimo! (fa per allontanarsi) 

BRUNO – (bloccando Calandrino) Ben dici, Calandrino! O Buffalmacco, dov’è finito il senno tuo? Non hai sentito che saggio consiglio egli ha deciso di seguire?

BUFFALMACCO – (stando al gioco) Perdonami Calandrino, di omini sì assennati assai pochi ne son rimasti.

BRUNO – Ed il tuo agire accorto e previdente merita maggior fortuna. Proprio ieri Violante, la moglie tua, mi parlò di un bel podere messo in vendita da una sua lontana parente. Se tu ti affretti a parlar con essa forse un buon affare pol esser fatto. Va’, va’ pure a casa sua che Violante là si trova.

CALANDRINO – Grazie amici, grazie assai, ci vado subito. (se ne va)

BRUNO – Vedrai Buffalmacco, che bell’idea mi è venuta per ingrassar la panza alle spalle di Calandrino. Per questa scorciatoia andiamo subito ad avvertire Violante, la moglie tua, della beffa che ho in mente per Calandrino.

BUFFALMACCO – Per certo brinderemo e magneremo tutti alla faccia di quel babbeo e così mi consolerò di tutti quei carboni che la femina mia portossi in casa.

29) MUSICA SCENA MIMICA.

(Corrono a casa di Buffalmacco. Interno. Scena mimica di Bruno e Buffalmacco che spiegano a Violante della beffa, dopodichè i due si nascondono. Intanto arriva correndo Calandrino.)

30) MUSICA ENTRATA CALANDRINO.

VIOLANTE – Buondì Calandrino.

CALANDRINO – Che Iddio ti dia il buondì e il buon anno, monna Violante. Son venuto a trovarti perché lo marito tuo, a me disse che una vostra parente…

VIOLANTE – (fissandolo in viso) Un momento, fatti vedere…

CALANDRINO – Che guardi tu?

VIOLANTE – Non ti sei sentito stanotte un po’ strano? Non mi sembri più lo stesso!

CALANDRINO – Ohimè! Come? Che ti pare che io abbia?

VIOLANTE – Tu mi pari tutto cambiato. Ma via, non sarà nulla, a parte il colore della pelle tua che è un po’… (prende la testa di Calandrino tra le mani e comincia a scrutarla)

CALANDRINO – (preoccupato) Che è un po’?

VIOLANTE – Che è assai…

CALANDRINO – Che è assai?

BUFFALMACCO – (fingendo di entrare assieme a Bruno) Finalmente ti trovo, moglie mia. Sempre a vezzeggiar li omini, eh?

VIOLANTE – No, marito mio. Stavo a di’ a Calandrino che mi pare un po’ cambiato.

BRUNO – L’è vero! Che brutta faccia che c’hai, Calandrino. Una faccia quasi…

CALANDRINO – Quasi? …

BUFFALMACCO – Quasi … quasi, enfiata… gonfia. Non par anche a voi? Non ti senti bene?

CALANDRNO – (seriamente preoccupato) Ma che? Mi guardi pure tu? Proprio testè monna Violante mi diceva che le parevo un po’ strano…

BRUNO – Ma pol esser anche che tutto ciò a noi sembri, senza esser vero. Mettiti qui dove c’è più luce sì che noi meglio ti si veda. (lo sospinge in un posto più illuminato e tutti cominciano a tastarlo ed a guardarlo) Sì, tu potresti non aver nulla, o esser già mezzo morto!

CALANDRINO – (impaurito) Morto?

BUFFALMACCO – Ora che ti si vede meglio mi sembri proprio più…

CALANDRINO – Gonfio?

BUFFALMACCO – No, no… più floscio… come una zampogna senz’aria.

VIOLANTE – Ma perché l’aria se n’è finita tutta qui…

CALANDRINO – L’aria? Qui… dove?

VIOLANTE – Qui sei tutto gonfio, gli occhi… le orecchie ti si son rinsecchite. Apri un po' la bocca. (Calandrino esegue) Che brutta lingua e che fetore! Ma davvero non ti senti niente?

CALANDRINO – (toccandosi la fronte) Mi par già d’aver la febbre. E pur le gambe mi fanno male…

BRUNO – Calandrino, che viso è quello? Qui è più chiaro e qua più scuro… Che stranezza è mai questa? Che ti senti?

