Le due sorelle

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LE DUE SORELLE

LE DUE SORELLE

Atto unico di Alberto Bassetti

Roma, Gennaio e Dicembre 1996

Presentazione del testo di Alberto Bassetti: LE  DUE  SORELLE

Uno spazio vuoto, indefinibile. Due giovani donne, due sorelle, nell’attesa di un improbabile autobus, meditano sul loro futuro di attrici che hanno appena visto fallire la propria piccola compagnia teatrale. Ma non è “Teatro nel Teatro”, nè una riflessione sul ruolo dell’attore.

Questa commedia nasce dall’esigenza di intervenire, nell’ambito della scrittura, sulla situazione eternamente drammatica dell’usura, venuta proprio in questo periodo così esacerbatamente alla ribalta. La scommessa è stata quella di riuscire a parlarne in modo non cronastico, ma apparentemente lieve, delicato (anche visivamente: ecco uno dei perché della scena rigorosamente spoglia), senza minimalismo ma anche senza urla. Una commedia fatti di personaggi piccoli e comuni, sensibili e fragili: non a caso due attrici. Persone cioè che già vivono una posizione precaria per costituzione, fatta di spostamenti fisici e soprattutto mentali, adesioni caratteriali ed emotive a situazioni drammatiche o comiche, felici o disperate ma comunque diverse, altre .

Così, quello cui assistiamo potrebbe essere un gioco, dettato dal carattere menzognero di una delle due sorelle, o realmente una situazione estrema, scaturita dall’amore e ancor più dall’ingenuità sperduta ed insicura di Susanna, da cui sembra possibile uscire esclusivamente col più devastante dei rimedi: il suicidio. Francesca, la sorella così diversa, ricettiva e vibratile come la corda di un violino, accetta con spirito cechoviano questo triste destino, o davvero crede che non si tratti d’altro che dell’ennesimo scherzo della melodrammatica Susy? A ciascuno la propria personale risposta. Ma perché Cechov? Citato come un tormentone da Francesca che sogna quegl’impareggiabili ruoli femminili, non figura certo perché si parla di sorelle , nè per la mia personale predilezione: ma proprio per la sua caratteristica, straordinaria capacità di essere sobrio, accessibile e naturale pur parlando sempre del grande tragico quotidiano, mostrandoci l’aspetto più terribile, quello comune ed ordinario del “male di vivere”; in modo sofferto ma stemperato nella superficie da quel comico/tragicomico che riproduce così impietosamente la vita com’è! Perciò, questa commedia è un tentativo di parlare “controcorrente” di un argomento doloroso di cui mi sembra troppo facile parlare dolorosamente. Se la drammaticità arriverà allo spettatore pur tra le pieghe di battute e situazioni più o meno divertenti  e capaci magari di suscitare il riso (o meglio un chapliniano sorriso), il risultato sarà stato quello desiderato. Memore, come sono, dell’insegnamento nietzscheano: “Ciò che è profondo vola sulle ali di una farfalla”.

                                                                                                                         ALBERTO BASSETTI

Roma, 3 Ottobre 1996

PROLOGO

Mentre il pubblico prende posto nella platea ancora illuminata - mezze luci - due giovani Donne in sottoveste, sedute in proscenio o - dove possibile - sui gradini che portano al palcoscenico, si stanno struccando.

Con gesti calmi, lenti, quasi rituali, tolgono dal viso i resti della loro ultima recita. Senza parole, come assorte nel proprio pensiero, senza comunicare tra loro.

Si avviano dunque verso il fondo, uscendo dalle porte da cui è entrato il pubblico.

Buio in sala.

Fascio di luce su una giovane donna. Tutt’intorno è buio.

FRANCESCA                 (con voce leggermente impostata, come di chi recita) “Nostro padre morì precisamente un anno fa, il cinque maggio. Proprio in questo giorno, il giorno del tuo onomastico, Irina”...

VOCE DA DIETRO       Mi chiamo Susanna, io: Susanna, e lo sai!

FRANCESCA                 ...“Faceva molto freddo, allora, e cadeva la neve”...

VOCE DA DIETRO       Non chiamarci pure la neve, adesso: ci manca solo quella!

FRANCESCA                 ... “Io credevo proprio di non poter sopravvivere a tanto dolore e tu eri svenuta e parevi morta”.

Luce sulla scena totalmente nera, neutra, spoglia.

Ciascuna delle due donne ha accanto a sè una valigia nera.

SUSANNA                     (interrompe l’altra, facendo scongiuri) Adesso esageri: pure morta!

FRANCESCA                 (scuotendo il capo) Ma dai, che c’entri tu, con Cechov?

SUSANNA                     Ah, già, certo: quello è repertorio tuo!

FRANCESCA                 Ancora no, purtroppo! Ma un giorno succederà, sì, su un grande palcoscenico: (con enfasi) il ruolo di Olga nelle “Tre sorelle”. Cominciare così, con questa malinconia.

SUSANNA                     Perché invece noi due, qui, a malinconia frustrazioni e disgrazie, stiamo messe male?

Pausa.

FRANCESCA                 E adesso?

SUSANNA                     Eh, adesso?

FRANCESCA                 Dove andiamo?

SUSANNA                     Siamo senza benzina.

FRANCESCA                 Se è per quello: non abbiamo più nemmeno la macchina!

SUSANNA                     Tutto: abbiamo perso tutto.

FRANCESCA                 Ricominciamo, tutto daccapo! Facciamo la storia di due sorelle attrici che s’impegnano tutto, ma proprio tutto, per la loro Compagnia. E ne escono pulite, senza debiti ...

SUSANNA                     Lasciamo stare l’argomento ‘debiti’.

FRANCESCA                 Perché? Noi non ne abbiamo: la Compagnia è chiusa, ma ne usciamo a testa alta. (breve pausa) Beh, se non altro, per un po’, finiranno queste tournée                         estenuanti, in questi postacci ...  potremo tornare a casa.

SUSANNA                     A casa?

FRANCESCA                 Dove, sennò?

SUSANNA                     E già. Vuol dire che almeno avremo ... imparato! La lezione, intendo ...

FRANCESCA                 Che pena, quando una cosa finisce! Ritrovarsi così, in mezzo alla strada ...

SUSANNA                     E meno male, sennò perdevamo un altro po’ di soldi! Delle finanze, mi sono sempre occupata io, ma sapessi quant’è difficile.

FRANCESCA                 Sei la sorella maggiore.

SUSANNA                     Il Teatro è una disperazione: fa solo male. Bisogna mettersi a lavorare, come diceva nostra madre!

Luce solo su Francesca, recitante.

FRANCESCA                 “Nostra madre morì precisamente due anni, quattro mesi, e cinque giorni or sono, il nove dicembre”.

Luce in scena.

SUSANNA                     Oh, smettila: ti stai proprio fissando con questo Cechov! E poi non ci scherzare, che nostra madre è morta davvero, e non si scherza coi morti!

FRANCESCA                 Non stavo scherzando. La ricordavo ... mammina.

SUSANNA                     Ma già, lo so: tu lo fai per mostrare la tua superiorità, perché hai fatto la scuola tu, l’Actor’s studio, sei stanislavskjana...

FRANCESCA                 Tu mi hai voluta seguire. Fare l’attrice, come me. Chi te l’aveva chiesto?

SUSANNA                     Vuoi proprio saperlo? ... Tuo padre!

FRANCESCA                 Papà?

SUSANNA                     Nostro padre, sì. Aveva paura per te, la piccolina, l’ipersensibile di casa. (scrolla le spalle con stizza) Tzèh!

Pausa.

FRANCESCA                 E’ vero, o è un’altra delle tue invenzioni?

SUSANNA                     Vero, vero.

FRANCESCA                 Non me l’hai mai detto.

SUSANNA                     Non voleva che ci separassimo.

FRANCESCA                 ... Papà, com’era dolce, quei suoi occhi verdi ...

