Le cavalle di Tracia

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LE CAVALLE DI TRACIA

Titolo originale: The Tharacian Horses

Commedia in tre atti e due quadri

di MAURICE J. VALENCY

Versione italiana di Gigi Cane

PERSONAGGI

(secondo l'ordine di entrata in scena):

ALCESTI, regina dei Fereti e moglie di Admeto

UNA SENTINELLA

MIRTILLA, RODANTE, MELITA, CLOE, gentildonne al servizio della regina

CRATILO, maggiordomo della casa di Admeto

ADMETO, re dei Fereti

ZOILO, generale

CRITONE, filosofo, amico e medico di Admeto

FERETE, padre di Admeto

ARISTODEMO, CRIZIA, FILODORO, senatori

ERCOLE

UNO SPAZZATU­RAIO

UN'ALTRA SENTINELLA

LA MORTE

PRIMO e SECONDO OPLITE, soldati della guardia del re

ACASTO, re di Jolco, fratello di Alcesti

GIOVE

L'azione è ambientata nella Grecia dei tempi prei­storici e si svolge con una scena unica in tre atti


Commedia formattata da


ATTO PRIMO

Il portico del palazzo di Admeto, re dei Fereti di Tessaglia. L'edificio è appollaiato su un declivio montagnoso e il vasto portico lastricato guarda la valle. Massicce colonne in stile dorico, collocate in avanscena, sostengono il tetto. Negli intervalli fra l'ima e l'atra si vede in lontananza un paesaggio mon­tuoso e l'ampia distesa del cielo. A destra, l'ingresso all'abitazione. Una fuga di scalini curvati porta da terra alla piattaforma dì una torre su cui, in tempo di guerra, son collocate le sentinelle, Lungo il portico ci sono parecchi sedili bassi, coperti da pelli di vario colore. L'effetto d'insieme è semplice, spoglio, ma elegante: una visione di sole, marmo candido e cielo, qualche zona d'ombra, ma non troppo.

(All'alzarsi del sipario cinque giovani donne sono raccolte presso il portico e filano nel sole del meriggio. È l'estate: indossano abiti leggerissimi intessuti di stoffe diafane. Calzano sandali dorati. Seduta ai piedi di una colonna, una fanciulla pizzica dolcemente le corde di una cetra. È un quadretto innocente e pia­cevole in cui l'occhio trova, subito Alcesti che è un poco più alta della sue compagne, più imponente nel viso e nell'aspetto, nel fiore pieno della femminilità, sui venticinque anni. Si sente in lontananza la debole eco di un suono, che potrebbe essere di tromba).

 Alcesti                          - (solleva il capo, ascoltando con attenzione) Mirtilla...

Mirtilla                          - Alcesti?

Alcesti                           - (scuote la testa, delusa) Niente. (In lontananza si sente di nuovo come un'eco di tromba) Ascolta! (Mentre porgono orecchio intente, dalla torre sovrastante giunge un rintocco di gong).

La Sentinella                 - Soldati!

Mirtilla                          - Soldati!

La Sentinella                 - È finita la guerra contro Tebe! L'esercito è in vista! Eitorna l'esercito! (Le ragazze depongono immediatamente il lavoro e tirano fuori lo specchio. Alcesti si alza).

Alcesti                           - (portandosi ai piedi della torre) Vittorioso o sconfitto?

La Sentinella                 - L'avanguardia porta piume bianche sulle lance. È segno di vittoria. Vittoria!

Alcesti                           - Sia lodato il cielo! (Le ragazze che si erano interrotte per ascoltare riprendono seriamente il lavoro. Dall'esterno della scena giunge un vocìo confuso, musiche militari in crescendo, eco di passi soldateschi).

La Sentinella                 - Prigionieri! I prigionieri tebani! (Cratilo entra di corsa, senza fiato).

Cratilo                           - Vittoria! Vittoria! Vittoria!

Alcesti                           - Corri, Cratilo! Vola! Va a prendere del vino! Eaduna i domestici! Manda fuori gli araldi. Il festino. Le camere per gli ospiti. Corri! Corri!

Cratilo                           - Giove misericordioso! (Esce di corsa. Le donne fanno ressa al parapetto sporgendosi in fuori).

Cloe                              - Eccolo!

Mirtilla                          - Dove! Dove?

Cloe                              - Non vedi? Sul cavallo bianco.

Melita                            - Non è bello?

Rodante                        - Il nostro re.

Cloe                              - Il nostro eroe.

Alcesti                           - Mio marito. (Acclamazioni fuori scena: «Admeto! Admeto! Admeto!»).

Mirtilla                          - Vuoi che ti vada a prendere i gioielli, Alcesti? Il diadema? Lo scettro?

Alcesti                           - Lo specchio. (Mirtilla porta uno specchio. Le acclamazioni si fanno più alte. Il passo dei sol­dati e il calpestìo degli zoccoli dei cavalli diventano più distinti. All'ingresso del portico si forma una colonna di lance. Tra le file fa il suo ingresso Admeto. Ha l'elmo in capo e porta scudo e lancia. Zoilo lo segue. Mentre sale al parapetto, Admeto si volge e alza la mano ih segno di saluto verso la folla che è fuori scena. Una vigorosa acclamazione risponde al cenno. I soldati escono inquadrati).

Admeto                         - Alcesti!

Alcesti                           - Admeto! (Si lanciano nelle braccia l’un dell’altra. Ma Admeto è troppo carico d'armi).

Admeto                         - Un istante, tesoro. (Passa la lancia a Zoilo che la dà a Mirtilla, poi porge lo scudo a Cloe).

Alcesti                           - Admeto!

Admeto                         - (come sopra) Alcesti! (La stringe fra le braccia per baciarla. Ma l'elmo si frappone) Un momento amore. (Si toglie l'elmo e lo consegna a Rodante).

Alcesti                           - Admeto!

Admeto                         - Ancora un momento... (Si toglie la corazza e la passa a Melita. Poi, volgendosi ad Alcesti) Alcesti! (Si baciano appassionatamente).

Alcesti                           - Stai bene, tesoro?

Admeto                         - Sì.

Alcesti                           - Sei contento?

Admeto                         - Sì.

Alcesti                           - Mi ami?

Admeto                         - Sì. Sì. Sto bene. Sono contento. E ti amo.

Alcesti                           - Oh, caro! E adesso sono ansiosa di sentire... dimmi tutto...

Admeto                         - Tutto, che cosa?

Alcesti                           - Della vittoria, amore, della tua vittoria...

Zoilo                             - Admeto è un gran generale, Alcesti.

Alcesti                           - Sì...?

Zoilo                             - I nostri soldati hanno combattuto da leoni.

Alcesti                           - Davvero?

Zoilo                             - Il nemico è sterminato.

Alcesti                           - No...?

Zoilo                             - Abbiamo fatto settecento prigionieri. Senza perdere neanche un uomo.

Alcesti                           - Sì? Ma come? Come? Spiegami, tesoro, per piacere. Dimmi come è stato, esattamente.

Admeto                         - (crollando le spalle) Abbiamo vinto.

Alcesti                           - Zoilo... Signore... conoscete il re. Non parla mai davanti alla gente. Vogliate ricordarlo.

Zoilo                             - Certo. Venite, signore... Vi descriverò la battaglia nei più minuti particolari. Vi racconterò tutto... (Escono. Admeto e Alcesti rimangono soli).

Alcesti                           - Caro, siamo soli.

Admeto                         - Sì, amor mio.

Alcesti                           - Dimmi della battaglia. A che cosa pensi di essere debitore della vittoria? Alla tua strategia? Alla tua tattica?

Admeto                         - Alla mia fortuna.

Alcesti                           - Ma, tesoro, perché vuoi sempre dare tutto il merito alla fortuna?

Admeto                         - Perché sono fortunato.

Alcesti                           - Sì. Ma adesso dimmi come è andata veramente. La verità.

Admeto                         - Bè, fammici pensare. Prima abbiamo marciato per tre settimane cercando il nemico che, intanto, stava cercando noi tentando di impedirci di trovarlo...

Alcesti                           - Sì?

Admeto                         - Finalmente, per miracolo, lo abbiamo trovato.

Alcesti                           - E allora?

Admeto                         - Allora abbiamo fatto colazione. Cereali arrostiti e uova. Le uova non erano tanto fresche. Però il prosciutto era ottimo.

Alcesti                           - Ma la battaglia, caro.

Admeto                         - Quando lo schieramento fu rista­bilito, io mi posi davanti agli uomini. Snudai la spada, diedi il segnale della carica. I Tebani fecero altrettanto. D'ambo i lati suonarono le trombe.

Alcesti                           - E i tuoi soldati balzarono avanti come un sol uomo.

Admeto                         - Già. Nella direzione sbagliata.

Alcesti                           - Si erano sbagliati?

Admeto                         - No. Scappavano.

Alcesti                           - Vigliacchi. E così tu sei rimasto solo, saldo come una roccia, con una mano sola, a far fronte al nemico?

Admeto                         - Già...

Alcesti                           - « Tu », non sei scappato, Admeto.

Admeto                         - Certo che no. Gli sono corso dietro.

Alcesti                           - Per radunarli un'altra volta.

Admeto                         - Proprio così.

Alcesti                           - E al tuonar della tua terribile voce..»

Admeto                         - Si sono messi a correre più forte.

Alcesti                           - Ma, caro.

Admeto                         - Hanno continuato a correre a correre finché, naturalmente, sono andati a sbattere nella cavalleria di riserva. E, nel panico, l'hanno scambiata per il nemico. Allora si sono voltati con un urlo terribile ed hanno caricato esattamente nella direzione da cui venivano. La cavalleria, anch'essa terrorizzata, li ha caricati alle spalle, non si sa perché. E così tutti quanti rotolammo in un rovinìo addosso al nemico che si arrese immediatamente.

Alcesti                           - Così?

Admeto                         - Così.

Alcesti                           - (con un piccolo sorriso) Oh, caro. Tu racconti le storie più inverosimili. E con una faccia così seria!

Admeto                         - Che c'è di inverosimile? Parecchie battaglie sono state vinte proprio a questo modo.

Alcesti                           - Lo so. Lo so. È inutile cercare di farti dire la verità. Non importa. Domanderò a Zoilo. Lui mi dirà qualcosa che si possa credere.

Admeto                         - Certo che te lo dirà. Domandaglielo. Non ha la più piccola idea di ciò che è successo.

Alcesti                           - No. Credo che non ci fosse nemmeno.

Admeto                         - Oh, sicuro che c'era. Soltanto che al primo squillo di tromba qualcuno gli ha calato l'elmo sugli occhi. Non ha più potuto vedere niente finché non glielo abbiamo tirato su, a combatti­mento finito.

Alcesti                           - Oh, Admeto, adoro il tuo spirito. Dopo una vittoria così, chiunque altro se ne sarebbe tornato a casa orgoglioso delle proprie prodezze, col petto in fuori, tirato come un tamburo. Tu, invece!... Ma me non m'inganni, tesoro. So molto bene, io, perché inventi queste allegre storielle e seguiti ad attribuire le tue vittorie alla fortuna. È per pura delicatezza.

Admeto                         - No, cara. Ti assicuro.

Alcesti                           - Sì, lo so. Ma capisco. Tu vinci grandi battaglie, torni alla testa delle truppe tra le accla­mazioni universali. E che cosa ho fatto io, intanto? Sono stata a. filare. A chiacchierare. Ad annoiarmi. Niente, ho fatto, insomma. E tu, che non sei soltanto grande ma anche amabile e gentile, cerchi di rispar­miarmi il confronto fra la tua gloria e la mia nullità.

Admeto                         - Questa, Alcesti, è una vera schiocchezza.

Alcesti                           - No, tesoro. È vero. Io non sono niente. Ci sono stati molti eroi nella mia famiglia, ma il mio destino non è eroico. Io sono nata per essere una personcina priva di qualsiasi interesse storico.

Admeto                         - Tu sei bella.

Alcesti                           - Non abbastanza. Sono carina, sì. Ma non sono né Elena né Alcmena. Questo mio viso non è così affascinante da far salpare le navi, né da infuocare gli dèi di desiderio. Il mio destino è di essere semplicemente... una moglie.

Admeto                         - Ma, cara...

Alcesti                           - Non importa. Forse avrei preferito un'altra sorte. Ma poiché non posso mutarla, accetto questa mia senza amarezza. Questo è ciò che sono, né più né meno: la moglie di Admeto.

Admeto                         - Che Admeto adora.

Alcesti                           - Allora non cercare di risparmiare i miei sentimenti. Non sono invidiosa di te. Ti amo. Ti amo ed ho bisogno della tua grandezza. Sii più grande che puoi, mio sposo. Concedi ch'io mi scaldi al tuo splendore, che mi inorgoglisca della tua rino­manza. Lasciami credere, che nonostante l'umiltà del mio destino, le genti future diranno che questa Alcesti non poteva essere una persona qualunque poiché era la sposa di Admeto, e Admeto l'amava.

Admeto                         - Admeto l'amava.

Alcesti                           - (gli si getta fra le braccia) Caro!

Admeto                         - Oh!

Alcesti                           - Che cosa c'è? Sei ferito?

Admeto                         - Non è niente. Una graffiatura.

Alcesti                           - Oh, Dio mio! Oh Giove misericordioso! Che cosa ti è successo, dimmi? Fammi vedere... dov'è? Com'è stato?

Admeto                         - Ma non è niente, Alcesti... Me n'ero completamente dimenticato...

Alcesti                           - (chiamando) Mirtilla! Mirtilla!... Oh, tesoro! Oh, Giove! Spero proprio che non sia niente. Oh, caro! Mirtilla!

Admeto                         - Ssst!... non ti preoccupare. Non è assolutamente niente.

Alcesti                           - Essere ferito così, e non dire una parola!... Come hai potuto, Admeto? (Entra Mirtilla) Mirtilla, presto, un bacile, gli unguenti, le bende.

Mirtilla                          - Che cos'è successo?

Alcesti                           - Si è fatto male, povero agnellino. È stato ferito.

Mirtilla                          - Oh!...

Admeto                         - No, no, no. Non sono stato ferito affatto.

Alcesti                           - Presto. Presto. (Mirtilla esce) Mettiti giù, amore.

Admeto                         - No, davvero. È ridicolo.

Alcesti                           - Fai come ti dico. È profonda? Ha fatto molto sangue? È un colpo di spada?

Admeto                         - No, è stato un Tebano che m'ha scoc­cato una freccia.

Alcesti                           - Che bruto! Come ha osato?

Admeto                         - Bè, cara, sai, in combattimento non ci si lanciano mica fiorellini.

Alcesti                           - Ma avrebbe potuto ucciderti...

 Admeto                        - Sai che sono fortunato. La freccia mi ha appena scalfito il braccio.

Alcesti                           - Te l'ho detto mille volte, tesoro: devi stare attento. Sai come sto in pena. Se ti dovesse capitare qualcosa, io... io morirei.

Admeto                         - Cosa vuoi che mi capiti? Sai che sono praticamente invulnerabile. (Entra Mirtilla col bacile e il resto. Alcesti rimbocca la manica ad Admeto).

Alcesti                           - Dì a Grifone di venir qui subito. (Mir­tilla esce) Povero tesoro. Ti fa tanto male?

Admeto                         - È quell'altro braccio.

Alcesti                           - (rimbocca l'altra manica) Oh, vedo.

Admeto                         - Ti ho detto che non era niente.

Alcesti                           - Non ti fa male? Dimmi la verità.

Admeto                         - Pizzica.

Alcesti                           - (comincia a fasciare) Ecco. Ora puoi riposare.

Admeto                         - Ma io non sono stanco.

Alcesti                           - Comunque, è meglio che Critone ti dia un'occhiata. Dopo tutto è lui il medico, non io.

Admeto                         - Sciocchezze. Non c'è niente da vedere. Può soltanto farsi una risata alle mie spalle. (Entra Critone. È alto, grave, cupo; indossa l’imation dei filosofi).

Critone                          - Salute, vittorioso Admeto.

Alcesti                           - Critone...

Admeto                         - Salute, Critone.

Critone                          - C'è qualcosa che non va?

Admeto                         - Niente. Proprio niente.

Critone                          - So che hai inventato una nuova tattica di guerra, Admeto.

Admeto                         - Il dio delle battaglie, l'ha inventata.

Critone                          - Il dio della battaglie è colui che si incolpa della sconfitta, Admeto. Mentre il merito della vittoria è nostro.

Admeto                         - L'onestà è la miglior politica.

Critone                          - Giustissimo, Admeto. Nessuno presta fede alla verità... Incidentalmente, in questo momento una delegazione sta venendo da te, per manifestarti la sua ufficiale gratitudine.

Admeto                         - Una delegazione?

Critone                          - I senatori si sentono in dovere di partecipare allo sforzo bellico.

Admeto                         - Dio ci assista.

Critone                          - Tuo padre è giù in giardino con la nobiltà senatoriale a rimorchio. Tienti pronto.

Admeto                         - (alzandosi allarmato) Sì.

Alcesti                           - Ma, Admeto, dove vai?

Admeto                         - A schiacciare un pisolino.

Alcesti                           - (a Critone) Scherza..

Admeto                         - Ricevo i ringraziamenti dello Stato esattamente ogni due settimane. Non posso reggere al pensiero di doverne ascoltare degli altri.

Critone                          - La colpa è tua, Admeto. I tuoi sudditi sono felici.

Admeto                         - Critone, dì loro che sono stanco. Dì che sono malato. Che sono morto.

Critone                          - Non servirebbe a niente. Visto che hanno scrupolosamente imparato a memoria i loro discorsi fin dal giorno in cui sei partito, insisteranno per metterli fuori qualunque siano le tue condizioni fisiche.

Alcesti                           - Hai idea di che cosa diranno, ditone!

Critone                          - Le solite cose.

Alcesti                           - Diranno che Admeto possiede la saggezza di Nestore?

Critone                          - Si capisce.

Alcesti                           - La forza di Aiace?

Critone                          - Sicuro.

Alcesti                           - Il coraggio di Achille?

Critone                          - Naturalmente.

Alcesti                           - Allora è tuo dovere starli a sentire, caro.

Admeto                         - Perché?

Alcesti                           - Perché sei il più grande dei Greci.

Admeto                         - Sciocchezze.

Alcesti                           - E devi essere pari alla tua grandezza.. Per amor mio...

Admeto                         - Per amor tuo desidero diventare uno dei grandi. Ma non il più grande.

Alcesti                           - Il più grande.

Admeto                         - E sta bene.

Alcesti                           - (a Critone) Admeto ascolterà la voce del popolo.

Admeto                         - Anche tu, però.

Alcesti                           - Ma certo. Io adoro i discorsi. (Critone attraversa la scena per uscire. Admeto lo ferma).

Admeto                         - (a Critone) E tu pure. (Entra Ferete, vecchio pomposo e acido, con tre senatori ch'egli guida dinnanzi ad Admeto come pecore).

Critone                          - (sottovoce) Ma che cosa ho fatto, io, per meritarmelo?

Admeto                         - E io?

Ferete                            - Salute.

Admeto                         - Salute, Ferete. Spero che tu stia bene.

Ferete                            - Sto abbastanza bene. Abbastanza bene.

I Senatori                      - Salute, Admeto.

Admeto                         - Salute, uomini di Tessaglia.

Ferete                            - Fin dal giorno della mia abdicazione, Admeto, mi sono posto come norma inderogabile di non intromettermi mai nei pubblici affari. Come privato cittadino non approvo né disapprovo, non so e non desidero sapere che cosa succede. Mi son lavato le mani di tutto quanto. (Una pausa che potrebbe presumibilmente venir colmata da dinieghi e proteste. Poiché non si verificano, prosegue) Tutti lo sanno. Tuttavia, poiché oggi sono venuto a co­noscenza di un fatto nuovo che interessa la gloria della nostra casa, ho aderito alle reiterate suppliche del Senato che ha manifestato il desiderio di avermi a capo di questa delegazione, al fine di complimen­tare te, figlio, di una qualche vittoria che si dice tu abbia riportato. Eesta però chiaramente inteso che io non sono qui per parlare né per interferire in alcun modo ma soltanto allo scopo di presentare questi senatori i quali hanno preparato alcuni lunghi discorsi che ora pronunceranno. Questo è Crizia. Questo è Filodoro. Questo è... come ti chiami, tu?

Aristodemo                   - Aristodemo.

Ferete                            - Sì. Chiunque sia. Molto bene. Io ho finito e mi faccio da parte. Andate avanti. (Si fa da parte) Bene, bene... cominciate.

Crizia                            - (avanzando cerimoniosamente) Admeto...

Ferete                            - Non c'è da aver paura, Crizia. Smettila di dondolarti, Crizia. Tu non hai nessuna colpa.

Crizia                            - Admeto...

 Ferete                           - Attacca, Crizia, attacca.

Crizia                            - Admeto, da quando gli dèi immortali hanno benedetto la città inviandoci te come nostro sovrano, l'Età dell'oro è tornata a Fere. Sotto il tuo regno glorioso, il povero si sente prospero, il ricco è liberato dall'oppressione delle tasse, dovun­que vi è abbondanza di cibo e di vino, e da ogni volto traspare la letizia. Per farla breve, non c'è neppure un infelice in tutto il tuo reame. (Ferete si passa seccamente una mano sul mento) Ma ora i hai fatto per noi qualcosa di più. Hai rischiato la tua vita preziosa in combattimento per salvarci da un -nemico terribile. E non è quindi da mera­vigliarsi che se prima i tuoi sudditi ti amavano, ora...

Ferete                            - Ciò che vuol dire, in sostanza, con tutte queste chiacchiere è che i Tessali ti vogliono bene.

Crizia                            - Sì. Ora, però, al tuo minimo cenno, i tuoi sudditi grati sono pronti a morire per te, dal primo all'ultimo.

Ferete                            - Sono pronti a morire per te... già. Molto bene. Così sia. Hai detto tutto. Si poteva aggiungere, beninteso, che tutto ciò che sai dell'arte di governare ti è stato insegnato da me. Ma non importa. Io non faccio più vita pubblica. Lo sanno tutti. Bene. E adesso chi è che parla?

Filodoro                        - (fa un passo avanti e s'inchina) Admeto, in questo giorno di gloria imperitura...

Ferete                            - Avanti. Avanti... Gloria imperitura... ah, ah. Avanti, avanti, avanti.

Filodoro                        - Per voto unanime del Senato e i del popolo di Tessaglia è stata aperta una sotto­scrizione allo scopo di erigere una statua marmorea che ricordi le tue gesta gloriose, così che...

Ferete                            - Ciò che vuol far capire con questi farfugliamenti è che adesso non si contentano più di offrirti la vita ma ti vogliono dare anche i quattrini.

Filidoeo                         - Il senato ha stanziato all'unanimità...

Ferete                            - Cinquecento talenti per la costruzione della statua. Così sia, per tagliar corto. Posso ag­giungere che, se fossi stato interpellato, avrei avuto qualcosetta da dire in proposito. Ma naturalmente, io sono solo più un sopravvissuto e non è affare, che mi riguardi il modo con cui vengono sperperati i fondi pubblici. Bè, sembra che ce ne sia per tutti. Ad ogni modo, hanno detto quel che volevano dire ed io me ne posso tornare nell'oscurità. (Aristodemo tossicchia) Oh, sì. Già. C'è ancora un oratore. (Aristodemo fa un passo innanzi) Bene, bene, avanti. Parla.

Aristodemo                   - (si inchina educatamente) Dopo di te.

