Le cose più grandi di loro

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di Pier Benedetto BERTÒLI

da IL DRAMMA - Anno 44 - n. 2 - Novembre 1968

PERSONAGGI:

Satiro

Nerina

Filippo

Alba

La Trascendenza   (le sole gambe)

Tutti dai 30 ai 40 anni. Tranne la Trascen­denza che ne ha molti di più.

Le cose appaiono davvero più grandi dei personaggi, in questo salotto di borghesi agiati. Corre un rapporto uomo-cosa quale si verifica normalmente tra un bambino di tre anni e le cose nostre abituali. Così gli attori arriveranno a mala pena a superare con la testa il carrello dei liquori, sul quale bicchieri e bottiglie appariranno, in propor­zione, enormi. Giungeranno col naso al se­dile delle sedie e vi si arrampicheranno sopra a fatica. Le vaste poltrone saranno capaci di accogliere comodamente due, tre persone. Tavolini, soprammobili, fiori nei vasi da fiori, lutto più grande del normale, proporzionatamente. Le porte alte il doppio di quelle nostre comuni. Problemi di scenografia e di trovarobato in­superabili? Mah. Dopo la lettura del testo stabilire se varrà o meno la pena di stu­diarli e dì risolverli. Del resto tutto potreb­be essere semplicemente accennato e sinte­tizzato: potrebbero bastare una grande sedia e un grande vassoio con grandi bottiglie. E l'idea di un'alta porta aperta sul fondo. Tiriamo coraggiosamente avanti. Gli attori, si capisce, riguardo a questi super-mobili devono comportarsi in maniera natu­rale, indifferente: come il bambino che, vo­lendo sedersi, non si stupisce certo di doversi arrampicare su  una sedia.

È sera, un po' dopo cena, in casa dei signori Selvatico. Nerina Selvatico, la pa­drona di casa, è in piedi. Davanti a lei Filippo e Alba, entrati da poco.

Nerina.                 Ci dev'essere un equivoco, signori. Io non li conosco.

Alba.                     Certo che non ci conosciamo, signora. Neppure suo marito conosciamo. È ben questo l'interessante.

Filippo.                 Se ci conoscessimo non avremmo accettato l'invito. Strano però che suo ma­rito non le abbia accennato.

Nerina.                 Niente. Non mi ha annunciato nes­suna visita per stasera. È addirittura uscito.

Filippo.                 Uscito?!

Alba.                     Incredibile. Che si sia dimenticato?

Nerina.                 Mio marito lavora presso un  isti­tuto mnemonico. Non dimentica mai niente.

Filippo.                 Quindi toccherebbe a noi giustifi­care la nostra presenza qui.

Nerina.                 Sto appunto aspettando. Filippo.  Vede, la ragione della visita, l'in­venzione direi della visita, non è nostra. È stato suo marito a escogitare, a combinare.

Nerina.                 Ha una ragione precisa la loro visita?

Filippo.                 Certo, signora. Non penserà che ci presentiamo così, in casa d'altri, di sera, sconosciuti, senza una ragione  precisa.

Nerina.                 Credevo si trattasse di una visita per la visita. Una semplice visita, insomma.

Alba.                     Oh ma che bel divertimento!

Filippo.                 Alba Maria, mia moglie, è capace a volte di una sfrontatezza che può dare nell'occhio. Ma è fatta così. Del resto è questo l'aspetto che può piacere di lei.

Alba                      (che passeggia per la stanza). Dio mio, che casa! Che agiatezza borghese! Non un balzo di fantasia, non un'intenzione evasiva. Che socialdemocrazia!

Filippo.                 Non trova mai niente che le vada bene. Alba. È in una posizione di critica costante, di rivoluzione permanente, come i cinesi.

Alba.                     E come mi vorresti? Tutto va ben madama la marchesa?

Nerina.                 Ionon so se devo andarmene, se devo rimanere...

Filippo.                 Rimanere! Come no, signora? È in casa sua! E poi noi a chi faremmo visita?

Nerina.                 (controllando come può l'irritazione)  Il motivo della visita, dunque, visto che non è una semplice visita?

Filippo.                 No, appunto, dicevo: non siamo più usi far visita per far visita. Ci siamo ribellati, abbiamo voltato  le  spalle a  questo tipo di rapporto. Non abbiamo più amici. E ci pesa non avere amici. Una cosa sola ci peserebbe di più: avere amici.

Nerina.                 E io che posso farci?

Filippo.                 Forse suo marito ci ha voluti qui proprio per questo, per il nostro modo di avere relazioni non avendone, per la nostra disponibilità saltuaria e imprevedibile. Via Archimede 80, terzo piano, interno 8. Si­gnori Selvatico. Non abbiamo sbagliato por­ta, per caso?

Nerina.                 No. Iosono appunto la signora Selvatico.

Alba.                     Ma davvero non sa, signora? O finge? Eh? Avete cambiato idea?

Nerina.                 Chi?

Alba.                     Lei e suo marito. E adesso lui si da assente e manda avanti la finta ignara. La « marine ». E il Pentagono dietro, a coor­dinare l'escalation. È così?

Filippo.                 Calma, Alba. Se la signora dav­vero non sa niente...

Nerina.                 Che siano dei ladri lo escludo. Non sarebbero entrati  suonando  alla  porta.

Alba.                     No. Sono i postini che suonano. Esclu­da ladri. Batta altre strade.

Nerina.                 Ma sono i Sartoris di Biella!

Alba.                     Come?

Filippo.                 Chi sono i Sartoris di Biella?

Nerina.                 Quei parenti che non conosco.  Mi avete voluto fare una sorpresa. Eh, siete voi? Tu sei Giacomino, va' là che l'ho ca­pito.

Filippo.                 Qui, a portata di mano, avrei Gia­comino. Potrei essere Giacomino, almeno per una sera. Ma perché essere Giacomino?

Alba.                     Niente Giacomino. Non attacchiamoci ai Sartoris di Biella che facciamo naufragio. Battere  altre strade, signora.

