Le donne sono così

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LE DONNE SONO COSI’

Commedia in tre atti

di Bruno CORRA e Giuseppe ACHILLE

PERSONAGGI

Marchese FILIPPO D'AVERNAS

ROBERTO, ISABEL­LA, suoi figli

PAOLA NUNEZ

FRANCESCO PINARD, antiquario

MARTA LEPINE, governante di Paola

Prof. GIULIANO BERTIN, segretario del marchese Fi­lippo

Baronessa ANTONIET­TA DE CARVALHO, amante del marchese Filippo

GIU­SEPPE VIOLLET, industriale

SUSANNA VIOLLET, sua moglie

Signor AYME’, se­gretario di Paola Nunez

Un avvocato

LEONE, came­riere.

ATTO PRIMO

(Una sala di sog­giorno nella villa settecentesca del marchese D'Avernas nei dintorni di Nizza, a Cap Martin. Nel fondo una gran­de finestra dalla quale s'intravvedono gli alberi secolari del parco. Una por­ta a destra e una a sinistra. Una porti­cina nel fondo, sta­gliata nella tappez­zeria. Mobili anti­chi, quadri alle pa­reti. La caratteristi­ca saliente della sce­na consiste in un ec­cesso di arredamen­to. La sala è come congestionata dai troppi quadri e mo­bili e ninnoli che vi camicia bianca, colletto inamidato e cravattina nera a farfalla. Isabella lui un'aria passiva, rassegnata, da vit­tima. Bertin ha in mano un volume, vi tiene ficcata tra ì fogli la punta dell'indice, a segnalibro. Le undici del mattino. Gran luce. Fine di febbraio in Riviera).

Bertin                            - Noto con grande soddisfazione, signorina Isabella, che avete fatto dei progressi notevoli in tedesco. E sapete perché?

Isabella                          - (annoiata, con l'aria di chi non ne può più, ma in tono cortese) Perché?...

Bertin                            - Perché dietro le mie insistenze avete studiato meglio il latino. E la conoscenza del latino è la base indispensabile nello studio delle lingue moderne (Radunando le idee) Ooh!.„ Oggi nel pomeriggio lezione di storia e lettura dei classici francesi. (A mo' di congedo) Dunque alle tre, vero signorina?

Isabella                          - Alle tre, professore. (Bertin s'inchina profondamente ed esce da sinistra solenne e impettito, ap­pena restata sola, Isabella si lascia cadere su una pol­trona con le gambe tese, le braccia penzoloni, esausta) Auff!... Dopo un attimo si mette a canticchiare una canzonetta allegra. Entra da destra Roberto: 24 anni, fine, elegante; ha un po' la linea della sorella. Abito prima­verile da passeggio. Si ferma sulla soglia).

Roberto                         - Isabella! (La fanciulla balza in piedi).

Isabella                          - Oh, Robby! Sei qui? Avevo paura che non ti facessi vedere nemmeno oggi.

Roberto                         - Sono proprio venuto per te. Ma subito dopo colazione scappo.

Isabella                          - Da dove vieni? Da Cannes?

Roberto                         - No. Da Montecarlo. Vado a Cannes stasera. Ho tanto da fare- Di che umore è papà?

Isabella                          - Hm! Non c'è male! (Vezzeggiandolo) Senti. Robby: vuoi proprio tanto bene alla tua sorellina?

Roberto                         - Ho capito! Bussi a quattrini.

Isabella                          - Capirai, papà non mi dà mai un soldo. Invitati, cene, cavalli da corsa... Ma venti franchi per la mia acqua di Colonia non li ha mai in tasca!

Roberto                         - Bada che sono in crisi. Più di dieci fran­chi non ti posso dare, stavolta.

Isabella                          - Bugiardo! Fammi vedere il portafoglio! (Con una mossa carina glielo prende dalla tasca, lo apre, guarda) Centocinquanta franchi! Mascalzone! E dicevi...

Roberto                         - Ma, cara, bastano appena per me! Guada­gnati col sudore della fronte, sai, questi!

Isabella                          - (sempre graziosa) Facciamo così, Hobby: metà e metà. Settantacinque franchi per te e settanta­cinque per me.

Roberto                         - Ma per farne che cosa?

Isabella                          - Dieci franchi per la cipria...

Roberto                         - E gli altri sessantacinque?

Isabella                          - Voglio comprarmi un «punching-ball».

Roberto                         - Cosa?...

Isabella                          - (col gesto del boxeur che sferra pugni) Sì!... Un pallone per esercitarmi alla boxe!

Roberto                         - Ma fammi il piacere! Che idee!...

Isabella                          - Capirai che quando ho finito le lezioni con quel cataplasma, per sfogarmi ho bisogno di tirare quattro pugni! Pensa che menu oggi! Storia e lettura dei classici francesi. Che mattone quell'uomo!

Roberto                         - Povero Berlin, lascialo fare! Sai che papà non gli paga più lo stipendio da sette o otto anni?

Isabella                          - Ma appunto per questo è stupido che afflig­ga me! Non lo pagano, mi lasci in pace!

Roberto                         - Eh, no! E' un uomo di coscienza! Vai a trovarne un altro che lavori così soltanto per il gusto di essere precettore in casa del marchese D'Avernas! E poi che precetto-re! Ormai si adatta a fare di tutto, povero diavolo! Il maggiordomo, l'amministratore...

Isabella                          - Scusa, l'amministratore di che cosa?

Roberto                         - Ma dei debiti di papà! Credi che sia una cosa facile?

Isabella                          - Insomma, sono stufa. Mi leva il respiro, mi soffoca, mi asfissia.

Roberto                         - (con uno slancio magnanimo) Be', toh, vai! Comprati il « punching-ball»,

Isabella                          - (festosa) Mi dai settantacinque franchi?

Roberto                         - Te ne dò cento! (Eseguisce)

Isabella                          - (lo abbraccia) Caro, caro Robby!

Roberto                         - Sì, sì, sai come prendermi tu!

Isabella                          - (infantile) Che bellezza! Cento franchi! Mi pare di poter comprare tutta Nizza! (Schiocca un altro bacio sulla guancia del fratello. Dopo una breve pausa, guardando Roberto con ammirazione) Ma sai che sei bravo, Robby! Come fai ad aver sempre in tasca dei quattrini, tu? Papà non c'è pericolo!

Roberto                         - Sì, figurati!... (Pausa). Lavoro, traffico, mi dò d'attorno! Tu sei una bambina. Non ti posso spie­gare. (Entra da sinistra il marchese Filippo D'Avernas: 50 anni, fresca eleganza, un fiore air occhiello; la sua cravatta a tinte vivaci denuncia subito la sua volontà di essere giovane. Entra con una rosa rossa in mano e saluta festosamente Isabella e Roberto).

Filippo                           - Buongiorno, ragazzi!

Isabella e Roberto         - (insieme) Buongiorno, papà!

Filippo                           - (a Isabella, con un inchino di perfetto stile) Bella signorina, posso offrirvi questa rosa? L'ho colta apposta per voi.

Isabella                          - (prendendo il fiore) Sempre gentile, papà.

Filippo                           - (al figlio) Roberto, come va? Sei arrivato adesso? Ti trovo un po' giù.

Roberto                         - Soffro d'insonnia. Ho delle preoccupazioni,, papà. Tu invece sei più giovane che mai.

Filippo                           - Ah, sto benissimo. In perfetta forma. Anche stamattina mezz'ora di cavalcata, bagno caldo, frizione fredda. Sentite qua! (tende ai due figlioli, che gli sono di fianco, i bicipiti contratti. Isabella e Roberto palpano con aria compresa i suoi muscoli).

Isabella                          - Complimenti, papà.

Roberto                         - Con una delle tue braccia se ne fanno quattro delle mie. (Si ode un suono di clacson).

Filippo                           - Ohi, ragazzi, sloggiate! Aspetto delle visite.

Roberto                         - Arrivederci a colazione, allora, (Dando un buffetto sulla guancia del padre) Ciao, vecchio!

Filippo                           - (di rimando, dandogli un colpo affettuoso sulla spalla) Va là, va là, tutta invidia! (I ragazzi escono allegramente da destra e subito dal fondo entra il prof. Bertin con aria affaccendata. Filippo gli muove incontro) Chi sono?

Bertin                            - Clienti del « Negresco ». Mi ha telefonato adesso il portiere dell'hotel. Sono francesi d'origine, ma stanno al Canada. Proprietari di grandi concerie. Mi­lioni.

Filippo                           - Benissimo. (Fa per andarsene, ma preso da un pensiero, sì volge di nuovo a Berlin) Ah, sentite Bertin! (Con aria preoccupata) Una domanda da farvi; ma rispondetemi con sincerità assoluta, eh?

Bertin                            - (impressionato) Signor marchese, vi dò la mia parola d'onore...

Filippo                           - Badate bene! Voglio la verità a viso aperto, da nomo a uomo. Nessuna reticenza.

Bertin                            - (più che mai scosso) Ma vi assicuro... Con­tate sulla mia lealtà...

Filippo                           - Allora, guardatemi Bertin. (Un momento dì silenzio. I due uomini si guardano negli occhi).

Bertin                            - (trepido) Sono qui...

Filippo                           - Vi pare... (lo scruta) ...che sia ingrassato? (Bertin ha un istintivo respiro di sollievo ed esamina con occhio critico il marchese che gli si gira davanti perché egli possa giudicare),

Bertin                            - (grave e compreso) Niente! Direi anzi che tendete a snellirvi, signor marchese.

Filippo                           - Vi credo. Mi avete tolta una preoccupa­zione. (Intanto con aria distratta si è ficcato una mano in tasca e ha tolto due caramelle. Se ne mette una in bocca e ne offre un'altra a Bertin) Volete?

Bertin                            - (con un inchino cerimonioso) Grazie (la scartoccia e se la mette in bocca anche lui. Entra Leone in livrea azzurra, calzoni corti e calze bianche. Regge solennemente un grande vassoio d’argento che porge al marchese).

Filippo                           - (prendendo il biglietto da visita, legge) Giuseppe Viollet. Industriale. Montreal. Canada. (A Leone) Fatelo passare. (A Bertin) A voi, Bertin. Non c'è bisogno che vi raccomandi...

Bertin                            - (ha un gesto come per direi « Lasciate fare « me! ». Con un saluto allegro della mano Filippo esce svelto dal fondo. Nell’avvicinarsi alla porta si trova un momento davanti a una specchiera e si ferma qualche istante a rimirare la propria siluetta; poi con gaia disinvoltura esce. Bertin si rassetta addosso il vestito, sì aggiusta il nodo della cravatta, mentre il decorativo Leone ricompare precedendo i visitatori e inchinandosi al loro entrare. Bertin muove incontro ai coniugi Viol­let presentandosi con impettita dignità) Sono l'ammini­stratore del marchese D'Avernas. (Si sente che la cara­mella gli impaccia i movimenti della lingua; s'ingegna con rapidi movimenti mascellari di cacciarla da una parte con la punta della lingua).

Viollet                           - (tipo di borghese ricco, acceso in volto, con baffi brizzolati, a spazzola. Sbrigativo) Ci ha indi­rizzati qui il portiere dell'hotel «Negresco». Io com­prerei volentieri qualche cosa. Si può vedere?

Bertin                            - (con un sorriso diplomatico e un gesto che vorrebbe dire: «Piano, piano, signor mio! ») Ecco, signore, ecco... E' necessario che prima... (quella male­detta caramella gli dà un tremendo fastidio; si volta e rapidamente la sputa nel fazzoletto. Continua a par­lare più spedito) ...di chiamare il marchese D'Avernas io dia loro qualche avvertimento. (In tono misterioso) Come ho spiegato al portiere del « Negresco », è la prima volta che in seguito a circostanze eccezionali... (una pausa; si volge a guardare cautamente alle porte come timoroso che qualcuno lo possa udire) ... il marchese D'Avernas si trova ad aver bisogno di danaro...

Susanna                         - (a bassa voce) Ah, sì! Sappiamo, sap­piamo... Il portiere ci ha messo al corrente della si­tuazione.

Bertin                            - Un rovescio finanziario... una notte bur­rascosa a Montecarlo... Insomma, credo proprio che il marchese sia disposto a disfarsi di qualcuno dei ma­gnifici oggetti antichi che fanno dì questa villa una vera galleria d'arte.

Viollet                           - (compreso) Capisco-, capisco!

Bertin                            - (trepido e ammonitivo) Ma- ma bisogna procedere con molta cautela. Il marchese è un genti­luomo di vecchio stampo, pieno di fierezza e di su­scettibilità. Occorre abbordare la questione con molto tatto, con estrema delicatezza.

Susanna                         - Non potreste suggerirci voi il modo di entrare in argomento?

Viollet                           - Sì, perché noi...

Bertin                            - Ecco... Vediamo... Preferirei che fosse la signora a fare la richiesta. Non so... Dare alla cosa un aspetto sentimentale... (Breve pausa). Loro sono fran­cesi d'origine, vero?

Viollet                           - Sì. Di Lìlla.

Bertin                            - Benissimo! (Con Varia di trovare Vi per lì una giustificazione) Allora... francesi d'origine, stabiliti da molti anni nel Canada, che dopo un breve soggiorno in patria desiderano portare laggiù nella loro vecchia casa un autentico ricordo della grande storia di Francia. Non so se ho reso la mia idea.

Susanna                         - Perfettamente. Seguiremo il vostro con­siglio.

Bertin                            - Vegliate avere la cortesia di attendere qualche minuto.

Susanna                         - Fate, fate pure. (Bertin si allontana con un dignitoso inchino. Appena restati soli i coniugi Viol­let si danno ad osservare con avida e frettolosa curio­sità i mobili e gli oggetti che arredano la sala). Mi rac­comando, Giuseppe! Abbi tatto! E’ meglio che tu lasci parlar me.

Viollet                           - Cara mia, quante storie! I quattrini son sempre quattrini.

Susanna                         - Va bene, ma capirai che se lo urti non si concluderà niente! (Indicando un armadietto intar­siato) Guarda questo! E' un pezzo raro. Deve avere un valore enorme!

Viollet                           - Ma questo è meglio ancora! Vieni! C'è sopra lo stemma, guarda, Susanna!

Susanna                         - (raggiunge e ammira il mobile: una scri­vania antica a piano ribaltabile) Hai ragione, fa più effetto! Tentiamo di comprare questa!

Viollet                           - (categorico) Bada, però, che più di venti­mila franchi non voglio spendere, eh! (Sentono dei passi avvicinarsi; si fanno reciprocamente un cenno d?allarme e assumono un'aria indifferente. La porta a destra si apre ed entra il marchese seguito dal profes­sore Bertin. Filippo ha un atteggiamento in netto con­trasto con quello in cui io si è visto poco prima. Monocolo, cipiglio aristocratico, aria fiera. E’ gentile, ma con degnazione. Risponde all’inchino dei signori Viol­let con un lieve cenno del capo).

Filippo                           - I signori Viollet?

Viollet                           - Giuseppe Viollet. La mia signora.

Filippo                           - Filippo D'Avernas.

Susanna                         - (che non sta più nella pelle, guardandolo con l’occhialino) Onoratissima!

Filippo                           - Mi rincresce, signori, di fare la vostra co­noscenza in una circostanza per me così penosa. Il mio amministratore mi ha spiegato. Ebbene, sono a vostra disposizione. (Si sente che il marchese domina con sforzo il proprio turbamento).

Viollet                           - Ecco...

Susanna                         - (con la stessa inflessione) Ecco, signore. Siamo francesi di origine stabiliti da molti anni nel Canada. Desidereremmo portare laggiù, nella nostra vecchia casa, un autentico ricordo della grande storia di Francia. (Soddisfatto, Bertin, sempre alle spalle del marchese, fa a Susanna vivi cenni d'assenso).

Filippo                           - (con un sorriso amaro) La storia di Francia! (Con un sorriso che è un singulto) Grande storia, si­gnora, quella del nostro paese! (Viollet fanno entu­siasticamente cenno di s\ col capo. Filippo prosegue con concentrato dolore) E chi, come me, discende da quelli che l'hanno creata questa magnifica storia, dovrebbe preferire la morte a questa umiliazione... (resta un po' a capo chino col mento sul petto).

Bertin                            - (timidamente, con commosso rispetto, tende una mano verso il marchese senza toccarlo e balbetta) Signor marchese... (I Viollet si guardano impres­sionati).

Filippo                           - (riprendendosi con dura volontà, rialzando il capo fieramente) Ah, già! Volete visitare tutta la villa per fare la vostra scelta?

Viollet                           - Ma noi...

Susanna                         - Ecco, veramente avremmo già deciso.

Filippo                           - Dite, signori.

Susanna                         - (trepidando punta Vindice verso la scrivania stemmata a piano ribaltabile) Quella...

Filippo                           - (come colpito al cuore, con voce soffocata in un grido istintivo) Ah, no! Quella no!... (I Viollet restano interdetti. Filippo si passa una mano sulla fronte con un gesto smarrito. Bertin fa un gesto ai Viollet come per dire: a Abbiate pazienza, lasciate che passi! », Fi­lippo resta qualche istante come trasognato con gli occhi fissi net vuoto, poi lentamente va verso la scrivania, vi appoggia sopra le mani come accarezzandola, sempre in silenzio, poi senza volgersi ai Viollet, come parlando a se stesso) A questa scrivania il mio grande antenato En­rico Filippo Gastone Maria D'Avernas ha firmato nel millesei centotrenta due il trattato di alleanza fra il Re di Francia e la Casa d'Austria. (Controscena dei Viollet). Ricordi sacri! Cose senza prezzo! (Volge le spalle ai due Viollet, muove qualche passo verso un angolo della sala, trae un fazzoletto dal taschino e furtivamente si asciuga gli occhi. Bertin come un'ombra lo ha seguito fin là).

Susanna                         - (sottovoce al marito) Facciamo venticin­quemila! Povero diavolo, mi fa una pena! Pensa che potremo dire a Montreal: il marchese D'Avernas pian­geva quando ce l'ha venduto! (Filippo si volge di nuovo verso i Viollet e Susanna con slancio) Facciamo venticinquemila franchi, signor marchese!

Filippo                           - (allargando le braccia, vinto, disfatto) Come volete!

Viollet                           - Vi do un assegno sul mio conto corrente al Crédit Lyonnais (intanto ha tolto il libretto degli assegni e ha cominciato a scrivere).

Filippo                           - (si avvicina a Susanna, le si inchina, le prende la mano. Triste) Vi sarò grato se non darete pubbli­cità alla cosa. Almeno qui in Francia. (Istintivamente le prende l’altra mano, avvicina la donna a se) Il mio nome è troppo conosciuto. Vorrei che questo triste epi­sodio della mia vita... (le si stringe presso con più calore, le passa un braccio intorno alla vita) ...restasse un se­greto fra me e voi, signora! (Berti», vedendo che il marchese, distratto, osa troppo, gli batte appena una mano sulla spalla. Il marchese si stacca dalla signora Viollet. Inchino. Le bacia la mano. Commossa, conqui­stata, la signora Susanna trattiene a stento il pianto e si asciuga una lagrima con la punta dell'indice),

Susanna                         - (con voce che trema) Non dubitate! Sono tanto commossa che...

Filippo                           - (salutando Viollet con tono negligente) L'as­segno potrete darlo al mio amministratore. Vi saluto, signor Viollet.

Viollet                           - (cordialone) Caro marchese, onoratissimo. (Via Filippo, dal fondo. Sulla soglia si volge ancora; guarda il mobile venduto, fa un grande sospiro, s'inchina ai Viollet ed esce).

Bertin                            - (cupo) Dieci anni!

Viollet                           - (che ha finito di scrivere l’assegno, alzando il capo) Cosa?

