Le corna di Don Friolera

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LE CORNA DI DON FRIOLERA

Commedia in tre atti e 14 quadri

di Ramon Maria del Valle Inclàn y Montenegro

Versione italiana di A.G. Bragaglia

PERSONAGGI

Don ESTRAVAGÀRIO e don MANOLITO, intellettuali

UN MARIONETTISTA e i suoi pupi

Il tenente don FRIOLERA

Donna LORE­NA

MANOLITA, frutto della coppia

PACECCHINO, bar­biere

Sora TADDEA, pin­zochera

NELLO, l'ubriaco

IL RAGAZZO del poponaio

Don LAURO ROVIROSA

Don CAMPINO CAMPERO

Don MATTEO CARDONA

IL COLONNELLO

Donna PEPITA, sua moglie

CURRO CARDENAS, contrabbandiere

Donna CALLISTA, ostessa

BARALLOCAS, cameriere

UN CIECO « romancista »

UN CARABINIERE

L'azione si svolge a S. Ferdi­nando del Capo, perla marina della Spagna.

ATTO PRIMO

(La fiera pasquale di Santiago il Ver­de, alla frontiera col Portogallo. Il cortile di una locanda, con gente che entra ed esce: contratti, of­ferte, vivacità. Alla finestra del corri­doio sono affacciale due figure: berretto basco azzurro, facce larghe, gioia con­templativa quasi in­fantile e quasi az­zurra. Tutto concor­re a significare che quelle due teste so­no basche. Così è infatti. Il vecchio sbarbato, espressione dolce di francescano laico, è don Mano­lito il pittore. Il suo compagno, spettro con occhiali e barba, è un chierico. La malizia ha lasciato il suo nome nell’oblio per chiamarlo don Estravagàrio.

Girano la Spagna per conoscerla e divagano talvolta proiettando un libro di disegni e impressioni scritte).

Don Estravagàrio          - Che avete fatto stamane, don Ma­nolito? Avete l'espressione di chi si sia intrattenuto a chiacchierare con gli angeli!

Don Manolito               - Che grande scoperta, don Estravagàrio! Ho visto un pessimo quadro con il sentimento del Greco!

Don Estravagàrio          - Questo pittore non sarà stato allievo dell'Accademia di Belle Arti?

Don Manolito               - Dipinge le mani con sei dita e fa  ogni sorta di diavolerie con l'azzurro, la biacca e il giallo.

Don Estravagàrio          - Dev'essere un genio!

Don Manolito               - Un barbaro!  Fa spavento!

Don Estravagàrio          - E dov'è questo quadro, Manolito?

 Don Manolito              - Ce l'ha un cieco.

Don Estravagàrio          - Ho capito.

Don Manolito               - E che ne dite?

Don Estravagàrio          - Che se voi vorrete lo compre­remo metà per uno!

Don Manolito               - Il vagabondo che lo possiede non lo vende.

iDon Estravagàrio         - Avete cercato di farvelo dare?

Don Manolito               - Naturalmente, e glielo pagavo bene. Arrivavo fino a tre « duros ».

Don Estravagàrio          - Per cinque può darsi che ce lo lasci.

Don Manolito               - C'è un peccatore che s'impicca e un diavolo che ride come nemmeno se l'è sognato il Goia! E' il capolavoro della pittura assurda. Un diavolo che tira fuori la lingua, e fa l'occhietto, è un prodigio. Vi si sente la risata di gusto.

Don Estravagàrio          - Io ho delle altre idee circa le risate infernali; ho sempre creduto che fossero ca­chinni di sprezzo. Invece questo pittore assurdo mi ri­vela che noi poveri uomini divertiamo molto il cor­nuto monarca.

Don Manolito               - Stamane vi siete certo avvicinato al fiasco. Almeno così sembrate, don Estravagàrio.

Don Estravagàrio          - Non capite che se noi pecca­tori divertiamo il demonio, la conseguenza è che esso gioisce dell'Opera Divina?

Don Manolito               - Dei suoi difetti, don Estravagàrio!

Don Estravagàrio          - Ma voi cadete in errore. L'Opera Divina è immune da difetti. Non dovete credere alla realtà di codesto demonio che prende gusto alla farsa umana e si diverte come un bottegaio. Le lacrime e il riso nascono dalla contemplazione di cose simili a noi stessi, e il diavolo invece è di natura angelica. Siete d'accordo, don Manolito?

Don Manolito               - Non è mica troppo chiara la fac­cenda, don Estravagàrio. Spiegatevi con un esempio.

Don Estravagàrio          - Be', immaginate una corrida. Quei sentimentali che si dolgono dell'agonia dei cavalli non possono capire la emozione estetica della corrida. La loro sensibilità non è che la stessa sensibilità equina, e per un fenomeno di cerebrazione incosciente essi ar­rivano a immaginare, per sé, una sorte uguale a quella di quei ronzini sbudellati. Se non sapessero di avere salsicce a metri per la cena, credetemi che non si commuoverebbero. Per caso li avete mai visti pian­gere quando un trivello sventra una cava di pietra?

Don Manolito               - Voi dunque supponete che non si commuovono perché si trovano sentimentalmente più lontani dalle rocce che dai cavalli?

Don Estravagàrio          - Così è infatti. E così accade con le cose che ci fanno ridere: noi riserbiamo le nostre burle per ciò che ci è simile.

Don Manouto               - Occorre amare, don Estravagàrio: il riso e le lagrime sono le vie del Signore. -Questa è la mia estetica e la vostra.

Don Estravagàrio          - La mia no, la mia estetica è un superamento del dolore e del riso, come debbono essere le conversazioni dei morti nel raccontarsi le storie dei vivi.

Don Manouto               - E perché immaginate che così deb­bano essere i ricordi dei morti?

Don Estravagàrio          - Perché loro sono di già immor­tali. Mentre tutta l'arte nostra nasce dal sapere che un giorno moriremo. Questo rende gli uomini eguali molto di più che la Rivoluzione francese.

Don Manolito               - Ma voi, don Estravagàrio, volete essere come Dio!

Don Estravagàrio          - Io vorrei vedere questo mondo con la prospettiva dell'altra riva. Sono come quel mio parente che voi avete conosciuto, il quale una volta, domandandogli il suo capo che cosa desiderasse essere, rispose: io, morto!

 (Nel cortile della locanda è entrato un capannello di mercatanti. Sotto il mantello grigio di un vecchio s'in­travedono i panni dei fantocci di un teatro rudimen­tale e popolare. Il marionettista suona un'aria di fan­dango nella sua sconquassata armonica e il suo acco­lito, ragazzo pieno di malizia, si nasconde sotto il suo mantello per muovere i fantocci).

Il Marionettista             - Sor tenente don Friolera mettete fuori la capocchia!

Voce di Fantoccio        - Son di guardia alla caserma.

Il Marionettista             - Altro che guardia! Il tenente don Friolera vi promuove a colonnello.

Voce di Fantoccio        - E' una menzogna.

Il Marionettista             - Non mente il cieco Fedel. (Il fantoccio con le braccia aperte fa la sua apparizione sulla spalla del compare che strizza l'occhio cantando al suono dell'armonica) Balliamo la jota, balliamo la jota, che Santa Lilaila partorì una marmotta e la mar­motta partorì uno scrivano con penna e calamaio di corno, in mano ; lo scrìvano partorì uno scrivente con penna e calamaio di corna alle tempia.

Il Fantoccio                   - Taci, rinnegato cane di Mosè. Tu vuoi che io ti scanni col mio coltello portoghese.

Il Marionettista             - Piano, non correte così presto, sor tenente don Friolera, e uccidete la mercìaìa se non volete essere cornuto.

Il Fantoccio                   - Bada bene, Fedel, che io sono suo marito, ed essendolo, non posso essere giudice.

Il Marionettista             - E allora sarete cornuto convinto.

Il Fantoccio                   - Prima che accada le rompo la testa. Chi fa oltraggio al mio onore?

Il Marionettista             - Pietro Malmaritato.

Il Fantoccio                   - Che castigo si merita?

Il Marionettista             - Morire scannato.

Il Fantoccio                   - E che mestiere fa?

Il Marionettista             - Conduce file di asini carichi di barili d'olio, e guadagna molto. Mio tenente don Frio­lera, chiamate la merciaia.

Il Fantoccio                   - Vieni qui, donna disonesta.

Un grido stridulo          - Perché m'insulti?

Il Fantoccio                   - Questo pugnale ti risponderà.

Un grido stridulo          - Amor mio calmati. (Dall’altra spalla del compare fa la sua apparizione una bambola: faccia dì luna e capelli di stoppa, sull’orecchia una rosa di carta). .

Il Marionettista             - Se la camicia della merciaia puzza d'olio, uccidetela.

La Bambola                  - Cieco pidocchioso, non aizzare un uomo geloso.

Il Marionettista             - Se è macchiata d'olio, datele una puncicata. Mio tenente don Friolera, cosa dice la ca­micia?

Il Fantoccio                   - Perdio, che sono becco!

La Bambola                  - Ieri sera mi si è rovesciato addosso un lume nel mettermi a letto, per questo mi puzza il focolare, non per altri amori. Cieco bugiardo, bada tu stesso a non essere beccaccione, e non aizzare il cuore di un innamorato geloso.

Il Marionettista             - Andiamo, sor tenente, fatela fi­nita. Inchiodatela con un pugnale.

Il Fantoccio                   - Mi mangerò in polpetta la carne di questa canaglia e col suo sangue farò dei sanguinacci.

La Bambola                  - Spargi il mio sangue innocente, o crudele innamorato. Non detta l'uomo prudente sen­tenze sulle insinuazioni di un malvagio.

Il Fantoccio                   - Muori, ingrata. Strabuzza gli occhi e tira la cianca.

La Bambola                  - Sono morta. Il tenente mi ammazza! (Il fantoccio distribuisce coltellate con la scimitarra dì Otello. La falcata lama riluce terribile sulla testa del compare. La bambola cade perdendo le forcine e la­sciando vedere le mutande).

Il Marionettista             - All'erta, tenente mio, che i gen­darmi bussano alla porta col calcio dei fucili.

Il Fantoccio                   - Madonna, che guaio!

Il Marionettista             - Lasciate cadere uno scudo vicino alla morta, tenente, per vedere se si sveglia. Signor tenente, come risponde?

Il Fantoccio                   - Mi fa le fiche e nasconde lo scudo nella calza.

Il Marionettista             - Signor tenente, è alta la calza?

Il Fantoccio                   - Altro che! E' troppo alta!

Il Marionettista             - Ecco la tragedia delle corna di don Friolera. Ole! (Finisce la rappresentazione. Aria del fandango nell'organetto di Barberia. L'accolito esce di sotto il mantello e gira pel gruppo facendo rimbal­zare delle monete in un piattino. Nell'alto della finestra le teste biscagline sorridono ingenuamente).

Don Manolito               - Sembra teatro napoletano.

Don Estravagàrio          - Potrebbe essere latino. Senza dubbio la comprensione di questo umore e di questa morale non è di tradizione castigliana. E’ portoghese, è cantabrica, è forse delle montagne catalane. Gli altri paesi nulla sanno di queste burle di cornuti e di que­sto faceto buon senso, così contrario all'onore teatrale e africano di Castiglia. Questa ribalta di burattini sulle spalle di un vecchio cantastorie, è per me più suggestiva che tutto il retorico teatro spagnolo. E badate, non lo dico per amore alle forme popolari della letteratura.

Don Manolito               - A voi quali commedie letterarie piacciono?

Don Estravagàrio          - Tutte sono abominevoli. Ogni epoca ha il poeta che si merita.

Don Manolito               - Le altre notabilità nazionali non sono degne di essere pubblicate in giornali importanti.

Don Estravagàrio          - Queste strofe di toreri assassini e ladri non sono che cronaca nera.

Don Manolito               - Voi, per essere tanto sapiente, le giudicate leggendole e non andate oltre. Ma quando sono cantate con accompagnamento di chitarra, acquistano un sentimento. Non mi negherete che la romanza del cieco, iperbolica, truculenta e sanguinaria, è forma popolare.

Don Estravagàrio          - Una forma popolare giudaica, come l'onore di Calderon. La crudeltà e il dogmatismo del dramma spagnolo si possono trovare soltanto nella Bibbia. La crudeltà di Shakespeare è magnifica perché è cieca come la grandezza delle forze naturali. Shake­speare è violento, ma non dogmatico; ha la barbara al­legria di un cosacco nell'incendiar villaggi, violar donne, e sventrar vecchi inutili. La crudeltà spagnola ha la barbara liturgia degli « auto da fé ». E' fredda e anti­patica. Nulla più di Torquemada è lontano dalla furia cieca degli elementi. Torquemada è una furia scolastica. Se il nostro teatro avesse sentore delle corride di tori, sarebbe magnifico. Se avesse saputo trasportarvi codesta violenza estetica, sarebbe un teatro eroico come l'« Ilia­de»! Invece ha la stessa antipatia dei codici,' dello sta­tuto e della grammatica.

Don Manolito               - Voi siete un anarchico.

Don Estravagàrio          - Forse.

Don Manolito               - E da dove ci verrà la redenzione, don Estravagàrio?

Don Estravagàrio          - Dalle marionette: dal cieco! Don Manolito, il teatrino di questo marionettaro vale più che il vostro quadro.