SUSANNA                     Tu guarda se uno può ripensare a suo padre e dire: “Aveva gli occhi verdi”!

FRANCESCA                 Perché? Di che colore ce li aveva?

SUSANNA                     Ma non c’entra il colore, non c’entrano gli occhi! Uno deve dire: “Povero papà, morto così giovane, in quel letto di ospedale”.

FRANCESCA                 Tu la metti sul ‘dovere’. Guarda che  mica è un obbligo ricordare  papà. Io voglio ricordarlo, e lo rivedo così, nel salotto di casa, che legge  un libro ascoltando musica classica ... Ah, non vedo l’ora di rientrare a casa!

SUSANNA                     Vedi, la nostra casa ... c’è qualche problema.

FRANCESCA                 ‘Qualche’, problema?! Tantissimi, lo so! Il bagno, la cucina ... quanti lavori da fare . Ma sento che ce la faremo! Per me quella casa è tutto .. ossia ... è tanto! Ci sono le nostre cose. I libri di papà. Il suo vecchio giradischi. I suoi ...

S’interrompe. Prende a sentirsi una musica, un pianoforte che suona una dolce musica che viene presto accompagnata, ma poi come sovrastata e disturbata, da una fisarmonica che intona un malinconico ritmo simile a un tango, per poi cessare di colpo. La conversazione riprende dallo stesso punto in cui era.

SUSANNA                     Adesso facci  tutto l’inventario di casa! ... Ma no, no, io mi riferivo ad altri problemi. Proprio la casa. Senti, per restare al tuo Cechov ... Cechov..  che                    poi piace anche a me, Cechov, certo ... è che  mi ha sempre confusa un                                   po’. Tutti quei personaggi, in ogni commedia, sempre annoiati e infelici: zii e nipoti, padri e figli, e dottori, veterinari, amanti, maestrine e attrici, sempre  a ripetersi: “A Mosca, a Mosca!”, e poi non partono mai. Ma una                 cosa la ricordo bene, altroché! ... La casa, ecco, ce  l’ho qui, in testa: “La casa dei ciliegi”.

FRANCESCA                 Quale ‘casa’? ...“Il giardino dei ciliegi”!

SUSANNA                     Sarà pure il giardino, sì: ma  a noi adesso interessa la casa. Di case, stiamo     parlando.

FRANCESCA                 E che c’entra con noi?

SUSANNA                     Non è quella commedia in cui devono vendere la casa, per .. i .. debiti e..

FRANCESCA                 Appunto: che c’entra con noi?

SUSANNA                     Ecco,  ti devo parlare.

FRANCESCA                 Oh, adesso non reinventartene una delle tue!

SUSANNA                     Inventare? Che inventare?

FRANCESCA                 Su, non ricominciare con le tue solite ‘pallonate’!

SUSANNA                     Guarda, che se io qualche rara volta ho detto una bugia ... bugia, poi .. accensioni poetiche! Trasformavo leggermente  alcuni aspetti della realtà... camuffandoli.

FRANCESCA                 Eh, allora  camuffavi  molto, moltissimo!

SUSANNA                     Esatto. E sai perché? (tace. L’altra si gira, in attesa) Perché dovevo ricrearmela, la realtà: trasformarla per non soffrire, con te che volevi sempre primeggiare, e tutti a farti i complimenti, e brava a scuola e brava a danza, e brava a tavola e brava in cucina, e brava in palestra e brava in piscina. (la applaude, lentamente) E brava! ...

Pausa.

FRANCESCA                 Tu, ce l’hai con me.

SUSANNA                     Io?!? Perché, che ho detto?

FRANCESCA                 (si attacca buffamente a un particolare tra i tanti) Che c’entrava la piscina?

SUSANNA                     Beh? Non vincevi sempre le medaglie, lì, alle gare che facevi?

FRANCESCA                 E allora? Avevi bisogno d’inventarti che eri campionessa europea di tiro        con l’arco?

SUSANNA                     Certo: che solo tu dovevi ricevere  complimenti?

FRANCESCA                 E proprio di tiro con l’arco?!

SUSANNA                     E’ il solo sport nel nostro paese di cui nessuno sa assolutamente nulla!

FRANCESCA                 (scuote il capo) Hai speso un patrimonio per comprarti quella coppa col tuo nome!

SUSANNA                     Certo: era in argento! Campionessa europea!

FRANCESCA                 E alla fine, ha dovuto pagarla papà.

SUSANNA                     Peggio per lui: non dovevate scoprirlo! Avevo organizzato così bene, col negoziante: non mi avrebbe mai ritrovato.

FRANCESCA                 Pure ladra!

SUSANNA                     Infatti, anche  allora ti sei messa di mezzo tu, a fare la spia.

FRANCESCA                 Fare la spia? Certo! Avevi detto che partivi per la Danimarca, ti fai anche accompagnare  alla stazione, mamma e papà tutti preoccupati che andavi a stare chissà dove.

SUSANNA                     Avevo lasciato tutti i nomi, gli indirizzi, i numeri di telefono ...

FRANCESCA                 Tutt’inventati.

SUSANNA                     Certo, ma li avevo lasciati, e loro che ne sapevano che erano inventati? Perciò, dovevano star tranquilli: li avevo anche fatti parlare  con l’organizzatore.

FRANCESCA                 Lo avevi pagato, quel tipo lì!

SUSANNA                     Era una specie di recita, e gli attori si pagano. Che c’è di male? Anzi, è male non pagarli!

FRANCESCA                 Ma dai, perfino le telefonate! Chiamavi tu dicendo: “Sono a Olstebroo, sono in semifinale!”. Poi, in finale, e dopo ti sei pure inventata lo spareggio: la finalissima!

SUSANNA                     (orgogliosa) Bella, eh, l’idea della finalissima!

FRANCESCA                 Stupenda!

SUSANNA                     Sono contenta che approvi!

FRANCESCA                 Poi, guarda caso proprio il giorno della ‘finalissima’ passeggio per la strada, in un quartiere all’altro capo della nostra città. E chi ti vedo?

SUSANNA                     Chi ti vedi?

FRANCESCA                 Già: chi ti vedo?

SUSANNA                     Accidenti: mi sono sempre chiesta come hai fatto a riconoscermi!

FRANCESCA                 Infatti: parevi più Bug’s Bunny. Tutta incappucciata, cappello di lana calato sugli occhi ...

SUSANNA                     Certo: per non farmi riconoscere: perché temevo, temo sempre la sfiga! Ma guarda tu, andarci ad incrociare proprio lì, dall’altra parte della città!

FRANCESCA                 Colpa tua, ti si notava troppo: tutti ti guardavano!

SUSANNA                     Davvero? (fa alcuni passi con charme) Sono proprio così ... interessante?

FRANCESCA                 Come no? Era Maggio, faceva già un caldo pazzesco, e tu eri vestita col berretto di lana.

SUSANNA                     Ero in incognito, te l’ho detto: per non farmi riconoscere!

FRANCESCA                 Vestita con un abito di lana. Ti mancava solo il cappotto.

SUSANNA                     Che dovevo fare? Mamma era sempre lì davanti, mentre facevo la valigia. Mi diceva: “Vestiti pesante, in Danimarca fa freddo”. Infatti, anche il cappotto avevo dovuto portare. Però, non lo indossavo.

FRANCESCA                 E già: lo avevi lasciato a casa di quel cretino.

SUSANNA                     Non ti permettere: con Giampiero fu una storia bellissima.

FRANCESCA                 Bellissima: anche allora, con la scusa che ti ospitava, intascò tutti i soldi che papà ti aveva dato per la Danimarca.

SUSANNA                     Poverino, proprio non li voleva. Non sai quanto dovetti forzarlo, per farglieli accettare!

FRANCESCA                 Tu: l’unica ragazza che pagava gli uomini!

SUSANNA                     Ma che stai dicendo? Chi li pagava?! Io gli davo solo quel che potevo: lui non lavorava.