Bertin                            - Di vita! Questo dolore gli abbrevierà di dieci anni la vita! Non saprà mai darsi pace!... (I due Viollet compresi del dramma restano un istante assorti).

Viollet                           - (rompendo il silenzio) Eh, già!... (Pausa). Mah!... (Altra pausa). Be', eccovi l'assegno! (lo porge a Bertin. Mentre questi osserva l’assegno, Viollet fretto­losamente trae di tasca un taccuino e una matita e scrive compitando a bassa voce) Enrico D'Avernas... trattato di alleanza... Casa d'Austria... milleseicentotrentadue... (Vol­gendosi a Bertin) Allora per il mobile quando possiamo mandarlo a ritirare?

Bertin                            - Se permettete, perché la cosa non si risap­pia, provvedere io a farlo imballare da persona di mia fiducia. Dove dobbiamo spedirlo?

Viollet                           - Marsiglia. Dogana. C'imbarchiamo il ven­titré.

Bertin                            - Benissimo. Sarà fatto. Possiamo contare sulla vostra discrezione?

Susanna e Viollet          - Assolutamente! (Saluti a soggetto. Intanto Bertin ha suonato e ricompare Leone).

Bertin                            - Leone, accompagnate i signori. (Inchino di Leone. Via gli ospiti. Un attimo dopo la porta da cui Filippo è uscito si apre cautamente. Si vede sporgere prima la testa del marchese che, vedendo Bertin solo, entra vivace, animato, gaio).

Filippo                           - (a Bertin che sta esaminando l’assegno) Tutto in regola? Date qua. (Lo esamina a sua volta con una rapida occhiata e il suo volto s'illumina) Gran brava gente! Gente solida! Mi piace!

Bertin                            - (timidamente) Dovreste approfittare di que­sto incasso, signor marchese, per saldare i debituccì che abbiamo coi fornitori.

Filippo                           - (come se non avesse sentito, riponendo nel portafoglio l’assegno) Dove stanno? Toronto, avete detto?

Bertin                            - No. Montreal... Il macellaio, il droghiere, il fruttivendolo... In tutto duemila franchi; roba da poco.

Filippo                           - Siete mai stato al Canada, Bertin?

Bertin                            - No, signor marchese. Sapete questi piccoli fornitori...

Filippo                           - Bel paese, dev'essere! Paesi nuovi, dove c'è spazio, aria. Non si vive gomito a gomito come qui da noi. (Pulendo U monocolo col fazzoletto) Eh, noi siamo il passato! Loro, sono l'avvenire!

Bertin                            - (sempre più umile e senza speranza) Al­meno un piccolo acconto... per tacitare... (Entra Leone).

Leone                            - (annuncia) Il signor Pinard. (Sorpresa di Filippo e di Bertin).

Filippo                           - Chi? Pinard?... (A Bertin) Ma se è tornato a Parigi ieri l'altro! (Bertin si stringe nelle spalle. Fi­lippo a Leone) Ditegli che ripassi nel pomeriggio. Man­datelo all'inferno! (Ma alle spalle di Leone fa già capo­lino Francesco Pinard. E’ un uomo sui cinquant’anni, alto, magro. Ha una fisionomia rapace e c'è nelle sue maniere qualcosa di strisciante. Non si può dire che sia malvestito, eppure ha addosso un'aria indefinibile dì me­schinità e di miseria. Porta uno striminzito soprabito color marrone col bavero di velluto e ha in mano un tubino nero. E’ il classico tipo dell'uomo che è arrivato alla ricchezza partendo da una posizione sociale molto bassa e che ad onta dei molti milioni non è ancora riu­scito a dimenticare tutte le umiliazioni passate. Ha sotto il braccio una cartella di cuoio. Via Leone, che chiude con ostentata accuratezza la porta).

Pinard                           - Sono io, signor marchese.

Filippo                           - (con aria seccata) Oh, bravo Pinard! Avanti, avanti! Ma vi credevo a Parigi!

Pinard                           - Infatti. Andato e tornato. Due notti dì viag­gio (parla un po' untuoso, fregandosi le mani, ma dietro le lenti i suoi occhi furbi scintillano).

Filippo                           - E, scommetto, senza vagone letto.

Pinard                           - (con un sorriso mellifluo) Oh, naturalmente! La mia solita terza!

Filippo                           - (squadrandolo) i Ma sapete che siete straor­dinario! Sentite proprio l'odore dei quattrini, voi!

Pinard                           - (con vivo interesse) Perché? Avete venduto qualche cosa?

Filippo                           - Sì. La scrivania. (Con orgoglio) Venticin­quemila franchi!

Pinard                           - Bravo! Bel colpo! E' la trentunesima scri­vania che vendete! Le poltrone sempre ferme, invece, eh? Volete mostrarmi l'assegno?

Filippo                           - (eseguisce) Lo presenterò oggi alla banca e domani vi pagherò la vostra metà, strozzino!

Pinard                           - Sono dieci anni che mi gratificate dei vostri insulti. Non mi fanno più né caldo ne freddo. (Sempre con lo stesso tono mellifluo) Noto però che se da tanto tempo esercitate con me questo commercio, vuol dire che la cosa fa comodo anche a voi! Oggi come oggi, se io vi abbandonassi, sareste a terra, no? E dunque!

Filippo                           - Ma state zitto! Che cosa varrebbero questi vecchi mobili che mi mettete in casa se li vendeste voi nei vostri magazzini? Niente! Questa è la verità! Sono io che valorizzo le vostre anticaglie! Col mio nome, col mio prestigio. Voi mi date del piombo, io lo tocco e diventa oro.

(Bertin, vista la piega che ha preso la discussione, con la sua abituale dignità e riservatezza s'è ritirato in un angolo e si finge immerso nella lettura di un volume che ha preso dallo scaffalato. In realtà invece egli segue con estrema attenzione il colloquio. Ogni tanto egli sogguarda verso di loro, ma quando il mar­chese nella discussione si volge a guardare dalla sua parte egli si curva siti libro e volta le pagine con assorta gravità).

Pinard                           - (inalterabile) Vi ricordo che quando nel maggio del millenovecento ventisei voi, avendo dato fondo a tutto il vostro patrimonio, siete venuto da me e si è iniziata questa nostra comune attività, ero già proprietario di un grande negozio di antichità a Parigi e di quattro succursali in provincia. Complessivamente un capitale di circa cinque milioni.

Filippo                           - Sì! Ma vorrei vedere quanti ne avete oggi di milioni!

Pinard                           - (modesto e semplice) Forse una ventina.

Filippo                           - (scattando in una risata irritata e beffarda) Ah, vedete?... (Volgendosi a Bertin che, pronto, si getta a capofitto nel libro) Avete sentito, Bertin? (Ber­tin non dà segno di avere udito). Bertin!

Bertin                            - (come uno svegliato di soprassalto,, con aria stralunata) Eh?... Come?... Eli?...

Filippo                           - Confessa d'i avere accumulato venti mi­lioni! Dite voi: non è un'indecenza?

Bertin                            - Certamente!.,. Certamente! (Si risprofonda nella lettura).

Pinard                           - Ma, caro marchese, io viaggio in terza classe; a Parigi ho un appartamento di sei locali. Voi invece...

Filippo                           - Sicuro! Io invece abito in una villa dì ventisette locali. Ho cinque servitori, due giardinieri e una scuderia da corsa. Però la conclusione è che io anche senza un soldo e carico di debiti sono il mar­chese D'Avernas e voi con tutti i vostri milioni chi siete? Un qualunque signor Francesco Pinard che vende roba vecchia e viaggia in terza classe. Be', non perdiamo tempo!  Le nostre solite discussioni!  Arrivederci!  (fa per andarsene).

Pinard                           - No, sensate. Io avrei ancora qualcosa da dirvi, invece. Capirete che non ho certo rifatto il viaggio da Parigi a Nizza solo per vedere se avevate venduto qualche cosa! Devo comunicarvi una decisione grave, importante. (Bertin allunga gli orecchi).

Filippo                           - (colpito e preoccupato si ferma sui due piedi) Ah! (s'incastra il monocolo nell’orbita e per qualche istante in silenzio scruta Pinard) Che tranello mi state preparando, Pinard? (Segni di disperata attenzione in Bertin. Pinard, senza rispondere, accenna col pollice rovesciato a Bertin) Bertin, vorreste lasciarci soli, per favore? (Gesto di contrarietà di Bertin che si alza ed esce con aria seccata). Ebbene, Pinard?

Pinard                           - (posando la busta e il cappello sul tavolo) Sono stanco!

Filippo                           - Sedetevi.

Pinard                           - No, sono stanco di lavorare. Ho deciso di ritirarmi dal commercio.

Filippo                           - Voi? Macché! Ma se è la vostra vita, quella di trafficare! Anche in punto di morte sarete lì ad al­manaccare qualche trucco per imbrogliare la gente!

Pinard                           - Sarà! Ma cosa volete? M'è venuto a noia questo lavoro minuto. Sono trent'anni che faccio l'anti­quario. Poi ho paura dei tempi nuovi. Oggetti d'arte, antichità: sono valori infidi. Voglio investire tutti i miei danari in immobili. Continuerò a lavorare, s'in­tende, ma in compra-vendita di stabili. Insomma, li­quido! Marchese, siamo alla fine della nostra alleanza!

Filippo                           - Ah, mi prendete alla gola? Pinard, cosa c'è qui sotto? Fuori! A che cosa mira questo ricatto?

Pinard                           - Ricatto?... Non adoperiamo parole grosse! Vi ho avvertito semplicemente che siccome ho bisogno di realizzare tutte le mie disponibilità dovrò ritirare... (guardandosi intorno, con un gesto circolare) ... tutti i miei mobili e incassare le ipoteche che ho sulla villa.

Filippo                           - Ma scadono il mese prossimo! Era inteso fra noi che si sarebbero rinnovate!

Pinard                           - No! Se ne era parlato, ma io non vi avevo detto niente di preciso. Poi mi sono capitate delle buone occasioni d'investimento e.., capirete, gli affari!...

 Filippo                          - Ma voi sapete che non vi posso pagare! Che non vi pagherò!

Pinard                           - (umile, stringendosi nelle spalle) Allora, in questo caso sarò costretto a prendervi la villa. (Con un sorriso dolce) Che in fondo è già mia!... Le ipo­teche superano il valore attuale della proprietà, voi lo sapete bene!

Filippo                           - (ha uno scatto d'ira. Afferra un pesante fer­macarte di bronzo e fa Fatto di lanciarlo contro Pinard) Oh! Non ne vale la pena!

Pinard                           - (impassibile) Naturalmente. (Filippo depone pesantemente il fermacarte sul tavolo).

Filippo                           - (ritrovando il suo tono di superiorità aristo­cratica) . Pinard, vecchia volpe, ci conosciamo! Quali sono le vostre condizioni? Avanti!  Carte in tavola!  Scommetto che avete già tutto un piano! E' così chiaro il vostro giuoco! Per dieci anni mi avete prestato da­naro e mi avete aiutato a guadagnare largamente. Ave­vate un progetto in testa e l'avete seguito con infles­sibile tenacia. Ora, tirate le somme: v'illudete di avermi legato mani e piedi e mi tagliate i viveri. Io vi leggo in faccia, caro Pinard. Su, cosa c'è?

Pinakd                           - (prende tranquillamente la busta di cuoio di sul tavolo e se la ficca sotto il braccio, prende il tu­bino, lo spolvera con la manica e parla lentamente a capo chino) Niente. Stavolta siete fuori strada, si­gnor marchese. Non vi nascondo che ci sarebbe ancora un modo per sistemare tutto, ma sono sicuro che non mi seguireste su questo terreno e allora... (fa per an­darsene).

Filippo                           - (con rabbia) Ma parlate chiaro! Giuocate scoperto una volta tanto! Fuori questa condizione!

Pinard                           - 'La stessa proposta che vi ho fatto tre anni fa... (Filippo arretra di un passo, incrocia le braccia fieramente. Pinard, subito, prudente) ... ma che non oso rinnovare!...

Filippo                           - Veramente la vostra impudenza non ha li­miti! (Breve pausa). Credo' che non abbiamo più niente da dirci. Buongiorno!

Pinard                           - (allarga le braccia, rassegnato, poi umile ma fermo) E va bene! Quand'è così, vi riconfermo la mia intenzione di finire con oggi il nostro lavoro. D'ora in avanti nessuno dei mobili che io vi ho messo in casa dovrà essere venduto. Siamo intesi?

Filippo                           - (secco) Intesi! (E Pinard lentamente esce. Restato solo, ha un gesto di fierezza e fa l'atto di tirare un calcio a un immaginario Pinard; poi davanti allo specchio erge il capo, gonfia il petto e gesticola come chi rifiuti sdegnosamente una proposta ingiuriosa. Nel frattempo Pinard, silenzioso, è rientrato. Sta per chia­mare, ma esita vedendolo impegnato in quella mimica furibonda. Finalmente si fa coraggio).

Pinard                           - Scusate.

Filippo                           - (volgendosi di scatto) Siete ancora qui?

Pinard                           - Abbiate pazienza, avevo dimenticato una cosa importante, molto importante.

Filippo                           - Ma volete proprio farmi venire il mal difegato, stamattina!

Pinard                           - Quel Corot che avete venduto dieci giorni fa non era l'originale. Era una copia! E' stato un er­rore di spedizione. E voi capite che se l'acquirente..-

Filippo                           - (con un ghigno) Hm!... Un errore! Tanto voi non rischiate niente, eh?... Sono io che se mai... E' con questi sistemi che si fanno presto i milioni, non è vero, Pinard?... Andate, andate!...

Pinard                           - (con un nuovo inchino) I dodicimila e cinquecento franchi della scrivania mandatemeli per favore giù in negozio. Io resto a Nizza fino a domani sera. Marchese!... (Esce).

Filippo                           - (fra i denti) Farabutto! (Restato solo, il marchese accende una sigaretta, si appoggia al tavolo e resta soprappensiero. Da destra, preceduta da Leone, entra la baronessa De Carvalho; piccola, bruna, nervosa).

Antonietta                     - (andando incontro a Filippo con una mano tesa, teatrale, artificiosa) Amico mio, come state? (Senza lasciargli il tempo di rispondere) Ho una emicrania atroce. Ho lavorato tutta notte. (Via Leone).

Filippo                           - La tua mania di scrivere sempre la notte!

Antonietta                     - (posatrice, annoiata, stanca) Lo sai che ho bisogno del più assoluto silenzio per concentrarmi!

Filippo                           - Va bene! Ma prima la salute e poi la let­teratura, cara mia.

Antonietta                     - (un pò infastidita) Filippo, cerca di capirmi! (Cambiando tono, affettuosa) Sai perché mi sono invitata a colazione? Per portarti la prima copia di «Penombre ». (Gli dà un piccolo volume) In questo libro troverai tutta la mia sofferenza.

Filippo                           - Ecco! Tu hai la fissazione di essere una donna che soffre!... Io domando e dico...

Antonietta                     - (interrompendolo) Leggi, leggi a pa­gina novantaquattro!  ...

Filippo                           - (non visto alza gli occhi al cielo e apre il volumetto) Ottantanove... Novantanove... Non c'è il novantaquattro!

Antonietta                     - Come, non c'è?

Filippo                           - Ah, ecco! Novantaquattro! (Legge) «A te! Atroce l'aculeo della gelosia - s'insinua tra fibra e fibra... ». (Corrugando la fronte e guardando inter­rogativamente Antonietta) L'aculeo?... Ah, già!

Antonietta                     - Leggi.

Filippo                           - (riprende a leggere) «Tu mi strazi e sor­ridi - E vai per la tua via fiorita. Io gemo. Tu canti. Crudele! ». (Con un sorriso compiaciuto) Carino!...

Antonietta                     - (furibonda) Carino?... Ma sei tu, capi­sci? La poesia è dedicata a te!

Filippo                           - Ah! (Ripete il titolo) «A te!». A me?

Antonietta                     - Sì, a te. Anche ieri tu eri a colazione a Beaulieu con una signora alta, bionda; chi era? (Senza attendere risposta) Ah, non mentire!

Filippo                           - Be', sentì, era una signora che non scriveva poesie! E non è mica poco! Con questa letteratura sei diventata insopportabile! Io ti voglio bene... Sai come sono legato a te, ma adesso tu esageri...

Antonietta                     - E mi parli così dopo dodici anni d'amo­re? Dopo che ti ho dato tutto, che ho divorziato da mio marito che mi adorava! Ma perché ti amo tanto? Bada, Filippo! Sento maturare in me una decisione disperata!

Filippo                           - Dodici anni fa tu non scrivevi; eri una donna carina, elegante, leggera... Se il giorno del nostro primo appuntamento qualcuno mi avesse detto che sa­resti diventata una poetessa, ah, cara mia!...

Antonietta                     - (con voce soffocata) Crudele! (pare che stia per scoppiare in singhiozzi, ma entra Roberto e An­tonietta si domina) Oh, buongiorno, Roberto!

Roberto                         - Baronessa! (le bacia la mano).

Antonietta                     - E Isabella?

Roberto                         - E' giù in giardino.

Antonietta                     - Ah, bene! Allora la raggiungo. (Esce frettolosamente come per nascondere la propria commo­zione).

Roberto                         - E' qui a colazione?

Filippo                           - (con sopportazione) Eh, sì!

Roberto                         - Hai concluso un buon affare stamattina?

Filippo                           - Pff!... Così!...

 Roberto                        - Papà, ho bisogno di cinquecento franchi.

Filippo                           - (scattando, felice di sfogarsi) Ecco! Doman­do io se si può andare avanti così! Papà, dammi cinque­cento franchi! No, no, troppa leggerezza in questa casa! E' ora di prendere le redini in mano qui, se no si va in rovina! Qui ci vuole polso fermo! Se ti dicessi tutto quello che c'è in aria, caro mio! Altro che cinquecento franchi!

Roberto                         - Cosa? Sentiamo.

Filippo                           - E' stato qui Pinard stamattina!

Roberto                         - Ah!

Filippo                           - Vorrebbe... figurati! Non so come non l'ho preso a schiaffi!

Roberto                         - Vorrebbe... che cosa?

Filippo                           - Ma sì! Il suo vecchio progetto! Che tu sposassi sua figlia. Capisci? Un D'Avernas sposare la figlia di un Pinard: un rigattiere, uno strozzino, un uomo venuto dal niente!

Roberto                         - E' molto ricco, però!

Filippo                           - Sai chi è sua moglie? Una serva. Da ra­gazza è stata cameriera in casa Gaillard. Mi aiutava a mettere su il pastrano; me la ricordo benissimo. Le davo cinque franchi di mancia. (Scattando) Ebbene, no! Io posso ammettere tutto, ma questo genere di pro­miscuità no, mai, a nessun costo!

Roberto                         - Ma... la ragazza com'è?

Filippo                           - Ah, brutta! Tu la vedessi! Gli occhiali, la faccia lunga! Tutto Pinard! Poi ha avuto una malattia... Una coxite... Le è rimasta una gamba più corta dell'altra. Va così... un passo avanti e uno indietro, figurati! (cammina zoppicando). Un orrore, ti dico!

Roberto                         - Già, hai ragione. Quella lì, no. Ma se capi­tasse un buon partito, con danari. Una ragazza simpatica, sai, anche di piccola gente arricchita...

Filippo i                         - Macché, macché, macché! Col nostro nome!

Roberto                         - Macché, macché! Fai presto tu a dire! Ma così non si può continuare. Il matrimonio sarebbe una soluzione. Ti confesso che sono stufo di vivere di ripie­ghi, sono avvilito! A ventiquattro anni non avere ancora una posizione, un lavoro!...