BUFFALMACCO – Ehi, Calandrino, ma che ti succede, mi pari un cadavere!

CALANDRINO – (quasi svenendo) Per certo ora mi sento d’esser malato. Che fo’? Non ho più nemmen la forza di stare in piedi…

VIOLANTE – A me par meglio che tu te ne torni a casa. Vai nel letto e facciti ben coprire da Tessa.

BRUNO – Suvvia donna, non vedi ch’egli non si regge. Miglior cosa è farlo restar qui e andar a consultare maestro Simone lo medico speziale.

BUFFALMACCO – Portiamogli l’orina tua, affinché ci dica tosto se di cosa grave si tratta. Come tu sai, Maestro Simone è amico nostro, e con tutta la sua sapienza egli è in grado di dir, al solo veder cotale liquido, se chi l’ha fatto sia maschio o femmina, ricco o povero, vivo o morto, giovine o vecchio e tant’altre cose che nemmen immaginar io posso.

BRUNO – Ciò che tu avrai da fare per guarir di tal malanno, egli ci dirà immantinente e, se bisognerà far cosa niuna, volentieri noi il faremo.

VIOLANTE – Ed io preparo un letto per Calandrino e poi corro subito a chiamar Tessa e la porterò qui. (Violante prepara veloce un letto e poi esce di scena)

BUFFALMACCO – Ecco Calandrino, prendi questo vaso e riempilo con quel che c’hai.

CALANDRINO – Proprio fino all’orlo?

BRUNO – Maestro Simone non si dispiacerà se tu ne riempirai solo mezzo.

CALANDRINO – Allora forse ce la fo’… Però mi sento debole… tanto debole… Mi gira pure la testa. (con il vaso da notte in mano va a farla fuori scena e poi rientra tutto contento reggendo con una mano il vaso e con l’altra la cinta delle brache) Bruno! Buffalmaco! Guardate! Nol credevo, ma tutto l’ho riempito! (fa vedere il vaso ai due, s’inciampa e li schizza)

BUFFALMACCO – Bravo Calandrino! Maestro Simone sarà di molto contento e ancor più cose potrà dirci sul tuo male. Ora vo’ a portarglielo: lui vedrà e ci dirà e se bisogno sarà, qui il menerò. Ma tu intanto riposati. (esce di corsa con il vaso)

BRUNO – Sicuro. Ora mettiti a letto e non ti dar pensiero chè li compari tuoi son qui a darti aiuto.

(Entrano Tessa e Violante)

TESSA – Sia benedetto Iddio! Che gli è capitato?

CALANDRINO – (lamentandosi) Vieni a coprirmi bene che io mi sento un gran male.

BRUNO – Monna Tessa, lo marito tuo in breve tempo si è ammalato di un male a noi sconosciuto, che mai abbiam visto capitar ad alcuno.

TESSA – (guardando Calandrino di qua e di là) Però a me non sembra che…

CALANDRINO – Che vuoi saper tu che se’ femina! Non venirmi a dire come ti sembra ch’io sto. Io mi sento un…

TESSA – Un…

CALANDRINO – Un…

TESSA – Un…

CALANDRINO - Un… non so che dentro.

TESSA – Un non so che? … E dove?

CALANDRINO – Un po’ su e un po’ giù.

VIOLANTE – Non aver paura Tessa, che Buffalmacco è andato a chiamar Maestro Simone.

BRUNO – E per certo lui troverà lo remedio a tanto male… Solo la morte pol aver ragion sulla sapienza di Maestro Simone.

TESSA – (spaventatissima) La morte? (piange con la testa fra le mani)

CALANDRINO – (atterrito) Che son questi discorsi? Io non mi sento poi così male…

VIOLANTE – Proprio il vero tu di’! O non hai nulla o mezzo morto se di già.

CALANDRINO – Oimè, oimè, oimè! Per metà son ammalato e per metà son morto. Oimè, oimè, oimè! Oh, Tessa, moglie mia! Per me è giunta la fine. Fra poco l’anima mia volerà in cielo ad incontrar Domineiddio!

TESSA – Su, coraggio marito mio, che presto sarà qui giunto Maestro Simone con uno remedio per tutti li malanni tuoi.

CALANDRINO – Oimè, oimè. Oimè! Ed io che volevo comprar un podere coi cento fiorini avuti in eredità… ora invece mi toccherà comprar un cimitero!