FRANCESCA                 Ma sì, sì ... troppe ne hai inventate! Povero papà, lo facevi disperare.

SUSANNA                     Per quello che si curava di me!

FRANCESCA                 E va bene: allora, hai fatto disperare la mamma, ecco! Lei, almeno, lo ammetti che ti voleva un gran bene, forse più che a me?

SUSANNA                     Certo, la mamma sta dalla parte del figlio più debole. E’ il suo istinto.

FRANCESCA                 Istinto? Se ti avesse dato un po’ di sane sculacciate, fin da quella prima volta, a undici anni!

SUSANNA                     Cos’è questa storia degli undici anni?

FRANCESCA                 Quando t’inventasti che era morta la nonna. (siede sulla propria valigia)

SUSANNA                     La nonna?

FRANCESCA                 Nonna Teresa, sì. Tornavamo tutti contenti: papà, mamma, ed io, da ...

SUSANNA                     (rabbuiata) Ah, sì: eravate andati a visitare le catacombe, e non mi avevate portata!

FRANCESCA                 Fosti tu a fare la storia per non venire!

SUSANNA                     Certo: io soffro di claustrofobia! E voi mi portavate sottoterra! Brr, mi vengono i brividi solo a ripensarci: corridoi bui, freddi e umidi. Ogni metro                               uno scheletro che ti appare, e poi cataste, cumuli, montagne di teschi... Dio, che impressione!

FRANCESCA                 Ma che impressione, se non ci sei mai stata?!

SUSANNA                     Ho visto le foto. E poi tu, tu ti sei divertita a parlarmene, per giorni interi. Necrofila!

FRANCESCA                 E tu, non ti sei divertita, tu, a farci disperare colla storia della nonna che era morta?

SUSANNA                     Eh, sai che tragedia. In fondo, cos’era? L’anno dopo, la nonna è morta veramente.

FRANCESCA                 Che c’entra, questo?

SUSANNA                     Beh, almeno eravate tutti già più preparati. E anch’io.

FRANCESCA                 Bella preparazione. Mamma  svenne. Sparasti la notizia così a bruciapelo, tra le lacrime, un urlo, sembrava vero: “La nonna, nonna Teresa, è morta!”.

SUSANNA                     Sì, è vero: allora capii che sarei divenuta una grande attrice.

FRANCESCA                 Effettivamente, inventasti da Dio!

SUSANNA                     Macché inventare. Piangevo veramente. La rabbia di essere rimasta sola, e  voi lì a divertirvi, dentro le catacombe. Depravati! (come autoconvincendosi) Divertirsi nelle catacombe!

FRANCESCA                 Una gita culturale, che c’entra divertirsi?

SUSANNA                     Perché, non ti sei divertita?

FRANCESCA                 Altroché. Ma è un divertimento ... spirituale ... artistico: la cultura, l’architettura, la storia ...

SUSANNA                     ... La religione, matematica, e geografia! Sentila: sempre la più colta, preparata, il genietto di casa. Invece, io: “La nonna è morta!”. (con soddisfazione) Ah, beccatevi questa, ingozzatevi!

FRANCESCA                 Che cattiveria! E stai parlando di mamma e papà, che sono morti.

SUSANNA                     Sono morti? E com’è successo?

FRANCESCA                 Davvero ti ostini a voler fare dello spirito sui nostri genitori, defunti?!

SUSANNA                     Senti: io a Ma’ e Pa’ gli ho voluto bene, veramente più di quanto loro ne abbiano voluto a me.

FRANCESCA                 Non è vero!

SUSANNA                     E sia: comunque, è più che normale che i genitori muoiano prima dei figli. Perciò ... anch’io, se avrò dei figli, mi auguro di morire prima di loro.

FRANCESCA                 A che età?

SUSANNA                     Minimo novant’anni!

FRANCESCA                 Appunto! Anch’io avrei voluto vedere nostro padre invecchiare, fino ai novant’anni ... Con mamma vicino. Che fosse morto, magari, un Cinque Maggio ...

Francesca si alza, isolata da un fascio di luce.

FRANCESCA                 (recita) “Nostro padre, morì precisamente un anno fa, il Cinque di Maggio ... Proprio in questo giorno, il giorno del tuo onomastico, Irina ...”

SUSANNA                     (voce da dietro, sarcastica) Mi chiamo Susanna!

FRANCESCA                 “Faceva molto freddo, allora, e cadeva la neve”.

SUSANNA                     (ancora solo voce) Di Maggio? La neve, di Maggio?

FRANCESCA                 “Io credevo proprio di non poter sopravvivere a tanto dolore e tu eri svenuta e parevi morta”.

SUSANNA                     Anche se non sono Irina faccio adeguati scongiuri!

Torna la luce.

SUSANNA                     E smettiamola coi ricordi, veniamo al presente. Siamo in mezzo a una strada, e non sappiamo dove andare.

FRANCESCA                 Beh, torniamo a casa, no?

Susanna è come colta da un brivido, tesa, poi fa un mugugno di assenso; quindi si sforza di mostrarsi normale, aggrappandosi al discorso di prima.

SUSANNA                     E poi non era che uno scherzo. Madonna, quante storie per uno scherzo!

FRANCESCA                 Si precipitarono nell’auto e corsero dalla nonna, al paese.

SUSANNA                     Sbagliarono: potevano prima provare a telefonare.

FRANCESCA                 A chi, se sapevano che era morta? Mamma pianse per tutto il viaggio, papà era così teso che rischiarono anche un incidente per quelle strade di montagna! E come si meravigliarono, all’arrivo, quando tutti li salutavano come niente fosse...

SUSANNA                     Infatti, niente era.

FRANCESCA                 La trovarono in giardino, con una mannaia in mano...

SUSANNA                     Come nei migliori film di Hitchkock!

FRANCESCA                 ... decapitava un pollo, c’era sangue attorno, e questo galletto che faceva qualche passo, senza testa, col collo insanguinato...

SUSANNA                     Mi correggo: non è un giallo, è un film dell’orrore.

FRANCESCA                 ... la mamma impallidì...

SUSANNA                     Ma poi la nonna le fece un bel brodino di pollo...

FRANCESCA                 ... e svenne...

SUSANNA                     Per forza: un gallo senza testa che cammina!

FRANCESCA                 ... alla vista della nonna: viva! Mi è sempre rimasto impresso questo racconto...

SUSANNA                     Invece, dovresti dimenticarlo.

FRANCESCA                 E tu: non sei pentita?

SUSANNA                     Forse sì, appena un po’... perché così, un’altra volta, alle Catacombe non ci andavate!

Francesca scuote il capo ed apre la valigia, prendendone uno scialle.

FRANCESCA                 Comincia a fare freddo. Non vedo l’ora di essere a casa.

SUSANNA                     C’è tempo.

FRANCESCA                 Tempo? Che stiamo a fare qui?

SUSANNA                     Te l’ho detto: passa il pullman, qui. Ci porta direttamente vicino casa.

FRANCESCA                 Addirittura?!? Ci riporta nella nostra città, e proprio vicino casa? ... Eppure, io non vedo una pensilina, non vedo un cartello .: che fermata è?

SUSANNA                     Mica stiamo aspettando l’autobus. Questo è un servizio ‘intercity’, da città a città. Se ti dico che passa qui ...

FRANCESCA                 Allora, perché non c’è nessuno?

SUSANNA                     Eh, perché non è che tutti devono andare dove dobbiamo andare noi!

FRANCESCA                 Se anche ci cerca qualcuno per una scrittura, non ci trova!

SUSANNA                     E chi ci cerca? Abbiamo appena finito questo lavoro ...

FRANCESCA                 Interrotto!

SUSANNA                     Si, interrotto. Non per colpa nostra.

FRANCESCA                 Spero che la prossima parte sia veramente drammatica. E che i teatri paghino, stavolta!

Pausa.

SUSANNA                     Tu, quanto hai?