Ferete                            - Come sarebbe a dire, dopo di me?

Aristodemo                   - Che cosa posso mai dire io con la mia povera parola?

Ferete                            - E io come posso sapere dove vuoi arrivare con le tue sviolinate?... Ah! Ora si cominciano!  a vedere i risultati. A questo punto è ridotto lo Stato. Più nessun rispetto. Non rispetto per l'età, non rispetto per il rango.

Admeto                         - Parla, amico. Ti stiamo ad ascoltare

Aristodemo                   - Sarò breve, Admeto. Si è deciso che la statua che sarà elevata in onor tuo, sia composta di due figure. Tu e la tua sposa, oppure tu e il tuo cavallo.

Admeto                         - Ho capito.

Aristodemo                   - La scelta dipende solo da te. Chi sarà la seconda figura?

Admeto                         - (dopo un istante di riflessione in cui gli si legge in viso lo sforzo di confrontare mentalmente l’effetto delle due figure proposte) Mia moglie.

Alcesti                           - No,

Admeto                         - Il cavallo 1 No.

Alcesti                           - È giusto che un grande eroe come Admeto sia eternato in un marmo da collocarsi in luogo pubblico. Ed è giusto, altresì, che il cavallo di Admeto, che lo portò in combattimento e divise con lui i pericoli, sia chiamato a dividere la sua gloria. Ma la moglie di Admeto non ha fatto niente di meritevole.

Admeto                         - No, Alcesti... non posso ammettere.

Alcesti                           - Ti prego. (Ad Aristodemo) Riferisci al Consiglio che la figlia dì Pelia si ritiene indegna di figurare accanto al proprio marito agli occhi della posterità.

Admeto                         - Alcesti...

Alcesti                           - Ho preso la mia decisione.

La Sentinella                 - (dall'alto della torre) Una nube di polvere sulla strada maestra. Un cocchio! Ercole!...

Admeto                         - Ercole! Qui!

La Sentinella                 - Il semidio, il figlio di Giove, s'avvicina al palazzo!

Ckitone                         - Ma si diceva che fosse a Creta a dar la caccia a non so che mostro mangiafuoco.

Alcesti                           - Pensa! Ha fatto tutta questa strada per venire a congratularsi con noi.

Admeto                         - Credi?

Filodoro                        - Concedi che ci ritiriamo, Admeto.

Alcesti                           - Signori, si sta preparando il banchetto. Tutti i senatori sono invitati. Ci sarà musica e staremo allegri. (Fuori scena s'intende uno strepitìo di zoccoli) In giardino. Vi raggiungeremo subito. (Escono i se­natori, meno Ferete).

Ercole                            - (fuori scena) Salute, sentinella del palazzo di Admeto!

La Sentinella                 - Salute, Ercole!

Ercole                            - Il re è in casa?

La Sentinella                 - Entra e sii il benvenuto. (Ercole entra).

Ferete                            - Salute, Ercole.

Ercole                            - Salute, Admeto. Salute, amici. Bene, Bene! Che battaglia! Che vittoria!

Admeto                         - Hai saputo?

Ercole                            - Cosa credi? E cos'altro c'è da sapere? In tutta la Grecia non si parla che di questo.

Admeto                         - No? Davvero?

Alcesti                           - Vedi? Admeto ci voleva far credere che non era niente.

Ercole                            - Niente? Oh, no, non direi. Quel toro era una bestia piuttosto dura.

Alcesti                           - Toro?

Ferete                            - Che toro?

Admeto                         - Io non ho mai combattuto con tori...

Ercole                            - Ma io sì, figliolo. Io sì. E ti assicuro che è stato un bel combattimento.

Admeto                         - Ah? Tu hai combattuto.

 Ercole                           - Per tre ore mortali ha seguitato a caricarmi a cornate, cercando di darmi fuoco con le fiamme che gli divampavano dalle froge. Ma alla fine ho trovato il modo di ridurlo alla ragione. Gli sono saltato in groppa. L'ho serrato forte fra le gambe. E ho cominciato a torcergli la coda. Vi ren­dete conto?

Critone                          - Cerchiamo.

Ercole                            - Questo non gli andava proprio. Faceva il matto, girava su se stesso. Partiva di galoppo. E più lui faceva il matto, più io gli torcevo la coda. Buttava fuoco e fiamme. Incendiò mezzo paese. E io continuavo a torcergli la coda. Continuai a torcere finche l'ho cacciato fuori di Creta e dentro le pagine della storia.

Admeto                         - Davvero?

Ercole                            - E così è finita la settima fatica dì Ercole. Vi prego, amici, basta con i rallegramenti. Mi mettono soltanto in imbarazzo.

Alcesti                           - Ho il piacere di comunicarti che mentre tu eri occupato a tirar la coda al toro, Admeto ri­portava una grande vittoria.

Ercole                            - Splendido, Admeto, splendido. Molto bene, figliolo. Devo dire che mentre me ne stavo laggiù, la gente di Creta si è dimostrata molto per bene. Il suo entusiasmo è stato forse fin troppo caloroso. Che cosa ho fatto, dopo tutto? Ho ammaz­zato un toro. Bè, era un toro fuori del comune, una specie di fornace galoppante... Ma, in fondo...

Alcesti                           - Admeto ha catturato settecento prigionieri. Con una mano sola.

Ercole                            - Molto bene, Alcesti, molto bene. Bravo, figliolo. Beninteso, ho rifiutato la sovranità che mi volevano offrire e le quarantotto vergini che avrebbero voluto che impalmassi. Quarantotto ver­gini! Si vede che ragionavano ancora in termini di toro. Però non son riuscito ad impedire che questi Cretesi mi dedicassero un sacco di templi e cose del genere...

Alcesti                           - (sempre più seccata) I Tessali hanno deliberato di innalzare una splendida statua ad Admeto.

Ercole                            - Oh, davvero? Bella seccatura, figliolo... Sono stato in posa tutta la settimana. Me ne stanno facendo dodici o quindici... non ricordo... (Entra Cratilo, sbuffando)'.

Cratilo                           - Signora, gli ospiti si sono raccolti. Il banchetto è pronto...

Alcesti                           - (con sussiego) Vieni, Admeto. Rag­giungiamo gli invitati.

Admeto                         - (ad Ercole) Spero che avremo il piacere della tua compagnia.

Ercole                            - Certo, Admeto. Certo che sì. Ho pro­prio in mente di passar la notte qui.

Admeto                         - Sei più che bene accetto. Critone, affido a te il nostro ospite e l'onore della casa.

Ercole                            - Grazie. Grazie. (Mentre Admeto at­traversa la scena per uscire con Alcesti) Così hai cat­turato sette prigionieri? Molto bene.

Alcesti                           - Settecento.

Ercole                            - Molto bene, figliolo. Molto bene. Molto promettente. (Escono tutti, tranne Ercole e Critone) Magnifica coppia. Magnifica. (Si volge a Critone) Ed ora, gli affari.

Critone                          - Affari?

Ercole                            - Sì, amico mio, affari. Grifone, sai tenere un segreto?

Critone                          - Fino a un certo punto.

Ercole                            - Sono venuto a salvare Admeto.

Critone                          - A salvarlo, da che cosa?

Ercole                            - È in grande pericolo...

Critone                          - Davvero?

Ercole                            - Stamattina, amico mio, mentre andavo in Tracia dove ho certe faccende da sbrigare, verso mezzogiorno capitai ad una biforcazione non lontana da questa città. Qui, ai piedi di una statua di Apollo, stava seduta una pastorella che badava al gregge. Una bella figliola affascinante, uno splendido tipo di bionda.

Critone                          - Sì? E credi che abbia idee su Admeto?

Ercole                            - No. No... Era una ragazza istruita. Mica una di quelle stupidi vergini, capisci? Mi son seduto vicino a, lei e abbiamo cominciato una discus­sione su Omero. Tu conosci la mia passione per i classici. La ragazza aveva delle opinioni interessanti... punti di vista notevoli...

Critone                          - Ma questo pericolo?

Ercole                            - Così che da un momento all'altro mi ritrovai impegnato in una piccola lotta... con questa ragazza...

Critone                          - Si capisce. Naturalmente.

Ercole                            - Quando improvvisamente, dal cielo, udimmo una voce.

Critone                          - Una voce?

Ercole                            - Che mi ordinava di balzare in piedi immediatamente e di correre al palazzo di Admeto.

Critone                          - E così sei balzato immediatamente in piedi...

Ercole                            - No, no, amico mio, no. Quella povera ragazza aveva una paura di morire. Ho dovuto farle coraggio, calmarla un po' e via dicendo quando improvvisamente... ffft! un fulmine ci venne a scoppiare proprio sui piedi e subito dopo si sentì uno spaventoso rombo di tuono. A questo punto balzai rapidamente in piedi e mi precipitai.

Critone                          - Vedo.

Ercole                            - Solo papà parla questo linguaggio, capisci. E quando parla si fa obbedire con maniere persuasive. E mentre mi precipitavo, ricominciò la voce.

Critone                          - E, naturalmente, ripetè ciò che aveva già detto.

Ercole                            - No. Critone, sai chi viene qui stasera?

Critone                          - Chi vien qui stasera?

Ercole                            - La Morte. (Una breve pausa, durante la quale si odono distintamente le musiche e le risate che risuonano in giardino).

Critone                          - La Morte?

Ercole                            - Verrà dopo il tramonto, per Admeto. Sì, mentre il palazzo è colmo di musica e le coppe tintinnano e il giardino risuona di risate e di com­plimenti, la Morte lo verrà a cercare.

Critone                          - Permetti, Ercole,, che ti domandi se non ti sei affaticato troppo con le tue gesta?

Ercole                            - Perché? Ti sembro giù?

Critone                          - Fisicamente, no.

Ercole                            - Oh, credi che sia uscito pazzo?

 Critone                         - Bè, amico mio, tu sai che di regola c'è ben poco da fare contro la Morte.

Ercole                            - Non ti preoccupare. Ho un piccolo piano.

Critone                          - Sì?

Ercole                            - Come la Morte mostra la sua brutta faccia io le salterò addosso. La coglierò alla sprov­vista, la serrerò in queste braccia, le schiaccerò le costole finché crocchieranno come castagnette...

Critone                          - Ma...

Ercole                            - Insomma, non le darò fiato fintanto che non avrà acconsentito a lasciare la vittima.

Critone                          - Non capisco bene. La Morte, gene­ralmente parlando, è invisibile. Va e viene e nessuno la vede.

Ercole                            - Io l'ho vista parecchie volte....

Critone                          - Davvero?

Ercole                            - Certo. Come no? La conosco benissimo di vista. Tutte le volte che comincio una fatica c'è anche lei, che gira attorno ad un cespuglio, attorno ad un albero, in attesa del momento opportuno. Ho sempre saputo che un giorno o l'altro sarei dovuto venire a ferri corti con lei. E adesso, quel giorno è arrivato.

Critone                          - Ercole, ciò che mi stai dicendo è as­solutamente incredibile, dalla prima parola all'ultima.

Ehcole                           - Non mi credi?

Critone                          - Bè, in fondo tu sei un tipo fuori del comune, e i tuoi antenati sono di un genere un po' particolare. Quando senti voci è probabile che queste voci vogliano dire qualcosa. E quando tu attacchi all'intangibile può darsi che lo faccia urlare. Andiamo a cena.

Ercole                            - Io no. Io debbo riconoscere il terreno. Devo dar un'occhiata in giro. Bisogna che mi prepari.

Critone                          - Riconosci il terreno, amico mio. Dà un'occhiata in giro. Preparati.

Ercole                            - C'è poco tempo. Appena il sole va sotto mi metto alle costole di Admeto. Mi appic­cicherò a lui come una mignatta. Non lo perderò d'occhio un momento.

Critone                          - Vuoi dire che gli starai accanto tutta notte?

Ercole                            - Tutta notte.

Critone                          - Sarà mica tanto facile. Dopo un po' Admeto comincerà a trovare che la tua compagnia è un peso inutile.

Ercole                            - E perché? La mia conversazione è sempre divertente.

Critone                          - Già. Ma sono tre settimane che non vede sua moglie.

Ercole                            - E sono sei mesi che non vede me.

Critone                          - Hai ragione, Ercole. La tua conver­sazione è sempre divertente.

Ercole                            - Si capisce. Per adesso, non dire niente ad Admeto. Non voglio spaventarlo a morte.

Critone                          - No, no. (Attraversa la scena per uscire) Appena l'avrai abbrancata, avvertimi: mi pia­cerebbe vedere.

Ercole                            - Sì, sarà interessante.

Critone                          - Come dirlo. (Esce).

Ercole                            - (scruta intorno con aria professionale, poi adocchia la sentinella sulla torre) Sentinella!

La Sentinella                 - Ti ascolto.

Ercole                            - Vieni giù da quel pollaio. (La sentinella scende) Vieni qui.

La Sentinella                 - Sì, signor Ercole.

Ercole                            - Ti consideri una buona sentinella? Pratica? Efficiente? Di fiducia?

La Sentinella                 - Sì, signor Ercole.

Ercole                            - Hai la vista buona?

La Sentinella                 - Ottima.

Ercole                            - E la voce?

La Sentinella                 - Robusta.

Ercole                            - Bene. Il sole è tramontato?

La Sentinella                 - Non ancora.

Ercole                            - Dove dà quella porta?

La Sentinella                 - Nell'interno del palazzo.

Ercole                            - Come pensavo. E quella?

La Sentinella                 - Nel giardino.

Ercole -                         - Come supponevo. Altre entrate?

La Sentinella                 - Soltanto le porte posteriori e laterali.

Ercole                            - Proprio'come temevo. Vieni con me. Andiamo a fare un giretto d'ispezione.

La Sentinella                 - Ma io devo stare sulla torre.

Ercole                            - Il nemico non verrà dalla torre, amico mio.

La Sentinella                 - Il nemico? Ma, Ercole, siamo in pace.

Ercole                            - Non siamo mai in pace. (Ercole e la sentinella escono. Dal giardino giunge l'eco della musica. Entrano, un dopo l'altro, Alcesti ed Admeto).

Admeto                         - Cara... finalmente siamo soli.

Alcesti                           - Vieni...

Admeto                         - Aspetta... Conosci questo profumo che viene dalle colline?

Alcesti                           - Sì. Sono i fiori del mandorlo.

Admeto                         - Non ti fa venire nulla in mente?

Alcesti                           - Il frutteto nel palazzo di mio padre a Jolco. In aprile, per miglia, l'aria sembrava profumo.

Admeto                         - E ti ricordi un certo aprile...

Alcesti                           - Sì, Admeto...

Admeto                         - ... in cui un certo giovanotto, dopo aver educatamente atteso tutto il giorno che tuo padre arrivasse alla fine dei suoi interminabili discorsi, si decise ad alzare i tacchi, prima che se rie fossero andati gli altri postulanti...

Alcesti                           - Soltanto per tornare la sera a gettare sassolini contro le mie imposte.

Admeto                         - Soltanto per attendere ore intermi­nabili nell'oscurità, sotto i mandorli...

Alcesti                           - Fino a quando papà si decise finalmente a prender sonno.

Admeto                         - E allora, por un po'...

Alcesti                           - Il nostro amore ebbe il profumo dei fiori del mandorlo...

Admeto                         - Poi improvvisamente ti ricordasti di tuo padre e ti precipitasti a casa, spaurita... e mi lasciasti solo... col mio amore... e i mandorli...!

Alcesti                           - Povero caro! Lo so! È stata una cosa crudele, da parte mia. Ma questa sera, non mi pre­cipiterò in casa senza te... questa sera... (Entra Ercole) Oh!

Ercole                            - Non fate attenzione a me. Andate pure avanti in quel che stavate facendo. Noi due diamo solo un'occhiata in giro. (Esce con la sentinella).

Admeto                         - È andato al banchetto... Conosci quella stella?

Alcesti                           - Certo. È Espero. È la nostra stella.

Admeto                         - Una notte dopo l'altra, in mezzo alle tende e ai soldati, ho volto gli occhi a lei, nel desiderio del mio amore...

Alcesti                           - Ed io lo stesso, Admeto...

Admeto                         - Pur sapendo che se avessi allungato il braccio non avrei stretto la mano bianca di Alcesti, ma la scarpaccia chiodata di Zoilo.

Alcesti                           - Stanotte non stringerai la scarpaccia chiodata di Zoilo, tesoro...

Admeto                         - No. Stanotte non ci sarà un padre severo a tenerci lontani, ne le montagne di Tessaglia, né dovremo perdere gli occhi dietro ad una stella. Questa è la nostra casa. Questa è la nostra notte. Non c'è niente che ci separi. Siamo soli col nostro amore.

Alcesti                           - E io ti adoro.

Admeto                         - Senti, Alcesti, come in quest'istante consacrato all'amore le acque mormoranti azzittiscono...

Alcesti                           - Per noi...

Admeto                         - E gli alberi distendono i rami? E la terra è raccolta come una sposa nelle braccia della notte? Ascolta... Afrodite cammina in mezzo a noi... (Entra Ercole con la sentinella).

Ercole                            - Bella serata. (Alla sentinella, che sale al suo posto di vedetta) Ci vediamo più tardi. (Ad Admeto) Bene, ho finito il mio giretto. Ho dato occhiata alla casa... Sembra graziosa...

Admeto                         - Sì. Bene... grazie per l'ispezione... Bè, buona notte.

Ercole                            - (si mette a sedere) Splendida serata.

Admeto                         - Magnifica. Stavamo proprio per ri­tirarci.

Ercole                            - No, no, no. Mi meraviglio di voi, amici, Ho fatto tutta questa strada per stare un po' in­sieme; mi dite buona notte e sparite. È questo il modo di trattare gli ospiti? Andiamo, Alcesti, siediti. Facciamo quattro chiacchiere, beviamo qualcosa.

Alcesti                           - Ma tu hai fatto un lungo viaggio, Ercole. Devi essere molto stanco.

Ercole                            - Sono vispo come un grillo. Vispo come un grillo.

Admeto                         - Ercole, povero amico mio, io lo vedo che sei stanco. Non riesci più a tenere gli occhi aperti. Discorreremo domani. Adesso va a riposare.

Ercole                            - Io non riposo mai, figliolo, io non riposo mai.

Alcesti                           - Non vuoi che ti presti un bel libro?

Ercole                            - Per farne?

Alcesti                           - Per leggere.

Ercole                            - Io non leggo mai, mia cara, io non leggo mai.

Admeto                         - E allora perché non vai a raggiungere gli ospiti in giardino? C'è un flautista ch'è una me­raviglia.

Ercole                            - Preferisco star qui, Admeto. Prefe­risco starmene seduto qui a godere la serata chiac­chierando con i miei amici. Dimmi, qual è quella battaglia che hai vinto ?

 Admeto                        - Francamente, Ercole, quella battaglia che ho vinto comincia a seccarmi.

Ercole                            - Ah, sì. Capisco. Bè, allora vi racconto la mia impresa.

Alcesti                           - Ci hai già raccontato la tua impresa, Ercole.

Ercole                            - No, no, no... non quella; quella era una cosa da niente. Superata. Le  voglio parlare di qualcosa di nuovo, di un lavoro che devo fare in Tracia. Una cosa veramente divertente.

Alcesti                           - Scusatemi. L'aria si è fatta frescolina. Credo che farò meglio ad andare in camera mia, Admeto. Buona notte, Ercole.

Ercole                            - Oh, buona notte, buona notte. (Alcesti esce) Sembra che le mie gesta non l'appassionino. Donne! Ma tu ascolta solo questa...

Admeto                         - Ercole, amico mio, tu sai che sono uno dei tuoi più fervidi ammiratori e che seguo le tue fatiche col massimo interesse. Questa volta, però, credo di poter aspettare fino a domani.

Ercole                            - Ah, dici così perché non sai di che cosa si tratta. Aspetta che ti abbia messo sul gusto. Diomede... ehi Le cavalle dì Tracia! Eh!

Admeto                         - Be'?

Ercole                            - Oh... ma non hai sentito1? Ecco, vedi: questo Diomede di Tracia era un giovanotto per­fettamente a posto e via discorrendo finché un giorno gli venne l'improvvisa fantasia di tagliare la testa a suo padre dopo di che proseguì decapitando gli zìi e le zie e gli altri membri della famiglia reale fintanto che ebbe fatto spezzatino di tutti quanti. Ammetterai che questo è già un fatto fuori del comune...

Admeto                         - Certo, Ercole. Però...

Ercole                            - Ora, che cos'hanno di speciale le sue cavalle? Non mangiano fieno. Non mangiano biada. Non mangiano orzo. E allora che cosai Mangiano esclusivamente carne umana. Stracciano gli uomini coi denti... Ah, vedo che rabbrividisci.

Admeto                         - L'aria sta proprio diventando fresca.

Ercole                            - E adesso arriviamo al punto più in­teressante. Queste cavalle, come erano venute in possesso di Diomede! Se le era allevate luìl Le aveva comprate! Le aveva avute in donol No. Gli erano semplicemente piombate un bel giorno in scuderia, dal nulla. E qual era questo giorno! (Con enfasi, scandendo la parole) Proprio - il - giorno - preciso - in cui - aveva            - ammazzato - suo                         - padre!

Alcesti                           - (fuori scena, dolcemente) Admeto...

Admeto                         - Vengo, tesoro, vengo.

Ercole                            - Hai capito, figliolo, cominci a renderti contol Queste cavalle non sono affatto cavalle. Sono fu­rie. Fiutano il sangue da lontano. E come ti capitano addosso, ti annusano freneticamente e poi comincia la carneficina, fino a che rimane un brandello... Naturalmente, io non mi sono mai voluto impicciare in beghe di famiglia.

Admeto                         - (sbadigliando) Bè, è la cosa migliore. E adesso, credo proprio che se andassi a raggiungere Alcesti sarebbe una buona idea.

Ercole                            - Buona idea. Andiamo a raggiungerla.

Admeto                         - Ma, Ercole, è andata a letto.

Ercole                            - Andiamo a letto.

 Admeto                        - Caro amico, non so come fare a chia­rirti la situazione...

Ercole                            - Non c'è niente da chiarire, Admeto. Non c'è niente da chiarire. Tu sei stato un po' dì tempo senza vedere tua moglie...

Admeto                         - Esattamente.

Ercole                            - E adesso vuoi stare con lei.

Admeto                         - Proprio così.

Ercole                            - Perfettamente naturale. Andiamo.

Admeto                         - Ma, Ercole!

Ercole                            - Oh, io sono uomo dì mondo, Admeto.

Admeto                         - Questo lo sappiamo. Ma...

Ercole                            - Sì. Niente di umano mi è estraneo.

Admeto                         - Ogni cosa ha un limite, Ercole, anche l'ospitalità. Buona notte.

Ercole                            - Non precipitare le conclusioni, Admeto. Dopo tutto, posso avere le mie ragioni.

Admeto                         - Quali ragioni!

Ercole                            - Temo che questa notte tu abbia a fare un brutto incontro, Admeto. Perciò desidero esserti vicino.

Admeto                         - Mi meraviglio di te, Ercole. Davvero!

Ercole                            - No, no... non mi riferisco ad Alcesti, con questo incontro.

Admeto                         - Non ti riferisci ad Alcesti  E a chi, allora!

Ercole                            - Bè, se la vuoi proprio sapere a... alla Morte. (Admeto scuote la testa sorridendo) Spero di non averti fatti paura. Va tutto bene. Non preoc­cuparti. Hai fiducia in me! Bene.