Don Manolito               - Perché?

Don Estravagàrio          - Perché ha maggiori possibilità.

Don Manolito               - Non ammetto una simile risposta, dori Estravagàrio. Voi non siete filosofo e non avete il diritto di rispondermi con pedanterie. Voi siete un ere­tico.

Don Estravagàrio          - Il marionettista è superiore a Jago. Jago, quando scatena il conflitto della gelosia, vuole vendicarsi; mentre quest'altro cerca soltanto di diver­tirsi a spese del suo Otello don Friolera. Shakespeare ritma con il battito del suo cuore, il battito del cuore di Otello: si sdoppia nelle gelosie del moro, creatore e creatura sono dello stesso sangue umano. Invece questo cantastorie, nemmeno per un istante tralascia di consi­derarsi superiore ai fantocci del suo teatrino. Ha una dignità demiurgica.

Don Manolito               - Quel che voi non trovavate nel dia­volo lei mio quadro.

Don Estravagàrio          - Esatto. Il demonio è un intellettuale, un filosofo di amore e di sapere. Il desiderio della conoscenza si chiama demonio.

Don Manolito               - Il vostro diavolo è troppo univer­sitario.

Don Estravagàrio          - Fu studente a Magonza dove in­ventò l'arte funesta della stampa.

QUADRO SECONDO

 (San Ferdinando di Capo Esthivel, una città arrampica­ta sulla roccia. Nei vetri delle terrazze a bel vedere, il so­le incendia lo stesso spumeggiare della turchese marina. Al largo dei moli un ondulare di sartiame,, velature e ciminiere. Sulla punta, scossa da folate all’aria, la garitta della sentinella doganale. Odore di canna bruciata. Odori di tabacco e di catrame. Vento fresco di levante. L'inno inglese nelle trombette di una nave da guerra. Alla porta della garitta, con il fucile munito di baionetta, un cara­biniere, e nel riquadro azzurro del finestrino il chepì militare, un'orecchia e la pipa di don Pasquale Astete - don Friolera - . Un'ombra furba, prudente passa vicino alla garitta, butta una pietra nel finestrino e sì allontana rapidamente, nascondendosi. Alla pietra è legato un foglio scritto. Don Friolera lo raccoglie e lo legge stupefatto).

Don Friolera                  - Questo è un fulmine a ciel sereno. Loreta condannata a morte. Friolera! E chi sarà il caz­zabubbolo che ha fatto girar la testa a quella putifarra? Per fortuna deve trattarsi di una calunnia. Questo paese è un paese di canaglie. Che Loreta si lasci commuo­vere da quell'imbecille di Pacecchino? Cadere non è caduta. Se sapessi chi è quel mascalzone che ha scritto questo foglio, lo farei a pezzi. Per certe canaglie non esistono donne oneste. Chiederò di essere trasferito se questa infame calunnia ha qualche fondatezza; qualche leggerezza, una imprudenza, le donne non riflettono mai. Paese di canaglie. Io non mi divorzio mica per causa di una denuncia anonima. La disprezzo. Loreta continuerà ad essere la mia compagna, l'angelo del mio focolare. Ci siamo sposati innamorati l'un dell'altro e questo non si dimentica. Matrimonio d'illusione, matri­monio di puro amore, (S'intenerisce contemplando un medaglione ciondolante dalla catena dell'orologio. So­spira e asciuga una lacrima. Nella sua voce c'è un tre­mito di singhiozzo. La voce ha le rughe. Le stesse rughe che gli solcano il volto). Se questa infamia fosse invece una verità? La donna è fragile. E quell'altra volta, chi andò a dirlo al tenente Caprile?... Ed era risaputo da tutti che sua moglie lo cornificava. Non era mica un cornuto contento. Lo credevano, eppure non lo era, e quando lo seppe uccise come un eroe la donna, l'atten­dente e il gatto. Amici di tutta la vita. Compagni d'arme. Entrambi con la medaglia al valore. Eravamo chiamati ad( una sorte simile. L'ufficiale che abbia un po' di pu­dore non perdona mai la sposa adultera. Il borghese, lo stesso ufficiale in ritiro, in alcune occasioni, molto rare, possono perdonare. Ci sono circostanze speciali: la donna violata contro la sua volontà; quella che in­vestono mentre è sdraiata e dorme; quella ubriaca. In uno di questi casi anch'io potrei ammettere la caduta di Loreta. E nemmeno in questi casi potrei perdonarla, sono in          - (attività di servizio. Se fossi in congedo potrei farlo. (Rilegge U foglio con le sopracciglia corrugate. L'osserva contro luce, lo fiuta, alla fine lo nasconde nel baule). Mia moglie pietra di scandalo. Friolera beccac­cione. Ormai nel pasticcio ci sono. Avrei preferito di non sapere. Riconosco di essere un debole. E dove me ne vado coi miei cinquantatrè anni e passa? Una vita spezzata. Ecco in quanto poco ci si annienta la felicità. Ammesso che tua moglie sia una vacca, che cattiveria, però, distruggere con una denuncia anonima la pace coniugale, canaglie! Vorrei volentieri buscarmi un ma­lanno e morire in tre giorni. Sono un fiaccone. Eppoi, mettersi a sparare alla mia età. 15 se chiudessi gli occhi e decidessi di non sapere nulla? Mondo birba, che colpa ne ha Un marito se la moglie si dà al popolo? Il log­gione non si contenta di questo. Il principio dell'onore ordina di uccidere. Pim, pum, pam. Come se uno non avesse nell'animo altro che rancore. Sono un militare spagnuolo. Nell'arma della gendarmeria non ci debbono essere cornuti. (Accalorato si toglie il chepì e mette la testa fuori dal finestrino respirando l'aria marina. Nel fondo del molo, su un gruppo di donne e ragazzi, on­deggia la cassa vuota di un morto. Pacecco il barbiere che fu chiamato per radere la barba al morto viene dietro zoppicando; don Friolera al vederlo si ritira). Ero felice senza .saperlo. Ed è venuta questa zampa zoppa a ru­barmi la felicità. Ma forse no. A lume di ragione io devo cacciare questo sospetto. Che base ha? Nessuna. La vera canaglia è quella che scrisse la lettera anonima. Se questa calunnia fosse verità, ateo come sono, privo del conforto della religione, naufrago della città... queste occasioni, senza un amico con cui sfogarsi e senza una fede religiosa, l'uomo le sopporta male. Un amico; non ci sono amici. E tu sei la prova, Pacecco il barbiere. (Si riprende. Cambia il chepì con il berretto ed esce dalla garitta. La sentinella si mette sull'attenti e il tenente la guarda enigmatico). Che fareste voi, caporale Allegria, se vostra moglie vi tradisse?

Il Cababiniere               - L'ucciderei, signor tenente, come Dio comanda.

Don Friolera                  - E poi?...

Il Carabiniere                - Chiederei il trasferimento.

QUADRO TERZO

 (Strada di Santiago il Verde. Salendo dal porto, case bianche di calcina, cortili, patìos fioriti, cancelli bruni. Pacecchino il barbiere, uomo di quarant'anni, zoppo e nasuto con cappa da torero e chepì azzurro, suona la chitarra, stridulo e cromatico, seduto sotto la gabbia della cocorita. Donna Loreta, la moglie del tenente, all'infer­riata di una casa di fronte si mette un garofano nella crocchia dei capelli).

Pacecco                         - Ai tuoi piedi, o mia guagliona, E' tutto il mio capitale, Una giacca di velluto, Uno schioppo ed un pugnale.

Il Pappagallo                 - Come canti bene! come canti bene!

Donna Loreta                - Persino il pappagallo vi rifa il verso, Pacecco!

Pacecco                         - Ha un gusto molto raffinato.

Donna Loreta                - Vi adula.

Pacecco                         - Non canzonate, donna Loreta?

 Donna Loreta               - Che cosa prendete per avere una voce così soave?

Pacecco                         - Intrugli che mi ha indicato una gitana.

Donna Loreta                - Sarà, ma in voi diventano rosoli.

Pacecco                         - E perché non mi avete udito sospirare!?

Donna Loreta                - Sono rimasta sorda per un colpo d'aria.

Pacecco                         - Eppure i miei sospiri son gargarismi, donna Loreta...

Donna Loreta                - Ma non ve li ispirò questa vostra gitana i sospiri, poiché avete trascorso la giornata in sollazzi.

Pacecco                         - Vi debbo una spiegazione, donna Loreta.

Donna Loreta                - Oh! guarda, a me non dovete niènte!

Pacecco                         - Hanno avuto bisogno dei miei servizi per il capitano della e Joven Pepita  che morì a bordo.

Donna Loreta                - Per questo suonava a morto la cam­pana di Santiago il Verde!

Pacecco                         - Alle sette è il funerale.

Donna Loreta                - Morì di morte naturale?

Pacecco                         - E’ morto per certe febbri, mentre la morte naturale per un marinaio sarebbe di morire annegato.

Donna Loreta                - E quella di un barbiere morire d'a­more.

Pacecco                         - Donna Loreta, siete più polposa di una susina.

Donna Loreta                - E voi siete un birbone.

Pacecco                         - Io sono uno scemo che ha perduto la testa per voi.

Donna Loreta                - Voi cercate qualche grana con mio marito.

Pacecco                         - Terremo gli occhi bene aperti se si giun­gerà al « quia », donna Loreta.

Donna Loreta                - Non c'è peccato che resti sigillato.

Pacecco                         - E se lo venisse a sapere, che cosa farebbe il tenente?

Donna Loreta                - Ci ucciderebbe.

Pacecco                         - Non state a chiamare simili disgrazie.

Donna Loreta                - Pacecchino, la moglie di un mili­tare, se cade, ben sa ciò che l'attende!

Pacecco                         - Non vi piacerebbe morire come una cele­brità?

Donna Loreta                - La vita è molto bella, Pacecco.

Pacecco                         - E' possibile che non vi lusinghi il venire ritrattata nei giornali?

Donna Loreta                - Ma voi scherzate!

Pacecco                         - Sarebbe a dire che vi è indifferente?

Donna Loreta                - Completamente!

Pacecco                         - Non riesco a crederlo.

Donna Loreta                - Come a me non riesce di credere alle vostre canzonature d'amore.

Pacecco                         - Non è la stessa cosa. Che prova volete da me, donna Loreta?

Donna Loreta                - Nessuna. Abbiate giudizio e non state ad asfissiarmi.

Pacecco                         - Mi vorrete bene?

Donna Loreta                - Avete fatto molte birbonate in que­sto mondo, e potrebbe accadere che le pagaste tutte in una volta.

Pacecco                         - Se la punizione dovesse venirmi da voi, la festeggerei.

Donna Loreta                - Voi dimenticate mio marito.

Pacecco                         - Amatemi, che per quel toro io ho la spada del torero Belmonte, e me lo giuoco come voglio.

Donna Loreta                - Non posso amarvi, Pacecco.

Pacecco                         - E non potete nemmeno regalarmi il garo­fano che avete nei capelli?

Donna Loreta                - E mi sta male?

Pacecco                         - Vi starà meglio questo bocciolo che ho all'occhiello. Facciamo il cambio?

Donna Loreta                - Così per gentilezza, Pacecco. Senz'al­tro significato.

Pacecco                         - Un giorno o l'altro vi rapirò, donna Loreta.

Donna Loreta                - Peso troppo, Pacecchino.

Pacecco                         - Son capace di alzare più quintali che San Cristofaro!

Donna Loreta                - A parole.

(Donna Loreta ride facendo le scale e si toglie il garo­fano dalla crocchia. Le maniche del pettinatolo scorrono per le braccia nude della moglie del tenente. Nel silen­zio espressivo dello scambio di sguardi, una beghina con un mantello dì agnellino s'affaccia all’atrio di San Giacomo: donna Taddea Calder on, che rigida e spaventata si fa il segno di croce con la crocetta del Rosario. La megera ritirandosi al fondo dell'inferriata tocca ferro).

Donna Loreta                - Strega, vipera! Questa megera mi fa drizzare i capelli!

(Donna Taddea passa spiando. Lo sgorbio della sua figura si ritaglia sullo scintillio accecante e bruno delle case incalcinate e svanisce sotto il portico. A tratti la sua testa di civetta s'affaccia da un abbaino).

QUADRO QUARTO

 (Il cimitero di Santiago il Verde. Un muro bianco con cipressi e cancello nero con una croce. Sulla terra ri­mossa il cappellano prega borbottando e il corteo di don­nette e marinai si disperde. Attaccato al muro come un'ombra passa il tenente don Friolera che s'incammina con alcuni accompagnatori del funerale. Juanito Pacecco zoppicando s'impiglia nel suo mantello in disordine).

Pacecco                         - Salve, tenente.

Don Friolera                  - Allontanati, Pacecco.

Pacecco                         - Che brutta cera avete. Siete preoccupato?

Don Friolera                  - Non m'interrogare.

Pacecco                         - Sfogatevi con un amico leale, signor tenente.

Don Friolera                  - Pacecco, l'occasione non mancherà di parlarci. Ora segui la tua strada.

Pacecco                         - Va bene; per non molestarvi, signor tenente.

Don Friolera                  - Senti; perché esci dal cimitero?

Pacecco                         - Son venuto ad accompagnare il funerale di un cliente.

Don Friolera                  - Troppo poco!