FRANCESCA                 Io? Giusto i soldi per il biglietto.

SUSANNA                     Sì, ma a casa, in banca ...

FRANCESCA                 Lo direi proprio a te ... così mi convinci a prestarteli, come sempre.

SUSANNA                     Perché: ti ho mai detto che i soldi che mi hai sempre prestato, non te li ridò?!

FRANCESCA                 No, questo non lo hai mai detto.

SUSANNA                     Ah, beh ...

FRANCESCA                 Però, neanche mi hai mai restituito un soldo.

SUSANNA                     E così, questo sarebbe il problema, tra due sorelle? Roba da non crederci!

FRANCESCA                 Susy, dai ... lo sai che non fa niente, dei soldi non m’importa.

SUSANNA                     Importa a me, invece. Sappi che sto tenendo tutti i conti e ti restituirò tutto calcolando interessi di oltre il dieci per cento annuo.

FRANCESCA                 Dai, ti ho detto che non importa ...

SUSANNA                     Importa, importa. Anzi, ti voglio proprio ringraziare per l’aiuto che mi hai sempre dato ... e che magari mi darai ...

FRANCESCA                 Ma su, non ringraziarmi ...

SUSANNA                     Certo, tu, che problema hai coi soldi? Tu sai che arriverà il principe azzurro, prima o poi ...

FRANCESCA                 Quale principe azzurro? Con la vita che facciamo noi attori: sempre di là, di qua ... Sono quasi contenta che ci abbiano interrotto la tournée: non vedo l’ora di essere a casa. La nostra bella casetta: piccola, ma pulita.

SUSANNA                     Pulitissima. Adesso, è davvero pulitissima!

FRANCESCA                 (dopo una breve pausa) Che vuoi dire?

SUSANNA                     No, non ci siamo state ... è certamente pulita!

Pausa.

Una musica romantica, ma un po’ inquietante, si diffonde nell’aria..

FRANCESCA                 A proposito di principi azzurri: come va tra te e Luigi?

SUSANNA                     Bene. Bene.

FRANCESCA                 Secondo me gli fai troppi regali.

SUSANNA                     Eh?

FRANCESCA                 Regali! Una donna, dovrebbe ricevere i regali dal proprio uomo, non farglieli.

SUSANNA                     Certo che me li fa. (mostra il polso) Questo, eh, questo: chi credi me l’abbia comprato?

FRANCESCA                 Il braccialetto brasiliano portafortuna: di stoffa! E tu lo chiami ‘regalo’?!

SUSANNA                     Sicuro! Mica sto a guardare di cosa è fatto, un regalo: valutarlo, magari facendolo pesare dal gioielliere!

FRANCESCA                 Però, a lui regali sempre oggettini d’oro ...

SUSANNA                     Fa la collezione: quello è fissato cogl’oggetti d’oro. Ninnoli, ninnoletti, catenine e braccialetti ... gli ex voto di San Luigi!

FRANCESCA                 Lo vedi? Sei tu che lo vizi!

SUSANNA                     Può darsi. Siccome  nessuno ha mai viziato me, in casa ...

FRANCESCA                 Liberati, uffa, liberati! Non sei più una bambina.

SUSANNA                     Eh, adesso dimmi pure che sono vecchia. Grazie.

FRANCESCA                 E chi te lo dice? Siamo quasi coetanee.

SUSANNA                     Cresciute assieme. Come due sorelline.

FRANCESCA                 Noi siamo sorelle.

SUSANNA                     No, si fa per dire: come due gemelline.

Pausa.

FRANCESCA                 Sono stufa.

Mantenendola in posizione verticale, Francesca apre un po’ la valigia, frugandovi. Susanna fa un passo avanti, incuriosita. L’altra ne estrae una mela verde.

SUSANNA                     E che fai, ti metti a mangiare?

FRANCESCA                 (la guarda con sufficienza) No, cosa te lo fa pensare? (prende a sgranocchiare la mela)

SUSANNA                     (accenna alla mela) E non ne hai un’altra, per tua sorella?

FRANCESCA                 No.

SUSANNA                     Brava. Ecco, sì: proprio brava, e generosa! Come sempre.

FRANCESCA                 Ma possibile che debba sempre rompere le scatole così? No, non ce l’ho  un’altra mela, e a te, tra l’altro, non va per niente una mela, la vuoi solo perché vedi che io la sto mangiando. Ma perché devi ogni volta imitare quello che faccio io? Lo fai solo per farmi sentire sempre in colpa.

SUSANNA                     Quante storie, per una mela! Si sa che poi il mondo va così, che scoppiano le guerre  per un nonnulla: quasi mi sbrani perché ti chiedo una mela! Che poi dovresti saperlo che a me le mele verdi nemmeno piacciono, mi fanno schifo, mi danno i brividi e mi ripugnano! A me, piacciono le mele rosse,               quelle del Tirolo, mature e farinose.

FRANCESCA                 Ecco, infatti: lo so benissimo! Me la chiedi solo per mandarmela di traverso.

SUSANNA                     Che polemica!

FRANCESCA                 Aspetta, ce l’ho una cosa per te. (prende a cercare nella valigia. Si sente il frinire di un grillo dall’interno)

SUSANNA                     Cos’hai, lì dentro: uno zoo formato viaggio?

FRANCESCA                 Ma no, è solo un grillo.

SUSANNA                     Ah, certo, è normale...

FRANCESCA                 (estrae una scatolina verde) E’ solo quest’affare qui. (gliela porge)

SUSANNA                     (guarda nella scatola) Due finti grilli di metallo, che quando apri il coperchio fanno ‘cri-cri’. Disgustoso.

FRANCESCA                 Smettila, son deliziosi. E funzionano senza batteria nè molla, ecologici  al cento per cento.

SUSANNA                     No, sarebbe ecologico che neanche li facessero: tutto materiale risparmiato. Ma è questo che volevi darmi? No, perché allora era proprio meglio la mela, anche se verde ...

FRANCESCA                 No, ecco qua. (le da un’altra scatola riprendendo la prima)

SUSANNA                     (guarda dentro) Che cos’è?

FRANCESCA                 Non vedi?

SUSANNA                     Due palle.

FRANCESCA                 Due palle, sì.

SUSANNA                     Vedo due palle.

FRANCESCA                 Eh, quello sono: devi prenderle in mano e farle girare.

SUSANNA                     Due palle. Le prendo in mano, e le faccio girare.

FRANCESCA                 Proprio così.

SUSANNA                     Ma io te le tiro in testa, due palle!

FRANCESCA                 Macché, stai a guardare: (prende in mano le due sfere argentate) Guarda, così ... (se le fa roteare in una mano, con abilità)  Ecco, devi fare così, senti che bel suono leggero che effondono?

SUSANNA                     Effondono?

FRANCESCA                 Sì, un suono lieve e rilassante, i muscoli della mano si esercitano e si fortificano, il cervello s’impegna rilassandosi.

SUSANNA                     Ah.

FRANCESCA                 Ecco, fai un po’ di esercizio, io devo provare un momento un’idea. Così passa il tempo, mentre aspettiamo l’autobus.

Susanna s’impegna con le due palline, facendole spesso cadere ed ogni volta imprecando mentre le rincorre per il palcoscenico.

Francesca viene in proscenio e prende a compiere strani passi, dapprima molto sconnessi, come di chi stia provando un’idea; poi i movimenti divengono quasi un accenno di danza, sempre più prendendo una struttura, seppur provvisoria, di danza moderna, un movimento simile ai ballerini rap.

Susanna smette di giocare e osserva.

SUSANNA                     Che fai?

FRANCESCA                 (proseguendo la propria azione) Zitta!

SUSANNA                     Almeno rispondimi.

FRANCESCA                 Sto lavorando a un’idea.

SUSANNA                     Dimmi quale: sono tua sorella.