Admeto                         - Sfammi a sentire, Ercole. Dieci anni fa, un mendicante giunse a questa casa. Veniva dalle colline, sudicio, carico di pidocchi, e chiedeva un tozzo di pane. Mio padre stava per cacciarlo in malo modo quando posai gli occhi su di lui e, non so per quale ragione, lo presi subito in simpatia. Gli diedi abiti e cibo e, in breve, diventammo amici. Non ti stupire. Quel mendicante aveva le maniere e il portamento di un Dio. Infatti, era un Dio.

Ercole                            - Ebbene

Admeto                         - Ebbene, da quel giorno ad oggi, una potenza invisibile veglia sulle mie fortune. Subito dopo che il mendicante ci ebbe lasciati, mio padre che era sul trono da tempo immemorabile fu im­provvisamente colto da un accesso di singhiozzo. Il singhiozzo gli durò sei mesi: nel frattempo io divenni re. In seguito ebbi bisogno di una moglie. Fra i mille pretendenti alla mano di Alcesti, io fui l'eletto. E avanti, avanti di questo passo. Vinco sempre, a tutte le lotterie. In battaglia esco sempre vincitore. La prosperità del mio regno è miracolosa. Insomma, amico mio, commetterei veramente sacri­legio se mi, preoccupassi di qualcosa. Ho il cielo che mi protegge.

Ercole                            - Ma tu sei mortale.

Admeto                         - Non del tutto.

Ercole                            - Andiamo, andiamo, Admeto. Tutti siamo soggetti alla Morte.

Admeto                         - Io no... Prima che il divino men­dicante lasciasse la mia casa, ebbi con lui uno scambio di idee intorno alla Morte. Risultato, fu una specie di compromesso con gli dèi dell'oltretomba. La Morte non ha alcun potere su di me. Perciò molte grazie. E buona notte.

Ercole                            - Un momento. Se sei così "ben messo con la Morte, perché mi hanno mandato a salvarti?

Admeto                         - Non ne ho la più piccola idea. Tutto ciò che ti posso dire è che mi è stato assicurato con più grande attendibilità che io non sono a portata della Morte. Se stanotte viene qui, non è per me.

Ercole                            - Admeto...

Admeto                         - Naturalmente, se desideri farti credere mio salvatore non ho niente in contrario, domani o quando vuoi, a testimoniare che sei venuto qui e mi hai salvato la vita.

Ercole                            - Per gli dèi immortali, Admeto, ho proprio l'aria di uno che voglia far credere qualcosa! Sei pazzo. Faccio quel che faccio, per te. Ti rendi conto che per causa tua ho piantato una ragazza meravigliosa disperatamente seduta lungo la strada come una bestia? Per amor tuo, mi sono strappato da lei proprio nel momento critico.

Admeto                         - Allora per amor mio...

Ercole                            - Bè?

Admeto                         - Torna da lei.

Ercole                            - Admeto, non tentarmi. È una bella notte di luna. Però, dopo tutto, sono venuto a sal­varti la vita...

Admeto                         - Ma la mia vita è già salva.

Ercole                            - No, no, Admeto...

Admeto                         - Va a salvare la ragazza, Ercole. Va a salvare la gente di Tracia. Va a salvare chi vuoi. Ma, in nome di Giove, non star qui a salvare me, ti prego. (Entra Cratilo con due caraffe di vino. Admeto le prende e ne pone una in mano a Ercole) Ecco. Ed ecco. Vino di Chio. Del migliore. (Cratilo ne va a prendere dell'altro).

Ercole                            - Perché?

Admeto                         - Per la pastorella. Con tutti i miei auguri.

Ercole                            - Admeto, non precipitiamo le cose. La voce mi ha detto...

Admeto                         - Sentinella!

La Sentinella                 - Signore!

Admeto                         - Dà una mano al signor Ercole. Sta per partire. (La sentinella scende).

Ercole                            - ' Ricorda: io sono soltanto di carne ed ossa, Admeto. Ma mi domando: sei ben certo che questa sia la decisione migliore?

Admeto                         - Per me è la migliore. Per la regina è la migliore. Per la ragazza è la migliore. E anche per te non può essere cattiva. Addio. (La sentinella prende la clava e la bisaccia di Ercole. La clava, però è troppo pesante per lui, così che la sentinella si limita a trascinarla).

Ercole                            - Spero che tu abbia ragione.

Admeto                         - Sì. Sì.

Ercole                            - Perché se hai torto...

Alcesti                           - (fuori scena) Admeto...

Ercole                            - ... papà se la prende con me. (Esce seguito dalla sentinella).

Admeto                         - Sì, cara. (Entra Alcesti) Finalmente se n'è andato.

Alcesti                           - Dio sia lodato. (La musica cresce d'intensità. Essa gli si getta fra le braccia) Oh, Admeto... (Si baciano) Perché rabbrividisci?

Admeto                         - Non fa freddo?

Alcesti                           - No. È abbastanza caldo.

Admeto                         - Ho sentito freddo, improvvisamente. Andiamo in casa.

Alcesti                           - Prima, dammi un bacio.

Admeto                         - Ahi!

Alcesti                           - Oh, caro. Ti fa ancora male?

Admeto                         - Soltanto una fitta. Non è niente. Vieni, andiamo in casa.

Alcesti                           - Sì, andiamo in casa. Andiamo in casa. (Passano all'interno. Fuori scena la musica, di soli strumenti a corda, si alza appassionatamente. Entra la Morte, vestita di nero. È un giovane delicato, bel­lissimo. Si sofferma nel centro della scena e allunga una mano nella direzione in cui è uscito Admeto. La musica si fa più forte e profonda).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

(Un'ora dopo. All'alzarsi del sipario la scena è illuminata da torce piantate in appositi reggitorcia infissi alle pareti. Cratilo è fermo nel centro della scena, attorniato da un gruppetto di gente eccitata ch'egli cerca di persuadere alla calma. Il banchetto in giardino evidentemente continua, perché seguitano a giungere echi di musica, di risate e di acclamazioni. Si è levata la luna. Sulla torre c'è una seconda sentinella).

Cratilo                           - No, no, no...

Rodante                        - Cratilo, dì la verità...

Cratilo                           - Ma se ho appena finito di dirvi...

Mirtilla                          - L'ho sentito io, con le mie orecchie...

Cratilo                           - Non è successo niente. Non è successo proprio niente...

Cloe                              - Hai detto che si è sentito male... (Entra Eliodoro).

Filodoro                        - Ho capito bene? Admeto sta male?

Cratilo                           - No, no... (Entra Aristodemo).

Aristodemo                   - È vero? Il re è ammalato?

Cratilo                           - Un po' di vertigini... la ferita...

Aristodemo                   - È ferito?

Filodoro                        - È grave? (Entra Grizia).

Crizia                            - C'è pericolo?

Cratilo                           - Si è sentito improvvisamente male. Questo è tutto quello che so. È con Critone. Critone lo sta assistendo.

Mirtilla                          - La regina è informata?

Cratilo                           - La regina è in camera sua che dorme. Non abbiamo voluto disturbarla. (Entra Critone. Tutti gli si affollano intorno ansiosamente).

Aristodemo                   - Critone, è una cosa seria?

Filodoro                        - Sta proprio male?

Crizia                            - Parla, Critone. La verità.

Critone                          - Non c'è ragione d'allarmarsi. Vi prego di tornare tutti ai vostri posti. Il re desidera che stiate allegri.

Cratilo                           - Signori. Signore. Prego. I danzatori stanno per cominciare.

Aristodemo                   - Filodoro...

Filodoro                        - Crizia... (Parlottano fra loro, poi escono precipitosamente. Anche le donne escono in varie direzioni).

Critone                          - (a Cratilo, col quale è rimasto solo) Tro­vami Ercole.

Cratilo                           - Il signor Ercole!

Critone                          - Subito.

Cratilo                           - Il signor Ercole se n'è andato.

Critone                          - Andato, dove?

Cratilo                           - Via. Ha lasciato la città.

Critone                          - Allora, tutto è perduto. .

Cratilo                           - Tutto è perduto?

Critone                          - La freccia era avvelenata. E il veleno ha raggiunto un organo vitale. Admeto è spacciato.

Cratilo                           - Vuoi dire... non è possibile...

Critone                          - Sì. È agli estremi. Entro un'ora sarà morto.

Cratilo                           - Ma si può fare qualcosa, certamente... « tu » puoi fare qualcosa.

Critone                          - Io non posso far niente.

Cratilo                           - Ma in questo caso... (Entrano lentamente Zoilo e Ferete sorreggendo Admeto).

Critone                          - Sarà meglio informare la regina.

Admeto                         - No. No, non disturbatela. Non c'è nessun pericolo. In nessun modo, c'è pericolo. (In­dica una panca nel centro) Fatemi sedere là. (Si mette a sedere faticosamente, ma non ha ancora perduto il buon umore. Si volge a Zoilo) Portami una clessidra.

Critone                          - Non c'è alcun pericolo! (Zoilo esce).

Admeto                         - Sai benissimo che non sono in punto di morte, Critone.

Critone                          - Parlando come medico...

Admeto                         - Qui non è questione di medicina, Critone. Tu ricordi certamente quel misterioso mendicante al quale detti ospitalità... .

Critone                          - Sì, Admeto.

Admeto                         - Allora devi anche ricordare la promessa che mi ha fatto. Che quand'anche fosse giunta la mia ora, la morte si sarebbe potuta rimandare.

Critone                          - Ricordo.

Admeto                         - E allora? Dov'è il pericolo!

Critone                          - Ricordo anche la condizione.

Admeto                         - Che era semplicissima.

Critone                          - Perché la tua morte possa essere rimandata si deve trovare qualcuno che consenta di morire al posto tuo.

.Admeto                        - Naturalmente. Si capisce. Più semplice di così...

Critone                          - Ah! Più semplice di così... (Entra Zoilo con la clessidra).

Admeto                         - Mettila in modo che la possa vedere. (Zoilo depone l'oggetto ed esce) Io sono modesto, Critone, come tu sai. Non mi faccio illusioni sui miei meriti personali. Ma quel mendicante sapeva cosa si faceva. Se mi avesse dato coraggio e saggezza o qualche altra solida virtù del genere, non mi so­gnerei neanche di trovare qualcuno disposto a morire al mio posto. Ma mi ha dato la fortuna. Ora, poiché io sono fortunato il mio popolo è felice. Ed essendo felice è naturalmente grato.

 Critone                         - Credi!

Admeto                         - Certo. Non passa giorno che non mi ricordino la loro incrollabile decisione di morire per me, uno per uno o tutti insieme. L'hai sentiti anche tu, questo stesso pomeriggio.

Critone                          - Ma le cose sono alquanto cambiate, da allora.

Admeto                         - No, no... hai detto tu stesso che, come sei stato chiamato per venirmi ad assistere, tutti gli ospiti sono impalliditi.

Critone                          - Hanno fatto qualcosa di più che impallidire. Si sono messi a tremare. Avevano let­teralmente i brividi.

Admeto                         - Vedi la devozione?

Critone                          - No, la paura.

Admeto                         - Critone, amico mio, tu sei un celebre dottore, sei un grande filosofo, hai molte bellissime qualità... ma, com'è naturale, ogni creatura umana ha le sue piccole deficienze. Per quanto ti riguarda, la deficienza è da ricercarsi nell'inverosimile scet­ticismo del tuo temperamento. Per cui non hai la minima fede negli atteggiamenti più nobili della anima umana.

Critone                          - Non ho fede nelle illusioni.

Admeto                         - Io non sono né medico né filosofo. Ma conosco gli uomini. Ti voglio dare, ora, una lezione obiettiva, che muterà radicalmente il corso delle tue idee. È semplicissimo. In giardino ci sono un centinaio di invitati, più o meno. Va in mezzo a loro. Il primo che incontri, tu gli batti un colpetto sulla spalla, e gli dici che è giunto il momento.

Critone                          - Quale momento!

Admeto                         - Quello in cui il suo re deve morire.

Critone                          - Sì! E poi?

Admeto                         - Questo è tutto. Va, amico mio, va. Vedrai.

Critone                          - Molto bene, Admeto. (Si avvia per uscire).

Ferete                            - Un momento. Un momento. (Si schia­risce la gola) Io non sono niente, beninteso, sono soltanto un privato cittadino la cui opinione non ha alcun peso politico. Tutti lo sanno. Tuttavia, poiché nella presente circostanza mi sembrate com­pletamente disorientati, mi permetterò di farvi una piccola domanda. Questo individuo al quale Critone dovrebbe battere un colpetto sulla spalla, e tutto il resto... chi è?

Admeto                         - Come?

Ferete                            - Chi è questo tale?

Admeto                         - Uno che sarà felice di morire per il proprio re.

Ferete                            - E quali sono, di grazia, le sue condizioni? Nascita? Stato di famiglia? Salute? Opinioni politiche?

Admeto                         - Siccome ho soltanto un'ora da vivere, sarà meglio che rimandiamo a domani l'esame di queste questioni.

Ferete                            - Ah, vuoi rimandare a domani. Ma se il tuo uomo deve morire questa sera, domani sarà troppo tardi. Mi risulta, Admeto, che hai la abitudine di accogliere a palazzo, ogni sorta di tipi strani. Ora ti prego di volermi dire cosa succederebbe domani se si venisse a sapere che la persona sulla cui spalla stassera Critone ha battuto un colpetto è un ladro, un accalappiacani, un mezzano, o un anarchico.

Admeto                         - La morte varrà a nobilitarlo, chiunque esso sia.

Ferete                            - Anche ammettendo che l'individuo in questione sia degno di morire per il re, che cosa diranno gli altri? Chi diventerà geloso. Chi si of­fenderà. Chi penserà che la sua famiglia è disprezzata. Quante recriminazioni nasceranno1? Quante ferite che richiederanno anni per cicatrizzarsi? Non voglio intromettermi in alcun modo, domando soltanto... Hai riflettuto bene su questa faccenda?

Admeto                         - Papà, il tempo è prezioso.

Ferete                            - Ah, il tempo è prezioso. So benissimo che il tempo è in-ezioso. Troppo prezioso per com­mettere errori. Ci sono due modi per affrontare una faccenda di questo genere, uno è giusto e l'altro è sbagliato. Il solo modo giusto è questo: - Prima di tutto si deve nominare una commissione con le sue sottocommissioni per prendere in esame la lista degli eleggibili, scartare coloro che devono essere eliminati per ragioni politiche, stabilire la priorità delle condizioni e l'ordine di merito...

Admeto                         - Ma per far questo ci vogliono delle settimane...

Feeete                           - Però sarebbe corretto.

Admeto                         - Già, ma io non ho neanche più un'ora di vita.

Feeete                           - Così, tu preferisci avere chissà quanti rimorsi in avvenire.

Admeto                         - Non m'importa di avere qualche rimorso, papà, m'importa di avere l'avvenire.

Feeete                           - Benissimo. Come al solito, tu vuoi saperla più lunga. Tuo padre è un imbecille. Lo sanno tutti.

Admeto                         - Papà mi affido a te. Tu hai l'occhio infallibile. Palli venire tutti qui e scegli la persona che preferisci. Purché tu faccia in fretta.

Feeete                           - Ah, cominci finalmente a capire quanto ti è necessario tuo padre. Molto bene. Li farò venir qui tutti e presenteranno a me le loro qualifiche, uno per uno.

Admeto                         - Sì. Sì. Soltanto, alla svelta.

Feeete                           - (avviandosi per uscire) Però te lo dico prima; non accetterò nessun uomo in età militare, né persone indispensabili all'industria, al commercio, all'agricoltura, o ad altra attività essenziale, nessun professionista... insomma nessun individuo che sia in qualche modo utile allo Stato.

Admeto                         - E allora chi rimane?

Feeete                           - Le classi superiori. (Esce).

Admeto                         - ditone, la faccenda minaccia di andare per le lunghe. Ci saranno almeno cento candidati. Credi che vivrò fino alla fine?

Ceitone                         - Credo che ce la sbrigheremo subito.

Admeto                         - La selezione si farà, facilmente?

Ceitone                         - Molto. (Entra Ferete scuotendo la testa).

Feeete                           - Strano. Strano. Strano.

Admeto                         - Che cosa c'è di strano?

Feeete                           - Non c'è nessuno.

Admeto                         - Vuoi dire che non c'è nessuno suffi­cientemente qualificato.

Feeete                           - Non c'è più nessuno. Gli invitati. Le ragazze. Gli schiavi. I suonatori. Sono scappati tutti come conigli.

Admeto                         - Ma è assolutamente inverosimile.

Ferete                            - Già. Proprio come ho detto io.

Admeto                         - Dove possono essere andati?

Ceitone                         - A nascondersi.

Admeto                         - Che cosa possono avere in mente gli dèi? Ho fatto felice questo popolo. Ma sembra che non me ne sia particolarmente grato.

Ceitone                         - No.

Admeto                         - Comincio a capire, Critone. Dai ricchi è inutile attendersi gratitudine.

Critone                          - Proprio così.

Admeto                         - La base dello Stato sono i poveri. Sol­tanto tra i poveri troverò la vera devozione.

Critone                          - Credi?

Admeto                         - Non sei di questa opinione?

Critone                          - I poveri sono tali e quali ai ricchi, con meno quattrini...

Admeto                         - No, no. Critone. I ricchi sono cor­rotti moralmente. Guazzano nel lusso e credono solo nel piacere. Loro Dio è il denaro. E stata una pazzia attendersi un sacrifìcio da gente simile. Ma i poveri... i poveri possono permettersi di essere generosi, poiché non hanno nulla da perdere. Vaifra i poveri, amico mio, e il primo che incontri...

Ceitone                         - Ho capito. Un'altra lezione obiettiva.

Admeto                         - Bè, questa volta non dovremmo affidarci ciecamente alla sorte. Fai qualche ricerca. Trova qualcuno per il quale la vita non sia preziosa.

Critone                          - Dove?

Admeto                         - Sul gradino più basso della scala sociale.

Critone                          - (guardandolo di sotto in su) E come faccio ad arrivarci?,,,

Admeto                         - Di tanto in tanto, alla porta delle cucine, mi ricordo di aver osservato un omarino cencioso che veniva a raccogliere i rifiuti della casa.

Ceitone                         - Lo spazzaturaio?

Admeto                         - Quello è il nostro uomo. Va a vedere se lo trovi, Critone. In fretta. (Critone esce).

Ferete                            - Ho capito bene le tue intenzioni, Admeto? Hai deciso di concedere ad un raccoglitore di immondizie la gloria di morire per il re?

Admeto                         - Esattamente.

Ferete                            - Spero ti renda conto di ciò che significa questo fatto!

Admeto                         - Significa che prendo la persona che gli dèi mi mandano.

Ferete                            - Ma commetti una scorrettezza nei confronti delle classi superiori.

Admeto                         - E le classi superiori non hanno commesso una scorrettezza nei confronti miei?

Ferete                            - Benissimo. Sai tu che cosa fai. Io non ho più niente da dire.

Admeto                         - E poi, io credo nella democrazia. Tutti gli uomini sono fondamentalmente eguali. Il Dio che è apparso in questa casa non si è presentato in paludamenti regali... ma negli stracci del men­dicante. (Entra Critone con lo spazzaturaio) Ah, eccoli.

Critone                          - Ecco il più basso gradino della scala sociale.

Lo Spazzaturaio            - Buona sera, Admeto.

Admeto                         - Avvicinati, amico mio, avvicinati.

Feriste                           - Non troppo, però. Non troppo.

Admeto                         - Da quanto tempo, amico, sei al ser­vizio della città?

Lo Spazzaturaio            - Trent'anni, Admeto, forse trentuno.

Admeto                         - E in tutti questi anni è la prima volta che c'incontriamo! Ma pensa! Eppure ho sempre saputo che c'eri anche tu. Sono imperdonabile. Bè, mi vergogno. Desideravo avere uno scambio d'idee con te da parecchio tempo. Ma come vuoi che facessi? Sempre affari di Stato.

Lo Spazzaturaio            - Anch'io sono stato molto occupato, Admeto.

Admeto                         - Si capisce, si capisce. Bè, ora che sei qui bisogna fare qualcosa. Mi è stato riferito che vivi una vita assolutamente intollerabile.

Lo Spazzaturaio            - (pesando le parole) No. No.

Admeto                         - (alquanto intrinato) Ah?... Bene, son lieto di sentire che non ti lagni. Però immagino che vita dev'essere, andare di porta in porta nel cuor della notte per prendere i rifiuti della città, magari con la speranza di trovare un osso rosic­chiato a metà o qualche boccone di frutta andata a male per calmar la fame... che vita!

Lo Spazzaturaio            - Non è mica così brutta. Non è così brutta.

Admeto                         - (di nuovo smontato) Ah? (A Critone) Sei sicuro che sia questo l'uomo che dicevo?

Critone                          - È proprio lui.

Admeto                         - Amico mio, mi par di capire che in­sisti a dichiararti contento della tua sorte, per quanto disperata, per rispetto a me. È un nobile atteggia­mento che torna tutto a tuo onore. Ma siamo franchi. Non sei piuttosto stanco di questa vita?

Lo Spazzaturaio            - No. No.

Admeto                         - Ah!... Ma come può essere?

Lo Spazzaturaio            - Ecco, Admeto, forse tu ne stupirai, ma sotto il tuo regno la raccolta dei rifiuti è diventata un'industria redditizia.

Admeto                         - Ah! (A Ferete) Sotto il mio regno là raccolta dei rifiuti è diventata una industria redditizia.

Lo Spazzaturaio            - Certo, Admeto, si capisce. Che cosa credevi? Una vittoria dopo l'altra. Un banchetto dopo l'altro. Prosperità in ogni dove... Credi a me, Admeto, ti si allargherebbe il cuore a vedere le montagne di rifiuti che ci sono nel tuo regno. Le immondizie di Atene e di Sparta non sono che una goccia nel secchio in confronto alle nostre. Non cambierei la spazzatura della nostra città con tutti i rifiuti del mondo.

Admeto                         - Davvero?

Lo Spazzaturaio            - Sì. Sì. L'industria fiorisce come una rosa.

Admeto                         - Però, amico mio, anche se si è enor­memente ingrandito, il tuo lavoro dev'essere molto monotono...

Lo Spazzaturaio            - Niente affatto. Neanche per l'idea. Sapessi, Admeto, le cose che si trovano nei mucchi d'immondizia. È una cosa eccitante. Non si può mai sapere. Qui c'è un anello, là un paio di pantofole in perfetto stato. Là un cappello quasi nuovo. Uno di questi giorni, quando, non hai tanto da fare, vieni in giro con me, Admeto. Sarai mera­vigliato a vedere quel che si trova, te lo garantisco io.

Admeto                         - Non ne dubito.

Lo Spazzaturaio            - Volevi domandarmi qualcosa?

Admeto                         - Bè, sì... Una cosetta da niente. Ma adesso mi sembra piuttosto imbarazzante...

Lo Spazzaturaio            - No. No, Admeto. Domandami ciò che vuoi. Pensa un po' se io mi trovo imbarazzato.

Admeto                         - Ecco, si tratta di questo... è una do­manda puramente formale. Non credi che, ad ogni, modo, preferiresti morire?

Lo Spazzaturaio            - Dio me ne guardi! Ah, se me l'avessi chiesto dieci anni fa, quando regnava tuo padre, avrei detto sì, subito... Ma ora, Admeto, grazie a te, spero di vivere in eterno.

Admeto                         - Capisco.

Lo Spazzaturaio            - C'è dell'altro?

Admeto                         - No.