Filippo.                 Intanto che lei batte, se permette, io mi siedo. (Si siede arrampicandosi su una poltrona, o su una sedia).

Nerina.                 Riunione di condominio.

Alba.                     (sorpresa e divertita)   Eh?

Nerina.                 Sì,  loro sono  i proprietari del  se­condo  piano,  quelli  che  non  vengono  mai alle   riunioni   condominiali.   Stasera   è   con­vocata la riunione in casa nostra, e mio ma­rito si è dimenticato di dirmelo.

Filippo.                 No. Perché suo marito lavora pres­so  un  istituto  mnemonico e  non  dimentica mai niente.

Alba.                     Sono tipo da riunioni condominiali, io? Fremo di novità, io. Non ci saranno più condomìni e condòmini. Gliela darà Mao ai condomìni. (Imita Mao come se fosse un orco) « Adesso portatemi qui i condòmini ». « Ma... non ci sono i condòmini, non si tro­vano ». « Scovatemeli nelle loro casette. Sono nascosti sotto i loro lettini. Tiratemeli fuori con due dita, i signori condòmini, e portatemeli qui che me ne voglio fare un bel pasticcio di riso».

Nerina.                 (terrorizzata)  Sono dei cinesi?

Alba.                     No. Non ancora.

Nerina.                 Delle spie? Degli esuli politici? Dei profughi, dei terremotati? dei diseredati, degli orfani, dei figli di ignoti, degli scroccatori di cene, degli evasi dal carcere, degli evasi da un manicomio, dei pazzi! Cielo! dei pazzi?!

Filippo.                 Depennare tutto l'elenco. Se vuole, aggiungere  banditi  sardi,  ricattatori,  ricetta­tori, fantasmi, ectoplasmi, il diavolo:  e de­pennare,  depennare.

Nerina.                 E allora?

Alba.                     Ma il grande assente,  signora,  via! Perché non pensare al grande assente?

Nerina.                 Il grande assente? Chi è il grande assente?

Alba.                     Appunto. Chi è il grande assente?

Nerina.                 Mio marito?

Alba.                     Macché. Suo marito è il piccolo as­sente. Se ci fosse, d'accordo, un piacere co­noscerlo. Ma il grande assente dai suoi elenchi, dai suoi estri, dalle sue fantasie, dai suoi pensieri, chi è?

Nerina.                 Chi è?

Alba.                     È il... Dio mio che testolina. Spre­mere,  madame.

Filippo.                 Avanti, signora, un piccolo sforzo. È il...

Nerina.                 Il?...

Alba.                     Il... il sesso! Il sesso! Il sesso! Il sesso!

Nerina                  (presa, veloce, meccanicamente con­senziente). Ah sì, il sesso, certo il sesso, il sesso ah sì sì, il sesso, si sa.

Filippo.                 Già, appunto, il sesso. (Una pausa).

Nerina.                 (realizzando). Il sesso? Il sesso? Ma come il sesso?  Ma quale sesso?

Filippo.                 Non ce  ne  sono  molti.  Due,  con variazioni e deviazioni sul tema.

Nerina.                 Ma come si permettono? Il  sesso in casa d'altri?

Alba.                     Atteso e previsto il « come si permet­tono ». Apprezzatissimo « il sesso in casa d'al­tri ». Comunque siamo sulla strada giusta. Avanti. Battiamo il sesso fin che è caldo.

Nerina.                 Forse sono degli stupratori a mano armata, dei violenti?

Alba.                     Ma neanche per sogno. Mio marito è un mite, vedrà.

Nerina.                 Forse dei sadici?

Filippo.                 No, non siamo ancora alle specia­lizzazioni.  Pratichiamo  maniere  tradizionali.

Nerina.                 Perché sadici in casa mia non met­tono piede, sia chiaro.

Alba.                     Masochisti sì?

Nerina.                 Ma niente, niente, nessuno. Né sa­dici, né masochisti, né maoisti. Qui non si commettono atti contro la morale o contro l'Occidente.

Filippo.                 Ma allora abbiamo sbagliato porta.

Nerina.                 Ma perché?... loro sarebbero venuti qui per...? Incredibile! E con chi?

Filippo.                 Come  con  chi,  signora?  I  signori Selvatico chi sono?

Nerina                  (comicamente terrorizzata). Che spa­ventoso! Che vergognoso!... Ma no!

Filippo.                 Ma  sì.   Senza   forzare,  si   capisce. Con   le  buone   maniere.   Noi   abbiamo  solo accettato un invito. Abbiamo dato la nostra . adesione. Se poi la signora non gradisce...

Nerina                  (meravigliatissima, comicamente scos­sa). Che cose! Che cose! Che cose!... (Ripren­dendosi). Ma cosa credono loro? Che la mia casa onorata sia una casa d'appuntamento!

Alba.                     Attesissima da qualche minuto,  « casa onorata » arriva   all'appuntamento   in   per­fetto orario.  Puntualità, il tuo nome è casa onorata.

Satiro.                 E anch'io giungo in perfetto orario. Signori Buonasera.

(Entra Satiro, il padrone di casa, sospingendo il carrello dei liquori, dalle già indicate super-proporzioni, con gran­di bottiglie e alti bicchieri).

Nerina.                 Come, non eri uscito? Satiro. Finta uscita, tesoro. Ero di là. Aspet­tando che si rompesse il ghiaccio. Non quello per il whisky, ma il ghiaccio di qua, fra di voi. Adesso che è rotto arrivo io. I signori sono i Piana o i Pierdavinci?

Filippo.                 Piana. Filippo Piana.

Satiro.                 Fortunatissimo. (Bacia la mano ad Alba). Vuol dire che i Pierdavinci arrive­ranno più tardi.

Nerina.                 Chi sono i Pierdavinci?

Satiro.                 Un'altra coppia.

Filippo.                 Ah, c'è un'altra coppia  in arrivo?

Alba.                     Finché  c'è   un'altra  coppia  c'è  spe­ranza.

Satiro.                 Fra noi quattro la situazione sarebbe tanto disperata, signora? Un whisky?