FRANCESCA                 (si blocca, con un moto di stizza) Che c’entra che sei mia sorella? Possibile che non mi lasci un attimo in pace: uffa! Uffa uffa uffa!!!

Francesca compie alcuni esercizi di respirazione, come per sbollire la rabbia.

Susanna la sta a guardare con sufficienza.

SUSANNA                     Allora, si può sapere o no questa grande idea?

FRANCESCA                 (dopo una pausa) Rap-Cec.

SUSANNA                     Che?

FRANCESCA                 Rap-Cec. Tutto qui. E non ho mai detto che sia una grande idea. E’ solo una cosa che mi frulla qui, nel cervello, e che devo meditare, pensare e poi provare, sperimentare.

SUSANNA                     Va bene, ma cos’è questa parola: rapcic, repcioc ...

FRANCESCA                 (scandendo le due sillabe) Rap-Cec.

SUSANNA                     Ho capito: Rap-Cec. Ora spiegami che cos’è.

FRANCESCA                 Una novità. L’attualizzazione dei classici. E’ sempre Cechov, Cec infatti sta per Cechov, però recitano tutto sincopato: Rap, appunto, stile duemila.

SUSANNA                     Duemila? Ma scusa: se quello l’ha scritto nell’Ottocento. O Novecento, cos’era?

FRANCESCA                 A cavallo.

SUSANNA                     A cavallo? Cechov scriveva a cavallo?

FRANCESCA                 A cavallo tra Ottocento e Novecento.

SUSANNA                     Ah, certo. E poi per forza: a quell’epoca mica c’erano le automobili!

Pausa.

FRANCESCA                 (scuote la testa, decisa a non raccogliere) Ascolta, visto che vuoi sapere ...

L’altro giorno ero a un seminario ...

SUSANNA                     Te la fai coi preti?

FRANCESCA                 No, un seminario, un convegno di autori teatrali, dove dicevano ...

SUSANNA                     E tu com’è che ci sei andata? Sei un’autrice, tu? Ti vuoi mettere anche a scrivere?

FRANCESCA                 (con l’aria di chi si accinge a compiere una buona azione, prende a spiegarsi) La scorsa settimana, ricorderai, c’era in città quel convegno sul Teatro contemporaneo. Sai quel mio amico, quel giovane teatrante ...

SUSANNA                     Teatrante?

FRANCESCA                 Teatrante, sì: che fa Teatro!

SUSANNA                     Ma chi?

FRANCESCA                 Eugenio.

SUSANNA                     Giovane teatrante, quello? Ma se è tutto pelato, si presenta sempre coi figli per mano, e c’ha ...

FRANCESCA                 Proprio lui, sì.

SUSANNA                     Giovane?

FRANCESCA                 Un artista è sempre giovane, finché ...

SUSANNA                     Non gli viene l’artrite, la gotta, e il morbo di Parkinson! (pausa. Riflette) Ti sei fidanzata? ... No, dico: ti sei finalmente messa con quest’Eugenio? O con qualcun altro? No, meglio lui: ha già tre figli, è perfetto, non devi neanche  affaticarti a sfornarglieli tu. Però, dico sul serio. Critichi me, ma tu                           un ragazzo ce l’hai? Oh, sono la tua sorella maggiore, tu non puoi star sola... E neanche quelle compagnie che ti trovi ogni tanto ... che senso ha? Vorrei vederti sistemata, ecco, sì. Ma figurati: tu hai sposato il Teatro, un fidanzato ti farebbe perder tempo.

FRANCESCA                 Sarà stato il tuo esempio. Se gli uomini sono tutti come quelli che scegli tu, meglio star sola!

SUSANNA                     E tu scegliteli come pare a te! Quelli del tuo ... nostro ambiente. Quelli del ... seminario, lì. Visto che neanche sono preti, che ci sarebbe di male?

FRANCESCA                 Bello, sì... certo: avere qualcuno che ti coccola, ti fa regali, ti fa godere il paradiso! ... I primi tre giorni! Se va bene: un mese! E poi? Cominciare la storia delle telefonate, della gelosia, dello “stasera non posso, ho da fare” ... (breve pausa) Io ho il mio lavoro. Per i figli c’è tempo, se ne vorrò.

SUSANNA                     (improvvisamente agitata) Eh no, tu devi volerne: perché a me serve un nipotino! Devo almeno sapere che ci sarà, prima che ...

Francesca scrolla le spalle, seccata, ed estrae dalla valigia un piccolo riproduttore sonoro mettendone gli auricolari alle orecchie. Accende. Susanna le si avvicina e prende a farle dei cenni muovendo le labbra, fingendo di parlare, come se l’altra non sentisse. Ma la sorella non le dà retta, allora lei le scosta l’auricolare.

SUSANNA                     (urlando spropositatamente) Mi senti?

Francesca con gesto paziente toglie le cuffie.

SUSANNA                     Oh, bene. Perché devo parlarti. Qualcosa di serio.

FRANCESCA                 Certo, ho capito benissimo. Vuoi sapere il seguito della storia. Avanti: eccola, così dopo capisci che è importante, e mi lasci un po’ lavorare su questa idea. Va bene?

SUSANNA                     Guarda che ...

FRANCESCA                 Allora, in questo convegno si è discusso il tema, non certo nuovo, della scrittura  contemporanea. Come al solito, c’era uno che diceva che la scrittura è sempre contemporanea, anche quella scritta secoli fa, tanto è il regista che è il vero autore e ... insomma, per fartela breve: alla fine si sono picchiati.

SUSANNA                     Chi?

FRANCESCA                 Gli scrittori, e i registi.

SUSANNA                     Davvero?

FRANCESCA                 Sì!

SUSANNA                     Per una volta che era interessante, non c’ero! E com’è  andata?

FRANCESCA                 Il caos. Gli attori si sono schierati subito dalla parte dei registi, cercando di farsi notare, pronunciando più volte, fortissimo e con voce ben impostata, il proprio nome. Un regista, che stava per essere strangolato da un autore inferocito, è stato salvato da un attore che prima gli ha chiesto: “Che fai: se ti salvo, poi, mi scritturi?”. Lui ha appena fatto in tempo a rispondere sì, muovendo il collo stretto dalle mani dell’autore, che però ha esclamato: “Allora metti in scena un mio testo, e neanche devi più scritturare questo approfittatore, perché ti salvo io!”

SUSANNA                     Incredibile! E poi? Com’è finita?

FRANCESCA                 Si sono tutti calmati. Era arrivato ...

SUSANNA                     Un poliziotto?

FRANCESCA                 No, è entrato un grosso produttore. Son tutti corsi da lui: attori, registi, scrittori, ed anche un critico di passaggio ...

Pausa.

SUSANNA                     (assentendo col capo) E brava, brava Francesca: lo vedi che sei brava anche tu, a spararle grosse?

FRANCESCA                 Visto? E adesso lasciami stare, che io a quel convegno ci sono stata veramente, ed ho una grossa idea da provare: adesso, subito!

SUSANNA                     Un cosa, scusa... Un dubbio.

FRANCESCA                 Dai.

SUSANNA                     Ma... questa storia che hai raccontato, la rissa: non è successa veramente, no?

FRANCESCA                 Certo che no. Se certe cose succedessero veramente, qui da noi, forse il nostro Teatro non sarebbe quella noia mortale che è! E ora, ti prego, lasciami lavorare!

Francesca prende a compiere strani passi, dapprima sconnessi, poi come una danza moderna, un movimento simile ai ballerini di rap. Susanna la guarda.

FRANCESCA                 No-Stropà

                                         Uh

                                         Nostro padre morì

                                         Uh

                                         Uh Uh

                                         Nostro padre morì precisamente un anno

                                         Un anno

                                         Un anno fà - sì, oh sì.

SUSANNA                     (stanca di assistere passivamente, interviene decisa e convinta legandosi        perfettamente ai modi e ritmi della sorella)

                                         A te, yeh yeh,

                                         il Teatro fa molto malé!