Pacecco                         - Certo, poco.

Don Friolera                  - Non parliamone più; addio.

Pacecco                         - Ancora una parola.

Don Friolera                  - Avanti,

Pacecco                         - Che vi succede, signor tenente? Aprite il vostro animo ad un amico!

Don Friolera                  - Vedresti l'inferno!

Pacecco                         - Vi trovo un po' stralunato.

Don Friolera                  - Sei nel tuo diritto.

 (Don Friolera gesticolando s'allontana rasente il muro bianco dei cipressi e il barbiere, dondolandosi sul ritmo disuguale della zoppicatura, abborda un gruppo di tre individui che chiacchierano nel campicello davanti al nero cancello. Quello del fazzoletto al collo, pantaloni da odalisca e scarpe gialle è il garzone del cocomeraro. Il pomposo anitrottolo azzurro colla cresta rossa è Curro Cardenas; e quello che pontifica, con il fagotto, il «.cor­riva » e il chepì alla diabolica, è Nello l'ubriaco).

Pacecco                         - Salve, caballeros!

L'Ubriaco                      - Salute e «pesetas »!

Pacecco                         - Di queste ce n'è poche.

L'Ubriaco                      - E sono invece i migliori argomenti di questo mondo.

Il Ragazzo                     - Queste ladre ci sono sempre di mezzo. Esse e le donne sono la nostra condanna. Tu che ne dici, Pacecco?

Pacecco                         - Imparo le vostre dottrine.

Il Ragazzo                     - Coltivando la moglie del tenente!

Pacecco                         - Non è mica malvagia!

L'Ubriaco -                    - E' di Cartagena e sposa di un militare. Dunque bel faccino, bei modi, belle gambe.

Pacecco                         - In questa materia, un servitore come me si dichiara incompetente.

Il Ragazzo                     - Non le hai ancora regalato un paio di giarrettiere, alla moglie del tenente?

Pacecco                         - Caballeros, con tanto ridere mi farete ve­nire la sete.

L'Ubriaco                      - Non offenderti, scemo.

Pacecco                         - Donna Loreta è una sposa fedele ai suoi doveri. L'amicizia che mi unisce a suo marito è l'amore per la musica. Il tenente quando suona la chitarra è straordinario.

L'Ubriaco                      - Il miglior chitarrista che si trovi oggi nel presidio di Cartagena.

Curro                             - Io lo conosco da vari anni don Friolera. Ad Algegiras lo conobbi, servendo come sergente, ed ebbi occasione di udire alcuni suoi concerti. E' una chitarra di quelle buone! Allora don Friolera era tenuto in conto di individuo cauto e servizievole, dei più ragionevoli e decenti che fossero nel Corpo dei Carabinieri.

Il Ragazzo                     - Bel cambiamento ha fatto! Oggi mette la cuccagna in punta ai Pirenei.

L'Ubriaco                      - Eppure la famiglia non è tanto nume­rosa da costringerlo a questo.

Il Ragazzo                     - Opera dei galloni. E' scemo. In un af­fare di cento scudi oggi te ne chiedono venticinque di mediazione.

Pacecco                         - Oggi i « duros » sono «pesetas»; non è mica più come anni or sono.

L'Ubriaco                      - E tutti questi guai ce li ha portati il Kaiser!

Curro                             - E ancora non è tutto finito! La Spagna la ve­dremo a poco a poco trasformarsi come oggi è Barcellona. E chi onestamente sia riuscito a farsi un appartamen­tino dovrà uccidersi. (Si allontanano fermandosi a tratti. Sulle quattro figure in fila ondula una folata di vento. Annotta. Il tenente con dei gesti di maniaco viene rasen­tando il muro, passa sotto l'ombra dei cipressi e conti­nua la ronda al cimitero. Volti oscuri di donnucole, ri­coperti di scialli e veli chiazzano il campicello. Il tenente incrocia una vecchia che lo fissa con occhi da uccellac­elo. Piccola, esile, color topo è ricoperta da un mantello di agnellino Don Friolera sente il peso di quello sguardo e con repentina illuminazione si volta e afferra la be­ghina per i capelli).

Don Friolera                  - Donna Taddea, vi meritate di morir bruciata.

Donna Taddea              - Siete impazzito!

Don Friolera                  - Bruciata come le streghe!

Donna Taddea              - Non mancatemi di rispetto!

Don Friolera                  - Voi avete scritto la lettera anonima!

Donna Taddea              - Rispettate almeno la mia vecchiaia!

Don Friolera                  - Voi l'avete scritta.

Donna Taddea              - Siete un maniaco, signor tenente!

Don Friolera                  - Donna Taddea, voi siete sempre come una civetta alla finestra del vostro abbaino, voi sapete chi entra o esce da ogni casa... Donna Taddea maledetta, voi avete scritto la lettera anonima!

Donna Taddea              - Gesummaria!

Don Friolera                  - Avete ancora sulle dita le macchie d'inchiostro!

Donna Taddea              - Bugiardo!

Don Friolera                  - Vi farò sputare codesta lingua di vi­pera. Voi mi avete rubato la pace!

Donna Taddea              - Meglio è che pensiate se qualche al­tro non vi ha rubato qualche cosa di più.

Don Friolera                  - Cagna!

Donna Taddea              - Lasciatemi! Ahi, ahi!

Don Friolera                  - Strega. Mi ha morso la mano!

Donna Taddea              - Assassino! Restituitemi il posticcio.

Don Friolera                  - Arpia, perché avete scritto quelle in­famie ?

Donna Taddea              - Voi ve la pigliate con una povera vecchia; e con chi dovreste aver coraggio, fate il com­plimentoso...

Don Friolera                  - Io sono militare e farò un macello.

Donna Taddea              - Madonna Vergine! Per colpa di due reprobi una tragedia nel nostro paese!

Don Friolera                  - Considerate un po' la cosa!

Donna Taddea              - Ma appunto perché la considero, si­gnor tenente!

Don Friolera                  - L'onore si lava col sangue!

Donna Taddea              - Questo si diceva un tempo...

Don Friolera                  - Quando si bruciavano le streghe!

Donna Taddea              - Cafone!

Don Friolera                  - Voi avete scritto la lettera!

Donna Taddea              - Cornuto!

Don Friolera                  - Allora sapete che sono becco!

Donna Taddea              - Lo sa tutto il paese; lasciatemi.

Don Friolera                  - . Vi lascio subito... Perdonatemi se vi ho investita, donna Taddea.

Donna Taddea              - Signor tenente, non ve la pigliate tanto con me... Potrebbe darsi che non ci fosse forni­cazione. Osservate bene vostra moglie.

Don Friolera                  - Chi ha scritto la lettera anonima, donna Taddea?

Donna Taddea              - Non so, io so soltanto i miei peccati.

Don Friolera                  - Il ladro del mio onore è Pacecchino?

Donna Taddea              - Perché me lo domandate, signor te­nente. Voi potete sorprendere l'adulterio, con un po' di simulazione e di vigilanza, per dare ai colpevoli il ca­stigo che meritano.

Don Friolera                  - La morte!

Donna Taddea              - Santissima Vergine!

Don Friolera                  - La morte.

(La vecchia fugge lasciando vedere le gambe. Don Friolera si siede vicino al muro-cancello, e con un sospiro, a mezza voce, inizia il suo muto monologo di cornuto).

QUADRO QUINTO

 (La costa di Santiago il Verde quando le stelle get­tano le palpebre sui tetti. Un ubriaco esce ballando dalla porta del biliardo di donna Callista. V'ultima be­ghina ritorna dalla « novena » ; nascosta nel suo mantello all’agnellino, passa ficcando il muso in inferriate e porte. Nel chiar di luna lo sgorbio della sua ombra ricorda qualcosa di volpino. Scivolosa scompare sotto i portici e riappare sotto la fascia di luce che esce dall’inferriata di una sala bassa e domenicale illuminata da un lume di porcellana azzurra. Si trattiene a spiare. Don Friolera, seduto davanti a un tavolino con tappeto di maglia, sostiene aperto un albo di ritratti. Si avverte il puerile e cristallino pizzicare della chitarra. Don Frio­lera, sotto la luce gialla del lume, è un fantoccio tra­gico. La beghina s'accosta e attacca all'inferriata il suo profilo di civetta. Il tenente alza il capo; e i due si guar­dano un momento. La vecchia s'avvolge nel mantello e scompare nell'ombra della stradetta. Riappare al fine­strino del suo abbaino e spia con occhi di civetta. Facen­dosi il segno della croce ascolta la discordia dei due sposi. Don Friolera e donna Loreta si bisticciano con grida, sbattono le porte, entrano ed escono con le braccia aperte. Sul tavolino col tappeto di maglia il lume di porcellana azzurra illumina la sala domenicale. Il mo­vimento delle figure, quell'entrare e uscire con le braccia aperte hanno la suggestione di una tragedia di burattini).

Don Friolera                  - E' inaudito!

Donna Loreta                - Non dire parolacce!

Don Friolera                  - Hai spalancato un abisso fra noi due!

Donna Loreta                - Esagerato!

Don Friolera                  - Tu vuoi che io t'ammazzi, Loreta!

Donna Loreta                - Fallo! Solo pel gusto di vederti salire al patibolo lo vorrei!

Don Friolera                  - Libertina!

Donna Loreta                - Carnefice! (Don Friolera brandisce un pistolone. Donna Loreta con le braccia agitate e spa­lancate e la crocckia a penzoloni esce dalla casa ur­lando. Don Friolera l’insegue e sulla soglia, mentre sta per mettere il piede sulla strada, l'afferra per i capelli).

Don Friolera                  - Ora morirai!

Donna Loreta                - Assassino!

Don Friolera                  - Raccomanda l'anima a Dio.

Donna Loreta                - Delinquente! Non si scherza con le armi da fuoco, (S'apre improvvisamente la finestra del barbiere e questi si affaccia in giubbone di flanella verde, magro col naso lungo e il collo secco).

Pacecco                         - Il paese non può tollerare un simile trat­tamento! Se nessun altro interviene, intervengo io; perché la volete uccidere? (Impugnando uno stocco salta in strada e con un passo disuguale si dirige alla casa della tragedia).

Don Friolera                  - Traditore! Ti alloggerò una pallot­tola nella testa!

Pacecco                         - Carnefice della vostra sposa, che non se lo merita!

Don Friolera                  - Ladro del mio onore!

Pacecco                         - Le donne bisogna saperle rispettare!

Don Friolera                  - Non ammetto lezioni da te.

Donna Loreta                - Pasqualino.

Don Friolera                  - Niente Pasqualino. Pasquale per la moglie adultera, Pasquale.

Donna Loreta                - Non perdere la testa.

Don Friolera                  - Vi ucciderò tutti e due.

Donna Loreta                - Non fare uno scandalo, Pasquale.

Don Friolera                  - Io esigo di lavare il mio onore.

Donna Loreta                - Pasqualino.

Don Friolera                  - Pasquale.

Pacecco                         - Ma voi uscite dì senno, signor tenente.

Don Friolera                  - Falso amico, questa donna avrebbe dovuto essere sacra per te.

Pacecco                         - E così l'ho sempre considerata.

Don Friolera                  - Loreta, chi ti ha dato questo fiore che hai nei capelli?

Donna Loreta                - E’ stata una gentilezza.

Pacecco                         - Non vogliate vedere in questo cattive in­tenzioni, signor tenente.

Donna Loueta               - Pasqualino.

Don Friolera                  - Pasquale.

Donna Loreta                - Rifiuti un vezzeggiativo ; non mi vuoi più bene?

Don Friolera                  - Non posso volertene.

Pacecco                         - Perdonate se ve lo dico, ma voi, signor tenente, non vi meritate la perla che possedete.

Don Friolera                  - Col vostro sangue laverò il mio onore. Morirete entrambi.

Pacecco                         - Ragionate, signor tenente.

Donna Loreta                - Cieco! Non vedi rifulgere la nostra innocenza!

Don Friolera                  - Raccomandate la vostra anima a Dio!

Pacecco                         - Che cosa facciamo, donna Loreta?

Donna Loreta                - Preghiamo, preghiamo!

Pacecco                         - Ma allora lasceremo ch'egli ci ammazzi come cani? Non può essere.

Donna Loreta                - Pacecchino, prendetevi questo fiore, causa della gelosia di mio marito. (Donna Loreta con mossa tragica si stacca il garofano che balla all'estremo della crocchia pendente. Pacecchino allunga la mano. Don Friolera interviene, strappa il fiore, lo butta a terra e lo calpesta. La donna cade in ginocchio apre le braccia e offre il petto alle furie del pistolone).

Donna Loreta                - Uccidimi. Morirò innocente.

Don Friolera                  - Morirai quando io vorrò. (Una bimba, come una bambola da fiera, scalza, in camicia, coi capelli sciolti appare gridando all'inferriata).

La Bimba                      - No. Papà, papalino!

Donna Loreta                - Figlia mia, stai per perdere tua madre! (Don Friolera butta via il pistolone sì comprime le tempie ed entra di slancio in casa chiudendo la porta. Lo si vede apparire all'inferriata, prendere fra le braccia la bimba e baciarla piangendo, ridicolo e vecchio).

 Don Friolera                 - Manolita, versa un balsamo nel cuore del tuo papà! (Donna Loreta ginocchioni picchia alla porta, urla soffocata, si graffia e si strappa i capelli).