(Porge un  bicchierone.  Alba prende  con  due  mani il bicchierone, si siede, berrà).

Nerina                  (a Satiro). Adesso tu  mi spieghi.

Satiro.                 Non ti hanno già spiegato i signori?

Nerina.                 Devi spiegarmi tu. L'idea è vera­mente partita da te?

Satiro.                 Un sasso nello stagno. La sera su­biamo il video. Nutriamo amici troppo in confidenza perché si possano azzardare con­fidenze nuove. Giochiamo a chi buttar giù dalla torre. Ma ognuno resta sempre nella sua, al riparo. Congedati gli amici si spegne la luce sul comodino, si gira la testa dall'al­tra parte. Lei di là, io di qua.

Alba.                     O fissità dei posti a letto, o agonia dell'amore!

Satiro.                 Diamo allora una rimescolata alle carte, mi son detto. Inserzionai: «Coniugi rappresi matrimoniale torpore per tentativo risveglio et rilancio telefonare a... ».

Nerina.                 Come una massaggiatrice.

Satiro.                 E le telefonate che sono piovute! Ho potuto scegliere, vagliare, corre fior da fiore, per la mia roulette. Sei giocatori in circolo. Una bottiglia in mezzo, adagiata. Un giro alla bottiglia. Dove si ferma il collo, prima indicazione. Dove si ferma ancora, seconda indicazione:  e coppia formata.

Nerina                  (stupitissima). Coppia per... che cosa?

Alba.                     Sesso, sesso signora.

Nerina.                 Ma è incredibile! Una signora come me. Coi miei principi!

Alba.                     E perché, fra tante possibilità, ha scelto proprio noi?

Satiro.                 Così, a fiuto. Non è stato facile sele­zionare. Certi Biadoni, per esempio, si sono offesi. Pensavano che per vincere il torpore matrimoniale organizzassi un torneo di di­nasta. Un signore voleva mandarmi la suo­cera. Un uomo politico mi ha assicurato che sarebbe stato felice, ma non poteva esporsi prima delle elezioni. Se mai dopo. Se per­derà per consolarsi. Se vincerà per festeg­giare.

Filippo.                 Come lo Stock 84.

Satiro.                 Con loro e con i Pierdavinci ci siamo intesi subito.  Non so, per la  voce,  per  la disponibilità estrosa.

Nerina.                 Che io non ho.

Satiro.                 Che cosa?

Nerina.                 La disponibilità estrosa. Io non entro nel gioco. Non casco nella ignobile trappola.

Alba.                     « Ignobile trappola », non male. Un po' mediato dal feuilleton. Ma accettabile, data la circostanza.

Nerina.                 Tumi conosci, Satiro, e lo sai.

Alba.                     Bello, satiro! Detto così, poi, come per inciso, disimpegnato. Come se satiro fosse il suo vero nome.

Satiro.                 È il mio vero nome.

Alba.                     Non dica! Splendido. E non ceda, non si lasci tentare dal diminutivo: Tiro è rozzo, si pensa subito al brocco che tira. Satiro! Splendido. (Ironicamente civetta, con comica seduzione). Voi mi piacete, signore.

Nerina.                 Basta con questo gioco. Basta, capito?

Satiro.                 Ecco, adesso hai detto bene, Nerina. Gioco.

Nerina.                 Innocente, magari.

Alba.                     Un po' malizioso.

Filippo.                 Postconciliare.

Nerina.                 Postribolare!

Satiro.                 Anche. Nel preciso senso etimolo­gico. Post-tribolare. Dopo i triboli quotidiani. Dimenticarsi.

Alba.                     Scambiarsi i posti nel lettone.

Nerina                  (al marito). Ma non me l'avevi detto, però.

Alba.                     Eh sì, queste cose si dicono alla mogliettina.

Satiro.                 E la sorpresa per l'onomastico dove andava a finire?

Alba.                     L'onomastico della signora! Oh, augu­ri! Saperlo arrivavamo con i fiori.

Nerina.                 Grazie.  (Sarcastica, si capisce).

Alba.                     Cielo, che uomo imprevedibile, Filippo! È l'onomastico della moglie e lui, ca­pito il regalo? Ma che bravo! Più sorpren­dente di un uovo di Pasqua. Così si festeg­giano gli onomastici.

Satiro.                 Avanti, padrona di casa, avanti con salati e dolciumi. La festa va a incominciare.

Nerina.                 No. Non incomincia niente. Qui adesso uscite tutti. Perché anch'io ho un mio appuntamento.

Satiro.                 (piuttosto sorpreso)  Tu? Hai un ap­puntamento?

Nerina.                 Sì.

Satiro.                 Qui in casa?

Nerina.                 Qui in casa. Stasera tu uscivi. Amici non ne erano previsti. Al punto in cui siamo devo dirtelo. Sì, aspetto qualcuno anch'io.

Satiro.                 E brava.

Nerina.                 Cosìla sorpresa si ribalta. Siete voi che ve ne andate, perché io aspetto gente.

Satiro.                 Gente? Quanta?

Nerina.                 Uno.

Satiro.                 Ah. Uno solo. Chi è. si può sapere?

Alba.                     Magari si può allargare il giro, fare una roulette a sette.

Nerina.                 No. signora. La persona che aspetto non saprebbe inserirsi in certi sporchi giri di roulette.

Alba.                     Ma che persona per bene! Brava. Cos'è, il solito farmacista integerrimo?

Satiro.                 Insomma, chi stai aspettando? Io, chi aspettavo, te l'ho fatto addirittura tro­vare in casa, lealmente.

Filippo.                 Sarà un amante. Cosa vuole, di questi tempi...

Alba.                     O un figlio della colpa che viene a visitare la mamma un mercoledì sì e un mercoledì no.

Satiro.                 Chi dunque, Nerina?

Nerina.                 Vuoi proprio saperlo? Un vescovo.

Satiro.                 Un vescovo?! Come, un vescovo?

Nerina.                 Aspetto un vescovo.

Satiro.                 Un vescovo qui?