                                         Perché, perché,

                                         perché mi sa che sei più scema di mé.

                                         Oh yeh!

Francesca si ferma, e guarda la sorella che a sua volta la osserva con l’aria soddisfatta di chi è consapevole di aver colto nel segno. Sorridono, si scrutano, poi prendono a ridere apertamente. Francesca le si accosta  prendendole le mani come  per un infantile girotondo. Quindi va a riaccendere il mangianastri e togliendo le cuffie alza il volume al massimo.

Un intenso e coinvolgente motivo funky funge da stimolo per una specie di danza che le due improvvisano abbracciandosi e poi allontanandosi, e cercando di sintonizzarsi su movimenti analoghi. A poco a poco la musica si fonde con la successiva registrazione trasformandosi in un tango sempre più coinvolgente e appassionato, fino ad un finale struggente. I loro movimenti sono sempre più intensi e consapevoli. Poi, il motivo cessa. Le sorelle si fermano e si guardano, con tenerezza che però - non riuscendo a sciogliersi e trasformarsi in spontaneo abbraccio - dopo qualche istante si raffredda, e poi raggela, come per un po’ d’imbarazzo.

Francesca spegne il riproduttore sonoro e lo rimette nella valigia.

Pausa.

FRANCESCA                 Sono stufa. (prende in mano la valigia e fa per andare) Non capisco perché mi hai portata qui. Non c’è nessuna fermata, e non passa anima viva. Io cerco la stazione. Vieni?

SUSANNA                     Ma dove vuoi andare, Francesca?

FRANCESCA                 A casa.

SUSANNA                     Quale casa?

FRANCESCA                 La nostra!

SUSANNA                     Veramente, la mia casa.

FRANCESCA                 Nostra!

SUSANNA                     Intestata a me.

FRANCESCA                 Certo, solo perché l’altra che mamma e papà ci avevano lasciato, l’abbiamo venduta per investire, farci una nostra Compagnia Teatrale.

SUSANNA                     Bel risultato.

FRANCESCA                 Intanto, abbiamo sempre lavorato.

SUSANNA                     Perdendo soldi. Ed ora, il fallimento.

FRANCESCA                 (recita) “Mamma aveva già venduto la sua villa presso Mentone. Niente le restava: niente. Anche a me non restava neppure un centesimo: non so come abbiamo fatto a ritornare”.

SUSANNA                     Cos’è? Sempre: “Le tre sorelle?”.

FRANCESCA                 Ma no: “Il giardino dei ciliegi”. Devi impararle, queste parti. E’ Cechov.

SUSANNA                     A te non basta mai: secondo te dovrei imparare a leggerlo in originale, dovrei imparare  addirittura  il russo?

FRANCESCA                 Proprio così: allora sarebbe un lavoro creativo, il nostro, c’insegnerebbe un sacco di cose. Anche a cambiare lavoro, all’occorrenza. C’è un gran bisogno                        di interpreti russe, al momento.

SUSANNA                     Interpreti, sì: nel senso di traduttrici, segretarie ... però io in Russia vorrei andarci  davvero!

FRANCESCA                 In Russia? A far che?

SUSANNA                     (si sventola il viso come se davvero le mancasse l’aria) Aria, aria: cambiare aria ...

FRANCESCA                 Non buttarti così giù. Ci risolleveremo. Allora, vieni?

SUSANNA                     Dove?

FRANCESCA                 (scuote il capo) E’ pazzesco! Ma come: “Dove?”. A casa nostra!

SUSANNA                     Alt: ti ho già detto che la casa è intestata a me.

FRANCESCA                 Ma ... stai dicendo sul serio?

SUSANNA                     Perché, non è vero?

FRANCESCA                 Sì, ma tu sai. Dovevamo sempre andare dal notaio, poi, un po’ il tempo, un po’ le spese del passaggio di proprietà...

SUSANNA                     Non ci siamo andati...

FRANCESCA                 Sempre ripromettendoci di farlo. In fiducia.

SUSANNA                     Comunque, per ora la casa é intestata a me.

FRANCESCA                 A te, sì. E allora?

Pausa.

SUSANNA                     Siediti.

FRANCESCA                 No: parla chiaro, e subito!

SUSANNA                     Siediti, per favore.

FRANCESCA                 Perché?

SUSANNA                     Per ascoltarmi. Seduta, reagirai meglio. (Francesca siede sulla valigia senza spostarsi). Vedi, Fra... il fatto che le nostre cose andassero male, qui, la nostra Compagnia... ecco, non mi sembrava giusto che dovesse risentirne il nostro privato. (aspetta che l’altra dica qualcosa, ma visto che tace, riprende)   Sai, stando così lontani ... che ne sai cosa accade? Poi, vedi, lui è talmente geloso ... lo conosci, no?

FRANCESCA                 Veramente, non me n’ero mai accorta. Anzi, mi era sempre sembrato il contrario.

SUSANNA                     Eh, perché magari ero sempre io a chiamarlo, io che andavo da lui e ... vabbeh. Anche se lui non era geloso ... poteva diventarlo: capirai, col lavoro che  facciamo, le occasioni...

FRANCESCA                 Quali?

SUSANNA                     Le persone che incontriamo, il pubblico che ci ammira. E poi, gli attori.

FRANCESCA                 I due della nostra Compagnia son gay, e stanno pure insieme. E l’unico tecnico, è contro ogni tentazione. E porta il figlioletto con sé.

SUSANNA                     Che significa? Luigi potrebbe diventare geloso lo stesso. E se si arrabbia, lo sai com’è, no?

FRANCESCA                 No, anche perché mi sembra pacifico come un dromedario. Un’ameba: sbadiglia sempre, annoiato.

SUSANNA                     Perché è stanco.

FRANCESCA                 Di che?

SUSANNA                     Il lavoro.

FRANCESCA                 Se è disoccupato!

SUSANNA                     Ah, lo sai?

FRANCESCA                 Certo.

SUSANNA                     Appunto. Capisci lo stress? Un conto è andare a lavorare: tranquillo, sicuro, pausa pranzo e pausa caffè, magari  ti fai anche la pausa pisolino durante le otto ore . Un’altra é girare tutto il giorno alla ricerca ...

FRANCESCA                 Del tempo perduto!

SUSANNA                     Cos’è, una citazione?

FRANCESCA                 No, mi riferisco esattamente a quello che è lui: un perdigiorno!

SUSANNA                     Sbagli. Pensa che l’ultima volta che l’ho visto ... dai, quando ci ha raggiunte a ...

FRANCESCA                 Sì che ricordo. Mandasti me a fargli il biglietto aereo, un pre-pagato. Da te!

SUSANNA                     Certo, doveva fare in fretta. Non voleva venire, il giorno dopo aveva un colloquio di lavoro importantissimo.

FRANCESCA                 Allora?

SUSANNA                     Io, ho cercato di convincerlo.

FRANCESCA                 Di cosa?

SUSANNA                     A venire. Ma lui aveva questo colloquio.

FRANCESCA                 Comunque, poi è venuto. Sei contenta, no? Vi ho anche lasciato la stanza dell’hotel, a disposizione!

SUSANNA                     Già ...

FRANCESCA                 Che c’è?

Pausa.

SUSANNA                     La sai, la sua passione per l’oro ... ecco, per convincerlo a venire, ho detto che gliel’avevo preso ...

FRANCESCA                 ‘Preso’, cosa?

SUSANNA                     Un oggettino; d’oro. Cui sapevo che lui teneva tanto.

FRANCESCA                 Brava: di questi tempi, coi debiti fino alla gola!

SUSANNA                     (urla) Non parlarmi di debiti!!! (l’altra sobbalza. Lei cambia tono) Scusa, ma devo già parlartene io. Ora.

Pausa.

SUSANNA                     Infatti... infatti lo so, che non c’era un soldo. Ma se lui arrivava e scopriva che gli avevo detto una bugia ... ho quasi sperato che non venisse più. Però lui ha detto: ‘sì’. (breve pausa) Ecco, io ho dovuto telefonare ad un amico ...