Donna Loreta                - Pasquale, bada a quel che fai! Inno­cente sono d'ogni colpa! Nel futuro chissà, non posso più dirlo, che tu m'abbandoni, e la donna abbandonata solo s'è santa può non ascoltare il demonio! Aprimi la porta, uomo malvagio!... Oh! oh! aiutami tu, Regina e Madre di Misericordia! (La donna batte con la fronte sulla porta e sviene. Pacecco guarda con la coda dell'oc­chio al fondo della sala silenziosa e accorre a sostenerla. La donna sospira mentr'egli la trasporta) Peso troppo!

Pacecco                         - Non importa! Finche queste nuvole non sono passate, accettate il riparo che v'offre la mia casa.

Donna Loreta                - Non so come farai con quella ciancamatta. (Si aprono alcune finestre e appaiono, come di­pinte, figure in camicia con un gesto scandalizzato. Pa­cecco si volta e fa il noto gesto popolare col braccio a pugno chiuso).

Donna Taddea              - Pietra di scandalo!

Pacecco                         - Come dice l'eminente Echegaray: Il mondo me la dà e io me la piglio!

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

QUADRO SESTO

L’alcova del barbiere. Attaccato alla parete il letto angusto e chiuso, ricoperto da una coperta vistosa di uc­celli e rami. Dietro la porta, la cappa e il berretto ap­pesi insieme alla chitarra paiono una figura vivente. ''Dal finestrino aperto entra con il chiar di luna la luce si­lenziosa e notturna delle stelle. E la brezza e la luna paiono intrattenere un dialogo fra il mostro fantastico della porta e il fantoccio che spalanca le braccia sulla cima scura di un fico nella volta azzurra dell'orto. Entra il galante con la rapita accesa, pomposa e con sospiri di languore).

Donna Loreta                - Tu vuoi la perdizione di tutt'e due! Tu sei falso! Lasciami tornare onesta al fianco dello sposo mio! Demonio tentatore non intrattenermi.

Pacecco                         - Non sono ormai più nulla per te, donna maliarda? Più nessuna parola io detto al tuo cuore? Insieme abbiamo affrontato la condanna di quell'uomo barbaro, indegno di te.

Donna Loreta                - Io lo scelsi liberamente.

Pacecco                         - Eri fuori di te!

Donna Loreta                - E non è ora esser fuori di me la­sciare la mia casa, lasciare un essere nato dalle mie viscere? Pensa che sono sposa e madre.

Pacecco                         - Penso a tutto... E penso che la tua vita è in pericolo accanto a quest'uomo geloso.

Donna Loreta                - Non accecarmi e aprimi la porta!

Pacecco --------------- - Dimentichi che uno stesso colpo avrebbe potuto uccidere ambedue.

 Donna Loreta               - Non accecarmi. Portati bene e aprimi la porta!

Pacecco                         - Dimentichi che il nostro sangue fu sul punto di scorrere insieme?

Donna Loreta                - Lascia stare.

Pacecco                         - Dimentichi che quel barbaro ci prese en­trambi dì mira con la sua pistola? Quale laccio migliore per allacciare due cuori?

Donna Loreta                - Non pretendo romperlo. Ma lasciami tornare al lato di mia figlia; ch'io sono al mondo per vegliare su di lei.

Pacecco                         - E per null'altro!

Donna Loreta                - E per amarti, demonio tentatore.

Pacecco                         - Perché allora fuggi da me?

Donna Loreta                - Perché mi fai paura.

Pacecco                         - Non lo posso credere. Tu vuoi vedermi disperato!

Donna Loreta                - Taci, seduttore!

Pacecco                         - Se mi amassi, tutta la vita saresti rannic­chiata fra le mie braccia, come una colomba.

Donna Loreta                - Perché mi parli così, sapendo che sono tua?

Pacecco                         - Non lo sei stata ancora!

Donna Loreta                - Lo sarò, e ti stancherai d'avermi. Ma ora non chiedermi nulla.

Pacecco                         - Mi metterò in ginocchio!

Donna Loreta                - Pacecchino, rispettami! Io sono una romantica!

Pacecco                         - In questi acciacchi non mi sei superiore. Quando ti contemplo, amor mio, è come se entrassi in estasi.

Donna Loreta                - Che notte stellata!

Pacecco                         - Notte d'idillio!

Donna Loreta                - Dammi una prova d'amore puro!

Pacecco                         - Quello che vuoi.

Donna Loreta                - Sii buono. Aprimi la porta!

Pacecco                         - E' aperta.

Donna Loreta                - Addio, anima mia.

Pacecco                         - Addio, Loreta.

Donna Loreta                - Non volete guardarmi?

Pacecco                         - Non posso.

Donna Loreta                - E' fatta di rose e di spine la nostra catena!

Pacecco                         - Tu la spezzi.

Donna Loreta                - Tu la spezzi.

Pacecco                         - E dove vai?

Donna Loreta                - Sono sposa e madre!

Pacecco                         - Temo ch'egli t'uccida.

Donna Loreta                - L'innocenza trionfa sempre.

Pacecco                         - Potrebbe scacciarti. In questo caso promet­timi d'esser mia.

Donna Loreta                - Tua fino alla morte!

Pacecco                         - Ti accompagnerò per prevenire una investita da quell'uomo demente.

Donna Loreta                - Non esporre la tua vita per me.

Pacecco                         - E’ un mio dovere. Vieni! O va o spacca!

(Pacecco, molto guappo, si cala il berretto sulle orec­chie e impugna lo stocco. La donna esce per prima col fazzoletto sugli occhi. Sulla cima nera del fico il fan­toccio si sfascia in un circolo di stelle).

 QUADRO SETTIMO

 (Nella sala domenicale, sul tavolino dal tappeto di maglia, il lume di porcellana azzurra illumina l'albo di ritratti. Passa sulla parete, gesticolante, l’ombra di don Friolera. Un topo, sulla apertura della sua tana, sporge il muso e guarda curiosamente la caratteristica di quella follia ridicola con cerotti sulle tempie, pantofole mo­resche, braghe azzurre di una vecchia uniforme e giacca gialla di flanella. Il lume di porcellana azzurra ha un tremito malaticcio).

Don Friolera                  - Pum, pim, pam! A me non trema mica la mano. Fatta giustizia mi presento al colonnello: «Mio colonnello, come si lava l'onore?». Conosco la sua risposta. Pum, pim, pam! Pronto! Nell'onore non ci debbono esser dubbi. Mi presento spontaneamente a su­bire la condanna. Mio colonnello, sono un altro tenente Capriles! Erano colpevoli, io non sono un assassino! Se la mia pena è d'essere fucilato, chiedo la grazia di dar l'ordine di fuoco: Ragazzi, attenti e mirate alla testa! Addio, cari compagni, avete delle spose oneste e dovete stimarle. Non consentite mai l'adulterio nel Corpo dei Carabinieri! Friolera! Erano colpevoli! Pagarono col sangue. Non sono un assassino!

(Cigola la porta e sulla soglia appare donna Loreta, di dietro a lei, nell'ombra del corridoio, spunta la fi­gura del barbiere col chepì calato sulla fronte e la cappa gonfiata dallo stocco. Donna Loreta cade in ginocchio congiungendo le mani).

Donna Loreta                - Pasquale!

Don Friolera                  -  Conosci la tua sentenza?

Donna Loreta                - Pasqualino, se vuoi ripudiarmi come sposa, fallo almeno in un modo decente e senza scandalo.

Don Friolera                  - In Spagna, la donna che viene meno all'onore, paga con la vita.

Donna Loreta                - Pasquale, la tua sposa non ha mai mancato alla dovuta fedeltà.

Don Friolera                  - Le prove, le prove!

Donna Loreta                - Anch'io le chiedo.

Don Friolera                  - Loreta, è necessario che la tua inno­cenza rifulga!

Donna Loreta                - Come il sole rifulge. Chi mi accusa? Un uomo barbaro. Un geloso demente. Un turco san-guinario. Uccidimi, ma non calunniarmi!

Don Friolera                  - Di dove vieni? E quest'uomo perché t'accompagna?

Pacecco                         - Per testimoniare che voi avete una perla di sposa. Una eroina.

Don Friolera                  - Prove, prove.

Pacecco                         - Non vi soddisfa il fatto che un servitore si presenta al vostro domicilio per farvi consegna della vostra sposa?

Donna Loreta                - Che cosa rispondi?

Pacecco                         - Lasciatelo riflettere, donna Loreta.

Donna Loreta                - Abbi uno slancio generoso, Pa­squalino.

Pacecco                         - Rendetevi conto, mio tenente, della ra­gione delle cose.

Don Friolera                  - Pacecco, esci da questa casa. Non posso tollerare la tua presenza. Ti concedo cinque mi­nuti di tempo!

Pacecco                         - Signor tenente, siete un eterno dram­matico!

Don Friolera                  - Pacecco, io non so se tu sia un cinico oppure il primo caballero di Spagna.

Pacecco                         - Sono un romantico, signor tenente.

Don Friolera                  - Io pure, e ti propongo un duello a due passi; al cimitero.

Donna Loreta                - Torni a nutrire dei dubbi?

Don Friolera                  - Chiamali artigli infernali.

Pacecco                         - E allora io me ne vado.

Don Friolera                  - Che il diavolo ti porti!

Donna Loreta                - Che maniera di procedere ha quest'amico, Pasquale!

Don Friolera                  - Non irritarmi!

Donna Loreta                - Rancoroso!

Don Friolera                  - E' inaudito!

Donna Loreta                - Ma no, Pasquale! Sei un soldataccio e non mi rispetti!

Don Friolera                  - M'incontrerò con quell'uomo e gli proporrò un duello alla pistola. E' la soluzione più onorevole.

Donna Loreta                - Se ti uccide?

Don Friolera                  - Rimarrai vedova e libera.

Donna Loreta                - Pasquale, queste parole sono pugnali che mi trafiggono. Pasquale, io non permetterò mai che tu esponga la tua vita per una pazzia.

Don Friolera                  - Non so come potrai impedirlo.

Donna Loreta                - Prenderò una pastiglia dì sublimato!

Don Friolera                  - Il sublimato delle farmacie non uccide.

Donna Loreta                - Una scatola di zolfanelli.

Don Friolera                  - Tutti i tuoi isterismi saranno inutili.

Donna Loreta                - Continui ad averla con me, Pasquale!

Don Friolera                  - Lasciami!

Donna Loreta                - Pasquale, dovremo divorziare se per­sisti nei tuoi sospetti; tu fai di me la sposa martire.

Don Friolera                  - Vuoi la libertà per tornare accanto a quell'uomo! Divorzieremo, ma tu entrerai in un con­vento di penitenti!

Donna Loreta                - Tiranno!

Don Friolera                  - Hai distrutto la mia vita!

Donna Loreta                - Pasquale, perché mi vuoi far di­sperare? Va a letto, Pasquale, cerca di conciliare il sonno.

Don Friolera                  - Il sonno è fuggito dalle mie palpebre.

Donna Loreta                - Pasquale, abbi giudizio!

Don Friolera                  - La mia vita è finita.

Donna Loreta                - Pasquale, hai una figlia...

Don Friolera                  - Mi hai fatto dubitare di tutto!

Donna Loreta                - Pasquale, non essere ingiusto.

Don Friolera                  - Vorrei esserlo! (Donna Loreta, col gesto sperduto, l’anca tremante e rimbalzante, sciolta la cintura delle sottane, esce e riappare con una bottiglia di liquore).

Donna Loreta                - Andiamo, anche questa è finita! Pa­squale, beviamoci sopra un bicchierino insieme. E' il regalo di Curro Cardenas.

Don Friolera                  - Io non bevo.

Donna Loreta                - (Berrai e ci ubriacheremo insieme.

Don Friolera                  - Insieme a te, mai; ti detesto!

Donna Loreta                - Ed allora ti ubriacherai da solo.

Don Friolera                  - Per dimenticare?

Donna Loreta                - Si capisce, bevi!

Don Friolera                  - Non bevo!

Donna Loreta                - Te Io rovescio sulla testa!

Don Friolera                  - Aspetta! (Il tenente riceve il bic­chiere con la mano tremula, e mentre beve si rovescia ad­dosso un po' di liquore).

Donna Loreta                - Un altro!

Don Friolera                  - Hai intenzione di sbronzarmi?

Donna Loreta                - Un altro, andiamo!

Don Friolera                  - Se così potessi dimenticare.

Donna Loreta                - Almeno t'addormenterai!

Don Friolera                  - Non m'addormenterò, è impossibile!

Donna Loreta                - Bevi!

Don Friolera                  - Quanti ne ho già bevuti?

Donna Loreta                - Non lo so, bevi.

Don Friolera                  - Chi c'è nascosto dietro quella porta?

Donna Loreta                - Il gatto.

Don Friolera                  - Porta il lume, Loreta. Chi è nascosto lì fuori dietro questa porta? Non nasconderti, miserabile! E' Pacecchino; Loreta, metti una padella sopra il lume. Mi friggerai le budella di quel farabutto!

Donna Loreta                - Non spaventarmi, Pasquale!

Don Friolera                  - E ti toccherà di assaggiarne un pezzo.

Donna Loreta                - Stai fresco!