Lo Spazzaturaio            - Allora, Admeto, se mi dai licenza vorrei tornare al lavoro. C'è stato un gran banchetto qui, e, non so per quale ragione, gli invi­tati se ne sono andati presto. C'è parecchia roba da raccogliere. Buona sera, Admeto.

Admeto                         - Buona sera. (Lo spazzaturaio esce) Non era questa la persona che gli dèi mi mandano.

Critone                          - No.

Ferete                            - Ah, vedi, vedi che cosa hai combinato con le tue idee progressiste? Hai mandato in rovina lo Stato. Sotto il tuo regno la gente, persino gli spazzaturai, è giunta... (con enfasi tragica) ad - amare -la vita! Bene! Direte che sono all'antica. Magari ai miei tempi le prigioni erano piene e i recipienti dell'immondizia vuoti; la gente poteva qualche volta morire un po' di fame nelle strade, ma almeno, a quei tempi, nessuno dimostrava una tale mise­rabile concupiscenza per la vita. Erano felici di morire un po' se necessario. E infatti morivano come mosche.

Critone                          - Admeto, credo che sia ora di chiamare la regina.

Admeto                         - (allegramente) No, no. Critone, non ce n'è bisogno.

Ferete                            - Eicordatene per l'avvenire, figliolo: l'uomo di Stato regola la propria politica in modo che i sudditi ogni tanto abbiano voglia di morire.

Admeto                         - Sì, papà, me ne ricorderò.

Ferete                            - Che fallimento! Che tragedia! Che Stato!

Critone                          - Admeto...

Admeto                         - Non c'è da preoccuparsi, Critone, ti assicuro.

Critone                          - Certo che no, Admeto. La morte è una funzione fisiologica perfettamente naturale. Ma è mio dovere avvertirti che il tempo volge rapi­damente alla fine.

Admeto                         - Schiocchezze. Può darsi che nel mio popolo i ricebi siano troppo egoisti e i poveri troppo felici per morire. Ma c'è qualcosa che si chiama dovere. C'è qualcosa che si chiama amicizia. Sta certo che gli dèi mi manderanno qualcuno. Vedrai... qualcuno capiterà all'improvviso... (Entra Zoilo. Tutti e tre lo fissano).

Zoilo                             - Admeto, la notizia è dilagata come fuoco greco. Nel palazzo non c'è più nessuno. Le caserme sono vuote. I soldati hanno disertato. La città sembra una tomba. (Gli altri si scambiano occhiate piene di significato).

Admeto                         - Zoilo...

Zoilo                             - Vigliacchi! Dopo tutto quello che hai fatto per loro. E proprio nel giorno della vittoria! Abbandonarti così!

Admeto                         - Zoilo, amico mio...

Zoilo                             - È un insulto! Una vergogna!

Admeto                         - Zoilo, tu sei il più coraggioso dei Tessali. Tutti sanno che sei capace di tenere la vita in conto di un bottone, quando il dovere lo comanda. In combattimento mi hai salvato la, vita centinaia di volte. So che me la salverai una volta di più. Non dir niente: avrai un funerale come in Grecia non si è visto mai. L'intero esercito ti accompagnerà alla tomba ed io stesso pronuncerò una magnifica orazione sul tuo sepolcro.

Zoilo                             - Admeto...

Admeto                         - La statua che avevano destinato a me, sarà invece innalzata a te. E anziché di marmo, sarà di oro puro e avorio, tale da destar ammirazione nei secoli futuri.

Zoilo                             - Admeto...

Admeto                         - Sì.

Zoilo                             - Io non desidero destare l'ammirazione dei Tessali nei secoli futuri.

Admeto                         - Ma la desterai per forza, Zoilo.

Zoilo                             - Credo di non avere alcun desiderio di una statua...

Admeto                         - Preferisci durare eternamente nella semplicità della tua grandezza? Bene, ciò è molto greco, Zoilo, molto greco.

Zoilo                             - E neppure apprezzo l'idea di uno splen­dido funerale...

Admeto                         - Veramente, Zoilo, la tua modestia è eccessiva...

Zoilo                             - Perdonami, ma... io non voglio morire. /

Admeto                         - (incredulo, a Critone) Che cosa dice?

Critone                          - Dice che non vuol morire.

Admeto                         - Incredibile! Tu, l'eroe di mille battaglie? Il più prode dei condottieri? Il più intrepido dei soldati?

Zoilo                             - Sono avvezzo a combattere, Admeto... ma...

Admeto                         - Ah, Zoilo...

Zoilo                             - Ma non sono abituato a morire. (Esce rapidamente).

Admeto                         - È una vergogna, Critone, una vergogna. Nessuno vuol morire.

Critone                          - Molto strano.

Admeto                         - Si direbbe che la fortuna mi ha lasciato. Comincio a pensare che avrei fatto meglio a non mandar via Ercole.

Critone                          - Vuoi che chiami la regina?

Admeto                         - No, non ancora, non ancora... Cer­chiamo di risparmiarle questo colpo, se ci riesce. Ci dev'essere qualcuno infelice, qualcuno che non ha niente da perdere, qualcuno che si renda conto di ciò che significa la mia morte.

Ferete                            - (portandosi al centro della scena) Che disgrazia! che disgrazia! E il destino avverso che mi costringe a veder morire prima di me il mio unico figliolo! Io che contavo di spirare in pace, da privato cittadino, lungi dal frastuono mondano, sono ora costretto ad uscire dalla dilettosa solitudine, dalla amata oscurità per riprendere di nuovo il fardello dello Stato. (Admeto e Critone lo fissano, si scambiano un'occhiata e tornano a guardarlo) Di nuovo dovrò prendere decisioni e impartire ordini. Dovrò tra­scinare nelle preoccupazioni questi pochi anni che mi rimangono. E, alla fine, non ci sarà un figlio che componga nel sepolcro il mio vecchio corpo.

Admeto                         - Ma, papà...

Ferete                            - Meglio sarebbe stato se fossi morto nel vigor della giovinezza. Che cosa ho fatto per meritarmi una sorte così maligna? Che delitto ho commesso? Che divinità ho offeso?

Admeto                         - Papà, se davvero pensi ciò che dici...

Ferete                            - Se lo penso? Se lo penso? Certo che lo penso. Come ti sentiresti, tu, alla mia età se ti trovassi a dover sopportare ciò che il destino ha ri­servato a me?

Admeto                         - Ma, allora, papà... non vedi? La ma­niera di evitare questo fardello c'è; ed è semplicissima.

Ferete                            - C'è una maniera? Che maniera? Non c'è nessuna maniera. Il destino non si può cambiare.

Admeto                         - Ma papà, poiché la mia morte ti dà tanto dolore...

Ferete                            - Andiamo, andiamo, figliolo: dolore, per modo di dire. Sono profondamente dispiaciuto. Nel dolore ci sei tu. Ma ciò che mi toccherà di soppor­tare, lo sopporterò virilmente.

Admeto                         - Ma papà, è così semplice...

Ferete                            - Bene, bene, non insistiamo più su questo punto e, ti prego, non cercare di consolarmi. Ho avuto abbastanza guai nella vita. Ho imparato a sopportarli con pazienza.

Admeto                         - Se muoio, nascerà un guaio che non potrai sopportare.

Ferete                            - E sarebbe?

Admeto                         - Il biasimo del popolo. Si dirà che, nonostante le tue vanterie, nell'ora della prova non ti sei precisamente coperto di gloria.

Ferete                            - Che scemenze vai dicendo?

Admeto                         - Si dirà, che non sarebbe poi stato un così gran sacrifìcio, alla tua età, rinunciare alla vita perché potesse vivere tuo figlio.

Ferete                            - Dove vuoi arrivare con queste chiac­chiere? A chi credi parlare? Ad uno spazzaturaio, o a un generale? Mi prendi per un idiota? 0 è la tua idea sull'arte di governare? Ma non importa, ti perdono. È evidente che hai la mente ottenebrata dal veleno che hai in corpo.

Admeto                         - Ho la mente chiarissima, Ferete. Sei tu che non vuoi capire.

Ferete                            - Stanimi a sentire, figliolo. Io sono tuo padre. Ti ho dato la vita. Ti ho dato un'educa­zione. Ti ho dato la sovranità dello Stato. Queste sono le cose che mio padre diede a me. Non si è dato il caso che mio padre sia morto per me, né che suo padre sia morto per lui. Per cui neanch'io sono ob­bligato a morire per te. Non è un'usanza greca. (Si avvia per uscire).

Admeto                         - Ma papà, papà, tu non hai che me al mondo. Non ti sentirai solo quando io sarò morto1?

Ferete                            - Se morissi io, mi sentirei ancora più solo. (Ferete esce. Admeto si passa una mano sugli occhi, quindi guarda tristemente la clessidra. Critone gli si avvicina. Admeto lo fissa con un raggio di speranza negli occhi).

Admeto                         - Critone...?

Critone                          - (scuotendo leggermente la testa) No.

Admeto                         - Allora è finita. (Critone annuisce lentamente) La morte sarà puntuale, non credi?

Critone                          - Sì.

Admeto                         - Non sarà una cosa allegra, quando verrà.

Critone                          - Farà presto.

Admeto                         - E quando sarò morto... il viaggio al fiume sotterraneo... sarà lungo, mi domando?

Critone                          - Nessuno è tornato a dircelo.

Admeto                         - E poi... berrò l'acqua del Lete e mi dimenticherò in eterno di me stesso?

Critone                          - Così dicono.

Admeto                         - Avrei dovuto dare ascolto ad Ercole... Però anche lui, che cosa avrebbe potuto fare? (Critone alza le, spalle. Admeto si solleva con maestà) Molto bene. Chiama la: regina,. (Critone s'inchina ed esce. Torna quasi subito).

Critone                          - La regina non c'è.

Admeto                         - Non c'è? Alcesti! (Alcesti appare silenziosamente fra le colonne. È vestita con grande splendore. Il suo atteggiamento è evidentemente mutato. Si comporta veramente da regina).

Alcesti                           - Eccomi, Admeto.

Admeto                         - Alcesti! (Critone esce. Alcesti si av­vicina ad Admeto).

Alcesti                           - Povero caro...

Admeto                         - Ascoltami, tesoro, sono nei guai. Ho avuto una fortuna incredibile per anni. Perciò non sono abituato al dolore come gli altri e mi riesce diffìcile dirti che cos'è sopravvenuto. La mia fortuna ha girato, Alcesti.

Alcesti                           - È la mia fortuna che ha girato, non la tua.

Admeto                         - (senza farle caso) Stammi a sentire. Devi essere coraggiosa. Quella scalfittura che mi hai vista sulla spalla... la freccia era avvelenata.

Alcesti                           - Lo so. Ho sentito.

Admeto                         - Sto per morire, Alcesti.

Alcesti                           - No, amore.

Admeto                         - (gli occhi improvvisamente gli si colmano di terrore, allunga un braccio) Guarda...

Alcesti                           - Dove?

Admeto                         - Accanto alla colonna all'estremo ovest.

Alcesti                           - Non c'è niente, tesoro.

Admeto                         - Non vedi?

Alcesti                           - C'è l'ombra della colonna nella luce lunare, e l'ombra del letto...

Admeto                         - È l'ombra delle Sue ali...

Alcesti                           - Non viene per te, Admeto.

Admeto                         - Sono in suo potere. Nessuno vuol morire per me. Nessuno ha il coraggio.

Alcesti                           - Credo che qualcuno ci sia.

Admeto                         - No. Per morire volontariamente per un altro occorre essere più che un uomo...

 Alcesti                          - Questo è vero, amore.

Admeto                         - Bisogna essere un Dio.

Alcesti                           - No. Bisogna essere una donna.

Admeto                         - Uomo o donna, se in città ci fosse stato qualcuno veramente disgraziato ci poteva forse essere qualche speranza. Ma il mio popolo è troppo felice per buttar via la vita.

Alcesti                           - Forse c'è qualcuno nel regno che non « è » felice.

Admeto                         - Chi?

Alcesti                           - Io.

Admeto                         - Lo so. Si capisce. È un brutto momento per te, Alcesti. Ma passerà. Sei giovane e fra qualche tempo i giorni oscuri si rischiareranno ancora nel sorriso.

Alcesti                           - Sono anni che non mi sento felice, Admeto.

Admeto                         - Vuoi dire, che non eri innamorata di me?

Alcesti                           - Ti adoro, amore.

Admeto                         - Allora, sono stato un cattivo marito?

Alcesti                           - Il migliore del mondo.

Admeto                         - Ma allora perché non ti sentivi felice, Alcesti? Perché?

Alcesti                           - Perché non sono mai stata degna di te, Admeto. Ti sono sempre stata inferiore. Io provengo da una razza di eroi e nelle vene mi scorre il sangue di Pelia... ma il destino mi ha voluto far nascere donna. Non ho mai avuto l'occasione di raggiungere la gloria come te, o la fama come Elena e Elettra. Oggi, quest'occasione si è presentata.

Admeto                         - Che cosa vuoi dire, Alcesti?

Alcesti                           - (si erge solennemente) Signore della Morte, protendi le mani sulla tua schiava. Se le parole degli dèi sono degne di fede, da questo mo­mento Admeto è sciolto dal tuo potere, e Alcesti è tua!

Admeto                         - (quasi in un soffio) No. Questo no.

Alcesti                           - Admeto, morirò per te.

Admeto                         - No, ti dico. (Con voce alterata, ener­gicamente) Fino a che non avrò dato il mio consenso, lo scambio non può essere fatto. E io... (scuote la testa).

Alcesti                           - Non dire di no!

Admeto                         - Non pagherò questo prezzo. (Si solleva) Non posso accettarlo.

Alcesti                           - (affannosamente, impaurita, guardandolo) Hai accettato.

Admeto                         - Che cosa dici?

Alcesti                           - Ti sei alzato in piedi, Admeto. I colori della morte hanno lasciato il tuo viso.

Admeto                         - No. No... sono ancora... ancora...

Alcesti                           - (in tono conclusivo) È fatta.

Admeto                         - (come abbagliato) L'ombra se n'è andata! Un flusso di forza torna a scorrermi dentro! (L'ombra scompare dalla parte dov'è Admeto).

Alcesti                           - È bello, Admeto? È dolce?

Admeto                         - Vivo di nuovo! Vivo!

Alcesti                           - (vacillando improvvisamente) Admeto... L'ombra!

Admeto                         - L'ombra?

Alcesti                           - La vedo. (Poi, con disperazione) Mi sento debole...

Admeto                         - (le si getta ai piedi) Oh, Alcesti! Che cos'è la vita per me, ora? Come posso sopportare la vita? Oh, Alcesti, Alcesti! Perché l'hai fatto?

Alcesti                           - In vita non ho avuto meriti. Ma la mia morte sarà gloriosa. Sarò ricordata. Sì, sarò ricordata.

Admeto                         - Finché avrò vita, il tuo nome sarà adorato a Pere.

Alcesti                           - (con uno spasimo improvviso) Ah...

Admeto                         - Amore...

Alcesti                           - L'ombra mi sovrasta.

Admeto                         - No... no...

Alcesti                           - Muoio. Ma finalmente sono degna di essere scolpita nel marmo accanto a te. (Entra Ferete, seguito da Mirlilla) Siamo eguali, finalmente.

Feeete                           - Admeto, tu mi hai deluso. Mi hai offeso profondamente. Ma io non sono uomo da... (Improvvisamente) Ma cos'è? Sei in piedi?

Mirtilla                          - Sssst. Guarda Alcesti.

Feeete                           - Cosa vuol dire? È vero? Ha fatto questo? (Admeto china il capo).

Mirtilla                          - Oh, Alcesti!...

Feeete                           - È opportuno, Admeto, che tu raduni il popolo.

Admeto                         - Il popolo è fuggito.

Feeete                           - Non è andato lontano.

Admeto                         - No. Non voglio profanare questo momento.

Feeete                           - Hai perduto la testa? Bisogna che tutti siano testimoni. Se no, si dirà che l'hai uccisa tu.

Admeto                         - Lasciali dire quel che vogliono. Non voglio estranei, qui.

Feeete                           - Non è solo una questione di sicurezza. Questa, che sta accadendo, non è una cosa di tutti i giorni. Bisogna che molti ne siano testimoni, così da poter far fede agli altri di ciò che hanno visto fino a che, o migliore delle donne, la tua fama abbia raggiunto gli estremi confini della terra!

Admeto                         - Non c'è tempo da perdere, Ferete. Non seccarla con la tua retorica.

Alcesti                           - Non mi secca affatto, caro. Ciò che dice è giustissimo.

Mirtilla                          - Oh, Admeto, che moglie perdi!

Alcesti                           - Non mi è più possibile restare con te, Admeto. Kaduna il popolo.

Feeete                           - (va ai piedi della torre) Sentinella! Sentinella della torre!

Seconda Sentinella       - (fuori scena) Ti ascolto.

Ferete                            - Chiama a raccolta i Tessali, che vengano qui, dai campi e dalle case. Un miracolo è accaduto. Admeto vivrà!

Seconda Sentinella       - Sia benedetto Giove, nelle mani del quale è la luce!

Ferete                            - Ma Alcesti muore!

Seconda Sentinella       - Alcesti?

Pesete                            - Alcesti muore. (La sentinella dà un colpo di gong. Poi un altro. E un altro).

Seconda Sentinella       - (fuori scena, a gran voce) Genti di Tessaglia! Genti di Tessaglia! Genti di Tessaglia, vi. invito a raccogliervi al palazzo di Admeto. Gli uomini che vegliano lascino il lavoro e quelli che dormono si traggano dal letto. Rechi, il passeggero che va dall'una casa all'altra, l'invito ad ognuno di volgere qui i suoi passi! (Fa echeg­giare il gong) Genti di Tessaglia, vi chiamo a testimoniare, il miracolo si è compiuto, il miracolo è stato compiuto, ma la «regina muore. (Fa echeggiare il gong) Alcesti muore. (Il gong continua a risuonare. Le ultime parole della sentinella vengono raccolte e ripetute decine di volte e Varia è colma di un brusìo di voci che dicono « Alcesti, Alcesti muore!». Ora l'ombra sovrastante della Morte occupa la scena, mentre dietro le colonne il cielo è pallido nella luce lunare. L'eco del gong continua a ripercuotersi in lontananza. Fra il brusìo delle voci la scena si riempie a poco a poco di figure che entrano inavvertitamente da ogni parte. Le strisce luminose che provengono dalla torce alle pareti delimitano l'area di recitazione. Sul mormorio eguale delle voci, si staccano parole).

Alcesti                           - Non piangere, Cloe. Addio Rodante.

Rodante                        - Oh, Alcesti, signora...

Alcesti                           - Mirtilla.

Mirtilla                          - Non ci lasciare...

Alcesti                           - Ricordati di me...

Melita                            - Oh, Fere sembrerà vuota, adesso...

Alcesti                           - Non dimenticatevi di me.

Zoilo                             - (si porta al centro della scena e si inginocchia) La città non avrà più vita, di qui innanzi, perché, Alcesti, se ne va con te tutto ciò che c'era di gaio e di amabile. Meglio sarebbe stato se avessimo dato noi la vita per Admeto! Ma la tua parola è irrevo­cabile e sopravviviamo amaramente nel biasimo della nostra umanità.

Alcesti                           - Zoilo...

Aristodemo                   - Tu sarai in eterno il simbolo della gloria femminile, Alcesti. Dal profondo del cuore, ti salutiamo.

Alcesti                           - Chi è che sta là, in silenzio?

Zoilo                             - È Grifone, il cinico.

Alcesti                           - Critone. Non mi vuoi dire un'ultima parola?

Critone                          - Addio.

Alcesti                           - Forse che mi rimproveri per ciò che ho fatto?

Mirtilla                          - Siamo noi che ti rimproveriamo, Alcesti. Tu hai rovinato il nostro sesso. Qualunque sacrifìcio noi possiamo fare d'ora innanzi per i nostri amanti, qualunque cosa dobbiamo sopportare per i nostri mariti non sarà nulla in confronto a ciò che ha fatto Alcesti.

Melita                            - È vero. D'ora in poi nessuna donna potrà sacrificarsi più gloriosamente.

Alcesti                           - Non dimenticatevi di me.

Admeto                         - Amore, fino a quando dureranno le mura della città tu sarai onorata e amata sopra ogni cosa.

Alcesti                           - (improvvisamente) Admeto! È qui!

Admeto                         - (la prende fra le braccia) Amor mio! Nessuno ti farà male.

Alcesti                           - Dove sei? Dove sei? Perché mi hai lasciato?

Admeto                         - Sono qui, Alcesti. Sono qui.

Alcesti                           - Eccola!... Eccola...! (Si alza a metà. Ha sul viso un'espressione di immenso orrore. La Là -figura della Morte, mascherata, alata, terribile, esce lentamente dall'ombra. Nessuno sembra vederla, tranne Alcesti).

Admeto                         - (si erge selvaggiamente) Dove? Dove?

Alcesti                           - Eccola!...

Admeto                         - Dèi implacabili che state a guardare la nostra sciagura, tornate sulla vostra decisione. Risparmiateci!  (La Morte continua ad avanzare, lenta e inesorabile, fino all'altezza della poltrona. Allunga le braccia verso Alcesti, in atteggiamento d'invito).

Alcesti                           - (grida) No! (Ma il corpo le sì inchina verso la Morte che apre le braccia per riceverla).

Admeto                         - Giove misericordioso, soccorrimi in quest'ora di sciagura...

Alcesti                           - (cercando di sciogliersi dall'abbraccio della Morte) No... No... No... (La Morte ha posto le le labbra sulle labbra di lei. Alcesti si abbandona. La Morte le si stacca lasciando scivolare il corpo all’indietro sulla poltrona. Sì ritira silenziosamente, passando non vista in mezzo agli astanti).

Ferete                            - La Morte è stata, fra noi.

Zoilo                             - Alcesti non è più. (La sentinella vibra un colpo sordo di gong. Admeto è in ginocchio, immobile).

Critone                          - La tua sposa, è morta, Admeto.

Admeto                         - Lo so.

Febete                           - Sopporta il tuo dolore da uomo, figliolo.

Miktilla                         - Alcesti...

Cloe                              - Oh, signora, signora... (Si alza un'eco di pianto, le donne battono le mani in segno di lutto. La sentinella dà un altro colpo di gong).

Admeto                         - (con voce calma dì emozione) Bisogna che mi occupi del funerale.

Fekete                           - Puoi accendere il fuoco sulla torre. (Cratilo si avvicina alla torre).

Admeto                         - Vi comando di prendere parte al lutto per la mia sposa. Ogni suddito del mio regno indos­serà abiti funebri, e... Oh, Alcesti, Alcesti, Alcesti! (Non può più proseguire. Ferete continua in vece sua).

Ferete                            - Prendete il cadavere. (Il corpo di Alcesti viene portato nell'interno. Come l'eco dei pianti si disperde e la porta è chiusa, sì alza un suono di zoccoli e poi uno scoppio di risa sguaiate. Subito dopo entra Ercole con la sentinella. Ercole è ubriaco fradicio).

Ercole                            - Così mentre io me stavo nella capanna con lei...

La Sentinella                 - (gravemente) Sì, Ercole...

Ercole                            - Cadevano fulmini accecanti?

La Sentinella                 - Come grandine.

Ercole                            - Oh, oh, oh. Ma, pensa un po'. Però, sentinella...

La Sentinella                 - Sì?

Ercole                            - Perché non me l'hai detto?