FRANCESCA                 Un altro amico?

SUSANNA                     Insomma... uno che già qualche volta mi aveva aiutato ...

FRANCESCA                 Chi?

SUSANNA                     Non ha importanza: non li conosci.

FRANCESCA                 ‘Li’, conosci? Ma non era ‘un’ amico?

SUSANNA                     Sì, ma ha anche altri amici. Voglio dire, è una specie di gruppo, capisci?

FRANCESCA                 No.

SUSANNA                     Un’organizzazione.

FRANCESCA                 Organizzazione?

SUSANNA                     Sì, un’organizzazione. (butta fuori il rospo, d’un fiato) Organizzazione, proprio così: gente che presta i soldi!

FRANCESCA                 Non posso crederci! E’ gentaccia!

SUSANNA                     Sì.

FRANCESCA                 Quant’era costato quel ... l’oggettino d’oro?

SUSANNA                     Non era propriamente un oggettino ... e poi ... non è quello il problema.

Sai, avevamo già tanti guai, colla Compagnia ...

FRANCESCA                 Parla chiaro!

SUSANNA                     Ecco, era già un po’... Insomma, sì: c’era qualche arretrato.

FRANCESCA                 Cioè? (pausa) Cioè?

SUSANNA                     Sospesi. Conticini da pagare.

FRANCESCA                 Quanto?

SUSANNA                     (minimizza)  Robetta. Poca cosa. I soldi di questa volta ... di quest’oggettino ... più il doppio... e...

FRANCESCA                 Cos’era, quest’oggettino: vogliamo dargli un nome?

SUSANNA                     Eh, la sai, no, la sua passione per gli orologi!?

FRANCESCA                 No. Assolutamente no. Avrei detto che fossero l’ultimo dei suoi interessi, gli orologi: che non li guardasse nemmeno, gli orologi. Non lavora, non fa niente: che se ne fa di un orologio?!

SUSANNA                     Invece è proprio per quello! Pensa se ad un appuntamento, un colloquio di lavoro, si presentasse già in ritardo, la prima volta. Che penserebbero di lui?

FRANCESCA                 Vabbeh, dacci un taglio.

SUSANNA                     E me? Vuoi che resti le ore in mezzo alla strada ad aspettarlo, con le facce  che girano?

FRANCESCA                 Allora?!

SUSANNA                     Beh, lui guardava sempre le vetrine della ‘Rolex’.

FRANCESCA                 (ripete) ‘Rolex’.

SUSANNA                     Eh, sì, poverino. Lo voleva tanto, ma come  poteva permetterselo?

FRANCESCA                 Tu, invece ...

SUSANNA                     Quand’ho sentito che nemmeno stavolta poteva raggiungermi, con  tutto che  aveva il biglietto aereo già pagato, ecco... anche per non far sprecare quei soldi: gli ho detto che c’era una bella sorpresa per lui, se veniva.

FRANCESCA                 Brava.

SUSANNA                     Così ho telefonato a quella ... persona, e mi ha mandato qualche ... un po’ di ... (breve pausa) denaro!

FRANCESCA                 Pazza!

SUSANNA                     Pazza, sì ... “Pazza d’amore”! La volevamo mettere in scena questa commedia: “Pazza d’amore”, che bel titolo!

FRANCESCA                 Ora l’hai messa in scena veramente!... Quant’era, quel denaro?

SUSANNA                     Che vuoi che fosse ... poco, pochino. Un orologio ...

FRANCESCA                 D’oro!

SUSANNA                     Beh mica puoi prenderglielo d’argento, a uno che fa la collezione di oggettini d’oro ...

FRANCESCA                 Comunque, torniamo a casa. L’unica certezza che ci rimane. Là, risolveremo tutto!

SUSANNA                     Là, invece, c’è il problema più grosso!

FRANCESCA                 Là, dove?

SUSANNA                     Là, a casa!

FRANCESCA                 E quale? Avanti, parla!

SUSANNA                     Ecco, io non son riuscita a rendere i soldi, subito. Quegli altri, soldi ...

precedenti. Speravamo d’incassare, no? Che ne sapevo che la Compagnia chiudeva, che facevamo fiasco completo, che ...

FRANCESCA                 Vieni al dunque.

Susanna si gira mettendo il volto tra le mani. Francesca in un cono di luce isolato.

FRANCESCA                 “Verrà un giorno in cui tutti sapranno il perché sia così, perché tutte queste sofferenze. E non ci saranno più misteri. Ma intanto bisogna vivere, bisogna lavorare, lavorare soltanto! Domani partirò sola, comincerò ad insegnare nella mia scuola e tutta la mia vita la dedicherò a coloro cui forse è necessaria. Ora è l’autunno, presto verrà l’inverno. Tutto sarà coperto di neve ed io lavorerò, lavorerò ...”.

SUSANNA                     (da dietro, nel buio, applaude) Brava, Francesca: quanto sei brava! Lo so, tu eri sprecata in questa Compagnia.

FRANCESCA                 (ancora  recita, riprendendo l’inizio del monologo) “Verrà un giorno in cui tutti sapranno il perché sia così, perché tutte queste sofferenze. E non ci saranno più misteri”.

Francesca si gira, non recita più.

FRANCESCA                 E tutti sapranno quanto sei stata scema, a farci soffrire così... per un orologio... per un po’ di debiti... per... per un uomo che non ti ama, che non è buono, che non vale niente!

SUSANNA                     No, eh: non parlare così di Luigi!

FRANCESCA                 E allora parliamo della casa: voglio tornare a casa! Qual è il problema?

SUSANNA                     (concitata si torce le mani) Tu non sai, non puoi sapere com’è, quella gente là... gli chiedi un milione, già il giorno dopo te ne chiedono due ... dopo una settimana cinque. Dopo un mese ... dieci. Ed io sono stata così cretina! Perché io non gli ho chiesto un milione ... cioè, sì: la prima volta, ma poi non potevo pagarlo, allora gli ho chiesto altri soldi. Tanto cominciava la tournée e i teatri dovevano pagarci. Che ne sapevo?!? I teatri    non pagano, neanche rispettano i contratti, non ci danno nemmeno la nostra parte d’incasso, parlano solo di crisi ... Ma abbiamo tanti crediti, no? Ci sono almeno dieci teatri che ci devono ancora i nostri cachet .Infondo, falliamo, sì: fallimento per crediti! ... Bella, questa, no? Invece di ‘fallimento per debiti, ‘fallimento per crediti’. Ah! ... Non ridi, eh, fai bene, fai benissimo a non ridere. Infatti non c’è nulla da ridere ...

Pausa.

FRANCESCA                 La casa: parlami della casa.

SUSANNA                     Questa è gente che non risparmia nulla.

FRANCESCA                 Ma che c’entra la casa? Se il tuo debito è di qualche milione, che c’entra la casa?!

SUSANNA                     Sì, è di qualche milione, ma loro ... gente cattiva!

FRANCESCA                 E tu, non lo sapevi, che era gente cattiva?

SUSANNA                     Io, io ... ho solo chiesto un po’ di aiuto.

FRANCESCA                 Aiuto, sì. Ma chi sono, che gente è?

SUSANNA                     Sembravano brava gente. Lui diceva: “Non ti preoccupare”.

FRANCESCA                 Lui? Chi, ‘lui’?

SUSANNA                     Eh ...

FRANCESCA                 Lui? ... Non cercare di nascondermelo: è proprio lui?

SUSANNA                     No. Non è lui!

FRANCESCA                 Allora già hai capito chi dico io!

SUSANNA                     Per forza, ce l’hai sempre con quel povero Luigi!

FRANCESCA                 Sì, scusami. (ripensandoci) Invece è stato lui, dimmelo!

SUSANNA                     Lui, sì ... lui, insomma: me li ha presentati, ecco. Ero io che gli dicevo che non avevo più soldi, che ...