Filippo                           - Oh, un lavoro! Cosa c'entra il lavoro?...

Roberto                         - Tu m'hai dato un'educazione che nella vita pratica non serve a niente. Cosa vuoi che faccia? Quando mi presento e dico il mio nome, non mi ci vedono, non hanno fiducia, è inutile!

Filippo                           - (leggero; i discorsi seri gli danno noia) Ep­pure te la cavi, tiri avanti! Sei ben vestito. Hai delle cravatte magnifiche.

Roberto                         - Ecco. Hai detto bene: me la cavo. Vivo d'espedienti. Ho continuato per anni a fare l'invitato professionista. Poi per tre stagioni ho fatto ballare le americane all’« Imperiale » di Cannes. Sai, ero d'accordo con la direzione. Poi prendevo qualche regaluccio dalle signore. In busta chiusa! Ma son tutte cose che non durano! Bisogna sempre inventare del nuovo „.

Filippo                           - (tranquillo e facilone) E tu inventa!

Roberto                         - (severo) Eh, sì, inventa! Lo vedi come sei tu? Tutto facile, tutto liscio! Non è serio, papà! Non si può mai fare un discorso a fondo con te!

Filippo                           - E' che l'esperienza mi ha insegnato ad essere ottimista. Credo nella mia stella!

Roberto                         - (scuotendo il capo perplesso) Hm!... (Una pausa. Incrociando le braccia e guardando il padre negli occhi) Sai come vivo io adesso? Ho vergogna a dirtelo!

Filippo                           - (curioso) Be'?...

Roberto                         - Mi pianto nel bar di un grande albergo; qui a Nizza o a Cannes o a Juan les Pins; ordino un caffè...

Filippo                           -  Naturalmente! La consumazione che costa meno...

Roberto                         - Eh, appunto! Sto lì così, con le mani in tasca... (eseguisce). E qui ho sempre pronta una scatola di fiammiferi (estrae dalla tasca destra dei pantaloni una scatola di cerini e la rimette in tasca). Tengo d'occhio la gente. Quando vedo uno che si mette in bocca un sigaro o una sigaretta, mi avvicino piano piano e sto bene at­tento. Lui accende un fiammifero e io pronto, zac!, ne accendo un altro (fa il gesto velocemente e tiene la mano levata come se tenesse fra le dita un fiammifero acceso). «Scommessa?, dico. Cento franchi a chi dura di più! ». Sai, sono americani, inglesi, gente che alla scommessa ci sta sempre. E siccome sono allenato, vedi ci ho fatto il callo... (mostra le punte del pollice e dell'indice al padre che le tocca con espressione ammirativa) ... dieci volte su dieci vinco io. (Con amarezza) Capisci?

Filippo                           - Bravo! Interessante!

Roberto                         - Cosa ne dici?

Filippo                           - Dico che con una scatola di cerini tu gua­dagni un capitale.

Roberto                         - (sorpreso) Ma non trovi umiliante, indegno per un D'Avernas, tu che ci tieni tanto, che io...

Filippo                           - Ma no, perché? Tu sei un signore, stai in Un ambiente elegante, giuochi, fai le tue scommessine... E' molto chic!

Roberto                         - (sfiduciato) Ma tutto questo è posticcio, in­certo, provvisorio.

Filippo                           - Provvisorio? Perché? Finché ci sono dei cerini!

Roberto                         - Un buon matrimonio invece mi sisteme­rebbe per sempre. E l'avrei già fatto! Il male è che tu non m'hai dato neanche il fisico che ci vuole per queste cose. Non ho abbastanza muscoli! E alle americane piac­ciono i boxenrs, i nuotatori, i lottatori. L'estate passata, a Juan-les-Pins, mi piaceva una biondina di Filadelfia. Ricca, carina. Le ho fatto la corte; lei ci stava. Ha bal­lato con me... un po' di flirt... E alla fine della stagione ha sposato il bagnino.

Filippo                           - (con faccia grave, mettendogli una mano sulla spalla con aria paterna) No, no, caro Roberto! Vedi, io rido, scherzo, ti può anche sembrare che prenda le cose alla leggera. Ma ti assicuro che penso, rifletto, valuto il prò e il contro, ooh!... e come!, anche nel vostro inte­resse... (Con esagerata solennità) Dunque, ascoltami! Se la nostra situazione dovesse diventare veramente inso-ste-nibile, se uno di noi dovesse sacrificarsi, ebbene quello sarei io. L'affetto che ho conservato per la memoria della vostra povera mamma mi ha sempre distolto dall'idea del matrimonio, ma se è proprio necessario senti... (a braccia aperte come un martire che s'immola) ...l'ame­ricana la sposo io!

Roberto                         - Ma papà!...

(Entra Leone e porta sul vassoio un biglietto da visita)

Filippo                           - (legge) Paola Nunez. (A Leone) E' sola?

Leone                            - No, signor marchese. C'è anche una signora anziana; e un signore.

Filippo                           - (preoccupato) Un signore? Robusto?... (Gesto dì Leone come per dire: «Così, così! »). Va bene. Fate passare.

Roberto                         - (un po' depresso) Me ne vado!

Filippo                           - (lo conduce verso la porta di destra, in prima. (Tirandogli un braccio intorno alla spalla; aria di due ragazzi in vacanza) Su, su, Cambinone! Allegro! (Dan­dogli dei colpetti affettuosi) Anche tu sei di quelli che staranno sempre a galla, te lo dico io! Originale, parola d'onore! Hai qualcosa in zucca, tu! (Imitando il gesto del figlio nell’accender e il fiammifero) Là, scommessa!  Cento franchi! Ciao, Roberto! (e lo spinge fuori dalla porta. Appena ha richiuso il battente, la sua fisionomia cambia espressione; si precipita in grande orgasmo attra­verso la scena e dalla porta in prima, a sinistra, chiama affannosamente) Bertin! Berlin! (Berlin accorre). Una tegola, una tegola sulla testa! Non abbandonatemi! State qui con me!

Bertin                            - (sconvolto) Cosa c'è?...

Filippo                           - (con grandi segni di agitazione) C'è che... (Si sentono dei passi che si avvicinano). Silenzio! Sono qui!  ...

(La porta di sinistra sì apre e preceduti da Leone en­trano Paola Nunez, Marta Lepine e Alfredo Aymé. La prima è una bellissima giovane sui ventitré anni, bruna, sottile, vestita con squisita eleganza. La seconda è anziana, corpulenta, evidentemente una governante di casa signo­rile. Il terzo è un giovanotto sui trentacinque anni, ele­gantissimo, slanciato, un po' manierato. E' il segretario mondano della giovane americana, maestro d'eleganza. L'impeta col quale le due donne entrano, Paola davanti e Marta dietro, tutto il loro modo di agire, denoteranno una irrefrenabile indignazione. Il signor Aymé invece è molto compassato e si ferma vicino alla porta. Paola cam­mina fieramente incontro al marchese come se dovesse slanciarglisi addosso. Si ferma a due passi da lui e, im­mobile, il viso duro, lo fissa con uno sguardo tale che se il disgraziato fosse di paglia avrebbe già preso fuoco. Marta, tre passi dietro, rossa, apoplettica, ha Varia di un vulcano che stia lì Ti per esplodere. Filippo, dopo uno sguardo e una smorfia d'allarme a Berlin, s'inchina pro­fondamente imitato dal precettore-segretario).

Paola                             - (squadrando il marchese da capo a piedi, sfer­zante) Voi!

Filippo                           - Io!  (Nuovo inchino ; rialzandosi, tutto miele) Desiderate?

Paola                             - (c. s.) Vi guardo!

Filippo                           - (con un gesto gentile come per dire: «Fate pure! »)

Paola                             - (calcando sulle parole) Vi guardo per impri­mermi bene in mente la faccia di una canaglia.

Filippo                           - (sobbalzando) Euh! (Si volta a guardare Bertin, poi a Paola) Volete scherzare?

Bertin                            - Signorina... il vostro linguaggio...

Marta                            - (che durante tutta questa scena lascerà che la ragazza si misuri con Filippo, interverrà invece ogni qualvolta vedrà farsi avanti Berlin. Marta, coi pugni sui fianchi, minacciosa a Bertin) Ehi, ehi, cosa c'entrate voi? State zitto, che siete un altro bell'imbroglione.

Bertin                            - (con dignità offesa, arretrando di un passo) Signora!

Paola                             - (a Filippo) Meno storie! Mi avete truffata e rivoglio il mio danaro.

Filippo                           - (trasecolalo volgendosi a Bertin) Ma ci ca­pite qualche cosa voi, Bertin?

Paola                             - Sono stata qui da voi otto giorni fa.

Filippo                           - (ultra galante) Oh, non vi avevo dimenti­cata! Anzi!...

Paola                             - E otto .giorni fa mi avete venduto un quadro affermandomi che era un autentico Corot. Anzi, dietro mia richiesta me l'avete garantito con una dichiarazione scritta.

Filippo                           - (imbarazzato, ma dominandosi) Ma sì, ma sì, certo!

Paola                             - Ebbene, quel Corot è falso.

Filippo                           - (sdegnato e stupefatto) Falso?

Paola                             - Sì. Mi avete venduto per centocinquantamila franchi una semplice copia che ne varrà duemila a dir molto. Truffa, egregio signore! Articolo ottantaquattro del Codice Penale!

Filippo                           - Ma non è possibile!

Paola                             - Insomma, restituitemi i miei centocinquan­tamila franchi o vi denuncio. Farò uno scandalo.

Filippo                           - (sfuggendo alla domanda pressante, con la sua faccia, delle grandi occasioni) Signorina! Sappiate che non è permesso sospettare della correttezza di un D'A­vernas! (Solenne e roboante) Mai, in nessun caso! (Le due donne che durante la battuta di 'Filippo l'hanno guar­dato con due occhi grandi così, scoppiano in una risata fragorosa, irrefrenabile. Aymé sorride lezioso, nascon­dendo U suo sorriso dietro la punta delle dita. Filippo, un po' interdetto, guarda Bertin che, a sua volta, non sa che contegno assumere. Le due visitatrici con grande sforzo riescono a soffocare la loro ilarità. Filippo ri­prende con forza) ... E che nello stemma dei D'Avernas c'è un'aquila e un leone!

Bertin                            - (solenne, pedante) E in mezzo la vetta di un monte!

Filippo                           - Già! La vetta di un monte. (Veemente) Bian­ca di neve! Pura! Immacolata! (Altra risata delle due donne. Altra occhiata interdetta fra Filippo e Bertin. Fi­lippo fra sé) Stavolta non attacca! (Le due donne ripren­dono contegno. Filippo, con un tono più giù) Se non rea­gisco alle vostre offese, signorina, è per un senso di cavalleria. Perché un gentiluomo sa anche baciare la mano che lo colpisce, quando appartiene a una donna affascinante come voi.

Paola                             - (asciugandosi gli occhi lagrimosi per il gran ridere) Ah, siete impagabile! Be', sentite, tagliamo corto. Mi ridate i miei centocinquantamila franchi e io vi restituisco il quadro. L'ho giù in macchina.

Filippo                           - (con aria da gran banchiere) Bertin! E’ pos­sibile trasferire subito questa somma?

Bertin                            - (imbarazzatissimo) Ma... non credo... almeno momentaneamente...

Filippo                           - (stupito) Ma perché?

Bertin                            - C'è... c'è... un vuoto... momentaneo! (Lo sguardo di Paola si fissa alternativamente sul marchese e su Bertin).

Marta                            - Signorina, ve l'avevo detto?... Io sono fran­cese e li capisco a volo. Nobili spiantati; non c'è niente da fare. Tutto un imbroglio!

Paola                             - (attonita) Ma è enorme, incredibile! Sicché questo danaro non l'avete?

Filippo                           - Momentaneamente... c'è un vuoto... avete sentito... Un'amministrazione vasta come la mia, capi­rete! Ma state tranquilla! Eh, diamine! Questione di tempo!  (Distratto) Centocinquanta franchi!  (Gesto di protesta di Paola; Filippo rettifica) Sì, centocinquanta­mila franchi! Un'inezia!

Paola                             - (dando segni di viva nervosità) E pensare che sono entrata qui piena di rispetto, di ammirazione!... Il vostro nome! Una grande casa aristocratica!... (A Marta additando Bertin) E si fa avanti quel fanfarone là...

Bertin                            - Signorina. Consentitemi di farvi osservare che cominciate a mancare un po' di tatto.

Filippo                           - (con una smorfia dì alterigia nobilesca) Di­sgustoso!

Paola                             - Bravo! E’ la parola giusta. Proprio disgu­stoso! Ma sapete che quando siete andato là nell'angolo e avete finto di asciugarvi una lacrima io mi sono quasi commossa?

 Filippo                          - (irrigidendo il volto, virile) Dimenticatelo, signorina. E' stato un momento di deplorevole debolezza.

Paola                             - Ma smettetela, commediante! Voi credete perché siete il marchese D'Avernas di avere dei diritti superiori a quelli di qualunque piccolo borghese? Vi sbagliate! E non crediate di potermi mettere nel sacco. Io sono laureata in legge e proprio quest'anno ho fatto l'esame d'integrazione alla Sorbona. Sono in Europa da appena quattro mesi, ma non ho perduto il mio tempo.

Filippo                           - Bene! Rallegramenti!

Paola                             - Non fate dello spirito! Voglio dire che anche il Codice francese l'ho sulla punta delle dita. (A Aymé) Signor Aymé, datemi quel fascicolo. (Aymé eseguisce). Grazie.

Filippo                           - (a Paola) Il signore sarebbe?...

Aymé                            - (un passo avanti, presentandosi) Alfredo Aymé, alle dipendenze della signorina.

Paola                             - E' il mio segretario.

Filippo                           - (con intenzione) Ab, capisco!

Paola                             - (porgendo il fascicolo a Filippo) Questa è la mia tesi di laurea (gli butta il fascicolo).

Filippo                           - (prendendolo a volo) Oh, oh! Complimenti! ( Un gesto come per dire: « Accidenti, come pesa » (A Bertin) Così giovane e già così Sorbona!... (S'interrompe, colpito dalla grinta dura di Marta. A Paola, allarmato) Ma non e mica avvocatessa anche la signora, vero?

Paola                             - No! E' la mia governante.

Filippo                           - (irresistibilmente, in un sospiro di sollievo) Ah!

Paola                             - (indicando il fascicolo che Filippo ha in mano) Leggete, leggete!

Filippo                           - (incastra il monocolo e legge ad alta voce) « Dei rapporti giuridico-morali fra creditore e debitore. Debiti, ipoteche, cambiali». (Levandosi il monocolo, impressionato) Oh, perbacco! (colpito in pieno petto, è restato senza parole. Bertin si asciuga col fazzoletto la fronte madida).

Paola                             - (parlando veloce e stringente, da avvocatessa. Da questo punta in avanti la scena si svolgerà serrata, a ritmo veloce e incalzante) Dunque voi siete debitore verso di me per la somma di centocinquantamila franchi. Gli interessi al cinque per cento decorrono dal giorno in cui avete riscosso il mio assegno, cioè dal due febbraio. (Filippo fa cenno di sì, sì, sì come per dire: « Perfetta­mente d'accordo »). Siccome voi non potete pagarmi su­bito, come sarebbe vostro dovere perché c'è un vuoto...

Filippo                           - Momentaneo.

Paola                             - ... e siccome d'altra parte io non sono in nessun modo garantita, è mio diritto di rafforzare con­venientemente la mia posizione di creditrice. Giusto?

Filippo                           - Perfettamente!

Paola                             - Perciò io verrò ad abitare in casa vostra e vi resterò finché il debito non sarà saldato.

Filippo                           - Ah, no! Questo non è possibile!

Paola                             - Vorreste propormi di garantirmi con delle cambiali? No, egregio signore! Mi avete truffata e sarei una sciocca se mi fidassi della vostra firma. Non ho che un mezzo: piantarmi in casa vostra e tanto premere, tanto seccarvi, mettervi in tali imbarazzi che voi farete l'impossibile per pagarmi.

Filippo                           - Ma io mi oppongo a questo progetto insen­sato! E' una prepotenza!

Paola                             - E allora vi denuncio.

Filippo                           - Ma no, vediamo! Datemi tempo...

Paola                             - Sì, sì! Ma io sto qui.

Filippo                           - (con le mani nei capelli) Ma cara ragazza, io ho due figli, ho degli amici che vengono a trovarmi... Come potrò giustificare la vostra presenza?

Paola                             - (sempre veloce e autoritaria) Questo è affar vostro!

Filippo                           - (quasi implorando) Ma figliola mia! Fra l'altro voi siete un amore di ragazza! Anche questo com­plica le cose! Io ho un'amica. Gelosa. Terribilmente gelosa. Farà delle scenate. Vi caverà gli occhi tutti i giorni. Paola            - (secca, fulminante) Non ho paura.

Filippo                           - Ma avrete pure una famiglia! Se quella donna vi uccidesse sarebbe un grave colpo per i vostri genitori.

Paola                             - (c. s.) Sono forti. Sapranno resistere.

Filippo                           - Avrete certamente dei fratelli!

Paola                             - (c. s.) Sono figlia unica.

Filippo                           - Siete piena di aculei... di spine! Pungete da tutte le parti!

Paola                             - Peggio per voi. Non dovevate toccarmi!

Marta                            - (intervenendo) Sicuro! Non dovevate toc­carci!

Paola                             - Insomma, inutile discutere. Mi stabilisco qui. E vi avverto che sarò un'ospite incomoda, incomodis­sima!

Filippo                           - Mi spingerete alla disperazione!

Paola >                         - Lo spero! Marta, andate a prendere i bagagli e portateli qui. E voi, signor Aymé, liquiderete i miei conti all'albergo.

Filippo                           - Ah, perché anche loro?...

Paola                             - Naturalmente!

Filippo                           - (arrendendosi) Buonanotte! Bertin, accom­pagnate i signori. (Bertin lo guarda esterrefatto, poi guarda Marta che gli sorride sarcasticamente e si muove a rilento).

Marta                            - (sferzante e irruente) Avete sentito? Mi do­vete accompagnare! Sicure! Perché qui comandiamo noi! Comandiamo noi! (Escono sorvegliandosi a vicenda. Prima di uscire dietro dì loro, Aymé chiede a Paola)

Aymé                            - L'ondulazione di ieri l'avete pagata o va nel conto?

Paola                             - Va nel conto.

Aymé                            - Sta bene. (Esce).

Filippo                           - (a Paola, restato solo con lei) Sensate, ma quel simpatico giovanotto non potrebbe starsene in al­bergo e prendere gli ordini per telefono?

Paola                             - Ah, no, impossibile! Ho bisogno di averlo sempre sottomano.

Filippo                           - Ah, già! Vedo, vedo!...

Paola                             - No, no, non vedete proprio niente! E' vera­mente il mio segretario. L'ho preso all'Agenzia « Straniere sole » a Parigi. Tante ragazze e signore americane lo fanno! Capirete! Abbiamo bisogno di un giovanotto di­stinto che ci guidi, ci presenti, ci faccia ballare!

Filippo                           - (affatto convinto; rassegnato) Sì, sì, sì! Come volete! Be', sentite. Voi abiterete qui. Libera, padrona, ospite graditissima. Ma per salvare le apparenze vi pre­senterò come mia nipote. Siamo d'accordo? Figlia di una mia sorella sposata laggiù.» Dove avete detto?...

Paola                             - Montevideo.

Filippo                           - Ecco, Montevideo... Direte che in questi quattro mesi non vi siete mai fatta viva perché... (cer­cando) ... sapevate che in passato c'erano stati dei con­trasti fra me e vostra madre, ma che poi...