La Sentinella                 - Io... mi hai detto di aspettar fuori, Ercole. E poi, non mi piacciono i fulmini. Non mi sono mai piaciuti, i fulmini.

Ercole                            - Oh, oh, oh. Sono assolutamente in­nocui. Assolutamente innocui. Fintanto che non ti colpiscono.

La Sentinella                 - Ma era spaventoso, Ercole. Sembrava crollassero le muraglie, Com'è che non ti sei accorto di niente?

Ercole                            - Avevo tutt'altro per la testa... finché non se ne infilò uno nel camino. Allora mi resi subito conto.

La Sentinella                 - Giove misericordioso! Ha sco­perchiato il tetto.

 Ercole                           - Che cos'è capitato al vino, amico mio? L'abbiam mica dimenticato, nella fretta?

La Sentinella                 - L'hai bevuto, Ercole.

Ercole                            - Vorrei che papà non lanciasse i suoi fulmini nel mezzo dei miei affari d'amore. Mi rovina l'atmosfera.

La Sentinella                 - E la casa.

Ercole                            - Bè, ad ogni modo eccoci qui, se è questo che vuole. E adesso, al lavoro... (Va in giardino).

La Sentinella                 - Ercole, io dovrei tornare a.1 mio posto.

Ercole                            - (fuori scena) Un minuto solo.

La Sentinella                 - Ma, Ercole, davvero... (Rientra Ercole con una ghirlanda in capo, un enorme osso di montone in una mano e un'anfora dì vino nell'altra).

Ercole                            - Niente ancora. Sono tutti a letto. La casa è tranquilla. Siamo in anticipo.

La Sentinella                 - Ma, io sono di servizio...

Ercole                            - (bevendo una lunga sorsata dall'anfora) Anch'io, anch'io. Come un falco. Come un'aquila. Come te.

La Sentinella                 - Ma, di servizio sulla torre.

Ercole                            - Siediti.

La Sentinella                 - Ma... (Ercole gli dà un amichevole colpetto con l'osso che ha in mano. La sentinella cade a terra).

Ercole                            - Siediti. (Gli pone l'anfora fra le mani) Bevi.

La Sentinella                 - No, Ercole, no. lo non bevo mai.

Ercole                            - Cosa? Non bevi mai? Lascia che ti guardi. Per Giove, è vero. Hai la faccia asciutta. Tu sei praticamente imbalsamato, mio povero amico.

La Sentinella                 - No, Ercole.

Ercole                            - Sì, sì, se ti spremessi un po', vedresti. Ti uscirebbe segatura dalle orecchie... e dal naso. Vuoi vedere? Segatura! (Gli stringe per scherzo la gola).

La Sentinella                 - No, Ercole, no.

Ercole                            - Bevi vino, amico, bevi vino. Bevi e sarai un Dio. Bevi. (La sentinella beve) Va meglio?

La Sentinella                 - (mezza strozzata) È forte.

Ercole                            - Forte. E ben presto, per Bacco, diven­terai forte come lui. Sta a vedere. E mentre aspetti... apri gli occhi...! Fai la guardia. Per ora è tutto tran­quillo. Tutto sembra a posto. Ma il momento è cru­ciale. Stiamo aspettando il nemico.

La Sentinella                 - Di nuovo?

Ercole                            - Presto. Ben presto. A poco. A poco a poco. Fra un istante. Si avvicina. Cerca, di nascon­dersi. Ma inutilmente. Siamo qui noi. (Inghiottì un'altra gagliarda sorsata).

La Sentinella                 - Ma chi è che viene, Ercole?

Ercole                            - La Morte. (Trangugia un'altra sor­sata. La sentinella, allarmata, si alza).

La Sentinella                 - Ercole...

Ercole                            - (gli afferra il polso) Ssst... Può giungere di qui. Può giungere di là. Può arrivare lentamente, furtivamente come un serpente. 0 balzare avanti all'improvviso come un leone. Ssst...

La Sentinella                 - Ercole, non mi piace. Io sono di servizio alla torre. E poi non mi sento bene.

Ercole                            - Bevi. (La sentinella beve) Hai cenato?

La Sentinella                 - No.

Ercole                            - (ali porge l'osso) Mangia.

La Sentinella                 - (con disgusto) Carne? Io non mangio mai carne, Ercole.

Ercole                            - Giove misericordioso? E che cosa mangi?

La Sentinella                 - Spinaci.

Ercole                            - Ah! Ho capito. Sei un filosofo.

La Sentinella                 - Niente affatto, Ercole. Non che non abbia tempo per le meditazioni. Al contrario. Tutta la notte, mentre monto di guardia sui bastioni, guardo dalla terra alle stelle e dalle stelle alla terra e cerco di farmi venire un'idea in testa. Ma non mi viene mai.

Ercole                            - E come passi il tempo?

La Sentinella                 - Mi preoccupo.

Ercole                            - Di che cosa?

La Sentinella                 - Del mio stomaco.

Ercole                            - Amico mio, il tuo stomaco è robustissimo, non ti dar pensiero. Altrimenti saresti già morto avvelenato dagli spinaci. Piuttosto è la testa che mi sembra debole.

La Sentinella                 - Non mi dà mai fastidio. Ercole.

Ercole                            - E questa è la prova. Su, assaggia un boccone di questo montone, amico. Io l'ho rosic­chiato dall'altra parte... e ti garantisco che vai "la pena di finirlo.

La Sentinella                 - Credi che mi possa arrischiare?

Ercole                            - Vivere pericolosamente.

La Sentinella                 - (con disperazione) Succeda cosa vuole, voglio provare. - Proverò. (Dà risolutamente un morso al pezzo di montone).

Ercole                            - Buono?

La Sentinella                 - Dopo due anni di spinaci!... (Prende l'anfora) Ercole, dopo starò male, lo so. Ma stanotte... (Beve).

Ercole                            - Sì, sì. Avrai qualcosa da ricordare, gli anni che verranno. (Si riprende il montone) Admeto ha del montone eccellente. (Ne stacca un boccone) Niente in vista? (La sentinella fa lentamente il giro della scena, lanciando occhiate professionali da ogni farle, quindi torna al punto donde era partito).

La Sentinella                 - Niente.

Ercole                            - Bene.

La Sentinella                 - Ercole, non hai anche tu una paura terribile?

Ercole                            - No, amico mio.

La Sentinella                 - Io ho il cuore che trema come ima foglia al vento.

Ercole                            - Mangia carne.

La Sentinella                 - È la carne che ti dà tanto coraggio?

Ercole                            - Sì. Sì. La carne... e il cervello.

La Sentinella                 - Ah! Hai cervello?

Ercole                            - Si capisce. Senza cervello sarei soltanto un imbecille. Ora, invece, prendi il caso nostro, per esempio. Io sto per combattere con la Morte. Benissimo. Chiunque altro sarebbe titubante. Ma, io mi domando: che cosa sei, tu Ercole, in fondo? Bè, il montone è il mio cibo preferito. Io sono fatto per buona parte di montone.

La Sentinella                 - Tu sei fatto per buona parte di montone.

 Ercole                           - Proprio così. Non mangio che montone. Non mi piacciono i vegetali e le insalate. Ora sto per combattere contro la Morte. Chiunque altro tremerebbe. Ma io tremo?

La Sentinella                 - No.

Ercole                            - Una o due volte, tutt'al più. Poi comincio a pensare, ad analizzare. Se combatto con la Morte, posso vincere o perdere. C'è un'altra soluzione pos­sibile? No. Bene; se vinco, vinco. E se perdo... che cosa si porta via la Morte? Montone. E che impor­tanza vuoi che abbia un montone?

La Sentinella                 - È una filosofia profonda.

Ercole                            - Molto profonda. Montone.

La Sentinella                 - Montone.

Ercole                            - (ritmando) Montone. Montone.

La Sentinella                 - (intento) Montone.

Ercole                            - Che c'è? Hai sentito qualcosa? (In lontananza si sente il suono soffocato del peana in morte di Alcesti, mentre il corteo funebre si avvicina al pa­lazzo per accompagnare la sepoltura).

La Sentinella                 - C'è una donna sulla torre, Ercole. Una donna grassoccia con gli occhi neri e la pelle bianca.

Ercole                            - Sì?

La Sentinella                 - Si chiama Zoe. È la moglie dell'altra sentinella.

Ercole                            - Sì?... (Il canto si fa più alto e distinto) Che cos'è questa musica?

La Sentinella                 - Musica.

Ercole                            - Oh, sì... devono essere gli invitati. Sono tutti ubriachi.

La Sentinella                 - Tutte le mattine quando passo davanti a casa sua rientrando dal lavoro, esce sull'uscio e mi guarda a questo modo... (Fa un fischio).

Ercole                            - Come? (La sentinella ripete il fischio) Che cosa vuol dire?

La Sentinella                 - Non ne ho idea. Io non perdo il mio tempo dietro le donne, capisci. Non l'ho mai fatto. Ma quel modo di guardarmi, mi dà una sen­sazione speciale. (Le parole del peana diventano intelliggibili. Il corteo è ormai giunto al palazzo e fra le colonne si vedono torce e lance mentre la folla attraversa la scena dietro il parapetto).

Il Peana                         - Piglia di Pelia, che tu sia ben accolta nella dimora dell'Ade, nel palazzo senza sole. L'oscuro iddio, e il vecchio che siede ai remi sappiano che recano a traverso la riviera d'Acheronte la più nobile delle donne. In eterno ti canterà il poeta, Alcesti, alta sull'eptacordo levando la tua gloria in Atene e Sparta, dove l'eccelsa luna cavalca nella notte e in Fere bella e benedetta. Tale argomento di poesia hai consegnato ai vati... Ahimè, ahimè, infelice per il tuo coraggio, addio a te che sei la più nobile, la più intrepida, la migliore delle donne! Ti accolgano benignamente Mercurio e la Morte e l'Ade. Se mai in quel luogo ci può essere una qualche distinzione per i buoni, ch'essa ti sia concessa, o nostra amata signora. Possa la terra esserti leggera. Tu sei morta nel fiore della bellezza e hai lasciato la luce del giorno...

Ercole                            - Questo canto è ben malinconico...

La Sentinella                 - Ercole, se domani è di nuovo là, sai cosa faccio? Le vado vicino e le dico: «Buon giorno, Zoe ».

Ercole                            - Buona idea. Buona idea.

La Sentinella                 - Sicuro, che lo faccio. E poi, entro in casa con lei...

Ercole                            - (mentre il peana toma a farsi più debole) Spiegami un po' com'è questa faccenda che questa gente, che s'è radunata per stare in allegria, canta canzoni così tristi?

La Sentinella                 - Ma, e suo marito, l'altra sen­tinella?... Magari sarà mica tanto dell'opinione.

Ercole                            - Non mi sembra che si stiano divertendo.

La Sentinella                 - Verissimo. Verissimo.

Ercole                            - Sentinella... quella canzone mi rat­trista... mi dà malinconia. Cantiamo qualcosa di allegro.

La Sentinella                 - La canzone del montone?

Ercole                            - La canzone del montone.

La Sentinella                 - (canta) Montone... montone.

Ercole                            - (a squarciagola) Montone... montone... montone... montone. (Insieme, lamentosamente, come una litania) Mooon - to - to - to - ne; Mooon - to -to - to - ne; Montone. Montone. Montone. (Entra Cratilo, destato dallo schiamazzo).

Cratilo                           - Non vi vergognate?

Ercole                            - Ssst! Il nemico! (Balza in piedi. Anche la sentinella si alza a fatica).

La Sentinella                 - (inchinandosi galantemente) Buongiorno, Zoe.

Cratilo                           - Siete tutti e due sconciamente ubriachi.

Ercole                            - Vattene. Non turbare la nostra veglia.

Cratilo                           - (va verso di Uro) Stupidi! Non vedete che il palazzo è in lutto? Non avete inteso il peana di Morte?

Ercole                            - Giove mi perdoni! Dov'è Admeto?

Cratilo                           - Admeto! Admeto è andato al funerale.

Ercole                            - Morto?

Cratilo                           - Alcesti è morta. È morta al suo posto.

Ercole                            - È morta al posto suo. Mentre io!... (Si percuote violentemente la fronte) Quanto tempo è che se n'è andata?

Cratilo                           - Chi?

Ercole                            - La Morte.

Cratilo                           - Ha portato via Alcesti appena adesso.

Ercole                            - Porse c'è ancora tempo.

La Sentinella                 - Tempo, per far che, Ercole?

Ercole                            - (prende la clava e alza il viso al cielo) Padre Giove, se mai ho avuto bisogno del tuo aiuto, questo è il momento. Fai vedere ora chi è il figlio che mia madre ti ha partorito! (Si avvia per uscire).

La Sentinella                 - Ma Ercole, dove vai adesso? Ercole! (Muove per andargli dietro ma subito si ferma terrorizzato mentre il cielo è attraversato da un lampo).

Ercole                            - Aspetta e vedrai! (Parte all'inseguimento della Morte e della Donna. Riecheggia, un rombo pro­fondo di tuono).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

QUADRO PRIMO

(Al levarsi del sipario, Admeto è seduto sulla, pol­trona a sinistra, col mento appoggiato alla mano e lo sguardo fisso ad oriente. Cratilo è un po' più in là,. E l'alba. Il sommo delle colline si colora, di rosa e porpora. In lontananza si sente il suono della zampogna dì un pastore. Uno schiavo è intento ad un lavoro domestico. Entra Critone).

Critone                          - Da quanto tempo sta seduto qui a questo modo?

Cratilo                           - È tutta notte.

Critone                          - Lasciaci soli. (Cratilo esce a destra) Admeto... (Nessuna risposta) Admeto... (Critone lo scuote dolcemente per la spalla) Admeto... sono io, Critone.

Admeto                         - Va via.

Critone                          - Vieni in casa. Pa freddo, all'alba.

Admeto                         - Perché mi amava, io l'ho uccisa.

Critone                          - Tu non l'hai uccisa.

Admeto                         - Perché era generosa e nobile, perché mi amava io l'ho spinta a morire. Ed ora vorrei essere morto. Mi rendo conto per la prima volta di quanto l'amassi. Ho perduto la sola creatura al mondo capace di sacrificarsi per me.

Critone                          - Sì.

Admeto                         - Sarebbe stato molto meglio se fossi morto io al suo posto.

Critone                          - Porse. Ma dal momento che sei vivo, Admeto, andiamo a colazione.

Admeto                         - Tu non hai cuore.

Critone                          - Ma ho stomaco.

Admeto                         - Non sei mai stato sposato. Non sai che cosa voglia dire una moglie.

Critone                          - Non sono mai stato sposato. Ma so che cosa vuol dire una moglie. Entriamo in casa. Parli soltanto con ciò che è. (Entra ) Admeto, in questa tristissima giornata, (irosamente) Tu non hai niente da

Admeto                         - Come vuoi che entri in questa casa dove ogni cosa mi parla di Alcesti?

Critone                          - Parli soltanto con ciò che è. (Entra Ferete)

Ferete                            - Admeto, in questa tristissima giornata, io vengo….

Admeto                         - (irosamente) Tu non hai niente da fare qui.

Ferete                            - È così che mio figlio mi riceve?

Admeto                         - Io sono tuo figlio? Ma certo che M sono. In te vedo me stesso, come non tarderò a diventare. Ed è stato per giungere a questo risultato, dunque, che mi sono attaccato così tenacemente alla vita?

Ferete                            - È così che mi parli?

Critone                          - Admeto, è meglio che andiamo a colazione.

Ferete                            - Lascialo parlare. Lascia che chiac­chieri. Lascia che dia sfogo al veleno che ha in cuore.

. Critone                        - Ferete, tuo figlio è sconvolto dal dolore.

Ferete                            - (con violenza) Dal dolore! E’ sconvolto dalla vergogna! Può darsi che ai miei tempi ci fosse un po' più di gente in galera, che ci fosse qualche affamato di più, ma almeno la nostra casa non cono­sceva la sciagura...

Critone                          - Ferete...

Ferete                            - Che cosa ha combinato con le sue idee luminose? Ha recato sulla nostra casa la più grande e la più vergognosa delle disgrazie, un peccato senza nome. Nessuno oserebbe neanche pensare ad un simile delitto. Ma ogni qualvolta accadrà alla gente di nominare Admeto si farà l'elogio di Alcesti. E così vivrà in eterno, il famoso re - Come - Si Chiama, il marito di Alcesti. (Ride malignamente).

Admeto                         - Non dici niente che non abbia già detto io. Perciò puoi considerare esaurito il tuo compito e andartene.

Ferete                            - Non credere che ritorni. Non tornerò. E non contare mai più sul mio aiuto, qualunque cosa ti capiti.

Admeto                         - Puoi star certo che non conterò sul tuo aiuto.

Ferete                            - Pra non molto mi verrai a cercare. Non sono mica tempi, questi, che uno possa ammaz­zare una donna come niente fosse... cosa credi, che siamo in mezzo ai selvaggi? Alcesti ha un fratello. E Acasto non sarebbe più lui se non si precipitasse a vendicare la morte di sua sorella. Non ho più niente da fare in casa del marito di mia nuora! (Bisce al centro).

Critone                          - Ciò che ha detto è vero... Acasto non tarderà a fare la sua vendetta. Pere non è molto distante da Jolco.

Admeto                         - (con aria abbattuta) Lascia un po' che venga quando vuole, questo fratello.

Critone                          - Paremmo bene a rinforzare le difese della città.

Admeto                         - Pai come ti pare.

Critone                          - Dopo colazione me ne occuperò. (Sopravviene Ercole).

Ercole                            - Salute, amici! Salute! Salute!

Critone                          - (senza entusiasmo) Salute.

Ercole                            - (a Critone) Come sta Admeto?

Critone                          - (scuote le spalle) A digiuno. (Esce).

Ercole                            - (si avvicina ad Admeto) Bè, mio povero amico... hai visto che cosa è successo?

Admeto                         - Oh, Ercole!...

Ercole                            - Te l'avevo detto.

Admeto                         - Lo so. Lo so. Sono stato uno stupido. E adesso pago.

Ercole                            - Su, su, non te la prendere troppo. Errare è umano. Può capitare a tutti. Capita persino a me. Non tanto spesso, si capisce.

Admeto                         - Vorrei essere morto.

Ercole                            - Bè, tutti lo vorremmo, qualche volta. Però non per molto... non per molto... Il dolore può durare una notte, ma al mattino torna la gioia. Ora vediamo un po'... tu hai perduto la moglie...

Admeto                         - Oh, Ercole!

Ercole                            - Lo so che sei ancora tutto afflitto. Sei ancora intontito dalla scossa. Ma al mondo ci sono altre donne. Effettivamente, il mondo è pieno di donne. Una volta o l'altra conoscerai un'altra donna che potrai amare, una bella ragazza di nobile temperamento che ti restituirà la felicità.

 Admeto                        - Tu non sai cosa dici.

Ercole                            - Mi pare che, morendo per te, Alcesti non avesse intenzione di renderti così infelice.

Admeto                         - (dolorosamente) Anzi, voleva che io fossi contento.

Ercole                            - Mi rincresce tanto per te, Admeto. Tanto più che debbo rimettermi in viaggio per la Tracia.

Admeto                         - Pai buon viaggio, Ercole

Ercole                            - Vorrei chiederti un favore prima di partire. Vedi, ho vinto un premio. L'ho vinto la notte scorsa, in un incontro.

Admeto                         - Che incontro?

Ercole                            - Un incontro di lotta. Ho vinto parecchi premi, io, sai... premi importanti: tori, cavalli e roba del genere. L'altra notte ho partecipato a un piccolo incontro. Ho vinto una donna.

Admeto                         - Una donna?

Ercole                            - Vorrei che tu me la custodissi fino a quando tornerò dalla Tracia. E se non dovessi tornare, allora sarebbe tua, naturalmente.

Admeto                         - Ma che diavolo stai dicendo?

Ercole                            - Non è mica una donna rubata. Me la sono guadagnata onestamente e me ne posso fare cosa voglio. Credimi, non è stato facile gua­dagnarla. Ma non è niente male... Un momento. Ora la vado a prendere.

Admeto                         - No, no, Ercole... Aspetta... non cre­dermi maleducato, ma non potrei proprio sopportare la vista di una donna.

Ercole                            - Come? Mai più?

Admeto                         - No. Per trent'anni, per vent'anni almeno. Anzi no, mai più.

Ercole                            - Ma dopo tutto sei un uomo. Admeto, Un uomo di carne e sangue.

Admeto                         - No. Non lo sono più. D'ora in poi, sarò solo più il marito di Alcesti.

Ercole                            - Su, su... per adesso sei vedovo... ma poi..

Admeto                         - No. Per sempre. Mi sembra che tu non capisca ciò che ha fatto Alcesti. È morta per me.

Forcole                          - Comunque, è morta. Mentre tu sei vivo.

Admeto                         - Non è morta. Finché io avrò vita, vivrà in me. Ma quando morì, anch'io cessai pra­ticamente di vivere.

. Ercole                          - Questo è molto bello da parte tua, Admeto...

Admeto                         - No, Ercole, no. Alcesti ed io rimaniamo per sempre una persona sola... un monumento eterno alla potenza d'amore. Fra due mondi, siamo come un monumento... essa nell'ombra ed io in luce, per poco tempo. Ed ora sono io che non mi sento degno di figurare accanto a lei.

Ercole                            - Questo è molto bello, Admeto. Bello. E molto ben detto. Ma vorrei che tu dessi una guardatina a questa donna. Perché, visto che si parla di statue, credo di poterti dire in coscienza che tu non hai mai visto una figura eguale.

Admeto                         - No, Ercole. No, Ercole. No. No.

Ercole                            - Aspetta e vedrai. (Esce e rientra subito guidando una figura di donna velata e avvolta in un bianco drappo trasparente. Admeto si volta risolutamente da un'altra parte) Guardala.

Admeto                         - No. No. Ercole, no.

Ercole                            - Non hai fiducia in te, forse?

Admeto                         - Non dire sciocchezze, Ercole, per piacere. Personalmente,. io non vorrei mai... e anche se... (Lancia un'occhiata furtiva alla donna, poi volge subito il capo) Non sono più un uomo. Come ti ho già detto, sono un monumento ad Alcesti, e non c'è donna al mondo che mi interessi. (Dà un'altra occhiata, come prima) E anche se mi capitasse... non vorrei mai. È questione di pudore.

Ercole                            - Vero. Verissimo. Ma avvicinati, fatti vedere, mia cara. Guarda che portamento, Admeto. Hai mai visto una bellezza simile? Una tale profon­dità unita a tanta grazia? Uno splendore così incor­rotto? Una tale compostezza di gesti?... In una parola, tanta maestà, tanta delicatezza?

Admeto                         - (si volge verso la figura velata) Cammina divinamente. Cammina come una dea. (La osserva attentamente) Dirò di più... cammina come Alcesti! (Sospira) Ma per me non significa niente. In ogni luogo non ho che Alcesti davanti agli occhi, Alcesti, Alcesti!... Giurerei che la vedo ancora... Perdonami, signora; io non ti voglio guardare. Non ti vorrei guardare affatto. Portala via, Ercole.

Ercole                            - So che cosa provi, Admeto. Prendo parte al tuo dolore, ad ogni tua pena. Ma il dolore, la pena non bastano a riempire la vita di un uomo. Per quanto triste sia, un uomo deve mangiare, deve bere, deve dormire, deve... (Alcesti si porla a destra. Come gli passa davanti, Admeto la guarda, con am­mirazione) essere ragionevole. Guardala ancora, Admeto.