FRANCESCA                 Farabutto!

SUSANNA                     Tu dici ... che lo ha fatto ... pensandoci?

Pausa.

SUSANNA                     ... Di proposito?

FRANCESCA                 Adesso, andiamo a casa. Rifletteremo.

SUSANNA                     Quale casa?

FRANCESCA                 La nostra.

SUSANNA                     La loro!

FRANCESCA                 Loro?!

SUSANNA                     Che potevo fare? Su cosa potevo impegnarmi? Quella è gente che non scherza ... è un miracolo uscirne vivi!

FRANCESCA                 “Uscirne vivi”? Ma cosa dici?!

SUSANNA                     Hai letto, di quella famiglia? Col gas. Si sono uccisi tutti quanti. Due giorni fa: debiti.

FRANCESCA                 Chissà quanti ne avevano!

SUSANNA                     Non importa quanti: con loro, non puoi sgarrare. E’ la regola. E’ anche comprensibile, in fondo ... dal loro punto di vista, certo! Se uno solo riuscisse a farla franca, e si risapesse, chi gli darebbe più i soldi indietro? Per questo, loro non possono perdonare.

FRANCESCA                 E di una famiglia morta, che se ne fanno?

SUSANNA                     Nulla ... anzi ... è l’unico modo per batterli. (breve pausa) Suicidio ... titoli sui giornali... subentrano gli eredi, non ne sanno niente, ma la polizia indaga, e la pubblica opinione ...

FRANCESCA                 Serve almeno a farli rinunciare?

SUSANNA                     Per noi, sarebbe il solo modo di salvare la casa.

FRANCESCA                 Che c’entra la casa?!?

SUSANNA                     Fingi di non capire!? (la fissa) Su cosa credi vogliano rifarsi? Non ho che quella!

FRANCESCA                 Non possono prendersi la casa.

SUSANNA                     Possono.

FRANCESCA                 No!!!

SUSANNA                     Vaglielo a dire.

FRANCESCA                 Non rinuncerei mai alla nostra casa. L’unica cosa che ci resta.

SUSANNA                     L’unica.

FRANCESCA                 Abbiamo sbagliato a vendere l’altra.

SUSANNA                     La tua passione per il Teatro.

FRANCESCA                 La nostra!

SUSANNA                     La tua follia!

FRANCESCA                 Andiamo alla polizia!

Pausa.

SUSANNA                     Macché ...

FRANCESCA                 Denunciamoli.

SUSANNA                     Sono in regola, loro. Gli ho firmato una carta.

FRANCESCA                 Una carta? Cosa vuoi che conti una carta estorta con la forza?

SUSANNA                     Nessuna forzatura. Ho firmato, la mano era ferma, la scrittura leggibilissima...

FRANCESCA                 Lo strozzinaggio è un reato, e ...

SUSANNA                     Mi faranno fuori, lo so. L’unica sarebbe trovare il coraggio ...

Tace. Pausa.

FRANCESCA                 Per fare cosa?

SUSANNA                     Prevenirli.

FRANCESCA                 Cioè?

SUSANNA                     C’è un solo modo.

FRANCESCA                 Sì, tentiamo: qual è?

SUSANNA                     Te l’ho detto.

Pausa.

FRANCESCA                 Me l’hai detto? Quando? Non ricordo ...

SUSANNA                     Davvero?

FRANCESCA                 Spiegati!

SUSANNA                     (senza inflessioni, piatta) Non ricordi.

Pausa.

FRANCESCA                 No.

SUSANNA                     Meglio così.

FRANCESCA                 Allora, me lo dici?

SUSANNA                     Hai ragione. Forse non te l’ho detto.

FRANCESCA                 Cosa importa? Dimmelo ora.

SUSANNA                     No... (pausa) Vai pure a casa.

Lunga pausa.

FRANCESCA                 A ... casa?

SUSANNA                     Certo. (le sorride) A casa. (sembra improvvisamente ravvivarsi) La nostra casa!

FRANCESCA                 La nostra casa!!!

Si guardano negli occhi. Francesca comincia a sussultare, come dei singhiozzi, potrebbero essere lacrime, finchè non esplode invece in una fragorosa, liberatoria, interminabile risata.

FRANCESCA                 Sei sempre la solita. Hai inventato tutto! Ed io stavo per caderci. Ancora una volta, ancora una volta!!!

Pausa. Francesca si riprende.

FRANCESCA                 (rapida, nervosamente, coinvolta) Come la volta che t’inventasti di essere incinta: come ti venne, così all’improvviso? (imita la voce del padre).... “Cos’hai, perché non mangi, sei di malumore?”. Ti giri e vomiti sul tappeto!“ Ah, sta male, Dio mio: termometro, lo smacchiatoio, il dottore!?!. “Sono incinta” (lei cambia tono di voce a seconda che parli il padre o la madre) “Colpa tua, colpa tua”. E mamma: “No, colpa tua, che le hai comperato la macchina”. “La macchina? Che c’entra la macchina?!” “C’entra, c’entra! Chissà dove vanno a farle certe porcherie!” “Porcherie? Quali porcherie?!?” E io: “Non lo so, non l’ho mai vista con nessuno". "Sono già al terzo mese”, ripetevi: “Vi dirò tutto Sabato. Sabato saprete ...”. Era lunedì, settimana d’inferno... (riprende fiato)  Sabato arrivò...

Pausa. Francesca guarda la sorella.

SUSANNA                     Inventato. Era tutto inventato. Ho inventato tutto.

Lunga  pausa.

FRANCESCA                 Già, proprio così: avevi inventato tutto. Allora, come ora.

Francesca le si avvicina e le accarezza la testa, a lungo, in silenzio.

FRANCESCA                 Andiamo?

SUSANNA                     Comincia tu. Io devo risolvere una cosa.

FRANCESCA                 Una cosa? Che cosa, qui?

SUSANNA                     Una questione molto importante.

FRANCESCA                 Sì?

SUSANNA                     Per te, per noi.

FRANCESCA                 Sei sicura?

SUSANNA                     Sicurissima.

FRANCESCA                 Non ti serve aiuto?

SUSANNA                     Vai, vai pure. Ti raggiungo.

Breve pausa.

FRANCESCA                 Susanna ... sorella. Tutto bene, no?

SUSANNA                     Bene. Bene. Benissimo.

FRANCESCA                 Beh, allora ... Sei tu la sorella maggiore.

Francesca si allontana di qualche passo, poi si rigira verso la sorella e si mette scherzosamente sugli ‘attenti’ e fa il saluto militare.

FRANCESCA                 Agli ordini, Maggiore !!!

Giunge da lontano il suono di una banda musicale che suona una marcia. Si mettono in ascolto. Luce su Francesca.

FRANCESCA                 (recita) “Questa musica é così gaia, così viva, che c’invoglia quasi alla vita! Dio mio! Passerà il tempo e anche noi scompariremo per sempre. Ci dimenticheremo, dimenticheremo i nostri volti, la nostra voce, e quante eravamo; ma le nostre sofferenze si trasformeranno in gioia per coloro che verranno dopo di noi. Pace e felicità scenderanno sulla terra e gli uomini avranno una buona parola per quelli che vivono ora e li benediranno. O sorella cara, la nostra vita non è ancora finita: vivremo! Questa musica è così gaia, così gioiosa ... E sembra quasi che tra poco potremo sapere perché viviamo, perché soffriamo! ... Ah, saperlo, saperlo!”

Torna la luce e lei si allontana, verso il fondo. La banda continua a suonare.

Susanna guarda verso la platea, fissando qualcosa - forse il vuoto - con occhi spenti: come senza vita.

Ora la luce si restringe, illuminando lei sola.

SUSANNA                     (canticchia, seguendo la musica) “Tara -riàbum-bi jà... Sizù na tumbe ja. Mah, cosa importa? Che importa?”.

BUIO