Paola                             - Sì, sì! L'essenziale è che io non perda un centesimo del mio credito. (Breve pausa. Con aria di sicura padronanza) A che ora si fa colazione?

 Filippo                          - (un po' urtato) Alla una.

Paola                             - Ah, badate che preferisco vino bianco, secco.

Filippo                           - (cambiando tattica) Bianco? Secco? Ma abbiamo gli stessi gusti!  E’ importante!  Diventeremo amici!

Paola                             - E a fine colazione mangio sempre due arance; ma che non siano dolci, mi raccomando! Le preferisco un po' agre.

Filippo                           - Ma è impressionante! Anch'io, sempre. I miei amici mi chiedono: « Ma come fai, Filippo, a man­giarle così agre? ». Cosa volete? Mi piacciono così!

Paola                             - E in ultimo un caffè molto carico.

Filippo                           - Senza zucchero, vero? E' straordinario! Proprio come...

Paola                             - No. Con molto zucchero.

Filippo                           - (eroico) . Appunto! Con molto zucchero. Come me! Il caffè se non è dolcissimo non mi va giù, è inutile. (Rientra Bertin. Filippo a Bertin, a bruciapelo) Oh bravo, Bertin! Accompagnate mia nipote...

Bektin                           - (trasale) Come?

Filippo                           - Eh! mia nipote, mia nipote!... La signorina è mia nipote, capito? (Animati cenni affermativi di Bertin) ...Nella camera d'angolo al primo piano. E al... suo segretario... (strizzando l'occhio a Bertin non visto da Paola) darete una camera all'ultimo piano. Anzi fategli preparare quella nella torre!... (A Paola, conte scusan­dosi) E' un po' lontanetta, ma c'è un'aria, una vista!... (Con larghi sorrisi a Paola, e con un cenno della mano affettuoso, confidenziale) Arrivederci! A tra poco! Ciao!... (Non ricorda il suo nome; toglie frettolosamente di tasca il biglietto' da visita e dopo un'occhiata furtiva) Pa... Pa... Paolina!... Ciao, cara, ciao! (Paola lo guarda severamente ed esce con Bertin).

Paola                             - (uscendo, imperativa, a Bertin) Spero che la mia finestra dia sul mare, altrimenti... (la voce si perde).

Filippo                           - (resta a bocca aperta, facendo ancora mecca­nicamente qualche vago gesto di cordialità. Poi come un fantoccio al quale si sia rotto il meccanismo si lascia cadere di schianto su una sedia con grandi gesti di di­sperazione. Sì chiude la fronte fra le mani e resta assorto. Entra Roberto da destra).

Roberto                         - (leggero) Come è andata, papà? Quattrini in vista?

Filippo                           - Hm!„. Sì!... Hm!... Mica troppo!... C'è una novità piuttosto... Ti dirò...

Roberto                         - (battendogli una mano sulla spalla) Va là, va là, che ti lamenti sempre! La sai lunga tu! Hai patirà delle stoccate, eh?... Ma cos'hai? Mal di testa?

Filippo                           - (prendendo la palla al balzo) Euh!... Tre­mendo!... Figurati cosa succede!... E' arrivata...

Roberto                         - (interrompendolo): Perché non fumi una sigaretta? A volte fa bene... (gli offre una sigaretta dal suo astuccio).

Filippo                           - (prendendola soprappensiero) Credi? (Se la mette fra le labbra e cerca in tasca la sua scatola di ce-rini) Dunque, ti dicevo, figurati che è arrivata... (Roberto che lo attendeva al varco, con professionale destrezza si toglie di tasca la sua e con perfetta sincronia accende un cerino nello stesso istante in cui 'Filippo ne accende un altro).

Roberto                         - (protendendo il cerino acceso) Papà, scom­messa? Cento franchi!

Filippo                           - Accettato! Ah, mascalzone! Me l'hai fatta!

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

 (Sono passate tre settimane. La stessa scena, uva non ce più naturalmente la scrivania che è stata venduta e mancano anche altri mobili sicché la sala non risulta più sovraccarica di arredamento come nel primo atto. In primo piano, a sinistra, un tavolo dì legno chiaro da ufficio, di linea moderna. Sopra un apparecchio telefo­nico- Accanto un tavolino metallico con macchina da scri­vere. Isabella D'Avernas seduta alla macchina batte, co­piando da certi suoi fogli di appunti. E' vestita da pome­riggio. È l’ora del tè. Sulla scrivania c'è un macchietto di lettere già battute).

Isabella                          - (guarda i fogli di appunti e batte a macchina pronunciando le parole ad alta voce) ...senza pregiu­dizio, ben s'intende, di eventuali diritti a risarcimenti per il passato abuso. Con stima... (scattando fra sé) Ahi, c'è venuto un «g»! Con «stigma». Aspetta che lo can­cello! (e si ingegna a cancellare con la gomma. Riprende a battere) ... Per l'amministrazione D'Avernas... (Entra da sinistra il signor Aymé, elegantissimo, inappuntabile come sempre, in « redingote » grigia. Ha in mano un vasetto con degli anemoni a tinte vivacissime. Va a de­porlo sulla scrivania e mentre parla accomoda ì fiori con gesti aggraziati e con piccoli tocchi).

AymÉ                           - (a Isabella) Arriva la signorina in macchina.

Isabella                          - Benissimo. E io ho finito di battere la corrispondenza.

Aymé                            - Che colori! (Lezioso) Io adoro gli anemoni! (Pausa; con aria preoccupata). Venticinque minuti, an­data e tornata. Velocità pericolosa!

Isabella                          - Sì, ma guida con una tale sicurezza! (in­tanto riordina in fretta i suoi fogli. Da destra entra imperiosamente Paola. Abito sportiva; gonna a calzone; ber­retto basco. Ha in mano un paio di grossi guanti da vo­lante e occhiali d'automobile).

Paola                             - (porge con gesto disinvolto ad Aymé guanti ed occhiali) Ho aggiustato tutto. Per l'illuminazione del giardino si stabilirà un «forfait». (A Isabella) Ma tu sei ancora li a battere?

Isabella                          - Ho finito adesso.

Paola                             - Potevi lasciar fare al signor Aymé!

Isabella                          - Ma no, perché? Mi diverte tanto!

Aymé                            - (a Paola, col suo solito tono lezioso e distante che lo differenzia tanto da Bertin, quasi con degnazione, togliendo con gesto elegante dalla tasca posteriore dei pantaloni un piccolo notes rilegato in pelle rossa) Signorina!  (apre il taccuino) Fissato coi Fernandez: stasera alle otto, all'Hotel Wagram. Millecinquecento franchi.

Paola                             - Nessuna osservazione speciale?

Aymé                            - Sì. Ho notato che la signora porta la parrucca.

Paola                             - Ah, benissimo! E coi signori Carnei avete concluso?

Aymé                            - Sto trattando. Insisto per diecimila. Aspetto una risposta.

Paola                             - Grazie, signor Aymé.

Aymé                            - Prego.

Paola                             - (velocemente va al tavolo) Ah, volevo dire... (uno sguardo d? intesa a Aymé). Bè, vediamo la corrispondenza... Ci vorrebbe uno spillo, Isabella. Meglio unirli questi fogli.

Isabella                          - Subito, Paola. (Esce correndo).

Paola                             - (a Aymé, a bassa voce) Badate che oggi tor­nerà il signor D'Avernas. Ricordate le mie raccoman­dazioni: non lasciatemi mai troppo tempo sola con lui. Entrate ogni tanto con un pretesto.

Aymé                            - Sarà fatto.

Paola                             - (rientra Isabella con lo spillo. Aymé esce) Grazie, cara. Ho già fatto. (Suona il telefono. Paola stacca il ricevitore) Pronto? Ah, drogheria Ferrand. Benissimo. Volete mandarmi tre chili di caffè? Vi avverto però che Io farò pesare prima di pagarvi il conto, perché in casa D'Avernas d'ora innanzi funziona una magnifica bilancia. Sì, sì! Ad ogni modo uomo avvisato... Buongiorno!

Isabella                          - (saltando al collo di Paola e abbracciandola con effusione) Cara cugina, sei un fenomeno!

Paola                             - (siede sul tavolo. Poi si concentra un attimo) Isabella, mettiti alla macchina. (La fanciulla eseguisce. Paola detta) «Agenzia Turistica Riviera. A seguito e conferma dei nostri accordi verbali resta inteso quanto segue: Primo: La vostra Agenzia s'impegna ad adibire un autobus di quattordici posti al trasporto giornaliero dei forestieri desiderosi di visitare il celebre parco di villa D'Avernas. Secondo: L'introito dei biglietti d'in­gresso a! parco, a tre franchi l'uno, sarà per i forestieri condotti in luogo dal vostro automezzo... » (s'interrompe guardando una scarpina d'Isabella che sotto il tavolo mostra la suola) Isabella, ma tu hai un buco in una suola!

Isabella                          - (con fatalismo) Eh, lo so! Non è mica la prima volta! Cosa vuoi che ci faccia?

Paola                             - Ma no, cara, è una cosa che non va asso­lutamente! Domattina verrai con me in città. (Riprende fulminea a dettare) Dunque... «... dal vostro automezzo diviso a metà fra noi e voi. Vogliate accusarci rice­vuta...». (A Berlin che è apparso sulla soglia) Venite, venite, Berlin! Bene gli affari oggi? Quanti ingressi?

Bertin                            - (con degnazione e malinconia) Quarantotto. Sette più di ieri. Questo è il blocchetto. E questo è l'in­casso. Se volete controllare, signorina...

Paola                             - Va bene, va bene, vedrà il mio segretario. Mettete pure lì!

Bertin                            - (deponendo sull’orlo della tavola una man­ciata di monete) E queste sono mance! Non posso accettare! ... Ci sono degli sciagurati forestieri che mi allungano cinquanta centesimi!...

Paola                             - Be', le accetterò io! (Bertin disgustato volge le spalle a Paola, mentre da destra entra Leone; non è più in livrea; è borghesizzato anche lui, giacca nera e pantaloni neri).

Leone                            - (che ha smesso l’aria impaludata del primo atto, con spigliatezza da cameriere di caffè cittadino) Buona sera, signorina. Rendiconti della giornata. Con­sumo. Incasso.

Paola                             - Va bene. Controllerà la signora Marta domat­tina. (Via Leone con un inchino).

(Entra Marta agitatamente con in mano una grande trappola per sorci e un pezzetto di formaggio).

Marta                            - (a Bertin con un tono fra affettuoso e protet­tivo) Andiamo, professore, andiamo, rendetevi utile! Venite con me! La biblioteca di là è piena di sorci; non ci si può più vivere! Ci mangeranno la casa! Siete voi che vi occupate di libri, no? Su, fatemi vedere dove si può mettere la trappola, allora!

Bertin                            - Vengo, vengo subito signora Marta!

Marta                            - Su, tenete la trappola. Questo è il formaggio!

Bertin                            - ( equivocando) Per me? Grazie, ma mi disgusta il formaggio.

Marta                            - Ma andiamo! Per voi!... Per i sorci!

Bertin                            - Ah, benissimo! (Escono insieme in gran fretta).

Paola                             - (a Isabella) Per oggi basta. Chiudi la mac­china, cara. (Verificando l’orologio da] polso). Già le sei? Presto, presto Isabella!

Isabella                          - Ma come mai papà non si vede ancora? Non doveva arrivare oggi?

Paola                             - Ma sì, non capisco! Prova un po' a tele­fonare!

Isabella                          - (stacca il ricevitore e compone il numero) Pronto? Parlo con l'Yachting Club? Ah, è lei signor Polli? Buona sera! Vorrei sapere se avete notizie del yacht «Medusa». E già arrivato?... Ah, sì? Da un'ora?... Grazie! Buona sera, signor Polli. (Depone il ricevitore. A Paola) Allora dovrebbe già essere qui!

Paola                             - Vedrai che tarderà pochi minuti. Andiamo a vestirci, cara! (ed escono sottobraccio. Di Vi a un attimo squilla il telefono. Lo squillo si ripete con insistenza sinché rientra Bertin che si precipita al telefono).

Bertin                            - (cortesissimo e cerimonioso) Pronto? Pron­to?... Sì, casa D'Avernas. Sì, signore, sì!... (Improvvisa­mente inferocito) Cosa? Polli?... (Al nome di Polli;, Bertin, equivocando, vede rosso. Tutta la sua indignazione per essere stato anni e anni turlupinato da servitù e fornitori, esplode contro V interlocutore ch'egli crede sia il polli­vendolo e gesticolando fuori di se) Ah, proprio voi!... Avete scelto il momento buono! Non li vogliamo più i vostri polli! Basta! Dico: basta, signori fornitori! (la sua ira si placa all’improvviso) Come?... Parla l'Yachting Club?... Ah, voi vi chiamate Polli? (Avvilito) Oh, scu­satemi, signore!... Uno spiacevole equivoco. Il signor marchese?... Già sbarcato?... Ah, va bene, grazie, rife­rirò, signore. E scusatemi ancora, vi prego... (Depone il ricevitore, scuote la testa disapprovandosi e frettolosa­mente si avvia alla finestra. Guarda fuori e poi subito si dirige a lunghi passi verso la porta di sinistra. Sulla soglia s'incontra con Filippo che entra. I? in tenuta da crociera: berretto blu a visiera, binocolo a tracolla. Bertin, con effusione) Oh, bene arrivato» ben tornato! Avete una cera magnifica!

Filippo                           - (stringendogli la mano) L'aria di mare mi ha abbronzato! Ma sono stato malissimo. Un viaggio disastroso. E il peggio è che per combattere il mal di mare prendevo delle pillole che mi davano sonno. E in­vece, capirete, ero lì come elemento decorativo, per tener su la conversazione (s'interrompe, fiuta Varia, poi si fiuta la mano che ha toccato quella di Bertin, fa une smorfia di disgusto) Ma che razza di puzzo avete addosso? Ma questo è formaggio pecorino!

Bertin                            - (che non sa, tutto confuso, dove nascondere le mani) Ah, sì signore! Per i sorci!...

Filippo                           - (che non capisce niente) Per i sorci? Cosa c'entrano i sorci? (Si distrae subito, riprende il discorso interrotto) Oh, devo aver detto tali stupidaggini!... Poi non mangiavo quasi niente; qualche tazza di brodo,.. Ero uno straccio!... (Pausa). Sono stanco morto! (si lascia cadere su una sedia). Pieno di dolori!... Meno male che vado a letto presto stasera!... (Alzandosi, con improvvisa animazione, in tono confidenziale) Oh: novità in questi dieci giorni? Ha risposto l'avvocato Gillet?

Bertin                            - Sì. La lettera è arrivata il giorno stesso della vostra partenza. Ve la leggo: «Parigi, ecc. ecc. Signor marchese D'Avernas, a seguito dell'incarico da voi affidatomi, mi sono subito recato alla Legazione dell'Uruguay. La signorina Paola Nunez è veramente originaria di Montevideo dove tuttora risiede la sua famiglia. Essa è in Francia da alcuni mesi per ragioni di studio e ha recentemente superato l'esame d'integrazione alla Sorbona, Facoltà di Legge. Il padre della signorina è un commerciante. Non risulta quali siano le condi­zioni finanziarie della famiglia ».

Filippo                           - Va bene. Ringrazierete Gillet a nome mio. (Pausa). Ci sono novità in casa?

Bertin                            - (con uno scoppio di liberazione) Ah, sì! Credete, si esagera! Il vostro stemma stampato sui bi­glietti d'ingresso... i forestieri che si ubriacano al chiosco del belvedere... A che cosa arriverà questa donna con la sua mania di far danaro?...

Filippo                           - Ma gli incassi?.,. Gli incassi?...

Bertin                            - Per questo non c'è niente da dire! Aumen­tano di giorno in giorno. E' di un'attività fenomenale! Ha un pugno di ferro. Quello che vuole vuole! Non si sa come disarmarla!

Filippo                           - State tranquillo che a questo ci penso io! (Con un sorriso che vorrebbe dire e non dire) Di donne me ne intendo! Ma riflettete un momento: è entrata in questa casa furibonda; s'è piantata qui come se dovesse crearmi chissà quali imbarazzi e invece lo vedete: lavora dalla mattina alla sera, cava quattrini anche dai sassi... Cosa potrei desiderare di più? Va bene, si rimborsa del suo credito, ma intanto provvede alle spese di casa. E credete proprio che si dia tanta pena solo per una que­stione d'interesse? (Ridendo allegramente e dandogli una manata affettuosa) Eh, no, caro mio! Il cuore, il cuore!... Le donne sono così... Vanno per suonare e poi... Voglio dire che quando una donna comincia ad agire in una maniera strana, contraddittoria, voi potete andare a colpo sicuro. L'amore!  Ecco la chiave dell'enigma!

Bertin                            - (scuotendo il capo, grave) Eh, no, no! Que­sta non si sa da che parte prenderla!

Filippo                           - Lo so io, lo so io da che parte! Vedete, Bertin, se io volessi sarebbe cosa fatta. Ma in queste faccende mi piace il giuoco raffinato. Cesello!... Ri­camo!... (Prendendo a braccetto Bertin e muovendo qual-che passo con lui verso la ribalta, sempre sottovoce) Ce un segno rivelatore! Una ragazza di quell'età, quando comincia a sentirsi turbata sapete cosa fa in presenza dell'uomo che le piace?

Bertin                            - (ingenuo e interessato) Cosa fa?

Filippo                           - Si raschia leggermente la gola. Così: hm... hm... (si raschia effettivamente la gola). E' una specie di riflesso nervoso...

Bertin                            - (c. s.) Ah!...

Filippo                           - Sì... come una piccola oppressione qui... fra il cuore e la gola... Un fastidio... un impaccio... E allora per liberarsene... (ripete il raschio) ... hm... hm... Avete capito? Sintomo infallibile!...

Bertin                            - Questo non lo sapevo!

Filippo                           - Ebbene, prima della mia partenza, un paio di volte...

Bertin                            - La signorina?...

Filippo                           - Sì!... (Pausa; sempre a bassa voce ma vibra­tamente) E la innamorerò a tal punto che verrà spon­taneamente a dirmi: questa è la vostra dichiarazione di autenticità del quadro. Allora invece dì essere lei a tenermi prigioniero sarò io che l'avrò in pugno. E ristabiliremo le distanze: io il marchese Filippo D'Avernas e lei una qualunque piccola turista americana.

Bertin                            - Magnifico! (Trasalendo) La signorina! Mi pare di aver sentito la sua voce!

Filippo                           - Via, via, lasciatemi solo! (Bertin fa per avviarsi) Ah! Pss! Pss! (Al richiamo sommesso di Fi­lippo, Bertin si volge premuroso) Quel maledetto segre­tario come si comporta con lei?

Bertin                            - Sempre molto corretto.

Filippo                           - Ha ancora la stanza nella torretta, o... è sceso di quota?

Bertin                            - Sempre in alto!

Filippo                           - Benissimo!... E... avete sorvegliato? Niente passeggiatine notturne per i corridoi?

Bertin                            - (con un gesto come per dire: « Niente ») Inoffensivo!

Filippo                           - Eppure mi sta sullo stomaco! Non ci vedo chiaro! (Si sente nettamente la voce di Paola).

Paola                             - (d. d.) Le solite scuse!

Filippo                           - Ahi, andiamo male! Cattivo umore! Via, via, filate! (fa segno a Bertin di filare; via Bertin).

Bertin                            - (candido, un pò tonto) Tomo dai topi.

Paola                             - (sempre d. d. autoritaria) Mi costringerete a farvi una ritenuta sul mensile! Questa casa è una torre di Babele! Voglio essere ubbidita! Ubbidita!