Admeto                         - Ercole, ciò che stai facendo è sempli­cemente indecente. Signora, la tua figura è splendida. Confesso che non ho mai veduto l'eguale... Grazie... Portala via, per piacere. (Sospira di nuovo, profon­damente) Mi ricorda troppo ciò che ho perduto.

Ercole                            - È tua. Prendila al posto dell'altra.

Admeto                         - Ercole, la tua generosità è ineffabile. Ma è anche sospetta. Le tue intenzioni sono ottime, ne sono certo. Semplicemente, io non posso. Anzitutto, è assurdo... Signora, perdonaci: siamo stati vergognosamente villani e sconsiderati. Ma il mio amico, qui, è un uomo senza educazione e con pochissimo tatto. Ed io, come forse hai capito, ho avuto recen­temente un grave colpo... Non capisce la nostra lingua?

Ercole                            - Oh, sì.

Admeto                         - Ma non parla.

Ercole                            - Non è una chiacchierona.

Admeto                         - No... Bè, insomma non posso accettare. Grazie lo stesso, ad ogni modo.

Ercole                            - Vieni qui, Admeto.

Admeto                         - Perché?

Ercole                            - Val la pena di guardarla in faccia.

Admeto                         - Il troppo è troppo, Ercole.

Ercole                            - Admeto, ti ho dato una donna. Pren­dila e fanne cosa vuoi. Il sole è alto ed io dovrei già essere in viaggio per la Tracia.

Admeto                         - Prendila con te.

Ercole                            - Davvero, Admeto, sei un temibile seccatore. Ho fatto un bel po' di lavoro e sono stanco. Non posso trascinare una donna su e giù per le strade come fosse un sacco di pane.

 Admeto                        - La darò a Grifone che la custodirà per te. (Chiama) Grifone!... Con lui starà benissimo. Non darti pensiero. (Entra Critone) Critone... vole­vo chiederti...

Critone                          - Chiedimi ciò che vuoi. Ho fatto colazione.

Ercole                            - Critone, ho dato questa donna ad Admeto. Ma lui non la vuole.

Critone                          - È saggio.

Ercole                            - Come, è saggio?

Critone                          - Essere senza donna vuol dire avere la tranquillità assicurata.

Ercole                            - Alla tua età, forse... Alla nostra, è tutto il contrario.

Admeto                         - Naturalmente, io non posso accettare questa, donna, Critone.

Critone                          - Perché no? Che cos'ha che non va?

Ercole                            - Assolutamente niente, ti garantisco.

Admeto                         - Sarebbe un'offesa verso la defunta.

Critone                          - Non ti preoccupare, Admeto, i defunti non si offendono tanto facilmente.

Admeto                         - Ma Alcesti è morta per me!

Critone                          - In linea teorica, senza dubbio. Ei così passerà alla storia.

Admeto                         - Sì. Sì. Così passerà alla storia.

Critone                          -  Ma in sostanza non ha fatto niente del genere.

Admeto                         - Sei pazzo?

Critone                          - Me lo domandi continuamente. In verità, Admeto, essere savio in un mondo di pazzi alla lunga è una cosa abbastanza seccante.

Admeto                         - Come sarebbe dire che lei non ha fatto niente del genere?

Critone                          - Non ha fatto niente del genere perché non ha fatto niente del genere.

Ercole                            - Una risposta squisitamente filosofica,

Admeto                         - (a Critone) È tutto quello che hai da dire?

Critone                          - Per ora non intendo dir nulla che possa offuscare la sua gloria. È troppo presto. (Si volge) Se una persona insiste per diventare gloriosa a tutti i costi, è affar suo. Per fortuna non può tornare, dopo, a rimproverarci.

Admeto                         - Chi, tranne te, andrebbe a pensare una cosa simile?

Critone                          - Nessuno.

Admeto                         - Tu mi consiglieresti di prendermi in casa questa donna?

Critone                          - Se vuoi una donna in casa, sì.

Admeto                         - Ma io non voglio donne in casa.

Critone                          - E allora, no.

Admeto                         - Credi che sia pericoloso per me, guai darla in faccia?

Critone                          - Affatto. (Admeto si avvicina ad Alcestì che si volge lentamente verso di lui) Poveri noi! (Si volta incredulo verso Ercole).

Ercole                            - (raggiante di soddisfazione) Vedi?

Admeto                         - (drammaticamente) È una furia che mi sta innanzi? È per me il sibilo delle serpi che ti circondano il capo?

Ercole                            - Smettila con queste scemenze, Admeto. Il tuo stupore non mi sorprende. Ma muoviti. È Alcesti... in carne ed ossa.

Admeto                         - L'illusione è dolce.

Ercole                            - Non c'è nessuna illusione, amico. È tua moglie.

Admeto                         - Sono diventato pazzo.

Ercole                            - (ride) No... no... no...

Admeto                         - La posso toccare? Posso parlarle? Come se fosse viva?

Ercole                            - Ma si capisce, certo. È viva come lo è sempre stata.

Critone                          - E come fa ad essere viva?

Ercole                            - Non potresti capire. E io non ho voglia di dirmi delle arie.'Ad ogni modo, le cose stanno così.

Critone                          - Ma per far questo, Ercole, non avresti dovuto ?

Ercole                            - Venire alle prese con la Potenza delle Tenebre... (Sospira  profondamente) È quello che ho fatto. Fino in fondo. Per tutta la notte.

Critone                          - Hai lottato con la Morte?

Ercole                            - (va all'angolo del portico e prende la clava e la bisaccia) Prendi questa bottiglietta e conser­vala con cura.

Admeto                         - Le sue carni sono tiepide. Respira dolcemente e muove le braccia.

Ercole                            - Oh, sì... è in ottima forma.

Admeto                         - Ma perché non parla?

Ercole                            - Un po' di pazienza. Aveva già bevuto l'acqua del Lete. Non ha volontà né memoria.

Admeto                         - Ma parlerà di nuovo? Oh, Ercole!

Ercole                            - Certo. Certo che parlerà. Ho riempito di acqua del Lete questa boccetta. Guarda... è una cosa interessante... nessun mortale l'ha mai vista prima.

Critone                          - (mettendola contro luce) È torbida.

Ercole                            - Si capisce. Ci si sono lavate dentro le anime di tutti i Morti.

Admeto                         - E che cosa ne dobbiamo fare?

Ercole                            - Lascia passare tre giorni. Alla terza ora del terzo giorno, stura la boccetta e mesci una libazione al Signore degli Inferi. Come l'acqua pene­tra nella terra per andare a ricongiungersi col fiume infernale, le potenze sotterranee distorranno la loro influenza da tua moglie. Fino a quel momento, farà qualunque cosa le venga in mente di fare, perché non sa dominare la sua volontà. Perciò sarà bene che tu la tenga d'occhio.

Admeto                         - Non la lascerò sola neanche un secondo.

Ercole                            - E così hai cambiato idea, eh, te la tieni.

Admeto                         - Come posso ringraziarti?

Ercole                            - Se credi, organizza una festa per il mio ritorno. Perché dopo un'impresa vittoriosa, un bel festino è la cosa migliore. Con musica, Admeto. E giochi. Lascia che il popolo si dia al bel tempo finché ci sono io.

Critone                          - Quando conti di tornare?

Ercole                            - Fra tre giorni, se gli dèi mi assistono. Ed ora, addio.

Admeto                         - Addio, Ercole. Addio, Ercole. Avrò di che meravigliarmi, quando ricomincerò a connettere.

Ercole                            - Statti allegro. Tu sei un uomo for­tunato. E adesso, andiamo a compiere l'Ottava Fatica! Diomede e le Cavalle di Tracia! (Si avvia per uscire. Poi torna a prendere la clava che aveva dimenticato) Non mi ricordavo che a te non serve, Admeto. Ma a me sì. (Esce).

 Admeto                        - Oh, Alcesti! (Si inginocchia dinnanzi ad Alcesti che è rimasta immobile) Oh, Critone, che cosa ho fatto per meritare tanta felicità? (Alcesti è in stato di completa incoscienza, Admeto le si siede alle ginocchia) Fra tre giorni sarà di nuovo se stessa. Fra tre giorni. Ma pensa! Forse che sono il più for­tunato dei mortali?

Critone                          - Sì, Admeto. Certo che sì, che sei... il più fortunato...

Admeto                         - Sì... fra tre giorni...

Critone                          - No, no... «per» tre giorni.

QUADRO SECONDO

(Il mattino del terzo giorno. È una giornata splen­dida,. La scena è inondata di sole. Due opliti sono di guardia al sommo della scala nel centro. Sanno deposto la lancia e stanno giocando a « Kyboi » con Cratilo: « Kyboi » è un antico gioco di dadi. Alle colonne sono appese ghirlande di fiori disposte a festoni in forma di «J5». Fuori scena si sente a intervalli il brusìo della gran folla che si è adunata, per la festa,).

Cratilo                           - (facendo saltare i dadi in mano) Giove padre degli dèi e degli uomini, fammi vedere le sette stelle, le Pleiadi! (Getta i dadi) Ah!

Primo Oplite                 - Gli occhi del serpente! (Gli opliti raccolgono le vincite, compresa la catena d'argento di Cratilo).

Secondo Oplite             - Passami i dadi.

Cratilo                           - No, per lo Stige! Sono finito. Mi avete pelato. Non ho più niente.

Secondo Oplite             - Ancora un giro.

Cratilo                           - Io no. No... no... no.

Secondo Oplite             - Su, ne abbiamo giusto il tempo.

Cratilo                           - Non c'è più tempo. Non c'è più tempo.

Primo Oplite                 - Non è ancora l'ora terza.

Cratilo                           - Ci manca poco. E poi, non è bello... Se Admeto mi vedesse giocare in un momento come questo!

Primo Oplite                 - (dà un occhiata in giro) Sta parlando col giardiniere...

Cratilo                           - Credi che mi voglia far cogliere a giocare?

Secondo Oplite             - Questo non è giocare. È sol­tanto un passatempo amichevole...

Cratilo                           - Sarà amichevole per voi... che mi avete portato via i quattrini e la catena...

Primo Oplite                 - Non vuoi tentare la rivincita?

Cratilo                           - Non ho più soldi. E poi, l'ora è solenne. Il luogo è stato purificato. È giunto il momento di ridestare la regina. Non posso perLiettere che qui si giochi. Comunque non ho più niente da perdere.

Secondo Oplite             - Oh sì... hai ancora qualcosa.

Cratilo                           - Che cosa? La tunica? Quella mi serve.

Secondo Oplite             - Cratilo, ho cercato per mare e per terra di avere un paio di posti ai giochi in onore di Ercole.

Cratilo                           - Niente da fare. Non ci sono più posti.

Secondo Oplite             - Tu ne hai due.

Cratilo                           - Oh no... No... no... no. Quelli no. Quelli no. No.

Secondo Oplite             - Guarda, Cratilo. Mia cugina.. sai, quella che sto per sposare... è venuta dal paese con suo fratello per vedere Ercole.

Cratilo                           - Anche gli altri. Tutti sono venuti per vedere Ercole.

Secondo Oplite             - Dice che non sarà contenta finché non avrà visto quest'uomo che ha avuto il coraggio di scendere all'Inferno.

Cratilo                           - Mi spiace...

Secondo Oplite             - Sai, Cratilo, io come membro della guardia ho un nome da salvaguardare... E poi, si tratta del mio matrimonio...

Cratilo                           - Non ci posso far niente.

Secondo Oplite             - Vediamo un po'... cinquanta dracme contro i tuoi biglietti. Cosa ne dici?

Cratilo                           - Tu scherzi. La gente ha fatto la coda tutta notte davanti allo stadio. Vale cinquanta dracme soltanto un buon posto in coda.

Secondo Oplite             - Oh, là...

Cratilo                           - Credi di parlare ad un somaro? La gente ha fatto centinaia di stadii per venirlo a vedere. Sono cose che capitano una volta ogni cent'anni.

Secondo Oplite             - E va bene. Va bene. Cento.

Cratilo                           - No. No. No. No. Non cercare di tentarmi.

Secondo Oplite             - Perché vuoi vedere Ercole, tu? Non l'hai già visto abbastanza?

Cratilo                           - Abbastanza e più. che abbastanza. Ma mia moglie, no. E quella mi scortica vivo...

Secondo Oplite             - Cento dracme.

Cratilo                           - No.

Secondo Oplite             - Più la catena d'argento.

Cratilo                           - Neanche parlarne. Non insistere. E poi, non c'è più tempo.

Secondo Oplite             - E altre cinquanta dracme, per far buona misura. Ma più in là non vado... No?

Cratilo                           - Presto. Presto.

Secondo Oplite             - Ah... I biglietti?

Cratilo                           - Sono qui.

Secondo Oplite             - Ora, Fortuna, sorridi ai tuoi schiavi. (Agita i dadi).

Cratilo                           - Oh, occhi della biscia...

Secondo Oplite             - Oh, fratelli celesti... Ah! (Getta i dadi) Sette!

Cratilo                           - All'inferno! Sono finito! Sono finito! Sono morto! Sono rovinato!

Secondo Oplite             - Bè, Cratilo, in fondo... (Accla­mazioni fuori scena « Salute Admeto».').

Cratilo                           - Giove! Admeto! (Esce correndo a sinistra. Gli opliti raccolgono la lancia e si irrigi­discono in posizione. Admeto sale i gradini nel centro, in abbigliamento festivo, con le braccia piene di fiori).

Gli Opliti                       - Salute, Admeto! (Admeto fa con la testa un cenno cordiale).

Admeto                         - (chiama) Cratilo! (Accomoda i fiori stilla poltrona dove si siederà Alcesti) Cratilo!... Dov'è quel manigoldo? L'avete visto?

Secondo Oplite             - No, Admeto.

Admeto                         - Cratilo! (Entra Cratilo).

Cratilo                           - Mio signore?

Admeto                         - Dove ti eri cacciato? È un ora che ti chiamo.

Cratilo                           - Sorvegliavo i preparativi. Non mi fido a lasciar fare la servitù, Admeto.

 Admeto                        - È tutto pronto?

Cratilo                           - Tutto in ordine. (Fuori scena si sentono le acclamazioni della folla).

Admeto                         - Che cos'è questo chiasso?

Cratilo                           - La folla alle porte del palazzo.

Admeto                         - Che cosa vogliono? Vedere Alcesti!

Cratilo                           - Ercole.

Admeto                         - Oh... Bene, guarda che la strada sia tenuta sgombra. Non voglio guai quando arriva.

Cratilo                           - No, Admeto. (Entra Critone).

Admeto                         - Oh, Critone, sei qui?

Critone                          - L'ora stabilita è giunta, Admeto.

Admeto                         - Hai la boccetta?

Critone                          - Sì. Ho la boccetta.

Admeto                         - Bene. Bene. Tutto è pronto. Cratilo, fai sgombrare la corte.

Cratilo                           - (agli opliti) Ai vostri posti. Alle porte. Non deve entrare nessuno. (Gli opliti si mettono la lancia in spalla ed escono. Admeto si volge a Cratilo).

Admeto                         - Vai a dire alle donne di far entrare la regina. (Cratilo esce a sinistra) Gli dèi ci siano propizi, Critone. Stiamo per fare qualcosa che non è mai stato fatto su questa terra.

Critone                          - Ho notizia di Acasto. Ha varcato i confini. In questo momento sta marciando sulla città.

Admeto                         - Da solo?

Critone                          - Con un esercito.

Admeto                         - Che cosa dirà quando saprà tutto!

Critone                          - Che sua sorella è stata assassinata.

Admeto                         - (con un sorriso) Lo riceveremo a dovere Viene per dar battaglia. E noi gli daremo un ban­chetto. (Entra Alcesti, guidata da Mirtilla e Cloe. Admeto, teneramente, la fa sedere sulla poltrona, m sinistra. Alcesti sorride come un angelo, perdutamente. Mirtilla e Cloe escono) Dammi l'acqua del Lete.

Critone                          - Ti avverto. È torbida.

Admeto                         - (prende la boccetta) Questo è l'ultimo dei giorni che sono stati... (Stura la boccetta).

Critone                          - Si, Admeto.

Admeto                         - E il pegno dei giorni che saranno...

Critone                          - Sì, Admeto...

Admeto                         - (con solennità) Dammi la prova, im­placabile potenza delle tenebre. Il tempo stabilito è giunto ed ora, in nome dell'iddio sotterraneo... (Alza la boccetta) Lete, io ti restituisco agli Inferi...

Critone                          - (aspramente) Admeto... (Admeto sì, volge sorpreso) pensa bene a ciò che stai per fare.

Admeto                         - Che cosa devo pensare? È l'ora terza.

Critone                          - Non ancora. C'è ancora qualche gra­nellino di sabbia nella clessidra. Hai ancora qualche istante per riflettere.

Admeto                         - Per riflettere a che cosa?

Critone                          - Stai per risvegliare un'anima che ha bevuto l'acqua del Lete.

Admeto                         - E allora?

Critone                          - Perché?

Admeto                         - Che domanda? Tu sai benissimo perché. Hai sentito quel che ha detto. Non appena avrò fatto questa libazione, Alcesti parlerà.

Critone                          - Già. E che cosa dirà?

Admeto                         - Come faccio a sapere che cosa dirà! In una circostanza come questa ha almeno cento cose belle e storiche da dire. Può dire...

Critone                          - Buongiorno.

Admeto                         - Si. È possibile.

Critone                          - E allora tu, che cosa dirai?

Admeto                         - Io? Se lei dice buongiorno, che cos'altro posso rispondere, io, se non buongiorno?

Critone                          - Sensibilissimo. E poi?

Admeto                         - Lei vorrà certamente sapere.

Ceitone                         - Che cosa è successo. Sì. E tu cosa le dirai?

Admeto                         - Le dirò che cosa è successo.

Critone                          - Sì?

Admeto                         - Come lei è morta per me e come è stato bello da parte sua e via discorrendo... e...

Critone                          - E lei si metterà a piangere. E sarà molto fiera e contenta. E poi?

Admeto                         - Poi?

Critone                          - Quando ti domanderà come mai è di nuovo in vita.

Admeto                         - Bè, naturalmente le dirò come Ercole l'abbia strappata alla Morte, e...

Critone                          - E in quel momento desidererai di non essere mai nato.

Admeto                         - Perché?

Critone                          - Vedrai.

Admeto                         - Ma guarda che bel tipo!

Critone                          - Perché Alcesti è morta per te?

Admeto                         - Perché mi voleva bene.

Critone                          - Molta gente ti voleva bene.

Admeto                         - Non tanto come lei.

Critone                          - C'era, qualcosa, evidentemente, che amava più di te, Admeto... qualcosa senza di che la vita per lei non valeva la pena di essere vissuta.

Admeto                         - Che cosa?

Critone                          - La gloria.

Admeto                         - Bè, è un fatto che aveva desiderio di essere eguale a me...

Critone                          - In altre parole, superiore a te.

Admeto                         - Bè, è superiore' a me. Lo ha dimostrato. E se vuole la gloria, l'avrà. Avrà tutta la gloria che il mondo può dare.

Critone                          - Il mondo non può darle gloria. .

Admeto                         - Ma che dici? E le acclamazioni, i discorsi, i fiori, il banchetto... non sono niente?

Critone                          - Niente. Il banchetto è per Ercole.

Admeto                         - E Alcesti.

Critone                          - Le acclamazioni sono per Ercole.'

Admeto                         - E Alcesti.

Critone                          - La gloria appartiene ad Ercole.

Admeto                         - E Alcesti.

Critone                          - Così, dopo aver fatto uno sforzo supremo per liberarsi e... rimane « E Alcesti ».

Admeto                         - La gloria di cui tu parli non significa niente per Alcesti. Non ha vanità.

Critone                          - Ha una vanità smisurata. Ne è morta. E quando si accorgerà di essere stata defraudata della sua gloria si scatenerà come una furia. Vedrai.

Admeto                         - Grifone, in verità ti trovo disgustoso.

Critone                          - Sto cercando di salvarti da qualcosa di ancor più disgustoso.

Admeto                         - Che cosa?

Critone                          - L'assassinio.

 Admeto                        - Sei pazzo?

Critone                          - Sarebbe capace di ucciderti, Admeto. (Admeto fa un gesto di incredulità) Ha già ucciso se stessa.

Admeto                         - Sciocchezze. Ha sacrificato la sua vita per la mia. Il che è esattamente l'opposto di un assassinio.

Critone                          - È esattamente la stessa cosa. Uccidere è uccidere. Chi sia ucciso, non ha importanza: è lo stato d'animo che è omicida. Guardati da questa donna che è morta per te, Admeto. Ci ha fatto vedere che sa volgere il pugnale contro se stessa. Bada che non lo volga poi contro di te.

Admeto                         - Oh no, no, no, no.

Ceitone                         - Perché vuoi correre il rischio, Admeto? Ciò che lei ha fatto è stato bello, nobile, eccetera, eccetera. Lascia che continui a sognare il suo sogno di gloria. Dà a me la boccetta. Diremo che hai versato l'acqua e non è accaduto niente.

Admeto                         - (dolorosamente) La mia... La mia..

Ceitone                         - Admeto, per molto tempo hai avuto una fortuna fenomenale. Il tuo popolo era felice. Tua moglie era bella. Improvvisamente hai conosciuto la sventura. Ma gli dèi sono stati buoni con te e tu ora sei al colmo della felicità umana. Il tuo popolo è più felice di prima, e tua moglie non è soltanto sempre bellissima ma è anche...

Admeto                         - Povero me...

Ceitone                         - Da che mondo è mondo nessun marito è stato tanto fortunato. Hai nelle mani l'essenza della felicità. Non disperderla in terra.

Admeto                         - Ma lo sai, amico mio, che hai un gran brutto carattere?

Ceitone                         - Ti sembrerà splendido, Admeto, in confronto a quello che hai tanta fretta di svegliare. Tu stai per destare una tigre.

Admeto                         - Sto per destare un angelo. (Stura di nuovo la boccetta) Ora vedrai che cos'è il vero amore.

Ceitone                         - L'amore è un'illusione, Admeto. In un momento nasce, in un momento muore. E quando è morto non può più tornare in vita.

Admeto                         - Ma Alcesti può. L'ora terza è passata,. Ed ora, se tu permetti, ti farò vedere quanto sei stato somaro. (Critone si siede, svolge un papiro, tira fuori la penna e si prepara a scrivere) Che cosa stai facendo?

Ceitone                         - Sto per assistere ad un esperimento che non ha precedenti nella storia della scienza. Mi piacerebbe avere una documentazione di prima mano sulla mia asinità, se non altro. Ti fa mica niente se prendo qualche appunto?

Admeto                         - Fà ciò che vuoi. E adesso... (Parla solennemente alzando la boccetta) Ade, a te e ai tuoi abitatori io restituisco quest'acqua consacrata. Valga il mio atto a ridare a questa donna la volontà e la ragione che il Lete cancellò in lei. (Versa il con­tenuto della boccetta... A contatto del suolo, il liquido libera una piccola nube di vapore. Per un istante tutto è come prima. Poi Alcesti ha un fremito e si passa una mano sugli occhi).

Alcesti                           - Buongiorno, caro.

Admeto                         - Buongiorno, cara.

Alcesti                           - È Critone...

Critone                          - Sì.

Alcesti                           - Stai scrivendo una lettera? Oh, santa bontà! Mi ero addormentata... (Si ferma pensierosa, come ancora assonnata) Oh, il sole... è così bello e caldo. Che bei fiori! Chi li ha messi là?

Admeto                         - Io, cara.