(Calandrino è sempre più stravolto. La moglie lo accudisce. Violante e Bruno ridono alle spalle degli altri due. Entrano Buffalmacco e Maestro Simone)

31) MUSICA MAESTRO SIMONE

SIMONE – Chi è che si lamenta in cotal modo e che vuol comprar un cimitero?

BRUNO – Ben arrivato, Maestro Simone.

SIMONE – Dov’è il moribondo? STOP MUSICA

TESSA – Arriva la scienza. Marito mio abbi fiducia e sia fatta la volontà del Signore. (a Maestro Simone) Maestro Simone, fate qualcosa vi scongiuro, guarite voi l‘omo mio. RIPRENDE MUSICA.

SIMONE – (Avvicinandosi al capezzale di Calandrino gli si siede a fianco, gli tasta il polso, gli guarda gli occhi, lo visita) Intanto facciamo circolare o sangue che s’è fermato (lo percuote con le mani, quasi lo strozza, ecc. Poi con voce professorale) Vedi, Calandrino, a parlarti bene come ad un amico, tu non hai altro male se non che tu sei pregno. Presto sarai madre.

TESSA – Madre?

SIMONE – (a Tessa) E tu presto sarai padre.

TESSA – Padre?

SIMONE - Che giorni di abbondanza e felicità accolgano  questo piccolo che primo al mondo avrà per madre un padre e per padre una madre.

TESSA – Iddio santissimo! Madre? Padre? Che pazzia è mai questa?

CALANDRINO – (gridando e lamentandosi) Ohimè, Tessa! Questo me l’hai fatto tu…

TESSA – In fe’ di Dio, io non…

CALANDRINO – Tu, che non vuoi altro che star di sopra: sempre te lo dicevo che non era natural cosa il farlo in cotal guisa.

TESSA – Ch’io l’avessi saputo, marito mio, mai e poi mai…

CALANDRINO – Non dir altro femmina impazzata, che già troppo hai fatto. (la moglie s’allontana a testa  bassa, ma non esce di scena)

VIOLANTE – Povero Calandrino, come farai?

BRUNO – Come partorirai questo figlio? Da dove uscirà?

BUFFALMACCO – Proprio così, Calandrino! Tu hai a pensar donde far uscire codesto figliolo, se non vuoi che la panza la ti scoppi.

CALANDRINO – Io morirò per le voglie di mia moglie! Se fossi sano io mi leverei dal letto e le darei tante busse ch’io la romperei tutta.

VIOLANTE – L’è tutta colpa tua, non la dovevi mai lasciar salir di sopra!

CALANDRINO – Ma se io scampo da morte dopo che me sgravo, ella dovrà morire dalla voglia prima ch’io l’accontenti di nuovo. (tutti ridono a crepapelle)

SIMONE – Calandrino, io non voglio che tu ti spaventi perché, lodato sia Iddio, noi ci siamo così tosto accorti del fatto, che con poca fatica e in pochi dì ti libereremo.

CALANDRINO – Maestro Simone, mi farai sgravare?

TESSA – (ritorna vicino speranzosa) Davvero esiste uno remedio per salvar lo marito mio?

SIMONE – Per certo esso c’è ed io il conosco, ma conviensi un poco spendere!

TESSA – Abbiamo qui cento fiorini con cui volevamo comperare un podere.

CALANDRINO – Se bisogna spenderli, prendeteli tutti! Che io non abbia a partorire! Io credo che se avessi quel dolore, io ne morirei prima d’essermi sgravato.

SIMONE – Non aver pensiero. Io ti preparerò una purga molto buona di sapore e da bere piacevole assai, che in tre mattine risolverà ogni cosa perciocchè più sano di pria tornerai.

TESSA – Maestro Simone che ti bisogna per lo medicamento?

SIMONE – Ora per quell’acqua mi bisognano tre paia di buoni capponi e grossi. Per tutte le altre cose che occorrono darai a Buffalmacco li cento fiorini acciocchè lui le comperi. Fammi portare poi tutto alla mia bottega. Io, in nome di Dio, ti manderò quel beveraggio medicamentoso e comincerai a bere un buon bicchiere grande per volta ogni mattina. A dimane, Calandrino.

TESSA – Maestro Simone, ci rimettiamo nelle vostre mani. (a Buffalmacco) Tieni, Buffalmacco li denari per tre paia di capponi e li cento fiorini per ogni altra cosa necessaria allo medicamento.