Filippo                           - (con una smorfia, tra se) Giornata cattiva! (Come una ventata rabbiosa entra Paola, ma appena vede Filippo il suo viso si rischiara, la sua bocca sorride, la sua voce si fa dolce e suasiva. In questo secondo atto l’effetto delle scene che si svolgono' fra i due protagonisti è tutto basato nell'alternazione fra i due toni che l’attrice userà con Filippo: il tono morbido e sentimentale col quale Paola pare si tradisca innamorata, e il tono secco, pratico strafottente, col quale di colpo smonterà poi le illusioni di Filippo. Insomma, sempre una carezza e un pugno nello stomaco).

Paola                             - Oh, siete voi! Ben arrivato! Vi aspettavamo! Avete fatto buon viaggio? Come state?

Filippo                           - (con giovanile baldanza) Magnificamente! L'aria di mare per me è un tonico straordinario! Viaggio stupendo! Un appetito!... Cera un cuoco italiano a bordo che faceva meraviglie!

Paola                             - (premurosa e tenera) Avete avuto qualche giorno di mare cattivo, vero? Non avete sofferto, spero!

Filippo                           - (con una bella risata) Sofferto io?... Sono un marinaio nato! Gli altri sì, poveracci!, tutti mezzi morti! Capirete, non riuscivano a tener giù niente! Ri­dotti come stracci. Guai se non ci fossi stato io ad ani­mare un po' la compagnia, a dar fuoco alla conversa­zione. Ero in vena; e ho avuto qualche trovata vera­mente felice! Peccato che non me le ricordo! Io sono così: le improvviso e poi mi passano di mente...

Paola                             - Avete un aspetto floridissimo! Queste cro­ciere vi giovano alla salute. Bisogna che ve ne combini presto un'altra!

Filippo                           - Be', abusarne no, vero?... Perché...

Paola                             - Perché?

Filippo                           - Perché dico... riconoscerete che non è molto dignitoso per me...

Paola                             - (interrompendolo) Affatto! Non ci trovo pro­prio niente di umiliante! Una famiglia americana ric­chissima, che fa una crociera con degli invitati e che desidera di avere a bordo un bel nome dell'aristocrazia francese, perché questo dà un tono. Trattative riserva-tissime. Io ho detto: vi dò il marchese D'Avernas, voi mi date diecimila franchi. Ve li hanno dati?

 Filippo                          - Oh, per questo hanno agito con molto tatto!  Prima di sbarcare il signor Harrison mi ha chiamato in disparte e mi ha fatto dono di una guida della Corsica con queste parole: «Signor marchese, vogliate gradire un ricordo dei bei giorni passati insieme » (intanto ha preso dalla tasca della giacca un piccolo volume e lo porge a Paola).

Paola                             - (ricevendo il libro) Proprio come avevo sug­gerito io!

Filippo                           - (un pò piccato) Ah, perché è stato un pen­siero vostro anche quello del libro? (Le fa un inchino di perfetto stile) Squisito! (Intanto Paola ha tolto di tra le pagine della guida una busta, l’ha aperta e ne ha tratto dei biglietti di banca).

Paola                             - (contandoli rapidamente) Uno, due tre, quat­tro... dieci! Benissimo. Allora come al solito il venti per cento a voi, il trenta per cento per le spese di casa e il cinquanta per cento a me, a diminuzione del mio credito. I vostri duemila franchi! (consegna due biglietti a Filippo e va a chiudere a chiave gli altri otto in un cassetto della scrivania).

Filippo                           - (intascando i danari) Magnificamente! Ades­so mi lasciate tirare il fiato un paio di giorni e poi se volete sarò di nuovo a vostra disposizione.

Paola                             - (con ferma cortesia) Mi dispiace, ma bisogna che andiate a cambiarvi subito.

Filippo                           - No!

Paola                             - Eh, sì! Vi ho impegnato per stasera alle otto per un pranzo all'Hotel Wagram.

Filippo                           - Aha, no! Guardate...

Paola                             - E' un pranzo di nozze. Certi Fernandez di Buenos Aires. Ma una bella figliola, vedrete! Sposa un pianista...

Filippo                           - Per carità! Dopo pranzo quello si metterà a suonare!

Paola                             - Eh, sicuro! Ci sarà un concerto! Vi farò preparare una camomilla nel termos. La troverete sul comodino. E domattina «non voglio» vedervi alzato prima di mezzogiorno.

Filippo                           - (lusingato, galante, avvicinandosi a lei) Que­ste vostre attenzioni per la mia salute mi toccano!... Pro­prio, credete!... Sono lusingato e commosso!...

Paola                             - Ma, caro amico, capirete che mi sta a cuore la vostra salute!... (Filippo è radioso, sorride tutto). Se vi ammalate non rendete più niente!

Filippo                           - (per un attimo accusa U colpo, ma subito si riprende sorridendo) Avete uno spirito che leva la pelle! (Seduttore, avvicinandosi a lei) Ma io vi leggo in fondo agli occhi! Siete la più deliziosa delle ammini-stratrici!... (Una pausa; i due si guardano).

Paola                             - (turbata, infantile) Non so perché... in questo momento... mi tremano i ginocchi.

Filippo                           - (illuminandosi tutto, con ipocrisia insidiosa) Niente paura, cara! Perturbazioni atmosferiche. Vuol cambiare il tempo... (le si è fatto più vicino; la guarda a fondo).

Paola                             - (con voce più calda) No, no. Non guarda­temi così... M'intimidite!...

Filippo                           - (fatuo) Ma perché?...

Paola                             - Avete conosciuto tante donne! Dovete avere una tale esperienza!... Mi pare che mi leggiate dentro!... I vostri occhi mi frugano... il vostro sguardo mi tocca la pelle, mi spoglia...

Filippo                           - (preso) Siete una bambina! Se ora vi pren­dessi fra le braccia...

Paola                             - (sussultando) No, no, non fatelo!... (si guar­dano).

Filippo                           - (sorridendo tenero) Avete tanta paura di me?...

Paola                             - (trepida, confusa) Non so... (sono vicini al tavolo. Paola china gli occhi, volge il capo col pretesto di sistemare alcuni fogli sul tavolo e intanto si raschia la gola) hm.„ hm... hm...

Filippo                           - (imbaldanzito, come se una corrente elettrica l’avesse attraversato) Ma... mia cara! Avete un po' di raucedine!... Fatemi sentire il polso! (le prende un polso e, fingendo di cercarne il battito, tenta di risalire velocemente su per il bel braccio nudo di Paola).

Paola                             - (con un brusco trapasso scoppia in una risata e con energia sportiva allontana la sua mano con un colpo) Ma cosa fate? Diventate matto? Ma una volta c'erano delle donne che si lasciavano prendere con questi si­stemi?... Su, su, andate a vestirvi che si fa tardi. Sono millecinquecento franchi, sapete!...

Filippo                           - (interdetto) Eh?...

Paola                             - Sì. Per la vostra prestazione di stasera. Uscen­do dall'Hotel Wagram troverete nella tasca del sopra­bito una busta con millecinquecento franchi. Disposto tutto il signor Aymé, su mie istruzioni.

Filippo                           - (fra i denti) Il signor Aymé? Scocciatore! (Pausa). Sentite, Paola. Non riesco a capirvi. Mi sembrate una lettera d'amore scritta sul rovescio di una cambiale. Ma perché... (Entra Aymé fedele alla consegna di Paola).

Aymé                            - Pardon! (Disappunto di Filippo, che borbotta fra sé).

Filippo                           - Eccolo qui!

Aymé                            - (col suo sorriso dolciastro) Disturbo? (A Fi­lippo) Ben tornato, signor marchese!

Filippo                           - (risponde con un borbottio).

Aymé                            - (si avvicina a Paola col suo passo leggero e dan­zante, toglie di tasca un piccolo involto, lo porge a Paola con un inchino) « Cimkana»!

Paola                             - Come?...

Aymé                            - Il profumo di cui vi avevo parlato! E' agile e robusto. Sentirete! Un profumo che si potrebbe defi­nire sportivo. Si addice perfettamente al vostro tipo.

Paola                             - (prende il pacchetto) Grazie. (Aymé china il capo e se ne va. Fatto qualche passo fa una giravolta elegante e a Paola).

Aymé                            - Sono centocinquantatre franchi.

Paola                             - Segnate.

Aymé                            - (un altro inchino; altri due passi. E' sulla porta; nuova piroetta. Squadra il marchese da capo a piedi; verifica il proprio orologio da polso) Ricordo al signor marchese che...

Filippo                           - (al quale tutte quelle piroette fanno girare la testa, spazientito, irritato) ...Sì, sì, sono aspettato alle otto precise all'Hotel "Wagram. Lo so!».

Aymé                            - (a posto, come sempre) Quand'è così! Do­mando scusa. (Altra piroetta) Buona sera. (Esce).

Filippo                           - (guarda uscire Aymé con uno sguardo sec­cato) Accidenti a lui! Fa venire il mal di mare! (A Paola, riprendendo il discorso interrotto) Dunque, ditemi, perché questi vostri atteggiamenti contraddittori? Questo volere e non volere, questo attirarmi e respingermi? Sem­pre una carezza e uno schiaffo! Io ci perdo la testa!...

Paola                             - (leggera, enigmatica, sciogliendo l'involto del flacone di profumo) Supponete che lo faccia proprio per questo: per farvi perdere la testa.

Filippo                           - Ah!... E' una confessione, allora?... Voi co­minciate ad amarmi?...

 Paola                            - Non esagerate, adesso! Cominciate a interes­sarmi. Anche stanotte non riuscivo a prender sonno e pensavo a voi...

Filippo                           - (fuori di se per la gioia) Casca! Casca!

Paola                             - In fondo, siamo sinceri... (lo squadra da capo a piedi) ... in voi non e'è sostanza! Sì, dell'apparenza! Un gran nome, una linea signorile, del buongusto, una maschera brutta ma interessante... Tutte cose esteriori, però, appiccicate! Se sì toglie tutto questo che cosa resta? Voi, proprio voi, dico?... Niente!... Un paio di panta­loni, una giacca ben tagliata... Niente!...

Filippo                           - Cara la mia ragazza! Vi garantisco che resta ancora qualche cosa!...

Paola                             - (guardandolo, come tra sé) Siete piccolo, avete le gambe corte...

Filippo                           - Le gambe corte?... Lasciate andare che gli uomini con le gambe corte hanno delle qualità...

Paola                             - (lo guarda un attimo in silenzio) Eppure mi piacete!

Filippo                           - (trionfante) Oh, ci siamo! Questo è l'essen­ziale! (Appassionato, prendendole le mani) Ho tanto aspettato queste parole!... Venite, venite! Sediamoci un po' qua. Vedete, nell'amore...

(Entra Aymé).

Aymé                            - (col suo solito sorriso) Disturbo?.,.

Filippo                           - (furibondo) Macché! Disturbare voi? Ma cosa dite? Pensavo, anzi, come mai quel caro giova­notto non si fa più vedere!... Ma venite avanti, diamine! Accomodatevi, mettetevi a sedere!...

Aymé                            - La baronessa De Carvalho domanda...

Filippo                           - Oh, per carità! Anche lei ci voleva! Scappo! (Ad Aymé) Ditele che sono in bagno, che sto male, che sono morto, ditele quello che volete ma non la voglio vedere. (Aymé s'inchina; Filippo corre alla porta).

Aymé                            - Un momento! (Filippo s'arresta sorpreso. Aymé a Paola) Signorina, non dimenticate la parrucca.

Filippo                           - (controscena) Cosa? Ma chi?...

Paola                             - Ah, già! Badate che la signora Fernandez...

Aymé                            - La vostra ospite di stasera...

Paola                             - ... porta la parrucca.

Filippo                           - Ah!... (Con un gesto come per dire: «E a me che me ne importa? »).

Paola                             - State attento a non fare qualche motto di spi­rito sulle persone calve...

Aymé                            - 0 peggio sui capelli finti.

Filippo                           - (strabiliato, a entrambi) Ma pensate proprio a tutto, voi! (fa per uscire, ma di scatto si volge a Aymé e a bassa voce, con tono preoccupato) Non ci sarà mica qualcuno che abbia un occhio di vetro o una gamba di legno? Tanto per sapermi regolare...

Aymé                            - (categorico) Lo escludo.

Filippo                           - Meno male! (Pausa; cauto) E... potrò par­lare di penumatici?-..

Paola                             - (sorpresa) Ma certo!

Filippo                           - No, perché non vorrei che qualche signora... (allude con un gesto a eventuali seni di gomma. Poi se ne va con un allegro cenno di addio).

Paola                             - (a Aymé) Fate entrare la baronessa. (Via Aymé. Un attimo dopo entra Antonietta).

Antonietta                     - (insinuante, agrodolce) Ho saputo che è tornato Filippo. Come sta «lo zio»? Ha fatto buon viaggio?

Paola                             - Sì. E’ andato a cambiarsi. Ha molta fretta stasera. E' invitato a pranzo fuori.

Antonietta                     - Volete farmi capire che devo andar-

Paola                             - (che ha intuito nella baronessa qualcosa di ostile, la studia attentamente) Anzi! Vi prego di restare con me se vi fa piacere.

Antonietta                     - (sempre con simulata cortesia, ma sotto la carezza si sente la voglia del graffio) Sicché, signorina, siete in Europa soltanto da quattro mesi, non è vero?

Paola                             - (in guardia) Già!

Antonietta                     - E siete sempre stata a Parigi come ci avete detto? Per prepararvi a quei vostri esami?

Paola                             - (c. s.) Sì. Perché?

Antonietta                     - Oh, così, niente! Perché un nostro amico che è in diplomazia e che era con me ieri quando vi abbiamo incontrata all'angolo di via Massena, mi assicurava di avervi vista più di una volta... (secca) ...e non a Parigi!

Paola                             - Forse qui in Riviera.

Antonietta                     - (implacabile) No. Non in Francia.

Paola                             - (non più molto sicura di sé) Ah! Sarà stato in settembre a Zurigo, forse. Ero andata...

Antonietta                     - Scusate. Intanto vi faccio osservare che da settembre a marzo sono passati non quattro, ma sei mesi.

Paola                             - Vi dirò allora che appena arrivata in Europa ho passato due mesi a Zurigo per ragioni che non sono tenuta a spiegarvi.

Antonietta                     - Ah, ci siamo! Il male è però che non ai tratta ne di Zurigo, ne del settembre. Siete stata vista a Londra la scorsa primavera.

Paola                             - (leggera) Capisco, signora! Siete una scrit­trice di romanzi e naturalmente,..

Antonietta                     - (con un sorriso sarcastico e la sua solita aria un pò fatale) Romanzi?... E perché allora le vo­stre reticenze, il vostro imbarazzo di poco fa? Perché quei viaggi misteriosi? Zurigo?... Londra?... E questo vostro cosiddetto segretario che cos'è veramente? (Con concitazione aggressiva) E perché avete detto che eravate in Europa solo da quattro mesi se in realtà ci siete al­meno da un anno? Ce qualcosa di equivoco, di losco nel vostro modo di procedere. (Categorica) Voi avete una ragione segreta per stare in questa casa. Ne sono certa! (Pausa brevissima; poi con forza) Ma vi do un consiglio...

Paola                             - Un consiglio o un ordine?

Antonietta                     - (c s.) Come volete! Quello di slog­giare da qui, subito!...

Paola                             - Ah!

                                      - (Rumore di voci. Le due donne assumono un'aria in­differente. Entrano Isabella e Roberto che appena en­trato fa un cenno di saluta a Paola. Isabella è già vestita da sera. Roberto, invece, ha un abito sportivo).

Antonietta                     - Buona sera, ragazzi. (A Paola) Signo­rina, non posso trattenermi di più. Ma continueremo un altro giorno questo colloquio!...

Paola                             - (pronta) Molto volentieri! Sempre a vostra disposizione! (Saluti a soggetto; via Antonietta. Paola a Roberto) Com'è andato il tuo giro, Roberto?

Roberto                         - A meraviglia. Ho lasciato i manifestini a tutti gli alberghi di Mentone.

(Suona il telefono, Paola prende il ricevitore).

Paola                             - Pronto?... Sì, casa D'Avernas!... Non so se è tornato... Chi parla?... Come? Pinard?...

Roberto                         - (correggendola sottovoce) Sarà Pinard.

Paola                             - Ah, Pinard! Scusate!... Ma è urgente?... Sì, sì, ho capito: Pinard.

Filippo                           - (entra, rapido; ha evidentemente appena finito di vestirsi perché sì sta infilando una gardenia alla botto­niera del frac) Pinard? Dammi, dammi. (Prende il ricevitore e come sempre disinvolto, sicuro di sé) Pron­to?... Caro Pinard! Come va?-. E’ un pezzo che non ci si vede! Avete ricevuto la mia lettera?... Sì, sì; ap­pena sbarcato!... Benissimo, grazie; sto benissimo... Ah, per quella faccenda! Oh, situazione chiarita... Credo di essere a posto, sì! Vi dirò!.- (Pausa). Perbacco! Sem­pre la vostra fretta! Ma non potreste fermarvi a Nizza anche domani? Io stasera ho un impegno... (Pausa). E pazienza! Allora subito. Arrivederci! (Attacca il ri­cevitore e resta un attimo pensoso. Toglie di tasca il portasigarette, si mette una sigaretta fra le labbra; al momento di accendere un fiammifero si ricorda, però, della trovata di suo figlio; allora si toglie in fretta la sigaretta e guardando sospettosamente Roberto va ad accenderla due passi più in là. Tirando una lunga boc­cata con l'aria di uno che parla a vanvera perché pensa a tutt’altro) Ah, ma che paese interessante è la Corsica! (A Roberto) Ma tu cosa fai? Fra poco è l'ora di pranzo e sei ancora così... Va a cambiarti, va! (Accarezzando la figliola) Vuoi andare anche tu, cara?

Isabella                          - Sono già cambiata, papà!

Filippo                           - Allora resta così, ma va anche tu perché dobbiamo parlare d'affari.

Isabella                          - Vado subito. (Avviandosi dietro il fratello che è già sulla soglia) Aspettami, Roberto... (Escono).

Filippo                           - (catastrofico) Cara amica, tutto il vostro la­voro è stato inutile. La nave fa acqua. Stiamo per colare a picco!...

Paola                             - Come? Vi siete messo in altri pasticci? Men­tre io ero qui a faticare per rimettere in sesto i vostri affari avete fatto altri debiti?...

Filippo                           - (lirico, rapito, per commuoverla) Dal giorno che siete entrata nella mia vita, io sono diventato un uomo nuovo. Ho giurato a me stesso di non fare mai più nulla che potesse dispiacervi, e ho mantenuto il mio giuramento,

Paola                             - Ma allora?

Filippo                           - (fatale) Il passato!...

Paola                             - (come uno schizzo d'acqua gelata) Ipoteche o cambiali?...

Filippo                           - Ipoteche!

Paola                             - Su questa villa?

Filippo                           - Sì.

Paola                             - Quanto?

Filippo                           - (disfatto) Due milioni e duecentomila franchi...

Paola                             - Scadenza?

Filippo                           - Fra otto giorni.

Paola                             - Interesse?

Filippo                           - Sei per cento.

Paola                             - Più le spese... Circa il nove per cento. Pe­sante!

Filippo                           - Tremendo! (Pausa; tentando di rinnovare la carica) Ah, se non ci fosse la vostra cara presenza a confortarmi vi giuro che mi abbandonerei alla dispera­zione! Vorrei gettare questa mia povera vita come un cencio logoro...

Paola                             - Ma si può rinnovare!

Filippo                           - Cosa? La vita?

Paola                             - No! Il debito ipotecario!