Don Friolera                  - Questo è un cerca rogna! Perché ha voluto alzare la cresta a quel modo! Dormi, Loreta?

Donna Loreta                - Dormo.

Don Friolera                  - Tu, con il tuo atteggiamento, gli hai dato corda. Rispondi, Loreta.

Donna Loreta                - Un colpo d'aria mi ha un po' as­sordata.

Don Friolera                  - Impudica!

Donna Loreta                - Scemo!

(Donna Loreta prende il lume e lasciando la sala all'oscuro, esce dalla porta dipinta d'azzurro, dopo aver raccolto da una seggiola le sue sottane).

Don Friolera                  - Se tu occupi il letto matrimoniale, io dormirò sul divano.

Donna Loreta                - Dormi sotto la scala, come San­t'Alessio.

Don Friolera                  - Loretita! Dove c'è amore, c'è gelosia. Non arrabbiarti, piccioncina, col tuo piccioncino. Dormi, Loretita?

QUADRO OTTAVO

(Il bigliardo di donna Callista; sala bassa, decorata da pitture assurde, di un sentimento popolare e drammatico. Contrabbandieri col trombone e i mantelli di « Xeres » ; ragazze del popolo con « boler » e cappello calabrese, con occhi assassini; « picadores » e toreri. Rosso e giallo. Curro Cardenas prende il caffè e chiac­chiera con la padrona al tavolo più vicino al banco, da cui, su uno sfondo di bottiglie, si stacca il busto abbon­dante di quarant’enne).

Donna Callista              - Currillo, avete sentito dire che vogliono espellere don Friolera dall'Esercito?

Curro                             - Voi sarete certo più informata di me, donna Callista.

Donna Callista              - Non lo so mica.

Curro                             - Eppure avete come ospite il tenente Rovirosa.

Donna Callista              - Quello lì, per custodire segreti, è una tomba.

 Curro                            - I tre tenenti non sono riuniti al piano di sopra?

Donna Callista              - Con due mazzi di carte.

Curro                             - Quella è la tomba?

Donna Callista              - Mi dispiacerà la disgrazia di don Friolera. Era una persona molto distinta!

Curro                             - Ma s'era cambiato molto.

Donna Callista              - Ne verrà un altro peggio di lui. Curro, In genere la classe degli ufficiali è distinta. Il male è nelle alte sfere. Lì non si intendono se non a migliaia di « pesetas»!  Quella è la cuccagna dei numeri.

Donna Callista              - Che sapete voi dei palazzi in cui io entro? Il vostro servitore ha lasciato nelle alte spese più biglietti da mille di quanti ne abbia la Banca di Spagna. Currillo, voi siete una lente di ingrandimento.

Curro                             - Prendetelo in giro.

Donna Callista              - State zitto un momento, di su par­lano forte!

Curro                             - Mi pare che si bisticciano per una partita. (Il tenente don Friolera, seguito da un cagnolino con un fiocco sulla punta della coda, entra nella sala di bigliardo. Allampanato, giallastro e debole, s'avvicina al banco, bordeggiando le grandi tavole verdi, e saluta portando la mano alla visiera del chepì).

Don Friolera                  - Donna Callista, un bicchiere d'ac­quavite che non vi pagherò.

Donna Callista              - Voi avete credito.

Don Friolera                  - Sono uscito di casa senza tabacco e senza quattrini. C'è stata burrasca a casa, e non ho voluto chiedere a mia moglie la chiave del cassetto.

Curro                             - Donna Callista, se il tenente mi autorizza, questo bicchiere lo paga un servitore.

Don Friolera                  - Currillo, questo preferisco doverlo a donna Callista.

Curro                             - Il che vuol dire che ne prenderete un altro.

Don Friolera                  - Benissimo. (Con un gesto confidenziale si allontana al fondo di una finestra e fa cenni all'altro che lo segua. Curro Cardenas assume un'espressione di indifferenza). Vedi, io bevo per scacciarmi un chiodo dalla testa!

Curro                             - Non una parola di più!

Don Friolera                  - Tu mi capisci!

Curro                             - Perfettamente.

Don Friolera                  - Ho il cuore esulcerato! Mia moglie è diventata una vacca.

Curro                             - Mi dispiace moltissimo.

Don Friolera                  - Lo sapevi già, nevvero?

Curro                             - Circolava questa voce. Fumate questo ta­bacco, signor tenente.

Don Friolera                  - Sono digiuno; e può farmi venire la nausea. Ingannato dal mio amico e dalla depositaria del mio onore!

Curro                             - La vita è piena di casi simili.

Don Friolera                  - E perché siamo nati?

Curro                             - Per soffrire. Siamo la conseguenza dei buoni momenti che ci furono fra i nostri genitori. Ma non fumate il sigaro?

Don Friolera                  - Dammi un cerino. Grazie. Guarda come mi trema la mano!

Curro                             - Sono i nervi.

Don Friolera                  - E' la conseguenza del pugnale che mi hanno conficcato nel cuore.

Curro                             - Signor tenente, tenete gli occhi aperti, perché i signori ufficiali sono riuniti nel piano di sopra.

Don Friolera                  - Lasciali fare quello che vogliono.

Curro                             - Ma voi non sapete il motivo della riunione.

Don Friolera                  - Ma, me ne frego, ho il cuore a pezzi.

Curro                             - Da questa riunione potrebbe venire fuori qualche novità per voi; e non piacevole, signor tenente, corre voce che si sta formando un tribunale per voi.

Don Friolera                  - Friolera! Mi formano un tribunale. E perché?

Curro                             - Sembra per le vostre liti familiari.

Don Friolera                  - In questo, soltanto io sono giudice.

Curro                             - Così dovrebbe essere. Una domanda, signor tenente.

Don Friolera                  - Di' pure.

Curro                             - Se doveste sollecitare il congedo, voi cambie-reste residenza?

Don Friolera                  - Non ci ho pensato.

Curro                             - Vi debbo spiegare, don Pasquale. La casa che voi abitate a mia moglie piace molto. E' una gabbia abbastanza allegra.

Don Friolera                  - Sia maledetta! (Ritorna e tracanna il bicchiere servito sul banco, si inette il chepì e con le mani nelle tasche del cappotto esce nella strada, zufo­lando al cane, che lo segue agitando il fiocco della coda).

Donna Callista              - Sembra pazzo.

Curro                             - Davvero.

Donna Callista              - Mi fa paura la sua disgrazia. Era un individuo da stimare.

Curro                             - Un'eccellente pasta d'uomo.

Donna Callista              - Donna Loreta meriterebbe essere bruciata. (Curro Cardenas si avvicina al banco e pom­poso lascia cadere uno scudo facendolo saltare. Aspetta il resto mentre accende un sigaro, e, sotto il riflesso del cerino, il suo volto pare una luna piena. Avuto il danaro, lo custodisce strizzando l’occhio).

Curro                             - Donna Callista, ho in certo luogo un con­trabbando inglese e c'è un toro scaltro che ci punta le corna. Donna Callista, voi potreste sviarlo, torcerlo.

Donna Callista              - Non capisco bene.

Curro                             - Quando vi dirò il nome, avrete capito benis­simo.

Donna Callista              - Può darsi.

Curro                             - Io saprei compensare.

Donna Callista              - Potete.

Curro                             - Non fate l'enigmatica, donna Callista.

Donna Callista              - Io ballo a seconda della musica.

Curro                             - E allora attenta alle faccende. C'è un affare in vista; se voi incantate il tenente Rovirosa.

Donna Callista              - Lo conosco appena. Buongiorno, buona «era. Lui di sopra, coi suoi soldati. Io qui. Il conto alla fine del mese.

Curro                             - Mi avevano raccontato qualcosa d'altro.

Donna Callista              - Ci sono delle lingue malevole.

Curro                             - Noti hanno mica raccontato niente di ver­gognoso, donna Callista.

Donna Callista              - Che vi hanno raccontato?

Curro                             - Che il tenente è un uomo di gusto!

Donna Callista              - E che viene a Ietto con me?

Curro                             - Nossignore. Che voi lo stuzzicate!

Donna Callista              - Meno male.

Curro                             - Io ci ho creduto, perché voi siete molto inumana.

Donna Callista              - Mi giudicate un'altra donna Loreta?

Curro                             - Non sarebbe affatto la stessa cosa. Voi siete libera, donna Callista.

Donna Callista              - Per peccare non si è mai liberi.

Curro                             - Fare figli non è peccato.

Donna Callista              - E poi chi li mantiene?

Curro                             - L'erario.

Donna Callista              - Questo accade forse nelle Repub­bliche.

Curro                             - Non tarderà in Spagna.

Donna Callista              - Qui non siamo fatti per queste nuvole forestiere.

Curro                             - D'accordo. Le mie idee sono pure antirivo­luzionarie. Chi ha un negozio e quattro scudi, non può essere anarchico. Ma si vede qualche cosa, e io capisco che l'ordine sociale non è mica tanto solido. Donna Cal­lista, gli affari vanno male. Ora parlano di sopprimere le Dogane, e a noi non ci resta che spararci. Se tutti gli articoli entrano liberamente, è finito il contrabbando. Che fareste voi? Butterei una bomba.

Donna Callista              - Io no!

Curro                             - Già, perché voi vi trovate ormai ritirata dal contrabbando.

Donna Callista              - Grazie a Dio!

Curro                             - Ricordatevi di quando c'eravate dentro anche voi, e salvate un'anima dal Purgatorio.

Donna Callista              - Dirò un rosario.

Curro                             - Volete accecare il vostro ospite con due bi­glietti da mille?

Donna Callista              - Due papelli sono quattrocento scudi.

Curro                             - Precisamente.

Donna Callista              - E me lo tirate in faccia! Manco s'io fossi una stracciona. Arrivate un po' fino al massimo.

Curro                             - L'affare non vale di più.

Donna Callista i            - Miau! (Riappare don Friolera, aria distratta, occhi tristi, gesti e atteggiamento di maniaco. Entra furtivo e si siede in un canto. Il cagnolino salta sul divano e s'accuccia al suo fianco; s'avvicina Barallocas, il cameriere).

Barallocas                     - Il tenente comanda?

Don Friolera                  - Un veleno. (Barallocas con gesto con­ciliativo mette sul tavolo un servizio di caffè e colla punta del tovagliolo scaccia il cane dal divano. S'attacca fra le labbra la cicca che aveva dietro l'orecchio, l'accende, fuma e occupa il posto del cane a lato di don Friolera).

Barallocas                     - Bisogna essere filosofi!

Don Friolera                  - Ebbene, io non Io sono!

Barallocas                     - Fate male, in Spagna siamo ancora molto arretrati. Non si inculca la filosofia nei matrimoni, come si fa in altri paesi.

Don Friolera                  - Vuoi riferirti alla legge del divorzio?

Barallocas                     - Vedo che ci siamo capiti. (Barallocas strizza l’occhio e s'alza per recarsi al tavolo dove si sono seduti il ragazzo del poponaio, Curro Cardenas e Nello l'ubriaco, il cane ricupera con un salto il suo posto sul divano e scuote il velluto con il fiocco della coda).

 QUADRO NONO

 (Una sala con belvedere sulla marina. Sulla consolle conchiglie sonore e conchiglie madreperlacee. Lo specchio sotto un velo. Alle pareti, carta da parati con chioschi di mandarini; laghi azzurri fra papaveri. Il mantice di un organetto al piede della consolle. Vicino alla vetrata della terrazza prendono il caffè e discutono tre ufficiali. Mantelline azzurre, pantaloni da cavallerizzi, calvizie lu­cide, un aspetto felice da orologiai. Mena la discussione don Lauro Rovirosa, che ha una caramella all'occhio e quando parla muove soltanto un lato del viso. E' un te-nente veterano, graduato capitano. Gli altri due, benché molto diversi l'uno dall'altro nell'aspetto, hanno una ras-somiglianza ossessionante, come accade a certe coppie ma­trimoniali, di vecchi un po' ridicoli. Don Campino Campero, filarmonico e panciuto, appartiene alla famiglia dei gatti. Don Matteo Cordona, coi suoi occhi schizzanti e la sua bocca da orecchio a orecchio, a quella delle rane).

Rovirosa                        - Per formulare un giudizio, occorre prima controllare i fatti. Si tratta di condannare un compagno d'armi, potremmo dire un fratello. Forse ci troveremo nel penoso dovere di formulare una sentenza dura, ma giusta. Comincio con l'avvertire i miei cari compagni che sono contrario a ogni sentimentalismo.

Camperò                       - Assolutamente. Aggiungo però che la giu­stizia non esclude la clemenza.

Cardona                        - Bisogna costringerlo a chiedere il congedo definitivo. L'esercito non vuole cornuti.

Rovirosa                        - Evidente. (Approva con un gesto così ter­ribile che il monocolo gli salta via e con una manata lo afferra mentre rotola sul tavolino e se lo incastra nell'or­bita).

Cardona                        - Si tratta dell'onore di tutti gli ufficiali, messo in cattiva luce da un tenente scarpone.

Camperò                       - Protesto! La Caserma non è affatto infe­riore all'Accademia come scuola di dignità personale. Io vengo dalla truppa, e non tollererei mai che mia moglie mi facesse becco. Si parla senza ricordarsi che le migliori teste militari sono sempre venute fuori dalla truppa: Primo De Rivera, scarpone. Napoleone, scarpone.