SIMONE – (a Bruno) Preparerò una doppia purga cavallina che farebbe scaricar il ventre pure ad un bue intero! (esce ridendo)

BRUNO – Vedrai Calandrino che dimane mattina, già dopo il primo bicchiere ti sentirai meglio e dopo tre giorni ti sembrerà di esser rinato a nuova vita!

VIOLANTE – Resta pure qui da noi e anche tu Tessa sarai ospite nostra in modo che tu potrai accudir lo povero marito tuo.

TESSA – Grazie assai Violante, e tu (a Calandrino) ci devi credere a Maestro Simone, devi aver fiducia nella scienza.

VIOLANTE – Andiamo anche noi nella bottega di Maestro Simone per vedere se serve lo nostro aiuto. (escono ridendo)

CALANDRINO – Tornate presto, che io possa sgravarmi in fretta!

31) MUSICA SCENA MIMICA PURGA

(Buio. Da una parte si vedono Simone, Violante, Bruno e Buffalmacco che mangiano e bevono a crepapelle e dall’altra Calandrino in letto con Tessa che lo accudisce. A turno, Bruno, Violante e Buffalmacco – uno per ogni giorno – gli portano un bicchierone di purga. Calandrino beve con un imbuto la brodaglia, lamentandosi e correndo al cesso, la terza vola alla sola visione della bevanda).

SIMONE – Compari, ormai abbiam mangiato per tre giorni capponi, pagnotte, ova, cacio e tutto il resto.

BUFFALMACCO – E abbiam svuotato pure una botte intera in osteria.

BRUNO – Una botte vuota come ora dev’ esser la panza di Calandrino. (risate)

VIOLANTE - Sì, ormai li cento fiorini son terminati.

SIMONE – (ridendo) Vuol dire che anche la cura può aver fine, andiamo da Calandrino.

32) MUSICA PURGA RIPETUTA (in sottofondo)

(Calandrino sta bevendo la purga. Entra Maestro Simone in compagnia degli altri tre.)

SIMONE – (toccando il polso a Calandrino e dopo aver fatto una breve visita) Calandrino, tu sei guarito. Non star più a letto. Esci di casa.

VIOLANTE – Gli è proprio vero! Tu mi pari tutto cambiato da qui a tre giorni orsono. Che bel colorito.

BRUNO – Proprio come novo, quasi ingrassato…

BUFFALMACCO – Pure la panza non c’è più!

CALANDRINO – (raggiante) E’ vero! Tessa, guarda il tuo Calandrino. (comincia a saltare qua e là) La panza non c’è più… La panza non c’è più… Laudato sia Iddio! Andrò a raccontare a tutti della vostra bella cura, Maestro Simone! M’avete fatto in tre dì, senza alcuna pena, sgravare. (esce correndo fra le risate di tutti)

(E’ notte fonda quando Calandrino esce di casa. Esultante di gioia e decisissimo a raccontare a tutti della sua avventura, arriva in piazza del paese illuminato dalla luna e comincia a gridare.)

CALANDRINO – Oilà, gente! Ascoltate tutti quanto mi è successo in questi tre dì!

(Alle spalle di Calandrino arrivano alcune figure che reggono delle torce e dei lampioni: si tratta di Emilia, Licia, Filostrato e Fiammetta che è visibilmente prossima a partorire).

CALANDRINO – (accortosi di loro) Oilà, messeri! Sì, dico a voi che la notte co’ vostri lumi rischiarate.

LICIA – Che vi accade messere?  Chi siete che nella notte andate saltabeccando e gridando allegro qua e là?

CALANDRINO – (avvicinandosi al gruppetto, felice di aver trovato qualcuno a cui raccontar la sua avventura) Donne mie care guardatemi bene… proprio nulla vedete?

FIAMMETTA – (reggendosi la pancia) A me non par…

EMILIA – Anche se il sole foss’alto in cielo, alcunché di strano ci sembrerebbe.

FILOSTRATO – (fra sé) A me par che costui abbia ad esser ciurmato alquanto… o peggio: un matto!

CALANDRINO – La panza mia non c’è più, sparita! Svanita! La purga se l’è portata via!

FILOSTRATO – Il senno di costui se lo son preso i diavoli!

CALANDRINO – Per colpa di Tessa pregno son rimasto, che sempre sopra voleva istare… malafemmmina impazzata!