Filippo                           - (deluso) Ah!... (Pausa). No, no, niente da fare! Implacabile! Un mastino! Non vede l'ora di azzannarmi!

Paola                             - Ma chi? Quel Pinard?. (accenna al telefono).

Filippo                           - Sì.

Paola                             - Non potrei parlare io con questo signore?

                                      - (Sempre tenera e trepida) Non c'è qualche cosa che potrei fare per...

Filippo                           - (prendendole le mani) Oh, cara! Certo! Ba­sterebbe far credere a quel Pinard che voi, mia nipote, ricca a milioni, vi siete innamorata di questa casa e...

Paola                             - E che sarei disposta eventualmente a rilevare le ipoteche?

Filippo                           - Ma no! Non oserei mai chiedervi un sacri­ficio così grande! A me importa solo per il momento allentare un po' questo laccio che Pinard m'ha stretto intorno al collo. Guadagnar tempo! Riuscire a strappargli il rinnovo per un anno! Il mio creditore sarà qui fra pochi minuti. E' già al corrente della cosa... Prevedevo la vostra accettazione e... Perché voi accettate, vero?

Paola                             - (dopo un intimo combattimento, turbata, vol­gendo il capo da un'altra parte) No!...

Filippo                           - Non direte a Pinard che siete mia nipote?

Paola                             - No.

Filippo                           - Ma si tratta soltanto di lasciargli credere...

Paola                             - Non insistete! (Entra Aymé. Filippo ancora una volta importunato dal segretario sta per scattare, ma Aymé lo previene annunciandogli col suo sorriso di miele)

Aymé                            - Il signor Pinard.

Filippo                           - (contrariato, nervosissimo) Benone! Anche lui! Avanti, Pinard! (Via Aymé; a Paola, supplichevole) Lasciate che parli io! Basta fargli credere che... Ma cosa vi costa?,.. (Paola fa cenni di diniego col capo). Ma perché così spietata?...

Paola                             - (coti forza) Voglio, devo esserlo!

Filippo                           - (disperato) Ma... (Appare Pinard vestito come nel primo atto e con prontezza Filippo assume un atteggiamento disinvolto e gaio) Oh, caro Pinard, avanti, avanti!... (Con una disinvoltura caricata che maschera un'estrema agitazione) Paola, ti presento il signor Pinard di cui ti ho già parlato. Pinard: mia nipote, Paola Nunez. Figlia di una mia sorella sposata a Montevideo... (Pinard è chiuso e glaciale; il suo atteggiamento non promette nulla di buono. Guarda sospettosamente Filippo e Paola. China la testa in segno dì saluto. Altrettanto fa Paola) Oh, una ragazza modello, Pinard! E' laureata in legge, sapete! E che preparazione! Dovreste sentirla parlare! Adesso non dice niente perché... perché non ha voglia, ma ha una logica da spaccare in quattro un ca­pello! (Paola resta impassibile. Pinard fa qualche segno di vaga approvazione. Altra pausa penosa di Filippo che spera che i due lo aiutino un po' nella conversazione. Ma siccome quelli continuano a tacere, Filippo riprende nervoso, affannato) Già! Mia sorella è nata proprio qui e desidererebbe di tornare a viverci... Può darsi che io mi decida a cederle questa mia proprietà. Così si po­trebbe risolvere anche la nostra pendenza... Non è vero, Pinard? (Filippo, oramai, non ne può più. Un nuovo silenzio. Pinard, ora, fissa Paola di sopra gli occhiali; finalmente dice)

Pinard                           - (a Paola) Dunque voi siete la nipote del marchese D'Avernas? (Filippo è sui carboni ardenti; guarda Paola a occhi sbarrati).

Paola                             - (dopo una breve esitazione guarda Filippo di­sfatto e a Pinard risolutamente) Sì! (Filippo si asciuga col fazzoletto la fronte imperlata di sudore, la sua faccia si illumina).

Pinard                           - (untuoso) Voi sapete che io ho su questa proprietà delle ipoteche superiori al suo valore reale?

Paola                             - Adagio! Superiori!... Io sostengo che questa proprietà « oggi » vale molto più di due milioni e due­centomila franchi.

Filippo                           - (vedendo che la ragazza comincia a spalleggiarlo, trionfante, spavaldo) Molto di più! Perché noi non siamo nati ieri, caro Pinard! Vero, Paoletta?

Paola                             - E che se domani mettessi in vendita una metà del parco come terreno fabbricabile, diviso in lotti, avrei i compratori così.»

Filippo                           - (con gesto significativo) Così! ... (Ride) Ah, ah!...

Paola                             - E a trecento franchi il metro quadrato, caro signore!

Filippo                           - (con voce rotonda) Trecento! Fate, fate il conto!

Paola                             - Mi basterebbe venderne un ettaro, guardate! Tre milioni!

Filippo                           - (fuori di sé per la gioia) Tre milioni! Ah, ah, ah! (si frega le mani).

Pinard                           - (calmo) Va bene! Avrete magari ragione, ma io intendo realizzare il mio credito alla scadenza. Ho già preso degli impegni.

Filippo                           - Ma dal momento che mia nipote... Eh, per» bacco! Una piccola dilazione!...

Paola                             - Non è poi una gran somma!

Filippo                           - (con superiorità) Ma per carità! Appunto! Sembra! Sembra! Ma poi!,»

Pinard                           - Meglio, meglio così! Io non chiedo che di essere pagato puntualmente!

Paola                             - (con altrettanta calma) E io vi pagherò!

Filippo                           - Noi vi pagheremo!

Paola                             - (a Pinard) Allora, vi dò appuntamento do­mattina alle dieci alla banca d'America e di Francia. Vi presenterò al direttore e sistemeremo ogni cosa. Na­turalmente io non ho qui in Francia abbastanza danaro...

Filippo i                         - Si capisce!...

Paola                             - ... ma faremo mandare dal direttore un cablo­gramma alla sede di Montevideo dove ho un deposito rilevante. (Filippo si gonfia di soddisfazione). Quanti giorni mancano esattamente alla scadenza?

Pinard                           - Otto.

Paola                             - Oh, abbiamo tutto il tempo!

Filippo                           - Anche troppo!

Pinard                           - (a Paola) Scusate, volete mettermi per iscritto quel che avete detto?

Paola                             - Subito. (Si siede al tavolo e scrive).

Filippo                           - (divertitissimo, sottovoce a Pinard, sillabando) Noi vi paghiamo!... Ci avete fatto una bella figura, Pinard! (Trattiene a stento uno scoppio di risa). Siete venuto qui credendo di pigliarmi per il collo!... Noi vi paghiamo! (Quasi all'orecchio) Strozzino! (Pinard sor­ ride umile e tagliente).

Paola                             - (che ha finito di scrivere consegna il foglio a Pinard) Volete leggere?

Filippo                           - (con importanza) Aspettate che metto an­che la mia firma!

Pinard                           - (con lo stesso sorriso) No, no, non è neces­sario! (Legge; a Paola) Bene; benissimo! Allora, do­mattina alle dieci. Vi aspetterò nell'atrio. (Inchinandosi a Paola e a Filippo) Signorina!... Signor marchese!»,

Filippo                           - (che ha suonato un campanello, senza nem­meno guardarlo, salutando con un gesto di degnazione) Addio, addio!... (Appare Leone) Accompagnate Pi­nard...

Pinard                           - Il signor Pinard!

Filippo                           - (lo guarda un attimo stupito da quella retti­fica; alza le spalle con noncuranza e aggiunge a Leone) E portatemi soprabito e cappello. (Appena uscito anche Leone, Filippo, che è in mezzo alla scena, a qual­che passo da Paola, apre le braccia in uno slancio di allegrezza) Sublime! Siete stata sublime!... Che gesto!... (Trionfante) Ah, questa volta finalmente ha vinto il cuore in voi!

Paola                             - (scoppia in una risata) Vi sbagliate! Ha vinto come sempre il cervello! Ho pensato che il rilievo delle ipoteche poteva essere un ottimo investimento. Anzi, invece del sei, mi darete il sette per cento.

Filippo                           - (smontato) Ah, be', questa poi!... (Subito ottimista) No, no! Voi avete il pudore dei vostri senti­menti! Voi lottate con voi stessa! (Fissandola malizioso e puntando un indice contro di lei) Vorreste negare che oggi s'è prodotto nella vostra vita sentimentale un avvenimento importante, decisivo?...

Paola                             - (si raccoglie un momento col volto fra te mani, poi lentamente) Sì!... Questo sì!... Questo non lo posso negare... Proprio un giorno decisivo, forse!... Ma è ancora così difficile dire un sì o un no!... Domani, forse...

Filippo i                         - Ma perché domani, mia cara?... Su, apri­temi il vostro cuore!...

Paola                             - (enigmatica) Stasera vedrò una persona... (Implorante) E ora non ditemi più nulla! «. Vi sup­plico!... Non chiedetemi più nulla!...

Filippo                           - (la guarda sbalordito e fa dei gesti trepidi, premurosi, come per dire: « No, no, state tranquilla! Non agitatevi! Non dico niente! ». Paola s'incammina verso sinistra. Rientra Aymé. È in frac).

Aymé                            - (pronto, a Paola) Signorina! «Beige»!...

Paola                             - Ah, vi siete informato?

Aymé                            - Sì, sarà il colore di moda per gli abiti di primavera: aprile e maggio. In giugno si andrà nelle tinte più calde.

Paola                             - (si avvia a sinistra. Arrivata quasi sulla soglia, sì volge, e con tono sommesso, intimo, a Filippo) Al­lora, a domani!... (Fa un altro passo, sì volge ancora) Domani!... (Scoppia in una grande risata ed esce. Filippo resta imbambolato a guardare la porta da cui Paola è uscita).

Filippo                           - Domani?... E ride?... Che sia matta?... (Restato solo, fissa ostilmente, risolutamente Aymé. Pare che sia Vi lì per esplodere, ma gli viene un'idea: cor­rompere Aymé invece di trattarlo male. Mette mano al portafoglio, ne trae qualche biglietto di banca e si avvi­cina a Aymé, confidenziale) Caro signor Aymé, per­mettete...

Aymé                            - (prende i biglietti, li spiega) Trecento fran­chi? A me?

Filippo                           - Sì. Dovreste darmi qualche piccola infor­mazione...

Aymé                            - Ah, scusate, io ho la bocca chiusa! Sono stipendiato dalla signorina. Tremila franchi al mese. Spesato di tutto. Viaggi pagati. Capirete! Segreto pro­fessionale! Rifiuto! (butta sul tavolo i biglietti avuti da Filippo).

Filippo                           - Segreto professionale? Oh, oh!... Ma sa­pete che è un curioso mestiere il vostro?...

 Aymé                           - (olimpico) Per voi! Perché siete indietro di trent’anni!  (Controscena di Filippo). Ma oggi ci sono in Francia centinaia di giovani come me, di ottima fa­miglia, che esercitano la mia professione!

Filippo                           - Cosa? Segretario mondano? Accompagna­tore di belle ragazze?

Aymé                            - Perché no? Il vostro modo di pensare ha fatto il suo tempo: come del resto la vostra eleganza.

Filippo                           - (si guarda, colpito) Ma perché?...

Aymé                            - Perché alle donne d'oggi piace un tono, uno stile mondano che voi non avete. Oh, piccole cose, ma che hanno la loro importanza!

Filippo                           - Per esempio?

Aymé                            - Oh, per esempio, questo: mi basta un par­ticolare solo: quando baciate la mano! Vi chinate troppo. Dovete invece restare rigido e alzare la mano della signora alla vostra bocca con decisa autorità: così! (gli bacia la mano).

Filippo                           - (sorpreso, disgustato, asciugandosi il dorso della mano con una smorfia) Aah!

Aymé                            - Vi consiglierei anche di non portare più la gardenia all'occhiello: è vecchio stile.

Filippo                           - Trovate?... (Si volge a rimirarsi un attimo in uno specchio che e alla parete e si toglie il fiore) Sì, forse avete ragione. (Intanto Aymé prende tranquil­lamente i trecento franchi dal tavolo e se li mette in tasca).

AymÉ                           - (con un piccolo inchino) Marchese! (se ne va).

Filippo                           - (salutandolo con la mano) Addio! (e subito accorgendosi della sparizione del danaro) Ehi, ehi, scusate! (Aymé si volge, olimpico). Quei trecento fran­chi che avevate rifiutati? Qui non ci sono più!

Aymé                            - Li ho presi io!

Filippo                           - Oh, bella!

Aymé                            - Eh! Vi ho dato una piccola lezione di ele­ganza! Me li sono guadagnati, no? (Nuovo cenno di sa­luto col capo ed esce).

Filippo                           - (tra se) Trecento franchi di lezione! Acci­denti com'è caro! (Pausa; resta un po' soprappensiero e continua il suo monologo). Domani? Stasera deve ve­dere una persona?... E che risata!... Ma cosa diavolo ci sarà qui sotto?... (Entra Bertin col soprabito e il cap­pello da sera di Filippo).

Bertin                            - Signor marchese, è tardi. Il pranzo all'Hotel Wagram è alle otto.

Filippo                           - (indossando il soprabito aiutato da Bertin) Ah già, me n'ero dimenticato! Una bella seccatura. Ac­cidenti! E proprio stasera che avrei avuto bisogno... (in­terrompendosi) Bertin!...

Bertin                            - Signor marchese?...

Filippo                           - (deciso) Dobbiamo sapere!...

Bertin                            - (coti altrettanta risolutezza) Benissimo! (Al­tro tono). Ma che cosa, signor marchese?

Filippo                           - Come, che cosa?... Ma della signorina Pao­la, perbacco! Ha un modo di fare che mi sconcerta, mi disorienta. Prima di tutto: è signorina, proprio signo­rina come s'intendeva una volta, o è una ragazza moder­na già... già collaudata, insomma? E poi, stasera. So che stasera deve vedere qualcuno: chi è questo qualcuno? Voi dovete aiutarmi a sciogliere questo imbroglio. (Con­troscena di Bertin come per dire: a Sono a sua disposizione! ». Bertin, mi siete interamente devoto?

Bertin                            - Signor marchese, sino alla morte!

Filippo                           - Ebbene, dovete sacrificarvi.

Bertin                            - (martire) Sono pronto.

Filippo                           - Ho tentato d'interrogare quel maledetto se­gretario: niente!  Non gli ho levato una parola di bocca. Non ci resta che un mezzo: far parlare la gover­nante. Affido a voi questa delicata operazione. A mez­zanotte andrete a bussare alla sua camera e la sedurrete.

Bertin                            - (smarrito) Oh, Dio, signor marchese!

Filippo                           - (senza pietà) Entrerete risolutamente e ap­pena dentro spegnerete la luce.

Bertin                            - (trepido, con un filo di voce) E poi?.,.

Filippo                           - (burbero) E poi?... Bertin, ma siete un uomo!

Bertin                            - (c. s.) Sì, signor marchese, ma un po' fuori allenamento! Lo studio dei classici mi ha indebolito».

Filippo                           - (ottimista e impetuoso) Abbiate fiducia in voi stesso! E sappiate che la fede opera miracoli.

Bertin                            - Speriamo!... Posso provare, allora..-

Filippo                           - Lanciatevi a capofitto; non datele tempo dì riflettere. Travolgetela col vostro impeto.

Bertin                            - (eccitato) Sì signore, sì signore!

Filippo                           - E quando sarete arrivato a dominarla col vostro ardore, interrogatela!

Bertin                            - Ma... mi pare una donna impenetrabile, si­gnor marchese!

Filippo                           - Non ci sono donne impenetrabili!... (Cori altro tono, quasi fra se) E poi è vedova. (Riassumendo U tono secco e autoritario) Verso le tre del mattino, quando tornerò, mi direte cosa avete saputo.

Bertin                            - (grave, asciugandosi la fronte) Sta bene!... Se poi il signor marchese non dovesse trovarmi qui.... (un grosso sospiro; non osa continuare; china il capo avvilito e allarga le braccia in un gesto rassegnato).

Filippo                           - (battendogli una mano sulla spalla) Su, su, non scoraggiatevi, adesso! (Altro sospiro di Bertin. Filippo va alla comune. Bertin è restato al suo posto, ri­gido, pensoso. Filippo, arrivato alla comune, si volge, lo chiama) Berlin?... (Bertin si scuote, accorre; con aria di confidargli un gran segreto) Io sto leggendo un li­bro interessantissimo. Lo troverete sul mio tavolo, in biblioteca. « Il dominio di se stessi ». Molto interes­sante. Un metodo sull'auto suggestione cosciente. Insom­ma, per farvela breve, non ci sono più difficoltà. Basta continuare a ripetersi: «Voglio! Riuscirò!» e il risul­tato è garantito.

Bertin                            - Dite davvero, signor marchese?... Credete che...?

Filippo                           - Ascoltatemi, Bertin. Adesso io vado. Con­centratevi. Occhi chiusi, denti stretti, volontà tesa. E continuate a ripetervi: «Io sono forte, la dominerò col mio ardore! Io sono forte, la dominerò col mio ar­dore! Io sono forte, la dominerò col mio ardore». Fino a mezzanotte. E poi procedete senza incertezze.

Bertin                            - Bene, signor marchese.

Filippo                           - Avanti! (E ripetono insieme) «Io sono for­te, la dominerò col mio ardore. Io sono forte...».

Bertin                            - (completando solo la frase) « ...la dominerò col mio' ardore... Io sono forte...».

Filippo                           - Benissimo. Alle tre del mattino, appunta­mento qui. (Un inchino di Bertin. Via Filippo).

Bertin                            - (restato solo; occhi sbarrati, pugni stretti, pas­so automatico) «Io sono forte, la dominerò col mio ardore... Io sono forte... (si lascia cadere una sedia) ...la dominerò col mio ardore. Io sono forte...»            - (in­terrompe; altro tono, scoraggiato) Eh, si, balle!...

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

 (La stessa scena. Le quattro del pomeriggio. Marta, in atteggiamento da pitonessa, è intenta a disporre sul ta­volo delle carte e trae man mano l’oroscopo. Bertin, seduto dall'altra parte del tavolo, ha Varia piuttosto ab­battuta e segue con un certo distacco il giuoco di Marta, come chi da uomo superiore si sente in dovere dì mo­strarsi alquanto scettico).

Marta                            - (tirando una nuova carta con un po' di acredine, di gelosia) Vedi, vedi, mascalzone! E' la terza volta che ti faccio le carte e sempre vien fuori la donna di cuori. Di' la verità: c'è stata nel tuo passato una don­na giovanissima che ti ha fatto correre un grave pericolo.

Bertin                            - (con un gesto all’incredulità) Ma no! Ma ti pare che io possa avere... Andiamo, Marta!

Marta                            - (gelosa) Le carte non sbagliano, ti dico! Guarda il caso mio! Tutte le volte che le faccio per me c'è sempre l'uomo col libro in mano. E infatti! Figlia di un professore, moglie di un professore: più libro in mano di così! Eh, ti assicuro che di professori ne ho fatto un’indigestione! Mio marito! Che vita infernale! Un disordinato, uno stravagante!... E poi e poi!...

Bertin                            - E poi che cosa?

Marta                            - (un sospirone) Eh!... Una volta l'ho sor­preso con la donna di servizio!

Bertin                            - Mah! Un momento di vertigine!

Marta                            - Eppure, eppure m'è rimasto nel cuore! E' sempre così! Noi donne amiamo chi ci fa soffrire. E I ieri sera quando.... (abbassa gli occhi)... be', insomma, mi sono accorta che hai gli stessi occhi del mio povero Antonio.» Occhi da sognatore!... Ma nei tuoi c'è più fuoco, più prepotenza. Sei un birichino tu!... (Acre) Be', chi era allora questa giovane?