Cardona                        - Macchè! (Napoleone proveniva dall'Acca­demia di artiglieria.

Camperò                       - Può darsi! Però il generale Horillo che gliele suonò veniva dalla truppa ed era stato garzone in un mulino.

Rovirosa                        - Come il Re di Napoli; il famoso generale Murat!

Camperò                       - Ho letto qualche cosa su questo generale. Un tipo molto in gamba. Napoleone aveva paura di lui.

Cardona                        - Non esageriamo, tenente Camperò. Paura, Napoleone!

Camperò                       - E' nella storia.

Cardona                        - Voi non l'avete letta.

Rovirosa                        - A me personalmente i francesi piacciono poco!

Cardona                        - Troppe cerimonie.

Rovirosa                        - Ma, bisogna riconoscer loro del coraggio. Per qualche cosa sono latini, come noialtri.

Cardona                        - Eh, sì, noi spagnoli le abbiamo suonate a tutto il mondo.

Rovirosa                        - E' evidente, si capisce! E si spiega perfet­tamente! Noi siamo moreschi e latini. I primi soldati, secondo Lord Wellington. Un inglese!

Camperò                       - Secondo me, quel che abbiamo di più è sangue moresco. Si vede negli assalti alla baionetta. (Don Lauro Rovirosa alza e abbassa un sopracciglio, la mano sul monocolo, per essere pronto caso mai gli cascasse).

Rovirosa                        - Evidente! Abbiamo vari sangui, ma il do­minante è l'africano. Gli altri popoli ci hanno sempre guardato con invidia, e abbiamo avuto piogge d'inva­sori. Ma tutti, dopo aver vissuto qualche tempo sotto que­sto bel sole, hanno finito per diventare spagnuoli.

Camperò                       - Come nel Marocco. Lì non si sente par­lare altro che arabo e spagnuolo.

Cardona                        - Anche tagalo, però.

Camperò                       - Qualche moro dell'interno. Quel che più si parla è lo spagnuolo.

Cardona                        - Io ho imparato qualche parola di tagalo a Jolò: «Tambù», che vuol dire puttana. «Nital Sudi­la »: figlio della medesima. « Rede tuki pen pan bata »: ora ti rompo le corna!

Rovirosa                        - A quel che pare, voi conoscete a perfe­zione il tagalo.

Cardona                        - Quel tanto che basta per vivere laggiù.

Rovirosa                        - Evidente! Io mi sono dimenticato di quel poco che sapevo, e feci tutta la campagna a Mindanao.

Cardona                        - Io ho trascorso cinque anni a Jolò. I mi­gliori della mia vita!

Rovirosa                        - E' evidente. Noi tutti possiamo dire la stessa cosa. Mindanao ha per me un brutto ricordo: rimasi vedovo e ho perso l'occhio destro per il morso di una zanzara.

Cardona                        - L'Isola di Jolò è stata per me un paradiso. Cinque anni senza un mal di capo, e senza misurare il mangiare e il bere.

Camperò                       - Le indigene di quindici anni sono molto accettabili!

Cardona                        - Sono bravissime! Io facevo fare loro un bagno, mettevo loro una camicia di pizzo ed era come se fossero principesse. \(Il suo riso trionfale fa tremare la vetrata della terrazza; la cenere del sigaro vola sulla sua barba; la pancia si gonfia con un giubilo saturnale. Ballano sul tavolino le tazze di caffè; il canarino si agita nella gabbia e il tenente Rovirosa tien fermo il suo oc­chio di vetro). Ancora gongolo di gioia a ricordare i loro corpi!

Rovirosa                        - Permettetemi signori di ricordarvi il mo­tivo che qui ci riunisce. Un primordiale dovere c'impone di difendere il decoro della famiglia militare, come disse in certe occasioni il generale Martinez Campos. Proce­diamo senza sentimentalismi. Puniamo il disonore, eso­neriamo dalla famiglia militare il compagno, senza, senza, senza...

Cardona                        - Calata di brache.

Rovirosa                        - La frase non è troppo parlamentare.

Cardona                        - L'ammettete o no?

Camperò                       - Ammessa. Noi non diventiamo rossi.

Rovirosa                        - Meditiamo un momento e messa la mano sulla coscienza, dettiamo una sentenza giusta. L'incarta­mento dice così...

Cardona                        - Facciamo a meno delle scartoffie.

 Camperò                      - Approvo!

Cardona                        - La questione è posta fra questi due concetti che chiameremo di grazia e di giustizia. Primo: si espelle il tenente don Pasquale Astete y Bargas dalle file dell'E­sercito, con la sentenza di un tribunale d'onore. Secondo: Io si chiama e ammonisce in modo confidenziale affinchè chieda il congedo definitivo. Io credo aver dichiarato che sono contro ogni sentimentalismo.

Camperò '                      - Che indennità gli rimane?

Rovirosa                        - La massima! Non morirà di fame. Insieme alla indennità ha anche due mensili per servizi speciali.

Cardona                        - Non c'è nessuno come questi tipi, per aver fortuna! Io non ne ho nemmeno uno di mensile speciale, e ho servito a Cuba, a Jolò e in Africa.

Rovirosa                        - Ma voi siete sempre stato negli uffici.

Cardona                        - Perché ho una bella calligrafia. Non mi fate ridere!

Rovirosa                        - Voi di campagne ne avete fatte pochine.

Cardona                        - Ma che soltanto nelle campagne si guada­gnano le medaglie?

Rovuìosa                       - Stiamo deviando dalla questione senza es­sere arrivati ad un accordo. Ricapitoliamo... Comuni­chiamo in forma privata al summenzionato ufficiale perché solleciti il congedo o Io esoneriamo pubblica­mente, costituiti in tribunale d'onore?

Cardona                        - No, propongo di farlo chiamare. Non vor­remo mica prendere sul serio le corna di don Friolera!

Rovirosa                        - Io credo sia il caso. Udiamo tuttavia quel che ne pensa il tenente Camperò.

Camperò                       - E' molto duro condannare senza appello.

Rovinosa                       - Ma la nostra sentenza dovrà essere appro­vata dai superiori.

Camperò                       - La giustizia non esclude la clemenza.

Rovirosa                        - Evidente! Volete delegarmi l'incarico di visitare io stesso il tenente don Pasquale Astete?

Cardona                        - Per me, va benissimo.

Camperò                       - Per me anche.

Rovirosa                        - Vi ringrazio per la fiducia che deponete in me. Credo che sarà bene riunirsi stasera. Io porterò una copia dell'atto e, se voi sarete d'accordo, la firmeremo.

Camperò                       - Bisogna pagare il caffè.

Rovirosa                        - Io sono alloggiato nella casa, e voi siete miei ospiti, signori!... (/ tre sono in piedi. Si abbottonano i mantelli, si cingono della spada, si mettono il chepì sulle ventitré guardandosi di sottecchi allo specchio della consolle).

Cardona                        - Capitano Rovirosa: in questa missione mettetevi in borghese.

Rovirosa                        - Perché?

Cardona                        - Eh! coi pantaloni rossi, non si sa mai!... un colpo di testa... Toreador!...

QUADRO DECIMO

 (Il giardino di don Friolera al tramonto. Il muro roseo, gli aranci smaltati in verde profondo, le arance d'oro. La stella di un pozzo fra mattonelle a colori Sotto la luce verdastra della pergola medita l’ombra di don Friolera. Cerotti alle tempie. Pantofole moresche, panta­loni azzurri di una vecchia divisa e giubbone giallo di flanella. Il tenente è seduto su una panchina da accam­pamento. Ha la bimba a cavallo sulle gambe e la contempla con occhi vitrei e languidi da cane fiaccato. Manolita ha i capelli legati da un cerchio di corallina, le calze che cadono e i lacci delle scarpe slacciati. Ha l'aria triste: la tristezza assurda di quelle bambole abbando­nate in soffitta).

Manolita                        - Papalino, cerca di distrarti!

Don Friolera                  - Non posso. La tua tenera età ti detta queste parole. Sarai donna un giorno e capirai ciò che accade fra tuo padre e tua madre. Tuo padre, colui che ti dici  la vita, non ha onore, piccinina. La dote più am­bita e stimata più dei beni materiali, più della vita...

Manolita                        - Papalino, non avere delle brutte idee!

Don Friolera                  - lo brucio nel mio inferno.

Manolita                        - Diventa allegro, papalino.

Don Friolera                  - Non posso!

Manolita                        - Ridi!

Don Friolera                  - Non posso.

Manolita                        - Perché non vuoi.

Don Friolera                  - Perché non ho onore.

Manolita                        - Papalino, ti porto la chitarra per distrarti!

Don Friolera                  - Per piangere le mie pene. (Manolita porta la chitarra, don Friolera l’accorda con un gesto lagrimatorio che gli fa tremare i baffi tinti. Gli occhi di cane vitrei e moribondi si ravvivano e guardano la bimba). Eri la violetta della mia vita!

Manolita                        - Come ti voglio bene, papalino!

Don Friolera                  - Friolera! (Manolita, di botto com­punta, bacia sulla guancia il babbo che le carezza la testa e sospira corrugando le pelli del viso con smorfia sconsolata). Che pena che tu sia ancora così bambina!

Manolita                        - Un giorno sarò grande.

Don Friolera                  - Ma io non Io vedrò.

Manolita                        - Ma sì.

Don Friolera                  - Tu non sai che io questa notte sono morto!  

Manolita                        - Vuoi diventare matto, babbino?

Don Friolera                  - Lo sono già!

Manolita                        - Con la chitarra ti distrarrai.

Don Friolera                  - Il mondo è finito per questo povero vecchio!  

Manolita                        - Suona il « Contrabbandiere »!  

Don Friolera                  - Vedrò se sono capace. (Don Friolera scorre con le dita sulla chitarra in falsetto e poi inizia l’accompagnamento di una canzone che canta con voce rotta e singhiozzi di molto stile) Fuggita è per sempre ventura! fuggita speranza dal cuore! Or non «'è più chi mi dica Per te mi struggo d'amor. (A un abbaino al disopra dei tetti appare la testa pe­lata di donna Taddea Calderon).

Donna Taddea              - Dopo il baccano notturno, ora que-sta musica. Avete scandalizzato tutto il vicinato, signor tenente.

DonFriolera                   - Che desidera l'onorevole « Beccac­cione vicinato », donna Taddea?

Donna Taddea              - Per parlare di corna non siete voi il più indicato, don Pasquale.

Manolita                        - Pinzochera!

Donna Taddea              - Mocciosa! Con «li esempi che ti danno, non puoi avere altra educazione!

Don Friolera                  - A voi vi tiro una schioppettata come a un uccellaccio.

Donna Taddea              - i Io vado a fronte alta, al mio paese. Adulteri e porcherie qui accadono soltanto nelle fami­glie di certi individui che mandano la vita a rotoli... (Fresca e pomposa, con pettinatoio di molti nastri, la scopa in mano e un garofano sull'orecchio, si affaccia nel giardino la signora Loreto).

Donna Loreta                - Che andate raccontando, donna Taddea?

Donna Taddea              - In primo luogo si sa, buona sera, signora tenenta.

Donna Loreta                - (Buona sera anche a voi, per me son giorni brutti.

Donna Taddea              - Vi compatisco.

Manolita                        - Ipocrita!

Donna Taddea              - Datele uno sganassone a quella scimmia. Ed educatela, signor tenente.

Donna Loreta                - Non fateci caso, donna Taddea.

Don Friolera                  - I bambini e i pazzi dicono la verità.

Donna Taddea              - Cornutaccio. E' una buona condotta quella di voler uccidere la moglie e poi di mettersi a suonare?

Donna Loreta                - Lasciate che si distragga dalle sue manie.

Don Friolera                  - Trovate la chitarra stonata? Ora l'accordo per cantare per mio scongiuro.

Donna Taddea              - Insolente!

Don Friolera                  - SM'è già saltata una corda.

Donna Loreta                - Vedi se la puoi aggiustare, Pasquale.

Don Friolera                  - Non mi pare.

Donna Loreta                - Costa due « reales »!  

Don Friolera                  - Lo so, Loreta.

Donna Taddea              - Siete gente che va in malora. ((Donna Taddea Calderon chiude di botto il finestrino. Donna Loreta rientra in casa aggiustandosi i capelli, mentre il tenente suona la chitarra con picchietti delle dita sul legno):

Don Friolera                  - La mia vicina è una strega una stregacela d'inferno la brucerò nel camino per riscaldarmi d'inverno. (Donna Taddea spalanca di botto il finestrino alla fine dei versi e appare con un chitarrino: il profilo aguzzo, gli occhi infuocati e rotondi di uccellaccio. Suona e canta con voce di chioccia):

Donna Taddea              - Son due le corna ch'ha il toro, E son due quelle che ha il cervo. Quattro quelle del mio vicino! Ha quattro corna!  (Manolita corre nel giardino riempiendo il grembiule di arance marce e ritorna vicino a suo padre. Don Frio­lera lascia la chitarra sulla panchina e comincia il tiro a segno. Donna Taddea appare e scompare).

Donna Taddea              - Cafone.

Don Friolera                  - Pim!

Donna Taddea              - Scemo.

Don Friolera                  - Pam!

Donna Taddea              - Cornutaccio.

Don Friolera -               - Pum!