Nerina.                 Sì. Non si può ospitare un vescovo?

Satiro.                 Certo che si può. Complimenti.

Filippo.                 La signora rispetta i princìpi.

Alba.                     Dio che bello, un vescovo! Palato fino. Tratta prelati, la signora.

Nerina.                 Non è detto che un vescovo venga a un appuntamento per i motivi a cui pensa sempre lei. Non è sempre il sesso il grande presente, signora.

Satiro.                 Ti sapevo pia, Nerina, ma non sa­pevo che ci fosse addirittura un vescovo nella tua vita.

Nerina.                 Un vescovo che è  anche mio zio.

Satiro.                 Un vescovo zio, o uno zio vescovo che  fa lo stesso, di cui  mi  hai sempre te­nuta nascosta l'esistenza.

Nerina.                 Più che uno zio, è un padre.

Alba.                     Figlia di un vescovo. Non potevamo capitare meglio. È ora di togliere il disturbo, Filippo.

Nerina.                 Padre spirituale, intendo. Mia guida e forza.

Satiro.                 Ti fa visita spesso, sua eminenza?

Nerina.                 Quando la cura d'anime glie ne dà il tempo.

Satiro.                 E quando io vado al caffè, visto che non ne sapevo niente. Strano però, di sera. I vescovi normalmente, si muovono poco, tanto meno di sera. Sono stanchi, an­ziani. Hanno altri pensieri per la testa che alleviare gli scoramenti delle nipoti. Hanno la diocesi da amministrare, le cresime da impartire, i sinodi da indire...

Alba.                     Le omelettes da preparare...

Filippo.                 Le omelie, cara, non le omelettes. Di questo passo arriviamo al pâté di animo.

Satiro.                 No, non è possibile. Hai detto ve­scovo per far colpo. Tu vuoi metterci un archimandrita tra le ruote. Ma non c'è nes­sun vescovo che deve venire. Te lo sei in­ventato.

Nerina.                 Perché la mia anima non può aver bisogno di un presule? Tu fai qualcosa per la mia anima?

Satiro.                 Io?

Alba.                     Già, cosa fa lei per l'anima della signora? Se lo viene a sapere  Mao che  lei non fa niente per l'anima della sua signora!... (Imita l'orco Mao). « Portatemi delle anime, che voglio farmi l'acqua gassata ».

Satiro.                 Su,  Nerina,  sei  un  po'  frastornata. Hai ragione anche tu, intendiamoci. Tu sei pia, modesta, io violentemente materiale. Cercavo  l'insolito. Volevo uscire dalla pa­lude. Rilanciarti. Rilanciarci.

Nerina.                 Prima  mi spegne,  poi vuole  rilan­ciarmi e uscire dalla palude.

Satiro.                 Spenta? Io ti ho spenta?

Filippo.                 La signora mi sembra ancora viva e vivace.

Nerina.                 Prima sì, una volta sì ero viva. E forse lui mi ha sposata proprio perché ero così viva. Mi piaceva tutto, ballare, fare pas­seggiate, andare al cinema. Ma gli uomini ci sposano e ci spengono.

Satiro.                 E dàlli con lo spegnere. Ti ho mai fatto mancare niente? Eh? È il colmo! Una accusa così a me, che per colpa sua non sono mai riuscito a trovare il coraggio di avere un'amante!

Alba.                     Cosìscarno il suo curriculum erotico, signore?

Satiro.                 Per colpa  sua.  (Indica la moglie). La sua morale mi ha invischiato. Come si fa ad  avere  un'amante?  Dove la si nasconde, dove  la  si  porta,  con una  moglie del ge­nere sempre sulla coscienza? Con una moglie che si tira in casa vescovi? Vedo delle donne  splendide  a volte, dagli  sguardi  ine­quivocabilmente equivoci. Basterebbe fare un passo.  Non  mi  muovo:   mi viene in mente il vescovo. Voglio dire... mia moglie.

Alba.                     Forse lei non è nato poligamo.

Satiro.                 Mi ci ha fatto diventare lei mono­gamo, con l'esempio della sua morale para­lizzante.

Nerina.                 E ti lamenti?

Satiro.                 Mi sono detto basta. Ho deciso di uccidere la tua moralità. Questa sera. Tra poco. Voglio tradirti vistosamente, sotto i tuoi occhi. E anche sotto gli occhi del tuo vescovo, se è il caso. Ben venga lo zio vescovo che lo facciamo sapere anche a lui. Voglio darti una clamorosa dimostrazione di adulterio. Tanto provocatoria da sperare che nell'adulterio venga coinvolta anche tu, che anche tu ti scuota, per rabbia, per ripicca, bucando finalmente la palude del nostro mar Morto matrimoniale. (Rivolto ad Alba). Si­gnora, io sono pronto. In attesa dei Pierdavinci che tardano, diamo pure inizio al vizio.

(Satiro si lascia cadere in una pol­trona - meglio, vi si arrampica sopra - e invita Alba a sedersi accanto a lui, nella pol­trona stessa. Alba accetta. Tra i due subito si avvia una certa intimità. Bevono, brindano reggendo a due mani i grandi bicchieri. E continueranno ad amoreggiare fra loro, indif­ferenti alle parole di Nerina).

Nerina.                 Eccola ricompensa, ecco il punto d'arrivo inevitabile di un cuore sconoscente. Eccolo lì: mio marito, un uomo che ho sem­pre voluto in ordine, che non ha mai una macchia sul vestito, al quale non dimentico mai di ricomprare tutto quello che consuma, camicie calze fazzoletti.

Filippo.                 Oh, che buona, che esemplare si­gnora! (Si è avvicinato a lei contemplan­dola).

Nerina.                 Sempre ho cercato di farmi attraen­te, per lui. Vedo sulle riviste la pubblicità di un rossetto nuovo, e c'è una ragazza bellis­sima con l'aria felice. Cambio il rossetto anch'io. Poi mi sento una stupida e piango e me lo tolgo. Sono tutti in fondo a un cas­setto, ce ne saranno venti. (Pausa). Quando arriva mi dice ciao mangia ed esce. Se resta in casa si addormenta davanti alla televi­sione. Ogni tanto usciamo, la domenica, quando la sua squadra gioca « fuori ». Ma lui non è più abituato al mio passo o a stare con me; e allora dopo un po' torniamo a casa e sento che lui si sente seccato e non mi ha neanche guardato il vestito o le scarpe.