Bertin                            - Primavera! Insegnavo lingue morte al Liceo di Evreux. Tutti gli studenti erano usciti dall'aula; soltanto una fanciulla invece di seguire i compagni si era avvicinata alla mia cattedra per chiedermi schiari­menti sui versi: «Lingua sed torpet, tennis sub artus fiamma demanat... ». Una creatura inquietante: occhi neri, trecce corvine. Si chiamava Adelaide Tissot. Ci curvammo insieme sul libro... Non so che cosa avven­ne! La primavera, l'odore dei suoi capelli... Chiusi gli occhi. Proprio in quel momento il preside entrò. La mia carriera d'insegnante era troncata!

Marta                            - Scacciato?... Capisco! E allora, non potendo più insegnare nelle scuole pubbliche, ti sei ridotto...

Bertin                            - A fare l'istitutore privato!

Marta                            - Be', il passato è passato. Guardiamo all'av­venire adesso! (Tira un'altra carta). Hai un viaggio in vista?

Bertin                            - Non direi!

Marta                            - (carezzevole) Perché, cattivo?... Potrebbe es­sere anche un viaggio dì nozze.

Bertin                            - Sì? Dici davvero?

Marta                            - (tira un'altra carta) Un altro matrimonio?...

Bertin                            - Non è possibile!

Marta                            - Eppure le carte non sbagliano! ... (Altra carta). Sei di danari: casa grande. C'è!...

Bertin                            - Cosa?

Marta                            - Il matrimonio!

Beetin                           - La signorina Paola, allora? Ma credi che il marchese sia proprio deciso?...

Marta                            - Decisissimo! Vuol sposarla a tutti i costi! Figurati che le ha scritto una lettera stanotte, quand'è tornato dall'Hotel Wagram, e gliel'ha passata sotto la porta!

Bertin                            - Senti, cara: se mi vuoi bene veramente dovresti dirmi...

                                      - (Entrano Paola e Roberto. Hanno appena finito di gio-care al tennis. Sono accaldati e felici. Marta e Bertin ammutoliscono. Marta in fretta e furia nasconde le carte e le passa a Bertin che le fa scivolare in una tasca esterna della giacca).

Roberto                         - (allegro e affettuoso; aria di ragazzo) No, cara! Se discutiamo di legge mi metti nel sacco, ma sul campo di tennis ti batterò sempre!

Paola                             - Presuntuoso! (A Marta che si è rispettosa-mente alzata con Bertin al loro entrare) Marta, avete cominciato a mettere in ordine i bauli?

Marta                            - (battendosi la fronte) Oh, Dio, signorina! Non ho ancora avuto un minuto di respiro! Ma vado subito! Si discuteva col professore sul conto del car­bone... Fate vedere, professore!

Paola                             - No, Marta. Lasciatemi stare, adesso!

Marta                            - Ma sarebbe bene, signorina! Sono cifre sba­lorditive, secondo me.

Paola                             - (a Bertin, contro voglia) Date qua! (Bertin eseguisce, ma nel togliere il conto di tasca gli cadono per terra alcune carte da giuoco. Paola le guarda mentre Bertin tutto confuso le raccoglie prontamente) Andate, andate pure di là a continuare la vostra partita. Soltanto mi raccomando i bauli, Marta!

Marta                            - Signorina, non dubiti!

Paola                             - (leggendo forte il conto e tenendo d'occhio i due che si allontanano) Quindici ottobre... quintali cincpiattotto antracite prima qualità... (Bertin e Marta sono usciti da sinistra. Paola lascia cadere il conto sul tavolo e si getta nelle braccia di Roberto. Si baciano e poi si sciolgono doli'abbraccio tenendosi avvinti con le mani. Paola lo guarda intensamente) Roberto! Ma per tutta la vita?

Roberto                         - (appassionato, scuotendole forte le mani) Per tutta la vita!

Paola                             - Ma sei veramente sicuro di te?

Roberto                         - Non capisco perché da ieri sera mi ripeti questa domanda assurda!

Paola                             - (molto agitata, con intensa concentrazione, scru­tandolo in viso) Ascolta. Stamattina la Banca ha spedito un telegramma a Montevideo per accertare la mia situazione finanziaria. La risposta non tarderà: è questione di ore. Ebbene, se risultasse che io non pos­siedo niente, che le mie promesse non sono state che un castello di carte, se qualcuno entrasse qui con un tele­gramma e dicesse: «Questa donna non ha un soldo, è un'avventuriera qualunque», tu che cosa faresti?

Roberto                         - Ti sposerei.

Paola                             - E continueresti a credere in me, nel mio amore?...

Roberto                         - Ma sì!

Paola                             - Bada! Si dice sempre così, prima! Ma la vita è lunga e difficile...

Roberto                         - Senti, la vuoi fare finita? O ti faccio star zitta io! Toh!... (la bacia impetuosamente. Si sente bus­sare alla porta. I due giovani sì separano).

Paola                             - Avanti. (Appare Isabella. Paola, ridendo) Che novità?... Ma perché bussi prima di entrare?

Isabella                          - ( ingenua e un po' imbronciata) Dopo quello che m'avete detto stamattina ho sempre paura di trovarvi... (batte insieme i due indici tesi. Risata di Paola e Roberto).

Roberto                         - (strizzandole tenero l'occhio) Vieni qui, bestiolina!

Isabella                          - (avvicinandosi ciondoloni, di malavoglia, sempre imbronciata) In questa casa non si sa più dove andare! Entro nel guardaroba e trovo la tua Marta sulle ginocchia del professore...

Paola                             - Ma va!...

Isabella                          - Sì, sì!... M'avvicino qua e sento le vostre voci... Non volevo fare il bis, capirete! (Paola e Roberto la prendono sottobraccio, uno da. un lato, l’altra dall'altro).

Roberto                         - Su, non fare il muso, sorellina!

Paola                             - Abbiamo bisogno di te. Ci devi fare un grande piacere.

Isabella                          - Io?

Roberto                         - Sì. Dovresti parlare tu a papà!

Paola                             - Dovresti dirgli tu che noi... (ripete il gesto degli indici battuti l'un contro l'altro).

Isabella                          - Io?

Paola                             - Sì, vedi, ci sono delle cose che dette da noi... Sai come succede! Invece se glielo dici tu, con la tua vocina, con la tua grazia™

Isabella                          - (guarda prima l’uno, poi l'altra e fa una smor­fia) Mah! Io non ci capisco niente! Però, se proprio ci tenete! (Entra Aymé vestito da viaggio; soprabito chiaro, guanti. Ha l’aria frettolosa). Avanti, avanti, signor Aymé!

Aymé                            - (a Paola) Signorina, sono venuto a conge­darmi e a ringraziarvi della vostra liquidazione più che generosa.

Paola                             - Affatto! Mi dispiace anzi di dover rinunciare così presto ai vostri servigi. Ma ho dovuto prendere questa improvvisa decisione per motivi che...

Aymé                            - (interrompendola) Oh, non mi dovete nes­suna spiegazione! Consentitemi invece di lasciarvi un piccolo ricordo del nostro incontro. A tutte le signore che servo offro, all'atto del congedo, un portabiglietti in pelle viola. Il mio colore preferito! (glielo dà).

Paola                             - Grazie.

Aymé                            - Vogliate perdonare la fretta, ma ho già tele­fonato all'Agenzia a Parigi e domattina alle nove devo prendere in consegna una signora di Baltimora. Oh, della migliore società! Gli elementi più distinti li affidano a me. La porto a Aix-les-Bains. (Un cenno del capo di saluto. Se ne va in fretta).

Roberto                         - (con esagerata cortesia) Buon viaggio!

Aymé                            - Grazie.

Paola                             - (a Roberto) Sei contento adesso?

Isabella                          - (al fratello, canzonandolo) Ma come? Eri geloso di quel coso là?...

Roberto                         - Che geloso, geloso! Mi dava fastidio, ecco!

(Da destra appare Filippo, sveltamente, con una rivista in mano),

Filippo                           - Oh, brava Paola! Cercavo proprio te! Ho comprato stamattina l'ultimo numero della « Rivista di giurisprudenza ». Ce una sentenza curiosa che credo opportuno segnalarti. So che ti interessi tanto di que­stioni giuridiche eleganti!

Paola                             - Abbiate pazienza! Io ho studiato legge ma, sapete, una volta prega la laurea!...

Filippo                           - (trasecolato) Ma... è la prima volta che ti sento parlare così!... Io credevo proprio che... Peccato però! Una sentenza che ti garantisco… Bè non parliamone più!... (Pausa; è un po' imbarazzato, ma subito si tira su) Ieri sera al pranzo dei Fernandez c'era un certo signor Rivadavia, una persona di mezza età, barba folta, simpatico!... Be', mi ha raccontato che in Argen­tina ha degli immensi allevamenti di conigli...

Paola                             - (staccata) Ah, sì?... (e intanto scambia dei gesti d'intesa con Roberto, che Filippo non vede).

Filippo                           - Sì, sì! Pare che il reddito sia enorme!

Paola                             - Ah, può darsi! (e risponde con un gesto a un gesto di Roberto che la invita con cenni animati a tagliare la corda con lui Filippo è proprio seduto in mezzo ai due ragazzi che continuano le loro animate segnalazioni, fingendo di cacciare una mosca o di grat­tarsi la testa o di fare rotazioni con le braccia se Filippo volge la testa a guardare ora l'uno ora l’altro).

Filippo                           - Oh, ma bada, Paola, che il coniglio è il co­niglio! Mi diceva Rivadavia che si riproduce in pro­gressione geometrica...

Roberto                         - Geometrica?

Filippo                           - (sicuro) Sì, geometrica! (Quasi fra sé) Non so cosa vuol dire, ma pare che sia una speculazione fan­tastica. (A Paola) Allora tu capisci che... (Si volge a Roberto e coglie di sorpresa un armeggio di questi) Ma che cos'hai? Si può sapere? Il ballo di San Vito?

Roberto                         - No. Un dolore qui... (si tocca la spalla). E un po' di rotazione mi fa bene, sai!

Filippo                           - (a Paola) Dicevo, il coniglio...

Paola                             - O Dio, sì! Bisognerebbe avere del tempo, della voglia. Ma io, sai, proprio non me la sento. (E svignandosela) Vieni anche tu, Roberto, a prendere il tè?

Roberto                         - Buona idea! Subito! (Se la svignano da sinistra con cenni d'intesa a Isabella che resta. Filippo è rimasto lì come un cane bastonato. Guarda Isabella avvilito e le fa una smorfia interrogativa).

Filippo                           - Ma come è strana oggi Paola! Ma cosa avrà?... Cattivo umore?

Isabella                          - (ingenua) No, no, tutt'altro!

Filippo                           - (prende in mano la rivista, la guarda desolato e a Isabella, con quella sua aria da cane bastonato) Allora non capisco! S'è sempre interessata a queste cose! Tutt'a un tratto!... Mah!... (Pausa; inquieto) Non è mica offesa con me?... T'ha detto qualche cosa?...

Isabella                          - No, papà. Mi pare molto contenta, anzi! Stamattina si è alzata prestissimo, tutta animata., sor­ridente...

Filippo                           - (rischiarandosi) Ah, sì?... Ti... ti pareva molto...? Ah, cara! Non puoi credere che piacere mi fa sentirtelo dire! (Breve pausa; eccitato, felice, e insieme assumendo un'aria un po' grave) Insomma, Isabella, ti devo dire delle cose importanti, (ha guarda) Ormai, sì, tu non sei più una bambina... (è imbarazzato dai chiari occhi ingenui della figlia e per prender tempo e coraggio cerca un diversivo) Ma cos'hai?... Mi guardi in una ma­niera come se tu dovessi chiedermi qualche cosa!... Cosa c'è?... Avanti!... Vuoi dei danari?... Ma figurati! Non hai che da dirmelo! Ti prometto cinquecento franchi...

Isabella                          - (sbalordita, interrompendolo) Cinquecento franchi?... Oh, Dio!... Papà, mi fai paura!...

Filippo                           - (accarezzandole i capelli) Va là, va là, che tu puoi farmi un piacere che vale molto di più! Dovresti parlare per conto mio a Paola!... E’ una cosa delicata!... Intendiamoci, non c'è niente di male, eh?... Ma... vedi... Paola m'intimidisce... Non so!... Poi, la conosci, ha il suo caratterino anche lei e magari se le parlo io... Invece tu sai fare... sai dire le cose per benino... Poi a te vuol tanto bene, Paola!...

Isabella                          - Ma che cos'è che dovrei dirle?

Filippo                           - (intimo e solenne, mettendole una mano sulla spalla) Oh! Prima di tutto, figlia mia, ti svelerò un segreto. Paola non è...

Isabella                          - Nostra cugina? Ma lo so benissimo!

Filippo                           - (interdetto) O bella! Chi te l'ha detto?...

Isabella                          - Lei, ieri sera. Lo sa anche Roberto.

Filippo                           - Be', tanto meglio. Allora ti spiegherò perché mi sono trovato nella necessità incresciosa di ricorrere a questa finzione. Dunque devi sapere che...

Isabella                          - Sì, sì, papà!... So anche questo. La fac­cenda dei quadri, il debito... Sappiamo tutto!

Filippo                           - (che è rimasto male) Be', tanto meglio!... (Irritato, nervoso) Ma si può sapere perché mi guardi così? Hai un modo curioso di guardarmi tu, stamattina! Cos'hai?

Isabella                          - (cogliendo la palla al balzo) Sono felice, papà!

Filippo                           - Sfido! T'ho dato cinquecento franchi!

Isabella                          - No, eh! Piano! Me li hai solo promessi!

Filippo                           - Be', e allora perché sei felice?...

Isabella                          - (soave) Perché finalmente stamattina hai due belle borse sotto gli occhi.

Filippo                           - (passandosi lestamente le punte delle dita sotto gli occhi) Io?... Ma nemmeno per sogno!... Poi, che idea stupida!... Le borse! Cosa c'entrano le borse?... Naturale! Sono stato alzato fino alle due. Ho bevuto... ho fumato...

Isabella                          - (sempre dolce dolce, facendogli segno di no con un dito davanti al naso) No, no!... E' che cominci a diventare vecchio, papà!

Filippo                           - (fra seccato e affettuoso) Ohi, là, stupidina! Non fare l'impertinente, adesso!

Isabella                          - Ma sì, tu non capisci!... Sarebbe tanto bello se tu ti lasciassi invecchiare! Avresti meno gente intorno, staresti meno fuori di casa... Meno viaggi, meno distrazioni... Mi staresti più vicino, ecco! Allora sì, saresti veramente il mio papà!...

Filippo                           - Ma cosa ti piglia, di'?... Ma non farti sen­tire!... Tu mi vuoi rovinare!...

Isabella                          - (sempre con la stessa dolcezza e ingenuità) L'anno passato cominciavi ad avere qui... (gli tocca le tempie con Vindice) ...dei capelli bianchi... Pochi, sai!... Ma stavi così bene!... Mi piacevi tanto! Cominciavi a prendere... un'aria seria...

Filippo                           - (inorridito) Ma sentitela!... I figli!... I fi­gli!... La rovina delle famiglie!

Isabella                          - Un giorno che dormivi sulla poltrona te li ho contati: ventitré. Poi ti sei tinto!...

Filippo                           - Di', ma la vuoi smettere?... Bada che ti ripiglio i cinquecento franchi, sai!...

Isabella                          - ( sconfortata) Inutile!  Non mi vuoi ca­pire!... Sarebbe così bello invece sentirci molto uniti noi due, adesso che stiamo... (s'interrompe).

Filippo                           - (improvvisamente ansioso) Che stiamo cosa?...

Isabella                          - Sì, che stiamo per rimaner soli...

Filippo                           - Soli noi due?... Ma perché?...

Isabella                          - Eh!... Se Roberto e Paola si sposano, andranno a stare a Parigi, no? Li vedremo di rado...

Filippo                           - (è restato un attimo fulminato) Roberto?... Ma cosa mi racconti?... Ma quando è successo?...

Isabella                          - Ieri sera. Invece di uscire noi tre, come al solito, mi hanno lasciata a casa... Sono venuti a svegliarmi dopo mezzanotte per dirmi che avevano fatto una bella passeggiata e avevano deciso di sposarsi.

Filippo                           - (che ogni tanto, febbrilmente con un gesto istintivo, si passa le punte delle dita sotto gli occhi) Ma come si spiega?... Ma perché?... Ma è assurdo!...

Isabella                          - Non direi!... Che cosa c'è di strano, papà?... Si vogliono bene, sono giovani!... Paola è bella, fine, ricca... Ha tutte le qualità...

Filippo                           - (esplode finalmente; perde la testa; cammina su e giù agitato, gesticola, parla disordinatamente) Adagio! Adagio, cara!... Ma cos'è? Ma dove siamo?... Ma che sistemi sono questi?... Tutto senza dirmi niente!... Ma in che mondo viviamo?... Una passeggiata... si torna­ci amiamo, ci sposiamo!... Questo è un salto nel buio! Ricca, ricca! Ma abbiamo informazioni precise?... No!... Dunque, piano!... Ma poi è il modo!... La mancanza di riguardo per me!... Come se fossi l'ultima ruota del carro!... Ma non sono ancora rimbecillito!... Hm!... (Pau­sa; più irritato che mai) Vorrei sentire cosa dite di me: quel povero vecchio, eh?... Ma adagio, ragazzi! Ho cin­quantadue anni; non ancora compiuti! Ah, vi farò ve­dere io! Va, va! Va a chiamare Paola!...

Isabella                          - (trepida) Ma papà!...

Filippo                           - (autoritario) Va a chiamare Paola, ho detto!... (Isabella esce rapidamente. Filippo sempre mu­linando gesti e parole) Ah, dovranno sentirmi!... Una pas­seggiata romantica!... E proprio ieri sera!... Io là a sudare quattro camicie per fare dello spirito, per interessarmi all'allevamento dei piccioni... dei conigli e loro... Ah, ma la vedremo, cari miei! Altro che borse!... (Pausa). Le borse!... Ve le darò io!... Ride bene chi ride l'ultimo!... E io rido! (ride con rabbia) E come rido!... Ma proprio di gusto! (Nelle sue ultime risate si sente commozione, sofferenza, quasi un pò di pianto. Cade a sedere. L'ultima risata gli muore in gola; automaticamente con la punta degli indici torna a lisciarsi le occhiaie. Entra Bertin, come al solito cerimonioso, portando un mazzo di or­chidee).

Bertin                            - (molto incerto, molto imbarazzato) Signor marchese!

Filippo                           - Ah, bravo anche voi, sì!... Bell'aiuto che mi avete dato!... Ho avuto un bell'aspettarvi io, stanotte! E’ andata male, eh?

Bertin                            - (con Varia di un cane bastonato) No, no, è andata benissimo, signore. Ma verso le due, quando ho sentito che la dominavo e mi proponevo d'interrogarla, sono stato colto dal sonno e...

Filippo                           - E avete dormito sino a stamattina?

Bertin                            - Eh, sì! Fino alle nove, signor marchese! (Pausa),

Filippo                           - (con riprovazione) Bravo! Benissimo!... (Accorgendosi del mazzo di orchidee che ha in mano) Be', cosa avete lì?

Bertin                            - Fiori per voi!

Filippo                           - (sorpreso) Per me? E da parte di chi?

Bertin                            - C'è un biglietto.

Filippo                           - (infastidito, nervoso) Leggete, leggete allora...

Bertin                            - (apre e legge) « Rosita Fernandez per espri­mere i suoi sentimenti d'ammirazione all'indimenticabile marchese 'D'Avernas » (Dandogli il biglietto con un inchino) Molto lusinghiero!...