Alcesti                           - Per me? Come sono profumati. Oh, Admeto, che splendido mattino!

Admeto                         - Alcesti carissima.

Accestì                          - Oh, è così bello essere vivi! Ma è tanto difficile svegliarsi. Che cos'è quella bottiglietta strana, caro?

Admeto                         - Bottiglietta?

Alcesti                           - Quella che hai in mano?

Admeto                         - Oh, questa? È una boccetta. Un boccettino vuoto.

Alcesti                           - (allunga la mano per prenderla) Che boccetta strana. Non ne avevo mai visto una eguale. E tu, Critone?

Critone                          - Neanch'io.

Alcesti                           - Verrà da molto lontano.

Critone                          - Molto lontano.

Alcesti                           - Che cosa c'era dentro, caro? Vino?

Admeto                         - Acqua.

Alcesti                           - Acqua? Davvero? (Si porta la boccetta alle nari; come ne ha odorato il contenuto chiude gli occhi rabbrividendo) Admeto!

"Admeto                       - Cara!

Alcesti                           - Quest'acqua... La conosco... Oh, Admeto... ero morta.

Admeto                         - Sì...

Alcesti                           - Oh...

Admeto                         - Ciò che hai fatto non sarà più dimen­ticato finché ci saranno poeti a cantare e uomini a commuoversi.

Alcesti                           - Lo so. Mi ricordo. Sono morta per te.

Admeto                         - Sì.

Alcesti                           - (gli si getta fra le braccia) Oh, Admeto, Admeto. (Scoppia in pianto).

Admeto                         - Alcesti, amore mio. Non piangere. Non piangere. Perché piangi? Alcesti... è tutto finito, chiuso, tesoro. Sei di nuovo nelle mie braccia. E sei viva. E sei bella. E sei gloriosa.

Alcesti                           - Ma ero morta.

Admeto                         - Questo è dimenticato. L'abbiamo lasciato dietro. Ora, davanti a noi è la vita. È l'amore. E non l'amore soltanto, ma la devozione. Né solo la devozione, ma l'onore, la gloria.

Alcesti                           - La gloria?

Admeto                         - La tua gloria, Alcesti, è imperitura.

Alcesti                           - Non me ne importa niente della gloria. M'importa soltanto di te, Admeto.

Admeto                         - (guardando Critone) Non glie ne im­porta della gloria. Soltanto di me, le importa. Dime, Admeto. (Gli fa segno di scrivere, Grifone annuisce e prende qualche appunto con evidente indifferenza).

Alcesti                           - Che cosa sta facendo? Che cosa scrive?

Admeto                         - Oh, Alcesti, amore. La vita è così bella. E tu sei di nuovo viva. E fra poco andiamo alla festa.

Alcesti                           - Una festa, Admeto? Oggi è festa?

Admeto                         - Sicuro: la tua festa.

Alcesti                           - La mia festa!

 Admeto                        - La notizia del miracolo si è sparsa come fuoco greco. Migliaia e migliaia di persone son venute in città... la polizia non sa più come fare a trattenerla. Pastori di Arcadia, contadini di Beozia, taciturni Spartani ed eleganti Ateniesi e irsuti cacciatori delle montagne di Tracia... Vedrai che folla alle porte del palazzo!

Alcesti                           - Oh, Admeto! E i senatori faranno discorsi interminabili per me?

Admeto                         - Interminabili.

Alcesti                           - E il popolo spargerà fiori sul mio cammino?

Admeto                         - A quintali.

Alcesti                           - E acclameranno il mio nome?

Admeto                         - Senza fine.

Alcesti                           - È troppo, Admeto. È troppo, amor' mio. Non ho fatto abbastanza - ancora - per meritare tutto questo.

Admeto                         - E nulla, in proporzione a ciò che meriti.

Alcesti                           - No. Ciò che ho fatto, l'ho fatto pei] te solo, Admeto. Sapere che tu mi ami è già un premio sufficiente, per me.

Admeto                         - (guardando Critone) Sapere che io l'amo è già un premio sufficiente, per lei.

Alcesti                           - Ma, Admeto, ancora una cosa mi] dovresti dire...

Admeto                         - Sì, cara?

Alcesti                           - Se avevo sacrificato la vita, com'è che sono viva?

Admeto                         - (guarda Grifone, con improvviso Umori. Critone intinge la penna) Come?

Alcesti                           - Sì, come?

Admeto                         - Bè, è una storia lunga...

Alcesti                           - Sì, caro?

Admeto                         - (sempre più preoccupato) Una sto: sorprendente.

Alcesti                           - Sì, caro?

Admeto                         - Per farla breve... (guarda disperatamente Critone) sei tornata dalla tomba.

Alcestt                          - Vuoi dire che la Morte non ci ha potuto separare?

Admeto                         - No. La Morte non ci ha potuto separati

Alcesti                           - Vuoi dire che sono riuscita ad avi ragione della Morte?

Admeto                         - In un certo senso... sì.

Alcesti                           - Così che la Morte, che conquista tutti gli uomini, è stata conquistata da me?

Admeto                         - Bè...

Alcesti                           - Ma nessuno ha mai fatto una cosa simile, Admeto.

Admeto                         - Nessuno. Mai.

Alcesti                           - Magnifico! Ma pensa!

Admeto                         - Sì. Meraviglioso. La mente umana ne esce vacillante. Anche Critone è uscito visiti mente scosso da questa esperienza.

Alcesti                           - Adesso cominciò a capire perche tutta questa gente è venuta a vedermi. E perché  è così eccitata. E perché si è organizzata una festa in mio onore.

Admeto                         - Sì. Sì. Ma non dimenticare: la tua vera festa è nel cuore di quelli che ti vogliono bene. (Alte acclamazioni fuori scena).

Alcesti                           - E tutto questo piacevole fracasso! Questo simpatico popolo che si sgola per acclamarmi!

Admeto                         - Già. Si capisce. La folla... sai che le piace acclamare. Chiunque sia.

Alcesti                           - Sì, lo so. Ma questo, davvero... è as­sordante. Non ho mai inteso acclamare così nessuno.

La Sentinella                 - (dalla torre) Arriva! Arriva! (Le acclamazioni aumentano d'intensità).

Alcesti                           - Arriva? Chi?

La Sentinella                 - Ercole! Ercole!

Alcesti                           - Ercole? (Entra Cratilo con altri fiori) Cratilo, lo specchio.

Admeto                         - Tesoro, prima che lui sia qui... vorrei dirti una cosa.

Alcesti                           - (prendendo lo specchio che Cratilo le porge) Sono un po' pallida. Sì, .caro?

Admeto                         - Vedi...

Alcesti                           - Ho gli occhi cerchiati. Credi che Ercole abbia saputo della mia lotta con la morte?

Admeto                         - Sì, cara. Vedi... Ercole...

Alcesti                           - L'ultima volta che e stato qui a salu­tarci, non ha voluto ascoltare niente della tua vit­toria. S'è messo a parlare di un toro. Ma questa volta...

Admeto                         - Alcesti... ascolta...

Alcesti                           - Questa volta le acclamazioni gli apri­ranno gli occhi. (Entra Ercole).

Ercole                            - Bene, bene, bene! Guardatela! Cosa ti dicevo, Admeto? Vedi? Fresca come una rosa. Radiosa come sempre. Più bella che mai. Che colorito! Che occhi splendenti!

Alcesti                           - Grazie, caro Ercole!

Ercole                            - E che voce, amici miei! Che sorriso! Che portamento! È stata fra le braccia della morte, amici. Ha bevuto l'acqua del Lete. Ha traghettato l'Acheronte ed ha camminato in mezzo ai morti senza corpo. Ed ha avuto paura? Ha tremato? Ha dato in smanie? No! No, amici miei, no, no, e no.

Alcesti                           - Grazie, caro Ercole.

Ercole                            - Credimi, mia cara, valeva la pena di andare all'inferno per una ragazza come te.

Alcesti                           - Grazie, caro Ere... (Ad Admeto) Che cosa dice?

Admeto                         - Che cosa dice? (Con falso calore, ad Ercole) Vieni, vieni, caro Ercole, non fare compli­menti. Siediti. Parlaci di Diomede. Racconta delle cavalle di Tracia.

Ercole                            - Oh, non. c'è molto da dire.

Admeto                         - Le hai viste?

Ercole                            - Sì.

Admeto                         - Le hai uccise?

Ercole                            - No.

Alcesti                           - (prendendo lo specchio) Non dirai che non ce l'hai fatta. Ercole?

Ercole                            - Oh, no. No... no... no... Dopo che gli ho messo il morso in bocca, farle correre è stato un gioco da bambini.

Admeto                         - E dove le hai fatte correre?

Ercole                            - Qui.

Admeto                         - Qui?

Ercole                            - Già. Dove vuoi che le portassi? Sono nel prato, fuori dalle porte. Pascolano tranquillamente.

Admeto                         - Ma in nome di Giove, Ercole, che t'è venuto in mente di portare queste furie nella mia città?

Ercole                            - Oh, non sono furie. No, no... adesso non più.

Admeto                         - Ma non ti rendi conto che queste cavalle mangiano carne umana?

Ercole                            - Adesso non più. Adesso non più.

Admeto                         - Ercole! Ercole!

Ercole                            - La prova di ciò che ti dico è che, quando cercai di fargli mangiare Diomede, si voltarono dall'altra parte disgustate.

Alcesti                           - (guardando di sopra lo specchio) Hai accoppato Diomede?

Ercole                            - (annuisce tristemente) Un caratteraccio. Un brutto tipo. Proprio, non avevo scelta.

Alcesti                           - Come mai così modesto, Ercole?

Ercole                            - Bè, come avversario, in confronto alla Morte, Diomede valeva effettivamente poco. Ammazzare un mostro può essere difficile, anche spettacoloso... ma penetrare nell'altro mondo per strappare un'anima alle potenze sotterranee è, in paragone, qualcosa di cosmico,... qualcosa che, devo ammetterlo, eccita la fantasia.

Alcesti                           - Grazie, caro Ercole, grazie.

Ercole                            - È un'impresa che non riuscirò mai ad eguagliare in tutta la vita.

Alcesti                           - Grazie, caro Ercole.

Ercole                            - No. Mai più.

Alcesti                           - Grazie, caro Ere... (Si arresta) Mai più? (Ad Admeto) Ha detto mai più?

Admeto                         - Non ho sentito, cara... Ercole, sono un po' preoccupato per quelle bestiacce così vicino a casa.

Ercole                            - Te l'ho già detto, Admeto. Le cavalle sono docili come gattine. Come agnelli, sono. Era la furia di Diomede che le esasperava.

Admeto                         - Ad ogni modo...

Ercole                            - Cerca di ragionare. Se fossero peri­colose, credi che le avrei portate qui? E con questo non voglio dire che in un'atmosfera di crudeltà e di odio non possano diventare veramente feroci. (Alte acclamazioni fuori scena) Ma in questa tua casa felice, in questa splendida pace, in quest'am­biente sereno... come vuoi che facciano a fiutare l'odor di furia che le eccita?

Admeto                         - Già... come potrebbero.

Ercole                            - Neanche pensarci.

Critone                          - (sogguardando dal papiro) Neanche pensarci?

Alcesti                           - Ercole, c'è qualcosa che non riesco a capire... (Cratilo entra di corsa).

Cratilo                           - Admeto! La folla è in delirio. Che cosa dobbiamo fare?

Ercole                            - So io che cosa vuole la folla. Lascia fare a me.

Alcesti                           - A te? Ma perché a te?

Ercole                            - Bè, è me che vogliono vedere, in fondo.

Alcesti                           - È proprio ciò che...

Ercole                            - Un momento. Torno subito. (Esce con Cratilo).

Alcesti                           - Da come si comporta, sembrerebbe che sia stato lui a vincere la Morte, e non io.

Admeto                         - So che non fa nessuna differenza, tesoro, ma credo...

Alcesti                           - Credi, che cosa?

Admeto                         - Credo che ti abbia dato un piccolo appoggio, effettivamente...

Alcesti                           - Appoggio?

Admeto                         - Una mano, amichevolmente.

Alcesti                           - E come avrebbe fatto a darmi una mano?

Admeto                         - Ecco, tu non puoi sapere, naturalmente. È stato dopo...

Alcesti                           - Dopo?

Admeto                         - Dopo il tuo glorioso sacrificio, amor mio. Vedi, lui era qui, ed... è tornato indietro, capisci, dopo che gli avevo detto di andarsi a impicciare degli affari suoi... e quando seppe che ero così ab­battuto, e tutto il resto, e come ti avevo perduta... ero proprio disperato, capisci...

Alcesti                           - Certo, caro. Ma che cosa ha fatto lui, esattamente?

Admeto                         - Oh, s'è dato un po' d'attorno. Molto bene, in un certo senso... ma, naturalmente, è niente in confronto a quello che hai fatto tu.

Alcesti                           - S'è dato d'attorno come, tesoro?

Admeto                         - Come? Bè, quando gli dicemmo che la Morte ti aveva presa, lui diede mano alla clava e... non so come, di preciso... corse dietro...

Alcesti                           - Corse dietro... a me?

Admeto                         - Nel regno dell'Ade, sì. Dio solo sa come ha fatto a trovare la strada. Sì. Per farla breve, sopraffece la Morte e la costrinse a rimandarti in­dietro. E adesso sei qui. Una cosa da poco, insomma.

Alcesti                           - Così che è Ercole che ha fatto tutto...

Admeto                         - Oh...

Alcesti                           - E io, in sostanza non ho fatto niente.

Admeto                         - Ma...

Alcesti                           - E tu, deliberatamente, mi hai lasciato credere il contrario.

Admeto                         - Amor mio... non è che io voglia dimi­nuire i meriti di Ercole. Gli sono veramente grato. Ma, in fondo, che confronto ci può essere fra te e lui? La tua azione è stata un poema, un concerto di musica divina, qualcosa che giustifica la nostra fede, nella nobiltà umana... mentre lui!... Ma pensa... in quel momento era mezzo ubriaco. Nessuno, natu­ralmente, neanche un idiota penserebbe di para­gonare Ercole... (indica drammaticamente Alcesti. Nello stesso momento si alza una tremenda acclama­zione fuori scena: « Ercole! Ercole! Ercole! ». Admeto conclude con voce fievole) ...a una persona come te.

Alcesti                           - Naturalmente.

Admeto                         - Ma che cosa ti vuoi aspettare dalla folla, Alcesti? Da questa massa di barbari etero­genei, che riesce appena a distinguere il nero dal bianco? Lo sappiamo tutti, no? E in fondo, siamo giusti... questo poveretto crede davvero di aver fatto tutto lui. Era qui, e voleva tanto rendersi utile.

Alcesti                           - Ma certo, caro. E così, fra una fatica e l'altra - cose veramente importanti - ha fatto di me un sandwich, fra un cavallo e un toro.

Admeto                         - Qualunque cosa abbia fatto, amor mio, non ha diminuito di un'unghia la tua gloria.

Alcesti                           - (osserva per la prima volta le ghirlande a forma di « E ») Allora mi vorresti spiegare a che servono quei festoni a forma di « E » ?

Admeto                         - Pestoni a forma di « E » ?

 Alcesti                          - Porse che il mio nome comincia per « E », tesoro ?

Admeto                         - Oh,... ecco, sai, in fondo è nostro ospite. E poi è così vanitoso. Ha la vanità di un bambino. La « E », vuol dire, come tu capisci... Evviva. (Altro scoppio di acclamazioni. Entra Ercole, rosso in viso, e sorridente).

Ercole                            - Che ovazione! Che ovazione! Mi hanno coperto di fiori. Mi hanno caricato di baci. A mo­menti mi strappavano la tunica dalle spalle.

Alcesti                           - Sì?

Ercole                            - Ne ho viste di folle. Ne ho sentite di acclamazioni. Ne ho conosciuti di entusiasmi. Ho avuto trionfi in ogni parte del mondo. Ma questa... questa è veramente una cosa unica. (Alza gli occhi e vede i festoni a forma di « E ») Oh, guarda! «E», « E » dappertutto, anche nei fiori. Qui si sente m tocco della donna. Noi uomini abbiamo la forza, Admeto... noi conquistiamo le terre, c'impadroniamo dei regni, giungiamo persino a forzare le porte dell'Ade... ma il piccolo tocco delicato che rende la vita degna di essere vissuta è esclusivo della donna. Qual uomo sarebbe stato capace di un pensiero così squisito?

Alcesti                           - Ho un altro pensiero squisito per te,

Ercole                            - No, no, ti prego. No. Basta, cara, basta. A meno che tu non mi voglia proprio confondere. Mi piacciono le lodi. Mi piacciono i comprimenti. Ma c'è un limite. Per me è sufficiente vedere il tuo viso raggiante di felicità e leggerti negli occhi la gratitudine che vi splende. Ci sono momenti in cui il silenzio è più eloquente di ogni parola. (Tutti lo guardano senza parlare) Eh, Admeto!

Admeto                         - Sì, Ercole.

Ercole                            - (si volge a guardare la sentinella sulla torre) Scusatemi. (Si porta ai piedi della scala) Bè, amico? (Ad Admeto) Scusami. (Alla sentinella) Com'è andata? (Ad Alcesti) Un piccolo affare privato. (Alla sentinella) Che cosa è successo?

La Sentinella                 - A suo marito non è piaciuto.

Ercole                            - Hm... (Ad Admeto) Lo temevo.

La Sentinella                 - Però a me piaceva.

Ercole                            - Ah! Bene. (Admeto fa segno alla sen­tinella di ritirarsi. La sentinella esegue).

Alcesti                           - Ercole...

'

Ercole                            - Dimmi, cara. Che cos'era poi, quel tuo pensiero squisito?

Alcesti                           - Si dice che tu sia un grande eroe.

Ercole                            - Davvero, cara?

Alcesti                           - Non mi vorresti ripetere le imprese che hai compiuto fino ad oggi?

Ercole                            - Le imprese? Oh, chi lo sa? Chi se ne ricorda? Niente di eccezionale, ad ogni modo, davvero.

Alcesti                           - Mi piacerebbe proprio sentirle rac­contare.

Ercole                            - -Davvero? Bè, vediamo un po', vediamo un po'. È un elenco lungo. Quand'ero piccolo, avevo solo tre giorni, strozzai i serpenti di Era con le mie piccole mani. Pu l'esordio. E poi, oh... chi si ricorda più? Il leone di Nemea... l'Idra... il cervo di Arcadia.., il cinghiale di Erimanto... le Arpie... il toro di Crets che vi ho già detto, solo la settimana scorsa senza  contare la pulitura delle stalle di Augia che è stato una specie di sporco affare, ma in scala epica.

Alcesti                           - Per farla breve, prima che toccasse a me, la tua attività era limitata ai soggetti zoo­logici ed ai loro sottoprodotti.

Admeto                         - Ma cara!

Ercole                            - Da un certo punto di vista, sì. Perché?

Alcesti                           - Perché, mio caro Ercole, sembra fuori discussione che gli dèi intendevano che tu te la facessi esclusivamente con le bestie, e non con le creature umane. Tori e porci... in linea di massima. Sembra che tu abbia una disposizione naturale a metterti su un piede di parità con loro. E sembri altresì tagliato su misura per trafficare nei mucchi di letame. Ma quando si tratta di vite umane... hai un bell'essere coraggioso. Un bell'essere forte. Un bell'essere figlio di Giove... ti rimane sempre da imparare che differenza c'è fra l'anima di una donna e la coda di un toro! (Alte acclamazioni fuori scena).

Ercole                            - (bonariamente) Eccoli che ricominciano. (Entra Zoilo, armato e con l'elmo in capo).

Zoilo                             - Ercole! La folla ci sta travolgendo! Anche i soldati sono pressoché sommersi. Fra poco sfonderanno le porte.

Ercole                            - Lo sapevo. Lo sapevo. La vita dell'eroe! Mai un momento di pace. Torno subito, cara. (Ad Admeto mentre si avvia per uscire) Hai versato tutta la libazione? Non mi sembra che si sia riavuta del tutto. (A Zoilo) Vengo. Vengo. (Esce).

Alcesti                           - Così, tutto è per Ercole.

Admeto                         - No, no, tesoro.

Alcesti                           - La festa, gli applausi, le corone, tutto per Ercole.

Admeto                         - No, no, no, tesoro.

Alcesti                           - La guardia viene travolta, le porte sfondate, i soldati sommersi... per Ercole.

Admeto                         - No, no, no, no, tesoro.

 Alcesti                          - Suppongo che vi aspettiate che io intervenga a dar lustro al trionfo di Ercole.

Admeto                         - Ma, tesoro, non sarai gelosa di Ercole?

Alcesti                           - Gelosa? di Ercole? Spererei di no. Al contrario... voglio bene ad Ercole. Morirei per Ercole. Per dare ad Ercole l'occasione di compiere un'altra fatica. Sia pure una fatica di second'ordine. Una sottospecie di fatica.

Admeto                         - Ma tesoro, tesoro...

Alcesti                           - E smettila di tesoreggiarmi! È esa­sperante!

Admeto                         - Bene, teso... Bene, Alcesti.

Alcesti                           - E pensare che per anni, dal mattino alla sera, non ho cessato un momento di brigare perché la gente ti credesse qualcuno. Se ti capitava di dire una sciocchezza io insistevo a ripetere che eri saggio come Nestore. Se in battaglia scappavi, sostenevo che eri svelto come Achille. Se ti sforzavi di resistere, affermavo che eri coraggioso come Ettore. Ho fatto di tutto, perché il popolo ti credesse il più grande dei Greci... Sono morta al tuo posto, persino.

Admeto                         - Non mi crederai ingrato, Alcesti?

Alcesti                           - Oh, no, no. È tanta la tua gratitudine che alla prima occasione mi abbandoni pubblicamente  nelle mani di questo scimmione, di questo grosso pagliaccio perché faccia di me quel che gli pare... mi metta in mostra come un premio, un trofeo... come un cavallo, un toro o quella pelle di leone tarlata che ha sulle spalle!

Admeto                         - Come puoi parlare così, Alcesti? Come puoi pensare una cosa simile? Tu non sei un trofeo. Non sei né un cavallo né un toro. La tua avventura è una leggenda gloriosa. Il tuo nome vivrà eterno.

Alcesti                           - Grazie a te, non ho neanche più un nome. Sono diventata un numero. Fatica d'Ercole numero sette bis.

Critone                          - (prendendo appunto) Fatica d'Ercole numero sette bis.

Alcesti                           - (volgendosi a Critone) Che cos'hai tu, da prendere in giro? Cosa stai scribacchiando, là? Cosa fai qui? Possibile che una donna non possa essere padrona in casa sua?

Admeto                         - Ma, Alcesti, che cosa ti è accaduto?

Alcesti                           - Sai che cosa significa morire, amico mio? Diventare personalmente cadavere... e poi tornare e trovarsi in una situazione come questa?

Admeto                         - Alcesti, ti prego, non dimenticare che io ti amo... Alcesti, guardami...

Alcesti                           - Conosco benissimo la tua faccia.

Admeto                         - No, tesoro, ti prego...

Alcesti                           - (porgendogli lo specchio) Tieni, guardati da solo. Guardati bene. E quando avrai finito usami la cortesia di dirmi, in presenza di questo amico tuo, se ti riesce di vedere su quella faccia insulsa e melensa un'espressione qualsiasi che possa persuadere una persona, sia pur stupida, a passare una notte in braccio alla Morte.

Admeto                         - (guardandosi tristemente nello specchio) Così, ho una faccia insulsa e melensa.