(Sempre più fitta l'intimità tra Satiro e Alba che continuano a non badare a guanto va dicendo Nerina).

Ma perché, per­ché gli uomini ci sposano se è per lasciarci poi così, fra quattro mura, dove magari, solo a vederci, diventano di cattivo umore? Perché, se poi sognano altre donne? Un po' di malumore tutti i giorni, un po' di speranza che se ne va ogni sera, arrivano le prime rughe e ci si accorge di non aver vissuto che qualche giorno felice, da ragazza, quando, come nelle novelle, la parola domani significa ancora tutto.

Filippo.                 Se si comincia con la felicità, le rughe e la vita che passa, è finita, signora. Allora bisognerebbe mettersi a piangere.

Alba                      (che ha sentito l'ultima battuta, a Satiro) Allarme! Mio marito si fa patetico.

Satiro.                 (a Filippo). Ehi, là, bisogna fare qualcosa, altro che piangere sul latte versato. Fare qualcosa, capito? Non siamo qui per darci da fare? Su, si dia da fare anche lei, signor Piana. Mancano pochi anni e poi sarà finita,  si  sa.  Approfittiamone  dunque.

Filippo.                 Ma. signore, mio greve signore, come può pretendere così, su due piedi, che un uomo normale, ancorché fantasioso, di fronte a una povera donna, turbata da un adulterio che le si sta consumando a vista e insieme all'attesa di un vescovo vistosa­mente ingombrante per onesti cittadini che vogliano peccare, come può pretendere, di­cevo, che  un  uomo...

Alba.                     (non lo lascia concludere)  È finita, quando comincia a divagare, addio. S'è smontato. Diventa astratto. Nel giro di due minuti parlerà delle nuvole, della costella­zione della Vergine e del regno vegetale.

Filippo.                 Lei, signore, ci doveva preparare sua moglie. Non mandarmela così allo sbaraglio, lo ero e sono disponibile, si capisce, ma non sgozzo capretti.

Alba.                     Finita. Siamo al capretto. Si è inte­nerito. Si fa pasquale.

Filippo.                 Credevo di trovare un ambiente già carico,  montato.  Non tristezze e  lai.

Satiro.                 Ma lei è un uomo o che cosa?

Filippo                  (affermativo). Che cosa.

Satiro.                 E allora che cosa è venuto a fare qui?

Filippo.                 Credevo che il diversivo fosse già pronto, non da inventare. Io non so inven­tare.

Alba.                     No, non è un grande inventore. Mar­coni era meglio.

Filippo.                 Ci farò una brutta figura, ma da­vanti alla donna scarica, la mia eventualità di lussuria si placa.

Satiro.                 La carica deve mettercela lei, signor Piana.

Filippo.                 Ma mi deve piacere l'automobilina, se no...

Satiro.                 Beh, mia moglie avrà il carattere che avrà. Ma come donna è piacente. Certo bisogna svestirla della  sua  morale.

Filippo.                 Se non c'è riuscito lei a svestirla.

Nerina.                 Ma finitela, finitela! Basta! Insomma. Vi ho detto di andare tutti. Io sto aspet­tando il vescovo.

Alba.                     Consolatore delle sue delusioni matri­moniali, sua eminenza?

Nerina.                 Le ho superate le delusioni matri­moniali. Con lo scempio di questa sera, poi, me le sono messe alle spalle. Il vescovo sa parlarmi di altre cose. Delle cose che più contano per noi mortali.

Alba.                     Conosco i pentecostali, i redentoristi, i sacramentali. Ma i mortali no. Dev'essere una nuova confraternita.

Nerina.                 Un giorno siamo nati, emersi da un limbo imprecisato. Poi, tra le quinte del nostro gioco, abbiamo scoperto fessure metafi­siche; e al di là abbiamo indovinato la morte. Satiro. E con questo? Ma piantala!

Nerina.                 Quando avverrà, come avverrà? Più nulla o qualche cosa, dopo?

Filippo.                 E parla di questo con il vescovo?

Satiro.                 Ma  non  prestiamoci  al  gioco,  non scendiamo sul  terreno di  mia  moglie.  Non siamo venuti qui per parlare di vescovi, di morale e di morte. Staremmo freschi. Crede in Dio lei?

Filippo.                 Non credo esista. Neppure però credo che non esista.

Alba.                     È un indeciso in tutto.

Filippo.                 Piacerebbe anche a me avere una fede. O non averla:  avere la fede nella non fede. Solo gli imbecilli hanno delle certezze.

Nerina.                 Siamo dei condannati a morte a cui siano stati concessi, come ultimo desiderio, cinquanta sessanta anni prima dell'esecuzione.

Satiro.                 Ma appunto per questo ci conviene prendere a piene mani quello che la vita ci offre.  E non stare a pensare all'esecuzione.

Nerina.                 L'esecuzione è il pensiero dominante. Il boia ci attende, paziente e sicuro, con la scure alzata.

Filippo.                 Sodi un condannato che chiese al boia l'esecuzione in anestesia totale.

Satiro.                 Quando dico che la sua morale si tira dietro tutto questo mio mal di fegato, tutta questa esistenza che mi sta andando di traverso!

Nerina.                 Perché viviamo? Da dove veniamo? Dove andremo?

Alba.                     Chi  ha  ucciso  il  padre celeste?

Nerina.                 Nessuno, signora. È ancora vivo e sta benissimo.

Satiro.                 Ma fammi il piacere, Nerina. In pieno 1968! E dopo un Concilio!

Filippo.                 Nono, la lasci dire, invece. In fondo sono questioni non ancora del tutto risolte. Ho letto qualche libro in proposito. Le soluzioni sono ancora discordi.