Filippo                           - (amaro, cacciandosi in tasca il biglietto) Eh, sì!... La mia ospite d'ieri sera!... Centodieci chili!... Brutto affare, caro Bertin, quando si comincia ad offrirvi un posto di ammiraglio sulle vecchie fregate!

Bertin                            - A volte sono quelle che tengono meglio il mare, però! Meno... beccheggio!...

Filippo                           - (con slancio) Ah, questo sì!... (Pausa; guar­dandolo con curiosità) Eh, capisco! Da stanotte ve ne intendete di donne, eh?

Bertin                            - (calmo e posato aggiustandosi gli occhiali) Oh. Dio! Dico solo che se un giorno dovessi decidermi a fare la mia scelta in amore vorrei appoggiarmi... a qualcosa di solido... (gesto significativo come se volesse alludere alle formosità di Marta).

Filippo                           - (con slancio e con tormento) Ah, io invece mi sento fatto ancora per le navigazioni veloci e tem­pestose! A costo di far scoppiare le caldaie, guardate!

Bertin                            - Oh, il signor marchese è un comandante troppo esperto!

Filippo                           - (balzando in piedi, afferrandolo per un brac­cio) Macchè!... (Indicando il soffitto) Bertin, ho cin­quecento metri d'acqua sopra la testa!... (Bertin istinti­vamente alza gli occhi). Mi hanno speronato! Sono colato a picco!... Che figura, Bertin! Che figura ci ho fatto! Quella lettera che le ho scritto stanotte! Che cantonata!... Le offrivo di sposarla, capite?...

Bertin                            - E lei?...

Filippo                           - Ha detto di sì. Ma non a me: a mio figlio. Sono fidanzati, capite? Si sposano! Ah, Bertin, non dovevate lasciarmi scrivere quella lettera!... Giovani, hanno la stessa età, si vogliono bene!... Ma è più che giusto!... E io che non l'avevo capito!... (Pausa). Bertin, sapete che cosa faccio?...

Bertin                            - … ?

Filippo                           - Scappo! Dovete aiutarmi a fare le valigie. Non mi faccio più vedere!-. Scappo!... Se arriva della posta, fatemela proseguire.

Bertin                            - (fa Fatto di prender nota dell'indirizzo sul suo taccuino) Dove?...

Filippo                           - (non sa; pesca a vuoto) ...All'inferno!... (Breve pausa. Bertin è rimasto male). Bertin, sapete cosa faccio?...

Bertin                            - ... ?

Filippo                           - Resto! Un D'Avernas non fugge!... Ci vor­rebbe una ritirata strategica. Salvare almeno il prestigio!...

Marta                            - (d. d.) Giuliano, Giuliano! (Entra come una fanciullina). Oh, scusate, signor marchese! Cercavo il professore...

Filippo                           - Andate, andate, Berlin!...

Bertin                            - (impaziente) Grazie! (si affretta verso Marta).

Marta                            - (con voce inzuccherata a Bertin prendendolo dolcemente per il mignolo) Vi ho preparato una squi­sita macedonia di frutta» Ma non sapevo regolarmi per lo zucchero... (Escono. Prima di uscire, Bertin con degli occhi fieri, guardando il marchese con intenzione, si raschia la gola).

Filippo                           - (fra sè, guardandoli uscire) Povero Bertin! Ci s'è imbarcato lui sulla fregata!... (Si concentra un attimo) Ritirata strategica!... Ma come?!... (Ha preso la sua risoluzione. Corre alla porta di destra in seconda, spia un attimo fuori dalla porta, si ritira precipitosamente e corre all’apparecchio telefonico. Finge di telefonare a voce alta e tien d'occhio la porta) Ma dite davvero, si­gnora?... Io vi chiedo mille volte scusa!... Oh, ma è imperdonabile! Sono veramente desolato!... (Entra Paola da destra, in seconda, e si ferma sulla soglia. Filippo la saluta festosamente con la mano, le sorride e intanto con­tinua la sua finta telefonata) Ah, ah, ah!... Spero di non avervi detto niente di. sconveniente, almeno! (Pausa). In­fatti graziosa lo siete!... (Pausa). Come?... Vi ho fatto una dichiarazione d'amore?... Ah, no, questa è grossa!... Si vede che quando sono un po' brillo divento sentimentale!... (Pausa). Eh, si; anche espansivo, avete ra­gione! Insomma, arrivederci a domani, signora! Ci tengo proprio a rinnovarvi in persona le mie scuse. Buona sera!... (Appena ha deposto il ricevitore, s'incastra il che vi amo, che non ho più pace... monocolo nell'orbita, va al tavolo dove Bertin ha deposto i fiori, prende il mazzo di orchidee e sorridendo, con un inchino, ne fa omaggio a Paola) Letizia e prosperità!

Paola                             - (stupita) Per me?... Grazie. Sono meravigliose queste orchidee! Ma... come mai?...

Filippo                           - Il mio omaggio alla fidanzata ideale di Roberto.

Paola                             - (sempre perplessa, leggendo il nome del fiorista sulla carta che involge i fiori) André Lelong? Ma è il fiorista della Passeggiata degli Inglesi!...

Filippo                           - Appunto! (inchino e sorriso).

Paola                             - Non so spiegarmi!... Isabella v'ha dato la notizia solo un momento fa...

Filippo                           - (con affettuosa aria superiore) Quanto siete ingenua, cara bambina! Ma io avevo preveduto tutto!... Non per niente ho qualche anno più di voi, cara Paola! Ieri sera, quando mi avete parlato di quella misteriosa passeggiata che dovevate fare, mi sono subito detto: ci siamo! Domattina la grande notizia! E ho ordinato i fiori a Lelong. Mandatemi, caro Lelong, le più belle orchidee di Nizza!

Paola                             - (guardando alternativamente le orchidee e 'Fi­lippo) E' una vera sorpresa!... Non avrei mai supposto che voi... Ma allora perché...?

Filippo                           - Perché vi facevo tanti complimenti?... (Un momento d'imbarazzo). Ma fingevo! (Scivolando via) Fatto sta che volevo che sposaste Roberto e ci siete ca­scata! (Le dà la baia) Ah, ah, ah!...

Paola                             - Eppure questa vostra lettera... (gli mostra una lettera che teneva piegata e stretta nel palmo della mano).

Filippo                           - Mia lettera?... A voi?...

Paola                             - Sì. L'avete fatta scivolare stanotte sotto l'uscio della mia camera.

Filippo                           - Oh, Dio!... Stanotte?... Altro che brillo! Ma ero fradicio allora!... Avete sentito la mia telefonata poco fa! Pare che abbia fatto una dichiarazione d'amore molto infiammata anche a una certa signora De Vallin che era invitata al pranzo dei Fernandez... (Come cer­cando di rintracciare dei confusi ricordi) Aspettate... Sono tornato... Mi sono seduto di là... Ma... ho scritto a voi?... Cosa diavolo ho scritto?...

Paola                             - Leggete (gli dà la lettera).

Filippo                           - (legge) « Sono rientrato ora. Mi sento ubriaco...». (Un gesto come per direi « Avete visto? »).

Paola                             - Andate avanti.

Filippo                           - «...ubriaco d'amore, gonfio... Eh, gonfio!... (altro cenno a Paola) ...di una passione che mi fa beato e infelice... ». Ohi, ohi, ohi! (si gratta la nuca). E' inutile! Io quello spumante secco non lo tengo più, non lo reggo!...

Paola                             - Andate avanti!

Filippo                           - «... Se penso che queste parole fra poco saranno sotto i vostri begli occhi un brivido caldo mi corre per le vene... ». (Si passa Vindice nervosamente fra collo e solino; con voce di riprovazione) Ma sentite! Roba dell'altro mondo!™ E’ curioso perché le gambe, niente! Cammino dritto, laccio le scale; mi prende alla testa!...

Paola                             - (pietosa) Be', mi pare che basti, no?... (e fa l’atto di prendergli la lettera).

Filippo                           - (eroico) Ma niente affatto! Voglio leggere fino in fondo! E' troppo buffo!... (Riprende a leggere) «Riderete di me?... Non importa!... Vi dico lo stesso che vi amo, che non ho più pace… No, no, no!Niente! Niente!... Devo smettere di bere. Assolutamente. Non lo reggo più!... (Riprende a leggere) «...Sono in ginocchio davanti a voi, vi offro tutta la mia vita... » (la lettura lo scuote a un punto tale che incomincia ad abbandonare la finzione. Con ira) Ma è ridicolo! Un uomo della mia età! (Riprende a leggere; si sente ora nella sua voce disgusto, amarezza, umiliazione) « ... Ah, perché non v'ho incontrata prima?... La vostra giovinezza è come un bel fuoco vivo...» (non si domina più. Tenta di ridere, ma il riso gli si trasforma in una smorfia di sofferenza. Appallottola la lettera e la scaglia per terra. Senza guardare Paola, con tono dimesso) E' inutile fin­gere!... I fiori non erano per voi... Erano della Rosita dei centodieci chili (le dà il biglietto della signora Fer­nandez che aveva in tasca) Sono un imbecille!... Non avevo capito niente! (si lascia cadere desolatamente su una sedia).

Paola                             - (dopo una pausa) Bravo! La vostra fran­chezza mi piace! Tutto è molto più semplice ora!

Filippo                           - Però, cara mia, bella forza! Quasi trent'anni di differenza! Giuoco sleale! E poi e poi, cosa credete? Innamorato! Innamorato, sì, ma mica di voi in fondo! Innamorato della giovinezza, di questo fervore che mi avete portato in casa!... Una ragazza moderna, sportiva, spregiudicata!... Un tipo nuovo che io non conoscevo s fondo!... Mi ci sono incuriosito e mi avete fatto girare la testa! Ma niente paura! Una buona dormita e domani è passato tutto. (Una pausa). Ma voi perché avete voluto piacermi a tutti i costi? Perché quel giuoco, quell'ac­canimento?

Paola                             - Volevo umiliare la vostra alterigia, la vostra vanità. Eravate insopportabile! Ho voluto insegnarvi che ci sono altri valori nella vita.

Filippo                           - Siete stata feroce!

Paola                             - Adesso siete quasi come volevo...

Filippo                           - (alzando vivacemente il capo) Quasi?...

Paola                             - (raccogliendo la lettera accartocciata e strap­pandola in minuzzoli) Sì, c'è ancora una piccola rifi­nitura. Oh, forse per voi sarà una cosa molto grave. Ma per Roberto no. Di lui sono sicura, ora! Ed è quello che importa!

Filippo                           - Molto grave?... Ma spiegatemi... Non tene­temi in ansia!...

Paola                             - Per poco tempo ancora!

Filippo                           - Ma dal momento che devo saperlo, perché non dirmelo subito?

Paola                             - Non abbiate fretta! Le cattive notizie non tardano mai abbastanza.

Filippo                           - Ma insomma, vi prego!... (Entra Leone).

Leone                            - (annuncia) La baronessa.

Paola                             - (a Filippo) L'ho invitata io. (A Leone) Fatela entrare. (Via Leone).

Filippo                           - Voi?...

Paola                             - Sì. Per annunciarle il mio fidanzamento. Sarà una notizia che le farà molto piacere.

Filippo                           - Povera donna! (Breve pausa). Paola, vi faccio un giuramento: d'ora in avanti sarò sempre fedele ad Antonietta! (Entra Antonietta e Filippo le va in­contro con effusione cordiale) Antonietta, una grande notizia! Vi annuncio il fidanzamento di mio figlio Roberto con la signorina Paola Nunez. (La faccia di Anto­nietta, si spiana, gli occhi le brillano di felicità),

Paola                             - Siete contenta?

Antonietta                     - Felice! Felice come non si potrebbe esserlo di più!...

Paola                             - E tutti i vostri sospetti?...

Antonietta                     - Comincio ad aver fiducia in voi...

Paola                             - Restate per il tè?...

Antonietta                     - Grazie. (Paola esce da destra in seconda. Appena restata sola con Filippo, Antonietta, di slancio, gli dà le mani, appassionatamente). Filippo!... Avevo dubitato del tuo amore! Perdonami! Ti adoro! Sei bello!...

Filippo                           - Ma va!... Non cominciare con le tue esage­razioni, adesso! Bello!... Ho le borse sotto gli occhi!

Antonietta                     - Non è vero! Ti giuro che non è vero!... Poi, se anche fosse, per me saresti sempre l'uomo più bello che esista sulla terra!

Filippo                           - (intenerito e desolato) Mia cara Anto­nietta!... Diventiamo vecchi!... (Pausa). Com'erano quei tuoi versi? Quelli intitolati: «A te! ».

Antonietta                     - Ah, aspetta!... (Lirica) «Tu mi strazi e sorridi…. E vai per la tua via fiorita. Io gemo. Tu canti. Crudele! ».

Filippo                           - Ecco, proprio quelli lì!... Bene, non can­terò più!... E non andrò più per la via fiorita.

(Brevissima pausa. D'improvviso Antonietta)

Antonietta                     - Filippo!

Filippo                           - Eh?...

Antonietta                     - Dammi una mano (gli afferra  la sinistra e si preme il palmo di lui con ambedue le mani sul cuore) Senti?...

Filippo                           - (palpandole il seno) Sento!

Antonietta                     - ... Con che veemenza batte il mio cuore? [Ispirata) Sento nascere in me una nuova visione poetica. La tua improvvisa malinconia... questa fragranza nu­ziale... Così: proprio su questo ritmo!... (e tenendo ferma la mano di lui con la sinistra, con la destra scandisce in «ria un ritmo immaginario. Filippo la guarda senza con­vinzione. Antonietta s'interrompe bruscamente e cam­biando tono) Ma è proprio tanto ricca la ragazza? Hai avuto informazioni precise? Verrà qualcuno della famiglia ?

Filippo                           - (eludendo la domanda) 0 Dio, sai, avrei preferito qualcosa di meglio per Roberto. Sia detto fra noi! Ma si è prodotto un insieme di circostanze tali... per cui... Be', non posso spiegarti tutto! Insomma, Ro­berto si è innamorato!...

Antonietta                     - Ha ragione. E' molto bella!

Filippo                           - (con aria superiore) Sì, carina, non dico di no. Ma ti pare un tipo da perderci la testa?... No, an­diamo!... Ragazzi, cosa vuoi! Si scaldano la testa! Chi li tiene più!...

Antonietta                     - Ma la famiglia?...

Filippo                           - Ecco, la famiglia, vedi, cara, non per dirne male, ma è di quelle famiglie curiose in un certo senso... perché, vedi, dunque, c'è una vasta parentela attorno ma il vero nucleo... (non sa più che pesci prendere; per fortuna entrano Paola, Roberto e Isabella. Per cavar­sela, Filippo va verso Roberto aprendogli le braccia) Caro il mio Robertone! Qua, da tuo padre!...

Antonietta                     - (a Paola) Quando vi sarete sposati reste­rete in Francia?

Paola                             - Certo, signora!

Antonietta                     - Vi stabilirete in Riviera o a Parigi?

Paola                             - Io credo che Roberto...

 Leone                           - (affacciandosi alla porta) C'è il signor Pinard. (Un attimo di sospensione in Filippo, Paola, Roberto che si guardano l'un l'altro. Paola si siede o piuttosto si lascia cadere su una sedia). Devo farlo passare?

Filippo                           - Un momento. Aspettate.

Roberto                         - (risolutamente) No! Fatelo passare. (Si avvicina a Paola e in atto di affettuosa protezione le mette una mano sulla spalla. Vinta da una subitanea commo­zione, Paola scoppia in un pianto dirotto. Roberto e Isabella si chinano amorevolmente su di lei).

Isabella                          - Paola, Paola!... Ma perché?...

Antonietta                     - Filippo, cos'hai? Sei diventato pal­lido!...

Roberto                         - (chino su di lei, abbracciandola) - Non im­porta, cara! Non abbiamo bisogno di danaro! Io ho tanta voglia di lavorare!... Sarò orgoglioso di lottare per te!...

Antonietta                     - (a Filippo sottovoce) Ma perché piange? Una cattiva notizia? (accenna alla porta da cui dovrà entrare Pinard).

Filippo                           - (con gesti tragicomici) La risposta della banca, capisci?... Non ha un soldo! Me la sentivo!

Pinard                           - (appare sulla soglia) Signori!

Paola                             - Papà! Papà!

Pinard                           - (commosso) Cara Francesca!... (restano ab­bracciati; la testa di Paola piegata sulla spalla di Pinard).

Filippo                           - (ad occhi sbarrati, con la mano tremula, febbri-citante, s'incastra il monocolo nell’orbita e contempla esterrefatto la scena).

Antonietta                     - (a Filippo, premurosa) Filippo, sei di­ventato rosso! Sta calmo?

Roberto                         - (rivolgendosi al padre, con ironia rispettosa) Ah! La figlia di Pinard?... La conoscevi bene tu, eh?... Brutta, zoppa, con gli occhiali!...

Filippo                           - (sommesso) Sta zitto, che questo è il mio trionfo! Tutto a posto!... Va a posto tutto!

Paola                             - (si stacca bruscamente da Pinard e dominando la propria commozione, a Filippo) Sì, la figlia di Pi­nard. Paola Nunez è il nome di una mia compagna di studi. Mi sono servita del suo nome d'accordo con lei.

Filippo                           - E tutto per una rivincita? Perché io avevo rifiutato l'offerta di matrimonio di vostro padre?

Paola                             - (senza acredine, quasi con una punta di dol­cezza) Sì, mi sono introdotta in casa vostra per farmi offrire da voi quello che prima avevate rifiutato con tanta superbia e poi dirvi: «La figlia di un Pinard rifiuta il marchese d'Avernas! ».

Filippo                           - (con tono di trionfo) E invece siete rimasta sconfitta! Avete preparato una bella rete e ci siete rimasta presa voi!  (le dà la baia, allegramente) Perché, cara mia, le donne sono sempre le stesse. Cento anni fa, oggi, fra cent'anni! Uguali!... E vi siete innamorata di Ro­berto!... (Trionfalmente) Mio figlio! Il mio ritratto!

Paola                             - (sorridendo) Allora volete perdonare a Fran­cesca Pinard?

Filippo                           - (buffo) Vi dò la mia benedizione!

Paola                             - (con slancio appassionato) Roberto!

Roberto                         - Ti adoro! (Si abbracciano).

Filippo                           - Ohi, ragazzi! (Ride, a Pinard) E allora, partita chiusa, caro Pinard! E scusami eh, se ti ho dato tante volte dello strozzino!... Ma non è colpa mia se hai quella faccia... Però Francesca, eh?... Che eleganza, che maniere!

Pinard                           - Eh sì!...

Filippo                           - Ma dimmi un po', Pinard: in quel tempo, prima che ti nascesse la bambina, lasciavi spesso sola tua moglie? Voglio dire, viaggiavi molto?

Pinard                           - Sì, piuttosto... Perché?...

Filippo                           - (evasivo) Niente, niente... Così!... (Agli altri) E allora andiamo a prendere il tè!... (A Pinard) Su, su, coraggio, Pinard, e dammi del tu, via! Chiamami Filippo! Del resto, sai, mi è giovata questa lezione: nuovi tempi, nuove mentalità. Ho capito la bellezza del lavoro: voglio mettermi a lavorare anch'io! Nella tua azienda.

Tutti                              - (ridono).

Pinard                           - No, per l'amor di Dio! Mi faresti fallire subito! Ma poi perché? Ho sgobbato tanto io nella vita; lasciami almeno la soddisfazione di pagare a mia figlia un suocero di lusso... come te!

Filippo                           - Già, forse ha ragione!... Lavorerai tu! Andiamo!

FINE