EMILIA - Ma che dite, messere? Voi, pregno? Un omo?

CALANDRINO – Vero che più vero nol sarà mai! E con una panza così…

FIAMMETTA – Più grande di questa?

CALANDRINO – Madonna sì, assai di più, assai di più!

EMILIA – Suvvia, dite il vero, messere! Che il credervi è difficile assai.

CALANDRINO – Io son Calandrino colui che, rimasto pregno, rischiò di dover partorire un figliolo. E voi chi siete?

LICIA – (tra sé) Per certo gente con il senno più fermo di quanto non l’abbia costui.

FIAMMETTA – Veniamo da quel di Montebasso, dove abbiam passato tre stagioni con l’intento di sfuggir a quel gran male ch’è la peste.

EMILIA – Ed ora, sapendo esser cessato cotanto male, ce ne torniamo a Fiorenza, alle nostre case, a riportar la vita dove sora Morte ha falciato il campo.

FILOSTRATO – Orbene, messer Calandrino, la notte ci sorprese per via, ma qui siam giunti e di un giaciglio abbiam bisogno.

EMILIA - Noi vi crediamo, ma assai più vi crederemo e riconoscenti vi saremo se una locanda c’indicherete.

CALANDRINO – Seguite la via ed in fondo ad essa una casa troverete sulla cui porta un grosso cinghiale di legno troneggia. Quella è la locanda dove troverete alloggio.

FIAMMETTA – Grazie assai, messer Calandrino!

CALANDRINO - Ma non vi ho ancora favellato per intero della vicenda mia e…

EMILIA – Dimani messere, dimani… e ancora grazie assai!

CALANDRINO – Aspettate aspettate! (i quattro viandanti escono di scena) Oilà, gente, sveglia! Sortite, che di una gran cosa ho da novellare!

GULFARDA – (alla finestra) Brutto gatto impazzato che la miseria ti si porti!

PINUCCIO – (ad un balcone) Ti par questa l’ora di far tanto rumore?

 

(gettano oggetti addosso a Calandrino)

CALANDRINO – Troppa allegria ho nel petto ed anche a voi voglio darne un poca! Oilà gente! Calandrino è guarito!

GISIPPO – Mal per te Calandrino! Riempi codesto vaso con un po’ d’allegria! (gli lancia un vaso che Calandrino schiva)

VIOLANTE – Che è? Chi è là? Chi grida?

LISABETTA – Chi è quel matto che fa tanto rumore?

BRUNO - Basta con questo baccano! Fateci dormire!

(Mentre avviene il battibecco fra Calandrino e gli inquilini si avvicina un frate, l’ultimo rimasto dei quattro, che inizia ad urlare). 33) MUSICA FRATI

FRATE – Misericordia, Eterno Dio,

              pace, pace Signor pio.

              Non guardare nostro errore,

              misericordia al peccatore.

             Misericordia andiam gridando,

             misericordia Iddio pregando!

ADRIANO – Che ha da urlare quel frate!

GULFARDA - O che tutti gl’impazzati si son dati convegno in piazza!

BRUNO – Par abbia detto che la peste è finita!

LISABETTA - O che forse dircelo nol potea di giorno?

GISIPPO - Noi la notte si vuol dormire! Via, via!

(Una grandine di oggetti investe il frate e Calandrino, dopodichè tutti rientrano nelle loro case)

FRATE – Fratelli, sorelle! Gloria, gloria all’eterno Dio che da’ bubboni ha liberato l’umana gente. Gioite che la peste ormai ha avuto fine!

34) CANZONE FINALE

Chi il piacer della vita si toglie

Per viver con angosce e con affanni

E possa soddisfar le sue segrete voglie

Non conosce del mondo né i piaceri, né gli inganni.

RIT:

In cor Messer Boccaccio noi ti chiediam perdono

Se abbiam modificato l’opera tua

E nella tomba non ti rigirar

Noi il Decameron abbiam voluto onorar.

Quattro novelle a voi abbiam, narrato,

Per fuggir via da questa peste in armonia.

E se due ore non vi avranno annoiato

Batteteci pure le mani se avete gradito la nostra compagnia.

RIT:

In cor Messer Boccaccio noi ti chiediam perdono

Se abbiam modificato l’opera tua

E nella tomba non ti rigirar

Noi il Decameron abbian voluto onorar.

FINE