Satiro.                 Ma come discordi? È morto. Dimo­strato che è morto.

Filippo.                 Eh no, signor Selvatico. Se così fosse, i giornali sarebbero già usciti a carat­teri cubitali: « Finalmente chiarito il mistero dell'aldilà ».

Alba.                     E magari la notizia è uscita. Il gior­nale noi non lo comperiamo mica tutti i giorni. Allo stesso modo l'estate scorsa per­desti la morte del professor Valletta.

Nerina.                 La vita sta passando e non sapremo perché l'abbiamo vissuta. Questo i giornali non lo scrivono.

Filippo.                 E questo è vero. Passiamo precipi­tosamente. Nel dormiveglia del mattino, nell'aurora dei sensi, per qualche istante, a volte, sogno di avere vent'anni. Poi, in uno svanimento del cuore, me ne scopro qua­ranta.

Nerina.                 E una mattina assai vicina ne avremo sessanta.

Alba.                     Proporrei di recitare il rosario. Il clima è creato. Se la signora voleva arrivare a que­sto,  ci è riuscita.

Filippo.                 Che c'entra? Sono constatazioni umane, legittime e degnissime. Il tempo passa. Dalla sciocchezza che hai detto poco fa è già passato del tempo. Passa e ce ne andremo. Probabilmente senza aver letto « Guerra e pace ».

Alba.                     Ci mancava adesso il tuo ricorrente rimorso per « Guerra e pace ». Leggilo una buona volta e non se ne parli più.

Filippo.                 Non trovo mai il tempo. Mille cure, mille preoccupazioni. L'ho sul como­dino da nove anni, con le gocce per il naso e l'orologio. L'orologio, nel frattempo, l'ho caricato circa ottomila volte, il flaconcino delle gocce l'ho rinnovato novant’otto volte. Ma « Guerra e pace » non l'ho ancora aperto.

Satiro.                 Serve, leggere t Guerra e pace »?

Filippo.                 Mah. So di un signore che l'ha letto e ne sa dire pochissimo. Se l'è pressoché dimenticato.

Alba.                     E neppure « Il Capitale » abbiamo letto.  E parlate male di  Marx.

Filippo.                 Neppure tu  l'hai letto e ne parli bene.

Alba.                     Io non parlo mai male di chi non conosco.

Filippo.                 È che non ci è rimasto più tempo per queste cose. Dobbiamo consumare i nostri elettrodomestici per esser pronti alle nuove offerte del mercato che attende la nostra nuova domanda di elettrodomestici, per la nostra stessa sopravvivenza, pare.

Satiro.                 Eccoche con la scusa della morte, e passando per un vescovo, mia moglie è riuscita a portarci  agli elettrodomestici.

Alba.                     Appassionata?

Satiro.                 No, le manca la lavastoviglie. Ma adesso non attacca eh! Inutile impostare adesso la questione-lavastoviglie. Adesso si torna al nocciolo, signori.

Nerina.                 La morte.

Satiro.                 Morte un bel niente. A morte la morte! Avanti la vita!

Nerina.                 Ma sì, e se si finisse domani, cosa avete capito voi della vita?

Filippo.                 La vita è più grande di noi, signora. Non sappiamo capirla. Inutile sforzarci. La subiamo fin dalla nascita, ricevendola. Ci sembra di coglierne il senso, in un turba­mento di primavera. Subito ci sfugge, varia e inafferrabile. Come le nuvole che si fanno e si sfanno.

Alba.                     Nuvole in perfetto orario, sul primo binario, a rimorchio di scontate conside­razioni sull'ovvio vitale.

Filippo.                 Certo, guardo le nuvole, i loro magnifici giochi di forme. Ora teste di orchi, ora cavalli in corsa, ora sapone da barba: per male che vada assomigliano a nuvole. (Pausa). Abbiamo abbandonato la contem­plazione, la natura, l'aderenza con la madre terra. Amo il regno vegetale contro l'ani­male. I saldi platani che, a differenza dei cani, rimangono immobili e non ci mettono le zampe addosso.

Alba.                     Ben giunti, previstissimi platani. Atten­diamo stelle e costellazioni. E spernacchiamo.

Satiro.                 No, prima di arrivare alle costella­zioni e al resto, la situazione la prendo in mano io, a costo di forzare le cose. Adesso qui si ama. Capito tutti? (staccando)  Si a-ma.

Alba.                     Amiamo  pure.  Visto che  siamo  qui per questo. E che ormai ho perso la faccia.

Satiro.                 Adesso qui, volenti o nolenti, si accetta l'Eros.

Filippo.                 Se siamo d'accordo tutti, certo.

Satiro.                 Sì che siamo d'accordo tutti. In casa mia si ama, signori. Altrimenti si esce. Quella  è   la porta d'uscita. E quella è la porta delle camere da letto.

(Nerina si mette a piangere sommessamente).

Satiro.                 E non incominciamo a piangere.

Alba.                     Su,   signora,  cosa  è  dopo  tutto?   È come farsi cavare un dente.

Filippo.                 Andava preparata per gradi, è inu­tile.

Satiro.                 Si è sempre preparati ad amare. Se no che esseri umani siamo?

Nerina.                 Amare amare. Non sapete neppure cosa sia l'amore.

Satiro.                 L'amore è questo: un atto senza importanza. La signora con me, tu con il signore. E se arrivano i Pierdavinci si cam­biano ancora le combinazioni. Questo è l'amore.

Nerina.                 Ioquesto modo di amare non l'ac­cetto. Il signore neppure lo conosco. Ci siamo visti la prima volta mezz'ora fa. E anche se ci fossimo visti la prima volta dieci anni fa, il signore non mi piace.

Satiro.                 Non ti piace? Come non ti piace il signore?

Nerina.                 Vedi un po' tu come. Non mi piace.

Filippo.                 Non le piaccio?

Alba.                     Non piaci, Filippo. Chissà cosa pre­tendeva la signora da te.

Satiro.                 Ma  come  il  signore  non  ti  piace? Ma che storie sono? Ma l'hai guardato bene?