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

QUADRO UNDICESIMO

 (La garitta dei carabinieri sulla punta del molo, sem­pre battuta dal vento. Notte di stelle nel riquadro del finestrino. Uno sfondo d'oro e azzurro. Don Friolera passeggia. ''Dietro la sua ombra va e viene il cagnolino. Don Friolera dondola il capo con ritmo. Improvvisa­mente s'arresta e, incrociando le mani dietro la schiena, fissa lo sguardo in un punto delle sue scarpe dove gioca « Merlino »).

Don Friolera                  - Vediamo un po', non puoi stare fermo un momento con la coda?

(« Merlino » sbadiglia e fra i denti allunga la lingua bianca come se la facesse vedere al medico» Don Friolera lo allontana con un gesto strambo di sapiente maniaco. Il cagnolino si alza su due zampe e fa una scala di ab­baiamento, nella seconda ottava. E’ un vezzo che gli ha insegnato donna Loreta. Don Friolera sente l’anima co­perta di ricordi. Il canarino, la gatta, la bimba, la scopa di donna Loreta. Lo schitarrare stonato di Pacecchino e il profilo di strega di donna Taddeo).

Don Friolera                  - Ero felice! Friolera! Senza dubbio ero felice senz'accorgemene. Il mondo è menzogna e il­lusione; e noi non ci si accorge né delbene, ne del male! Non ce ne accorgiamo mai! Io mi contentavo della mia sorte e non mi mancava nulla. Avevo tutto nella mia casetta. Quando è che mi accorgo di tutto questo? Quando perdo ogni cosa. Quando non mi rimane più nulla. Que­ste malvagità non possono essere opera di Dio. Più ci penso e più mi convinco che tutto questo non è opera di una forza superiore. Può darsi che Dio e il diavolo se ne lavino le mani. Tutta questa tragedia l'ha, combinata donna Taddea Calderon... Con una parola m'ha buttato nel petto il serpente della gelosia, la maledetta.

(Entra una folata di vento marino che strappa i fogli del calendario appeso ad un angolo. La fiamma del lume si biforca: sulla soglia, con la mano davanti all’occhio di vetro, è il tenente Rovirosa).

Rovirosa                        - Buona sera, tenente Astete!

Don Friolera                  - Buona sera.

Rovirosa                        - Quel cagnolino morde?

Don JFriolera                - Non ha quest'abitudine.

Rovirosa                        - Perché sarebbe meglio che voi lo legaste.

Don Friolera                  - Se preferite. Vieni qua, « Merlino »!  (Don Friolera picchia con la mano aperta su una seg­giola, « Merlino » vi sale con un salto e movendo la coda si accuccia).

Rovirosa                        - Vengo per una faccenda spinosa.

Don Friolera                  - L'indovino.

Rovirosa                        - La mia visita ha un carattere allo stesso tempo ufficiale e privato. Un uomo di scienza lo chia­merebbe anfibio. Io non lo sono; e non mi ritengo auto­rizzato ad adoperare simili parole.

Don Friolera                  - Volete accomodarvi? Via da questa seggiola, «Merlino».

 Rovirosa                       - Sono più tranquillo se ci rimane il cane.

Don Friolera                  - Va bene.

Rovirosa                        - Tenente Astete, un tribunale composto di ufficiali, mi ha incaricato d'informarmi sui precedenti del deplorevole infortunio che vi è capitato.

Don Friolera                  - Ho deciso di non parlare di questo argomento.

RovirSosa                     - Voi non potete rispondere in questa forma alla mia richiesta.

Don Friolera                  - E insisto nella mia risposta.

Rovirosa                        - Pasquale, siate ragionevole.

Don Friolera                  - Non voglio.

Rovirosa                        - Noi ufficiali saremo costretti a prendere una deliberazione molto grave a vostro carico.

Don Friolera                  - Voi potete pure cantarmi il « Mise­rare ».

Rovirosa                        - Non precorriamo gli eventi. Nella riu­nione degli ufficiali ci si è accordati che voi sollecitiate le dimissioni.

Don Friolera                  - E perché? Perché non ho onore?

Rovirosa                        -  Non posso ammettere controversie sulle nostre decisioni.

Don Friolera                  - Le mie corna non sono un'eccezione nell'Esercito.

Rovirosa                        - Vi prego di rispettare l'onore privato della nostra gloriosa ufficialità.

Don Friolera                  - Nessun militare è libero di farsi tra­dire da sua moglie. Friolera! A questo proposito, il tri­bunale non fa differenza fra militari e borghesi.

Roviriosa                       - Evidente! Ma m'impone non tollerarlo!

Don Friolera                  - E sapete voi il mio recondito inten­dimento? Pim, pam, pum.

Rovirosa                        - Non fate il matto e chiedete il ritiro.

Don Friolera                  - Voi, che fareste nei miei panni?

Rovirosa                        - Mi assumerei una grave responsabilità se rispondessi a questa domanda.

ìDon iFriolera                - Voi lavereste il vostro onore?

Rovirosa                        - Evidente.

Don Friolera                  - Domani riceverete a casa vostra due teste insanguinate.

Rovirosa                        - Qua la mano, 'Pasquale! Deploro che quel vagabondo non sia un caballero, perché il cuore mi dice che voi l'avreste infilzato da parte a parte.

Don Friolera                  - Friolera!

Rovirosa                        - Per me i duelli rappresentano un pro­gresso nei costumi sociali. Altri la pensano diversamente, e li condannano come sopravvivenze del feudalismo. Ma popoli di cultura superiore hanno ancora il duello fra i loro costumi. Per voi la disgrazia è stata aver scelto male vostra moglie.

Don Friolera                  - La raggirò quel vigliacco.

Rovinosa                       - E’ chiaro!

Don Friolera                  - Domani riceverete le due teste.

Rovirosa                        - Lasciate che vi abbracci, Pasquale! Brac­cio deciso! Animo tranquillo! Il Tribunale d'onore, fi­ducioso nella vostra parola, sospende qualsiasi decisione.

Don Friolera                  -  Presentategli la mia gratitudine.

Rovirosa                        - Sarete obbedito nel vostro nobile desi­derio.

Don Friolera                  - Se io ho perduto la stima dei miei compagni, spero che non tarderanno a restituirmela.

Rovirosa                        - Anch'io lo spero.

Don Friolera                  - Pim, pam, punì!

(«Merlino » rizza le orecchie e con un salto s'avventa verso la porta della garitta abbaiando furiosamente, agi­tando il fiocco della coda. Don Friolera gesticola indif­ferente all'abbaiare del cane, e con una mano alVocchio di vetro e l'altra sull'elsa della spada sta il tenente don Lauro Rovirosa).

QUADRO DODICESIMO

 (Notte stellata. Fragranza serena: un giardino d'aranci e garofani con il chiaro di luna sul muricciolo, can­tano i grilli e si spengono le luci di alcune finestre. Pa­cecco arrampicato su un albero osserva un'inferriata vi­cina che tra le fronde di un altro giardino rimane illu­minata. Donna Loreta in pettinatoio pieno di nastri ap­pare all'inferriata e il galante spunta con la figura sulla cima dell'albero: nero e contorto come uno spaventa­passeri).

Donna Loreta                - Pacecchino.

Pacecchino                    - Diletta mia.

Donna Loreta                - Che rischio.

Pacecchino                    - Hai avuto il mio messaggio?

Donna Loreta                - Sono arrabbiata. A me non importa nulla di morire; ma mi spaventa pensare che corre pe­ricolo la vita di uno come voi, Pacecco.

Pacecco                         - Così parla l'amore. Quanto al resto un uomo vale un altro, e il barbiere non ha paura del tenente.

Donna Loreta                - Sei un sanguinario!

Pacecco                         - Io sono di Alicante!

Donna Loreta                - Ahi, Pacecchino, che ria sorte. Se egli ha preso la risoluzione di ucciderci lo farà, è te­stardo!

Pacecco                         - Io, se me lo vedo apparire davanti, lo ac­coppo.

Donna Loreta                - E vi rovinerete per sempre, Pacec­chino?

Pacecco                         - Non m'importa, se riesco a salvare la vita di una sposa martire.

Donna Loreta                - Il mio destino è di morire accol­tellata!

Pacecco                         - O per un colpo -di pistola a tradimento!

Donna Loreta                - Porta con se un coltello.

Pacecco                         - E invece la persona che m'ha consigliato di stare in guardia, lo ha visto pulire un pistolone.

Donna Loreta                - Non m'importa di morire.

Pacecco                         - Ora vi ripeto ciò che mi dissero cento volte: la vita è bella.

Donna Loreta                - Se c'è la felicità, Pacecchino.

Pacecco                         - La tua felicità è d'essere la mia compagna.

Donna Loreta                - Non posso abbandonare il mio do­vere di sposa e di madre.

Pacecco                         - Questo significa che io sbagliavo ritenen­domi corrisposto?

Donna Loreta                - Voi avete bisogno d'una donna libera.

Pacecco                         - Loreta, tutto ci unisce.

Donna Loreta                - Il mio onore ci divide!

Pacecco                         - E la vita?

Donna Loreta                - L'onore in primo luogo.

Pacecco                         - Donna straordinaria.

Donna Loreta                - Faccio il mio dovere.

Pacecco                         - Ma il mio cuore innamorato non tollera che una sposa esemplare patisca una pena non meritata. Se quel pazzo si può soddisfare col bere il mio sangue, voglio incontrarmi con lui. Glielo offrirò in olocausto, in cambio della tua salvezza!

Donna Loreta                - Sono io che debbo morire!

Pacecco                         - Morire o uccidere è per me la stessa cosa.

Donna Loreta                - E non vederci più? Ah! Pacecchino, queste non sono parole di un uomo che ama!

Pacecco                         - Sono le parole d'un uomo disperato.

Donna Loreta                - Tiranno, non spaventarmi! Che cosa pretendi?

Pacecco                         - Cerchi forse di salvare la tua vita.

Donna Loreta                - Indicami tu il mezzo.

Pacecco                         - Chiedi ali all'amore! Lascia questo carcere, lascia queste tenebre!

Donna Loreta                - Taci, che uomo sei tu? Se mi ami non abbagliarmi! Sono una fragile donna innamorata.

Pacecco                         - Provamelo.

Donna Loreta                - Ma tu sai a che cosa t'impegni? Lo sai, per caso? Una donna è un grave fardello!

Pacecco                         - Una donna, se c'è di mezzo l'amore, è un peso dolcissimo.

Donna Loreta                - Presto ne sentiresti il fastidio.

Pacecco                         - Tu mi calunni.

Donna Loreta                - La tua indifferenza sarebbe per me una pugnalata a tradimento!

Pacecco                         - Juan Pacecco non dà simili pugnalate.

Donna Loreta                - Non mi abbandonerai mai?

Pacecco                         - Chiedimi il giuramento che ti soddisfi.

Donna Loreta                - Tiranno. Di' chiaro il sacrificio che vuoi da questa donna cieca.

Pacecco                         - Che tu venga con me.

Donna Loreta                - Saremo perseguitati.

Pacecco                         - Ti condurrò in capo al mondo. Lontani da qui passeremo per marito e moglie.

Donna Loreta                - Tentatore guarda le mie lagrime, giacche non sai guardare nel mio cuore! Juan Pacecco, sono madre, non pretendere che io abbandoni Tessere nato dalle mie viscere!

Pacecco                         - Promettimi almeno di venire per un'ora a casa mia. Loretita, hai acceso il fuoco di un vulcano nella mia esistenza!

Donna Loreta                - Se ti seguo sono perduta per sempre!

Pacecco                         - Non ti tratterrò!

Donna Loreta                - Né mi farai tua?

Pacecco                         - Io non voglio nulla per forza. Ricorda il mio agire, quando ti ebbi fra le mie braccia! Vieni qua, concedimi almeno di parlarti con le mani nelle tue mani.

Donna Loreta                - Ahi, Pacecchino, tu riuscirai a per­dermi.

Pacecco                         - Concedimi la grazia che ti chiedo.

Donna Loreta                - Mi chiedessi la vita non saprei ne­gartela! (La donna si ritira doli'inferriata ed esce nel giardino. Si annunzia sulla scena del sentiero con un rumore di sottane inamidate. Il galante, nero e magro, salta dall'albero al muricciolo lunato, e dal muric­ciolo al giardino. Cade spalancando le braccia).

Pacecco                         - Mio tormento!

Donna Loreta                - Mio tiranno! (Si porta le mani alle tempie e il galante la cinge per la vita arrischiando uno sguardo sui ricami del pettinatoio per intravedere l’opulenza dei seni). Mi gira la testa!

Pacecco                         - Donna adorata!

Donna Loreta                - Non ti vedo, quasi!

Pacecco                         - Slancio del sangue, confusione di nervi, Loretita!

Donna Loreta                - (Dovrò farmi un salasso.

Pacecco                         - Vita mia! Mi vengono i brividi a pensare che ti pungeranno le vene!

Donna Loreta                - Coccolone.

Pacecco                         - Simpaticona.

Donna Loreta                - Tu mi rovini.

Pacecco                         - Brutta!

Donna Loreta                - Lasciatemi, Pacecchino.

Pacecco                         - Non posso!

Donna Loreta                - Ma voi siete sempre disposto! Che uomo!

Pacecco                         - Quello che ci vuole per il tuo ardore.