Alcesti                           - Sì, caro. Sì, caro. Non ho paura di dirti la verità. Hai la faccia assolutamente insulsa e melensa.

Admeto                         - Ti ringrazio per avermelo fatto sapere. Non me n'ero accorto, finora. (Pausa) E ti ho chiesto io di morire per questa faccia?

Alcesti                           - Con minor spreco di parole, forse. Non ne avevi il coraggio. Ma se ricordo bene, come credo di ricordare, al momento critico tremavi come una foglia al vento e ogni fibra del tuo corpo implorava il mio aiuto.

Admeto                         - Non è vero. Non ho mai voluto che tu morissi per me. Ti amavo troppo...

Alcesti                           - Non mi hai mai amata!

Admeto                         - Alcesti, Alcesti, mi spezzi il cuore!

Alcesti                           - Lo so. Se non si fa sempre a modo tuo, il cuore ti si spezza regolarmente ogni cinque minuti. E va bene: lascia che si spezzi, tanto per cambiare. Lascia che si spezzi. Lascia che si spezzi. Lascia che si spezzi.

Critone                          - (mormora scrivendo) Lascia che si spezzi. Lascia che si spezzi. Lascia che si spezzi.

Admeto                         - Alcesti, ti prego, controllati un po'. Cosa dirà la gente?

Alcesti                           - Ah! Ora hai paura di quello che dirà la gente. Prima hai paura della morte. Poi hai paura della solitudine. Ora hai paura dell'opinione pubblica. E di cos'altro non hai paura? Devi ammettere, amico mio,che lasciato a te stesso non dai proprio l'impres­sione di essere un eroe. E nemmeno di essere un uomo. E, a questo punto, francamente comincio a doman­darmi che cosa mai ho visto in te...

Admeto                         - Alcesti...

Alcesti                           - Che cosa mai...

Admeto                         - (le si avvicina con un sorriso conciliante, alquanto forzato) Sei una piccola isterica e stai dicendo cose molto spiacevoli. So che non le pensi, ma, davvero, cara, è meglio controllarsi un poco.

Alcesti                           - Non le penso?

Admeto                         - No, no, certo che no. Sei un po' ec­citata. Mi rendo conto perfettamente. Però, non siamo gente qualunque... per litigare a questo modo. La nostra unione è santificata, leggendaria, unica...

Alcesti                           - Unica!

Admeto                         - In questo momento sarai magari un po' in collera con me - per quanto, che io possa morire se riesco a capirne la ragione - ma in fondo so che mi adori.

Alcesti                           - Ti adoro?

Admeto                         - Si. (Le si avvicina) E non intendo più permettere che tu continui a tormentarti... (Cerca di abbracciarla) Voglio prenderti fra le braccia.

Alcesti                           - (estrae dai capelli un lungo spillone) Non cercare di toccarmi!

Admeto                         - (insistendo) Alcesti...

Alcesti                           - 0 te lo pianto in cuore!

Admeto                         - Amor mio... (Alcesti gli vibra un colpo con lo spillone) Oh! (Admeto indietreggia e scende freneticamente dai gradini) Critone aveva ragione! Critone aveva ragione!

Critone                          - (scrivendo) Critone aveva ragione.

Alcesti                           - Critone aveva ragione... di che cosa?

Admeto                         - Mi aveva messo in guardia. Mi aveva avvertito di non ridarti coscienza.

Alcesti                           - Cosi, ne avevi discusso con Critone? Ora il quadro è perfetto. Completo... Sono eviden­temente circondata da amici. Ed è per questo che ho lasciato la casa di mio padre, per questo che sono venuta via da Jolco. Anzitutto, sono stata obbligata a morire. Poi mi hanno fatto uscire di senno. E per ultimo mi vogliono far passare per scema... Bene, non posso dire di non essére stata avvertita. La mamma me l'aveva detto, mio fra­tello me l'aveva detto... mi avevano detto che cosa eri tu esattamente.

Admeto                         - Magari avessero detto a me che cosa eri esattamente tu!

Alcesti                           - Oh! E che cosa sarei io esattamente, se non ti spiace?

Admeto                         - Una tigre! Un'assassina!

Alcesti                           - E questo sarebbe il ringraziamento per essere morta al posto tuo.

Admeto                         - Non sei morta al posto mio. Ti sei uccisa per puro egoismo, per i tuoi scopi, cogliendo l'occasione. La gente come te è pericolosa per la società. Non per niente il suicidio è considerato un gesto criminale. Hai cercato di dare un'impressione di dolcezza e di volontà di sacrificio, ma ora vediamo di che stoffa sei fatta. Altro che volontà di sacrificio! Tu cercavi di sacrificare me, la mia reputazione, il mio nome alla tua insaziabile sete di gloria. Grazie a Dio, c'era qui Ercole a prendersi queste brighe per te.

Alcesti                           - Oh! Oh! Oh!

Admeto                         - Sì, si, proprio così. E cerca di control­larti. Guardami... può darsi che di dentro io sia un vulcano ma, come vedi, mi padroneggio per­fettamente. Non mi metto a urlare i miei sentimenti come una pescivendola. Sono calmo. Perciò ti posso dire con assoluta obiettività che non ho mai avuto veramente fiducia in te. So da che razza di famiglia esci. Ci sono almeno quattro omicidi fra i tuoi parenti più prossimi, senza contare i reati sessuali di minor conto, innumerevoli e innominabili. Credi di ingannare la gente con quella tua aria di dolce vit­tima? Non inganni nessuno. Nessuno ti prende sul serio... Se gloria c'è in questa miserabile faccenda, è soltanto ad Ercole che spetta. Tu non hai fatto altro che renderti ridicola.

Alcesti                           - Così. Finalmente la verità.

Admeto                         - Sì. Finalmente la verità. Sì. Sì.

Alcesti                           - Ora lascia che ti dica una cosa. Aspetta soltanto che venga a saperlo mio fratello. Ti dirà lui se io sono da prendere sul serio o no, e da che razza di famiglia esco. Ti dico che Acasto non tarderà ad arrivare con i suoi soldati, e mi auguro che possa cacciare una lancia in quel petto di pollastro non una ma cinquanta volte.

Admeto                         - Ti ringrazio. È una fortuna che i petti di pollastro si sappiano controllare. Adesso puoi cominciare a raccogliere la tua roba. Te ne vai. Torni alla tua amata Jolco, dal tuo beneamato fratello. Addio.

Alcesti                           - Oh! Mostro! Eccoti l'anello! (Lo getta contro Admeto) Ed eccoti il braccialetto! (0. s.) Ho ancora qualcosa di tuo che mi contamini? Oh,!  i fiori... (Li scaglia in faccia a Critone) Questo è per i te! (Fuori scena risuona un improvviso strepito dì cavalli al galoppo, e poi un tonfo fragoroso) Acasto! (Sale di corsa sulla torre) Acasto!

Admeto                         - (le tira dietro la boccetta del Lete) Acasto! Acasto!... Maledetta la mano che ti ha versato, acqua del Lete! Avevamo ancora bisogno di Acasto e dei suoi straccioni di soldati! (Entra Cratilo di corsa).

Cratilo                           - Con licenza, Admeto...

Admeto                         - Lo so... lo so...

Cratilo                           - Hanno abbattuto le porte!

Admeto                         - Chiama Zoilo!

Cratilo                           - Hanno travolto le guardie!

Admeto                         - Suona l'adunata!

Cratilo                           - Sono piombate nelle stalle!

Admeto                         - Nello stalle? Acasto?

Cratilo                           - Non Acasto! Le cavalle di Tracia! Le cavalle di Tracia!

Critone                          - Non è possibile. Si tratta di un'illusione. di un mito.

Admeto                         - (chiama) Ercole!... Critone, per amor di Giove, cerca delle catene, degli uncini, delle corde. Lega queste bestie finché siamo in tempo! (Chiama) Ercole! Ercole! (Ercole entra).

Ercole                            - Sono perfettamente innocue. Admeto. Sono come agnelli, Admeto... ad esse piace giocare come le gattine, Admeto.

Admeto                         - Portale fuori di casa mia... Portale lontano da casa mia.

Critone                          - Credi davvero che queste cavalle esistano? (Si sente il nitrito delle cavalle).

Admeto                         - Svelto, Critone, svelto, prima che sia troppo tardi! Abbiamo le furie in casa! (Critone e Cratilo escono).

Ercole                            - Ma davvero, Admeto, ti ecciti per nulla. Non ci sono furie... non faranno alcun danno.

Admeto                         - (sempre più esasperato, a mano a mano che le cavalle si fanno sentire) Ecco... Te ne sei giunto ubriaco ai funerali di mia moglie ed hai pro­fanato la casa. Benissimo. Sei mio ospite. E non dico niente. Poi te ne vai nell'Ade e te ne ritorni con quella tigre. E ancora non dico niente. Ma adesso, mi vuoi anche portare le furie in case. E allora biso­gna che te lo dica: sono furibondo.

Ercole                            - Ma, Admeto, sono soltanto cavalle...

Admeto                         - Sono furie, furie! La loro presenza infetta la casa. Me le sento dietro, che si agitano. Fra poco, qui dentro, avverrà un macello.

Ercole                            - Andiamo, Admeto, andiamo... è solo perché hai avuto qualcosa da dire con tua moglie... Ma questo non significa che siano arrivate le furie. Guarda me. Forse che sono furibondo? Sono perfet­tamente felice. E Critone. E il mio amico, la sentinella... è un nube di letizia, irradia addirittura la felicità.

Admeto                         - Ercole!

Ercole                            - Te ne voglio dare la prova... (Chiama,) Sentinella! (Ad Admeto) Ora vedrai da te. Le cavalle non hanno nessuna influenza,. (Chiama) Sentinella! (Entra la sentinella. Ha un occhio acciaccato e gonfio, la tunica a pezzi; zoppica e perde sangue dal naso) Che cosa ti è successo, in nome di Dio?

La Sentinella                 - Non me lo domandare, Ercole.

Ercole                            - Chi ti ha conciato a quel modo?

La Sentinella                 - Suo marito, l'altra sentinella. Stavamo parlando tranquillamente di sua moglie, quando d'improvviso queste cavalle si precipitano di galoppo nella scuderia, e mentre io mi voltavo a guardare lui mi saltò alla gola e prima che mi rendessi conto...

Ercole                            - Bè, non te la prendere... Questo non prova niente, Admeto. Sono cose che capitano, sai. Critone sarà qui fra un momento e si prenderà cura di te. Era cinque minuti sarai vispo come un grillo. (Le cavalle nitriscono di nuovo. Al nitrito risponde la risata di Alcesti che è ancora sulla torre).

Admeto                         - Giove! (Entra Cratilo).

Cratilo                           - Admeto! Admeto! Hanno morsicato Critone! (Alcesti scoppia in un'altra risata isterica).

Admeto                         - Ma bene! Bene! Si comincia! Si comincia!

Ercole                            - Morsicato?

Cratilo                           - Insisteva a dire che era soltanto una illusione.

Ercole                            - Ma che cosa ha fatto?

Cratilo                           - Gli voleva esaminare i denti. E mentre stava guardando in bocca a una di queste illusioni, l'altra gli diede un morso.

Ercole                            - Non riesco a capire.

Admeto                         - Non riesce a capire perché una volta tanto quella tigre ha avuto ragione. Perché sei il più grande stupido, scemo, imbecille, intrigante, idiota del secolo!

Ercole                            - Io? (Alla sentinella) Che cosa vuol dire? Non mi riesce chiaro.

Admeto                         - Se ad essere stupidi facesse male, ci assorderesti con le tue urla.

Ercole                            - È interessante, come pensiero... (Alla sentinella) Continuo a non capire.

Admeto                         - Non chiederei di meglio che farti capire. Vorrei potermi spiegare. Mi rincresce soltanto che la tua posizione di ospite mi vieti di darti una lezione che non dimenticheresti più.

Ercole                            - Ma che cosa sta dicendo?

Alcesti                           - (dalla torre) Dice che siccome è un vigliacco non osa alzare un dito su di te... nemmeno la voce, osa alzare. Ma ascolta. Senti questo rumore? Questa cadenza di uomini in marcia? È mio fratello. Sta arrivando con i suoi soldati e, fra poco, capirai tutto. Preparati. Avrai la più bella lezione della tua vita.

Admeto                         - Splendido! (Chiama) Zoilo! (Alla sentinella) Va a cercare Zoilo. (La sentinella esce) Magnifica idea. Tranne che in un particolare. Che tuo fratello non è in condizioni di dar lezioni a nessuno. Se mai osa mettere il naso in casa mia, provvederò io personalmente a ridurlo in pezzettini non più grossi di cosi, mia cara, e te li caccerò in quella gola di cigno.

Alcesti                           - Oh! Mostro! (Entra Zoilo).

Admeto                         - Schiera immediatamente la guardia.

Zoilo                             - Già fatto, Admeto. Acasto è qui. Le truppe di Jolco marciano sul palazzo.

Admeto                         - La spada! L'elmo! Fa suonare le trombe! Biceveteli sulla punta delle lance.

Zoilo                             - Giove misericordioso! (Esce correndo. Si ode sempre più distinto l'eco dei passi cadenzati. Dal parapetto spuntano le lance dei soldati di Jolco. Fuori scena si sente un comando: «Alt». Admeto afferra una lancia).

Ercole                            - Admeto, calmati. Sembri eccitato. Alcesti... che cosa vuoi fare? Non vorrai che si giunga ad una guerra?

Alcesti                           - Elena ha avuto la sua guerra.

Admeto                         - Tigre!

Alcesti                           - Assassino! (Entra Acasto. È un ometto piccino, armato di tutto punto. Regge una spada troppo grande per lui).

Acasto                           - (affettuosamente) Bene! Bene! Bene! Sorella! Fratello! Sono tanto contento di vedervi. Avete un aspetto splendido. Lo sapevo. Chiacchiere idiote. Pensate un po'... mi avevano detto che tu l'avevi massacrata... sepolta viva.

Alcesti                           - Acasto!

Acasto                           - Sì, cara. (Ad Admeto) Si capisce che son dovuto venire a vedere. Per pura formalità... mi sono chiesto, perché dovrebbe massacrare mia sorella? Può batterla. Questo è ragionevole. Ma perché ammazzarla?

Ercole                            - Tienti calmo, Acasto. Sembra che qui tiri aria di tempesta, molto pericolosa.

Alcesti                           - Vendetta, Acasto.

Acasto                           - Sì, cara. Un momento solo... Vedo che siete in festa.

Ercole                            - Sì, è per me... Tienti calmo...

Acasto                           - Bene, mi fa piacere che non ci sia'da far guerra, Admeto.

Alcesti                           - Non far guerra?

Acasto                           - No, certo che no.

Admeto                         - Non far guerra?

Acasto                           - No, no... perché dovremmo far guerra?

Alcesti                           - L'onore di tua sorella non significa niente per te?

Acasto                           - Ma lui non ti ha mica offeso l'onore. (Ad Admeto) Hai mica offeso il suo onore, che tu sappia?

Admeto                         - È lei che ha offeso il mio.

Alcesti                           - Sono stata svergognata pubblicamente, Acasto.

Acasto                           - Davvero, cara?

Alcesti                           - Mi hanno sotterrata con la frode, Acasto.

Acasto                           - Bè, ma poi ti hanno dissotterrata.

Alcesti                           - Sei mio fratello! Il sangue di Pelia ti scorre nelle vene? Non senti niente? Collera? Furia?

Acasto                           - (perplesso) Ecco...

Admeto                         - (minaccioso) Io sì!

Alcesti                           - Chiunque altro al tuo posto gli sarebbe già volato alla gola.

Acasto                           - Credi proprio?

Alcesti                           - Mi ha ingannata! Mi ha uccisa! Mi ha sepolta viva!

Acasto                           - Davvero?

Admeto                         - E vorrei che fosse ancora all'inferno.

Acastó                           - Ma che modo di parlare!

Admeto                         - Parlo come mi piace!

Alcesti                           - Che cosa aspetti, Acasto? In questo momento stesso si prepara ad ucciderti.

Acasto                           - Davvero?

Alcesti                           - Ha fatto chiamare la guardia.

Acasto                           - Davvero?

Alcesti                           - Ha giurato che ti avrebbe fatto a pezzettini e poi me li avrebbe cacciati in gola.

Acasto                           - Ma no!

Alcesti                           - Ma non temere, è troppo vile per combattere con te.

Admeto                         - Sono vile?

Alcesti                           - Chiama i tuoi soldati, Acasto.

Ercole                            - Amici! Amici!

Admeto                         - Fuori di casa mia! Tigre!

Alcesti                           - Hai visto?

Acasto                           - Vuoi cacciare di casa mia sorella?

Admeto                         - Precisamente. E te dopo di lei, pigmeo!

Acasto                           - Questo è troppo!

Admeto                         - È troppo piccino per me.

Acasto                           - Pigmeo? A me?

Ercole                            - (andando dall'uno all'altro) Amici! Amici!

Alcesti                           - Vendetta! Vendetta!

Acasto                           - Pigmeo! Questa non la mando giù. (Sguaina la spada).

Admeto                         - (alzando la lancia) Manda giù que­sta, allora. (Si azzuffano. Ercole cerca di separarli).

Ercole                            - Acasto!.... Admeto!... State attenti. Sono armi che tagliano.

Alcesti                           - (fa risuonare la campana della torre) Uomini di Jolco! Aiuto! Stanno assassinando Acasto! Stanno assassinando Acasto!

Admeto                         - Zoilo! (Squillo di tromba fuori scena. La fila delle lance si muove. Da diverse direzioni entrano Ferete; Grifone, con un braccio al collo; Mirtilla e Zoilo in armatura completa. Mirtilla getta un grido e subito sviene).

Alcesti                           - Guerra! Guerra!

Admeto                         - Gli voglio ridurre le ossa in briciole.

Ferete                            - Politica, Admeto, politica!

Admeto                         - Voglio inzuppare la terra del loro sangue.

Critone                          - Logica, Admeto, logica!

Admeto                         - E Giove m'incenerisca coi suoi ful­mini se della loro città lascerò pietra su pietra! (Si precipita contro Acasto).

Ercole                            - No, no... Admeto... Gli potresti far del male. Dalla a me, questa... (Gli prende la lancia) Così. (Subito Acasto si getta contro Admeto disarmato).

Alcesti                           - Guerra! Guerra! Guerra! Guerra!

Ercole                            - No... no, Acasto. Questo non è il modo di fare. (Gli prende la spada. Il nitrito delle cavalle echeggia attraverso l'azione).

Tutti                              - Ammazza! Ammazza! Ammazza! Am­mazza! (Si scagliano contro Acasto).

Alcesti                           - Uomini di Jolco!

Zoilo                             - Uomini di Tessaglia!

Alcesti                           - Caricate!

Zoilo                             - Caricate! (Da parti opposte del palcoscenico risuona una vigorosa acclamazione e immediatamente la scena si riempie di lance).

Ercole                            - (ad altissima voce) Padre Giove! (Tutti si fermano intimoriti, Ercole va al parapetto e alza le braccia al cielo. Si sente un rombo lontano di tuono come risposta) Era per giungere a questo che io ho lottato tutta notte contro la Morte sulle grigie sponde del Lete? (Scoppio di tuono. Quindi appare Giove « ex machina » seduto su una nube a mezz'aria. Tutte le lance si abbassano e tutti, tranne Critone, si ingi­nocchiano) Papà!

Giove                            - Miei poveri figlioli! Che pasticcio avete combinato. Che pasticcio. Bè, ma non vi rimprovero, nessuno di voi... è tutta colpa mia. Non avrei mai dovuto permettere a un tanghero come mio figlio di violare le leggi riportando in vita questa donna. Se fosse rimasto nell'Ade, vi assicuro che tutti questi guai non si sarebbero verificati. Sarebbe nata una bella, meravigliosa leggenda. Ma invece... (Allarga le braccia in un ampio gesto) Guarda un po' che guazzabuglio. Vedete, io ho organizzato questo mondo in modo che non si possano violare le sue leggi. Se ciò accade, va a catafascio tutto quanto, la vita diventa assurda... l'amore, il sacrificio, l'eroismo e il resto, tutte le cose per le quali credete di vivere-si disperdono nell'aria leggera. Si potrebbe obiettare che ciò non ha molta importanza, in quanto queste cose sono comunque illusioni... (Critone s'inchina a Giove che prende atto) illusioni che, però, sono dirette ad un fine di grande utilità: servono a coprire, a] nascondere certe parti dell'anima umana che effettivamente non reggono ad un esame approfondito... Bè, non affaticatevi il cervello a pensarci. Siamo ancora in fase sperimentale. Ma io ci sto lavorando ' e, un giorno o l'altro, giungerò ad un risultato. In­tanto (raggiante di benignità) qui è necessario un piccolo restauro artistico. Vedrete. Fate bene at­tenzione. (Con un ampio gesto delle mani ad Admeto e Alcesti) A voi, figli miei, restituisco l'illusione dell'amore. (Accenna ad Admeto che si alza lentamente, come un sonnambulo) Admeto... (Admeto mantiene ancora per un momento l'espressione di prima, poi a poco a poco il viso gli si trasfigura).

Admeto                         - (con immensa tenerezza) Alcesti!...

Giove                            - (c. s.). Alcesti!...

Alcesti                           - (come Admeto) Admeto!

Giove                            - (ridacchiando) Visti? Un bacio, per favore. (Con grande naturalezza, come se non l'avessero udito, Alcesti ed Admeto si baciano).

Alcesti                           - Tesoro, chi è la donna che non morirebbe per te...

Admeto                         - Carissima, chi è l'uomo che ti può meritare...

Giove                            - (ridacchiando) Un pizzico d'illusione, i e il resto va da sé. Che invenzione!

Critone                          - Che inventore!

Giove                            - (guardando Critone che ha sempre il braccio al collo) Oh? Critone, che cosa cercavi in bocca ad un'illusione? Non sai che le illusioni sono pericolose? Mordono, ragazzo mio, mordono... (Critone china umilmente il capo) Ah, ah, ah. A te restituisco la illusione della saggezza. E tu, Ercole, figlio mio...

Ercole                            - Papà...

Giove                            - Non vuoi che ti dia un po' più di buon

senso?

Ercole                            - Buon senso? Per farne?

Giove                            - Hai ragione. In quanto a queste odio­sissime cavalle... (Sembra che la cosa non interessi più nessuno. Giove schiocca le dita per richiamare l'attenzione) Cavalle, prego, cavalle. (Le cavalle nitriscono e si sente il loro galoppo disperdersi in distanza. La sentinella sopraggiunge senza fiato, tenendosi una mano sull'occhio gonfio. Non si è ancora accorto dell'augusta presenza sul palcoscenico).

La Sentinella                 - Ercole! Ercole! Le cavalle di Tracia hanno tagliato la corda. Sono scappate. Sono scomparse. Ercole.

Giove                            - Grazie. Ed ora... musica, figlioli."" Si dia inizio ai festeggiamenti e l'eco della vostra allegria giunga all'Olimpo. Perché, fra ogni altra cosa al mondo, la gioia è la più gradita agli dèi. (Fa un segno e la nuvola comincia salire).

La Sentinella                 - (ridendo obbligatamente) He... he... he... (Giove ferma la nuvola a mezz'aria).

Giove                            - Oh, visto che ci sono, a te posso anche restituire l'innocenza. (La sentinella scuote il capo in segno di muta protesta) Hai ragione. Per che farne? Per che farne? (La nuvola continua a salire. La festa comincia. Musica. Applausi).

FINE