Nerina.                 Guardato e visto benissimo. Non mi piace.

Satiro.                 Di'che non ti piace l'uomo, allora.

Filippo.                 (a Satiro, lusingato)  Grazie.

Nerina.                 Il signore è brutto.

Alba.                     Brutto? Una che ha sposato un uomo come suo marito, adesso trova brutto il mio? Scusi, sa signora, ma...

Satiro.                 (ad Alba)  Come dice?

Alba.                     Beh,   se  dobbiamo  proprio   precisare le posizioni.

Satiro.                 Insomma, adesso anche lei si tira indietro. Alla resa dei conti, anche lei non accetta l'Eros.

Alba.                     Ma sì che accetto, io stasera accetto tutto. In fondo meglio lei che « Tivusette ».

Satiro.                 Grazie.

Alba.                     Con ciò lei non diventa un Adone, questo voglio dire.

Satiro.                 Signora. Ho il dovere di dirle che mia moglie è sì pedante, ha sì uno zio vescovo, è sì mortale, però, ai tempi, quando la nostra passione era una realtà, mia moglie la superava in venustà di gran lunga.

Alba.                     E io ho il parallelo dovere di dirle che piaccio, signore. Ne ho prove quoti­diane. Io piaccio.

Satiro.                 Tanto è vero che, come saprà, testé avevo avviato con lei un preciso, solido rap­porto. E se lei, signora, a quel rapporto acconsentiva, è perché anch'io, pur non es­sendo Adone...

Alba.                     ... perché lei o un altro fa lo stesso. Al punto in cui siamo, tutto mi va bene. Sa addirittura cosa le dico? Qui bisogna sa­crificare all'Eros: ebbene mi dica dove sono le camere, che io dò il via.

Satiro.                 Le camere?...

Alba.                     Aveva detto da quella parte, se non sbaglio.

Nerina.                 Non le rivelerai una cosa simile. Satiro?

Alba.                     Avanti, dov'è la camera o me la scovo da me.

Nerina.                 Che impudenza. Con  un vescovo alle porte!

Satiro.                 E va bene... Venga pure. Andiamo.

(Fa per avviarsi).

Alba.                     No.  Ma  non con  lei. Ci vado con mio marito.

Filippo                  (sorpreso e poco entusiasta). Con me?

Alba.                     Certo. Visto che, se non si sacrifica così, qui stasera Eros digiuna.

Filippo.                 Ma così, su due piedi...

Alba.                     (a  Satiro)  E sua moglie a lei non si rifiuterà. Sarà anzi un amplesso arrabbiato, polemico,  elettrodomestico.  

(Alba  ha  preso Filippo per una mano e lo sta tirando verso le camere).

Nerina.                 Satiro,  tu   non  permetterai  adesso che  due  sconosciuti  capitati  in  casa  nostra facciano i loro comodi fino a questo punto? Ma dove siamo finiti?

Alba.                     Davvero lei è incontentabile, signora. Siamo  marito e  moglie,  dopotutto.  Persino lo  zio benedirebbe.

Filippo.                 Veramente anche a me sembra in­discreto.

Nerina.                 La sacralità della casa. Un atto che non sarebbe poi neppure d'amore. Un dispet­to dissacrante.

Alba.                     Certo che se lei pretende anche l'amore!

Filippo.                 Cos'è l'amore, signora mia? Fac­cenda difficile da definire.

Satiro.                 E adesso ci mettiamo a definire l'amore. E poi definiamo la vita. E poi la morale, e poi ancora la morte, e poi il Padre eterno. E l'orgia intanto non parte!

(Suono di campanello improvviso alla porta).

Nerina.                 Hanno suonato.

Filippo.                 Saranno i Leonardo Da Vinci.

Satiro.                 I Pierdavinci, vuol dire.

Filippo.                 Appunto.

Alba.                     O il vescovo della signora.

Satiro.                 Il cielo volesse! Così mi sfogo. Se è il tuo vescovo lo sistemo io. Farà lui le spese di questa bella serata.

Nerina.                 Comunque se sono i Pierdavinci non li  farai entrare.

Satiro.                 E chi lo dice?

Nerina.                 Non voglio altre complicazioni. L'or­gia deve finire.

Alba.                     Non  è  neppure  incominciata,  siamo giusti.

Satiro.                 E poi, sono o non sono il padrone di casa?  

(Altro suono di campanello alla porta).

Alba.                     E allora vada ad aprire.

Satiro.                 Già. (Esce).

Nerina.                 Oh, che serata, che serata!

Filippo.                 Stia tranquilla, signora. Se è il vescovo fingiamo di essere amici o parenti, i Sartoris di Biella, se vuole: e ce ne andiamo subito. Vero, Alba?

Nerina.                 Perché, se fossero i Pierdavinci fa­rebbero invece conto di rimanere?

(Rientra Satiro, serio, turbato).

Satiro.                 No. Non sono i Pierdavinci.

Filippo.                 È il vescovo. Togliamo il disturbo.

Satiro.                 Non è neppure il vescovo.

Nerina.                 E chi è allora?

Satiro.                 Non so. Non vuol dirlo. Guarda fisso e tace.

Nerina.                 Chi?

Satiro.                 Il  signore  che è appena entrato.

Nerina.                 Un signore?

Satiro.                 Non ho capito bene cosa voglia. È là, in mezzo all'ingresso. Muove la bocca. Credo  che  stia   masticando una  caramella. Per un po' sono stato a guardarlo anch'io. Poi mi ha preso un certo imbarazzo e...

Filippo.                 Sarà il signor Pierdavinci.

Satiro.                 No,  no,  assolutamente  no.

Filippo.                 Come fa a dire che non è il signor Pierdavinci se  lei  il signor  Pierdavinci  non lo conosce?

Satiro.                 Non può presentarsi così, il signor Pierdavinci. E poi non c'è la moglie. È solo.

Alba.                     La moglie avrà dato  forfait.

Satiro.                 No, non è lui. Il signor Pierdavinci non può dare soggezione così.