Donna ILoreta              - V'ingannate, Pacecchino! Io sono una donna apatica. Lasciatemi seguire il mio destino. Abbiamo delle volontà troppo 'diverse.

Pacecco                         - Tu mi metti l'anima in fiamma!

Donna Loreta                - Taci... Sento dei passi nella casa e sbattere d'usci. Siamo perduti! ((Spavento e paura. Si svincola dall'abbraccio, fa attenzione ai rumori del giar­dino. Pacecco di sottecchi misura il muricciolo e aguzza l’udito con lo stesso gesto palpitante di donna Loreta).

Pacecco                         - Mi pare che sia stato uno spavento senza motivo.

Donna Loreta                - Taci!

Pacecco                         - Non sento niente.

Donna Loreta                - La bambina si è svegliata e piange di paura! Non l'odi, tiranno? Non ti commuove?

Pacecco                         - Vita mia!

Donna Loreta                - Tu mi perderai!

Pacecco                         - Se mi ami, seguimi!

Donna Loreta                - Non ti commuove il pianto di quell’angelo?

Pacecco                         - E' nato dalle tue viscere e non posso non commuovermi!

Donna Loreta                - E vuoi che per seguirti io uccida il mio cuore di madre?

Pacecco                         - Loretta, non c’è bisogno di conflitti fra due opposti doveri. Questo nodo gordiano io lo taglio con il mio rasoio di barbiere. Tu mi segui e quell'an­gelo viene con noi, Loreta. Veglia su tua figlia. Essa avrà in me un padre, come se fosse orfana!

Donna Loreta                - Uomo funesto, a che cosa t'impegni?

Pacecco                         - Non parlarmi più. Madre torturata, veglia su tua figlia.

Donna Loreta                - Sarò la tua schiava»

Pacecco                         - Corri!

Donna Loreta                - Volo!  (Cicciosa, passa piccola e sdilinquita con molto fru fru di sottane. Tutta moine leziose si allontana per il sentiero bianco di luna e fra-grante di basilico e di garofani. Pacecchino poggiato sulla gamba rotta, nero e contorto, apre le braccia sotto le stelle).

Pacecco                         - Sant'Antonio, se non mi hai dato una sposa come dovevi, mi dai una degna compagna!... Ti rin­grazio ugualmente, divino Antonio, e soltanto ti chiedo, in quest'ora, salute e che non mi manchi il lavoro. Pel futuro avrò due bocche di più da mantenere. Sono ob­blighi da ammogliato! Guardami come se fossi ammo­gliato. Divino Antonio! Prendo a mio carico una fa­miglia abbandonata. Proteggi la mia vita dalle sventure, dalle ire di un uomo barbaro!

(Chiaro di luna, sentiero profumato di verbena. Con la bambina seminuda fra le braccia, mezzo soffocata, appare la seduttrice. Pacecco apre il compasso disu­guale delle gambe e corre incontro a lei).

Pacecco                         - Ora ti libero dal dolce peso.

Donna Loreta                - Grazie! (Al cambiamento di braccia la bimba strilla. Il rapitore, nero e contorto, scavalca il muricciolo. Quando vi è sopra allunga una mano alla sua ganza. Don Friolera inciampando irrompe nel giar­dino, i pantaloni da cavallerizzo, il chepì su un'orec­chia, una pistola in mano).

Don Friolera                  - Ho vendicato il mio onore. Imbe­cilli. Paese di cornuti. Un militare non è un borghese. Pina! Pam! Pum! A me non trema la mano! Fatta giu­stizia mi presento al colonnello! (Spara la pistola e con un grido i fantocci lumati del muricciolo spiccano sull'alto del giardino. Donna Loreta riappare coi capelli irti e le braccia al cielo. Di nuovo Loreta si precipita. Alcune stelle si nascondono per lo spavento. Al suo abbaino come una civetta mette fuori la testa donna Taddeo, mentre s'al­lontana pure di corsa disordinata il fantoccio di Otello). Ho vendicato il mio onore! Vigliacchi!

QUADRO TREDICESIMO

 (Sala bassa con inferriata. Piccole stuoie di cocco. Un paravento verde. Carte sul tavolo e sulla seggiola con fodera. Il ritratto del Re bambino. Il colonnello don Poncho Lamela, con gli occhiali d’oro sulla punta del naso, piange di tenerezza leggendo l’appendice de « L'Epoca ». La colonnella, in corsetto e sottoveste, ascolta la lettura un po' più consolata. Appare il tenente don Frio­lera, risuona un grido e donna Pepita, la colonnella, si copre la scollatura con le mani).

Il Colonnello                 - Insolente!

Donna Pepita                - Chiudete gli occhi, don Friolera.

Il Colonnello                 - Copriti col giornale, Pepita!

Don Friolera                  - Nelle mie mani c'è del sangue!

Donna Pepita                - Chiudete gli occhi, empiastro! (Il colonnello allontana il seggiolone e, al centro della sala, luccicano le pantofole di velluto ricamate dalla sua signora. Aperto il compasso delle gambe con un dito alzato egli guarda in faccia don Friolera).

Il Colonnello                 - Mettetevi sull'attenti.

Don Friolera                  - Ai vostri comandi, colonnello!

Il Colonnello                 - Chi siete voi?

Don Friolera                  - Tenente Astete, signor colonnello.

Il Colonnello                 - Con destinazione alla Cittadella?

Don Friolera                  - Signor sì, mio colonnello.

Il Colonnello                 - Siete stato chiamato?

Don Friolera                  - No, mio colonnello.

Il Colonnello                 - Che permesso avete?

Don Friolera                  - Non ho nessun permesso, signor colonnello.

Il Colonnello                 - Ritornate al vostro posto!

Don Friolera                  - Ho bisogno urgente di parlare a vos­signoria.

Il Colonnello                 - Tenente Astete, ritornate al vostro posto e chiedete per iscritto ciò che vi occorre! Ma aspettatevi pure gli arresti!

Don Friolera                  - Inviatemi pure alla prigione, signor colonnello! Vengo a consegnarmi! Il sangue dell'adul­terio è corso a fiumi! Friolera! Io vesto la divisa del Corpo dei Carabinieri!

Il Colonnello                 - Che disonorate col brutto vizio dell'ubriachezza!

Don Friolera                  - Le mie mani gocciolano sangue.

Il Colonnello                 - Non lo vedo.

Donna Pepita                - E' un parlare figurato, Pancho. (Il co­lonnello dirige uno sguardo alla porta verso l’interno dove si nasconde la colonnella che fa vedere una spalla nuda e copre il resto della scollatura con il giornale).

Il Colonnello                 - Ritirati, Pepita!

Donna Pepita                - Chi avete ucciso? Ditelo una buona volta.

Don Friolera                  - Ho ucciso mia moglie perché adultera.

Il Colonnello                 - Che onore! Non avevate figliuoli?

Don Friolera                  - Ci rimane un'orfana. Me la figuro ora abbracciata al cadavere, e il cuore mi si stringe. Il padre, lo vedete bene voi, va verso le prigioni militari. La madre morta, con una palla al petto.

Donna Pepita                - Tu credi a questa storia, Paneo?

Il Colonnello                 - Comincio a crederci.

Donna Pepita                - Non vedi la papalina che ti si sciupa?

Il Colonnello                 - Ritirati, Pepita.

Donna Pepita                - Aspetta.

Il Colonnello                 - Pepita, ritirati o copriti meglio col giornale.

Donna Pepita                - Se mi vede qualche cosa che vada al diavolo.

Il Colonnello                 - Vattene.

Donna Pepita                - Turco.

Don Friolera                  - La sposa che manca ai suoi doveri deve morire.

Donna Pepita                - Imbecille! (Butta il giornale in mezzo alla sala e scompare sbattendo l’uscio. Il colonnello tos­sisce, si toglie gli occhiali e apre il compasso delle sue pantofole ricamate alzando e abbassando un dito. Il fantoccio del tenente, rigido e quadrato, la mano alla visiera del chepì, sembra aspettare con le narici). '

Il Colonnello                 - Che barbarie avete commesso?

Don Friolera                  - Ho lavato il mio onore.

Il Colonnello                 - Non è il vino che vi fa parlare?

Don Friolera                  - No, mio colonnello.

Il Colonnello                 - Proprio non avete bevuto?

Don Friolera                  - Dopo, per dimenticare. Ora vengo a costituirmi.

Il Colonnello                 - Avete proceduto da caballero. Inutile dirvi che avete salvato l'onore del Corpo. Fumatevi que­sto sigaro! (Donna Pepita irrompe nella sala, soffocata, con ventaglio e vestaglia di nastro. Cade su una seggiola a dondolo lasciando vedere una giarrettiera).

Donna Pepita                - Che dramma! Non ha ucciso la mo­glie! Ha ucciso la figlia.

Il Colonnello                 - Avete udito, disgraziato?

Don Friolera                  - Seppellisciti, anima, nell'inferno.

Il Colonnello                 - Fagli servire un bicchiere d'acqua.

Don Friolera                  - Assassini. Cornutacci. Più cornuti di me. Ho ucciso mia moglie. Uccidete la vostra, colonnello. Uccidetela che anch'essa vi fa becco. Pim! Pam! Puro'

Donna Pepita                - Idiota!

Il Colonnello                 - Tenente Astete, avete perduto la testa!

Donna Pepita                - Pancho, agli arresti!

Il Colonnello                 - La vita di un figlio è qualcosa di molto serio!

Donna Pepita                - Che delitto orrendo!

Il Colonnello                 - Tenente Astete, consideratevi arre­stato nella Camera delle Bandiere.

Don Friolera                  - Ma io sto morendo. Potrei passare all'ospedale?

Il Colonnello                 - Potete farlo.

Don Friolera                  - Ai vostri comandi, mio colonnello.

Il Colonnello                 - Senza dubbio ha perduto la testa. Spiegami un po' tu, Pepita. Chi ti ha raccontato quel dramma?

Donna Pepita                - L'attendente.

Il Colonnello                 - Ah, dunque è il tuo amante... Oh..., Friolera! Anch'io sono becco!

QUADRO QUATTORDICESIMO

 (La piazza del mercato in una città bianca in vista della costa africana. Il cantastorie cieco all'angolo di una bot­tega. Le teste rapate dei prigionieri s'affacciano alle in­ferriate del carcere. Il cane del cieco alza la zampa contro uno steccato decorato da cartelloni laceri, ultimo ricordo delle fiere: « Il gran galeotto » - « La passionale Mariannatì - ali nodo gordiano» - «La squilibrata »).

Il Cieco:                        In San Ferdinando del Capo,

paradiso di questa mia terra,

veterano di pace e di guerra

abitava un ardito ufficial.

Non volendo dar retta ai consigli

di chi solo voleva il suo bene,

egli tosto contrasse l'imene

con la perfida, grata al suo cor. Ritornello :

Questa, questa è storia vera

del tenente don Friolera.

Dopo un po' gli si dice una sera

mentre a casa felice egli torna

che la moglie gli mette le corna

che di lui ride tutto il paes. )

Ad udire tale onta il tenente

viene colto da grande furore

pensa tosto a lavare il suo onore:

e nel petto gli avvampa un vulean.

 (Ritornello).

Quale orror, Santa Vergine e Madre,

Ora in gola mi trema la voce

al narrare l'orribile atroce

spaventoso finale del dram;

egli coglie gli amanti sul fatto

ma nell'ira, dei gran parapiglia,

egli sbaglia ed uccide la figlia

che per caso passava di lì.

(Ritornello).

 (Il cieco si asciuga il sudore, come per riposarsi posa a terra la canna per un momento. Da un'inferriata del carcere sono spuntati don Manolito e don Estravagàrio. Neanche a dirlo, sono stati incarcerati per sospetto dì metter bombe e di aver fatto il malocchio a un asino della Alpujarra).

Don Estravagàrio          - Questo è il vile contagio che dalla letteratura scende al popolo.

Don Manolito               - Ma è della cattiva letteratura, don Estravagàrio.

Don Estravagàrio          - Tutta la letteratura è cattiva.

Don Manolito               - Non lo nego.

Don Estravagàrio          - Ricordate quel che vi dissi?

Don Manolito               - Tante cose mi avete detto.

Don Estravagàrio          - Possono consolarci soltanto i bu­rattini del cieco.

Don Manolito, spendi un soldo e compra la romanza.

Il Cieco                         - (riprendendo):

Gitta un urlo che scuote la Spagna

e imprecando alla jella funesta

con l'accetta egli taglia la testa

alla sposa e all'amico infedel.

Poi tenendone una per mano

si presenta al suo gran generale

e gli dice: « Chi è vero ufficiale

sol così può lavarsi Fonar ».- (Ritornello).

Quando il fatto fu noto alla Corte

tosto il Re gli spedì una medaglia,

la Regina due calze di maglia

e l'Infanta uno spil da cravat.

Decorato e promosso aiutante

poi maggiore, poi portabandiera

può ben dire il tenente Friolera

che l'onore non manca al valor.

(Ritornello).

Don Friolera, il marito tradito,

don Friolera, l'amante sfottuto

oggi è esempio a qualunque cornuto

che si voglia lavare l'onor.

Or la fama la storia diffonde

e la Spagna la sa tutt'intera

s'ode ovunque gridar: don Friolera

ole ole, don Friolera, ole ole. (Ritornello).

FINE