Alba.                     Allora è il vescovo.

Satiro.                 No. È in borghese.

Alba                      (a Nerina). Il vescovo le fa visita in costume, di solito?

Nerina.                 Non si dice costume.

Alba.                     In  divisa, come vuole, insomma.

Nerina.                 Si dice abito talare. No, non mi fa visita in abito talare. E neanche in borghese. Non viene mai il vescovo. Il vescovo non esiste. Mi sembrava un'autorità moralmente abbastanza  alta  da  potervi  frenare.   Infatti.

Satiro.                 Losapevo che se l'era inventato. Grazie. L'operazione è riuscita.

Filippo.                 Ma se non è neppure il vescovo, chi è?

Alba.                     Forse se ne è andato.

Satiro.                 Non penso. Non ho sentito chiudere la porta. E poi no, so che non se ne andrà, quel signore.

Nerina.                 Va' a vedere se c'è ancora.

Satiro.                 Va' a vedere, va' a vedere. Se credi che sia simpatico.

Alba.                     Se non è che per questo vado a vedere io. A me, del disagio, sa...

(Esce un attimo, ma rientra quasi subito di corsa, arrivando fino  alla  parete  opposta,  come  per  proteg­gersi.   A   Satiro).  

Oh, ma non me l'aveva detto che faceva paura.

Filippo.                 Paura? Come  paura?

Alba.                     Meglio andarcene subito, Filippo. Ho paura che possa sgridarci, quella signora.

Satiro.                 Signora? Perché dice signora?

Alba.                     Perché è una signora. Una signora molto anziana.

Satiro.                 Ma no che è un uomo!

Filippo.                 Insomma, che cosa è?

(Suona im­provviso il telefono. Sobbalzano tutti, l'atmo­sfera è tesa).

Satiro                  (risponde al telefono). Pronto? Ah, sì. Sì, io... Buonasera. Dica... Ah. Sarà per un'altra volta. Certo... certo... Buonasera. (Riattacca) I Pierdavinci. La moglie. Non vengono. Dice che non è riuscita a convin­cere il marito. Si scusa.

(Si sente tossire cavernosamente dall'ingresso).

Nerina.                 Tossisce.  Ha la tosse.

Filippo.                 (ad Alba)  Vedi  che  è  un  uomo?

Alba.                     Perché, le donne non tossiscono?

Satiro.                 Mi spiace, ma penso ci convenga andare a dormire. Inutile, non c'è più nien­te da fare per stasera.

Alba.                     Sì, penso anch'io.

Filippo.                 Se la signora lo riterrà opportuno, potremo  vederci  un'altra volta.

Satiro.                 Mah, chissà. È così caparbia, Nerina...

Alba.                     Ma sì, parleremo del più e del meno come questa sera. Se le andrà giocheremo un po' insieme.

(Ora si parlano tutti con gentilezza, sommessamente).

Filippo.                 Domani mi permetterà di telefonarle?

Nerina.                 Già domani?

Filippo.                 Sono curioso di sapere com'è an­data con quel signore di là.

Alba.                     (corregge)  Signora.

Filippo.                 Signora,  signora. Chi  è,  chi  non è, perché è venuta qui, cosa vuole.

Satiro.                 Sì, sì,volentieri, telefoni  pure.

Sulla porta di fondo compare un per­sonaggio altissimo - solita proporzio­ne, porta alta il doppio del normale, personaggio alto il doppio - noi co­munque ne vediamo solo le gambe, cal­ze da donna marroni, grosse vecchie scarpe nere, lunga gonna scura, che potrebbe anche essere un lungo sopra­bito maschile.

(Per questa apparizione, pensare a una soluzione con i trampoli, ai trucchi dei grandi pupazzi carneva­leschi).

I nostri personaggi guardano tutti ver­so l'alto, oltre l'alto della scena, dove si immagina prosegua il corpo del per­sonaggio comparso.

Nerina.                 (naturalissima, un po' sottovoce, agli altri)  Ah, ma è la Trascendenza.

La Trascendenza.    (colpi di tosse cavernosi).

Alba.                     Ah sì, ne ho sentito parlare.

Satiro.                 L'avevo capito anch'io che era  lei. Non  osavo  dirlo.   Mi  sembrava  di  invitare i signori  ad  andarsene.

Nerina.                 Non ci lascia mai tranquilli.

Filippo.                 Non me ne parli. Sempre tra i piedi. È un po' la nonna di tutti.

Alba.                     Conviene stare buoni e darci la buonanotte.

Filippo.                 Sì, di sciocchezze ne abbiamo det­te abbastanza. Se ci sentiva lei!...

Alba.                     (tende la mano). Buonanotte, signora e scusi.

Nerina.                 Buonanotte a lei, signore. Buona­notte, signora. Perdoni se sono stata un poco inospitale. D'altra parte, cosa vuole, con i miei princìpi.

Alba.                     Ma certo, certo. Ognuno ha i suoi, non ci mancherebbe altro.

Filippo.                 Ora poi con la Trascendenza sa­remmo stati freschi. Se le gira il quarto d'ora è così severa...

Sempre immobili sulla porta le gambe della Trascendenza.

La Trascendenza.    (voce catarrosa, caverno­sa, maschile)  Insomma, basta, avete fatto tardi. Volete andare a dormire, sì o no? (Tossisce e si avvia scomparendo dalla porta).

I quattro, silenziosi, ammiccando, dan­dosi la manina, si lasciano come bam­bini che si salutino prima di andare a letto, combinando con gli sguardi di trovarsi il giorno dopo a giocare an­cora. E si avviano: i padroni di casa verso la propria camera, gli ospiti ver­so l'uscita. Mentre stanno uscendo, nel vano della porta ricompaiono ancora le gambe  della   Trascendenza.

La Trascendenza.    E prima di andare a letto lavatevi bene   i denti, se no vi ven­gono le carie. (Via  tossendo e raschiandosi la gola).

Sulle coppie che escono cala la tela.

Pier Benedetto Bertòli

(Copyright 1968 by Pier Benedetto Bertòli)